Enrico Maria Dal Pozzolo
Lorenzo Lotto
Enrico Maria Dal Pozzolo insegna Storia dell’Arte Moderna presso l’Università di Verona. Si occupa in particolare di pittura italiana di età rinascimentale e barocca. Ha scritto volumi su vari artisti (Lotto, Giorgione, Bonconsiglio, Peterzano, El Greco) e su temi iconografici, di storia del mercato dell’arte e della falsificazione. Ha curato mostre a Venezia (Palazzo Ducale, Museo Correr), Roma (Palazzo Venezia, Castel Sant’Angelo), Madrid (Prado) e Londra (National Gallery).
Catalogo generale dei dipinti
Negli ultimi decenni, su Lorenzo Lotto si sono moltiplicati gli studi, anche in virtù di un’intensa offerta espositiva, in Italia e all’estero. Tuttavia, l’ultimo catalogo completo dei suoi dipinti, pubblicato da Rodolfo Pallucchini e Giordana Mariani Canova, risale al 1975. Nel frattempo, la bibliografia sull’artista si è enormemente ampliata, ci si è avvalsi di nuove tecniche e di nuovi metodi interpretativi e sono riemerse molte opere, anche importantissime, sconosciute o dimenticate. Questo volume offre, nella forma dei catalogues raisonnées, uno strumento aggiornato sui dipinti attribuiti al maestro (ripartiti in varie sezioni: autografi, dubbi, di bottega, espunti, perduti e copie da originali perduti), che vengono inoltre analizzati sulla base di un regesto documentario completo e di un ricchissimo apparato illustrativo.
Skira
€ 95,00
Enrico Maria Dal Pozzolo
Lorenzo Lotto CATALOGO GENERALE DEI DIPINTI
Lorenzo Lotto. Catalogo generale dei dipinti
Enrico Maria Dal Pozzolo
Lorenzo Lotto CATALOGO GENERALE DEI DIPINTI con la collaborazione di Raffaella Poltronieri e di Valentina Castegnaro e Marta Paraventi
In copertina Nozze mistiche di santa Caterina d’Alessandria, con un angelo, alla presenza di Nicolò Bonghi, 1523 (I.51, particolare) Pagina 2 Ritratto di giovane malinconico, 1532 circa (I.91, particolare) Design Marcello Francone Coordinamento editoriale Emma Cavazzini Redazione Cinzia Morisco Impaginazione Barbara Galotta Ricerca iconografica Paola Lamanna
Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore © 2021 Regione Marche © 2021 Skira editore, Milano Tutti i diritti riservati ISBN: 978-572-88-3999-6 Finito di stampare nel mese di dicembre 2021 a cura di Skira editore, Milano Printed in Italy www.skira.net
“Fu suo compagno et amico dimestico Lorenzo Lotto pittor veniziano, che dipinse a olio in Ancona la tavola di Santo Agostino, e lavorò in Vinegia infinite pitture. Ritrasse Andrea degli Odoni, che in Vinegia ha la sua casa molto adornata di pitture e di sculture. Fece ancora nel Carmino di detta città, alla cappella di San Niccolò, una tavola; et in San Gianni e Polo quella di Santo Antonino arcivescovo di Fiorenza, et infinite altre cose che si veggono per Venezia. Fu tenuto molto valente nel colorito, leccato e pulito nella gioventù; e dilettossi di finire le cose sue.” Giorgio Vasari, Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue, insino a’ tempi nostri, per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550 [Vita di Jacopo Palma il Vecchio]
“Fu compagno et amico del Palma, Lorenzo Lotto pittor veniziano, il quale avendo imitato un tempo la maniera de’ Bellini, s’appic[c]ò poi a quella di Giorgione, come ne dimostrano molti quadri e ritratti che in Vinezia sono per le case de’ gentiluomini. In casa d’Andrea Odoni è il suo ritratto di mano di Lorenzo, che è molto bello; et in casa Tommaso da Empoli fiorentino è un quadro d’una Natività di Cristo finta in una notte, che è bellissimo, massimamente perché vi si vede che lo splendore di Cristo con bella maniera illumina quella pittura, dove è la Madonna ginocchioni, et in una figura intera che adora Cristo ritratto Messer Marco Loredano. Ne’ Frati Carmelitani fece il medesimo in una tavola San Niccolò sospeso in aria et in abito pontificale, con tre Angeli, et a’ piedi Santa Lucia e San Giovanni: in alto certe nuvole, et abbasso un paese bellissimo con molte figurette et animali in varii luoghi; da un lato è San Giorgio a cavallo che amazza il serpente, e poco lontana la donzella, con una città appresso et un pezzo di mare. In San Giovanni e Paulo, alla capella di Santo Antonio arcivescovo di Firenze, fece Lorenzo in una tavola esso Santo a sedere con due ministri preti, e da basso molta gente. Essendo anco questo pittore giovane et imitando parte la maniera de’ Bellini e parte quella di Giorgione, fece in San Domenico di Ricanati la tavola dell’altar maggiore partita in sei quadri. In quello del mezzo è la Nostra Donna col Figliuolo in braccio che mette per le mani d’un Angelo l’abito a San Domenico, il quale sta ginocchioni dinanzi alla Vergine; et in questo sono anche due putti che suonano, uno un liuto e l’altro un ribechino. In un altro quadro è San Gregorio e Santo Urbano papi, e nel terzo San Tommaso d’Aquino et un altro Santo che fu vescovo di Ricanati. Sopra questi sono gl’altri tre quadri: nel mezzo, sopra la Madonna, è Cristo morto sostenuto da un Angelo, e la Madre che gli bacia un braccio e Santa Madalena; sopra quello di San Gregorio è Santa Maria Madalena e San Vincenzio; e nell’altro, cioè sopra San Tommaso d’Aquino, è San Gismondo e Santa Caterina da Siena. Nella predella, che è di figure piccole e cosa rara, è nel mezzo quando Santa Maria di Loreto fu portata dagl’Angeli dalle parti di Schiavonia là dove ora è posta; delle due storie che la mettono in mezzo, in una è San Domenico che predica, con le più graziose figurine del mondo, e nell’altra papa Onorio che conferma a San Domenico la Regola. È di mano del medesimo in mezzo a questa
chiesa un San Vincenzio frate lavorato a fresco; et una tavola a olio è nella chiesa di Santa Maria di Castelnuovo con una Trasfigurazione di Cristo e con tre storie di figure piccole nella predella: quando Cristo mena gl’Apostoli al Monte Tabor, quando òra nell’orto, e quando ascende in cielo. Dopo queste opere, andando Lorenzo in Ancona quando apunto Mariano da Perugia avea fatto in Santo Agostino la tavola dell’altar maggiore con un ornamento grande, la quale non sodisfece molto, gli fu fatto fare per la medesima chiesa, in una tavola che è posta a mezzo, la Nostra Donna col Figliuolo in grembo e due Angeli in aria, che scortando le figure incoronano la Vergine. Finalmente, essendo Lorenzo vecchio et avendo quasi perduta la voce, dopo aver fatto alcune altre opere di non molta importanza in Ancona, se n’andò alla Madonna di Loreto, dove già avea fatto una tavola a olio, che è in una capella a man ritta entrando in chiesa; e quivi risoluto di voler finire la vita in servigio della Madonna et abitare quella santa Casa, mise mano a fare istorie di figure alte un braccio e minori intorno al coro, sopra le sedie de’ sacerdoti. Fecevi il nascere di Gesù Cristo in una storia, e quando i Magi l’adorano in un’altra; il presentarlo a Simeone seguitava; e dopo questa, quando è batezzato da Giovanni nel Giordano; eravi la adultera condotta inanzi a Cristo, condotte con grazia. Così vi fece dua altre storie copiose di figure: una era Davit quando faceva sagrificare, et in l’altra San Michele Arcangelo che combatte con Lucifero, avendolo cacciato di cielo. E quelle finite, non passò molto che, come era vivuto costumatamente e buon cristiano, così morì, rendendo l’anima al Signore Dio. I quali ultimi anni della sua vita provò egli felicissimi e pieni di tranquillità d’animo, e che è più, gli fecero, per quello che si crede, far acquisto dei beni di vita eterna: il che non gli sarebbe forse avenuto se fusse stato nel fine della sua vita oltre modo inviluppato nelle cose del mondo, le quali, come troppo gravi a chi pone in loro il suo fine, non lasciano mai levar la mente ai veri beni dell’altra vita et alla somma beatitudine e felicità.” Giorgio Vasari, Le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, appresso i Giunti, Firenze 1568 [Vita di Jacomo Palma e Lorenzo Lotto pittori viniziani]
Sommario
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INTRODUZIONE Un nuovo catalogo ragionato dei dipinti di Lorenzo Lotto: premesse, finalità, funzioni
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Avvertenza
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PARTE I Lorenzo Lotto pittore
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Regesto biografico
96 458 465 472 480 510
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PARTE II CATALOGO DEI DIPINTI I: Dipinti autografi II: Dipinti dubbi III: Dipinti di bottega e stretta cerchia IV: Copie da originali perduti V: Dipinti espunti VI: Dipinti perduti o non individuabili con certezza PARTE III APPARATI Bibliografia
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Didascalie delle illustrazioni di confronto della sezione I (Dipinti autografi)
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Indici dei nomi e delle opere
A mia madre Gemma Donata e a mio padre Michele, per l’amore intelligente che mi hanno donato
Un nuovo catalogo ragionato dei dipinti di Lorenzo Lotto: premesse, finalità, funzioni
A partire dalla prima monografia di Bernard Berenson – apparsa nel 1895 a New York per G.P. Putnam’s Sons, con il titolo Lorenzo Lotto. An Essay in Constructive Art Criticism – a Lotto sono stati dedicati molti volumi. Tra questi assai pochi sono i cataloghi ragionati che riportano la totalità delle opere riferibili al maestro e informazioni complementari su quelle dubbie o non ritenute congrue. In genere si tratta di sintesi con più o meno ampie selezioni dei capisaldi del pittore, che nel corso del XX secolo fu oggetto di una crescente fortuna critica, collezionistica, espositiva ed editoriale. Com’è noto, quel primo lavoro di Berenson fu da subito riconosciuto come una pietra miliare della moderna storiografia, in quanto seppe rivelare con sorprendente profondità analitica un protagonista del Cinquecento italiano fino a quel momento dimenticato e, per vari aspetti, divergente rispetto alle figure più celebri. Di lì le riedizioni quasi immediate del 1901 a Londra, per George Bell & Sons (Revised Edition with Additional Illustrations), e del 1905, per lo stesso editore (Revised Edition with Sixty-four Illustrations); ma anche la confezione di vademecum tascabili come quello nella collana “Gowans’s Art Books” (1909) in cui, non a caso, si ribadiva la dipendenza dalla ricostruzione berensoniana (“in making the selection for this volume, Mr. Berenson’s ‘Lorenzo Lotto’, London 1905, has been followed”). Per molti decenni il lavoro pionieristico di Berenson venne percepito come insuperabile, divenendo canonico e inibendo ulteriori tentativi di riconsiderare globalmente la questione. Da parte sua, nei decenni successivi il critico di origini lituane si limitò ad aggiornare il corpus delle opere lottesche entro gli elenchi delle Pitture italiane del Rinascimento (apparsi in edizione inglese nel 1932, e poi in quella italiana, aggiornata, nel 1936), dove gli accreditava circa centosessanta dipinti. Al di là dei saggi pubblicati in riviste specializzate e di qualche volumetto dedicato a lavori specifici, tra il 1905 e il 1952 si registra una sola monografia generale sul pittore: quella, breve e piuttosto debole, di Luigi Chiodi edita da Tumminelli nel 1942, che pure si dimostrava fortemente in debito nei confronti della sistemazione berensoniana. Una svolta si ebbe nel 1953, quando Pietro Zampetti organizzò a Palazzo Ducale a Venezia una mostra monografica in cui sostanzialmente fu esposto tutto quello che di Lorenzo si poteva esporre (108 dipinti e 9 disegni). La rassegna ebbe un grande successo e del catalogo si stamparono due edizioni. Ma attorno a quell’evento ruotarono numerose iniziative editoriali che richiamarono sull’artista alcuni dei migliori specialisti della pittura veneta del XVI secolo. In questa luce si pongono i libretti divulgativi di Rodolfo Pallucchini per l’editore Martello di Milano (che dichiarava il solo scopo di “essere un promemoria del colore lottesco”) e di Terisio Pignatti per la “Biblioteca Moderna Mondadori” (in cui peraltro si riproducevano 147 figure in bianco e nero); ma soprattutto i volumi, con finalità ben più ambiziose, di Luigi Coletti, per l’Istituto Italiano d’Arti Grafiche, e di Anna Banti e Antonio Boschetto, per Sansoni. Questi ultimi erano rispettivamente moglie e segretario di quel Roberto Longhi che in più occasioni aveva rimarcato la peculiarità della posi11
