Il Maestro di Ozieri. Le inquietudini nordiche di un pittore nella Sardegna del Cinquecento

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Maria Vittoria Spissu

IL MAESTRO DI OZIERI Le inquietudini nordiche di un pittore nella Sardegna del Cinquecento

ILPOLIGRAFO



biblioteca di arte 7



Maria Vittoria Spissu

il maestro di ozieri Le inquietudini nordiche di un pittore nella Sardegna del Cinquecento

presentazioni di Vera Fortunati Caterina Virdis Limentani

ilpoligrafo


Il presente volume viene pubblicato con un contributo di

referenze fotografiche Le tavole I, II, III, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X, XII, XIII, XIV, XV e le figure 1, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 13 (e relativi dettagli) appartengono all’Archivio Fotografico della casa editrice Ilisso. La lettera B. seguita da numeri nell’indicazione delle incisioni rimanda alla classificazione e al catalogo The illustrated Bartsch, New York, Abaris book, 1979-2001, 21 voll. L’elaborazione grafica della cartina della Sardegna, l’ottimizzazione delle immagini pubblicate nel presente volume e le fotografie del Trittico con il Compianto di Joos van Cleve, conservato allo Städel Museum di Francoforte, sono di Marco Zanotti progetto grafico Il Poligrafo casa editrice Laura Rigon © copyright settembre 2014 Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova piazza Eremitani – via Cassan, 34 tel. 049 8360887 – fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it ISBN 978-88-7115-835-8 www.poligrafo.it


indice

9 Il Maestro di Ozieri nell’età di Carlo V. Un pittore al lavoro nelle zone più interne e abbandonate dell’isola Vera Fortunati

13 Una cittadinanza intellettuale europea Caterina Virdis Limentani

19 i. contesto storico e questioni di geografia culturale

41 ii. fortuna critica

77 iii. le incisioni, fonti privilegiate

117 iv. il paesaggio, una tematica privilegiata

153 v. schede

153 Retablo di Nostra Signora di Loreto 157 Traslazione della Santa Casa 170 Crocifissione 183 Annunciazione 187 Visitazione 194 Ecce Homo

202 Retablo di Sant’Elena 206 Invenzione della Vera Croce 235 Crocifissione 247 Sant’Elena in trono 259 Prova della Vera Croce

262 Retablo di Santa Croce 262 Deposizione 274 San Sebastiano 281 Crocifissione


286 Sacra Famiglia 299 Crocifissione 302 Crocifissione 305 vi. per un nuovo profilo critico dell’autore

apparati

329 Bibliografia 383 Indice dei nomi 397 Indice dei luoghi


Sono lieto di presentare questo volume interamente dedicato alla produzione pittorica del Maestro di Ozieri. È una preziosa iniziativa editoriale, con un ricchissimo apparato di immagini, e un serio approfondimento critico intorno a uno degli artisti più misteriosi e intriganti del panorama sardo. Il Maestro di Ozieri fu artista che elesse l’Isola come suo laboratorio di analisi di quanto prodotto nelle terre del Meridione, ma anche in quello che l’autrice Maria Vittoria Spissu definisce come “Mediterraneo allargato” all’Europa del Nord. Lettura, questa, di particolare interesse, anche nella prospettiva di ciò che “Conosciamoci meglio” – il logo ideato da Banca di Sassari per valorizzare il patrimonio culturale della Sardegna – porta avanti da anni: una migliore consapevolezza delle nostre potenzialità e la loro promozione nel contesto nazionale e internazionale. Anche ai tempi del Maestro di Ozieri, infatti, la Sardegna non era isolata e ripiegata su se stessa, sapeva essere cassa di risonanza e di elaborazione per idee e stili provenienti dalle coste mediterranee, veicolati tramite contatti politici, mercantili e diplomatici. Era un regno-crocevia all’interno della confederazione di stati europei del grande impero di Carlo V. Nel libro di Maria Vittoria Spissu, nato dalla sua tesi di dottorato premiata con il giudizio di eccellenza all’Università di Bologna, la Sardegna diviene punto di vista privilegiato e congeniale in cui riavvolgere i fili della storia dell’arte europea: tanti sono i pittori fiamminghi, olandesi, tedeschi, iberici, italiani che sfilano tra queste pagine e nell’immaginario di un pittore straordinario. Il caso del Maestro di Ozieri diviene emblematico della volontà di conoscenza che si spinge verso lidi lontani da cui attingere idee e motivi, per poi rielaborarli magistralmente. L’isolamento diviene alterità e comporta nuovi sguardi e prospettive di lettura. La capacità di dialogo del Maestro di Ozieri con le costanti figurative care al pubblico sardo è dunque in consonanza con la nostra idea di Sardegna, scrigno di un’identità complessa, con una sua specificità, capace di guardare al futuro con rinnovato coraggio intellettuale. Questo volume nasce anche grazie all’intuizione del dottor Paolo Gianni Porcu, Direttore Generale della Banca di Sassari fino all’aprile 2014, di valorizzare il talento dei nostri giovani studiosi. Ivano Spallanzani Presidente Banca di Sassari



presentazione

il maestro di ozieri nell’età di carlo v. un pittore al lavoro nelle zone più interne e abbandonate dell’isola Vera Fortunati

