UniversitĂ Iuav di Venezia | Dottorato di ricerca in Composizione architettonica
i limiti dell’architettura ai limiti dell’architettura a cura di Carlo Magnani e Mauro Marzo
ilpoligrafo
Quaderni di Composizione architettonica collana del Dottorato di ricerca in Composizione architettonica 4
Università Iuav di Venezia Scuola di Dottorato Architettura, Città e Design Curriculum Composizione architettonica
I limiti dell’architettura. Ai limiti dell’architettura a cura di Carlo Magnani e Mauro Marzo
ilpoligrafo
Università Iuav di Venezia Scuola di Dottorato Architettura, Città e Design Curriculum Composizione architettonica coordinatore Carlo Magnani comitato scientifico e consiglio di curriculum Benno Albrecht, Armando Dal Fabbro Agostino De Rosa, Antonella Gallo Pierluigi Grandinetti, Carlo Magnani Eleonora Mantese, Giovanni Marras Mauro Marzo, Maurizio Meriggi Luca Monica, Patrizia Montini Zimolo Raffaella Neri, Gundula Rakowitz esperti: Carlos Martí Arís, Gianni Fabbri Giorgio Grassi, Luca Ortelli, Antonio Monestiroli Luciano Semerani, Guido Zuliani tutor: Riccarda Cantarelli, Cristiana Eusepi Andrea Iorio, Luigi Pavan, Carlotta Torricelli
traduzioni Alex Gillan progetto grafico Il Poligrafo casa editrice Laura Rigon copyright © gennaio 2016 Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova piazza Eremitani - via Cassan, 34 tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it ISBN 978-88-7115-921-8
La collana “Quaderni di Composizione architettonica” raccoglie ricerche incentrate sui procedimenti compositivi del progetto di Architettura intesi come dispositivi e tecniche specifiche di conoscenza delle relazioni tra figura, costruzione e contesto nella storia dell’architettura e della città. L’indagine approfondita sull’esperienza compositiva di alcune importanti figure e opere dell’architettura intende dimostrare il percorso di formazione dell’opera per individuare categorie operative praticabili al presente. Gli scritti di questa collana, accompagnati dalle rielaborazioni tematiche del Dottorato, ribadiscono l’importanza dello studio della composizione come forma di conoscenza dell’architettura, della città, del paesaggio.
Indice
7 Premessa
Mauro Marzo
11 Introduzione. Lavorare sui limiti e, non per paradosso, insieme sugli immaginari Carlo Olmo 19 Tre architetture al limite: iconismo urbano, infrastruttura, confine. I casi di Peek & Cloppenburg Department store a Colonia, BMW Welt a Monaco di Baviera, Vulcano buono Centro commerciale e di servizi a Nola Riccarda Cantarelli
49 Euralille: il tempo del progetto
Mauro Marzo
81 Nuove torri per L’Aia
Luigi Pavan
107 La curva della retta. Il torso di Niemeyer a Tripoli
Gundula Rakowitz
135 Ă˜resund. Istanze di nuova visione
Carlotta Torricelli
161 Postfazione
Carlo Magnani 165 Note biografiche
167
English Text
Premessa Mauro Marzo
È giusto chiarire cosa questo libro non è: non è la raccolta degli atti di un convegno. Però è altrettanto giusto ricordare che l’idea iniziale di questa pubblicazione va rintracciata proprio in un convegno. Svolto il 27 giugno 2012 presso la Scuola di dottorato dell’Università Iuav di Venezia e promosso dal dottorato in Composizione architettonica, il convegno aveva un titolo piuttosto lungo: “Architettura ai limiti? Tripoli, Den Haag, Lille, Copenhagen, Malmö, Colonia, Monaco, Nola”. Due sostantivi, un punto interrogativo e un nutrito elenco di nomi di città: elenco che testimonia un’attenzione rivolta non tanto agli autori delle opere oggetto delle relazioni presentate al convegno, quanto al carattere generato in tali opere dalla loro collocazione ai limiti urbani. A volte si sbagliano i titoli di alcune iniziative universitarie, altre volte si sbaglia la loro nominazione. Più che “convegno” quell’iniziativa del dottorato avrebbe potuto essere più appropriatamente chiamata “seminario”: per la maniera in cui era nata durante alcune conversazioni tra i docenti del dottorato; per il modo inusuale in cui era stata animata da punti di vista assai contrastanti intorno all’analisi di certe opere; per i serrati confronti realizzati nei mesi successivi tra Carlo Magnani e gli altri relatori. Gli interventi al convegno e le discussioni che ne erano seguite avevano, a tutti gli effetti, una natura