SAGGI
Salvatore Piromalli
Nudità del senso, nudità del mondo L’ontologia aperta di Jean-Luc Nancy
ILPOLIGRAFO
saggi 56
Salvatore Piromalli
nudità del senso, nudità del mondo L’ontologia aperta di Jean-Luc Nancy
prefazione di Enrica Lisciani Petrini
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© Copyright settembre 2012 Il Poligrafo casa editrice srl 35121 Padova piazza Eremitani – via Cassan, 34 tel. 049 8360887 – fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it ISBN 978-88-7115-797-9
INDICE
9 Prefazione Enrica Lisciani Petrini 17 Introduzione Tra noi, tutto il senso del mondo
28 30 31 33
1. Mormorio del senso: la finzione ritratta del Soggetto 2. Rapsodia del senso: l’ad-orazione delle voci 3. Tocchi di senso: con-tatto e com-mozione dei corpi 4. Senso del “con”: il “con” come senso
37 I. la finzione teatrale del soggetto: il ventriloquo, la maschera, il ritratto
39 46 60 72 85 95 103
1. Il pretesto letterario: Il cavaliere inesistente di Calvino 2. L’antecedente filosofico: Derrida e il “rimorso” di Foucault 3. Il teatrum di Nancy: il Soggetto nudo e il suo mormorio 4. Maschera, finzione e favola del Soggetto 5. Il Soggetto come trompe l’œil 6. Il Soggetto del ritratto e la questione della somiglianza 7. Nudità ed esposizione: dal Soggetto alla singolarità
107 II. polifonia di voci singole, rapsodia del senso 109 115 124 129
1. Il circolo ermeneutico e l’origine del Senso 2. Annuncio del senso e partizione delle voci 3. Frattalità del senso e partage dell’essere 4. Briciole ontologiche: l’essere come abbandono/abbondanza
136 5. La rapsodia inoperosa del senso 143 6. L’intrigo fàtico della comunicazione 149 7. Voci uniche in relazione: un confronto tra Nancy e Cavarero 161 8. Dalla voce al suono: il partage come partitura musicale 165 9. Il soggetto all’ascolto: corpo sonoro e diapason 172 10. Dodecafonia dell’essere: L’Adoration 179 iII. consentire ai corpi. expeausition, nudità, spaziamento del mondo
1. «Improvvisamente, il cuore di B. è nel mio cuore» 188 2. Corpus: tutti i paesi del corpo e i corpi come luoghi dell’essere 196 3. Materialità aperta, peso in superficie 206 4. Arealità, estensione dei corpi, e infine Psiche... 217 5. Expeausition: verso un sapere della superficie 221 6. Dal “corpo proprio” al corpo com-mosso 227 7. Nudità: sottrazione del senso e sovversione del pensiero 238 8. Toccare ciò che sfugge alla presa: Nancy e Chrétien 249 9. Né carne, né incarnazione: la danza leggera del corpus 258 10. Téchne, alba dei corpi, esposizione di Dio 183
263 iV. la trama nuda del con-essere. comparizione, singolarità, annodature 264
269 278 288 295 299 318 324 333 336
1. L’esigenza di Nancy: riscrivere l’ontologia fondamentale 2. Il con-esserci tra il banale e il totalitario 3. Inoperosità e demitizzazione della comunità 4. Insieme: la trama nuda del “con” 5. Nodi e snodi del reticolo ontologico: le singolarità 6. Le singolarità di Nancy: metastabilità, ecceità, qualunquità 7. Ontologia della relazione: il valore della distanza 8. Ontologia della relazione: limiti, bordi, rive 9. Ontologia della relazione: giunture e annodature 10. La sociazione originaria: ontologia, etica, politica
349 conclusioni Finitudine infinita, nudità del pensiero 352
356 359 362
1. Il desiderio-pulsione come dynamis dell’infinito 2. La libertà (del pensiero) come esperienza dell’infinito 3. Infinito nel finito, infinito del finito 4. “Ogni volta” il mondo: verso la nudità del pensiero
365 appendice Intervista a Jean-Luc Nancy
375
Bibliografia
387
Indice dei nomi
prefazione Enrica Lisciani Petrini
Ci sono due modalità, particolarmente feconde, per affrontare un autore che si voglia sottoporre ad uno studio ermeneutico – soprattutto se, come nel caso di questo libro, si tratta di un filosofo come Jean-Luc Nancy. Una modalità è quella volta a penetrarne la riflessione per far risaltare uno o più vettori tematici, al fine di ritagliare una cifra che funga da ‘operatore di senso’ sia in relazione all’insieme dell’opera del filosofo in oggetto, sia in relazione agli effetti che quest’ultima è in grado di sprigionare nell’humus filosofico e più latamente culturale circostante. L’altra modalità è quella che, lavorando a tale riflessione come fosse un’onda energetica che si propaga nel reale, la vede nella sua potenziale forza di interazione ‘sinergica’ con altre produzioni di pensiero contemporanee e parallele, capace così di rimescolare i concetti acquisiti, riconfigurarli diversamente spostandoli su altri piani di incidenza e segnando, come dice Deleuze, “nuove frontiere”. Questo libro di Salvatore Piromalli ha il merito di mettere in campo entrambi gli approcci, intrecciandoli sapientemente fra loro. Da un lato, infatti, egli mette in risalto, nella pluriversa partitura di Nancy, il vettore ontologico come quello dentro il quale è racchiusa la cifra di pensiero nancyana e attorno al quale perciò si addensano tutti gli altri acquisendo senso e forza teorica, anche sul piano politico. Da un altro lato disegna, in alcuni segmenti del libro, il volto di Nancy – secondo una mossa prelevata dallo stesso filosofo – come riverberato nei o sovrapposto ai volti di altri filosofi (Derrida prima di tutto, ma poi anche Merleau-Ponty, Simondon e in parti-