Nulla si sa del Maestro di Ozieri. Nessuna traccia documentaria sull’eccentrico pittore, nonostante le molte perlustrazioni compiute dall’autrice. La sua produzione figurativa diventa l’unico documento per ricostruire la sua personalità: la formazione, i viaggi, gli incontri, i modelli. Per conoscere un artista solo attraverso la sua pittura bisogna possedere adeguati strumenti metodologici che debbono essere radicati in un lungo e organico processo di ricerche. È quanto si può cogliere nell’articolata struttura della prima, importante monografia dedicata da Maria Vittoria Spissu al Maestro di Ozieri. Una storia dell’arte che si apre anche ai suggerimenti di altre scienze umane, senza perdere la sua specificità. Nel primo capitolo, dedicato alle vicende storiche, politiche ed economiche della Sardegna nell’età di Carlo V, si sottolinea il carattere aspro e solitario delle zone interne nei confronti delle coste che divengono crocevia di importanti contatti. Luoghi remoti e abbandonati sono i feudi di Goceano e Monteacuto, dove si trovano in origine i retabli del misterioso artista, probabilmente commissionati – secondo la studiosa – dai conventi francescani o dalle confraternite, che sembrano distinguersi per la loro spiritualità in un contesto religioso dove proliferano pratiche magiche, mentre il clero versa in un grave degrado etico e culturale. Delineati i luoghi e i tempi dell’attività del pittore, nel secondo capitolo, con capillare meticolosità, ne viene percorsa la fortuna critica, non solo per avere un panorama aggiornato degli studi esistenti, ma anche per scoprire le tracce più convincenti da seguire. È Enrico Brunelli che nel 1907 conia il nome Maestro di Ozieri, facendo cenno a un suo ristretto corpus di opere. Seguono, nel tempo, interventi per lo più veloci, che evidenziano una complessa stratificazione linguistica interpretata o facendo prevalere la

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vera fortunati

congiuntura iberico-campana – con puntuale riferimento a Pedro Fernández e Pedro Machuca – o segnalando genericamente motivi nordici. Il suo sperimentalismo, nutrito di fonti diverse, rimanda a una pratica consolidata in ambito pittorico sardo, il rafaelisme d’estampa. Ma l’interpretazione soggettiva in chiave burbera e inselvatichita di motivi raffaelleschi denuncia, secondo Maria Vittoria Spissu, una variegata e approfondita conoscenza delle stampe tedesche, soprattutto di Dürer e Cranach. Nel terzo capitolo questa contaminazione di linguaggi diversi all’insegna di un marcato germanismo viene resa esplicita da una sequenza avvincente di raffronti, dimostrando l’originale autonomia del Maestro di Ozieri tra il 1530 e il 1550 nel panorama artistico isolano. Ma il nostro artista si mostra solitario sperimentatore anche nei fondali paesaggistici: nel quarto capitolo l’autrice conduce il lettore entro i paesaggi del Retablo di Sant’Elena a Benetutti, facendo notare con un’analisi dettagliata come l’impianto prospettico che mira a una veduta cosmica, le concrezioni rocciose, i picchi ghiacciati che si alternano a dolci, erbosi pendii evochino le vedute fiamminghe di Joachim Patinier e Jan van Scorel. Questo dialogo con l’universo fiammingo sul tema del paesaggio – non ancora evidenziato dalla critica – suggerisce l’ipotesi di una formazione forestiera dell’artista. Nel lontano 1930 Hermann Voss, sul “The Burlington Magazine”, segnalava infatti la profonda sintonia fra la Crocifissione di Stoccarda del nostro artista e quelle di Grünewald: “the type of Madonna, the hands with the long sensitive fingers, the blue-green tone of the background and, last, but not least, the passionately exalted character of the scene, spontaneously recall memories of Grünewald’s representations of the Crucifixion”. Sulla base di questi segni – che sono già in grado di tracciare una prima identità dell’artista – Spissu continua la sua indagine interrogando le singole opere con una maturità di approfondimento critico e una tenacia inquisitoria che non tralascia alcun particolare. Il focus del libro è il quinto capitolo, intitolato semplicemente “Schede”, dove si scatena una vis metodologica che riesce a entrare nel laboratorio sperimentale del pittore, coniugando l’analisi stilistica con l’“iconografia analitica”, secondo le modalità proposte da Daniel Arasse. Ogni dettaglio significativo viene isolato e ricondotto in un’economia stilistica che si struttura nella simultanea aggregazione di modelli, provenienti da diverse geografie artistiche e scelti in funzione di puntuali iconografie. Si svela così l’arte sacra di un artista che si allontana dall’ortodossia accademica propria ai coevi retabli sardi dei Cavaro e al Retablo dei Beneficiati, adottando un registro narrativo risolutamente non aulico, semplificato nelle strutture prospettiche e coinvolgente nelle dinamiche retoriche dei protagonisti, bizzosi e grotteschi, che a volte si rivestono anche di accenti dialettali o popolari. “Fondali montuosi e cieli rannuvolati” di marca fiamminga dialogano con il carattere tedesco delle compagne di Sant’Elena (nell’Invenzione della Vera Croce) o delle Madonne nelle drammatiche Crocifissioni (Stoccarda, Cannero, Ozieri, Benetutti), mentre alcuni motivi michelangioleschi sono rivisitati in chiave quasi pa-