zione lottesca nel panorama italiano dell’epoca, additandolo tra le personalità più originali e tra i precursori del naturalismo caravaggesco. Il lavoro di Banti e Boschetto si qualificava nei termini di un catalogo ragionato “classico”, essendo costituito da un lungo saggio introduttivo di Banti – in cui proponeva un’interpretazione personale e poetica dell’arte del veneziano – e dalla sezione delle schede predisposte da Boschetto, relative a dipinti autografi (145), apocrifi o incerti (circa 78) e perduti (circa 50), nonché ai disegni (22). Fu però con l’uscita della monografia aggiornata di Berenson che la situazione storiografica venne smossa così pesantemente da risultare quasi sconvolta. In previsione della mostra veneziana del 1953, l’anziano critico era stato sollecitato ad aggiornare il lavoro del 1895/1901/1905. Tuttavia, come confessò nella premessa del volume – apparso per Electa nel 1955 – si era trovato in enorme difficoltà, non solo perché le sue capacità di lavoro non erano più quelle della giovinezza, ma soprattutto a causa della quantità di materiale che in quel mezzo secolo aveva accumulato sul maestro. Migliaia di fotografie (che ancora oggi si possono consultare nella meravigliosa sede di Villa I Tatti a Settignano) lo avevano posto di fronte a problemi spesso insolubili, emersi uno dopo l’altro durante la scrittura delle duecentocinquantadue pagine del nuovo libro. Redatto con l’aiuto della sua giovane assistente Luisa Vertova, esso non presentava una sezione con schede tecniche e scientifiche, ma un lungo ragionamento di quadro in quadro. Era una revisione lucidissima, speciale per la capacità dell’autore di voler “raccontare” con semplicità (come si direbbe oggi) centinaia e centinaia di opere spesso di difficile reperimento e interpretazione. Il risultato fu però in una certa misura contraddittorio, in quanto restituiva l’immagine di un artista eccessivamente proteiforme, al quale venivano attribuiti troppi quadri e disegni che oggi risultano palesemente incongrui. Evidentemente il vecchio critico non se l’era sentita di accantonare parte del materiale raccolto negli anni, forse per il timore di perdersi qualche passaggio cruciale dell’intricato tragitto lottesco: finì così per adottare un criterio attribuzionistico, per così dire, “di manica larga”. A dispetto dell’autorevolezza all’epoca leggendaria dello studioso, tale eccesso di ottimismo fu subito riconosciuto da chi – come Bianconi – nel medesimo 1955 si trovò a dover confezionare un più agile catalogo ragionato del maestro, che venne impostato sulla base di un criterio “restrizionistico”, relegando in una coda implicitamente negativa molte delle ultime proposte di Berenson e Coletti. D’altra parte la ricerca berensoniana non si fermò all’edizione italiana del 1955. La risonanza di tale lavoro fece sì che a essa seguirono le edizioni inglese del 1956 e tedesca del 1957, in ognuna delle quali egli aggiunse ulteriori tasselli, non di rado modificando opinioni dichiarate nel 1955 (basti, a titolo di esempio, il caso alla scheda IV.2). Si trattò pertanto di un dilatato e quasi disperato work in progress (che implica la necessità, per chiunque oggi intenda confrontarsi con il pensiero berensoniano dedicato a Lorenzo, di consultare tutte e tre le edizioni), al quale lo studioso attribuì un significato particolare, perché sapeva benissimo che – a più di novant’anni compiuti – offriva i suoi ultimi sguardi sul maestro prediletto. Tale instabilità catalogica riscontrabile nelle differenti edizioni pose da subito qualche problema (anche commerciale: si veda il caso del San Girolamo alla scheda III.1), e si potrebbe dire che la lisca del corpus lottesco – che sorregge la carne che sostanzia le monografie del 1955/1956/1957 – paradossalmente si ritrova nell’elenco delle opere di Lorenzo contenuto negli Indici della Scuola veneta, che apparvero nel 1957 in edizione inglese e l’anno seguente in edizione italiana (anche questa curata e rivista da Luisa Vertova). Fu proprio quest’ultimo a rispecchiare l’idea dell’insieme della produzione pittorica lottesca che il critico lituano aveva definito poco prima della morte, occorsa nel 1959. Se negli anni sessanta si registra l’uscita del primo saggio monografico sull’intricatissimo problema dei disegni, licenziato nel 1965 dal grande specialista britannico Philip Pouncey per 12
Neri Pozza, e un’agile “introduzione” ai dipinti di Lotto curata da Terisio Pignatti nel 1965 per La Scuola Editrice, fu solo nel 1975 che apparvero i due “cataloghi ragionati” che ancora oggi vengono utilizzati in quanto tali. Il primo era il settantanovesimo numero della diffusissima collana dei “Classici dell’arte” Rizzoli: a confezionarlo furono Rodolfo Pallucchini, autore di una densa introduzione, e Giordana Mariani Canova, alla quale spettò il compito di redigere le 405 brevi schede del catalogo, 274 delle quali dedicate ai dipinti ritenuti autografi. Il secondo fu quello di Flavio Caroli, che compose un volume impostato su una visione del maestro quale anticipatore della moderna ricerca psicanalitica, con una schedatura non integrale, in vero molto simile a quella di Mariani Canova (poi riproposta – con un ampliamento e aggiornamento delle schede a cura di Marinella Pigozzi – nella riedizione dello stesso testo di cinque anni dopo). Il 1980 della seconda edizione del libro di Caroli era l’anno in cui si celebrava il quinto centenario della nascita del pittore. Furono molte le iniziative di studio che in tale frangente apportarono preziosi contributi alla sua conoscenza. In particolare si organizzarono tre convegni nei luoghi operativi dell’artista: nel Veneto (ad Asolo e Treviso), a Bergamo e nelle Marche (a Urbino). Animatore di queste e altre iniziative fu Pietro Zampetti, che prima ancora della mostra veneziana del 1953 e quasi fino alla morte (2011) spese infinite energie nella ricerca delle opere e dei documenti che potevano arricchire il profilo artistico e biografico del maestro. Proprio in quei tempi egli era alle prese con la preparazione di un’esposizione dedicata alla sua produzione marchigiana: Lorenzo Lotto nelle Marche. Il suo tempo, il suo influsso. Svoltasi ad Ancona in tre diverse sedi (nelle chiese del Gesù e di San Francesco alle Scale e nella Loggia dei Mercanti), fu di indiscutibile rilevanza per solidità d’impianto, quantità di prestiti e materiali di confronto: tuttavia – come rimarcò Federico Zeri in un commento a mostra e catalogo (1982) – paradossalmente dimostrò che l’influsso di Lotto nelle Marche era stato “assai scarso e irrilevante”. Convegni e mostre stimolarono una stagione di studi feconda, che vide venire alla luce, ad esempio, la monografia breve ma densa di Giorgio Mascherpa (Invito a Lorenzo Lotto, 1980), i volumi di Francesca Cortesi Bosco sugli affreschi nell’Oratorio Suardi a Trescore (1980) e sulle tarsie nel coro di Santa Maria Maggiore a Bergamo (1987), nonché il libro di Augusto Gentili sulla fase iniziale, fino al 1512 (I giardini di contemplazione, 1985). Ma si trattava sempre di approfondimenti su opere, momenti o aspetti specifici della sua produzione (si veda il résumé bibliografico proposto da Giani, 1996) e, da allora a oggi, solo due “non specialisti” hanno approntato un tentativo minimo di aggiornamento catalogico generale, in due monografie dal carattere prettamente divulgativo. Della prima (del 1996) fu responsabile Jacques Bonnet – editore e giornalista parigino, con alle spalle lavori su Panofsky e Focillon – che concludeva la sua analisi dei dipinti di Lorenzo con un elenco di 145 pezzi da lui considerati autografi e 27 microschede dedicate a quelli dubbi. La seconda apparve nel 2001 e (lievemente ampliata) nel 2002, all’interno della collana “In presa diretta” dell’editore Electa: in questa seconda edizione Carlo Pirovano presentava una sessantina di brevi schede dedicate ai capolavori dell’artista, in coda alle quali stendeva un elenco di opere a suo avviso autografe (172, comprensive però anche delle tarsie di Bergamo). Si capisce bene che non era certo quello che serviva per ridefinire organicamente il problema del corpus pittorico lottesco, di lì a poco divenuto ancor più intricato anche a causa dell’enorme quantità di scritti registrata in occasione delle molte mostre sul pittore che si sono susseguite dal 1997 a oggi. Non occorre ripercorrere qui tale fenomeno di straordinaria fortuna, anche popolare e commerciale, della figura di Lorenzo Lotto. Ma almeno quattro di queste bisognerà richiamarle per la loro importanza. La prima fu organizzata nel 1997 dalla National Gallery of Art di Wa13
shington (in collaborazione con l’Accademia Carrara di Bergamo) e venne curata da David Alan Brown, Peter Humfrey e Mauro Lucco. In essa si presentò all’attenzione del pubblico statunitense una cinquantina di dipinti, disposti in sequenza cronologica e approfonditamente ragionati dai tre studiosi nelle schede di catalogo. Era la prima volta che si proponeva negli Stati Uniti una mostra sull’artista, che – al di là del fatto che proprio a New York, nel 1895, si fosse avviata la sua rivalutazione con la pubblicazione della monografia di Berenson – si decise di titolare Lorenzo Lotto. Rediscovered Master of the Renaissance. Il titolo fu ricalibrato per la tappa italiana a Bergamo, nel 1998 (Lorenzo Lotto. Il genio inquieto del Rinascimento), e definitivamente asciugato per quella parigina al Grand Palais, nel 1998-1999 (Lorenzo Lotto 1480-1557). La seconda si svolse nel 2011 alle Scuderie del Quirinale di Roma, sotto la direzione di Giovanni Carlo Federico Villa. A sfilare, nei due piani preposti dell’edificio, furono 54 opere, 29 delle quali già esposte nella rassegna precedente, ma con l’eccezionale inserimento di numerose pale d’altare, in gran parte restaurate per l’occasione. Esse vennero ripartite in catalogo sulla base di una distinzione tematica e di formato (pale d’altare, pittura di devozione, ritratti e pittura profana). Le ultime due mostre cui si fa riferimento furono tra loro in qualche modo collegate. Tutto partì dalla volontà del Museo del Prado di Madrid e della National Gallery di Londra di focalizzare l’attenzione sulla produzione ritrattistica del maestro, in un progetto impostato da Miguel Falomir e da chi scrive, e condotto con la collaborazione di Matthias Wivel. Molti dei 47 dipinti esposti vennero accompagnati da oggetti paragonabili a quelli rappresentati nei quadri dal pittore, con l’obiettivo di aiutare il visitatore ad accostarsi in maniera più concreta alla dimensione sociale e materiale evocata. Per quanto possibile, quest’ultima prospettiva venne adottata pure a Macerata, dove tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 in Palazzo Buonaccorsi fu organizzata un’esposizione in cui furono riportati nelle Marche prodotti lotteschi non più in regione, mettendoli in rapporto con i documenti locali e il contesto territoriale evocato da mappe, disegni e stampe. L’impostazione dell’iniziativa fu a dittico, perché in mostra non fu inserita alcuna pala d’altare marchigiana, che venne lasciata in situ, seppur ragionandola in catalogo in rapporto con il resto dei materiali. È appunto nel contesto delle iniziative espositive curate da chi scrive nel 2016-2018 che nasce il progetto di un nuovo catalogo ragionato dei dipinti lotteschi. L’enorme sforzo prodotto in tali occasioni per la raccolta di bibliografie e immagini ha fatto sì, infatti, che si ritenesse opportuno segnalare la possibilità di una sua realizzazione alla Regione Marche, l’area territoriale che, con ben 25 opere, detiene a oggi poco meno del quindici per cento della produzione dell’artista. La proposta è stata accolta e parzialmente finanziata con fondi legati a un evento drammatico occorso a partire dall’agosto del 2016: lo sciame sismico che a più riprese ha messo in ginocchio gran parte del territorio marchigiano, con la conseguente necessità di rivitalizzare le iniziative di valorizzazione dei tesori d’arte custoditi nella regione. L’editore prescelto è stato Skira, che si è preso in carico la confezione del catalogo della mostra di Macerata. A partire dalla fine del 2017 hanno avuto inizio la raccolta e una prima sistematizzazione dei materiali con la collaborazione di Raffaella Poltronieri, alla quale in un secondo momento si è aggiunta Marta Paraventi, della Regione Marche, e in un terzo Valentina Castegnaro. Il problema di fondo è stato ovviamente quello di decidere che tipo di catalogo impostare. Non è questa la sede per disquisire sulle varie tipologie di “catalogo ragionato” (tema peraltro piuttosto interessante, perché cartina di tornasole anche di un più generale sviluppo della disciplina storico-artistica), ma è un dato di fatto che – più o meno ponderosi o sistematici che siano – è in genere sempre da essi che si parte per disporre di un quadro aggiornato della situazione 14