seminariale. Quanto pubblicato nelle pagine seguenti corrisponde di fatto all’esito di una paziente rielaborazione e messa in discussione di ciò che era stato illustrato in quell’iniziativa. Non è un caso allora che, nella Postfazione, Magnani scriva non di un “convegno” ma di un “seminario” e riporti un titolo – I limiti dell’architettura e/o ai limiti dell’architettura – diverso da quello reale. Attraverso un doppio dittico, costruito dall’articolo determinativo associato a una preposizione articolata e dalla “e” congiuntiva affiancata alla “o” oppositiva, questo titolo rimarca tutta la sfuggente ambivalenza del termine “limite” all’interno come all’esterno delle culture del progetto. Il tema generale del volume, affrontato dal punto di vista storico/critico nel testo di Carlo Olmo, si riverbera nelle diverse declinazioni dei casi progettuali affrontati dai saggi e ritrova infine una cornice comune nella Postfazione. Le modalità di lettura del volume possono essere molteplici. Si adattano all’interesse del lettore verso l’uno o l’altro degli architetti di cui trattano i saggi – Niemeyer, Koolhaas, Piano, Kollhoff, per citarne solo alcuni – o al suo interesse verso l’una o l’altra delle città per le quali sono stati elaborati i progetti di seguito illustrati. Si potrebbe leggere l’intero libro partendo dal testo conclusivo, che delinea un orizzonte di senso per gli interventi urbani, i linguaggi architettonici e i luoghi narrati nel volume. Le esplorazioni intorno al tema del limite, come potrà verificare il lettore, si misurano talora con una dimensione tutta interna al corpo urbano; talaltra con il carattere sospeso di siti compresi tra la compattezza del tessuto edilizio consolidato dei nuclei storici e le disordinate estensioni periferiche; altre volte ancora con la condizione di aree del tutto esterne alle città. In tali differenti situazioni i progetti, lo studio delle diverse fasi della loro elaborazione, l’analisi delle procedure che li hanno resi possibili assumono il ruolo strumentale di campi di indagine utili a comprendere i limiti dell’architettura e i suoi margini di azione nel reale.
I LIMITI DELL’ARCHITETTURA. AI LIMITI DELL’ARCHITETTURA
Introduzione Lavorare sui limiti e, non per paradosso, insieme sugli immaginari Carlo Olmo
J.-L.-G.-B. Palaiseau, Barrière Saint-Martin, ca 1819 (part.). J.-L.-G.-B. Palaiseau, Barrière Saint-Martin, c. 1819 (detail).
Tra il 1724 e il 1728 un complesso sistema di ordinativi prelude a una delle operazioni più complesse che riguardano i limiti di una città: quella di Parigi. In cinque anni si pongono 294 bornes, si rilevano 188 percorsi stradali e 1417 edifici1. Un lavoro che, avviato nel 1682 da una nota pastorale dall’arcivescovo della capitale francese2, si diede come obbiettivo quello di por fine alla crescita indiscriminata di una città che già si definisce metropoli: un’interdizione che ambiva a fondare il confine (e la norma) sulla conoscenza. Questo lavoro, insieme conoscitivo e ordinativo di diritti e valori, prende il nome di “Travail des Limites”3. Ma quel che fonda la legittimità dei confini, in epoca contemporanea, difficilmente sarà così strettamente legato e derivabile dalla sola conoscenza (e questo nonostante una produzione scientifica che, dai viaggi di von Humboldt in poi, ricoprirà più e più volte tutto il territorio conosciuto di descrizioni: letterarie, botaniche, geologiche, antropologiche ed economiche). Definire i confini di un territorio è infatti esercizio tra i più sofisticati ed appare, non certo dall’inizio del XVIII secolo4, prerogativa costitutiva e costituzionale di un potere (pubblico o privato, giuridico o culturale). Una caratteristica fondamentale del potere politico democratico risiede ad esempio nella sua derivazione uniforme da distretti elettorali: il “popolo” (è così nella prima definizione dei dipartimenti francesi durante la Rivoluzione) esercita il suo potere in quanto è reso politicamente omogeneo attraverso lo spazio. La discussione sui confini dei dipartimenti durante la Costituente anticiperà molti dei dibattiti sulle autorità (scientifiche, almeno formalmente) che possono tracciare un confine5. Un’autorità (la magistratura come le sovrintendenze) è legittimata in forza di un