prefazione
colare Deleuze), quasi fossero altrettante maschere indossate dal ‘soggetto’ Nancy; e ciò al fine di auscultare o spiare, nel mormorio di questa poli-fonia, di questo dialogo a più voci senza SoggettoAutore univoco, il lento emergere nel nostro tempo di nuove parole o nuovi concetti. Con Nancy dunque, ma anche oltre lo stesso Nancy. Articolato dentro questo doppio registro, il libro di Piromalli fa entrare così in scena, innanzitutto, le principali e ben note linee tematiche elaborate dal filosofo francese: la decostruzione del Soggetto metafisico; il passaggio, quindi, al tema della singolarità come unicità esposta (ex-posta) dalla e alla partizione del mondo; e dunque l’importanza della voce come ingresso alla “polifonia” rapsodica del mondo; indi, conseguentemente, la tematica della corporeità come spazio/dimensione principe dell’interrelazione, o meglio della “spartizione” mondana e umana; e infine il risvolto politico di tutto ciò. In tal modo tutta la prima parte di questa complessa presentazione si struttura lungo un Leit-motiv dominante, programmaticamente definito “l’ontologia aperta corporea” di Nancy. Si tratta di quella visione delle cose lungamente elaborata dal filosofo come una vasta trama di enti corporei (ivi compreso l’uomo), che si spaziano fra loro in virtù di continui slittamenti differenziali, di impercettibili ex-posizioni reciproche, di imprevedibili “scansioni e sincopi dell’essere”, tali da creare “la trama materiale-immateriale del mondo”. Quella “materia costitutivamente aperta, spaziata e spaziantesi, attraversata da un’irrequietezza ontologica” che è “la comunità archi-primitiva delle forze, dei corpi in quanto forze che si spingono, si appoggiano, si respingono, si equilibrano, si destabilizzano, si interpongono, si modificano, si combinano, si coniugano”. Una tessitura polifonica – fatta cioè delle tante voci-di-mondo di cui la realtà risuona –, vivente di una “dinamica di flussi e correnti comunicative tra le singolarità” mai stabilizzabile in un progetto definitivo ed anzi costantemente trascinato in una “erranza trans-immanente”. Della quale Piromalli non manca di cogliere ed esibire l’importante risvolto politico, nella direzione di quel nuovo pensiero della “comunità”, epicentro della riflessione di Nancy, che in anni recenti è stato il volano di un ampio dibattito filosofico internazionale.
prefazione
Ma è proprio lungo l’inclinazione di questo primo e pluriarticolato piano tematico, che il discorso di Piromalli comincia a far scorrere sotto di esso un secondo e meno visibile piano teorico, volto a “scoprire falde sotterranee, più o meno parallele, della ontologia” di Nancy. Il piano che vede le parole e la voce del filosofo – come su un immaginario theatrum philosophicum – dialogare e interagire con altre parole e altre voci. Non solo quella dominante e principale (e più scontata) dell’amico Derrida, al quale Nancy fu legato sempre da una profonda empatia filosofica riversata nell’elaborazione di tematiche affini, ma anche le voci di autori apparentemente più lontani, come Foucault, MerleauPonty, Simondon e, soprattutto, Deleuze. Ed è qui, a mio parere, il contributo più incisivo e originale di questo libro, che ne fa, come dicevo prima, non solo un lavoro ‘su’ Nancy, ma un ‘prolungamento’ delle tesi del filosofo per raccordarle ad altre suggestioni e disegnare i possibili contorni di una nuova ontologia (“L’esigenza di Nancy: riscrivere l’ontologia fondamentale” è, non a caso, il significativo titolo di un paragrafo del libro), quale viene fuori appunto proprio dall’intreccio di quelle diversificate sollecitazioni. Si tratta di confronti tanto più interessanti e intriganti – in particolare quello relativo a Simondon e Deleuze – se non altro per la ragione che Nancy molto spesso ha teso a smarcarsi da quest’ultimo, dicendo che fra se stesso (filosofo della discontinuità e delle fratture, della “frattalità dell’essere”) e Deleuze (filosofo di un’immanenza continuista) non c’è e non ci può essere rapporto. Benché– e Piromalli non manca di ricordarlo – Nancy talora si sia definito “una sorta di ‘bastardo’ di Deleuze e Derrida”. Perciò le considerazioni e le pagine più interessanti sono proprio quelle dove agisce – sotterraneamente o esplicitamente – la presenza, appunto, di autori come Simondon e Deleuze. Non solo alla fine della tesi, quando Piromalli dedica un apposito ampio paragrafo a queste convergenze facendo entrare in scena apertamente i due filosofi, ma anche nelle pagine precedenti, dove essi ‘agiscono’ sotterraneamente e se ne percepisce la nascosta presenza. Come del resto ben si sarà avvertito nelle citazioni che ho fatto in precedenza, per alcuni inconfondibili accenti.