critica derivata da una revisione complessiva del tema. Quindi il primo elemento di cui tener conto è stato quello di selezionare una bibliografia che, a oggi, conta molte migliaia di voci. Quella che si riporta nel presente volume ne registra oltre duemilacinquecento. Non è certamente tutta la letteratura disponibile su Lorenzo Lotto. Accanto alle omissioni non volute (purtroppo anche a causa del fatto che nel periodo cruciale della ricerca – nel 2019, nel 2020 e nel 2021 – la frequentazione delle biblioteche specializzate è risultata un’impresa improba, se non impossibile, a causa della pandemia internazionale), ve ne sono anche alcune di intenzionali: non si è considerato, ad esempio, ciò che agli occhi di chi scrive non presenta le caratteristiche di un lavoro scientifico serio e affidabile (affabulazioni compiaciute e solipsistiche, infondate fantasie ermeneutiche, semplificazioni di basso livello ecc.). Ogni opera considerata autografa del maestro viene presentata con una scheda in pagina a sinistra e la relativa fotografia a destra; ma anche con immagini minimali di confronto che consentono di richiamare aspetti cruciali relativi a disegni preparatori, influssi, parallelismi, derivazioni e altro. Questa scelta consente di rendere più agevole e didascalica la consultazione del catalogo, nonché di visualizzare in maniera efficace lo sviluppo della produzione lottesca nella trama dei suoi rapporti figurativi e storici, proponendo al lettore ulteriori complementi visivi per l’analisi delle singole opere. Tuttavia la scelta di riservare a ogni pezzo solo una doppia pagina (tranne le decorazioni particolarmente complesse o svolte entro ambienti a più pareti, per le quali si sono fatte delle eccezioni) chiaramente presenta anche qualche svantaggio: primo fra tutti lo spazio equivalente riservato a opere principali e minori dell’artista. Oggi come oggi, praticamente su quasi ogni opera di Lorenzo Lotto si potrebbe scrivere un libro, e personalmente l’ho fatto in due occasioni (Dal Pozzolo 1995 e 2018, La strana storia). Ciò per tre ragioni: anzitutto per l’eccezionale densità formale e semantica che caratterizza i dipinti del maestro, in secondo luogo per l’enorme bibliografia accumulatasi su di essi, ma anche per le ormai molteplici possibilità di approccio metodologico agli stessi. Tuttavia va da sé che lo scopo di un volume come questo è di offrire una revisione d’insieme, che contenga informazioni di carattere sintetico sui singoli pezzi. Pertanto, a parte le opere meno studiate e qualche eccezione che si è ritenuta necessaria, ogni scheda riporta non una bibliografia “completa”, che da sola in molti casi avrebbe occupato più della metà della pagina disponibile per il testo, ma quella essenziale e di orientamento sostanziale per il lettore. In essa si indicano le voci che – oltre a quanto si ricava dalle monografie lottesche fondamentali e dalle schede offerte in cataloghi di musei e mostre recenti – a parere di chi scrive producono oggettivi elementi di novità per la lettura dell’opera stessa e spunti di qualche rilievo. Il criterio è puramente discrezionale, ma lo si adotta anche considerando l’inutilità della riproposizione, catalogo dopo catalogo, sempre delle stesse citazioni bibliografiche, nell’ostentazione di una pretesa scientificità che però non è quasi mai veramente esaustiva e che comunque non di rado ammanta un’innegabile impasse interpretativa delle opere stesse. La mancanza di informazioni sistematiche su passaggi di proprietà, restauri, analisi diagnostiche, tipologia di supporti e – non di rado – esposizioni rende inevitabilmente disomogenea la raccolta di dati relativi a tali aspetti, ma si è scontrata con un’oggetiva lacunosità di documentazione e – spesso – con una mancata collaborazione da parte di non poche proprietà. Se nella prima sezione del catalogo – relativa ai dipinti ritenuti autografi (163 schede, per oltre 200 pezzi) – il commento accompagna l’immagine riprodotta in grande formato, nelle successive i criteri differiscono. I quadri di attribuzione incerta (II, 15), di bottega o stretta cerchia (III, 16, per 18 pezzi) e le copie da originali perduti o a oggi considerabili tali (IV, 15) sono presentati mediante schede di entità minore, impaginate a tre colonne, con qualche dato tecnico in più rispetto a quelle confezionate per i pezzi che non ci paiono riferibili al maestro (V, 153, per 159 15
pezzi). Nel corso dei secoli varie centinaia di opere sono state erroneamente ascritte a Lotto e per un naturale processo di selezione da tempo molte di esse sono già state ampiamente riconosciute come incongrue. Senza voler appesantire il testo con troppi richiami di tal genere, in questa sezione si allineano essenzialmente quelle che sono state proposte a partire dal 1953, che costituisce l’anno di svolta per la storiografia moderna su Lotto: ossia, come sopra ricordato, quello del catalogo della mostra veneziana curata da Zampetti e delle monografie di Banti e Boschetto e di Coletti, comprendendo ovviamente quanto di nuovo compare nelle tre edizioni di Berenson del 1955, 1956 e 1957. Si tratta di testi brevi che si accompagnano a riproduzioni in bianco e nero di piccolo formato, con l’unico scopo di offrire un riferimento non sempre scontato o di facile individuazione per pezzi tra loro estremamente disomogenei. Tuttavia anche questa parte ha un suo interesse critico, perché, al di là delle specifiche informazioni fornite, nel suo insieme compone quella che si potrebbe definire la “nebulosa dello pseudolottismo”. A chiudere la parte catalogica è la sezione dedicata alle opere perdute, curata da Marta Paraventi (VI, 263 schede, per un numero peraltro molto maggiore di pezzi): in essa si raccolgono le informazioni relative ai dipinti menzionati come del maestro da fonti e documenti, a partire dall’inizio del XVI secolo fino a tutto il XIX. Si tratta di un censimento finora mai proposto (qualche sommaria indicazione si recupera solo nei volumi di Banti e Boschetto [1953, pp. 113-116], di Bianconi [1955, pp. 71-74] e di Pallucchini, Canova [1975, pp. 122-123]), particolarmente impegnativo per l’utilizzo di materiali eterogenei, non privo di incertezze su eventuali riconoscimenti di pezzi giunti fino a noi e ulteriormente complicato dalla laconicità delle registrazioni da parte dell’artista nel cosiddetto Libro di spese diverse. A seguito di tale verifica, è lecito supporre che della produzione autografa di Lorenzo ci sia giunto più o meno un terzo, senza contare i suoi lavori non attestati nel registro contabile e negli altri documenti fino a oggi reperiti (su questo problema si veda quanto scritto nel saggio seguente alle pp. 57-59). Nel regesto documentario curato da Raffaella Poltronieri si mettono insieme – seguendo un criterio ovviamente cronologico – svariate centinaia di dati biografici e artistici ricavabili da atti, lettere e, appunto, dal Libro di spese diverse. Si tratta di uno strumento imprescindibile, che ci mette di fronte a un fatto incontestabile: ossia che tra tutti i protagonisti della pittura del Cinquecento italiano forse Lotto è quello meglio documentato in assoluto. A parte minime parentesi (il 1514 e il biennio 15361537), dal giugno del 1503 al settembre del 1556 si può seguire la sua lunga carriera praticamente anno per anno, spesso con numerose informazioni a cadenza mensile, se non settimanale, che ci mettono nella condizione di tessere una trama di dati e rapporti eccezionalmente fitta. Ogni notizia fornita nel regesto contiene rimandi alle edizioni più recenti e/o attendibili delle varie fonti e il richiamo costante alle opere giunteci e perdute. Solo alla fine di questo ampio lavoro di schedatura è stata reimpostata la cronologia delle opere autografe ed è stato approntato il saggio che apre la prima parte del volume, in cui si tratteggia l’impressionante evoluzione del linguaggio di Lorenzo, evidenziandone l’estrema complessità culturale, ma senza soffermarsi sulle innumerevoli questioni di significato e interpretazione poste dai suoi prodotti, per le quali si rinvia a quanto sunteggiato nelle schede e ai migliori approfondimenti segnalati in bibliografia. Da quanto anticipato, si capisce bene che ciò che si pubblica altro non è che un (inevitabilmente personale) riordino di ripartenza, con un doppio fine: da un lato quello, fondamentale, di offrire una revisione, per quanto possibile, sintetica e aggiornata dell’immensa letteratura scientifica che sempre più si è dedicata alle creazioni dell’artista veneziano, dall’altro quello di mettere a disposizione di un pubblico che non è solo costituito da specialisti – ma anche da semplici appassionati e insegnanti – un volume di agevole consultabilità, che possa costituire un vademecum 16
alla produzione pittorica del maestro, ricco di immagini, informazioni e rimandi interni. È un lavoro ineludibilmente lacunoso e imperfetto, anche a causa degli impedimenti alla ricerca causati dalla pandemia, ma che consente di facilitare specifici approfondimenti. D’altra parte l’impegno dell’indagine e la densità dei materiali sono attestati dai numeri: un regesto di 769 voci, 625 schede, con circa 700 immagini di riferimento e confronto. Restano fuori le tarsie, per le quali sostanzialmente ci pare ancora valido il volume di Francesca Cortesi Bosco del 1987 (con gli opportuni aggiornamenti di Massimo Ferretti del 2013), e i disegni, cui forse si dedicherà un prossimo studio monografico: in ogni caso quelli di questi ultimi che risultano collegabili alle opere pittoriche (ma non solo) sono riprodotti e minimamente commentati nel testo introduttivo e nelle schede. Alla fine di questa impresa devo ringraziare di cuore in primo luogo Raffaella Poltronieri, che dall’inizio mi ha affiancato nel lavoro con competenza, dedizione, pazienza e caparbietà, Valentina Castegnaro, che si è assunta l’onere di predisporre gli indici, fornendo un continuo supporto di controllo generale, e Marta Paraventi, che si è accollata un compito non agevole: quello della schedatura dei perduti. Accanto a loro, mi hanno aiutato Renzo Fontana, per i fruttuosi confronti (specie nella fase finale), Massimiliano Bassetti, cui devo decisive riletture paleografiche, Marco Merlo, per le indicazioni di oplologia, e Olga Piccolo, il cui apporto è stato fondamentale per ulteriori verifiche. Il libro non esisterebbe senza la volontà di realizzarlo della Regione Marche, e sono grato in particolare ai funzionari Raimondo Orsetti e Simona Teoldi. Prima ancora è stato fondamentale l’appoggio fattivo di Maurizio Cecconi di Villaggio Globale International, che del “progetto Lotto” impostato nel 2016 e realizzato nel 2018-2019 è stato imprescindibile compagno e amico. Nulla però sarebbe stato mai intrapreso se alla fine del 2015 Miguel Falomir non mi avesse fatto l’onore di propormi di curare assieme a lui la mostra sui ritratti che si sarebbe svolta a Madrid e Londra nel 2018-2019. La realizzazione del presente volume è stata condotta con estrema professionalità e passione vera da Silvia Carmignani, Emma Cavazzini, Marcello Francone, Elena Gaiardelli, Barbara Galotta, Paola Lamanna e Cinzia Morisco, e sostenuta da Alessandro Degnoni della casa editrice Skira. Sono però davvero moltissime le persone che, a vario titolo, e anche in tempi ormai lontani, hanno aiutato le mie ricerche lottesche e – scusandomi di cuore se, per stanchezza, ometto qualcuno – ci tengo a menzionare almeno le seguenti: Bernard Aikema, Daria Albanese, Anna Maria Ambrosini Massari, Diego Ambrosioni, Irina Artemieva, Paola Aveta, Isidoro e Matteo Bacchiocca, Sofia Bakis, Alessandro Ballarin, Matteo Ballarin, Costanza Barbieri, Paolo Barbisan, Francesca Bartolacci, Gino Belloni, Daniele Benati, Jadranka Beresford-Peirse, Franco Bernabei, Mara Bertoli, Pietro Biaggi, Lorenzo Bianconi, Francesca Bigolin, Alessandro Bison, Luca Brignoli, David Alan Brown, Alfredo Buonopane, Carlo Campana, Carlo Cavalli, Hugo Chapman, Ileana Chiappini Di Sorio, Keith Christiansen, John Chu, Stella Cibati, Francesca Cocchiara, Francesca Coltrinari, Roberto Contini, Ferdinando Corberi, Francesca Cortesi Bosco (†), Benjamin Couilleaux, Roberta D’Adda, Doretta Davanzo Poli (†), Francesco De Carolis, Leticia M. de Frutos Sastre, Nicole de Manincor, Alessandro Delpriori, Francesca Del Torre, Maria De Peverelli, Andrea Di Lorenzo, David Ekserdjian, Antonio Eleuteri, Matteo Esposito, Marcin Fabiański, Simone Facchinetti, Nadia Falaschini, Cristina Falsarella, Giovanni Maria Fara, Claudia Favron, Massimo Ferretti, Andrea Fiore, Francesco Frangi, Davide Gasparotto, Augusto Gentili, Francesca Giagni, Jacopo Giorgetti, Jozef Grabski, Gianmario Guidarelli, Giuseppe Gullino, Michel Hochmann, Peter Humfrey, Frederick Ilchman, Paul Joannides, Laura Lattanzi, Marianna Liso, Stephane Loire, Mauro Lucco, Mark MacDonnell, Giordana Mariani Canova, Silvia Mascalchi, Lorenzo Mascheretti, Stefania Mason, Patrick Matthiesen, Gianni Mazzoni, Bruna Merli, Catherine Monbeig Goguel, Alessandra 17
Montanera, Andrea Nante, Ottavia Niccoli, Alessandro Nova, Elke Oberthaler, Loredana Olivato, Giovanni Pagliarulo, Laura Pagnotta, Maddalena Paolini, Caterina Paparello, Giorgio Paraventi, Alina Payne, Gianni Peretti, Antonio Perticarini, Gianmario Petrò, Paolo Plebani, Gianluca Poldi, Lionello Puppi (†), Cristina Rodeschini, Francesco Rossi, Paola Scarpellini, Eike Schmidt, Victor Schmidt, Carla Sopranzetti, Francesco Sorce, Denise Tanoni, Marco Tanzi, Anchise Tempestini, Jacqueline Thalmann, Valentino Torbidoni, Francesca Trebbi, Cecilia Treves, Giovanni Valagussa, Maxime Valsamas, Luisa Vertova (†), Pier Mario Vescovo, Aidan Weston-Lewis, Lucy Whitaker, Matthias Wivel, Jeremy Wood, Giulia Zaccarotto e Federico Zeri (†). Imprescindibile, infine, l’apporto fornitoci da tanti musei, istituzioni ed enti di ricerca, in testa ai quali non possiamo che ringraziare il Kunsthistorisches Institut e Villa I Tatti, a Firenze, e la Fondazione Giorgio Cini, a Venezia. Inoltre le biblioteche Signoretti e dei Musei Civici di Pesaro, quelle Frinzi e del Dipartimento Cultura e Civiltà dell’Università degli Studi di Verona, cui afferisco, quella del Museo di Castelvecchio a Verona, nonché l’imprecisabile “squadra” di storici dell’arte che – nel periodo dell’emergenza Covid – si sono coordinati in un gruppo Facebook per aiutarsi vicendevolmente nel recupero di tanti materiali altrimenti inconsultabili.
