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ITALIA DIGITALE

Che impatto ha avuto il virus sull’ economia globale e su quella del nostro Paese in particolare? Nel corso di una recente Web Conference organizzata da The Innovation Group alcuni interventi hanno portato un contributo importante alla comprensione della dimensione epocale dei fenomeni in atto.

IL DIGITALE STABILIZZA L’ECONOMIA

Come e quanto il Covid-19 ha cambiato l’economia? Si può parlare di una vera e propria “economia del virus”? Questi e altri importanti temi sono stati trattati nel corso di “Tecnologie per chiudere l’emergenza e per far decollare la ripresa - AI, Big Data, App, Robotics, Blockchain”, tenutasi in forma digitale il 30 giugno. Per primo il Professor Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di strategia d’Impresa ed Economia Aziendale in Sda Bocconi, è partito dalla constatazione che il virus ha determinato sia la più grave recessione degli ultimi 150 anni insieme a quella delle guerre, sia la maggior iniezione di stimoli finanziari, sia il più grande aumento del debito mondiale (+ 17.000 miliardi dollari). Contemporaneamente si è realizzata una forte accelerazione di una tendenza che ha caratterizzato in particolare gli ultimi 20 anni, lo spostamento strutturale degli investimenti verso l’economia degli intangibili. In pratica, 10 anni fa per relazionarci andavamo in macchina e consumavamo benzina. Gli ultimi 10 anni invece hanno sconvolto l’economia mondiale. La capitalizzazione delle aziende del digitale, caratterizzate da asset essenzialmente intangibili, ha ecceduto di gran lunga quelle dell’oil & gas, e sempre più ci relazioniamo in forma digitale: l’emergenza del virus ha estremizzato questa tendenza, e fatto sì che l’intermediazione prima affidata alla logistica sia passata ora alla logistica digitale. Secondo Carnevale Maffè, il virus ha stabilito quindi una intermediazione tecnologica universale. Seguendo questa tesi, lo shock economico non sarebbe tuttavia dovuto al virus, ma all’inadeguatezza e all’impreparazione delle istituzioni, della politica e delle imprese: è la differenza nella propensione all’utilizzo della tecnologia per la prevenzione e dei relativi modelli organizzativi che spiega il motivo per cui la Corea prevede una flessione del PIL del 2% contro la forchetta del -8/14% dell’Italia, mentre il virus è evidentemente lo stesso. Altro mito da sfatare è quello che il virus avrebbe segnato un punto di arresto della globalizzazione: mentre infatti il mercato globale dei prodotti ha subito certamente un arresto, quello dei servizi, appoggiati

sul digitale, è rimasto stabile. Il digitale avrebbe quindi svolto il ruolo di grande stabilizzatore dell’economia, e anzi starebbe contribuendo a favorire una riduzione generalizzata dei prezzi (esempio Amazon per l’e-commerce), trasformando l’inflazione in deflazione.

Le politiche pubbliche per il sostegno dell’innovazione tecnologica

Marco Bentivogli, Segretario Generale di Fim-Cisl, coerente con quella che ha definito la sua “crociata contro la tecnofobia”, ha sottolineato il ruolo delle tecnologie digitali non solo nel limitare i danni del lock-down, ma nel sostegno della ripartenza delle imprese. L’autunno determinerà una severa selezione di persone, ma anche di aziende (34% delle aziende associate a Federmeccanica hanno annunciato riduzioni di personale). E le aziende che supereranno questo punto di svolta saranno quelle che riusciranno ad affrontare, attraverso tecnologie e forme di organizzazione innovative, le proprie vulnerabilità. Essenziale sarà ad esempio superare le vulnerabilità evidenziate dall’emergenza rispetto alle filiere, per uscire dal fiato corto delle filiere regionali, tracciando non solo i prodotti, ma la sostenibilità delle produzioni attraverso strumenti come ad esempio la blockchain. Molta attenzione va rivolta alle politiche pubbliche. Qui Bentivogli ha osservato che risultati importanti sono stati ottenuti fino al 2019 nell’investimento in tecnologie grazie all’effetto di trascinamento degli sgravi fiscali e dell’iper-ammortamento dovuti a Industria 4.0, e ha lamentato che l’articolo 52 sulla transizione tecnologica sia stato tra i primi ad essere cassati nella discussione sul decreto rilancio, anche se ha riconosciuto gli sforzi del Ministro Patuanelli per tentare di riesumarlo. Punto centrale delle politiche pubbliche per Bentivogli deve essere un grande piano di re-skilling per rifondare la formazione professionale in Italia, sviluppando