prefazione
Infatti, già nel capitolo dedicato alla “tessitura polifonica” del mondo riecheggiano sonorità, si potrebbe dire, ‘ultra-nancyane’. Poiché qui Piromalli non solo mette bene in luce la distanza di Nancy dai discorsi, come quelli per esempio di Lévinas, sull’intersoggettività dialogica, ma rileva come per Nancy la voce non provenga più da un “sé personale”, bensì sia prima di tutto un effetto sonoro del mondo (al pari della ‘voce’ degli animali, delle piante e persino delle pietre). E cita quel suggestivo passo di All’ascolto, dove si parla del vagito di un bambino che nasce come da una “vibrazione d’aria”, che prima di tutto appartiene al mondo. Il che approssima il discorso di Nancy al tema tipicamente deleuziano del “divenire-bambino” (come evento di mondo), esposto in Milles plateaux, dato che “il neonato, col suo modo d’essere (sorriso, gesto, smorfia) non esprime una individualità e una soggettività, bensì è attraversato ‘da una vita immanente che è pura potenza’”. Proprio questa impostazione si fa sempre più avanzante nel libro e mano mano, inavvertitamente, delinea una visione delle cose e del mondo – “dal granello di polvere alla stella, dalla pietra al vivente” – come trama aperta e “metastabile”, come “nascita permanente”. Dove, è evidente, riecheggiano espressioni tipiche del lessico di Simondon. Al quale Piromalli si richiama esplicitamente, come già dicevo, nella parte finale del saggio, sottolineando come questi avesse “introdotto la nozione di ‘campo elettromagnetico’ nell’ambito della sua ontologia, per la capacità di rendere conto della ‘reciprocità degli statuti ontologici e di modalità operative tra il tutto e il singolo elemento’”. Il che consente di far entrare fecondamente in gioco anche Deleuze. Questi infatti, secondo Piromalli, non solo “è il pensatore che ha raccolto le conseguenze filosofiche della teoria di Simondon, accentuandone gli aspetti di preindividualità, impersonalità, neutralità e nomadismo delle singolarità, fino a concepirli come veri e propri ‘eventi trascendentali’ che ‘presiedono alla genesi degli individui e delle persone’”, ma soprattutto “cerca di determinare quel ‘campo trascendentale impersonale e preindividuale’ in cui hanno luogo ‘emissioni di singolarità’, ‘getti di singolarità’ [...] che abitano uno spazio nomade”.
prefazione
A conferma di una precisa curvatura ontologica basata su “eventi di mondo” che si sprigionano da flussi di materia. Beninteso, non che Piromalli stemperi le differenze e affondi i pensieri di questi filosofi in una zona di grigia indistinzione. Egli sta bene attento a marcare le soglie di distanza e i limiti delle pur significative tangenze. Ma non gli sfugge che proprio questa curvatura, verso la quale sembra flettersi l’ontologia di Nancy, sarebbe utile a mettere al riparo l’impianto nancyano dalla critica di Derrida, il quale ebbe ad accusare l’amico di mantenere un surrettizio “Fondamento”, in quanto il discorso di questi si baserebbe sull’“originarietà dell’essere singolare plurale”. Critica alla quale, appunto, il discorso di Nancy può sottrarsi, secondo Piromalli, solo se l’origine è “già diffratta in una moltitudine di eventi singolari, che non è altra cosa dal mondo”. Vale a dire – nei termini esplicitamente deleuziani – ripiegando o piegando il reale sul piano di un’immanenza che continuamente differisce in sé da sé, senza il supporto di una sostanza originaria. Si tratta di un lavoro interpretativo dunque assai interessante, che stimola aperture forse ancora tutte da pensare, ma di certo stimolanti. Per esempio, anche il discorso ‘politico’ di Nancy potrebbe probabilmente beneficiare di un fecondo innesto con quello di Deleuze. Dal momento che, se l’‘effetto’ di questo discorso è quello di pensare la politica come un insieme di “spazi aperti e comuni, dunque senza chiusure immunitarie”, basati sull’“annodare e legare di ciascuno a ciascuno, annodando ogni volta le unicità (individui, gruppi, nazioni popoli)”, c’è da chiedersi se non sarebbe utile – proprio a ‘individuare’ (per dirla con Simondon), cioè a capire come si formano “individuazioni” (o “individui”) in siffatto movimento reticolare e aperto – una nuova nozione come quella di “soggetto impersonale”. Nozione che deriva direttamente da Deleuze – e che oggi peraltro trova, in Italia in particolare, una significativa carica espansiva.