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Avvertenza Richiami sintetici Ogni opera schedata viene richiamata tra parentesi con la sigla costituita dalla sezione in cui è inserita, in numeri romani, e dal numero progressivo, in cifre arabe: ad esempio (I.122). Ogni documento e dato riportato nel Regesto biografico è richiamato nel testo con la data specifica; ad esempio (Regesto: 1505, 7 aprile). Nell’intestazione delle schede la datazione è indicata in termini precisi quando essa risulta (o risultava) iscritta originariamente sull’opera o ancorabile a solidi elementi documentari. Quando è ritenuta più che probabile – ma su basi di natura congetturale – la si accompagna con un circa. Quando risulta commissionata (o vi sono indizi per ritenerla tale) in un anno che non coincide con quello dell’esecuzione (attestata o iscritta) si propone un’indicazione “aperta”, con il primo dato indicato tra parentesi e il secondo – prevalente, e quindi vincolante nella costruzione della sequenza cronologica complessiva – a seguire: ad esempio, I.33: (1513-)1516. Tale criterio è applicato, invertito, anche nei pochi casi di possibili completamenti postumi, ma autografi (cfr. I.31). Ogni riferimento bibliografico è indicato nel testo sempre in forma sintetica, con il cognome dell’autore, o le prime parole del titolo, accompagnato dall’anno di edizione (ad esempio: Longhi 1946). Il titolo completo si ritrova nella bibliografia generale. Tuttavia, per non appesantire inutilmente quest’ultima con riferimenti non specificamente lotteschi, capita che – specie nelle schede delle sezioni V-VI – siano menzionati testi non riportati estesamente nella bibliografia finale, con la semplice indicazione della posizione espressa dagli autori, o al catalogo della collezione in cui un’opera di confronto viene analizzata estesamente. Alcuni testi di più frequente citazione – pubblicati da autori che nel medesimo anno hanno edito altri saggi (che nella bibliografia abbreviata riportano anche la prima o le prime parole del titolo per distinguerli) – vengono indicati solo con il cognome dell’autore e l’anno, senza specificare la prima parola del titolo; in altri casi si è deciso di usare una forma abbreviata anche solo per contributi di studiosi che compaiono all’interno di volumi di altri autori. Tali testi sono i seguenti: Banti 1953 = A. Banti, Lorenzo Lotto, regesti, note e cataloghi, a cura di A. Boschetto, Firenze 1953. Berenson 1895 = B. Berenson, Lorenzo Lotto: An Essay in Constructive Art Criticism, New York-London 1895. Berenson 1901 = B. Berenson, Lorenzo Lotto: An Essay in Constructive Art Criticism, revised edition with additional illustrations, London 1901. Berenson 1957 = B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance. A List of Principal Artists and their Works with an Index of Places. Venetian School, London 1957. Bianconi 1963 = P. Bianconi, All the Paintings of Lorenzo Lotto, trad. ingl. di P. Colacicchi, New York 1963. Boschetto 1953 = schede di A. Boschetto, in A. Banti, Lorenzo Lotto, regesti, note e cataloghi, a cura di A. Boschetto, Firenze 1953.
Coletti 1953 = L. Coletti, Lotto, Bergamo 1953. Cortesi Bosco 1980 = F. Cortesi Bosco, Gli affreschi dell’Oratorio Suardi. Lorenzo Lotto nella crisi della Riforma, Bergamo 1980. Dal Pozzolo 1993 = E.M. Dal Pozzolo, Osservazioni sul catalogo di Lorenzo Lotto. 1503-1516, in “Arte Veneta”, XLV, 1993, pp. 32-49. Dal Pozzolo 2018 = E.M. Dal Pozzolo, Three Portraits of Lorenzo, in Lorenzo Lotto. Portraits/Retratos, catalogo della mostra (Madrid-Londra, 2018-2019), a cura di E.M. Dal Pozzolo, M. Falomir, Madrid 2018, pp. 43-63. De Carolis 2017 = introduzione, commento e apparati in Lorenzo Lotto, Il libro di spese diverse, Trieste 2017. Frizzoni 1896 = G. Frizzoni, Lorenzo Lotto, pittore. A proposito di una nuova pubblicazione, in “Archivio storico italiano”, seconda serie, 1896, 2, pp. 1-24, 193224, 427-447. Humfrey 1997 = P. Humfrey, Lorenzo Lotto, New Haven 1997. Humfrey 1998 = P. Humfrey, Lorenzo Lotto, Bergamo 1998 (edizione italiana di P. Humfrey, Lorenzo Lotto, New Haven 1997). Lucco 2004 = M. Lucco, Lorenzo Lotto and the interpretation of Venetian sixteenth-century portraits, in “Melbourne Art Journal”, 7, 2004, pp. 69-86. Mariani Canova 1975 = schede di G. Mariani Canova in L’opera completa del Lotto, presentazione di R. Pallucchini, apparati critici e filologici a cura di G. Mariani Canova, Milano 1975. Mascherpa 1980 = G. Mascherpa, Invito a Lorenzo Lotto, Milano 1980. Pallucchini 1975 = R. Pallucchini, Un solitario confessore del suo tempo, in L’opera completa del Lotto, apparati critici e filologici a cura di G. Mariani Canova, Milano 1975, pp. 5-10. Pignatti 1953 = T. Pignatti, Lorenzo Lotto, Milano 1953. Zampetti 1953 = schede di P. Zampetti nel catalogo della Mostra di Lorenzo Lotto (Venezia, 1953), Venezia 1953. Zampetti 1969 = commento in Lorenzo Lotto, Il “Libro di spese diverse” (1538-1556). Con aggiunta di lettere e d’altri documenti, a cura di P. Zampetti, Venezia-Roma 1969. Zampetti 1983 = P. Zampetti, Lotto, Bologna 1983. Sigle delle principali fototeche e banche dati on line consultate Agorha: Agorha, Bases de données de l’Institut national d’histoire de l’art Artnet: Artnet Price database BFZ: Bologna, Università degli Studi, Fototeca Zeri FKI: Firenze, Fototeca del Kunsthistorisches Institut FRL: Firenze, Fondazione Roberto Longhi FBB: Firenze, Villa I Tatti, Fototeca Berenson GPI: Getty Provenance Index (ultima consultazione: 31 ottobre 2021) LC: Londra, Archivio Christie’s LS: Londra, Archivio Sotheby’s LWL: Londra, Courtauld Gallery, Witt Library TFC: Treviso, Provincia di Treviso, Fast, fondo Coletti UPZ: Urbino, Istituto di Storia dell’Arte dell’Università, Fototeca Zampetti
VCF: Venezia, Fondazione Giorgio Cini, fondo Fiocco VCP: Venezia, Fondazione Giorgio Cini, fondo Pallucchini VAM: Venezia, Università Ca’ Foscari, fototeca Morassi Regesto Le informazioni contenute nel regesto si basano su dati oggettivi e documentati relativi alla vita e alle opere di Lorenzo Lotto; per ogni notizia viene indicata la bibliografia essenziale, prevalentemente costituita dalla prima fonte che l’ha resa nota, la prima che ne riporta la trascrizione e l’ultima che ne fornisce un aggiornamento interpretativo. ASV = Archivio di Stato di Venezia IRE = Istituzioni di Ricovero e di Educazione MIA = Congregazione della Misericordia Maggiore di Bergamo Redazione schede Pur essendo il risultato di un confronto sistematico tra gli autori, si fa presente che la redazione delle schede delle opere autografe (I) spetta specificamente a: Valentina Castegnaro: I.31, I.33 Enrico Maria Dal Pozzolo: I.1-I.30, I.32, I.34-I.36, I.38, I.40, I.43, I.50, I.51, I.53, I.56-I.58, I.63, I.66, I.67, I.72, I.74, I.83, I.85, I.88, I.97, I.102, I.103, I.113, I.124, I.138, I.139, I.143, I.149, I.153, I.154, I.161 Raffaella Poltronieri: I.37, I.39, I.41, I.42, I.44-I.49, I.52, I.54, I.55, I.59-I.62, I.64, I.65, I.68-I.71, I.73, I.75-I.82, I.84, I.86, I.87, I.89-I.96, I.98-I.101, I.104-I.112, I.114-123, I.125-I.137, I.140-142, I.144-I.148, I.150-I.152, I.155-I.160, I.162, I.163 Tutte le schede relative ai dipinti dubbi (II), di bottega o stretta cerchia (III), alle copie da originali perduti (IV) e ai rifiutati (V) spettano a Enrico Maria Dal Pozzolo; quelle relative ai dipinti perduti o non riconoscibili con certezza (VI) a Marta Paraventi. Tecniche diagnostiche • Analisi non invasive UVF = Fluorescenza nel visibile indotta da radiazione ultravioletta Fotografia in luce radente XRF = Gascromatografia-spettrometria di massa IRC = Infrarosso falso colore RX = Radiografia IRR = Riflettografia infrarossa Vis-NIR Rs = Spettroscopia in riflettanza nel visibile Vis-RS = Spettrometria in riflettanza nel visibile UVr = Ultravioletto riflesso • Analisi invasive TLC = Cromatografia su strato sottile GC-MS = Gascromatografia-spettrometria di massa Microscopia ottica di sezioni lucide FTIR = Spettroscopia infrarossa in trasformata di Fourier
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Lorenzo Lotto pittore
La famiglia Da dove inizi la storia di Lorenzo Lotto non si sa. Sulla base di quanto dichiara in un testamento del 25 marzo 1546 (Regesto: alla data) – dove afferma di essere “de circha anni 66”1 – si desume che era nato nel 1480 o nel 1481. Il dubbio è lecito poiché non siamo in grado di dire se egli computasse la sua età al compimento, come noi, o all’ingresso, come gli antichi2. Si tratta di un’oscillazione minima (e che in generale dovrebbe essere considerata a riguardo di tante figure di quest’epoca), della quale tuttavia non si può non tener conto. Della madre non si ha alcuna notizia, ma anche del padre si sa pochissimo. Si chiamava Tommaso ed era già morto il 10 giugno 1503, data del primo atto certamente riferibile al pittore, quando a Treviso viene definito “Ser Laurentio Loto quondam ser Thome de Venetiis, pictore Tarvisii” (Regesto: alla data). La qualifica di “Ser” (Messer) per entrambi è indizio di un livello sociale non basso, al pari della presenza del giovane artista nel palazzo veneziano di Andriana Gradenigo, vedova del patrizio Giorgio Duodo (Regesto: 1503, 27 novembre). Pure altri atti, coevi o di poco successivi, svelano frequentazioni altolocate: a partire dal fatto che il suo padrone di casa a Treviso era il priore della Commenda gerosolimitana Ludovico Marcello, un nobile veneziano che in città aveva costituito un cenacolo di impronta umanistica, la “Marcellina sodalitas” (Regesto: 1503, 20 dicembre)3. La provenienza lagunare dell’artista è, come s’è visto, attestata nell’atto del 10 giugno 1503 e in altri successivi (“de Venetiis”). Nella biografia di Carlo Ridolfi (1648) si afferma che egli fosse di origine bergamasca4 e spesso si è ritenuto di accreditare tale informazione, a volte congetturando che Tommaso fosse un mercante5. Vi è stato anche chi ha cercato di spiegare il motivo per cui Lorenzo nella pala di Asolo (I.12) si firmi LAVRENT. LOTVS IVNIOR (fig. 10) supponendo che pure il padre o il nonno fossero stati pittori6. Si tratta tuttavia di ipotesi che non si fondano su alcun dato a noi pervenuto. Come risulta da una lettera del nipote Mario Armano – ritrascritta nel 1542 dall’artista nel Libro di spese diverse7 – Tommaso aveva un fratello ed entrambi sposarono due sorelle, ognuna delle quali mise al mondo una sola creatura: Tommaso ebbe Lorenzo, suo fratello una femmina, il cui destino si legherà in qualche modo a quello del cugino. Ora, grazie alle ricerche di Giuseppe Gullino, sono riemersi il nome e la professione del fratello di Tommaso8. Una serie di elementi induce a credere che si chiamasse anch’egli Lorenzo: infatti, fra i testimoni del testamento della nobildonna Chiara Calbo, redatto a Venezia il 30 novembre 1512, compare un Lorenzo “quondam Michele de Lottis”. La cosa si ripete il 18 agosto 1515, per un consimile atto di un altro esponente del patriziato, Maffeo Bragadin9. In quest’ultima carta la denominazione cognominale adottata è pure “de Lottis”, ma considerando che il 18 ottobre 1506 (ancora fra i testimoni di uno strumento notarile a Treviso; Regesto: alla data) il nostro Lorenzo è indicato come “magister Laurentius Lotus 21
Michele de Lottis
∞
Lorenzo Lotto
Tommaso Lotto († ante 1503)
Maria († ante 1523)
Lorenzo (1480/81-1556)
Giovan Paolo Armano
Mario Armano ∞ Antonia Morandi di Alvise
∞ Giovan Francesco Fortunio ∞
Giacomo de Maio
Alvise ∞ Isabella Formento
Moranda ∞ Bernardo Savorgnan
Laura ∞ Benedetto Bondumier
Lucrezia monaca
Armana
Agostino Enzo
∞
Donato Rimondo
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de Venetiis pictor q. s. Thome de Lotis”, e che l’alternanza Lotis/Lottis risulta attestata da altre carte, non sussiste alcuna contraddizione10. Questo Lorenzo del fu Michele de Lottis era un “praeco”, ossia un banditore dei Giudici del Forestier, una magistratura che si occupava di controversie relative ai beni dei non veneziani: a rogare tali documenti era stato Pietro Usnago, notaio appunto dei Giudici del Forestier, che evidentemente si era avvalso di dipendenti della stessa magistratura come testimoni. Ne consegue che egli faceva parte della burocrazia lagunare, cosa che ben spiegherebbe il fatto che la sua unica figlia avesse sposato un cittadino originario, appartenente a una famiglia di professionisti tradizionalmente inserita nell’amministrazione statale. L’unigenita di questo Lorenzo fratello di Tommaso si chiamava Maria e sposò Giovan Paolo Armano (o Darmano, antica grafia del cognome) del fu Marino, da cui nacque Mario, primo e unico nipote per parte di padre del nostro Lorenzo, che – rientrando in laguna dopo un soggiorno nelle Marche di sei anni – soggiornerà presso di lui dal 1540 al 1542 (fig. 1)11. L’artista non risulta aver avuto né mogli né figli. La formazione Pure della sua formazione non sappiamo nulla. Di norma un ragazzino veniva messo a bottega tra i dieci e i quindici anni, solitamente verso i tredici/quattordici, e – se tutto andava bene – vi rimane22
