Dissonanze

Page 1



ANFIONE e ZETO

collana di architettura diretta da Margherita Petranzan

5



valeriano pastor tracce



valeriano pastor

dissonanze introduzione di margherita petranzan

ILPOLIGRAFO


Ricerca d’archivio e cura iconografica Michelina Michelotto e Barbara Pastor Pastor Architetti Associati, Venezia Ringraziamenti Ai primi lettori, cari amici, Umberto Tubini, Maura Manzelle, Maria Manzin e Armando Cattaneo, per le ben dirette osservazioni sul testo; per cui mi sono indotto all’adozione di una forma editoriale che sollecita a valutare ricorrenze concettuali nelle differenti tracce

progetto grafico e redazione Il Poligrafo casa editrice grafica Laura Rigon redazione Sara Pierobon copyright Š marzo 2017 Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova piazza Eremitani - via Cassan 34 tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it cofanetto quattro volumi Valeriano Pastor, Tracce, ISBN 978-88-7115-983-6 ISBN 978-88-9387-000-9


indice

9 Dissonanze? Margherita Petranzan Dissonanze 23 Autobiografia intellettuale Valeriano Pastor 47

Atelier Pastor, Venezia 2006-2008 Valeriano Pastor, Michelina Michelotto, Barbara Pastor

Apparati a cura di Barbara Pastor 101

AttivitĂ accademiche. Studio e ricerca

107

Opere e progetti d’architettura

117

Piani urbanistici, studi su caratteri del paesaggio, programmi di fattibilitĂ

120

Concorsi di progettazione

125 Bibliografia 139

Crediti fotografici



dissonanze?

margherita petranzan

Mi sono già occupata, più volte, delle opere di Valeriano Pastor. La prima con il n. 1 della rivista «Anfione e Zeto» (che ho fondato nel 1988 anche con il suo aiuto e che attualmente dirigo), analizzando il Centro scolastico distrettuale di Dolo (Venezia) attraverso autorevoli operazioni critiche (Roberto Masiero) e importanti contributi di riflessione (dialogo tra Salvatore Natoli e Roberto Masiero). Nello stesso numero ho inserito un dialogo tra Pastor e il filosofo Massimo Cacciari, dal titolo Comporre distinguendo, di cui parlerò più avanti. In seguito ho trattato, all’interno di un quaderno monografico di «AZ», il progetto di una scala chiusa, a forma di carena di nave rovesciata – volume nuovo, autonomo, inserito magistralmente all’interno dell’edificio in modo da collegare tre piani fornendo così una forte unità al complesso anche dal punto di vista della sua gestione culturale –, realizzata da Pastor alla fondazione Querini Stampalia (edificio veneziano “restaurato” da Carlo Scarpa, con alcuni successivi interventi di Valeriano Pastor e di Mario Botta), facendolo accompagnare da vari e importanti saggi critici. Mi sono infine avvicinata all’opera della sua maturità, il grande ospedale di Larino di Campobasso, con un breve testo che preannunciava l’opera stessa, dopo averlo visitato con grande attenzione e interesse, accompagnata dall’autore. Recentemente, in veste di direttore della collana di architettura legata alla rivista «Anfione e Zeto», ho proposto a Pastor di pensare ad una pubblicazio-

9

Bisogna pensare la vita come traccia prima di determinare l’essere come presenza. Jacques Derrida


ne che riunisse tre suoi corposi saggi, da lui elaborati nel 2014-2015 in occasione di tre importanti momenti di riflessione su alcune opere. Il primo, scritto per un seminario del 16 ottobre 2014, dal titolo Nel segno di Carlo Scarpa; il secondo, sull’Arsenale di Venezia, scritto in occasione di un convegno di studio universitario del novembre 2014; il terzo, sull’Ospedale di Larino di Campobasso, scritto nel 2015. I saggi sono qui pubblicati in tre volumi separati; il quarto volume, questo, contiene, oltre al presente scritto introduttivo, la sua autobiografia intellettuale e la presentazione della sede veneziana del suo atelier di lavoro (che condivide con la moglie Michelina Michelotto e la figlia Barbara, entrambi architetti) attraverso le immagini di due diversi fotografi. L’atelier Pastor è a sua volta un progetto della maturità, una ristrutturazione inserita nella realtà veneziana. Le opere di Valeriano Pastor sono complesse e molto articolate, ma soprattutto nascondono e palesano contemporaneamente una concezione del mondo e del fare architettura che cercherò di descrivere, anche se mi rendo conto che questo sia un improbus labor, come lo è stato, e lo è tutt’oggi, per lui, il suo progettare. Mi sono da poco riavvicinata a queste opere “luminose” attraverso alcune teorizzazioni che considero fondamentali per portare luce sul fare di questa straordinaria e onerosa disciplina che anch’io pratico da lungo tempo. Mi piace pensare al suo lavoro avvicinandolo e facendolo “accompagnare” dalle note dello straordinario quartetto per archi K 465 n. 19 in do maggiore di Mozart (ultimo di una serie di sei) chiamato Le dissonanze che l’autore ha dedicato al suo maestro e amico Haydn, eseguendolo per la prima volta davanti a lui, al padre e a pochi invitati la sera del 12 febbraio 1785. È una delle composizioni più discusse ed enigmatiche di Mozart, rifiutata dai suoi coetanei ma molto apprezzata da Haydn. Alla sua uscita, però, l’adagio introduttivo del sesto quartetto suscitò uno scandalo anche presso i più accaniti sostenitori di Mozart, tanto da venire appellato «delle dissonanze». Berio scrisse che con questo quartetto «il vascello della musica getta lo scandaglio nel mare più profondo» (da S. Cappelletto, Mozart. La notte delle dissonanze, EDT, Torino 2006). Perché è accaduto ciò? Mozart nell’adagio introduttivo (molto breve) del sesto quartetto usa intervalli non concessi dalle composizioni armoniche del suo tempo, aggirando volutamente le convenzioni musicali dell’epoca e preannunciando formule compositive che saranno percorse nei secoli successivi, così come ha fatto Pastor con le sue architetture. Valeriano Pastor vive e lavora a Venezia che è una città di dissonanze, come lui sa bene. Per progettare e costruire a Venezia bisogna ri-conoscere questa realtà che si è trasformata, nel tempo, in nuova, straordinaria, composizione. Carlo

10 dissonanze? margherita petranzan


Scarpa, con cui Pastor ha collaborato in varie occasioni sia di carattere istituzionale (all’interno dello IUAV di Venezia) sia professionali, ha lavorato inserendosi disinvoltamente nelle dissonanze veneziane con varie altre personali dissonanze. Questo rapporto, come altri importanti e illustri (con Giuseppe Samonà, Edoardo Gellner, Giancarlo De Carlo e con Edoardo Benvenuto sul piano intellettuale), ha segnato in modo determinante la vita professionale e culturale di Valeriano Pastor, sicuramente “irrobustendo” il suo procedere e la sua crescita, ma altrettanto sicuramente sancendo da loro una distanza importante nel metodo e nei risultati. All’interno del testo di Pastor, Autobiografia intellettuale, si comprende pienamente il percorso che ha intrapreso e che l’ha portato a organizzare i suoi passi. Come ulteriore riflessione mi soffermerei su ciò che disse Jacques Derrida, filosofo della seconda metà del secolo scorso (1930-2004), nel novembre del 1985 a Parigi, dialogando sull’architettura con Peter Eisenman: Un’opera architettonica, a differenza di un dipinto classico, di una scultura o perfino della letteratura, non imita niente; è perfettamente presenza, non rinviando che a se stessa anche se gli uomini o gli Dei l’abitano; dunque è la fortezza della metafisica della presenza. Allora quando qualcuno dice: “si farà dell’architettura decostruttiva”, la prima reazione è: bene, allora non è più architettura, è un’altra cosa [...] perché l’architettura lavora nella realtà dura, e cioè nella pietra, nell’economia, nella politica, nella cultura.

E conclude dicendo: Quindi non so se Peter Eisenman rivendicherebbe tutto questo, e cioè che ciò che fa non è architettura.

Parole molto dure, come pietre, queste di Derrida. Parole che però fanno riflettere. A partire da tali decise affermazioni, vorrei cercare di soffermarmi sul significato del fare architettura oggi, secolo iniziato all’insegna di continui cambiamenti all’interno delle strutture sociali, economiche e politiche globali, non solo europee, per far comprendere alcuni aspetti del progettare di Valeriano Pastor. Oltre alle grandi migrazioni causate dalle “distruzioni” di intere civiltà, abbiamo assistito, e stiamo ancora assistendo, alle lente e inesorabili disgregazioni delle strutture urbane occidentali tradizionali e alla formazione della post-metropoli, della non-città, costituita da parzialità spesso incomprensibili e ormai sempre più scollegate sia dalle preesistenze storicamente riconoscibili, sia dalle grandi pianificazioni territoriali messe in atto nella seconda metà dello scorso secolo. Questi fenomeni, sempre più ridondanti e incontrollabili, si propongono, all’interno del vivere quotidiano come inevitabili conseguenze di altrettanto inevitabili cambiamenti che l’intero assetto socio-economico-politico ha subito e sta subendo: cambiamenti che però non possono essere né demonizzati né annullati in nome di

margherita petranzan dissonanze?