NuditĂ del senso, nuditĂ del mondo
I la finzione teatrale del soggetto: il ventriloquo, la maschera, il ritratto
Nascondersi sembra una necessità del soggetto. Da dove gli proviene questa necessità di rappresentarsi o di travestirsi, di fabbricarsi una maschera? Da dove proviene questa sorta di sdoppiamento, se non da qualcosa che si è inserito nello stesso soggetto e che possiamo chiamare l’Io? Quando il soggetto si immerge in questo Io, quando si lascia assorbire da esso, diventa personaggio, smette di essere persona e inizia a rappresentare tutto ciò che il suo Io gli impone. María Zambrano L’arte non ripete le cose visibili, rende visibile. Paul Klee
La parabola filosofica di Jean-Luc Nancy, che in questo lavoro si cercherà di intercettare con riferimento alla dimensione ontologica, ha un punto di partenza pressoché obbligato, dal quale sarà più agevole seguire il filo che ci siamo proposti di rincorrere. Questo luogo di avvio è costituito dal modo singolare con cui il pensatore francese ha ripreso e rilanciato, nello scenario della filosofia contemporanea, la questione del Soggetto, dopo la fondazione che ne ha dato la filosofia moderna, con l’ego sum di Descartes.
María Zambrano, Note di un metodo, trad. it. a cura di Stefania Tarantino, Filema, Napoli 2003, p. 71. Paul Klee, Teoria della forma e della figurazione, vol. i, trad. it. di Mario Spagnol e Francesco Saba Sardi, Feltrinelli, Milano 1976, p. 76.
capitolo primo
Nancy accoglie e prende sul serio la singolarità dell’esperienza che ha condotto Descartes al metodo e al cogito, ne assume punto per punto il discorrere metafisico e il procedere meditativo, in un corpo a corpo col testo cartesiano da cui, tuttavia, quel testo ne esce alterato e abitato da una voce estranea, incarnato da una singolarità in movimento, sfaccettata e plurale. Il Soggetto cartesiano diventa, in Nancy, attore di una singolare rappresentazione, protagonista di un teatro sul cui proscenio ciò che si profila è prima un mormorio insistente e fuori campo, prologo di un complesso gioco di maschere, finzioni, simulazioni, nel quale Descartes stesso è continuamente preso e rimesso in gioco, ritratto ed ecceduto nel suo stesso cogitare, rilanciato ed esposto nell’excogitazione di un Soggetto che, infine, manca a se stesso, alla sua presenza certa e alla sua coincidenza identitaria. Nancy decostruisce il cogito attraverso il ricorso ad un teatrum philosophicum che smonta pezzo per pezzo il Soggetto cartesiano, lo apre al suo altro, ne svela lo scarto intimo, l’ambivalenza, la fuga da sé e la confusione – una confusione essenziale, costitutiva – tra essere e apparire, realtà e finzione, soggetto e personaggio, intimità ed esposizione. Prima di tentare di cogliere a pieno la peculiarità del teatrum messo in opera da Nancy, vorremmo tuttavia introdurre due scene tra loro notevolmente distanti nel genere e nello stile, ma che possono fungere da apripista alle questioni di fondo presenti nell’analisi di Nancy. Si tratta, in primo luogo, di una scena letteraria tratta dal celebre racconto di Italo Calvino, Il cavaliere inesistente, convocata qui come pre-testo per lasciar emergere quelle «ragioni della leggerezza» sostenute dal suo autore: «una sottrazione di peso» che faccia poi cogliere meglio – quasi per contrappunto – lo spessore filosofico denso, a tratti arduo e tortuoso, dell’operazione decostruttiva di Nancy; «una leggerezza della pensosità» che si rivolga alle medesime questioni di fondo, ma «con un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica». Italo Calvino, Leggerezza, in Id., Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Mondadori, Milano 1993, pp. 7, 15, 12.
la finzione teatrale del soggetto
In secondo luogo, verrà rievocata una scena filosofica, sul filo di una polemica cronologicamente datata (1972), ma ancora rovente e nient’affatto scontata nei suoi contenuti teorici, che ha opposto in maniera frontale Foucault a Derrida, a proposito del controverso rapporto tra ragione e follia e della collocazione filosofica decisiva del cogito cartesiano sul crinale tra questi due poli: una querelle che ha dato luogo ad uno degli antecedenti teorici principali, a partire dal quale Nancy metterà in scena il suo originale teatrum del Soggetto. 1. Il pretesto letterario: Il cavaliere inesistente di Calvino Entriamo direttamente nella prima scena del romanzo, in cui il re sta passando in rassegna l’esercito dei paladini, sotto il sole di un afoso pomeriggio estivo. All’ordine di Carlomagno, l’armatura dall’inumano candore rivelò che la voce metallica che da dietro l’elmo proveniva, era la voce di nessuno: «Io non esisto, sire», scandì il paladino, sollevando la celata. Sbigottito il re si sentì costretto alla domanda: «E come fate a prestar servizio, se non ci siete?». La risposta fu: «Con la forza di volontà e la fede nella nostra santa causa». «Be’, per essere uno che non esiste, siete in gamba», concluse il sovrano. In questa scena d’esordio de Il cavaliere inesistente, e ancor più nella sapiente tessitura dell’opposizione tra il cavaliere Agilulfo – autoconsapevolezza priva d’esistenza – e il suo scudiero Gurdulù – colui che c’è ma non sa d’esserci –, non affiora solo una critica amara alla civiltà contemporanea, a questo nostro mondo popolato da «armature vuote che funzionano perfettamente, persone ridotte a pura funzione, esecuzione, produttività», come Calvino ebbe a dichiarare in un’intervista. C’è forse, appena dissimulata dalla sapienza dell’ironia, una critica ben più ambiziosa, che inve Italo Calvino, Il cavaliere inesistente, Garzanti, Milano 1985. Le citazioni riportate sono a p. 10. La video-intervista è disponibile sul web, all’interno di un più ampio servizio dedicato al romanzo di Calvino, all’indirizzo: www.youtube.com/ watch?v=QhInptesfe8.
