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Quella strana foschia gialla preludio di una catastrofe
PAOLO A. DOSSENA
UN’APOCALITTICA TEMPESTA DI SABBIA
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Nel primo mattino di lunedì 11 marzo 1918, un cuoco dell’esercito statunitense, Albert Gitchell, sta camminando a Camp Funston, presso Fort Riley, un grosso accampamento militare del Kansas che ospita oltre 40.000 soldati. Due giorni prima il signor Gitchell ha assistito a una semi-apocalisse locale, perché Fort Riley era stata investita da una violentissima tempesta di sabbia, una delle peggiori a memoria d’uomo. Si dice che quel giorno, in Kansas, il sole fosse diventato nero. I treni avevano dovuto fermarsi sui binari e Fort Riley si era ricoperta di polvere e fuliggine.
A parte questo, quei soldati non conducevano una vita salubre da quando, quasi un anno prima, travolti da un’ondata di furore patriottico e guidati dal Presidente democratico Woodrow Wilson, gli Stati Uniti erano entrati in guerra contro gli imperi centrali dell’Europa. A seguito di questo evento erano sorti campi militari come Camp Funston, luoghi densamente popolati, luoghi ideali per lo sviluppo di infezioni.
UNA NAUSEABONDA E PUZZOLENTE FOSCHIA GIALLA
Ma c’è dell’altro: le condizioni atmosferiche di Camp Funston erano decisamente inospitali a causa di inverni particolarmente rigidi, con tempeste di neve, ed estati oppressivamente afose. C’era infine un ulteriore problema: i falò del letame. Il fatto è che Fort Riley era il centro militare più importante del corpo della Cavalleria degli Stati Uniti, con migliaia di cavalli e muli che producevano all’incirca nove tonnellate di letame al mese. Le polveri delle tempeste di sabbia si depositavano sulle montagne di stallatico, formando una nauseabonda e puzzolente foschia gialla. Passata la tempesta di sabato 9 marzo, gli ufficiali di Camp Funston avevano ordinato agli uomini di ripulire, di rimuovere quel caos che si era depositato sulla base militare mescolandosi al letame, ma i soldati addetti non erano stati dotati di apposite maschere.
IL PRIMO CASO
Torniamo all’11 marzo. Quella mattina il cuoco da campo Gitchell non si reca alla mensa, si presenta bensì all’ospedale del campo con un “brutto raffreddore”. Accusa tipici sintomi di questo disturbo: mal di testa, mal di gola, un lieve e generalizzato dolore ai muscoli e febbre. Il medico militare di servizio ipotizza che i sintomi del soldato Gitchell siano stati provocati dalla tempesta di sabbia e dagli effetti postumi dei falò del letame. Tuttavia, dato che la temperatura del paziente è a 40°, il medico decide di confinarlo in un letto isolato. Il problema sembra risolto quando si presentano il caporale Lee W. Drake e il sergente Adolph Hurby, la cui temperatura è a 41°. Poco dopo, davanti al medico di servizio, si è formata una fila di pazienti con gli stessi sintomi denunciati dai soldati Gitchell, Drake e Hurby. A questo punto l’ufficiale chiama il colonnello Edward Schreiner , comandante dell’ospedale militare. Per mezzogiorno, il dottor Schreiner e i suoi assistenti hanno già visitato oltre 107 soldati malati. Per la fine della settimana i casi di Camp Funston sono saliti a 522 e per la fine del mese a 1.100.
C’ERA DA ASPETTARSELO
Cos’è questa ondata epidemica? Si tratta di un’esplosione particolarmente severa ma certamente non inattesa, nei campi miliari affollati del Presidente Woodrow Wilson. Soprattutto, non è niente di nuovo a Camp Funston, dove scoppi epidemici sono un fatto consueto. In quel campo militare del Kansas gli uomini sono ammassati in condizioni soffocanti. Un testimone, il tenente Harding, nota che “Come al solito, a Camp Funston, grandi gruppi di uomini erano alloggiati insieme e c’erano molte epidemie. Molti dei soldati venivano dalle fattorie, dove non erano mai stati in contatto con malattie contagiose”.
Ma questa nuova epidemia esplosa l’11 marzo 1918 è diversa dalle altre. Il tasso di mortalità è infatti particolarmente alto perché se molti dei pazienti guariscono entro cinque giorni, molti altri muoiono.
Il 30 marzo il colonnello Schreiner telegrafa al quartier generale militare a Washington: “A due gravissime tempeste di sabbia sono seguite molte morti per influenza”.