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il maestro di ozieri nell’età di carlo v

rodica negli angeli tubicini della Traslazione della Santa Casa, o nell’angelo che sorregge la tenda nella Sacra Famiglia di Ploaghe, o ancora nella Sant’Elena d’umore nero, avvicinandosi in alcuni punti agli esiti più eccentrici di Marco Cardisco. Questa ricerca minuziosa e sistematica, condotta con passione e rigore, scopre motivi iconografici sfuggiti all’attenzione degli studi: caso emblematico nell’Invenzione della Vera Croce è la figura bruegheliana dell’ebreo Giuda, il “vociante grottesco”, quasi un personaggio del teatro di Ruzante, che Spissu apparenta ai contadini, mendicanti, lanzichenecchi ritratti nei disegni e nelle incisioni di Urs Graf, Jörg Breu, Niklaus Manuel. Il processo inquisitorio può considerarsi giunto al termine. L’autrice è in grado di fornire un nuovo profilo critico del Maestro di Ozieri, mettendo in risalto la sua collocazione eccentrica nel contesto sardo, la spiccata caratterizzazione germanico-fiamminga che giustifica una formazione nordica, la vocazione irresistibile ad abbassare il tono colto della maniera ibericocampana per realizzare un teatro sacro che possa fare breccia sugli istinti e i sentimenti di una religiosità primitiva. In questa temperatura stilistica non sembra possa rientrare la Deposizione della Croce, che l’autrice espunge in maniera convincente dal catalogo dell’artista. Restano ancora misteriose le ragioni che hanno portato un artista forestiero del suo livello a lavorare in zone periferiche, tanto insalubri quanto remote. Un’ipotesi affascinante, irrinunciabile: forse il Maestro di Ozieri appartiene alla costellazione degli intellettuali che per motivi religiosi o per drammatiche vicende personali cercano rifugio in terre abbandonate, al riparo da ogni tribunale dell’Inquisizione, al cui occhio indagatore non è facile sfuggire.

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presentazione

una cittadinanza intellettuale europea Caterina Virdis Limentani

La ricostruzione del percorso pittorico del Maestro di Ozieri – le cui opere note e accertate hanno visto la luce in un lembo di Sardegna all’epoca assai disagiato e defilato rispetto alle più importanti rotte culturali extraisolane – ha consentito all’autrice di definire un interessante tassello dei rapporti fra l’Isola e il suo mondo circostante. È importante puntualizzare che in Sardegna solo di recente gli studi di storia della cultura hanno rinunciato alla prospettiva identitaria dominante per decenni, anzi, per secoli, quel rischioso pregiudizio che ha analizzato la produzione artistica e letteraria secondo una categoria etica e “patetica”, più che estetica, tagliando corto rispetto alle evidenti falle di linearità e di continuità degli sviluppi locali. Di fatto, se di identità si dovrà in un modo o nell’altro parlare, questa dovrà essere considerata come valore non assoluto ma relativo, dipendente appunto dagli esiti di penetrazioni e confronti – fortunate occasioni di arricchimento quando non addirittura di svolta – senza che tali aspetti siano intesi come diminutivi o addirittura interpretati come processi di cultura coloniale. La differenza fra quest’ultima e quanto è avvenuto in Sardegna per secoli sta nel brillante sincretismo elaborato dalle voci più eccelse della cultura visiva e della letteratura isolane. L’identità, dunque, si è ricavata e tuttora si ricava attraverso l’alterità: non è certo la granitica e corrucciata indifferenza su quanto è avvenuto e avviene oltremare a rafforzarla. Gli studiosi e gli studi che, nel caso delle arti visive, hanno ceduto di fronte alla necessità di ammettere un rapporto tra l’arte “sarda” e il mondo circostante hanno per molti decenni ridotto questo mondo a due penisole a portata di vela, quella iberica prima e quella italiana poi, rilevando rare sovrapposizioni fra gli esiti e le dipendenze da tali universi culturali. Di fatto, l’orizzonte era ben più ampio e complesso. Si pensi, solo per avere