capitolo primo
ste direttamente la finzione filosofica su cui si regge tutta la modernità, una parodia di quel Soggetto che prende vita dall’ego sum, ego existo di Descartes: un Soggetto che si autofonda nell’istante stesso del proferimento della propria esistenza, che si finge e si inventa con la forza della propria volontà, per corrispondere all’imperativo di una causa giusta e santa, frutto della sovrannaturale illuminazione di cui Descartes stesso restò colpito: la necessità di una rifondazione del sapere e l’affermazione delle certezze della ragione moderna, con il suo metodo fatto di evidenza, chiarezza, distinzione. Il carattere peculiare che, fin dalle prime battute del romanzo, contraddistingue il cavaliere Agilulfo dalla più approssimativa umanità dei suoi compagni d’armi, è proprio l’ordine e l’esattezza: un soldato modello che «aveva sempre ragione», la cui vita puramente mentale era organizzata e scandita da una memoria infallibile e da «ragionamenti determinati e esatti»; per questa ragione, Agilulfo era soggetto ad una compulsiva «smania di controllar tutto, di trovare altri errori e negligenze nell’operato altrui», esposto ad una «sofferenza acuta per ciò che è fatto male, fuori posto», dunque per la maggior parte delle cose di questo mondo, per lui insopportabilmente approssimativo, caotico, metastabile. All’alba, «l’ora in cui meno si è sicuri dell’esistenza del mondo», quando i chiaroscuri del reale sprofondano ogni cosa nell’umile indistinzione di una penombra comune, «Agilulfo aveva sempre bisogno d’applicarsi a un esercizio di esattezza: contare oggetti, ordinarli in figure geometriche, risolvere problemi d’aritmetica»; e allora non era raro scorgerlo «sotto un pino, seduto per terra, che disponeva le piccole pigne cadute al suolo secondo un disegno regolare, un triangolo isoscele»; oppure a contare, mettere i fila, ordinare in quadrati o piramidi «foglie, pietre, lance, pigne, qualsiasi cosa avesse davanti»: era il suo modo di fronteggiare il mondo, «un rituale per non sprofondare nel nulla», per Com’è noto, Descartes racconta di avere avuto – tra il 10 e l’11 novembre 1619, mentre si trovava a Ulma in Germania – una sorta di rivelazione intellettuale circa i fondamenti di “una scienza mirabile”, un’illuminazione per la quale fece voto di recarsi in pellegrinaggio alla Santa Casa di Loreto. I. Calvino, Il cavaliere inesistente, cit., pp. 12, 14, 15.
la finzione teatrale del soggetto
tentare di reagire al limbo incerto dell’aurora, dando consistenza certa e matematica alla realtà: Agilulfo, lui, aveva sempre bisogno di sentirsi di fronte le cose come un muro massiccio al quale contrapporre la tensione della sua volontà, e solo così riusciva a mantenere una sicura coscienza di sé. Se invece il mondo intorno sfumava nell’incerto, nell’ambiguo, anch’egli si sentiva annegare in questa morbida penombra, non riusciva più a far affiorare dal vuoto un pensiero distinto, uno scatto di decisione, un puntiglio. Stava male: erano quelli i momenti in cui si sentiva venir meno; alle volte solo a costo di uno sforzo estremo riusciva a non dissolversi. [...] L’applicarsi a queste esatte occupazioni gli permetteva di vincere il malessere, d’assorbire la scontentezza, l’inquietudine e il marasma, e di riprendere la lucidità e compostezza abituali.
Le cose del mondo «come un muro massiccio», non già sfuggenti nel timido barlume dell’alba, bensì assicurate al soggetto conoscente come ciò che ad esso si oppone e si getta contro (objectum), per infine essere sottomesse alla luce imperiosa della ragione. Questo bisogno di sapere la «geometria segreta» della vita era per Agilulfo un tarlo incessante, che non conosceva interruzioni neppure di notte, quando tutto l’accampamento sprofondava nel sonno, simile ad un’interminabile «distesa di vecchia carne di Adamo, esalante il vino bevuto e il sudore della giornata guerresca»; le ore in cui la gloria diurna dei paladini annegava nel regno basso e volgare di corpi incoscienti, carcasse dal respiro pesante e rumoroso, schiacciati sui loro giacigli con un «filo di bava giù dalle labbra aperte». Lui, il cavaliere inesistente, non conosceva la caduta, lo scivolamento nel sonno, l’esperienza di abbandono in cui – come scrive Nancy – io «divento per me stesso l’abisso e il tuffo, la densità delle acque profonde e la discesa del corpo annegato che sprofonda all’indietro»; il momento in cui «tutto si riassorbe in me senza che io possa distinguermi da qualcosa d’altro», anzi in cui «io stesso, più di tutto, divento indistinto», fino alla coincidenza tra me e il mondo. Neanche
Ivi, pp. 23, 24. Ivi, pp. 83, 14, 15. Jean-Luc Nancy, Cascare dal sonno, Cortina, Milano 2007, pp. 20, 21.