Roberto Masiero

una formazione di tipo nuovo, che sappia adattarsi alle persone. Ha poi ricordato la proposta avanzata con Alfonso Fuggetta per costruire la Rete Nazionale dell’Innovazione sulla base di una partnership pubblico -privato sul modello del Fraunhofer Institute. Questo modello dovrebbe tuttavia calarsi sulla realtà del tessuto produttivo del nostro paese, fatto di Pmi e microimprese isolate che rischiano di perdere definitivamente il treno dell’innovazione tecnologica. In un Pese dove non esistono quasi più distretti industriali né sistemi locali, ormai agglomerati intorno alle grandi reti di infrastrutture, occorre costruire a livello territoriale ecosistemi digitali ovunque, in cui si costruiscano patti per l’accelerazione tecnologica, perché l’innovazione arrivi alle piccole imprese e accresca le competenze del territorio. Servono dunque politiche pubbliche che accompagnino il processo di aggregazione del tessuto industriale.

Il tema dell’execution

Sul tema delle politiche pubbliche è tornato Stefano Firpo di Intesa Sanpaolo, per cui la pandemia ha rappresentato una grande wake-up call per il nostro Paese e sulle direttrici delle scelte per il suo sviluppo futuro. Gli ultimi 20 anni infatti sono stati caratterizzati da performance drammatiche della produttività del lavoro e del capitale in Italia, con un modello basato sulla crescita di settori a basso valore aggiunto, su comparti protetti, su microimprenditorialità a bassissimo contenuto tecnologico protetta e sostenuta. Si è scelto di investire su uno sviluppo industriale basato sull’incremento della capacità produttiva invece che sull’intensificazione dei processi produttivi, sui capannoni invece che sulla dematerializzazione. A questo proposito Firpo ha ricordato la lezione dell’economista Enrico Moretti, secondo cui anche in un Paese basato su “camerieri e turisti” l’economia può prosperare, ma solo a condizione che i suoi cittadini abbiano un reddito alto: condizione che evidentemente non sussiste più da noi nella fase post-Covid. L’unica economia che può creare veramente occupazione è quella in cui la tecnologia crea ricchezza e occupazione, che vanno a beneficio anche dei settori a basso valore aggiunto (riaffiora qui il concetto di digitale come grande stabilizzatore dell’economia di Carnevale Maffè).

Quali politiche pubbliche?

Certamente non quelle viste negli ultimi 20 anni, orientate a bonus fiscali finalizzati alla crescita di capacità produttiva e alla protezione delle rendite in determinati settori. Servono strumenti fiscali orizzontali, più capaci di stimolare innovazione e digitalizzazione. Bisogna lavorare sul piano 4.0, che è stato rivisto anche in chiave positiva ma in cui le aliquote ridotte rendono il beneficio fiscale poco appetibile. E bisogna lavorare per costruire la rete dei centri di trasferimento tecnologico e su veri e propri programmi di politica industriale, anche considerando che l’Europa sta cambiando paradigma: ha sempre spinto sull’integrazione del mercato, ora invece sta spingendo su politiche di integrazione rivolte non tanto ai settori quanto alle filiere, su cui noi ci giochiamo buona parte della nostra competitività.