11


riprese di equilibri perduti. È in atto e si sta strutturando a livello globale un nuovo modo di concepire quella che fino a pochi decenni fa era considerata la forma urbis, ancora ben leggibile e fortemente caratterizzante l’identità di tutte le città con evidenti stratificazioni storiche, che devono, nonostante tutto, essere salvaguardate. Oggi sono in corso pericolose derive di carattere sociale, economico e istituzionale, ma quel che inquieta sono le derive di mentalità che si manifestano (in termini globali e non solo europei o nazionali) in letture distorte, superficiali e parziali dei fatti con tendenze a chiusure nei confronti della conoscenza approfondita della realtà e della storia e preoccupanti negazioni degli scambi e delle contaminazioni indispensabili per conoscere questo disastrato tempo e per poterci vivere. Stiamo vivendo un’epoca di grandi esitazioni e incertezze, nel senso che non possiamo prevedere alcun futuro, che per i Greci era il tempo, appunto, dell’esitazione e del dubbio: non si poteva prevedere e lo si temeva, quindi lo si “fingeva”. Oggi quindi “fingiamo” il futuro dominati da una tecnica trasformata da mezzo a fine e divenuta soggetto della storia, determinando così uno stravolgimento di tutte le categorie, sia etiche che politiche e la realtà ormai si identifica con la simulazione, o addirittura la segue. Le vicende architettoniche contemporanee, a partire dagli anni Ottanta dello scorso secolo, e oggi all’interno di questa nuova realtà, sono segnate dal decostruttivismo, che ne costituisce la vera novità manifestandosi come nuovo linguaggio. Tuttavia il decostruttivismo, in architettura, assume valenze e caratteristiche molto lontane dal decostruzionismo derridiano, perché si attesta, in modo prevalente, sulla distruzione dei sistemi compositivi che hanno per secoli organizzato la progettazione architettonica e i suoi prodotti. Nasce in modo trasgressivo, scomposto, non organizzato cioè in alcun movimento, ma come tentativo di produrre nuove forme, elaborate, in alcuni casi, su ciò che ha caratterizzato la fondazione del movimento moderno, identificabile con le avanguardie russe degli anni Venti dello scorso secolo. La prima manifestazione pubblica di questo nuovo modo di progettare risale al 1988 a partire da una mostra organizzata al Museum of modern art di New York da Philip Johnson e intitolata “Deconstructivist Architecture”. Al suo interno vengono esibiti i lavori di sette architetti (Frank Gehry, Daniel Libeskind, Rem Koolhaas, Peter Eisenman, Zaha Hadid, Coop Himmelblau e Bernard Tschumi) che, presentando alcune similitudini sul piano dei risultati formali, si propongono in contrapposizione a tutto ciò che aveva contraddistinto la produzione architettonica del moderno, a partire, come dicevo poc’anzi, dal costruttivismo russo. Il linguaggio del movimento moderno e del post-moderno viene smembrato e distrutto. Ciò che è accaduto dopo è da un lato l’emersione di alcune personalità forti e ricche di nuo-

12 dissonanze? margherita petranzan


ve proposte supportate anche da altrettanto forti teorizzazioni (Gehry, Koolhaas, Eisenman, Hadid), dall’altro la decadenza in compiacimenti distruttivi, aggressivi nei confronti sia del presente che del passato, raramente giustificati sul piano di futuri sviluppi, né tantomeno sul piano teorico o storico/critico. Il fatto inquietante, però, è che questi nuovi non-linguaggi hanno informato (e continuano a farlo) la produzione architettonica del mondo intero. Se poi si pensa alla messa in gioco di un possibile post-decostruttivismo che sta coinvolgendo a livello mondiale molti giovani e valenti progettisti, dobbiamo assolutamente interrogarci su che basi sia fondato e in che cosa consista. È chiaro che la complessità dello spazio urbano contemporaneo prevede spesso inserimenti di manufatti puntuali e dotati di grande autonomia, sia sul piano formale che su quello relazionale; tuttavia questo post-de-costruttivismo sente il bisogno (ancora una volta alla ricerca di movimenti unificanti) di dichiarare finalità e metodi che possano mostrare obiettivi, anche a lunga gittata, di importanti rigenerazioni urbane e sociali, di creazione di nuovi ambienti umani-urbani definiti “fluidi” in quanto relazionati, in modo non violento, con preesistenze e ambienti naturali. Credo si stia cavalcando una nuova forma di movimenti utopici che sicuramente avranno vita molto breve per le incredibili, repentine e continue mutazioni degli equilibri precari che la struttura della società occidentale sta subendo. «La decostruzione è l’accadere dell’impossibile, o di ciò che sembrava impossibile» (Derrida). Oggi sta accadendo veramente l’impossibile soprattutto per quanto riguarda la mancanza totale di linee guida, riferimenti importanti che possano costituire un esempio per le generazioni di giovani che intendono esercitare questa professione. Vengono cavalcate interpretazioni imbarazzanti di opere di dubbia qualità mostrate come soluzioni risolutive dei problemi dell’abitare contemporaneo solo perché perfettamente in linea con l’utilizzo delle più sofisticate tecniche sia strutturali che eco-sostenibili; si assiste cioè impotenti alla realizzazione del “nuovo” voluto spesso unicamente come risposta ai grandi interessi economico-finanziari che guidano il mercato ed esibito come panacea di tutti i problemi sociali e insediativi, oppure al ripristino-riuso dell’esistente “mummificato” in nome di un rispetto generalizzato, mai motivato, della storia: l’opera, cioè, esibita come rovina. In realtà, però, l’impossibile di cui parla Derrida è già accaduto anche all’interno dell’organizzazione complessiva del vivere di questo nuovo secolo: è in atto una trasformazione generalizzata di rapporti che l’uomo contemporaneo instaura con i suoi simili, con il tempo, lo spazio e con gli strumenti di cui si serve per programmarne tutti le possibili gestioni e finalità. L’impossibile già accaduto, ormai, è sicuramente la “liberazione dai valori” che hanno informato e organizzato il vivere civile, professionale e individuale fino agli inizi di questo secolo.

margherita petranzan dissonanze?

13


Anche l’architettura, ad esempio, si è liberata dai valori dell’estetica e della funzionalità. Concordo con Derrida quando afferma che Eisenman e Tschumi hanno tentato di restaurare una sorta di “purezza architettonica”, mettendo la disciplina in rapporto con altre arti e altri linguaggi, non esclusi i poteri economici e politici con cui da sempre l’architettura ha a che fare. Secondo lui solo l’architettura può rappresentare concretamente la decostruzione e metterla in opera nel modo più consono ai tempi. Dice inoltre (in un’intervista di Piergiorgio Odifreddi) che la parola decostruzione deriva da un’espressione di Heidegger, Destruktion, da intendersi come “destrutturazione”, non come “distruzione”. Dichiara inoltre di usarla nel senso di un’analisi dei diversi livelli in cui si stratifica la cultura, per cui diventa qualcosa di positivo, non di negativo: «La decostruzione non è una teoria, né una filosofia. Né una scuola, né un metodo. Neanche un discorso, un atto o una pratica. È ciò che accade, che sta accadendo oggi [...]. La decostruzione è l’evento». L’evento è inteso come movimento continuo all’interno degli spazi di vita i cui confini sono già stati tracciati, attraversati e cancellati ma che saranno ancora ridisegnati, attraversati e cancellati con molteplici e sempre diverse gettate teoriche per “riprogettare” il mondo. Quel che conta è la traccia che permane anche se riformulata, necessariamente, all’interno di continue contaminazioni. Se Derrida con il suo decostruzionismo tende così a de-costruire tutto il pensiero occidentale, contemporaneamente si propone con un pensiero architettonico che cerca (e trova) una sintesi tra pensiero e architettura, ricordando, a ragione, come la tradizione filosofica si sia spesso servita del modello architettonico come metafora del pensiero; cita ad esempio Aristotele quando parla dell’architekton come di colui che conosce la causa delle cose, essendo anche un teorico che può insegnare, oltre che applicare l’unione di teoria e pratica. In questo modo l’architettura, per Derrida, diviene scienza che organizza razionalmente interi settori del sapere e inoltre afferma che «un pensiero architettonico può essere decostruttivo solo in questo senso: come tentativo di pensare ciò che stabilisce l’autorità della concatenazione architettonica nella filosofia». Ecco allora sancita la continuità e contiguità tra architettura e pensiero. La filosofia, per Derrida, rimanda cioè più a una forma che a una forza. Patire-Ricercare Ora, riprendendo Derrida e Mozart, vorrei introdurre quello che per me si può definire il de-costruzionismo di Valeriano Pastor, impostato attraverso successive dissonanze, intese come azzardate strategie creative, sempre anticipatrici di futuro ma, sostanzialmente radicate in un linguaggio che porta l’opera a essere