III consentire ai corpi. expeausition, nudità, spaziamento del mondo
[...] gli dèi non hanno né corpo né anima ma solo corpo, e sono perfetti. È il corpo che è la loro anima. Fernando Pessoa La nudità non può nascondere nulla e non può impedire nulla, è un accesso spalancato: dove le porte non sono né mezze aperte, né mezze chiuse – sono assenti. La nudità è dunque la fine del mistero e dei suoi tormenti. Ed è l’inizio della gioia. Federico Ferrari
«Bisogna, quando viene il momento, saper cambiare cuore». Questa frase risuona nelle battute finali del volume che Jacques Derrida ha dedicato a Jean-Luc Nancy, spirale aperta di pensieri per «rivolgersi singolarmente a lui, toccare qualcuno in lui, uno sconosciuto, magari». In più punti di questa singolare monografia, orientata a cogliere la linea di partizione, la sincope – quella che
Fernando Pessoa, Il guardiano di greggi, in Id., Poesie di Alberto Caeiro, a cura di Fernando Cabral Martins e Richard Zenith, Passigli, Firenze 2002, p. 209. Nancy riporta questi versi in Les Muses, Galilée, Paris 1994 e 2001, trad. it. cit., p. 58. Federico Ferrari, Nudità. Per una critica silenziosa, Lanfranchi, Milano 1999, p. 24. J. Derrida, Toccare, Jean-Luc Nancy, trad. it. cit. La citazione dell’incipit si trova a p. 353, la seconda nella premessa di Derrida all’edizione italiana, pp. 9-10. La locuzione che dà il titolo al libro, Le toucher, mantiene un’ambivalenza impossibile da rendere in italiano, poiché «in francese le è articolo e pronome, mentre toucher è l’infinito del verbo “toccare”, ma anche il sostantivo “il toccare”, “il tatto”; Le toucher, Jean-Luc Nancy significa dunque sia “Toccarlo, Jean-Luc Nancy”, sia “Il tatto, Jean-Luc Nancy”» (nota del traduttore, p. 7).
capitolo terzo
Nancy stesso chiamerà l’«altra partenza» – rispetto alle precedenti filosofie del corpo e del toccare, Derrida sfiora non a caso – con tatto – l’esperienza estrema che ha segnato l’esistenza e il pensiero di Nancy, facendo di lui un “sopravvissuto”. Si tratta, come è noto, del trapianto di cuore subito nel 1991, a cui egli stesso fa cenno in una conversazione del 2008 con Emmanuel Alloa: Di sicuro sono sopravvissuto, nel senso che sarei morto nel 1991 se non fosse stato possibile trapiantarmi un cuore. Questo vuol dire o che dieci anni fa sarei morto oppure che senza un trapianto disponibile in tempo sarei morto (quando mi hanno fatto il trapianto, mi restavano circa sei mesi di vita). Anche nel 1997 sarei potuto morire per il linfoma provocato dal trattamento del trapianto (è uno degli aspetti possibili, per fortuna abbastanza rari, della ciclosporina che, come si sa, evita il rigetto del trapianto... ambivalenza del pharmakon!), se un trattamento in parte nuovo non fosse stato messo in sperimentazione proprio in quel momento.
A parte qualche sporadico riferimento nelle interviste, l’unico saggio in cui Nancy riflette filosoficamente sulla propria esperienza resta L’intruso, scritto originariamente nel gennaio 1999: Mi hanno chiesto un articolo per il numero di una rivista sul tema «la venuta dello straniero». Non sapevo bene che cosa fare. Avevo solo un’idea: insistere sull’estraneità dello straniero (invece di riassorbire tutto nella prossimità, nella fraternità, ecc.). Così ho cominciato a scrivere subito, all’improvviso, ho cominciato a pensare che l’«intruso» fosse questo cuore dentro di me. Non so da dove mi era venuta questa idea. Per nove anni, avevo sempre evitato di scrivere sul trapianto. Avevo provato a prendere qualche appunto in ospedale e poi nel periodo del cancro, ma non se ne otteneva niente di interessante...
J.-L. Nancy, Corpus, trad. it. cit., p. 44. Emmanuel Alloa, Le vrai dehors est ‘au cœur’ du dedans. Un entretien avec JeanLuc Nancy, “Atopia”, 2008 (rivista on line), trad. it. di Sara Guindani, “Il vero fuori è ‘nel cuore’ del dentro”. Una conversazione con Jean-Luc Nancy, in appendice a J.-L. Nancy, Indizi sul corpo, trad. it. cit., p. 145. I riferimenti diretti e indiretti di Derrida a questa vicenda personale sono disseminati in tutto il suo libro, cfr. J. Derrida, Toccare, JeanLuc Nancy, trad. it. cit., pp. 80, 87, 128-129, 333, 348-349, 352-353.
consentire ai corpi Invece, l’occasione per iniziare a scrivere doveva venire senza che io lo volessi, da fuori.