diritto che vale e trae origine da un confine. Ma nulla, per altro, divide come un confine, anche quando non è artificiale6. Quando nel 1926, in Usa, si tenta di affermare una divisione dello spazio basata su funzioni (lo zoning) si apre un caso giudiziario rimasto famoso – il Village of Euclid7. Il caso si fonda sui conflitti che l’avvio di una politica urbana dello zoning attiva: conflitti di diritto costituzionale perché intaccano i diritti nella loro materialità di confini. Si scontrano la Common Law (il police power ne è parte integrante come era lo zoning) e i fondamenti di un diritto basato sulla proprietà privata, al punto di rimettere in gioco il potere ordinativo di spazi e funzioni di autorità statali e federali: e il loro rapporto con l’individuo, sussulto nella forma della proprietà della terra8. Vale solo forse la pena di sottolineare come nel corso del Novecento il confine diventi sempre più da fisico giuridico. Sempre più raramente i due confini coincidono (aiutando a spiegare forse l’odierna, scarsa comprensione dello spazio persino tra autorità). Quando raramente succede, come nel caso del muro dei Fermiers Généraux poco prima della Rivoluzione francese9 o, in quello più recente, del muro di Berlino, o ancora oggi ai confini orientali dell’Ungheria, ma non solo, alzarlo o abbatterlo segnerà un tempo della storia, oltre che la risemantizzazione di una discussione, già presente nella Thorà, sulla ricostruzione di un manufatto fisico10. È infatti anche attraverso i suoi confini che uno spazio rivela la sua sostanziale irriducibilità ad un’unica misura. Convinzione che ha portato a fortune di semplificazioni come quella dei non luoghi o di sintagmi come la città diffusa. Fortunate semplificazioni che si sono via via scontrate con il risorgere del
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problema dei limiti, appena il cavaliere nero dell’identità ha ripreso in mano l’aratro dal vomere di bronzo di Romolo11. La difficile quadratura della griglia
Che ordinare i valori di uno spazio sia strumento di potere, lo coglie già Aristotele nella Politica, trasformando Ippodamo da Mileto (e la nota griglia che suddivide per isolati omologhi lo spazio della città e che da lui prenderà il nome) in uno scienziato politico12. Il piano urbanistico, non la griglia che è una delle sue possibili forme tecniche, accompagna, per i primi settant’anni del Novecento, una crescita della città che sembra perdere per strada i valori dello spazio. Le infinite discussioni sul rapporto città-campagna, i tentativi di formalizzare le aree di influenza delle città, il ricondurre chi resiste alla pianificazione a nemico di interessi che si vogliono universali, l’equivoco tra azione politica del costituire un diritto e azione tecnica di distribuire funzioni nello spazio – equivoco che condividono ad esempio pianificazione e geografia politica –, l’illusione che si possano modellizzare comportamenti sociali e su questa base costruire previsioni e piani, non fanno che radicalizzare, soprattutto dagli anni sessanta del Novecento, un riduzionismo formalista e economicista dello spazio. I saggi su L’ Aia e su Øresund tracciano le forme che possono prendere equivoci e riduzionismi formalisti13. Destinazione ed uso della terra raramente rispettano tempi e forme previste dai piani, sino a far collidere, nell’ultimo decennio del secolo, due categorie fondamentali dell’analisi economica dello spazio: rischio e previsione. Il paradosso di un secolo che si apre esaltando il rischio (dell’investimento e dell’investitore e persino la sua etica e, più tardi, la sua estetica) e che si chiude – comprendendo il primo decennio del XXI secolo – enfatizzando le conseguenze del rischio (dall’ambiente alla finanza), procede di pari con la parabola di una previsione che da avatar di ogni decisione rischia di perdere anche la credibilità di portare di trasparenza e di democrazia14. L’ossimoro di una città... diffusa forse ha la forza di ricondurre sul terreno di una visibilità più percepibile a tutti quel doppio fallimento. Le forme di resistenza dello spazio all’omologazione risiedono nei valori cui uno spazio può corrispondere. Valore patrimoniale per un cittadino che vede i suoi tradizionali strumenti