14 dissonanze? margherita petranzan


assoluta “presenza” perfettamente definita, con parti che non sono frammenti, ma opere nell’opera. L’architettura, mi insegna Valeriano Pastor, non è di carta e nemmeno solo di pietra e mattoni; l’architettura è una scienza, ma oggi più che mai è anche un’arte completa, perché si organizza trasversalmente all’interno di ogni disciplina anche artistica, pur essendo sostanziale e viva e vera tecnica costruttiva. In modo molto raffinato e completo, oltre che complesso, Valeriano Pastor non può mai prescindere da ciò, nel delineare le sue sapienti strutture da edificare. Non può prescindere nemmeno, però, dal riconoscere a questa tecnica una funzione sociale e culturale determinante per costruire equilibri all’interno della perigliosa organizzazione della vita di questo nuovo tempo. Infatti solidarietà è una parola e un concetto chiave per lui; parola che riprende da Edoardo Benvenuto e da Massimo Cacciari in dialogo con il cardinale Martini nel ribadire ciò che per loro e per lui costituisce un’importanza fondamentale e cioè che il compito etico e il compito costruttivo-artististico sono uniti nella solidarietà e, necessariamente, da essa rappresentati. Pastor è consapevole che per costruire è necessario modificare, perchè l’architettura oggi è artificio e natura insieme, anche quando imita la natura; in conflitto perenne e permanente con essa si realizza unicamente attraverso continue modificazioni programmate, pur sempre, però, in dialogo con i luoghi nei quali sorge, siano essi naturali o già costruiti. Tuttavia il dialogo con i luoghi può avvenire unicamente grazie alle forme attraverso le quali l’architettura si rappresenta, ovvero le opere realizzate. Continuo a credere che l’architettura rappresenti il pensiero del tempo che l’ha voluta, con tutte le sue positività e le sue devianze; e il pensiero di questo tempo è un pensiero organizzato all’insegna della decostruzione, che non intendo assolutamente in termini negativi, cioè di scomposizione distruttiva, ma come possibile proposta per la ricomposizione della “nuova” disciplina architettonica e del suo futuro all’interno dei continui mutamenti dell’assetto sociale e urbano. A questo proposito, allora, riprendo i due discorsi chiave sull’architettura precedentemente riportati; il primo sull’architettura come metafisica della presenza e il secondo sul pensiero architettonico decostruttivo visto come tentativo di creare una continuità tra architettura e pensiero: su questi due concetti si radica e si struttura l’opera di Valeriano Pastor, opera che ha anticipato abbondantemente il nuovo tempo e il nuovo movimento, con un’importante carica utopica. Questo per dire che la vera novità del suo fare consiste in una sofisticata tecnica progettuale che compone distinguendo, fornendo alla sua progettazione una forte componente etica.

margherita petranzan dissonanze?

15


Ho già parzialmente ripreso, all’interno del mio testo per il libro sull’ospedale di Larino (Una casa per guarire, Skira, Milano 2006), questo concetto da lui espresso nel dialogo con Cacciari; vorrei però, in questa sede, vederne alcuni altri aspetti. Riporto le sue parole di avvio del dialogo: Nello sviluppo del progetto e nella realizzazione del cantiere, mi sono posto il problema di trovare un accordo tra tecniche, ovvero tra linguaggi differenti, anche in contrasto patente rispetto l’esperienza, con attenzione all’orizzonte di conflittualità delle forme esistente nel contesto; quel modo, cioè, secondo il quale la sostanza della tradizione e il suo destino estetico vengono vissuti con profondi fraintendimenti. Mi sono chiesto allora se è possibile flettere la progettualità e il senso della forma, sì da trovare unità tra molti linguaggi.

Pastor compone distinguendo non per separare, ma per conoscere. Progetta conoscendo e conosce progettando: ogni luogo fornisce stimoli necessari e sufficienti per inter-agire con esso in vista della costruzione, proposta e realizzata come sintesi finale di molteplici relazioni tra progetti di parti che, prima di andare a fondersi in unità, vengono compiutamente definiti nella loro perfetta autonomia. Anche Scarpa fa questo, ma Pastor, a differenza sua, non mette solo a “convivere” le singole parti all’interno di un unico linguaggio espresso come sommatoria-vicinanza di brani di progetto costruiti con linguaggi differenti e fatti magistralmente confluire, tutti, all’interno dell’opera finita. Pastor cerca, comunque e sempre, l’unità, che definirei unità sintetica: unità cioè a cui si aggiunge la sintesi, onerosissima operazione di scrematura e di riduzione, senza mai dimenticare, però, tutte le analisi indispensabili per il lavoro architettonico. Ricordo a questo proposito le parole (citate da Pastor) di Giuseppe Samonà, – di cui è stato allievo, assistente e collaboratore di ricerca – quando affermava convinto che studio, conoscenza e progettazione si concretizzano attraverso la figurazione architettonica servendosi «di un lessico ridotto al quale è assegnato il compito di esprimere tutto l’essenziale su un certo oggetto». Questo è l’improbus labor di cui parlavo inizialmente, è quello che Pastor definisce il patire-ricercare, ed è ciò che ogni volta si impone nel progettare e realizzare le sue opere. L’intero cioè non è mai solo la somma delle parti, ma una nuova unità che contiene e rappresenta l’“essenza” dei linguaggi attraverso l’utilizzo sapiente dei materiali e di raffinate e complesse tecnologie costruttive. Non solo: il patire è una sommatoria di due cose, che sono passione e sofferenza; il ricercare comporta l’acutizzazione di entrambe. Passione e sofferenza, dunque, per la ricerca che in architettura sempre decostruisce, di necessità. È una condizione “perturbante” quella del progetto, soprattutto del progetto architettonico perché è ospitale e inospitale insieme, e Pastor cavalca e descrive questa caratteristica perché la vive,

16 dissonanze? margherita petranzan


sapendo bene, che la verità è sempre irragiungibile, sia perché di “verità” ce ne sono molte, sia perché spesso è molto oneroso sia descriverle che determinarle, distinguendole dalla doxa. Le verità hanno sempre bisogno di dimostrazioni, a esclusione delle verità di fede, frutto di credenze, e di quelle storiche, frutto di interpretazioni. Si può dire che la verità di pertinenza di un ambito disciplinare è definibile unicamente passando dal linguaggio che le appartiene a un meta-linguaggio che ne possa svelare principi e contraddizioni. Inoltre aggiunge che nel progettare bisogna pensare a una «strategia di assedio» dei problemi, pur essendo consapevole che sarà necessario ogni volta ricominciare da capo e che altri ancora, dopo di noi, dovranno farlo. Questo riporta al concetto di evento che Pastor cavalca con convinzione e metodo, radicato da sempre sulla necessità di continui “ricominciamenti” che lasceranno tracce necessarie per essere più volte riprese, dimenticate e superate. Continua così a percorrere anche le gettate teoriche e pratiche indispensabili per “riprogettare” il mondo. Pastor nel 1988 (anno di avvio ufficiale del decostruttivismo) aveva già assunto importanti compiti istituzionali all’interno dello IUAV (ordinario dal 1977 in Progettazione architettonica; dall’a.a 1979-1980 all’a.a. 1981-1982 direttore dello IUAV) e si stava occupando della valutazione della classe docente; sul piano professionale aveva da poco costruito il complesso scolastico a Dolo (Venezia), non terminato e rimasto incompiuto. Nel descrivere le ragioni del progetto nel n. 1 di «Anfione e Zeto», faceva comprendere come la sua attenzione, l’approfondita conoscenza e il rispetto nei confronti del luogo dove si accingeva a progettare fossero massimi. Pastor cerca sempre relazioni per poter radicare il suo progetto; relazioni con tutti gli elementi che caratterizzano il luogo e tra le varie componenti del progetto stesso. Pastor è un visionario che cavalca l’utopia della scrittura architettonica: l’architettura è un testo che fa comprendere la realtà e cerca la verità; è il testo per eccellenza, cioè il testo sacro. È dunque «la fortezza della metafisica della presenza» che l’opera di Pastor evidenzia in tutte le sue componenti: presenza evocatrice di passato, ma anche attuale e viva testimonianza del suo tempo e inoltre sempre anticipatrice di futuro. Come dice Cacciari l’architettura di Pastor è fortemente simbolica e il suo edificare è politico perché i suoi edifici sono (come lo erano quelli dell’Alberti) l’analogon della città e degli spazi urbani: in essi si esprime una forte idea di composizione che si impone al luogo in cui si inserisce, che per Pastor è tutto “costruzione”. Il concetto di paesaggio, forse troppo usato e abusato negli ultimi trent’anni soprattutto dagli architetti e dalle scuole di architettura, emerge con grande forza nel suo operare, ma visto e considerato, appunto, come “infinita trama” di relazio-

margherita petranzan dissonanze?