1. Albero genealogico delle famiglie Lotto-Armano
2. Jacometto Veneziano Ritratto di giovane Londra, The National Gallery
va almeno per tre o quattro12. Considerando il livello sociale della famiglia, possiamo immaginare Tommaso affidare Lorenzo a un maestro di buona fama, affinché gli insegnasse il mestiere. La cosa comportava l’esborso di una cifra non indifferente e l’accettazione di regole vincolanti poste dal capobottega. Il ragazzo sarà entrato in officina, più o meno, intorno al 1493-1494 e ne sarà uscito istruito e indipendente verso il 1497. L’identità del maestro che lo accolse è ignota. Sono state avanzate molte ipotesi – che hanno chiamato in causa i nomi di Giovanni Bellini, Alvise Vivarini, Benedetto Diana, Vincenzo Catena, Pier Maria Pennacchi, Giovanni Bonconsiglio, Melozzo da Forlì ecc.13 – ma esse dipendono logicamente anche da come si decide di configurare il catalogo d’esordio dell’artista14. La sua prima opera firmata è la Madonna col Bambino, san Pietro Martire e san Giovannino di Napoli (I.2), che – nonostante una proposta di retrodatazione al 149915 – pare opportuno correlare al 20 settembre 1503, precisato da un’iscrizione coeva a tergo (fig. I.2c). È tuttavia evidente che si tratta di un dipinto già sufficientemente maturo e così composito nei suoi caratteri lessicali da implicare un percorso antecedente piuttosto denso. L’ipotesi più accreditata – a riguardo della “preistoria” lottesca – è quella che ne riconosce la mano nel Ritratto di giovane dell’Accademia Carrara di Bergamo (I.1), un dipinto che reca sul verso una decorazione in finto marmo (fig. I.1a). Nel secondo Ottocento oscillò tra svariati riferimenti, salvo poi assestarsi sul nome di Lorenzo, con datazioni che vanno dalla fine del XV secolo al 1508 del polittico di Recanati (I.16). Di recente la collocazione più precoce ha raccolto un certo numero di consensi e l’idea che possa trattarsi di un dipinto realizzato intorno al 1498 – quando un certo “maestro Lorenzo depentor” (Regesto: 1498, 16 marzo) è attestato a Treviso – appare non poco suggestiva. Se suo, ci presenta un artista segnato da una meditazione profonda sulle formule antonellesche, notigli attraverso le opere pubbliche visibili nelle chiese veneziane (il richiamo al volto della Vergine nella Pala di San Cassiano è inevitabile: fig. I.1b)16 e verosimilmente anche da qualche ritratto in collezione privata. Ciò avvenne sulla scia del fervido interesse che alcuni protagonisti della scena pittorica locale avevano coltivato nei confronti del siciliano nel corso degli ultimi due decenni del Quattrocento, ma probabilmente anche attraverso la conoscenza della produzione di colui che più di altri in tale periodo tentò di combinare, come poi fece lo stesso Lorenzo, la lezione del messinese con quella di Giovanni Bellini: ossia Jacometto Veneziano17. La figura di quest’ultimo – che già nel primo Cinquecento veniva a volte confusa con quella di Antonello o di alcuni fiamminghi (come attestano le perplessità di Marcantonio Michiel innanzi al San Girolamo del messinese alla National Gallery di Londra)18 – è ancora in gran parte da ricostruire filologicamente, giacché non si dispone di alcuna sua miniatura certa, lavori per i quali era all’epoca ammiratissimo. Sussiste però qualche dipinto di attribuzione sufficientemente solida che consente di comprendere quanto il suo esempio poté essere importante per Lorenzo. Si pensi, ad esempio, al Ritratto di giovane della National Gallery di Londra (fig. 2), in cui si ritrova una paragonabile insistenza sul dettaglio naturalistico reso in maniera virtuosistica19, oppure al dittico del Metropolitan Museum di 23
New York20, dove i retri recano una decorazione illusionistica che all’epoca non sembra essere stata particolarmente diffusa nel Veneto, almeno a giudicare dagli esemplari giunti fino a noi. Quella della decorazione a finto marmo dei retri era una consuetudine nordica, legata al fatto di poter apprezzare in recto/verso tavole di dimensioni contenute. Spesso si trattava di ritratti nuziali, così concepiti perché potessero essere consegnati e maneggiati agevolmente: di questa usanza vi è qualche traccia pure in area toscana, oltre che nei sopra menzionati casi di Jacometto21. Ci si può inoltre chiedere se l’insistito grafismo che connota l’interpretazione del ritratto (si notino in particolare i capelli, eseguiti a uno a uno) – che non a caso aveva suggerito il nome di Jacopo de’ Barbari, il più tedesco dei veneziani ante 150022 – non possa testimoniare già una conoscenza delle invenzioni di Albrecht Dürer, il cui primo viaggio a Venezia cadde tra l’autunno del 1494 e la primavera del 149523. Comunque sia, andare ancora più indietro del Giovane bergamasco è molto difficile, se non, forse, impossibile. Ma una traccia esiste. Infatti nel documento di allogazione del polittico di Recanati, del 20 giugno 1506, si fa esplicito riferimento al fatto che tale opera doveva risultare migliore di quelle lì visibili “facte in iuventute vel potitut in adulescentia sua” (Regesto: alla data)24. Nonostante alcuni dubbi talvolta manifestati25, non sembra che sussistano i termini per una lettura alternativa di tale affermazione e siamo quindi costretti ad ammettere che esse siano state realizzate o inviate a Recanati in un periodo che verrebbe da immaginare, più o meno, verso il 1497-1498. In quale frangente ciò possa essere avvenuto non è dato di sapere, anche se – come di recente è stato sottolineato26 – la città marchigiana era un luogo d’incrocio tra mercanti veneziani e bergamaschi, con attive anche alcune famiglie con cui in seguito il pittore fu in attestati rapporti. Ben più arduo è riconoscere tali tracce “adolescenziali” in opere giunte fino a noi, sebbene almeno un tentativo congetturale sia stato fatto. Infatti, in occasione della mostra “Lorenzo Lotto. Il richiamo delle Marche”, svoltasi a Macerata nel 2018-2019, s’è riconsiderata in tale luce un’anonima Sacra Famiglia nel Museo Diocesano di Recanati proveniente dalla cappella Antici in duomo (II.8). Si tratta di una tavola di fine Quattrocento ispirata a una stampa di Andrea Mantegna e caratterizzata da un linguaggio di matrice veneto-lombarda non incompatibile con quello che contraddistingue i primi numeri del catalogo lottesco accreditati. Tuttavia, mancando termini comparativi probanti, tale ipotesi va relegata nel limbo delle suggestioni al momento difficilmente dimostrabili. Per tentare di ancorare una lettura della formazione lottesca a una base più solida è pertanto necessario considerare quanto emerge dal dato formale espresso dalla Madonna col Bambino, san Pietro Martire e san Pietro Martire del 1503 (I.2), un dipinto verosimilmente richiestogli dal vescovo di Treviso Bernardo de’ Rossi, che fino al 1506 risulta essere il principale referente cittadino di Lorenzo (cfr. I.6). L’aspetto più evidente dell’opera è la dipendenza da uno schema compositivo elaborato alla fine del Quattrocento da Giovanni Bellini, il cui esemplare più noto è costituito dalla tavola alla Pierpont Morgan Library di New York (fig. I.2a)27. Di esso sussistono numerose riproposizioni – più o meno fedeli – realizzate sia nella bottega del maestro, sia nella sua ampia cerchia28. La fortuna di tale modello dipendeva dall’efficacia con cui visualizzava il desiderio dei committenti di accostarsi alla Madonna col Bambino, da soli o con uno o più santi, in termini di tale prossimità fisica da completare il lungo processo iconografico di avvicinamento e parificazione proporzionale del donatore alle figure sacre avviato a partire dall’inizio del XV secolo29. Non siamo in grado, ovviamente, di sapere se tale scelta compositiva sia dipesa da una specifica richiesta del prelato – che aveva spiccate curiosità artistiche e gusti raffinati30 – oppure da una proposta del pittore. In fondo cambia poco. Resta il fatto che l’adozione di una così esplicita formula belliniana dichiarava l’allineamento al gusto del patriziato lagunare più à la page. Senza dubbio Lorenzo avrà avuto modo di studiare da 24
3. Alvise Vivarini Madonna col Bambino, particolare Verona, Museo di Castelvecchio 4. Lorenzo Lotto Madonna col Bambino, san Pietro Martire e san Giovannino, particolare Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte
vicino qualcuna delle redazioni messe in circolazione dall’officina di Giovanni, in cui non si può escludere che – in qualche momento della sua fase iniziale – possa addirittura aver avuto modo di sostare. È noto infatti che l’ormai vecchio maestro si trovò spesso nella condizione di ricorrere a svariati collaboratori, sia per condurre imprese di grandi dimensioni, sia per rispondere alle sempre più pressanti richieste del mercato interno ed esterno. Se la possibilità di una qualche forma di collaborazione di Lorenzo con Bellini nei primissimi anni del nuovo secolo non può essere in teoria esclusa, è evidente che nella tavola si scorgono richiami pure alle maniere di Alvise Vivarini e di Cima da Conegliano. Al primo rinviano inequivocabilmente tipologie come quella del Gesù – che rievoca esempi come quello nella Madonna col Bambino al Museo di Castelvecchio a Verona (figg. 3-4)31 – i moduli costruttivi delle mani32, ma pure un certo gusto cromatico. Com’è noto, l’idea che Lorenzo si fosse formato con Alvise risale alla prima monografia di Berenson. Con il tempo la ridimensionò, senza peraltro negarla; tuttavia svariati specialisti hanno ritenuto di mantenerla, pur non essendo in grado di produrre attestazioni ulteriori e probanti33. È un dato di fatto che Lotto continuò a ripensare all’opera di Alvise anche dopo: sia in opere trevigiane del 1504-1505 (si veda infra), sia molto in là, considerando – ad esempio – la riproposizione quasi testuale che fece in più composizioni del san Sebastiano nella pala del muranese ora a Berlino, eseguita proprio negli anni del presumibile apprendistato del giovane Lorenzo (figg. 30-31)34. Considerando tali elementi, non pare dunque irragionevole confermare la probabilità di una sua formazione alvisiana, che tuttavia di certo non basta a spiegare la complessità del suo linguaggio quale appare nel 1503. 25
Infatti, non è difficile riconoscere nella figura di san Pietro martire, ma pure nel paesaggio (figg. 5-6), una consonanza tutt’altro che superficiale con i modi di Cima, che all’epoca costituiva – assieme ad Alvise – il più autorevole concorrente di Giovanni Bellini per quel che riguardava la produzione di pale e polittici, nonché di opere di formato medio-piccolo destinate alla devozione privata35. Si tratta di tre componenti oggettivamente riconoscibili nella tavola di Napoli, che consentono forse di immaginare un iter che, dopo il tirocinio vivariniano, si arricchì prima con una riflessione sui modelli antonelleschi e di Jacometto, e in seguito con lo studio accurato degli esempi di Cima e Bellini. Quest’ultimo, in particolare, dovette per Lorenzo risultare alla fine il modello di riferimento prevalente, come di lì a poco dimostreranno anche le impostazioni adottate per il Ritratto di uomo di Vienna (I.3) e per la Pala di Santa Cristina al Tiveron (I.5). D’altra parte, potrebbe sussistere un’ulteriore, trascurata testimonianza della sua frequentazione dell’insigne maestro. Infatti, al Louvre si conserva un foglio che copia molto fedelmente lo scomparto sinistro del disperso trittico di Giovanni Bellini in San Cristoforo in Isola, databile agli inizi del secolo36, che presenta un innegabile grado di prossimità stilistica rispetto alla tavola di Napoli (fig. 7)37. Guardando al san Pietro martire, in particolare, non si potrebbe immaginare un disegno preparatorio molto differente da questo del Louvre, considerando l’andamento grafico, a un tempo dinamico e cavilloso, e i crepitanti effetti di luce38. Che Lotto conoscesse l’originale belliniano è quasi certo non solo per la sua notorietà (attestata da decine di derivazioni), ma anche considerando il fatto che nella tavola di Edimburgo (I.4) riutilizzò la medesima rara iconografia del san Girolamo in
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5. Cima da Conegliano Madonna col Bambino e donatore, particolare Berlino, Gemäldegalerie 6. Lorenzo Lotto Madonna col Bambino, san Pietro Martire e san Giovannino, particolare Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte
veste di profeta. E per di più non si è mai fatto abbastanza caso che sul foglio, in basso a sinistra, compare un’iscrizione (in apparenza settecentesca) che lo attribuisce proprio a “Lorenzo Lotto” (fig. 8). La cosa risulterebbe assai poco indicativa nel caso di altri artisti, ma questo era uno dei periodi più bui della fortuna critica e collezionistica del pittore, e non sarebbe stato di certo un vanto possedere un suo disegno originale, per di più lontanissimo dal linguaggio che lo caratterizzò in seguito. In altre parole: che l’estensore della scritta disponesse di elementi a noi non noti per formulare tale indicazione?