Roberto Masiero

LA PANDEMIA SPINGE LA BANCA DEL FUTURO

Il digitale era già nell'agenda delle banche prima dell’emergenza sanitaria. Il recente distanziamento sociale ha però fatto da acceleratore all’adozione delle nuove tecnologie anche da parte di chi era più restio a modificare le proprie abitudini. Questa “forzatura” ha avuto delle conseguenze che saranno irreversibili.

L’ utilizzo dei canali digitali nel 2019 secondo Banca d’Italia ha riguardato circa l’80% dei clienti delle banche italiane e questo significa costi sensibilmente inferiori per gli istituti (la gestione di un conto on line costa circa il 20% di quella di un conto tradizionale). Anche l’offerta di servizi on line si è ampliata: le quote di banche che offrono servizi di pagamento mobili, gestione del risparmio e credito retail sono aumentate al 65, 64 e 37%, rispettivamente. Ancora limitata al 16% è la percentuale di banche che offrono servizi on line di finanziamento alle imprese, una carenza questa che è apparsa evidente proprio durante l’emergenza e il lockdown che ha costretto le banche a gestire con difficoltà un picco di attività per le richieste legate ai decreti liquidità del Governo. Limitati risultano anche gli investimenti in innovazione digitale con Fintech : considerando 120 banche, secondo una indagine recente di Banca D’Italia, essi sono stati circa 620 milioni negli ultimi 3 anni e molto focalizzati su applicazioni mobili generati dall’entrata in vigore della Psd2. Altro aspetto evidente è che è ancora limitato il valore economico estratto dall’aumento di redditività attraverso la riduzione dei costi di produzione e distribuzione dei servizi e la realizzazione di economie di scala e di diversificazione. I costi marginali di produzione e distribuzione, sempre secondo Banca d’Italia nel periodo 2006- 2017 per servizi standardizzati come pagamento e depositi, diminuiscono al crescere dei volumi con l’utilizzo spinto ed esteso del digitale. Rimangono ancora contenuti le economie di scala per servizi di erogazione dei prestiti e di gestione del risparmio dove la digitalizzazione è ancora poco estesa. Questo processo di trasformazione digitale ha permesso all’industria bancaria di rendere più efficienti i processi dispositivi, abilitando l’operatività a distanza dei clienti e trasferendo la transnazionalità bancaria su canali meno costosi da gestire. L’emergenza coronavirus ha reso evidente quindi un trend già ormai consolidato nelle banche dell’utilizzo di canali digitali per servire i clienti e sicuramente lo accelererà. I servizi bancari durante il lockdown sono stati considerati servizi essenziali e le banche hanno ridotto drasticamente gli orari di servizi delle filiali. La visita dei clienti è ancora oggi spesso solo per appuntamento. Il Covid-19 ha

anche accelerato lo spostamento sul digitale di segmenti della clientela prima più restii all’utilizzo dei servizi online e di pagamenti contact-less.