17


ni che comprendono natura e cultura, storia e arte, costumi e tradizioni, antiche e nuove strutture edificate. L’ospedale di Larino, dice Pastor, [...] tenta un dialogo diretto con le forme della natura, così come lo fa una costruzione antica, un santuario o un teatro: tuttavia ha presente la Larino storica, le costruzioni di pietra viva, le case tagliate con il diamante, dove ogni pietra è squadrata e posta nel luogo giusto con tecnica esatta.

E così accade per il complesso scolastico del Dolo: la riviera del Brenta è costruzione, perché il paesaggio di questi luoghi – sottolinea successivamente Pastor – è costituito sia dagli alberi, i corsi d’acqua le ville e le strade, ma anche dai pittori paesaggisti che lo celebrano. Mi soffermo inoltre volutamente su un metodo di lavoro che Pastor cerca di descrivere all’interno del dialogo. Credo sia ciò che fa comprendere il suo decostruzionismo nei termini precedentemente esposti, e cioè il suo procedere attraverso certezze iniziali che chiama “manie” (per esempio la struttura protagonista che si “presenta” senza rappresentare nulla) e successive “finzioni”, che sono sempre, lui dice, “figurazioni”. La sua idea forte e contemporaneamente simbolica di composizione, come dice Cacciari, è un’idea “rammemorante” di uno spazio urbano, ma che viene messa continuamente in discussione e, di conseguenza, in crisi dalle dissonanze che le varie parti che compongono l’opera mettono in atto. Dissonanze che, tuttavia, mettono in discussione canoni predefiniti o riconoscibili. Dissonanze che ricompongono l’insieme secondo nuovi e mai cavalcati risultati compositivi. La profezia di cui parlava Cacciari nel 1988 dalle pagine di «Anfione e Zeto», e cioè il fatto che nel comporre distinguendo di Pastor l’opera si realizza e naufraga insieme, è la concreta realtà dell’architettura contemporanea. Il decostruzionismo inconsapevole di Pastor consiste proprio nell’essere autore consapevole di continue dissonanze che riprogettano nuovi spazi urbani. Le sue dissonanze, come ha detto Schonberg, si emancipano dal vincolo che avevano nella musica classica (dovendo allora necessariamente convogliare in “consonanze”) e si trasformano in “consonanze lontane”. Questo modo di progettare parte inoltre dalla convinzione che ogni opera di architettura si concretizza, quando viene realizzata, in uno spazio politico, anche quando è di proprietà privata. Lo spazio cioè dove insistono edifici, proprio per la presenza di “cose” costruite, diventa pubblico, quindi politico. Lo spazio politico è dunque, per Pastor, lo spazio unico possibile dell’opera di architettura che, come l’ha magistralmente definita Derrida, è la «fortezza della metafisica della presenza». L’architettura fa conoscere la realtà e le sue concrete manifestazioni servendosi della tecnica, dell’arte e del pensiero, mai separato da esse. Ma la realtà

18 dissonanze? margherita petranzan


di questo tempo è la decostruzione, come dicevo precedentemente, e l’architettura la rappresenta (anche se spesso in modo poco consapevole e controllato), come il moderno, nel secolo precedente, era rappresentato dall’ossessione della trasparenza. L’architettura “tetragona” di Pastor è stata anticipatamente decostruttiva e oggi si dimostra di grande attualità.

margherita petranzan dissonanze?

19



dissonanze



autobiografia intellettuale valeriano pastor

Una ragione attraversa le differenze nei casi di studio che ho voluto trattare, non è l’unica ma la più chiara tra quelle che motivano e reggono il senso della scrittura sui casi e questioni di vita che li hanno determinati. Tale ragione, che qui porto citando, è argomentata da Edoardo Benvenuto nel suo trattato La Scienza delle costruzioni e il suo sviluppo storico1: Sembra di poter dire che la “struttura” soggiacente a un certo oggetto fenomenico viene in luce quando la ricchezza del lessico comune viene spogliata in un lessico ridotto al quale è assegnato il compito di esprimere tutto l’essenziale su quell’oggetto.

Tale argomentazione oltrepassa i limiti di campo disciplinari della Scienza delle costruzioni in misura sufficiente a indicare il senso della ragione di questi miei scritti, e con maggior ragione ne oltrepassa il senso. Penso tuttavia opportuno continuare la citazione di Benvenuto, benché riconduca ai limiti della sua Scienza delle costruzioni: [...] se è vero che lo scienziato strutturalista si accosta alla realtà per scrutare le tracce sovrapposte e nascoste di un ideale palinsesto, il tecnico strutturista opera un analogo studio sulle costruzioni scorgendo in esse la presenza di schemi statici formati da travi o travature che ne governano forma e dimensione, portando su certe linee visibili o latenti, i carichi.

Intendo che pure tali limiti possono essere condotti a oltrepassare lo stretto senso disciplinare e mantenere ragioni esplicative nelle argomentazioni che svolgerò. 23


Nella vita progettuale ho declinato esperienze e riflessioni di tendenza strutturalista insieme a riflessioni e analisi strutturiste; così ho pure fatto nella lunga attività di docente, nei corsi d’insegnamento della progettazione architettonica, perfezionati nello svolgimento discutendone la struttura e gli effetti attraverso gli impegni progettuali degli studenti, co-autori di un programma performativo. Tale riduzione operativa del pensiero di Benvenuto – scritto in forma perfetta proprio nel fine di essere variamente ridotto all’esperienza, e guidarla – vuole rilevare che lo svolgimento di quella stretta contiguità di ricorrenza tra le differenziate forme lessicali, tese alla ricerca dell’essenziale nei processi architettonici, non si risolve a dimostrare la chiarezza di uno stato natale della progettazione, ma un tumulto della ricerca che può apparire quale taxis ataktos nel procedimento che guida alle differenti riduzioni lessicali – a vedere nei fatti mi pare sia proprio questa una condizione natale. Così appare a me. Ho spinto le mie linee progettuali, e quelle degli studenti, a intendere un “senso tettonico” nella forma, semplice o complessa che fosse, per stabilire un’analogia tra le consequenzialità che gli eventi meccanici inducono sui fatti vitali: confronti troppo forti (con il rischio di meritare lo scherno del mons parturiebat) per raccogliere conseguenze che possono apparire irrilevanti. Considerando eventi meccanici di lento accadimento nel sistema tettonico, sfuggenti all’attenzione quotidiana, nel tempo questi ci sorprendono e impongono nuovi comportamenti di attenzione e rispetto del sistema, modificando i modelli di vita. Del pari l’analisi meccanica della forma – da assumere come un passo verso una riduzione lessicale tesa a intendere aspetti essenziali propri della forma – induce all’attenzione su aspetti intrinseci dell’abitarla: considerare, come caso sintomatico, la deformabilità elastica di una colonna, o di più complessi elementi, articolati in struttura, non è fattore trascurabile nell’intenderli quale forma, vivendoci (per non dimenticare quanto ciò sia ovvio per esperienza, basta il richiamo al senso dell’abitare entro rassicuranti costruzioni massicce e porlo a confronto con l’abitare entro una costruzione che si percepisce forte in quanto nervosa e flessibile, o in una che manifesta caratteri di adattabilità a un suolo cedevole nel corso del tempo – come sa chi abita Venezia). Da questo rilievo – che recupera a fattori vitali alcuni caratteri e valori della forma – noto che le riduzioni lessicali del momento strutturista non devono sfuggire dalle componenti d’intelligenza della forma nel momento strutturalista: che non si debba pensare e dire che i fattori meccanici, così come quelli ambientali, spettino in tutto, e separatamente, a momenti e competenze dell’ingegneria; mentre fanno parte del processo d’intendimento del progetto e costruzione dell’abitare una forma. In queste prime pagine e note, che considerano necessario un procedimento di riduzione lessicale per intendere le ragioni sostanziali che possono conferire