7-8. Anonimo belliniano (Lorenzo Lotto?) San Girolamo, intero e particolare Parigi, Musée du Louvre
Treviso (1503-1506) Se non vi è certezza – ma un’alta probabilità – che fosse proprio lui il “maestro Lorenzo depentor” attestato senza ulteriori qualifiche nell’atto del 1498 sopra menzionato, il 23 agosto 1503 egli è denominato “civis tarvisinus”, privilegio di cui si poteva godere solo dopo cinque anni di residenza (Regesto: alla data). Se così fosse stato, non si può credere che li abbia passati continuativamente a Treviso. Al di là degli eventuali antefatti marchigiani e di una presunta, non necessaria e indimostrabile esperienza formativa lombarda39, va da sé che l’evoluzione linguistica intercorsa tra il Giovane della Carrara (I.1) e la Madonna di Capodimonte (I.2) implica un aggiornamento costante sulle novità veneziane, in anni in cui dalle botteghe della metropoli usciva un incredibile numero di opere40. D’altra parte, si trattava di un trasferimento né lungo né disagevole, specie se praticato tramite la via d’acqua (da Murano al fiume Sile e viceversa)41, del quale l’artista avrà avuto periodica necessità per procurarsi buoni colori, stampe, libri e altro materiale di lavoro. In effetti – se si eccettua la roboante decorazione ad affresco del monumento ad Agostino Onigo (su cui si tornerà subito) – il panorama trevigiano non presentava un clima artistico d’avanguardia42. Le non molte figure di pittori lì attive oggi artisticamente riconoscibili si dedicavano per lo più ad affreschi di tipo ornamentale, esterni e interni (Giovanni Matteo Teutonico), e a pale piuttosto convenzionali, che riproponevano schemi datati in modi non proprio originali (Girolamo il Vecchio, Vincenzo dai Destri). L’unico artefice di rilievo era Pier Maria Pennacchi, di una quindicina d’anni più anziano di Lorenzo e con il quale risulta in rapporto nel 1503, per una perizia di una pala di Vincenzo dai Destri in San Leonardo (Regesto: 23 e 25 agosto)43. Del Pennacchi sussistono opere per lo più successive a tale incontro, che rivelano l’impatto che la personalità lottesca ebbe su di lui, al punto che una di esse in passato fu ascritta proprio a Lorenzo (V.12). Resta il dubbio su quanto egli, in precedenza, possa aver eventualmente trasmesso al collega veneziano44. Della sua fase più precoce conosciamo una stralunata Madonna col Bambino e quattro santi e, dell’avvio del nuovo secolo, un più elegante Cristo morto sorretto da due angeli, entrambi già a Berlino e noti solo tramite fotografie: esse ne svelano il gusto tendenzialmente tedeschizzante, ben comprensibile anche tenendo conto del fatto che la città costituiva uno dei principali snodi di transito da Venezia verso l’area germanica45. Ciò potrebbe contribuire a spiegare, almeno in parte, l’accento nordico sempre più marcato che si registra in opere trevigiane di Lorenzo realizzate dopo il 1503 e prima della sua indubitabile frequentazione lagunare con Dürer (che vi arrivò nell’autunno del 1505): ci si riferisce in particolare al Ritratto di Bernardo de’ Rossi – compiuto il primo di luglio 1505 (I.6) – e alla più o meno coeva Madonna col Bambino e santi di Edimburgo (I.4)46. Nella tavola scozzese la scena è impostata sulle figure presentate in sequenza paratattica e rese con solidità a tratti perfino meccanica (colpisce il modo in cui Gesù si piega per leggere il cartiglio presentatogli da Girolamo). È tuttavia indicativo che in essa il pittore attinga alla Sacra contemplazione che Alvise Vivarini, verso il 1480, aveva lasciato nella chiesa trevigiana di San 27
Francesco e ora alle Gallerie dell’Accademia di Venezia (fig. I.4a)47: al suo probabile primo maestro Lorenzo si ispirò infatti sia per la figura del san Francesco, sia per la soluzione del drappo verde arricciato posto alle spalle dei personaggi. Se lo schema compositivo appare abbastanza tradizionale, la costruzione iconografica è invece originalissima, con il san Francesco che si rivolge alla Vergine reclamando le stigmate, che però non sono possibili, in quanto il bimbo è troppo piccolo per riceverle, mentre il legno della sua futura croce non è stato ancora tagliato dai due boscaioli descritti sul fondale come in attesa48. Soluzioni di tale raffinatezza concettuale implicano non solo una predisposizione del giovane maestro a una narrazione allegorizzante, ma anche – giocoforza – il contatto con committenti di alto livello culturale. Il radicamento di Lorenzo nella realtà trevigiana a partire dall’estate del 1503 è comprovato in effetti da vari documenti che lo attestano in rapporti personali con figure di indubbio spicco49. La principale è, evidentemente, quella del vescovo de’ Rossi, per il quale – dopo la tavola del 1503 (I.2) – nel 1505 eseguì un ritratto corredato da una copertura allegorica di iconografia particolarmente complessa, oggi alla National Gallery di Washington, dietro la quale un tempo compariva un’iscrizione latina con la data del primo luglio (I.6). E ancora nel 1506, il vescovo si adoperava affinché il pittore venisse saldato dopo aver consegnato la Pala di Santa Cristina (I.5)50. Molti gli intellettuali trevigiani certamente frequentati da Lorenzo: dal segretario personale del prelato, il colto umanista Galeazzo Facino51, ai giuristi Nicolò Tempesta (che fu uno dei suoi notai, nonché procuratore nella diatriba in merito ai pagamenti della Pala di Santa Cristina; Regesto: 1504, 25 novembre, 7 e 21 dicembre; 1505, 16 marzo, 7 aprile e 26 luglio; 1506, 18 ottobre)52 e Pancrazio Pirrucchino (nella cui dimora presenzia a un atto il 7 dicembre 1504; Regesto: alla data)53, al notaio e poeta Girolamo Bologni54, al già menzionato Ludovico Marcello55, suo locatore, fino al più eminente di tutti, il letterato riminese Giovanni Aurelio Augurello56. Quest’ultimo era stato precettore di Pietro Bembo (che proprio da lui era stato indirizzato allo studio di Petrarca) ed era in rapporti a Firenze con Ficino e Poliziano e a Venezia con vari esponenti del circolo aldino, tra cui Trifon Gabriele. Ebbe pure interessi misteriosofici, che si manifestarono platealmente nel 1515, quando dedicò a papa Leone X la Chrysopoeia, un poemetto di argomento alchemico sull’arte di trasformare la materia vile in oro. Di lui Lorenzo in questi anni trevigiani aveva realizzato un ritratto (cfr. I.3) con una copertura allegorica che – come lo stesso artista annota nel Libro di spese diverse – nel novembre del 1545 gli fu chiesto di ricopiare (VI.54). Tali frequentazioni consentirono al maestro di acquisire una forma mentis umanistica non scontata per un pittore e di elevarsi socialmente. Non sorprende pertanto che il 7 aprile 1505 venisse qualificato come “pictor celeberrimus” in un atto rogato alla presenza di altri due patrizi veneziani, Andrea di Nicola Bragadin e Alvise di Francesco Miani (Regesto: alla data). E non stupisce neppure che all’epoca disponesse di un collaboratore già “magister” (il “Dominico disipulo ipsius magistri Laurenti” attestato a Treviso il 18 ottobre 1506; Regesto: alla data) e pure di un “famulo”, ossia di un apprendista che, di norma, aveva anche il compito di collaborare in vari compiti e nella gestione del laboratorio (Regesto: 1506, 20 giugno)57. D’altra parte, com’è ovvio, alla notorietà acquisita corrispondeva una crescente richiesta di opere, alla quale il pittore rispose fin da subito in maniera diversificata, a seconda delle esigenze della committenza e del mercato: per cui dalla sua officina potevano uscire prodotti autografi assieme ad altri parzialmente o in toto di bottega. Lo dimostrano tre redazioni del Matrimonio mistico di santa Caterina: risulta infatti integralmente di sua mano quella di Monaco (I.10), in collaborazione con un allievo fu eseguita quella di collezione privata bergamasca (III.2: ma cfr. figg. alle pp. 456-457) e a un discepolo piuttosto dotato (Domenico?) spetta invece quella al Museum of Fine Arts di Boston (III.4). 28
9. Albrecht Dürer Madonna del Rosario Praga, Národní galerie
Analizzando l’insieme della sua produzione trevigiana tra il 1504 e il 1506 si percepisce il progressivo consolidamento di un aspetto essenziale della sua poetica, che lo caratterizzerà – in maniera costante, anche se con declinazioni variegate – nell’intero arco della sua lunga carriera: ossia la volontà di non seguire colleghi come Bellini e il primo Giorgione sulla via di una sempre più marcata idealizzazione classicheggiante, bensì di competere vigorosamente con la realtà, così come si palesa nella sua difforme consistenza materica. Basti considerare l’immediatezza cruda, priva di filtri, con cui riproduce l’irregolarità dei volti del de’ Rossi (I.6), della Donna di Digione (I.8) e del Giovane con lampada di Vienna (I.13), oppure l’illusionismo estremo con cui – nella Pala di Santa Cristina (I.5) – scalpella gli elementi architettonici, inseguendo le ombre in ogni anfratto e duplicando con infinita pazienza, nodo dopo nodo, un tappeto anatolico di cui riesce a trasmettere persino la sensazione della polvere che lo intride58. Ragionando su un piano più strettamente filologico, in questi anni si possono costituire due o tre nuclei. Il primo è molto dubbio e s’impernia sulla decorazione ad affresco del monumento sepolcrale ad Agostino Onigo nella chiesa domenicana di San Nicolò. Si tratta di una delle questioni attributive più dibattute dell’intero Rinascimento veneto, che ha diviso la critica tra chi ha sostenuto la paternità lottesca (da ultimo Ballarin 2016 [2018], con una datazione sul 1504), chi quella di un artista locale (Pier Maria o Girolamo Pennacchi; Giovanni Matteo Teutonico) e chi ha invece seguito l’ipotesi favorevole al vicentino Giovanni Bonconsiglio detto Marescalco, che era nell’aria già nei primi anni cinquanta ma che fu ufficialmente introdotta da Federico Zeri in un celebre saggio del 1976. Chi scrive condivide quest’ultima prospettiva, che ora non occorre ridiscutere, rimandando a quanto proposto nella monografia sul Bonconsiglio (1998) e alla sintesi aggiornata qui offerta nella scheda (V.118). Il secondo nucleo è invece certo e ruota intorno alla prima metà del 1505, che accolse l’esecuzione della tavola di Edimburgo (I.4), della Pala di Santa Cristina (I.5), del ritratto del de’ Rossi (I.6) e forse del Domenicano di Upton House (I.7): tutte opere nelle quali, pur con un linguaggio ormai pienamente emancipato, risulta palese la volontà di dialogo con Giovanni Bellini e, già, con Giorgione, la cui poetica parrebbe evocata dall’allegorismo del coperto del ritratto. Il terzo nucleo è composto da lavori in cui è evidente l’influsso di Albrecht Dürer, il quale – com’è noto – risiedette a Venezia tra l’autunno del 1505 e il gennaio del 1507 e che costituì un elemento di rottura, se non di scandalo, nel panorama pittorico lagunare59. Ciò avvenne in particolare a seguito della commissione della Pala del Rosario per la chiesa di San Bartolomeo, oggi a Praga, in lavorazione all’inizio del 1506 (fig. 9)60. In tale gruppo si annoverano opere che paiono databili dalla fine del 1505 a tutto il 1506, quali la seconda Allegoria di Washington (I.9), lo Sposalizio mistico di santa Caterina alla presenza di san Girolamo (?) di Monaco (I.10), la Donna di Digione (I.8), il ritratto di Giovane di Vienna (I.13) e il San Girolamo del Louvre (I.11). Per un’analisi più dettagliata di tali 29
pezzi – in cui a volte affiorano perfino enigmatiche assonanze con prodotti di origine danubiana, tra Altdorfer e Grünewald (I.9, I.10, I.11) – si rimanda alle schede, tuttavia non senza aver fatto almeno un cenno a una vexata quaestio relativa a quest’ultimo, dalla quale dipende in buona sostanza la configurazione cronologica del catalogo giovanile di Lorenzo. Il dipinto, infatti, è firmato e datato in maniera chiara, tranne che nell’ultima cifra, alternativamente letta 1500 o 1506 (fig. I.11b). Per capirsi, appare una specie di 150o che alcuni interpretano, appunto, come 1500, e altri invece 1506, intravedendo un’estensione che prolunga l’ultimo o, trasformandolo in un 661. Si capisce bene che porre in apertura di secolo un capolavoro così maturo e innovativo richiederebbe una revisione dei suoi inizi assai meno lineare di quella che chi scrive – e vari altri ben prima di lui – ha ritenuto di adottare. Ciò dipende da tre fattori: anzitutto dall’esito di una qualificata analisi paleografica richiesta per l’occasione a un autorevole specialista62, in secondo luogo dal riscontro nel San Girolamo di un grado di conoscenza dell’arte di Dürer che non sembra spiegabile solo tramite la consuetudine con le sue stampe, bensì anche con dipinti e soprattutto disegni (cfr. fig. I.11a), e in terzo luogo per via del perfetto aggancio di stile che si produce tra la tavola parigina e alcuni dettagli della pala di Asolo, la cui data 1506 non è discutibile (I.12). Asolo (1506) La fama dei lavori di Lorenzo si sparse nel territorio trevigiano e raggiunse appunto Asolo, dove da anni dimorava Caterina Cornaro, una veneziana che era stata regina di Cipro: nel 1489 aveva dovuto abbandonare l’isola su imposizione della Serenissima, ricevendo in cambio tale cittadina. Qui viveva in una piccola corte umanistica, circondata da funzionari, letterati, artisti e militari, tra i quali vi era pure Tuzio Costanzo, il committente della pala di Giorgione a Castelfranco. E qui, proprio alla sua corte, Pietro Bembo aveva ambientato Gli asolani, un denso dialogo sulla natura dell’amore stampato da Aldo Manuzio a Venezia nel 150563. Sulla commissione dell’opera, riscoperta nel 1820 in duomo da Antonio Canova, sono state avanzate sostanzialmente due ipotesi64. La prima, più tradizionale, riconduce alla Confraternita dei Battuti, nella cui sala consiliare nel XVII secolo era attestata una “bellissima pala d’altare di pretio considerevole”. La seconda chiama in causa direttamente la sovrana, che sappiamo essere stata in contatto personale con il vescovo de’ Rossi65. Quest’ultima linea interpretativa nasce da svariati riscontri, a partire dal fatto che sembra proprio lei, Caterina, a dare il volto alla Vergine che appare ai santi Antonio Abate e Ludovico da Tolosa: in quel viso anziano e ieratico si riconoscono infatti le fattezze della regina così come poco prima l’aveva ritratta Gentile Bellini nella tavola di Budapest (fig. I.12a). Caterina osò farsi effigiare nei panni della Madonna perché ufficialmente deteneva – oltre che quello di Cipro e di Armenia – pure il titolo di Regina di Gerusalemme e Palestina, ma soprattutto perché era profondamente devota. Nel 1505 il territorio asolano era stato prostrato da una grave carestia: la commissione del dipinto fu probabilmente un modo per dichiarare al suo popolo che la Vergine vigilava su Asolo, la cui rocca si scorge all’orizzonte. Accanto a lei si dispongono l’anacoreta Antonio, tra le cui gesta si annovera anche la guarigione di un re di Palestina66, e il principe angioino Ludovico da Tolosa, che al pari di Caterina rinunciò al proprio regno. Le piante furono descritte dal pittore con precisione estrema, al punto che uno studio botanico ne ha identificate una ventina67. La più sorprendente è senza dubbio quella al centro, che sembra quasi sostenere la mandorla di nubi che racchiude Maria: si tratta infatti di un cipresso, rappresentato però nella forma diffusa in Oriente, che rimanda nel nome a Cipro, l’isola tanto amata che Caterina aveva dovuto abbandonare. Non sembra pertanto casuale che quando nel 1548 Jacopo Bassano fu convocato dai Battuti per duplicare la tavola 30