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caterina virdis limentani

qualche spunto, alla fisionomia che nel tardo Medioevo ebbe il piccolo stato costituito dal Giudicato di Arborea. Non sono davvero poche le relazioni dinastiche, diplomatiche e commerciali con tutta l’Europa che si scoprono tra le pieghe della storia “de su Rennu” (come è detto nella Carta de Logu che Eleonora d’Arborea stilò o fece stilare in sardo logudorese), facendone un esempio emblematico della cultura autoctona. Se la rete di quelle relazioni e di quei coinvolgimenti familiari con le principali famiglie nobili europee fosse stata conosciuta e indagata al di fuori della lente identitaria non sarebbe stato necessario inventare il finto lembo di autunno del Medioevo che nel 1860 spuntò in un clamoroso falso documentario. Non altrimenti, sembrano oggi fuorvianti certi sforzi volti a cercare nelle carte d’archivio nomi appartenenti alla natio sarda nei quali riconoscere gli anonimi autori dei più importanti dipinti eseguiti nell’Isola tra Quattro e Cinquecento, perdendo di vista il senso dell’appartenenza della Sardegna alla Corona d’Aragona prima e a quella di Spagna, cioè all’Impero, poi. Non potrà sfuggire che l’imperatore Carlo V, dopo la fugace visita ad Alghero in cui ebbe appena il tempo di trattare da caballeros i sardi malunidos, nel 1535 concentrò nel porto di Cagliari le forze imperiali per sferrare l’offensiva dell’assedio di Tunisi. L’appartenenza dell’Isola all’Impero giustifica la ricchezza di accostamenti e di confronti con la cultura visiva europea che Maria Vittoria Spissu propone per il suo misterioso pittore, la cui biografia, del tutto ignota come il suo nome, potrebbe avere comportato occasioni d’incontro con opere concepite in territori del tutto discosti da quello in cui egli ha lasciato i suoi lavori. Un’ottica diversa, più attenta alla geografia che all’evidenza, ha spesso condotto la critica a raffronti con pittori e dipinti che solo apparentemente – e certamente grazie a fonti comuni – possono affiancare gli sviluppi dell’artista. Emendato impietosamente da insostenibili assegnazioni, il suo corpus rimanda ora a una personalità saturnina, dalla genialità incompresa, capace di lavorare in solitudine, senza lasciare allievi e motivando ben pochi imitatori. Le sorprendenti soluzioni esecutive e cromatiche del Maestro di Ozieri, che non si possono spiegare con la sola attenzione per le stampe italiane e tedesche, condivisa da altri artisti locali, dimostrano invece la filiazione del suo umore dalle più intriganti correnti della pittura nord-europea del XVI secolo. È evidente che i percorsi e le rotte che hanno permesso all’artista di accostarvisi appartengono alla stessa rete attraverso la quale avamposti religiosi, missioni diplomatiche, iniziative commerciali e contingenti militari potevano raggiungere ogni angolo dell’Impero. La presenza nell’Isola delle opere del Maestro di Ozieri attesta che il totale isolamento della Sardegna è più un topos letterario e sentimentale che una realtà. Situata al centro del Mediterraneo, essa fu per lungo tempo un importante approdo anche per la cultura europea, come questo libro brillantemente dimostra.

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la pittura del maestro di ozieri

È affermazione spesso ripetuta, soprattutto dai conoscitori, che, in storia dell’arte, un vecchio problema non trova soluzioni nuove se non si è in grado di produrre nuovi materiali, nuove opere; gli unici “argomenti di fatto” che veramente contino. Una affermazione che contiene molto di vero e che, a correttivo della più corrente prassi accademica, potremmo senz’altro far nostra; a patto però di intenderla per il verso giusto, non come incitamento alla ricerca dell’inedito per l’inedito, ma piuttosto alla identificazione di nuove relazioni tra le opere, relazioni nuove, che, a loro volta, ne permettano una diversa e più illuminate lettura. Giovanni Previtali, Alcune opere “fuori contesto”: il caso di Marco Romano, “Bollettino d’Arte”, 22, novembredicembre 1983, pp. 43-68


collocazione delle tavole e dei retabli appartenenti al corpus del Maestro di Ozieri collocazione delle tavole e dei retabli (fine XV - prima metĂ XVI sec.) citati nel testo


i. contesto storico e questioni di geografia culturale

Proviamo ad immaginare il percorso di vita e l’habitat di un personaggio misterioso e appartato come il Maestro di Ozieri. A differenza dei pittori-imprenditori cagliaritani Pietro e Michele Cavaro, appare come una voce solitaria, non divulgata da solerti attività di bottega, quasi un partito a sé stante che ha eletto quale proprio rifugio artistico le zone più interne e disperate dell’isola. Scrivere del contesto storico in cui egli operò comporta una riflessione sulla natura periferica dei luoghi di destinazione dei suoi retabli. Il suo linguaggio, per buona parte estraneo al contesto locale, spingerà l’indagine fino a delineare un percorso biografico forestiero. Ma andando con ordine, quale era la situazione che si incontrava una volta sbarcati nel porto di Alghero, nel Capo settentrionale, e quale lo scenario che si scopriva imboccata la via verso il Monteacuto e il Goceano, dove tuttora si conservano rispettivamente il Retablo dedicato alla Madonna di Loreto e il Retablo di Sant’Elena? Alla vitalità che aveva caratterizzato gli scambi commerciali durante la seconda metà del XV secolo si sostituiva nella Sardegna del primo Cinquecento un rallentamento dei traffici. La costa veniva lambita e non investita dai movimenti mercantili. La Corona spagnola1 da cui dipendeva era impegnata sul fronte degli investimenti verso Ponente, dunque nelle manovre di un atlantismo2 che coinvolgeva nuove esplorazioni e più av1 F. Abbate, Italia-Spagna. Per una geografia artistica delle due penisole, in Italia e Spagna tra Quattrocento e Cinquecento, atti del convegno (Roma, dicembre 1995), a cura di P.R. Piras e G. Sapori, Roma, Aracne, 1999, pp. 81-97. 2 J. Brown, Spain in the age of exploration: crossroads of artistic cultures, in Circa 1492: art in the age of exploration, catalogo della mostra (Washington - DC, National Gallery of Art, 12 ottobre 1991 - 12 gennaio 1992), a cura di J.A. Levenson, New Haven, Yale University Press, 1991, pp. 41-49.