24 autobiografia intellettuale valeriano pastor


carattere comune, strutturale all’architettura delle cose e degli spazi, e che possiamo intendere come “formatività”, appare una deviazione dal passo di Benvenuto citato quale referente di un programma che vuole raggiungere significati essenziali attraverso un lessico ridotto. Ma in quel passo una parola ha una marca fatale: scorgere è la parola, che intendo almeno bivalente nel senso, poiché ci affida un procedimento che segue una disciplina rigorosa, mentre nel contempo si apre a intendimenti e valutazioni del nostro immaginario. Tutto questo per invocare necessariamente nella riduzione strutturista l’attenzione fantastica; quella che dà luogo al tumulto procedurale della ricerca. Nell’invocazione è rimasto sottinteso il legame tra compito costruttivo artistico e compito etico; e preme il suo farsi esplicito: i due compiti stanno uniti nel principio dell’operatività, ma l’emergenza di ognuno è tendenzialmente alterna. Una parola, che porti in sé il principio operativo della loro corrispondenza di senso, potrebbe mantenere e far viva l’unità presente dei due: la parola che manifesta l’unione è solidarietà, nel fatto che immediatamente congiunge le forme sostanziali dell’abitare e produrre, prospettando intendimenti formativi e fini comuni tra culture differenti, istituendo altresì l’unità o corrispondenza di senso tra cose costruite, territori domesticati o lasciati allo stato naturale, segno manifesto d’intenzionalità culturali. Ne ho provato suggestione dapprima nei dialoghi tra Samonà e De Carlo, con vari collaboratori, scritti in Lettere su Palermo2, pubblicate nel 1994, ma discussi tra il 1980 e il 1983 fondando l’idea di solidarietà urbana nello studio del Piano Programma per il centro storico di Palermo. Ne ho scritto vent’anni dopo – 2015, nel mio saggio di studio su Edoardo Gellner3 – come di un rapporto tra sistemi ordinati che dà senso sostenibile di vita e di produzione in modi complessi al territorio-paesaggio, inteso secondo una chiave interpretativa articolabile in sistemi progettuali performativi, che conferiscano corpo vivo, configurato dalle suggestioni labili e sfuggenti dell’idea-figura di paesaggio. Nel supplemento di «Micro Mega» 2/2016, tra vari saggi riediti vi è il Dialogo sulla Solidarietà tra Carlo Maria Martini e Massimo Cacciari. Il dialogo – per sé un avvenimento della cultura operante – estrae l’intendimento della parola solidarietà dai fatti, secondo aspettative tendenziali dei dialoganti; con declinazioni positive nell’ambito ecclesiale; del tutto negative in quello socialitario, nell’orizzonte internazionale delle politiche, da dover ricondurre seccamente Cacciari all’atto di rifondazione del rapporto l’io e l’altro; che credo di poter interpretare quale permutazione necessaria della soggettività, in ragione del riferimento all’accezione greco-classica dell’individualità quale idiozia – così Cacciari. Appare evidente la difficoltà di coniugare la complessità del dialogo citato tra Martini e Cacciari, negli argomenti della costruzione e vita urbana e territoriale, nell’essenza dei modi e nella carat-

valeriano pastor autobiografia intellettuale

25


Note 1 Edoardo Benvenuto, La Scienza delle Costruzioni e il suo sviluppo storico, Sansoni, Firenze 1981, p. 680. 2 Lettere su Palermo di Giuseppe Samonà e Giancarlo De Carlo per il piano programma del centro storico, a cura di Cesare Arioldi, Francesco Cannone, Francesco De Simone, Officina, Roma 1994. 3 Valeriano Pastor, Gellner per un’operante idea di paesaggio, in Architettura, paesaggio, fotografia. Studi sull’archivio di Edoardo Gellner, a cura di Martina Carraro e Riccardo Domenichini, Il Poligrafo, Padova 2015, pp. 15-43. 4 Lettere su Palermo di Giuseppe Samona e Giancarlo De Carlo..., cit., pp. 81-82. 5 Cesare Ajroldi, La Sicilia i sogni le città. Giuseppe Samonà e la ricerca di architettura, Il Poligrafo, Padova 2014. 6 E. Benvenuto, La Scienza delle Costruzioni e il suo sviluppo storico, cit., p. 680. 7 Carlo Diano, Forma ed evento, Neri Pozza, Venezia 1952; Sergio Bettini, Venezia. Nascita di una città, Electa, Milano 1978. 8 Bruno Zevi, Un architetto colto Edoardo Gellner (arredamenti e costruzioni a Cortina d’Ampezzo), «Metron», 39, 1950, pp. 14-41; Mario Cereghini, I Mostra di Architettura Alpina a Cortina d’Ampezzo (Casa Menardi e “villa Tabià nel bosco” a Cortina d’Ampezzo), «Prospettive», 1, 1951, pp. 73-74; Villa in montagna (Casa Menardi a Cortina d’Ampezzo), «Domus», 271, 1952, pp. 56-60. 9 Franco Mancuso, Edoardo Gellner. Il mestiere di architetto, Electa, Milano 1996. 10 Martina Carraro, A Cortina d’Ampezzo, in Architettura, paesaggio, fotografia..., cit., pp. 87-119. 11 Non so dire se sono stato l’ultimo a lavorare sull’edificio Telve, avendo visto citati altri collaboratori nella mostra del 1996 a Bolzano – per la quale ho scritto un breve saggio pubblicato in «Turris Babel», 40, 1997, ripreso e ampliato nel saggio cit. a nota 3 –; Gellner non mancava un impegno, come non mancava un perfezionamento. 12 Edoardo Gellner, Architettura anonima ampezzana. Nel paesaggio storico di Cortina, Franco Muzzio, Padova 1981; Id., Architettura rurale nelle Dolomiti venete, Dolomiti, Cortina d’Ampezzo

(BL) 1987, II ed. Libreria Sovilla, 2009, stampato in occasione del centenario della nascita di Edoardo Gellner. 13 Ha impegnato trent’anni di studi, con l’esecuzione di rilievi riguardanti le forme delle abitazioni e degli agglomerati d’insediamento; ponendo attenzione alla produttività del suolo. Nell’Ampezzo il maggior rendimento era dato dalla fienagione e dal pascolo, cui era dedicata la maggior estensione del suolo agrario; che pur lasciava una parte produttiva, ma con rotazione quinquennale, agli alimenti per consumo locale: principalmente ai cereali minori, quali l’avena, l’orzo e la segala, e poi i legumi, principalmente fave, nonché piante da tessuti, lino e canapa – proprio queste, assieme alle fave, davano corpo a un sistema costruttivo per l’essicazione, che costituiva una forte componente dell’immagine del paesaggio: grandi griglie verticali per stendere a seccare i lunghi rami di quelle piante. Nel sistema dolomitico la caratterizzazione era data dalla ricchezza mineraria, che dava luogo alla produzione di semilavorati e lavorati artigiani, tanto per l’uso locale che per l’esportazione. 14 Nello Studio lavoravano dedicati a quest’opera l’arch. Gilda D’Agaro, da anni aiutante di Scarpa, e Amerigo Marchesin, cresciuto nell’impresa edile di famiglia, esperto nei lavori di cantiere e nei costi d’esecuzione. Credo che le documentazioni d’appalto siano state preparate dall’ing. Carlo Maschietto, l’unico consulente tecnico di Scarpa. 15 Dorigo, più avanti nel tempo, ha riconosciuto in me forza progettuale, tale da farmi assegnare incarichi prestigiosi, quali le Sale multimedia all’ASAC e alla Biennale (padiglione centrale); cui mi sono dedicato con passione, ma con esito infelice: causa il destino dell’ASAC e mutamenti d’uso a Centro di Quartiere richiesti dal Comune; sempre soddisfatti, mai finanziati a misura sufficiente per portarli all’uso e infine completati dalla Biennale.