In che senso e in quale misura questa vicenda personale può essere considerata decisiva nella riflessione filosofica di Nancy? È legittimo considerare l’episodio del trapianto come il cardine della sua filosofia del corpo? María Zambrano (una pensatrice che mantiene con Nancy alcune significative “differenze parallele”) ha scritto che è necessario pensare e scrivere «partendo da se stessi», radicando il pensiero nella propria esperienza esistenziale, facendo di essa il nutrimento della ragione, la sua matrice. Nancy (e non poteva essere diversamente) non sarebbe disposto a sottoscrivere la perentorietà di quest’affermazione: proprio a una domanda sull’inevitabilità del rapporto tra l’episodio del trapianto e alcuni motivi conduttori della sua filosofia («l’intreccio che sta alla base del tuo pensiero», lo definiva l’intervistatrice), il filosofo francese rispondeva che, «se c’è qualche cosa come un’esperienza in ciò che si pensa e si scrive, non è immediatamente l’esperienza più visibile e tangibile»: anche qui, sembra suggerire Nancy, ci si deve trattenere dalla tentazione metafisica – quasi una coazione irriflessa del pensiero occidentale – di rintracciare un epicentro “interno” al soggetto, il nucleo sorgivo di un’identità biografica che starebbe a fondamento del pensiero: «Ho sempre avuto l’impressione che la mia vita fosse plasmata dal di fuori, dai La rivista a cui Nancy si riferisce è “Dédale”, 9-10, 1999, che ha ospitato la prima versione del testo autobiografico. L’anno successivo, il saggio è stato pubblicato da Galilée, col titolo L’intrus, trad. it. cit. In appendice all’edizione italiana è riportata un’intervista all’autore, a cura di Valeria Piazza: Il taglio del senso, da cui è tratta la citazione, p. 41. Rosella Prezzo ha colto alcune di queste corrispondenze: relativamente all’accostamento tra l’essere abbandonato di Nancy e l’essere esiliato di Zambrano (cfr. Id., Pensare un’altra luce. L’opera aperta di María Zambrano, Cortina, Milano 2006, pp. 99 e ss.); relativamente al significato filosofico dell’esperienza del sonno nei due autori (cfr. Id., Nottetempo, postfazione a J.-L. Nancy, Cascare dal sonno, trad. it. cit., pp. 83-103). Per un confronto più articolato tra le concezioni filosofiche di Nancy e Zambrano, mi permetto di rimandare a Salvatore Piromalli, Vuoto e inaugurazione. La condizione umana nel pensiero di Maria Zambrano e Jean-Luc Nancy, Il Poligrafo, Padova 2009.
capitolo terzo
casi, dalle occasioni, dagli incontri, e che in tutto questo “io” non c’entrassi molto». Sarebbe incoerente con queste affermazioni di Nancy attribuire una rilevanza cruciale all’esperienza biografica del trapianto, assumendola come il “cuore intoccabile” della sua riflessione sul corpo; tuttavia questo capitolo, che ha per tema l’ontologia dei corpi materiali, intende prendere le mosse proprio dal documento che elabora filosoficamente quell’esperienza, cioè L’intruso, per due ragioni di fondo. La prima ragione è di ordine teorico: il breve saggio di Nancy non ha soltanto il valore di una sofferta testimonianza autobiografica; attraverso di essa, nell’esperienza irriflessa del corpo “proprio” fa il suo esordio una figura imprevista, un intruso capace di portare scompiglio all’interno del pensiero, di decostruirne alcune categorie cruciali (soggettività, identità, prossimo-straniero, amico-nemico, vita-morte), rimettendo in questione e anzi capovolgendo l’assunto fenomenologico del “corpo proprio”, aprendo una breccia attraverso la quale il soggetto è spinto fuori di sé, verso la sua costitutiva de-propriazione ed ex-posizione. L’intruso rappresenta così, nel pensiero di Nancy, una figura teoretica cruciale, capace di dare consistenza metaforica a questioni già emerse in scritti precedenti (particolarmente Il ventriloquo ed Ego sum, lavori in cui l’intruso è in un centro senso “di casa”), rilanciandole verso riflessioni più articolate. In questo senso preciso, L’intruso funge da linea tangenziale lungo la quale esperienza e riflessione si toccano, senza che l’una diventi base e fondamento dell’altro; quello che si realizza è piuttosto una giuntura orizzontale, un’annodatura e un partage tra esistenza e pensiero. La seconda ragione è di carattere metodologico: L’intruso è un saggio in cui Nancy rievoca un’esperienza estrema di passività e abbandono, con un’intensità che assume talvolta toni drammatici; la decisione di assumerlo come punto di partenza del nostro J.-L. Nancy, Il taglio del senso, in Id., L’intruso, trad. it. cit., pp. 42-43. J.-L. Nancy, Il ventriloquo. Sofista e filosofo, trad. it. cit.; Id., Ego sum, trad. it. cit.; dei due saggi ci siamo ampiamente occupati nel capitolo primo. «La mia fragile vita che talvolta scivola nel malessere al limite di un abbandono soltanto stupito», scrive Nancy: «Si diventa, rapidamente, solo un ondeggiamento,
consentire ai corpi
percorso vuole essere un modo per restituire la parola al corpo, lasciare che il corpo stesso possa dirsi prima che altri pensieri lo interpretino e lo traducano, tradendolo. Si è ritenuto, in tal modo, di corrispondere ad un’esplicita indicazione di Nancy: Quando, negli anni Ottanta, fui invitato a riflettere sul corpo, [...] ho pensato che la cosa da fare fosse quella di non parlare più del corpo, ma di parlare nel corpo, di parlare al corpo o di lasciare che il corpo parlasse, anche per far capire così che forse il corpo non è un buon termine, visto che abbiamo sempre l’abitudine di contrapporre il corpo all’anima.