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capitolo primo

vincenti rotte. Le traduzioni cartografiche restituiscono infatti la misura dello slancio per la scoperta di risorse più allettanti e per lo sfruttamento economico dei nuovi territori. La rappresentazione dell’isola ripete perciò modelli di mappe del periodo precedente, mentre i possedimenti, specialmente quelli delle zone interne, sono a mala pena segnalati. Il profilo delle coste non è inoltre oggetto di nuove indagini. Si faccia attenzione perché la marginalità non corrisponde a una reale crisi o decadimento, bensì a un ridimensionamento della percezione del Mediterraneo3 stesso, soppiantato dalle prospettive atlantiche. La Corona non era dunque impegnata a rivitalizzare il commercio da e per la Sardegna nei decenni che interessano l’attività del Maestro di Ozieri, negli anni quaranta e cinquanta. Si occupava invece di mantenere posizioni di controllo già attive. Come avveniva per l’Aragona, Valencia4, Mallorca5, Napoli, la Sicilia e il principato catalano, durante l’Impero di Carlo V l’isola poteva beneficiare degli stessi privilegi commerciali e delle medesime autonomie politiche entrate dal periodo aragonese nella consuetudine di quei regni. La percezione della dicotomia tra centro e periferia andrà smorzandosi se si pensa che il sovrano governava su uno scacchiere di possedimenti europei, tra cui anche le Fiandre6, senza aver imposto una struttura unitaria a livello amministrativo e politico7. Se si scrutano anzi le pratiche contrattualistiche nei lavori parlamentari si nota come i regni mantenessero ben salda la loro autonomia. Considerato inoltre che il sovrano aveva ricevuto un’educazione fiammingo-borgognona e che il suo governo fin dagli albori era “solidale” con la Corte di Bruxelles – prova ne è la difesa degli interessi dei Paesi Bassi, regione strategica per tenere sotto scacco la Francia e osservare la situazione germanica –, si capisce il dilagante successo che la pittura fiamminga

3 G. Wolf, Fluid borders, hybrid objects: Mediterranean art histories 500-1500, questions of method and terminology, in Crossing cultures: conflict, migration and convergence, a cura di J. Anderson, Carlton, The Miegunyah Press, 2009, pp. 134-137 (Comité International d’Histoire de l’Art, CIHA). 4 E. Salvador, Aproximación al tràfico marítimo entre la isla de Cerdeña y la ciudad de Valencia en el siglo XVI, in Il Regnum Sardiniae et Corsicae nell’espansione mediterranea della Corona d’Aragona (XIV-XVIII sec.), atti del congresso di storia della Corona d’Aragona sul tema La Corona d’Aragona in Italia, secc. XIII-XVIII (Sassari-Alghero, 19-24 maggio 1990), 6 voll., Sassari, Carlo Delfino - Pisa, ETS, 1993-1998, II.2, Comunicazioni, 1995, pp. 770-787. 5 P. Cautera Bennasser, El comercio de reino de Mallorca con Cerdeña a través de lo «guiatges», in Il Regnum Sardiniae et Corsicae..., cit., I, Comunicazioni, pp. 278-290. 6 J. Yarza Luaces, Flanders and the Kingdom of Aragon, in The age of van Eyck: the mediterranean world and early netherlandish painting 1430-1530, catalogo della mostra (Bruges, Groeningemuseum, 15 marzo - 23 giugno 2002), a cura di T.-H. Borchert, Ghent-Amsterdam, Ludion, 2002, pp. 129-133. 7 G. Galasso, Carlo V fra Europa e Mediterraneo, in Carlo V, Napoli e il Mediterraneo, atti del convegno (Napoli, 11-13 gennaio 2001), a cura di G. Galasso e A. Musi, Napoli, Società napoletana di Storia Patria, 2001. E. Belenguer, Aproximación a la historia de la Corona de Aragón, in La corona de Aragón: el poder y la imagen de la edad media a la edad moderna (siglos XII-XVIII), a cura di C. Morte García e F.B. Doménech, Madrid, Sociedad Estatal para la Acción Cultural Exterior, 2006, pp. 24-53.

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contesto storico e questioni di geografia culturale