I trend comportamentali

Si possono identificare alcuni trend comportamentali che potranno costituire dei cambiamenti permanenti nelle abitudini dei clienti bancari. Primo tra tutti il declino dell’utilizzo del cash: durante lo shutdown c’è stato una diminuzione radicale di prelievi da Atm e di pagamenti anche in generale e le restrizioni ancora in corso incentiveranno anche in futuro l’utilizzo minore del cash. Inoltre, la crescita a 2 cifre dell’utilizzo dell’e-commerce con pagamenti digitali e on line ha permesso anche a clienti over 60 di utilizzare servizi on line. Poi c’è l’utilizzo dell’Online banking. Come già ricordato questo è cresciuto significativamente per l’impossibilità di contatti sui canali fisici e si stimano che siano dal 15 al 20% i first-time user. Ancora, l’utilizzo di del web per la comunicazione: video conferencing e altri strumenti digitali sono diventati popolari come mezzi di contatto con i clienti. Microsoft e altre piattaforme come Zoom hanno visto crescere il loro utilizzo in modo esponenziale. Non secondario è anche il fenomeno del social distancing: resterà un comportamento utile fino a quando non si avrà disposizione un vaccino ma è plausibile che maggiore cautela rimarrà nelle abitudini dei clienti e che impatterà sui format e sull’utilizzo più flessibile delle agenzie. Impattante è anche lo smart working: molte delle banche erano già attrezzate ma hanno dovuto in emergenza estendere l’utilizzo del lavoro da remoto a una popolazione di utenti molto più grande e in alcuni casi con processi operativi che hanno mostrato dei gap da colmare con il digitale un inevitabile impatto nel processo di rientro graduale ci sarà sulla capacità e necessità di avere facilities e uffici sia periferici sia centrali, non pensati per garantire la nuova normalità del lavoro. Infine, il declino degli sportelli tradizionali: questo era ed è un processo inevitabile e si prevede una loro diminuzione ma anche una evoluzione del loro ruolo che è tutto da disegnare riguardo ad alcuni processi bancari che cambieranno in base alla maturazione de comportamenti dei clienti Oggi i tempi sono maturi per una seconda fase di questo processo, ancora più innovativa, che metta al centro il cliente, le sue esigenze, e la sua relazione con la banca spinto anche dalla evoluzione e maturazione veloce che la crisi ha permesso e resi evidente. L’utilizzo degli strumenti tecnologici in maniera sinergica rispetto alla relazione fisica può rafforzare il rapporto tra banca e cliente, moltiplicando le occasioni di contatto e di informazione, oltre che semplificando l’operatività. La sfida sarà coniugare in modo efficace relazione e digitalizzazione, facendo percepire in ogni momento al cliente la vicinanza della banca e la comprensione delle sue esigenze, in una relazione ibrida fisica/digitale identificata da molti con il temine “phygital”. Molte banche non hanno ancora completato la digitalizzazione end-to-end di processi sia di front-end che di back-office per dall’onboarding alla apertura di conti e finalizzazione di transazioni e contratti per prodotti e servizi più complessi come finanziamenti o investimenti. In tal caso quando questi customer journey digitali si sono rotti e non possono essere completati online interviene o il call center o la rete distributiva. per supportare i clienti. Con il crescere della maturità digitale delle banche e con la capacità di affrontare in modo innovativo l’automazione intelligente di processi bancari anche per servizi più complessi sarà possibile lasciare alla rete le attività più a valore per la relazione con il cliente. Mutui e in generale i servizi di investimenti erogati da banche o

Ezio Viola

reti di promotori rimarranno centrati sul supporto al cliente attraverso il consulente che comunica anche da remoto sia da casa o dalle filiali. Inoltre, l’utilizzo del cash con la possibilità depositare o prelevare cash sia da Atm sia presso le filiali rimarrà ancora necessaria per alcune tipologie di clienti retail e imprese. Per tutte le linee di servizi bancari alcune banche stanno spostando sul digitale le attività più gestionali e operative, lasciando alla relazione personale quelle dove il fattore umano è in grado di aggiungere valore. Questo, oltre a consentire maggiore efficienza, permette di erogare un miglior servizio alla clientela. In questo processo, le filiali bancarie, tradizionalmente a supporto delle attività dispositive del cliente, devono diventare un punto di accesso ai servizi a valor aggiunto, che richiedono un maggior livello di specializzazione. Nell’industria finanziaria, il digitale ha già un ruolo di primo piano nei piani industriali dei principali operatori, ma la sua rilevanza strategica è sicuramente destinata a rafforzarsi ulteriormente nel post emergenza, anche come fattore di supporto alle attività che le banche saranno chiamate asvolgere per la ripresa del Paese. Sono questi alcuni dei temi che The Innovation Group affronterà nella versione digital del prossimo Banking Summit l’8 e 9 ottobre.

Ezio Viola

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