di mobilità sociale (l’istruzione e il lavoro) ormai spuntati, per un’impresa che trova nel crescere della rendita fondiaria la garanzia per i suoi stessi processi di innovazione tecnologica15; ereditario per una famiglia che deve garantire ai figli una sicurezza nel tempo16; culturale per una società che ha imparato a considerare la sua memoria (archeologica prima, storica poi, sino alla memoria del Novecento) come bene irrinunciabile17; ambientale, per una società che scopre (e rischia immediatamente di farne un feticcio) la necessaria sostenibilità di ogni progetto, non solo prodotto del suo fare industriale, immobiliare, persino turistico. Sono tutti valori che si stratificano e possono aiutare a capire le radici di fallimenti e crisi. Nell’agosto 1944 muore a Torino l’ultimo proprietario del Lingotto. Non è il senatore Agnelli. Duemila metri quadrati di uno stabilimento – che è ormai la Portolongone per gli
Carlo Olmo | Lavorare sui limiti e, non per paradosso, insieme sugli immaginari 13
operai dal 1921 – collocati nel cuore dell’edificio, non furono mai venduti da un proprietario, irriducibile anche di fronte a un decreto legge che trasformava una fabbrica privata in un bene di pubblica utilità, già nel 191918. Quella resistenza estrema non è che l’ultima sorpresa che riserva l’aquisizione della terra, nei lontani anni 1914-1919, persino a un’ impresa come la FIAT in tempi di guerra. Lotti eguali, valutati da implacabili ingegneri come Eugenio Mollino come equivalenti, vennero venduti a diverso prezzo, a seconda anche solo della rete di conoscenze che il venditore aveva nel momento della determinazione del prezzo sull’urgenza dell’acquirente. Ma gli esempi sarebbero davvero infiniti. Insieme ai confini sono i valori a stratificare lo spazio, a rendere essenziale una relazione tra chi “costituisce” come autorità una terra in un luogo e chi definisce la distribuzione delle funzioni in uno spazio che diviene concreto e delimitato. La necessità di un modello per comprendere e la difficoltà di decidere senza un immaginario
Descrivere appare oggi, nell’era delle mappe satellitari, esercizio scontato, se non ozioso: eppure forse nessun altro procedimento umano rivela in maniera più spietata la cultura o la professione di un cittadino o di un’istituzione. È suggestiva la capacità che ha Niemeyer a Tripoli di descrivere la città e i suoi sopralluoghi19. La fine degli anni Settanta, l’inizio degli anni Ottanta producono, anche solo usando lo specchio certo parziale e limitato dei documenti di accompagnamento ad un piano regolatore, un numero di descrizioni del territorio tali da stratificare sulla stessa cartografia sino a venticinque, trenta retini. Il risultato è ambiguo: la distanza crescente tra la parola (spazio) e ciò che si vuole rappresentare come un fatto20 (un territorio, una città, un isolato) e il progressivo silenzio di qualsiasi forma di pianificazione, avviata a diventare prima cognitiva, poi narrativa, persino romanzata. Il silenzio progressivo dello strumento fondamentale per affermare un police power diventa così assordante, accompagnato dall’esplosione di “immaginari” sempre più generati da descrizioni evocative dello spazio, ma spesso non argomentate. L’uso e l’abuso di “non luoghi” – all’origine, non a caso, parte del sottotitolo del famoso libro di Marc Augé – ne è forse la testimonianza più nota. Un successo che è anche la dimostrazione di due opposte necessità. La prima, se vi vuole, positiva: senza immaginari ormai è difficile non solo una descrizione ma creare un consenso attorno ad un programma urbano o territoriale. Persino nelle nostre città, sono spesso gli immaginari a sostituire quelli che gli storici tornano a chiamare, con qualche esitazione, fatti21. E il ruolo di Koohaas nella comunicazione del progetto di Euralille è davvero esemplare. L’immaginario, tuttavia, – ed è l’aspetto problematico – non può nascondere l’implacabile ordinamento di funzioni che si realizza in uno spazio costruito: architettura, persino nella sua radice epistemica significa mettere in ordine valori (non a caso l’immaginario come metafora, passaggio tutt’altro che scontato22, compare nei saperi che connettono e gerarchizzano conoscenze: informatica, biologia, musica).