LA “SPAGNOLA”
Le autorità militari non prendono sul serio l’avviso del medico, anche se il colonnello Schreiner e il dottor Miner, un altro medico, hanno capito di essere davanti a una pericolosissima epidemia.
Questa pandemia influenzale passerà alla storia come “spagnola”. Dagli Stati Uniti essa si spargerà nel mondo, infestandolo dal marzo del 1918 all’estate del 1919, con ricadute durante il 1920 (che saranno tuttavia caratterizzate da una virulenza in declino). Complessivamente possiamo dire che, includendo le sue deboli code, l’influenza spagnola ha imperversato dal 1918 al 1920.
Ancora oggi non sappiamo per certo dove e come sia nato il virus, ma sappiamo che i primi casi in assoluto sono registrati tra i militari statunitensi di Camp Funston. È probabile che nella tarda primavera del 1918 il movimento di truppe tra gli Stati Uniti e l’Europa abbia contribuito al diffondersi dell’influenza spagnola che infatti arriva e divampa innanzitutto nell’Europa occidentale.
Questa è la prima ondata della pandemia che è, se paragonata alle successive, relativamente mite. Dura dal marzo al luglio del 1918 colpendo duramente in Spagna, con 100.000 madrileni infettati a maggio, incluso Re Alfonso XIII. In luglio la spagnola raggiunge la Polonia.
La seconda ondata – la più violenta – si sviluppa a partire da agosto, probabilmente a seguito di una mutazione del virus. Spesso la morte sopraggiunge nel malato due giorni dopo l’emergere dei primi sintomi. I campi militari statunitensi sono nuovamente nell’occhio del ciclone. Per esempio a Camp Devens, nello Stato del Massachussetts, sei giorni dopo il primo caso, se ne presentano altri 6674.
La terza ondata si sviluppa dal febbraio all’estate del 1919. Seguiranno le ricadute del 1920.
UN BILANCIO
Nel 1918 la globalizzazione è già in atto anche se è ai suoi primordi. Non sorprende quindi che la pestilenza si sia manifestata quasi in ogni parte del mondo a partire dai porti, spargendosi poi nelle città lungo le principali arterie di trasporto.
La pandemia causerà da 50 a 100 milioni di morti e le conseguenze più letali saranno registrate in Asia, con 30 milioni di decessi di cui come minimo 12,5 milioni in India (le cifre più catastrofiche parlano di 18 milioni). Non si salveranno nemmeno le lontane isole del sud del Pacifico, incluse la Nuova Zelanda e Samoa.
Negli Stati Uniti periranno 550.000 persone, in Europa e in Russia si registreranno 3 milioni di decessi. In Portogallo le perdite sono enormi, 600.000 morti a fronte dei 500.000 decessi dell’Italia.
Questi sono i due paesi più colpiti dell’Europa. Un bilancio davvero tragico.
IL CASO •
VANNI RAINERI
Che il cliente debba essere al centro, e che meriti la massima attenzione da parte dei titolari di attività commerciali sono principi giustamente considerati preziosi per ognuno di noi quando acquistiamo o consumiamo. Ci sono poi commercianti ed esercenti che non sempre li rispettano, altri che lo fanno, e qualcuno che va addirittura oltre. E magari salva la vita a uno dei suoi clienti.
È il caso dell’episodio che ci è stato segnalato da una imprenditrice cremonese, cui garantiamo l’anonimato ma che tiene in modo particolare a ringraziare pubblicamente la persona che, detto da lei, le ha letteralmente salvato la vita.
Ma affidiamoci al suo racconto, partendo dalle difficoltà di alimentazione.
«Non sono sempre stata allergica, ma anni fa scoprii di esserlo ad alcuni alimenti, in particolare all’aglio. La prima volta ero a una grigliata e all’improvviso mi trovai in grande difficoltà. Pensai di avere inalato del fumo invece al pronto soccorso scoprii la verità. Un secondo episodio mi capitò qualche tempo dopo: non so se per errore o per leggerezza del ristoratore, sta di fatto che nella preparazione del piatto aveva utilizzato l’aglio. Anche lì corsa in ambulanza al pronto soccorso e intervento tempestivo. In seguito, per limitare il rischio di nuovi episodi che avrebbero potuto risultarmi fatali, mi è stato indicato di portare sempre con me l’adrenalina e farmaci idonei, indispensabili ma che hanno il difetto che necessitano di essere conservati al freddo. Per questo per diversi anni ho portato sempre con me la borsa