In quanto espressione dell’inaudito e presa di parola di un corpo singolare, L’intruso è apparso allora un buon pre-testo per cercare di comprendere «l’altra partenza» di Nancy, per cominciare a scorgere il profilo singolare della sua riflessione sul corpus. 1. «Improvvisamente, il cuore di B. è nel mio cuore» Prendiamo le mosse da questa sconcertante affermazione di George Bataille: «Improvvisamente, il cuore di B. è nel mio cuore». Di quali scompigli filosofici è portatore questo «altrove “in” me», intima estraneità che mi spazia e mi spartisce, improprietà incardinata nel petto che mi scava e mi sottrae alla coinci-
una sospensione di estraneità fra stati non ben identificati, fra dolori, impotenze, cedimenti. Riferirsi a se stessi è diventato un problema, una difficoltà o un’opacità: lo si fa mediante il dolore o la paura, e non è più niente di immediato – e le mediazioni stancano» (Id., L’intruso, trad. it. cit., pp. 22 e 31). Ancora, nell’intervista che chiude il libro: «Il dolore fa un taglio nel senso e impedisce che ci sia senso: quando si prova un grande dolore niente ha senso. Il solo senso possibile è quello di respingere il dolore, di rifuggirlo o di essere scaltri nei suoi confronti. [...] Sul dolore non c’è nulla da dire. Si può solo gridare o gemere. Vorrei quasi dire: si deve solo gridare o gemere e non fare né discorsi né retorica» (Id., Il taglio del senso, cit., pp. 45-46). Jean-Luc Nancy, Pensare il presente. Seminari cagliaritani 11-13 dicembre 2007, a cura di Gabriella Baptist, cuec, Cagliari 2010, p. 100. La frase è citata da J.-L. Nancy in Essere singolare plurale, trad. it. cit., p. 22, nota 3. J.-L. Nancy, L’intruso, trad. it. cit., p. 19.
Pochi autori, nella filosofia contemporanea, possono meritare la definizione di “classici viventi”: tra questi, all’interno di un panorama che ha visto nomi come Lévinas, Foucault, Deleuze, Derrida, spicca JeanLuc Nancy. L’itinerario nel suo pensiero qui proposto si sofferma in particolar modo sulla sua concezione ontologica, lasciando intravedere la tensione interna che anima il pensiero di uno tra i più significativi filosofi del nostro tempo. Alla base della riflessione di Nancy troviamo una decostruzione del Soggetto cartesiano, che ne rileva la finzione costitutiva. Da questo “varco” diventa più agevole addentrarsi nella concezione di Nancy, in cui confluiscono due visioni: da un lato, il mondo come partizione di voci, partage musicale e sonoro che è espressione del clamore e del silenzio dell’essere, a cui ogni singolarità partecipa in una mondiale adorazione e, dall’altro, un approccio materialistico e corporeo, che rimanda al contatto e alla commozione dei corpi, al loro stare nel mondo esposti e nudi. Adorazione delle voci e commozione dei corpi si ritrovano entrambe nella concezione dell’essere singolare plurale di Nancy: un’ontologia aperta che, dalla decostruzione del mito della comunità “operosa”, conduce alla trama nuda dell’in-comune, presentando evidenti implicazioni etiche e politiche. Salvatore Piromalli è dottore di ricerca in Filosofia. I suoi interessi sono prevalentemente rivolti agli esiti contemporanei della riflessione filosofica continentale. Da diversi anni si occupa di pratiche filosofiche. Ha lavorato come operatore sociale nel campo del disagio psichico e dell’emarginazione sociale, ha diretto la rivista «Tracce. Alternative al carcere e operatori sociali», interessandosi alle questioni teoriche del lavoro sociale. È co-curatore del volume Tra carcere e territorio (Franco Angeli, ). Suoi contributi filosofici sono apparsi in varie riviste. Per i tipi del Poligrafo, ha pubblicato il volume Vuoto e inaugurazione. La condizione umana nel pensiero di Maria Zambrano e Jean-Luc Nancy ().
in copertina Caspar David Friedrich, Donna al tramonto del sole, , part. Essen, Museum Folkwang
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