46 autobiografia intellettuale valeriano pastor


atelier pastor, venezia 2006-2008

valeriano pastor, michelina michelotto, barbara pastor

È a pe’ pian – piano terra, in dialetto – su un canale che va diretto e dritto alla laguna nord; in faccia a palazzo Van Axel, insieme godono di uno slargo, quasi una piazza d’acqua (campiello d’acqua, per assurdo), dovuto all’intestatura di un ramo di raccordo al canale sulla cui sponda s’imposta la chiesa dei Miracoli. Questo luogo della città si può dire che appartiene allo Studio. Ma non è solo così: sul fronte opposto una corte giardino è rinfrescata da varie piante che danno colore alla luce, e lungo la calle d’ingresso lo sguardo coglie il campo Santi Giovanni e Paolo, le barche del suo canale, la gente che vi soggiorna e passa. Tutto questo testo urbano appartiene allo Studio, fa parte del nostro lavoro. Tutta la gente che passa in barca sul nostro rio e quella che sta nel campo e mira verso la calle, inaspettatamente vede il campo San Zanipolo (Santi Giovanni e Paolo in veneziano) o all’inverso intravede Van Axel, attraverso lo Studio: si appropria di questa veduta del contesto di cui lo Studio è nodo centrale. No ticket. La forma nella quale ci racchiudiamo è quella canonica dei palazzi a tre campate (casseri?), quasi uno schema regolatore di una ratio costruttiva, standard edilizio storico, la misura delle travi – circa 18 piedi in larghezza i casseri laterali, circa 21 quello centrale. La casa ex palazzo Contarini ha origine cinquecentesca, aggiustato su impianti più antichi rilevabili da una irregolarità del margine nord. Del palazzo restano le fondazioni dei muri di cassero, la traccia di un pozzo inter-

47


no, e l’intero basamento della facciata sul rio: un corpo di otto arcate in conci di pietra d’Istria per l’intero sviluppo, chiuso da una lunga balconata al primo piano. Due stampe, del Coronelli e del Visentin, indicano le arcate completamente aperte a formare un portico – come i palazzi del Sansovino a Rialto – che continuava, con forma maestosa, quella più modesta tuttora esistente dei palazzetti adiacenti (forse a costituire nell’insieme una delle stazioni di traghetto per Murano e laguna nord). Il basamento in pietra è quanto rimane del palazzo. Se mai fu compiuto – non certo con pari forza – doveva essere un rudere nell’Ottocento. La casa attuale sta sul corpo delle sue fondazioni, ricostruita conservando soltanto il basamento ad arcate con la lunga balconata, impiegando mattoni a mano nuovi, con buona tecnica muraria. Tre arcate sui muri di cassero mettono in comunicazione le sale; hanno la stessa ampiezza e geometria di quelle sul rio, un buon accordo forse ripreso dall’impianto originario. Tutta la ricostruzione del XIX secolo è stata eseguita con fedeltà al sapere costruttivo, ma con il veleno dell’uso redditizio non importa come: le arcate, salvo la coppia centrale d’ingresso (con teste scolpite in chiave), furono tamponate in mattoni, con una modesta finestra nel mezzo, dotata di contorno in pietra e protetta da remenato, per infiggere un’inferriata e chiudere con scuri di legno, tanto per dare un po’ di luce e ventilazione. L’uso di un secolo per varie attività lavorative e magazzinaggi sempre più poveri nel corso del tempo ha ridotto il nobile pe’ pian a un luogo lercio in progressivo degrado, lasciando incrementare alcune fessure del corpo murario, in un punto critico della struttura. Tale punto cade nel falso innesto del muro perimetrale a nord con la facciata, che più lunga del corpo del palazzo, accoglie tale muro nel mezzo dell’arcata estrema, adottando un sistema di raccordo molto fragile – ma in origine passava il portico. Abbiamo pulito, risarcito e consolidato i corpi murari con sistemi semplici, eliminando malte cementizie di allettamento e d’intonacature, eseguite nei basamenti con l’illusione di coprire o eliminare l’umidità e le efflorescenze saline, restituendo alle murature la bellezza della loro tessitura e della leggera varietà cromatica; già solo così rendendo chiaro lo spazio, nobile luogo di lavoro. Avremmo voluto liberare le arcate, anche soltanto nella parte dell’arco – constatato che il tamponamento non era un corpo forte a sostegno dell’arco in conci di pietra: infatti i mattoni potevano essere sfilati a mano senza fatica. Avremmo avuto più luce in profondità nelle sale, esaltando l’architettura del muro. La proposta venne respinta dalle autorità di tutela, con una ragione conservativa nutrita dal pretesto che l’opera avrebbe costituito un precedente – ove si vede che non conta l’identità del caso, ma il principio: ovvero è più facile l’uso del no! perché no!, rispetto l’argomentare le condizioni specifiche della storia, qualità, luogo, modo.

48 atelier pastor, venezia valeriano pastor, michelina michelotto, barbara pastor


Nelle stagioni povere di luce, le sale dello Studio la bramano. Abbiamo allora pensato di far valere ciò che costituisce il carattere della città nel gioco della luce sull’acqua: il riflesso, applicando un manto riflettente al soffitto. Si è ottenuto così, per effetto indotto, la virtuale eliminazione di una frontiera dello spazio: il rispecchiarsi della luce-colore del rio, come delle cose interne, annulla la misurabilità del limite materiale, conferendo luminosità trasfigura lo spazio. Il pavimento allora non poteva non avere un tono equoreo. Così si è simulato l’effetto delle sostanze costitutive della città: conferire corpo tettonico alla sua luce – così come la pittura veneta ha trattato il colore, facendone il corpo della sua luce. Il resto è venuto da sé, per una serie di volontà: che la sala centrale, luogo principale d’ingresso e di lavoro, sia un segmento del colpo d’occhio (se attento) che va da San Zanipolo a Van Axel, soffermandolo con l’enigma dell’inaspettato; che la sala nord, aperta sul porticato adiacente e godendo della veduta (oltre che d’ingresso proprio) abbia più centri di lavoro – in testata verso canale e portico, luogo ambientato da un ricco sistema spaziale di librerie leggere e articolate, nel mezzo il luogo delle conversazioni e presentazione di opere o lavori in corso, sul fondo l’isolato dei servizi e l’angolo della merenda; che la sala sud, sistemato l’archivio in soppalco sul magazzino, sia un recesso di lavoro e dialogo riservato, e con via d’uscita propria sulla calle di servizio. Tutte le murature devono rimanere nude, pura tessitura, manifesto tettonico dell’abitare un luogo di lavoro. Solo parte degli strumenti è stata fatta per questo luogo, le librerie, in due tipi; i tavoli e il resto sono segnati da storie diverse. Le librerie in pali di legno e palchetti in stratificato costruiscono ambiti spaziali che danno carattere ai luoghi di lavoro; l’altro tipo è tutto speciale, costituito da un gruppo compatto di mobili aperti a palchetti su tutti i lati, ravvicinati da sembrare inaccessibili, ma sono rotanti e offrono con facilità la consultazione. Due scalette a semichiocciola entro i vani delle arcate di collegamento tra le sale, in posizione antisimmetrica per accedere a due soppalchi (uno piccolissimo sul fondo della sala nord, fototeca, l’altro grande nella sala sud, archivio disegni) – piccole, con gradini in lamiera piegata di Cor-Ten, non toccano il suolo, sospese da mensole incastrate in chiave e sulla spalla dell’arco: sono una marca formale della spazialità che confida nel minimo necessario per congiungere il senso tettonico dello spazio ai toni del colore, corpo della luce, variando nel corso del giorno e delle stagioni. La dislocazione antisimmetrica concorre a rilevare la geometria originaria dell’edificio che adotta e nega la simmetria, affermare presenza alla città, ma garantire il piacere d’abitare libero; per noi di buon lavoro.

valeriano pastor, michelina michelotto, barbara pastor atelier pastor, venezia

49


La visuale dal campo è difficile che accada, data la ristrettezza della calle Ramo dello squero vecchio; ma può essere invece un godimento per un osservatore che passi su Calle della testa e si accorga delle visuali aperte dall’incrocio con Ramo dello squero vecchio. La posizione urbana è un godimento per chi abita, lavora o visita (o chiede di visitare, no ticket) lo Studio Pastor: incanta la veduta dello specchio d’acqua, che appare come un “campiello” fatto di riflessi cangianti del Van Axel; e stupisce all’opposto la visuale su campo San Zanipolo con i suoi viandanti lontani. L’inserimento urbano dello studio: tra campo San Giovanni e Paolo e palazzo Van Axel Lo spazio interno dello studio accoglie e lega l’immagine urbana di San Giovanni e Paolo e palazzo Van Axel. L’attività dello studio si lega all’immagine urbana del campo e del palazzo

50 atelier pastor, venezia valeriano pastor, michelina michelotto, barbara pastor


valeriano pastor, michelina michelotto, barbara pastor atelier pastor, venezia

51


I grandi telai delle vetrate – sia quella d’ingresso dal giardino, sia quella sull’imbarcadero – sono in larice a sezione robusta, in ragione dell’estensione dei corpi di vetro-camera antisfondamento. Con lo stesso criterio tecnico sono costruite le sei finestre quadrate che stanno tra le arcate in pietra, e che dall’esterno non appaiono, lasciando intatta la “sublime bellezza” del tamponamento con finestra, costruito ai primi del Novecento e “adorato” dalla Sovrintendenza, a chiusura del raro, anzi unico muro con arcate costruito in conci di pietra, secondo modi del Sansovino. Il corpo dei servizi – costruito con buona tecnica forte a doppia parete strutturale, in cartongesso armato, è avvenimento volumetrico unico entro gli spazi di un impianto spaziale tipico: sala portego affiancata da sale minori. La serie di schizzi è solo rappresentazione degli studi d’inizio.