Euralille: il tempo del progetto Mauro Marzo
[...] fin dalle sue origini, la città è “investita” da una duplice corrente di “desideri”; desideriamo la città come “grembo”, come “madre”, e insieme come “macchina”, come “strumento”; [...] le chiediamo sicurezza e “pace” e insieme pretendiamo da essa estrema efficienza, efficacia, mobilità. La città è sottoposta a contraddittorie domande. Voler superare tale contraddittorietà è cattiva utopia. Occorre dar forma proprio ad essa. La città nella sua storia è il perenne esperimento per dar forma alla contraddizione, al conflitto. Massimo Cacciari
La copertura inclinata e le torri del centro commerciale di Jean Nouvel viste dal parc des Dondaines (foto Sandro Grispan). The towers of the Jean Nouvel shopping mall seen from the Parc des Dondaines (photo Sandro Grispan).
Nel mio ultimo giorno di lavoro a Lille, concluse le ricerche in biblioteca, avevo deciso di visitare il Parc des Dondaines, che si estende in parte al di sopra del tracciato in trincea del boulevard périphérique dedicato a Pasteur, in prossimità della stazione dell’alta velocità ferroviaria. Poter passeggiare in mezzo al verde, sapendo che sotto di me transitava un flusso ininterrotto di automobili, mi procurava una piacevole sensazione. Molti bambini di ritorno da scuola si rincorrevano sui prati, alcune persone giocavano con i propri cani, un gruppo di ragazzi si esercitava in ardite acrobazie con gli skateboard. Per fotografare il sottostante nastro stradale e lo sfrecciare dei veicoli mi ero spinto fino ad una zona appartata e tranquilla del parco, dove un uomo sedeva accanto a un oggetto che, solo dopo qualche istante, riconobbi essere una gabbia. Al suo interno un cardellino saltellava da un posatoio all’altro. «Je le porte ici tous les jours après le travail, pour lui faire prendre l’air»1, disse l’uomo. Ignaro protagonista di un set surreale, sospeso tra la quiete del parco e lo scorrimento continuo del traffico, l’uccellino sintetizzava in un’immagine compiuta le “contraddittorie domande” che rivolgiamo alla città. Le mie successive indagini intorno al progetto di Rem Koolhaas per Euralille e intorno alle strategie adottate nella definizione degli spazi al limite tra città storica e prima periferia si sono svolte nel segno di quell’immagine. Pur non essendo stata concepita dallo studio OMA, quella fascia di verde pubblico gettata come un ponte al di sopra dell’infrastruttura viaria rappresenta una delle tante eredità lasciate dal progetto di Euralille alla città. Posta in continuità con il parco preesistente – che, proprio a causa della costruzione del nuovo boulevard périphérique, era stato diviso in due parti tra loro non collegate – tale fascia verde costituisce solo uno dei molti interventi messi in atto per definire ambiti di mediazione tra le grandi figure architettoniche immaginate da Koolhaas, il tessuto edilizio preesistente e i fasci viabilistici e ferroviari che innervano questa parte di città. Una volta concluso nel 1995 l’impegno professionale dello studio OMA, l’amministrazione comunale e la Société d’Aménagement d’Economie Mixte (SAEM) “Euralille”2 attiveranno infatti un complesso processo di riqualificazione degli spazi pubblici tuttora in corso. All’origine di tale processo si pone il progetto dell’architetto olandese con i suoi nodi irrisolti e i suoi punti di forza. Sul progetto per Euralille si è molto scritto e note sono le vicende che hanno portato alla sua complessa elaborazione. Tuttavia tornare a ragionare su di esso, a un quarto di secolo dal momento in cui fu concepito, può forse aiutare a cogliere il valore di attualità di almeno due tra i suoi principali nuclei programmatici: da una parte l’assunzione delle infrastrutture della mobilità quali elementi costitutivi della figurazione di un’intera parte di città posta tra il tessuto compatto del centro storico e i primi addensamenti periferici; dall’altra la capacità di inventare «luoghi per la vita post-metropolitana [...]