10. Lorenzo Lotto La Vergine in gloria tra i santi Antonio Abate e Ludovico da Tolosa, particolare del primo piano con la firma Asolo, chiesa prepositurale e collegiata di Santa Maria Assunta
di Lorenzo in una tela di analoghe dimensioni (evidentemente realizzata con finalità sostitutive) modificò solo due aspetti: tolse il cipresso e ringiovanì il volto della Madonna68. Dal punto di vista compositivo il dipinto attesta la conoscenza di una pala che Giovanni Bellini stava realizzando per la chiesa muranese di San Pietro Martire69, mentre da quello formale si ravvisa una strettissima prossimità con il Ritratto di giovane con lampada di Vienna (I.13), nel quale vi è stato chi ha colto una somiglianza con il san Ludovico70. Al pari della tavola austriaca, anche qui si riconosce un aggiornamento in tempo reale su quanto Dürer andava divulgando a Venezia con tavole e disegni, in particolare nei brani naturalistici e negli angeli che circondano Maria, per molti dei quali non è difficile ritrovare compagni analoghi in alcuni fogli del tedesco (fig. I.12b). Come anticipato in apertura, lo IVNIOR che compare dopo la firma e prima della data M.D.VI, nel cartiglio al centro del primo piano, pone un interrogativo non facilmente risolvibile (fig. 10). Perché tale specificazione? Rispetto a chi Lorenzo Lotto, qui ad Asolo, si dichiara IVNIOR? Invero s’è anche ipotizzato che si tratti di un comparativo assoluto, da sciogliersi come “assai giovane” o “ancor giovane”71. Tuttavia, pure tale soluzione lascia perplessi: risulterebbe atipica e, in fondo, 31
piuttosto inutile. Se l’idea che lo IVNIOR possa riferirsi a un padre o a un nonno pittore SENIOR appare fantasiosa, dopo il riscontro dell’omonimia con lo zio “praeco” – Lorenzo, il fratello del padre Tommaso – si apre dunque una terza possibilità: ossia che l’artista abbia deciso di qualificarsi in questo modo proprio per distinguersi dal parente, che in città poteva essere riconosciuto in quanto funzionario dell’amministrazione dello Stato. Come che sia, la pala è uno dei capolavori del primo periodo dell’artista e porta in sé una sorta di premonizione. La scelta di Lorenzo di palesarsi simbolicamente attraverso un vistoso cartellino posto al centro di un sentiero stretto e tortuoso che conduce a una città arroccata (che evoca, attraverso la morfologia di Asolo, il tema agostiniano della Gerusalemme celeste, a un tempo in terra e in cielo) sembra quasi profetizzare il destino che lo attendeva: una vita di peregrinazioni solitarie, che si conclusero, da vecchio, nel santuario mariano di Loreto. Recanati (1506-1508) In un dettaglio del Matrimonio mistico di santa Caterina a Monaco (I.10), più o meno di questi tempi, si riconosce un cavaliere che s’inerpica su una stradina di montagna, seguito da un cavallo carico di bagagli (fig. 11). Se da un certo punto di vista si può credere che si tratti di un richiamo visivo al concetto dell’impervio cammino della preghiera, da un altro come escludere che il pittore riflettesse pure sulla sua innata mobilità personale? Il 17 e il 20 giugno 1506 Lotto è documentato nelle Marche, a Recanati, per definire gli accordi contrattuali per un polittico da porsi sull’altar maggiore della chiesa di San Domenico, che verrà licenziato – come testificato dall’iscrizione nel pannello centrale – nel 1508 (I.16; Regesto: alle date). Dopo il ritratto di Banbury (I.7), è la prima importante testimonianza del rapporto del pittore con l’ordine domenicano, con il quale manterrà un legame privilegiato per tutta la vita72. Recanati era una città ricca, famosa soprattutto per la sua fiera, nella quale s’incrociavano mercanti e acquirenti da tutta Italia, in particolare di stoffe, gioielli, libri, ma pure di opere d’arte. Inoltre, il suo vescovo fino a quel momento aveva la giurisdizione sulla Santa Casa di Loreto (riconosciuta in quella – trasportata dagli angeli prima in Istria e poi in Italia – in cui Maria era stata concepita e dove aveva ricevuto l’annunciazione), un luogo di pellegrinaggio tra i più importanti della cristianità73. Tale commissione fruttò a Lorenzo la notevolissima cifra di 700 fiorini, messa assieme grazie a un concorso di spese. In cambio egli consegnò un dipinto di concezione superba e tecnicamente perfetto. Non si pose però subito al lavoro. Il 18 ottobre 1506 è di nuovo a Treviso, dove lascia al suo locatore vari beni in garanzia (cosa che indica la volontà di tornarci), e solo dal 10 luglio dell’anno successivo lo si ritrova con certezza nelle Marche (Regesto: alle date). Non si può escludere che abbia trascorso almeno parte del periodo intermedio a Venezia, come suggeriscono svariati rimandi alle novità lagunari riconoscibili nel quadro74. Lorenzo propose una struttura di polittico molto simile a quella che proprio in quei tempi Cima da Conegliano stava predisponendo per la chiesa di San Fior, nel territorio trevigiano: un’opera magnifica, in cui non a caso sono state intraviste interferenze con 32
11. Lorenzo Lotto Matrimonio mistico di santa Caterina alla presenza di san Girolamo (?), particolare Monaco, Alte Pinakothek
l’arte lottesca (fig. I.16a). D’altra parte, il rinnovato incrocio tra i due appare confermato pure da un fraintendimento attributivo che perdura da tempo: quello relativo alla paternità di un Busto di Cristo a Dresda, solitamente ascritto a Cima e invece alquanto prossimo al San Sigismondo nel registro superiore a destra dell’ancona marchigiana (I.15). Il pittore immaginò un pannello centrale estremamente dinamico, dove – sotto a una volta di ascendenza bramantesca – i personaggi oscillano nella luce di taglio proveniente da destra, seguendo il gesto di Maria che, tramite un angelo dai tratti giorgioneschi, pone lo scapolare a un san Domenico talmente individualizzato da far sorgere il sospetto che possa trattenere le fattezze del committente (e probabile ispiratore iconografico) dell’opera: quel fra’ Giovan Domenico, teologo e vicario generale dell’Ordine, su cui però non abbiamo informazioni che consentano di riflettere su tale idea in termini che non siano quelli di una pura suggestione75. Nei pannelli si alternano santi domenicani e patroni locali, rappresentati con un’ossessività descrittiva implacabile, quasi compulsiva, per la resa del dettaglio. Ogni minimo particolare, oltre ad avere un suo preciso valore semantico, restituisce l’apparenza materica di oggetti che gli osservatori potevano riconoscere nella loro perfetta corrispondenza con quelli della realtà: libri, paramenti, guanti, anelli, stole, armi, strumenti musicali… Ovunque il pittore sembra proporre una sfida illusionistica portata al limite estremo, che ha il suo culmine nella fisicità imponente del Cristo morto nella cimasa, dove l’interpretazione drammatica in precedenza espressa nell’analogo tema nella Pala di Santa Cristina (I.5) viene superata da una soluzione di impressionante lucidità descrittiva. S’è spesso, opportunamente, insistito sull’incidenza che l’esempio düreriano ebbe sull’arte lottesca anche in questo capolavoro. Non vi è dubbio: bastano confronti come quelli tra le mani di Tommaso e Flaviano con alcune che si ritrovano in certi studi del tedesco e le fettucce policrome nell’abito del san Vito (derivate da quelle dell’armigero inginocchiato a destra nella Pala del Rosario) per attestare la centralità di un rapporto che, almeno per Lorenzo, fu essenziale (figg. 12-13,
12. Albrecht Dürer Studio di mani Norimberga, Germanisches Nationalmuseum 13. Lorenzo Lotto Polittico di San Domenico, particolare Recanati, Musei Civici, Villa Colloredo Mels 14. Albrecht Dürer Madonna del Rosario, particolare Praga, Národní galerie 15. Lorenzo Lotto Polittico di San Domenico, particolare Recanati, Musei Civici, Villa Colloredo Mels
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14-15)76. Tuttavia, è altrettanto innegabile che qui egli calò le impressioni di Dürer in un impasto visivo in cui la memoria di Antonello, Bellini, Cima e Giorgione continuava a pulsare, rielaborando ogni spunto all’interno di una formula ormai pienamente personale e coerente. Purtroppo non è più possibile apprezzare l’opera entro la perduta cornice originale ideata dal maestro – che sarà stata raccordata illusionisticamente all’architettura dipinta (l’attuale è del 1914) – e neppure coglierne l’estensione narrativa dei pannelli principali nei tre episodi della perduta predella, al centro della quale, come testimoniato da Vasari (1568), stava il Transito della Santa Casa di Nazareth (VI.1)77. Il tema, in un lavoro commissionato nel 1506 e consegnato nel 1508, era molto sentito in zona. Si consideri che nel 1506 era stato indetto il giubileo lauretano e che nel 1507 una bolla papale aveva sottratto la Santa Casa di Loreto alla giurisdizione del vescovo di Recanati, assoggettandola alla Santa Sede. In tale luce va letta la decisione di Giulio II di inviarvi Donato Bramante, per fare “le opere che vuole e resarcire quello bisogna”, realizzandovi “cose magne”. Fu così: svariati documenti del 1508-1509 segnalano l’architetto a Loreto ed è più che verosimile che Lorenzo possa averlo conosciuto personalmente. Anzi, considerando la sua enorme influenza romana, l’ipotesi introdotta da Oldfield (1984, Lorenzo Lotto) che possa essere stato proprio Donato il patrocinatore della convocazione del maestro veneto in Vaticano appare alquanto plausibile78. Non sappiamo quando gli pervenne, ma l’invito a recarsi nell’Urbe fu chiaramente inderogabile e l’artista – che fin dall’estate del 1507 aveva ricevuto i primi pagamenti per la Trasfigurazione destinata a Santa Maria di Castelnuovo a Recanati (I.20) – lasciò sospeso ogni impegno locale. I documenti lo attestano in città fino al 20 novembre 1508 (Regesto: alla data) e non si può escludere che, dopo la consegna dell’ancona (presumibilmente in estate), si sia dedicato all’equilibratissima Madonna col Bambino e i santi Ignazio (o Flaviano?) e Onofrio della Galleria Borghese di Roma: una tavola imperniata sul tema della inevitabile complementarietà di vita attiva e contemplativa (I.17). Roma (1509-1510) Il 7 marzo 1509 un breve di Giulio II dispone il pagamento di cento ducati a “Laurentio pictori pingenti in camera nostra”: cognome e provenienza vengono specificati nella ricevuta del 9 marzo (“Lottus de Treviso”). È al lavoro “in cameris superioribus pape prope librariam superiorem” (Regesto: alla data)79, un ambiente da taluni identificato nella Stanza di Eliodoro e da altri nel cosiddetto Cubicolo di Giulio II80. Comunque sia, si trova a operare nel cuore del potere, in uno degli spazi più frequentati dal pontefice. La cifra fa intendere che si trattava di un intervento abbastanza ampio e il 18 settembre gli vengono consegnati altri 50 ducati per “facere depingere cameras novas” (Regesto: alla data)81. Tuttavia, poco dopo, Giulio II decide di ripartire da zero, facendo rimuovere quanto appena realizzato in tale zona (non solo da Lorenzo, ma anche da Cesare da Sesto, Luca Signorelli e Bramantino), per lasciare campo libero a Raffaello, che meglio degli altri si era dimostrato in grado di rappresentare la sua concezione della storia e del ruolo della Chiesa82. Cosa resti di Lotto nelle stanze vaticane è un quesito che divide da tempo gli specialisti, tra chi crede che non sussista più nulla, chi – come Roberto Longhi e Pietro Zampetti – ipotizzò una collaborazione occulta con l’Urbinate, e chi – come Arnold Nesselrath, in svariati interventi83 – ha creduto di riconoscere la sua mano in porzioni più o meno ampie nelle stanze della Segnatura e di Eliodoro (V.26). La questione è indubbiamente complessa e delicata. Pur ammettendo che in tali ambienti si riconoscono brani in cui si può avere l’impressione di cogliere assonanze con la maniera lottesca, è difficile convincersi della tenuta di tali proposte. Per quanto assai meno eclatante, invece, si deve mantenere aperta una possibilità prospettata da Mancinelli (1982) e Cordaro (1984), 34
16. Lorenzo Lotto (?) Anacoreti in un paesaggio, particolare Città del Vaticano, Musei Vaticani