52 atelier pastor, venezia valeriano pastor, michelina michelotto, barbara pastor


Le prime ipotesi per la vetrata verso Van Axel e per la forma del salone passante

valeriano pastor, michelina michelotto, barbara pastor atelier pastor, venezia

53


Studi per l’apertura dei sopra-luce, in alternativa all’apertura delle arcate nelle pagine successive Non concessa dalla Sovrintendenza alcuna modifica sulla facciata

54 atelier pastor, venezia valeriano pastor, michelina michelotto, barbara pastor


valeriano pastor, michelina michelotto, barbara pastor atelier pastor, venezia

55



Perché due fotografi eccellenti? Non si conoscono; forse non sarà gradito l’accoppiamento. Stimo le qualità di entrambi e mi giova la loro differenza. Mi diverte constatare quanto sia mutevole la sensibilità nel cogliere immagini dello spazio architettonico: semplice nell’impianto veneziano, ma occasione per invenzione di immagini. Nessuno dei due è architetto; ciascuno ha una linea che sa far cantare a suo modo lo stato delle cose, ri-generandole, ri-generandosi. Tra i due la differenza ha spicco nel cogliere e rigenerare la lu-mi-no-si-tà, vale a dire il tratto fantastico soggettivo che fanno sussistere nell’accoppiare la luce delle cose allo spazio.


Daniele Resini accoglie la luce artificiale in quella naturale data dal giorno nello spazio architettonico: un apparire cromatico altro – cfr. immagine qui a fianco. Essenziale è il dispiegamento serrato delle cose nello spazio, tutto ciò che sta in 6 m – cfr. immagine p. 68 – o ancora in 10 m – cfr. immagine a p. 69 –, la sequenza compressa data dalla porta d’ingresso, dal gruppo compatto delle librerie rotanti e dall’arcata in mattoni nel cui vuoto le cose e i volumi si confondono nell’ombra, contro la piena luce fresca del giardino a destra. E ancora il rapporto straordinario tra la corposa oggettualità del primo piano, contro l’apertura spaziale luminosa del bacino, riflessa nella vetrata, nell’immagine a p. 77. I ritratti e altre cose sono sempre elaborazioni della luce in toni naturali di semplice eleganza.

Le fotografie di Daniele Resini, 2009 Veduta del portego verso Van Axel: noto le due arcate nella forma originaria e quella tamponata per uso a magazzino; appare il soffitto in “carta riflettente”

66 atelier pastor, venezia valeriano pastor, michelina michelotto, barbara pastor


valeriano pastor, michelina michelotto, barbara pastor atelier pastor, venezia

67


Ingresso sussidiario, libreria a due facce e il corpo dei servizi – che non giunge al soffitto, ma lo si vede riflesso

68 atelier pastor, venezia valeriano pastor, michelina michelotto, barbara pastor


Vetrata d’ingresso, muro nord del portego e gruppo di quattro librerie, la cui rotazione sul proprio asse ne consente l’accumulo. Sorpresa spaziale è l’arcata sul muro di mattoni, che domina l’ordine casuale delle librerie e soprattutto il giro della scala tonda

valeriano pastor, michelina michelotto, barbara pastor atelier pastor, venezia

69


Veduta dallo specchio d’acqua

70 atelier pastor, venezia valeriano pastor, michelina michelotto, barbara pastor


L’ingresso d’acqua

valeriano pastor, michelina michelotto, barbara pastor atelier pastor, venezia

71


Vetrata sull’arco in pietra, le cui smussature sono saturate da rottami di vetro muranese, sigillati con silicone

72 atelier pastor, venezia valeriano pastor, michelina michelotto, barbara pastor


Valeriano

valeriano pastor, michelina michelotto, barbara pastor atelier pastor, venezia

73


Obiettivo a 2,25 m di altezza

80 atelier pastor, venezia valeriano pastor, michelina michelotto, barbara pastor


Accentuazione del paradosso: le murature proseguono inclinate oltre il riflesso di tutto ciò che accade nella sala

valeriano pastor, michelina michelotto, barbara pastor atelier pastor, venezia

81


Ordine arcano della grande libreria – a destra si intravede la scaletta scorrevole

88 atelier pastor, venezia valeriano pastor, michelina michelotto, barbara pastor


La finestra quadrata – 2,5 mq, circa 1 quintale – che mantiene, ahimè, il tamponamento delle arcate in pietra d’Istria

valeriano pastor, michelina michelotto, barbara pastor atelier pastor, venezia

89



apparati a cura di Barbara Pastor



attività accademiche studio e ricerca 1955 Si laurea in Architettura, con 110 e lode, presso lo IUAV, relatore prof. Giuseppe Samonà

attività e ruoli presso lo iuav 1955-1959 Assistente volontario al corso di Arredamento e Architettura degli interni tenuto dal prof. Franco Albini 1959-1964 Assistente ordinario al corso di Composizione architettonica tenuto dal prof. Giuseppe Samonà 1964-1968 Professore incaricato di Decorazione 1968-1977 Libero docente in ruolo, è incaricato a tenere il corso di Composizione architettonica 1977-1979 Vicerettore (rettore prof. Carlo Aymonino) 1977-1980 Professore straordinario di Composizione architettonica dal 1980 Professore ordinario di Composizione architettonica, poi Progettazione architettonica 2 apparati

101


1979-1982 Rettore dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia 2009-2011 Docente a contratto, chiamato a condurre, in una terna interdisciplinare, il Laboratorio di laurea per la progettazione in edifici storici

iniziative straordinarie nel corso del mandato rettorale 1979-1982 Promuove e partecipa a scambi culturali tra l’Università di Cracovia e lo IUAV Partecipa presso la New York University a convegni e tiene lezioni su “Fondamenti e pratiche del restauro” Promuove scambi culturali, attraverso il Centro Thomas Mann, tra istituzioni della DDR e lo IUAV: ottiene il prestito di una serie dei disegni di K.F. Schinkel per una mostra a Venezia dedicata al grande architetto berlinese Partecipa al I Congresso internazionale di Architettura dei Paesi Latinoamericani, su invito dell’Università di Moron, Buenos Aires Partecipa a seminari, presso il CAYC di Buenos Aires, sul tema del restauro delle città storiche Rinuncia al rinnovo dell’incarico di rettore IUAV

ricerca, convegni, impegni pubblici 1983 Promuove e coordina attività di ricerca sulle tecniche edili storiche nel Dipartimento di Scienza e Tecnica del Restauro presso lo IUAV 1985 È membro del CdA dell’Università Internazionale Arte UIA; vicedirettore dal 2004 al 2010 1986 Partecipa, presso l’Istituto Italiano di Cultura di Parigi, al convegno su “Arsenale di Venezia” È membro della Commissione universitaria d’esame nel Concorso a posti di ruolo di docente universitario in prima fascia È nominato membro di giurie di concorsi nazionali e internazionali Partecipa a vari seminari presso la Facoltà di Architettura di Genova Partecipa a vari seminari e conferenze presso gli Ordini degli Architetti di Treviso, Trento, Campobasso, Bolzano 102 apparati


1987 Partecipa, presso l’Istituto Italiano di Cultura a Colonia, a seminari sul restauro edilizio e urbano Partecipa al Convegno annuale di Scienza e Beni culturali di Bressanone (BZ), che seguirà di anno in anno con ruoli disciplinari e gestionali fino al 2000 1993 È invitato al Simposio Internazionale sui Centri Scolastici, Linz (Austria), a presentare le sue esperienze progettuali sul tema È nominato presidente del Corso di laurea in Architettura dello IUAV 1997 Viene eletto direttore del Dipartimento di Progettazione architettonica dello IUAV, carica che tiene fino al 2001 1998 La Direzione del CNR lo invita a coordinare l’attività del gruppo di ricerca con 11 unità operative nel Progetto finalizzato Venezia “L’Arsenale antico” nel contesto della ricerca CNR Scienza e Beni Culturali 2001 Presenta in un convegno, presso la sede CNR - Istituto delle Grandi Masse, il lavoro, campione metodologico, svolto dalle unità operative nel “tesone” 105 dell’Arsenale Novissimo di Venezia 2002 Partecipa alla giornata di studio della regione Molise “Città fuori misura” a Campobasso 2003-2005 Partecipa con lezioni e comunicazioni a “Cultura 2000. Working Heritage. A future for historic industrial centres”, Master in Conservazione, gestione e valorizzazione del patrimonio industriale, organizzato dal Dipartimento di Storia dell’Università di Padova in collaborazione con il Politecnico di Milano, il Politecnico di Torino, l’Università degli Studi di Cagliari, l’Università degli Studi di Ferrara, l’Università IUAV di Venezia 2014 Partecipa con una relazione al convegno “Nuovi Fronti d’Acqua”, organizzato dalla prof.ssa Margherita Vanore, Università IUAV di Venezia Partecipa al convegno ordinato dalla Fondazione Querini Stampalia, “Nel segno di Carlo Scarpa”, con un rapporto sulle proprie opere realizzate nella sede della Fondazione