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che ne esprimano e riflettano il tempo, il movimento, che non riproducano le antiche segmentazioni dello spazio metropolitano, che siano piuttosto connessioni viventi»3. Quello che Koolhaas propone nel novembre 1988 durante la consultazione ad inviti, e che lo contraddistingue dai suoi concorrenti, non è un progetto pronto a dare una soluzione puntuale alle questioni poste dall’amministazione comunale, ma è una visione della città. Nei territori al limite del centro storico, negli spazi di frangia, Koolhaas coglie la prova incontrovertibile del fallimento della pianificazione urbanistica ma, allo stesso tempo, riconosce nella natura di «paesaggio allo stato grezzo» che connota questi luoghi «una tensione che dovrebbe rivelarsi feconda»4. Nella prefigurazione koolhaasiana il fascio infrastrutturale, che di lì a poco avrebbe trasformato consistentemente l’assetto di una vastissima area a ridosso del centro di Lille, è considerato non come una presenza tecnica da nascondere o di cui mitigare gli effetti, ma al contrario come una figura capace di opporsi con la sua scala alla frammentazione della periferia. Nonostante le consistenti modificazioni imposte al progetto da svariate ragioni, malgrado la deludente realizzazione di alcuni degli edifici che compongono l’intervento, Euralille ancora oggi manifesta con evidente chiarezza che il tema della mobilità può offrire un contributo estetico alla costruzione dell’immagine della città. Lo iato costituito dal complesso sistema infrastrutturale in cui si intrecciano linee ferroviarie, strade a scorrimento veloce, tram e metro, lungi dal dover essere celato alla vista, va integrato nel disegno della città attraverso un insieme di interconnessioni: tra i sistemi di trasporto cittadino, regionale e internazionale; tra la stazione ferroviaria ottocentesca e la nuova stazione del Train à Grande Vitesse (TGV); e, più in generale, tra fasci viabilistici e spazio pubblico. Questo sistema di interconnessioni che costituisce l’anima stessa del progetto di OMA tenderà progressivamente a stemperarsi nelle successive varianti a causa dell’insorgere di problemi di natura tecnica ed economica; eppure non andrà del tutto perduta la forza condensata negli schizzi, ormai diventati celebri, realizzati da Koolhaas per Lille nel 1988-1989. Il singolare destino di Lille
Veduta dal Parc des Dondaines sul boulevard a scorrimento veloce Pasteur. Sullo sfondo è visibile il Grand Palais - Congrexpo di Rem Koolhaas (foto Sandro Grispan). View from the Parc des Dondaines of the Pasteur fast traffic boulevard. In the background can be seen the Grand Palais-Congrexpo byRem Koolhaas (photo Sandro Grispan).
A partire dal 1987 un insieme di questioni riportabili agli eterogenei mondi della geografia, della politica, dell’economia e dell’architettura determina il verificarsi di alcune condizioni destinate a modificare il destino della città francese di Lille. è opportuno elencarne almeno tre: la previsione di una complessiva riconfigurazione della struttura della mobilità europea, raggiunta grazie ad una serie di accordi internazionali che definiscono i tracciati delle linee per l’alta velocità ferroviaria; l’intensa e lungimirante attività programmatoria di un sindaco che reinventa il futuro di una città in una fase di crisi economica; il progetto di un architetto olandese, allora appena quarantacinquenne, noto più per le ricerche e gli scritti dedicati allo studio dei fenomeni urbani che per le opere realizzate. Una sorta di pre-condizione, infine, è costituita dalla stessa posizione geografica di Lille che, posta al confine tra Francia e Belgio, sorge a breve distanza dalla località di Coquelles nei pressi di Calais, ove era stato previsto di collocare l’accesso al tunnel del-
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Veduta del fronte di Euralille su boulevard Pasteur dal jardin des GĂŠants (foto Sandro Grispan). View of the front of Euralille on Boulevard Pasteur from the Jardin des GĂŠants (photo Sandro Grispan).