poté riscuotere nel gusto di corte e nella produzione pittorica devozionale8, giungendo negli sfondi del Maestro di Ozieri sul Retablo per la chiesa di Sant’Elena a Benetutti, remoto contado del Goceano in Sardegna. Rispetto al Maestro di Castelsardo, al Maestro di Sanluri e agli stessi Cavaro, il Maestro di Ozieri dimostra una più ampia corrispondenza con una dimensione mediterranea allargata ed europea, la quale pare da subito coinvolgere prospettive d’oltralpe. Anche se, facendo un piccolo passo indietro, ci si accorge con Corrado Maltese9 che già nelle acque increspate della predella di Ardara si potevano intravedere i riflessi delle acque ginevrine di Konrad Witz – in particolare quelle dipinte nel San Cristoforo (Basilea, Kunstmuseum, inv. 646) – oltre ad alcune analogie eyckiane10, le quali riemergono nelle tavole ai lati del tabernacolo con San Nicola di Bari e San Cosma. Qual è dunque l’altrove verso cui guardano i pittori cinquecenteschi attivi in Sardegna? Il Maestro di Castelsardo si aggiorna sui testi di Huguet e Bermejo, dunque con lo sguardo rivolto verso ovest, il Maestro di Sanluri lascia trasparire curiose influenze pinturicchiesche e ferraresi, la Scuola di Stampace permette all’isola di giungere a un Rinascimento aggiornato fino ai testi raffaelleschi dei primi anni Dieci, mentre il Maestro di Ozieri può essere inteso come una sorta di polidoresco, ma al di fuori del coro napoletano, con componenti culturali fiamminghe e assonanze germaniche. La Sardegna lungi dall’essere isolata, già nel Quattrocento11, poté costituire per alcuni artisti catalani e valenciani un valido approdo alternativo verso cui esportare le proprie opere o su cui investire installandovi la propria bottega, come fece Joan Barceló nel Capo di Sopra. La sua Visitazione nel Retablo ora alla Pinacoteca di Cagliari richiama l’analogo scomparto di Dirk Bouts (Madrid, Prado, inv. P01461)12. Tali analogie danno la dimensione dei contatti13 che univano luoghi non più distanti quando inseriti in quei percorsi di attraversamento che conducevano alle adunanze culturali: fiere14, mete 8 J.G. Frechina, La estética flamenca en la pintura valenciana: testimonios, influencias y protagonistas, in A la búsqueda del Toisón de oro: la Europa de los príncipes, catalogo della mostra (Valencia, Museo de la Ciudad, 23 marzo - 30 giugno 2007), a cura di E. Mira e A. Delva, Valencia, Generalitat Valenciana, 2007, I, pp. 381-405. 9 C. Maltese, R. Serra, Episodi di una civiltà anticlassica, in Sardegna, Milano, Electa, 1969, pp. 272, 288. 10 Cfr. Van Eyck until Dürer: the Flemish primitives and Central Europe 1430-1530, catalogo della mostra (Bruges, Musée Communal des Beaux-Arts, 29 ottobre 2010 - 30 gennaio 2011), a cura di T.-H. Borchert, Warnsfeld, Lannoo, 2010. 11 E. Castelnuovo, Presenze straniere: viaggi di opere, itinerari di artisti, in La pittura in Italia. Il Quattrocento, a cura di F. Zeri, 2 voll., Milano, Electa, 1987, I, pp. 514-523. 12 Devo questa osservazione a Caterina Virdis. Le analogie tra i due dipinti sono state segnalate e discusse dalla studiosa nella parte monografica – dedicata ai Retabli in Sardegna – del corso di Storia dell’Arte Moderna nel Mediterraneo, di cui è stata titolare presso l’Università degli Studi di Sassari. 13 J. Molina i Figueras, Rutas artísticas y cultura visual en Cataluña (1470-1520), in El arte en la corte de los Reyes Católicos, rutas artísticas a principios de la Edad Moderna, a cura di F. Checa Cremades e B.J. García García, Madrid, Fundación Carlos de Amberes, 2005, pp. 115-144. 14 N. De Marchi, H.J. Van Miegroet, Exploring markets for Netherlandish paintings in Spain and Nueva España, in Kunst voor de markt, 1500-1700, a cura di R. Falkenburg e J. de Jong, Zwolle, Waanders, 2000, pp. 80-111 (Nederlands kunsthistorisch jaarboek, 50).

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capitolo primo

dei pellegrinaggi, snodi della transumanza, “strade trasversali” e “scorciatoie terrestri” dal Mediterraneo all’Oceano. La “successione delle pianure liquide comunicanti” che congiungevano la penisola iberica alla costa tirrenica dell’Italia meridionale e il cabotaggio15 permettevano una elevata prossimità tra comuni rivieraschi, porti sardeschi e isole, agevolando i travasi di modi, stilemi e soluzioni figurative, come il passaggio di testi cruciali per la storia delle idee. Su tali vie passavano gli approvvigionamenti di schemi compositivi, di stampe tedesche, fiamminghe e italiane. Oltre ai mercanti e ai pellegrini in viaggio si trovavano spessissimo predicatori itineranti, che passavano e passando seminavano; ma la messe mancò. Si trattò sempre di isolati, di meditativi, dai destini fuori serie: di uomini oscuri, come l’umbro Bartolomeo Bartoccio, mercante a Ginevra, arrestato durante uno dei suoi viaggi a Genova, consegnato all’Inquisizione romana e arso il 25 maggio 1569.16