apparati

103



bibliografia a cura di barbara pastor e alberto zotti

scritti di valeriano pastor Villa a Reggio Emilia (con E. Salvarani), «Casabella-Continuità», 291, settembre 1964, pp. 24-26 Questioni di composizione architettonica. Note a margine di progetto, Cluva, Venezia 1966 Questioni di composizione architettonica: tre soluzioni per un motel, «L’architetto» 12, dicembre 1970, pp. 28-37 Considerazioni sul problema del recupero dell’edilizia nei centri storici, «Spazio e Società», 4, 1976, pp. 33-51 Profilo metodologico della progettazione, in Zibaldone. Rilievo, progetto, disegno. Esperienze di un laboratorio di laurea, a cura di M. Cunico, Cluva, Venezia 1976, pp. 7-26 Flessibilità e reciprocità col contesto. Tre ricerche di progettazione sul tema del quartiere residenziale (con F. Mancuso, G. Zordan), «Spazio e Società», 4, dicembre 1978, pp. 29-71 Le attrezzature urbane di servizio, «La Rivista Veneta», 28-29, 1978 Sette progetti-ricerca, «Spazio e Società», n.s., 4, 1978, pp. 42-51 Centro storico di Treviso, in I centri storici del Veneto, a cura di F. Mancuso, A. Mioni, Silvana Editoriale, Milano 1979, pp. 295-312 Il Centro di Distretto Scolastico di Dolo, «Provincia di Venezia. Mensile d’informazione», 5, 1979, pp. 16-19 Prefazione, in Costituzione, regime dei suoli, espropriazione, a cura di S. Amorosino, Marsilio, Venezia 1980, p. 7

apparati

125


Presentazione, in Progetto Venezia. Ricerche e sperimentazioni sull’area veneziana, a cura di G. Fabbri, Cluva, Venezia 1980, p. 7 Progetto realizzato, a cura di G. Testi, Marsilio, Venezia 1980, pp. 69-116 Introduzione, in Progetti per la città veneta, 1926-1981, catalogo della mostra (Vicenza, Teatro Olimpico, 27 giugno - 22 agosto 1981), Neri Pozza, Vicenza 1981, pp. 8-9 Quattro lavori, in Progetti di Architettura, catalogo della mostra (Venezia, 1981), a cura di M. Scarso, Cluva, Venezia 1981, pp. 177-194 (“Quaderni del Dipartimento”, 6) Presentazione, in 1781-1841, Schinkel l’architetto del principe, catalogo della mostra (Venezia, Salone Napoleonico del Museo Correr, 13 marzo - 9 maggio 1982), a cura dell’Assessorato alla Cultura, Albrizzi-Cluva, Venezia 1982, pp. 7-8 Giuseppe Samonà architetto, in Architetti / Venezia, n. 6 novembre-dicembre, a cura dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Venezia, Venezia 1983, pp. 4-6 Chiesa di S. Trovaso a Treviso, architetti Giorgio Pizzinato e Ferruccio Calzavara, «L’architettura: cronache e storia», 3, marzo 1985, pp. 174-181 Contributo a Ricostruzione e protezione civile, atti del convegno (Longarone, Centro culturale del Comune di Longarone, 6-7 ottobre 1984), a cura del Comune di Longarone e IUAV, Tipografia commerciale, Venezia 1985, pp. 12-26 Identità urbana: limiti e trasformazioni, «Gran Bazaar», 5, aprile-maggio 1985, pp. 47-49 Intervento critico, in Vicenza. Concorso di studi sull’area di piazza Matteotti, a cura dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Vicenza, Neri Pozza, Vicenza 1985, pp. XIII-XIV Intervento introduttivo, in Accessibilità a Venezia, atti del convegno (Venezia, marzo 1982), a cura di P. Montini e P.A. Val, Cluva, Venezia 1985, pp. 11-14 Prefazione, in Per un centro civico. Progetto e spunti metodologici, a cura di E. Molon e A. Tresca, Cluva, Venezia 1985, pp. 7-13 Progetto Arsenale, ambito e sviluppo della ricerca, in Progetto arsenale. Studi e ricerche per l’arsenale di Venezia, catalogo della mostra (Venezia, Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, 15 maggio - 9 giugno 1985), a cura di P. Gennaro e G. Testi, Cluva, Venezia 1985, pp. 7-10 Beni ambientali: modelli di intervento e vincoli, in Brenta e Colli Euganei. Ambiente, paesaggio, economia, atti del convegno (Piazzola sul Brenta - PD, 1986), «Provincia di Padova Informazioni. Periodico della Provincia di Padova», 18, 1986, pp. 15-19 Relazione sui dieci progetti presentati in concorso, in Ridisegnare Venezia. Dieci progetti di concorso per la ricostruzione di Campo di Marte alla Giudecca, catalogo della mostra (Venezia, 1986), Marsilio, Venezia 1986, pp. 115-124

126 apparati


Dalla forma metropoli all’orizzonte transmetropolitano (estratto), in Premio Tercas Architettura 1987. 4a edizione, catalogo della mostra su Valeriano Pastor (Teramo, 25 novembre 5 dicembre 1987), a cura di Centro Tetraktis, Istituto di cultura urbana, Tetraktis, Teramo 1987, pp. 4-9 Introduzione e coordinamento della sessione. Scienza e tecniche del costruire, in Cultura, scienze e tecniche nella Venezia del Cinquecento, atti del Convegno internazionale di studio “Giovan Battista Benedetti e il suo tempo” (Venezia, 1987), a cura dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia 1987, pp. 323-329 Innovazione versus Conservazione, in Il progetto di restauro. Interpretazione critica del testo architettonico, a cura di S. Boscarino, Comitato Giuseppe Gerola, Trento 1988, pp. 41-50 Punti di vista sulla pubblicazione del concorso per il progetto di sistemazione dell’ex-cotonificio a sede universitaria, in Università e progetto. Progetti per l’ex-cotonificio di Venezia, catalogo della mostra (Venezia, 1988), a cura di G. Bolzani e S. Paolini, Cluva, Venezia 1988, pp. 7-14 Sull’operare, «Anfione e Zeto», 0, 1988, pp. 176-181 Alcuni motivi del progetto, «Anfione e Zeto», 1, 1989, pp. 39-90 Comporre-distinguendo (con M. Cacciari), «Anfione e Zeto», 1, 1989, pp. 194-202 Dalla forma metropoli all’orizzonte transmetropolitano, in La città oltre la metropoli, a cura dell’Università Internazionale dell’Arte, Venezia 1989, pp. 127-138 I materiali del progetto, «Anfione e Zeto», 1, 1989, pp. 91-115 Presentazione, in Le potenzialità trasformative di un luogo, a cura di E. Salvi e D. Sandri, Cluva, Venezia 1989, pp. 7-10 Biagio Garzena e gli anni di Albini a Venezia, «Atti e rassegna tecnica della Società degli ingegneri e degli architetti in Torino», XLIV, 8-9, agosto-settembre, 1990, pp. 291-296 Il progetto di modificazione dell’uso, in Restauro architettonico. Il tema dell’uso, a cura di N. Pirazzoli, Comitato Giuseppe Gerola, Trento 1990, pp. 53-66 Introduzione al Convegno di Scienza e Beni Culturali. Bressanone ’90, in Superfici dell’architettura. Le finiture, atti del convegno (Bressanone, 26-29 giugno 1990), a cura di G. Biscontin e S. Volpin, Libreria Progetto, Padova 1990, pp. 725-738 Cassa Rurale e Artigiana di Campiglia dei Berici, in La tensione del fare. Il tema e le sue variazioni. Intorno alla mostra su Albini, Sandri, Pastor, a cura di M. Petranzan e U. Tubini, Pagus, Paese (TV) 1991, pp. 41-60 Il nuovo tessuto storico, in La tutela come revisione dei valori culturali: esperienze attuali di restauro architettonico in Italia e nella Repubblica Federale Tedesca, atti del convegno (Colonia, 13-15 marzo 1987), a cura di B. Kohlenbach, S. Scarrocchia, R. Spelta, Cluva, Venezia 1991, pp. 121-137 apparati

127


Finito di stampare nel mese di marzo 2017 per conto della casa editrice Il Poligrafo presso la Papergraf di Piazzola sul Brenta (Padova)



valeriano pastor tracce

valeriano pastor dissonanze valeriano pastor de querini stampalia nel segno di carlo scarpa valeriano pastor l’arsenale di venezia progetti tentativo valeriano pastor dell’ospedale di larino una lettura in breve




Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.