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re all’amministrazione municipale la possibilità di conservare un margine di libertà di scelta in merito alle strategie di trasformazione alla scala urbana e alle esigenze di mantenimento di un buon livello della qualità architettonica del progetto. Al fine di garantire queste esigenze Baïetto istituisce un comitato denominato Cercle de Qualité Urbaine et Architecturale, del quale fanno parte, oltre ai rappresentanti delle istituzioni a livello nazionale o regionale, architetti e uomini di cultura, nonché il presidente del Centre Pompidou14. Infine, per quanto riguarda gli aspetti di avvio della procedura, anche al fine di accelerare i tempi, si opta per una consultazione internazionale a inviti che non contempla la consegna di elaborati grafici e di un progetto compiuto, ma l’esposizione di un programma di intenti formulato sulla base delle informazioni contenute in un dossier consegnato dalla committenza e articolato in tre parti: presentazione dell’area oggetto dell’intervento, disamina delle problematiche ed elenco degli obiettivi. I concorrenti hanno a disposizione un mese per preparare la propria relazione e un’ora e mezza per esporre alla giuria non un progetto definito, ma la propria visione per il futuro di Lille e per illustrare il metodo attraverso il quale avrebbero elaborato le risposte alle problematiche poste dal bando15. Al Cercle de Qualité è assegnato il compito di verificare conformità e coerenza tra gli intenti programmatici espressi durante la consultazione ristretta del 1988 e quanto sarà prodotto durante la fase di elaborazione e realizzazione del progetto. Per tale motivo, dal momento della sua istituzione, il Cercle si riunirà con cadenza bimestrale e produrrà relazioni annuali. Per Mauroy il Cercle deve essere inteso come «un guardiano e un garante della qualità urbana e architettonica» che «si esprimerà in particolare sul piano direttivo e sui regolamenti urbani che lo governano, sulle prescrizioni architettoniche richieste ai progettisti, sull’organizzazione delle operazioni e sul loro impatto con l’esistente, sulla gestione degli spazi pubblici»16. Dar forma alla contraddizione
Gli otto progettisti invitati al concorso sono Norman Foster, Vittorio Gregotti, Rem Koolhaas, Yves Lion, Michel Macary, Claude Vasconi, Osvald Mathias Ungers e Jean-Paul Viguier. È il resoconto di Michel Simon17 a illustrare con dovizia di dettagli le impressioni provocate dagli otto architetti nella giuria. A causa della nebbia sulla Manica, Norman Foster non riesce a raggiungere Lille e il progetto deve così essere presentato da un suo collega francese. «Non sembra lontano dal vero affermare che tale contrattempo climatico abbia condotto alla eliminazione a forfait di uno dei più seri candidati»18. Dotato di eloquenza e sincera fiducia nella propria visione del progetto, Claude Vasconi «cade forse nell’errore di interpretare il ruolo di demiurgo»19, lasciando peraltro intendere alla commissione di aver visitato l’area solo nella stessa mattina della presentazione. Sebbene Jean-Paul Vighier dia prova di avere approfondito il tema, appare «poco generoso di argomenti e ha difficoltà nel riempire di parole il tempo di cui dispone»20. Forse per compensare una scarsa conoscenza del tema e del luogo di progetto, Michel Macary «propone di convogliare l’intera questione verso una sorta di melting pot di talenti e di
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Pianta di Lille (2015). Il nucleo del centro storico è circondato da un’edificazione densa e continua soprattutto verso nord-est (disegno di Sandro Grispan e Mauro Marzo). Plan of Lille (2015). The nucleus of the old town is surrounded bydense building workthat continues above all towards the north-east (drawing bySandro Grispan and Mauro Marzo).