O all’inverso, da Sud verso Nord, il percorso altrettanto “sospetto” dell’intellettuale sardo Sigismondo Arquer, laureatosi in diritto civile e penale a Pisa e in teologia a Siena, nel 1549 in viaggio dall’isola a Pisa (forse Bologna) e poi “verso Alemagna” con il “passar de le Alpi in terre di Grisoni” fino a Zurigo dall’ebraista Konrad Pellikan. Egli entrerà in contatto con Bonifacio Amerbach, corrispondente di Erasmo da Rotterdam, giurista, ritratto da Hans Holbein17. Arquer sarà ospite dell’umanista eterodosso torinese Celio Secondo Curione, poi studente di diritto a Tubinga. L’esule sardo intorno a quella comunità di ebraisti, nella tollerante Basilea, pubblicherà la sua Sardiniae brevis historia et descriptio18, tempestivamente inclusa 15 “Questo cabotaggio permette un facile sfruttamento del carico. Moltiplica le occasioni di speculare, di giocare sulle differenze di prezzo. Ogni marinaio, dal mozzo al capitano, ha a bordo il suo lotto di merce. Inoltre, i mercanti, o i loro rappresentanti, viaggiano con i loro colli. Il periplo, che può essere di alcune settimane o di alcuni mesi, è una serie di vendite, di acquisti, di scambi di piazza in piazza, disposti in un circuito complicato. Nell’intervallo, il carico cambia sovente di natura. Si compera e si rivende avendo cura di passare per questa o quella piazza, Livorno, Genova o Venezia, dove è possibile scambiare spezie, cuoi o corallo contro monete sonanti. Soltanto le grandi navi specializzate, cariche di grano o di sale, hanno qualche somiglianza con le navi frettolose di oggi. Le altre sono quasi bazar ambulanti: gli scali sono altrettante occasioni per vendere, comperare, scambiare, senza contare gli altri piaceri della terraferma”, F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Torino, Einaudi, 1986, p. 100 (ed. or. La Méditerranée et le monde méditerranéen à l’époque de Philippe II, Paris, Armand Colin, 1949). 16 Ivi, p. 810. 17 U. Dill, Der Bart des Philosophen: Holbeins Amerbach-Porträt. Neu gesehen im Lichte eines bisher nicht beachteten Epigramms, in Hans Holbein der Jüngere, atti del convegno (Basilea, Kunstmuseum, 26-28 giugno 1997), a cura di M. Senn, Basel, Schwabe, 1999, pp. 245-262. 18 S. Arquer, Sardiniae brevis historia et descriptio, a cura di M.T. Laneri, con saggio introduttivo di R. Turtas, Cagliari, Centro di studi filologici sardi - CUEC, 2007. Diverrà poi avvocato fiscale del Regno di Sardegna incappando tragicamente nelle ostilità dei nobili cagliaritani – in prima linea gli Aymerich – e poi dell’Inquisizione spagnola, anche a causa della sua amicizia con Gaspar de Centelles i de Montcada, barone di Pedralba, accusato di luteranesimo, morto sul rogo nel 1564, come lo sarà Sigismondo sette anni dopo. Si veda anche:

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contesto storico e questioni di geografia culturale

dal cosmografo luterano Sebastian Münster nella Cosmographia universalis stampata nel 1550. Le vie d’acqua, dunque, hanno costituito vie di fuga, veicolato continuità e influenzato la visione del mondo e gli aspetti della vita associativa. Alghero già a fine Quattrocento risultava agganciata alle rotte catalane per questioni economiche, mentre Valencia – in virtù dei contatti con la corte – avrebbe avanzato un reiterato interesse politico per Cagliari19. Seguendo tali vie si possono segnare i punti del navigare sicuro nel bacino mediterraneo. Per esempio un ballenero nel 1495 aveva come tappe del suo tragitto Denía - La Mata - Valencia - Mallorca - Cagliari - Palermo - Messina - Mallorca Valencia; mentre una nave nel 1496 partendo da Valencia toccava Denía - Mallorca - Cagliari e infine Civitavecchia. Operatori assicurativi e mercanti catalani erano installati ad Alghero, ma un fatto forse poco indagato è costituito dalla presenza di agenti che nei documenti contrattuali, amministrativi, fiscali sono segnalati come sardi e identificati in base alla loro professione20. Benché non si trattasse di una colonia che poteva godere dei privilegi dell’élite finanziaria locale, la presenza di sardi specializzati nei movimenti di merci ridimensiona l’idea di un monopolio dei soli valenzani e catalani. Quest’ultimi, rivali di liguri e provenzali, si concentravano nella difesa delle prerogative sulle coste sarde pertinenti alla pesca, alla lavorazione e al commercio del corallo, utilizzato non solo come ornamento ma anche allo stato grezzo quale “mezzo di pagamento”21 nelle transazioni con l’Oriente. Nonostante la natura delle risorse sfruttabili e la posizione di approdo marittimo l’isola risentiva di una certa marginalità nell’economia dei profitti che contavano22. L’insularità e l’isolamento erano per la naciò sardesca una

M. Firpo, Alcune considerazioni sull’esperienza religiosa di Sigismondo Arquer, “Rivista storica italiana”, 2, 1993, pp. 411-475 e Id., Umanisti sassaresi del Cinquecento, in Seminari sassaresi, a cura di E. Cadoni e S. Fasce, 3 voll., Sassari, Gallizzi, 1989-1991, II, 1990, pp. 28-32 (Quaderni di Sandalion, 6). 19 I.L. David, Comercio y operadores económicos entre Valencia y Cerdeña durante el reinado de los Reyes Católico, in Sardegna, Spagna e Mediterraneo. Dai Re Cattolici al Secolo d’Oro, a cura di B. Anatra e G. Murgia, Roma, Carocci, 2004, pp. 33- 56, tav. 5 a p. 46. 20 Ivi, pp. 37-39. Tra il 1476 e il 1499 sono registrati a Valencia: 34 mercaderes, 3 marinos, 2 caballeros, 1 eclesiástico, mentre “algunos de los objectivos de estos transportes eran llevar sal ibicenca a Nápoles (entregada en ocasiones als duanés del senyor rey), lana ibérica a la península italiana, cereal de Sicilia a Valencia, pasajeros y productos alimenticios o manufacturados a la corte romana, y malvasía orientales a Inglaterra”. “Desde Cataluña fue importante el comercio de tejidos y de cereal, el trasporte de coral, y la preferencia por la ciudad de Alghero a la hora de ejecutar las inversiones barcelonesas frente al reiterado interés valenciano por Cagliari”. Si veda anche P. Iradiel Murugarren, El comercio en el Mediterráneo entre 1490 y 1530, in E. Belenguer Cebriá, De la unión de coronas al Imperio de Carlos V, atti del convegno internazionale (Barcellona, 21-25 febbraio 2000), Madrid, Sociedad Estatal para la Conmemoración de los Centenarios de Felipe II y Carlo V, 2001, pp. 85-116, in part. pp. 104-105. 21 M. Del Treppo, I mercanti catalani e l’espansione della corona d’Aragona nel secolo XV, Napoli, L’arte tipografica, 1972, p. 73 (Seminario di storia medioevale e moderna, 4). 22 J.J. Vidal, Mallorca y Cerdena en tiempos de Felipe II, reinos de segundo orden?, in Sardegna, Spagna e stati italiani nell’eta di Filippo II, atti del convegno (Cagliari, 5-7 novembre 1998), a cura di B. Anatra e F. Manconi, Cagliari, AM&D, 1999, pp. 255-281 (Agorà, 10).

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capitolo quinto

156. Parmigianino, Giuditta, B. XVI.6.1 157. Polidoro da Caravaggio, Annunciata, Napoli, Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte 158. Albrecht DĂźrer, Passeggiata, B. VII.104.94 159. Martin Schongauer, Santa Caterina, B. VI.149.65

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schede

160. Maestro di Ozieri, Sant’Elena (dettaglio dall’Invenzione della Vera Croce), Benetutti, chiesa di Sant’Elena 161. Quentin Massys, Tentazioni di Sant’Antonio (dettaglio), Madrid, Museo del Prado 162. Albrecht Dürer, Angelo con la chiave del pozzo senza fondo, B. VII.129.75

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capitolo quinto

173. Wolf Huber, Un eremita con lunga barba e cappuccio, Londra, The British Museum 174. Niklaus Manuel, Contadino, illustrazione per l’edizione latina della Cosmographia di Sebastian Mßnster, Basilea, Heinrich Petri, 1552 175. Hans von Kulmbach, Cinque lanzichenecchi, Vienna, Graphische Sammlung Albertina 176. Maestro del Libro di Casa, Figli di Saturno (Mese di Novembre), Amsterdam, Rijksmuseum 177. Sebald Beham, Rissa, B. VIII.179.162

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schede

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corpus del maestro di ozieri

I. 

Maestro di Ozieri, Retablo di Nostra Signora di Loreto, Ozieri, Museo di Arte Sacra


corpus del maestro di ozieri

Maestro di Ozieri, Crocifissione, Retablo di Nostra Signora di Loreto,   Ozieri, Museo di Arte Sacra

II. 


corpus del maestro di ozieri

Maestro di Ozieri, Invenzione della Vera Croce, Retablo di Sant’Elena,   Benetutti, chiesa di Sant’Elena

III.


corpus del maestro di ozieri

Maestro di Ozieri, Le compagne di Sant’Elena (dettaglio dall’Invenzione della Vera Croce),   Retablo di Sant’Elena, Benetutti, chiesa di Sant’Elena

IV.


corpus del maestro di ozieri

V.  Maestro di Ozieri, I giudei e l’ebreo Giuda (dettaglio dall’Invenzione della Vera Croce),   Retablo di Sant’Elena, Benetutti, chiesa di Sant’Elena


opere non sarde - nord

XVII. 

Lucas Cranach, Giudizio di Paride, New York, The Metropolitan Museum of Art


opere non sarde - nord

XVIII.  Lucas Cranach, La Decapitazione del Battista,   Kromeˇrˇízˇ, Museo Arcidiocesano

Lucas Cranach, Ritratto di Anna Cuspinian,   Winterthur, Sammlung Oskar Reinhart

XIX.


opere non sarde - nord

XX. 

Matthias GrĂźnewald, Crocifissione, Basilea, Kunstmuseum


opere non sarde - nord

XXI.

Matthias Grünewald, Maddalena   (dettaglio dalla Crocifissione), Altare di Isenheim,   Colmar, Musée Unterlinden

XXII.  Matthias Grünewald, Visita di Sant’Antonio a San Paolo eremita (dettaglio della veste del santo),   Altare di Isenheim, Colmar, Musée Unterlinden XXIII.  Matthias Grünewald, Andata al Calvario,   Karlsruhe, Staatliche Kunsthalle


e

,

ISBN ----


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