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personalità, dato che erano lì in otto, tutti desiderosi di vincere»21. Nonostante la sua giovane età, Yves Lion cattura l’attenzione della giuria, presentando «un “ritratto” ricco e completo dell’agglomerato urbano di Lille»22. Sicuramente di alto livello appaiono gli interventi di Vittorio Gregotti e Oswald Mathias Ungers. L’architetto italiano «per la sua meritata celebrità, per la sua vasta cultura, per il modo brillante con cui sa parlare la lingua di Vaugelas, [...] non lascia di certo indifferenti i giurati, è spettacolare. Ma troppo [...] fedele a se stesso, al di là di un’analisi del tutto appropriata del contesto [...]»23. L’architetto tedesco è costretto a ricorrere a un traduttore, eppure «affascina i suoi auditori per la qualità della sua riflessione globale sulla città e per la forza proveniente dalle impostazioni del suo progetto»24. Nonostante alcuni interventi colpiscano positivamente la commissione giudicatrice e altri abbiano alle spalle studi professionali assai grandi e strutturati, è Rem Koolhaas a convincere all’unanimità la giuria grazie alla sua capacità di descrivere una visione urbana nella quale la stazione dell’alta velocità è percepita come una straordinaria opportunità per la città da collocare sotto l’insegna di una rinnovata prosperità economica. La giuria è impressionata dalla conoscenza di Lille di cui egli dà prova durante la presentazione, non solo in merito alla sua storia dell’architettura, ma anche in relazione alla storia tout court della città. Inoltre questa città, si era preso il tempo per studiarla [...] in tutti i sensi, dato che dopo averla percorsa in ogni angolo, l’aveva sorvolata in elicottero. E sorvolandola, aveva constatato la massa di verde che la somma dei parchi e dei giardini del centro poteva formare. In una sola occhiata, egli aveva registrato nella sua mente tutte le incoerenze e una certa armoniosa globalità del luogo posto sotto esame. [...] Egli aveva percepito, nel groviglio e nelle giustapposizioni provocate dagli sconvolgimenti del tempo e degli eventi, gli accordi, le concatenazioni, le contraddizioni, le linee di continuità e le rotture della città.25
La proposta si palesa attraverso un disegno di insieme nel quale gli edifici, che accolgono al loro interno funzioni e attività solitamente destinate alle periferie, appaiono connotati da un’evidente caratterizzazione formale. Si tratta di “edifici-attori” da collocare al limite della città storica, di vedette poste a presidio del solco lasciato dalle antiche mura, di personaggi isolati dalla spiccata riconoscibilità, percepibili da vari punti dell’estesa periferia. Oltre alla questione figurativa, il progetto però deve affrontare e risolvere difficoltà molteplici e stringenti determinate principalmente: dalla necessità di assicurare permeabilità ai percorsi tra il centro storico e i sobborghi cresciuti al di là delle fortificazioni; dalla caotica presenza di tracciati infrastrutturali costruiti senza una visione d’insieme; e infine dalle innumerevoli questioni tecniche correlate alla costruzione della linea dell’alta velocità (che vanno dall’individuazione della quantità di spazio necessario per la stazione alla salvaguardia dei pochi frammenti rimasti delle strutture fondazionali delle antiche mura, dalla presenza di falde freatiche all’impossibilità di modificare quote e pendenze predeterminate dal disegno infrastrutturale). L’assoluta originalità della visione koolhasiana consiste nell’assumere le difficoltà appena citate e il complesso sistema di vincoli tecnici interrelati tra loro non come un insieme di imposizioni o di costrizioni da aggirare, ma al contrario come strumenti utili al progetto sin dalle primissime fasi della sua elaborazione. Lungi dall’essere dissimulato, l’intricato groviglio di
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Pianta di Lille (2015). In bianco la cittàall’interno delle mura; in grigio l’edificato extra moenia; ad est della cittàstorica, in grigio, è leggibile l’impianto del progetto per Euralille (disegno di Sandro Grispan e Mauro Marzo).
Plan of Lille (2015). In white, the cityinside the citywalls; in grey, the buildings extra moenia; to the east of the historical city, in greycan be read the layout of the Euralille project (drawing bySandro Grispan and Mauro Marzo).
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1. Lille intra moenia 2. Infrastrutture 3. Euralille 1 4. Euralille 1 e 2 5. Edificato sull’area un tempo occupata dalle mura; 6. Edificato e aree verdi sull’area un tempo occupata dalle mura (disegni di Sandro Grispan e Mauro Marzo). 1. Lille intra moenia 2. Infrastructures 3. Euralille 1 4. Euralille 1 and 2 5. Buildings on the area once occupied bythe citywalls 6. Buildings and green areas on the area once occupied bythe citywalls (drawings bySandro Grispan and Mauro Marzo).
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2001
2013
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28,00
ISBN 978-88-7115-921-8