ma in seguito sostanzialmente negletta: ossia che a Lotto spetti un lacerto d’affresco con una scena di Anacoreti in un paesaggio – proveniente da un ambiente non identificato nel Palazzo Apostolico in Vaticano (II.3) – che dal punto di vista tecnico-esecutivo presenta non poche affinità con le figure sul fondo del San Girolamo di Castel Sant’Angelo (I.18). Il giudizio, tuttavia, non può che rimanere sospeso, a causa del pessimo stato conservativo del brano, della limitatezza dell’area analizzabile e dell’incertezza sul contesto d’origine (fig. 16). Nel 1509 a Roma Lorenzo impattò con una realtà più grande di lui. Abituato com’era alla nativa Venezia e alle tranquille Treviso e Recanati, si trovò soverchiato dalla monumentalità della cultura classica che ogni giorno si manifestava con nuove scoperte (si ricordi che nel 1506 viene recuperato il Laocoonte) e che richiamava centinaia di artisti, che per immergervisi attraversavano l’Italia e l’Europa. “Roma quanta fuit ipsa ruina docet”, si ripeteva all’epoca: le sole rovine bastavano a illustrare l’immensa grandezza di un passato che era – con esse – potentemente presente. In quel 1509-1510 vi risultano attestati anche Michelangelo, Perugino, Bramantino, Sodoma, Peruzzi, Cesare da Sesto, Signorelli e Beccafumi, solo per limitarsi ai più celebri: un incrocio di personalità, culture e linguaggi diversissimi, su un palcoscenico che stimolava contaminazioni feconde, ma anche competitività velenose84. Al soggiorno romano di Lorenzo risale l’appena menzionato San Girolamo di Castel Sant’Angelo, una tavola che svela l’impatto energizzante che tale contesto ebbe sulla sensibilità visiva del veneto: vi si riscontrano tracce di meditazioni archeologiche, di contatti diretti con Raffaello e Michelangelo, nonché una percezione del paesaggio mutata rispetto a quella degli esordi (I.18). In tale fase è stato per lo più posto anche un ritratto – già nelle raccolte del Getty Museum e attualmente in una collezione privata svizzera (I.28) – che potrebbe effigiare l’orefice milanese Giovan Pietro Crivelli. Il suo nome non è iscritto, né sussistono pezze documentarie che lo attestino esplicitamente: tuttavia – come aveva notato Emma Zocca – è legittimo chiedersi se non si tratti proprio del personaggio che il 18 settembre 1509 garantì per il Lotto in un pagamento per i lavori in Vaticano85. È il primo indizio della consuetudine che l’artista ebbe con tale categoria professionale, molto frequentata anche più in là nel tempo (cfr. I.90)86. Al di là dello stato conservativo alquanto pregiudicato – che rende la lettura del dato stilistico estremamente problematica –, rispetto alle prove ritrattistiche precedenti colpisce il modo in cui il personaggio viene presentato, fermo in posa e con lo sguardo laterale: quasi il prototipo del venditore che si identifica con la sua stessa merce. È chiaro che qui le esigenze di rappresentazione del committente prevalsero sulle risorse interpretative dell’artista, che si piegò all’adozione di una formula meramente ostentativa, al pari di quanto fece nel 1515 per il Ritratto di Giovanni Agostino e Nicolò Della Torre (I.31): e non si può affatto escludere, anzi, che si tratti piuttosto di un lavoro di tale periodo. Comunque sia, è innegabile che a partire da questo momento – e ancora per qualche anno – l’artista perse smalto nelle sue prove ritrattistiche, che divennero più convenzionali, come dimostrano altre effigi a lui ascrivibili in questa fase di passaggio, peraltro di datazione non sempre facilmente precisabile (I.24, I.27, I.34)87. 35
Jesi, Recanati (1510-1513) Sebbene sia stata in più occasioni ipotizzata una sua sosta a Firenze, dopo Roma – sulla base di una serie di indizi di carattere formale che inducono a riflettere seriamente –, quel che è certo è che nella seconda metà del 1510 Lorenzo Lotto è attestato di nuovo a Recanati, dove aveva lasciato in sospeso alcune commissioni, prima fra tutte quella della Trasfigurazione per Santa Maria di Castelnuovo (I.20). Il 14 aprile alla fiera locale presenzia alla vendita di un panno fatta da un mercante veneziano (Agostino de Sinistri), mentre il 15 maggio dell’anno seguente rilascia al priore della chiesa di San Domenico la quietanza definitiva di pagamento per il polittico del 1508 (Regesto: alle date). Il 27 ottobre lo troviamo però a Jesi, dove si accorda con la Compagnia del Buon Gesù per sostituire Luca Signorelli nell’esecuzione di una pala affidatagli nel 1508, per la quale Girolamo Genga era stato indicato quale garante. Nel documento egli si impegna – a fronte di un pagamento di 125 ducati – a realizzare il Salvatore deposto con varie figure e il monogramma di Cristo. Non ci sono indicazioni che avrebbe dovuto ispirarsi alla Deposizione predisposta nel 1508 da Raffaello per la famiglia Baglioni oggi alla Galleria Borghese (fig. I.21a), ma visto che così fece, se ne deduce che fu una scelta sua. È la prova del contatto diretto con il Sanzio e dell’impatto che tale invenzione ebbe su di lui. Che l’abbia vista a Roma (tramite disegni, repliche di bottega o copie), oppure direttamente a Perugia – in una rapida digressione dal percorso che dall’Urbe portava nelle Marche (poche ore di cammino) – non possiamo saperlo. Quel che si può dire è che ora Lorenzo si ripresenta sullo scenario marchigiano con una fisionomia artistica radicalmente mutata rispetto a quella manifestata nelle opere del 1508. Non è facile spiegare le ragioni di tale improvvisa trasformazione, ma l’impatto di almeno tre specifiche componenti culturali appare innegabile. Le prime due sono ovvie, la terza meno. Ci si riferisce in primo luogo alla profonda impressione che Lorenzo ricavò dal violento “espressionismo” del Laocoonte, assieme – anche se si tratta di una polarità apparentemente antitetica – appunto al riconoscimento della superiore altezza ideativa di Raffaello. La fusione ibrida di queste due matrici impronta il linguaggio che connota la Trasfigurazione di Recanati e la Deposizione di Jesi (I.21). Se in quest’ultima si riconosce pure un innesto di origine mantegnesca (fig. I.21b), nella Trasfigurazione le riflettografie hanno svelato un sorprendente virage compositivo in corso d’opera: egli infatti modificò la figura del Cristo da frontale, con le mani sollevate nel gesto dell’orante (fig. I.20a), a serpentinata, dando così vita a un suo animato dialogo con Mosè ed Elia da cui si genera un flusso dinamico che – ruotando specularmente le figure dei profeti e quasi travolgendo quelle degli apostoli, che paiono precipitare sull’osservatore – anticipa, com’è stato opportunamente rimarcato, una vis interpretativa dai caratteri tipicamente manieristici. Ma l’antico, Raffaello e Mantegna non bastano a spiegare un mutamento così profondo. Oltre a tali riferimenti figurativi, è verosimile che egli – tra Roma, (Firenze?) e le Marche – sia entrato in rapporto con una cerchia di maestri in cui, partendo da differenti matrici linguistiche, si conducevano esperimenti formali che portarono a esiti ben paragonabili a quelli che in lui riconosciamo nel 1510-1512. Mi riferisco in particolare a quelli che contraddistinsero – esattamente in quegli anni, o meglio, in quei mesi – i percorsi di Sodoma, Peruzzi, Beccafumi e Genga. Se con i primi tre è assai probabile che ci possa essere stato un contatto personale negli ambienti della curia vaticana, con l’ultimo si riscontra un “quasi incrocio” documentario marchigiano. Come sopra ricordato, infatti, proprio Genga nel 1508 era stato indicato quale garante per l’esecuzione da parte di Signorelli di una Deposizione che il maestro di Cortona non realizzò mai, venendo sostituito per l’appunto da Lorenzo: con il quale, com’è stato di recente suggerito, è plausibile che Genga fosse in contatto già dal 1506, 36
17. Lorenzo Lotto Deposizione di Cristo nel sepolcro, particolare Jesi, Pinacoteca Comunale, Palazzo Pianetti
quando quest’ultimo lavorava nelle Marche al fianco di Signorelli. In tale luce, non stupisce affatto l’analogia di soluzioni che si riscontra tra le coeve Trasfigurazioni di Lotto a Recanati e dell’urbinate a Siena (fig. I.20c)88. Al di là di tanti confronti tipologici e di dettaglio che si potrebbero proporre, e a prescindere da una palesemente mutata visione del paesaggio (che ormai svela l’entusiasmo per i nitori di matrice umbro-toscana: fig. 17), l’impressione è che in questa fase il veneziano abbia sentito una forte attrazione per le intemperanze anticlassiche che attraversavano l’Italia, fino a quel momento ancora assenti dal contesto veneziano e veneto. Riflettendo sulla sostanziale deconcentrazione che si riconosce nelle sue prove ritrattistiche – e d’altro canto prendendo atto dell’eccezionale enfasi interpretativa che caratterizza invece i suoi lavori sacri – ci si chiede poi se, oltre a quella artistica, a Roma egli non abbia vissuto una prima, grave, crisi interiore, che lo spinse a cercare una formula che gli facesse esprimere con diversa e maggiore efficacia i momenti topici dell’incarnazione di Cristo. In altri termini, da una religiosità “meditativa” ante 1508, si passa a una “mistica” post 1510. Nel mezzo stanno, appunto, Roma e le sue infinite contraddizioni. Abituato al microcosmo lagunare e alla tranquillità della provincia, per lui l’orizzonte si era improvvisamente troppo ampliato e la curiosità nei confronti di nuove potenzialità espressive scompaginò il suo ordinato tavolo di lavoro mentale. In tale prospettiva non sorprende la possibilità di intravedere nella sua produzione di questo periodo ulteriori possibili intrecci. Lo suggeriscono le affinità di gusto con certi spagnoli attivi a Roma – in primis l’Alonso Berruguete che nelle Stanze collabora con Raffaello89 – con alcuni scultori come Pietro Torrigiani (penso in particolare a certe Madonne marchigiane)90, ma pure l’urgenza del recupero di autorevoli schemi compositivi attestato da un più intenso utilizzo di stampe. Pure nella raffinatissima Giuditta del 1512 a Roma (I.23) è infatti evidente la meditazione su un foglio da Mantegna (fig. I.23a) e ci si chiede se ciò non potesse in qualche misura pure dipendere dai gusti di un suo committente di quei mesi, il cardinale e legato apostolico della Marca d’Ancona, Sigismondo Gonzaga, che viene il dubbio di riconoscere nel Ritratto di prelato conservato al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid (I.24)91. Bergamo (1513-1525) Sui tempi e sulle modalità dell’arrivo a Bergamo permangono molte incertezze92. Sappiamo che il 13 maggio 1513 un certo “maestro Lorenzo pittore” è incaricato di predisporre dei disegni che illustrino storie della vita di santa Caterina d’Alessandria per la chiesa di 37
Sant’Alessandro in Colonna (VI.6), ma – sebbene sia un luogo in cui poi venne a lavorare (I.49) – non abbiamo la sicurezza che si tratti proprio di lui (Regesto: alla data). Due giorni dopo, però, è proprio Lorenzo a sottoscrivere il contratto per l’esecuzione di un’enorme pala per la chiesa dei santi Stefano e Domenico, voluta da Alessandro Martinengo Colleoni e per la quale riceverà il compenso eccezionale di cinquecento ducati (I.33) (Regesto: 1513, 15 maggio). L’incarico seguì un concorso in cui erano stati convocati numerosi abili pittori (“vocati cumplures egregii Pictores convenissent”), tra i quali, appunto, pure “Magister Laurentius fil[ius] Thomaxii de Lotis”, la cui proposta fu ritenuta migliore delle altre. Ma quando si tenne tale concorso? Secondo Alessandro Ballarin “verosimilmente nel 1511”, anno in cui, dunque, l’artista si sarebbe recato in Lombardia e dove potrebbe aver incontrato Sigismondo Gonzaga93. Nulla vieta di pensare, tuttavia, che fosse stato indetto in tempi più ravvicinati al conferimento dell’incarico: ossia nella seconda metà del 1512 o nella prima del 1513, anche tenendo conto del fatto che l’ultima attestazione del maestro nelle Marche risale al 30 aprile 1512 (Regesto: alla data). S’è molto ragionato, inoltre, sui canali che gli consentirono di essere informato su tale opportunità e la risposta più probabile è che possa essere dipeso dalla presenza nelle Marche di mercanti bergamaschi con cui fu poi in accertato contatto lavorativo: Chiodi suggerì il nome di Giovannino Casotti, che con la sua famiglia operava a Recanati almeno dal 1500, Cortesi Bosco e Coltrinari aggiunsero quello di Balsarino Angelini94. In alternativa, si potrebbe pensare anche a un fil rouge domenicano. Comunque sia, nella seconda parte del 1513 e per tutto il 1514 non si ha traccia di una permanenza del maestro in città: cosa piuttosto comprensibile, considerando la situazione di pericolo determinata dai postumi delle guerre e dei rivolgimenti politici conseguenti alla Lega di Cambrai95. Vi opera certamente nel 1515, quando esegue il San Girolamo di Allentown (I.30) – che alcuni hanno supposto realizzato per Domenico Tasso (e comunque noto in città, come attesta la precoce ricezione di Andrea Previtali in un suo lavoro all’Accademia Carrara: fig. I.30a) – e il doppio ritratto di Giovanni Agostino e Nicolò Della Torre alla National Gallery di Londra (I.31). In quest’ultimo egli appare ancora piuttosto involuto rispetto alle smaglianti prove ritrattistiche del primo decennio e in difficoltà nel coniugare descrizione e interpretazione, come già nel presunto Crivelli (I.28). L’anziano medico è raffigurato a busto intero, appoggiato a un tavolo ricolmo di strumenti del sapere, libri su libri, carte, calamai sporchi di inchiostro, appunti disseminati ovunque: con la sinistra sostiene un ponderoso volume di medicina che tiene aperto con le dita per ritrovare in fretta la pagina appena consultata, mentre con la destra impugna altre lettere e un lindo fazzoletto su cui si posa una mosca. Alle sue spalle il figlio si fa spazio quasi a forza, incurante della composizione studiatissima, per rientrare nel cono di luce intellettuale che rese illustre il genitore. È stato da alcuni sostenuto – e si capisce bene il motivo, considerando l’equilibrio complessivo dell’immagine – che Nicolò sia stato aggiunto in un secondo momento, dopo la morte del padre. In ogni modo, siamo di fronte a un ritratto di status, forzatamente familiare e quasi anaffettivo, che fotografa la dimensione ostentatamente cerebrale di tanti accademici. Tuttavia, l’originalità di approccio di Lorenzo si materializza in dettagli come quello della mosca che si staglia sul bianco del fazzoletto. In un suo celebre studio del 1984 André Chastel dimostrò come questo insetto spesso è utilizzato quale semplice trompe l’œil, ma in vari casi – come verosimilmente qui – è un esplicito richiamo simbolico al male, al principio di degradazione a cui si è tutti ineluttabilmente soggetti96. La realizzazione della Pala Martinengo dovette richiedere un impegno gravosissimo e alcuni anni di lavoro (I.33). Se per il polittico di Recanati ce ne erano voluti due, o poco meno, adesso la macchina rappresentativa è ancor più imponente. Purtroppo, la cornice originale è andata distrutta 38
18. Lorenzo Lotto (e collaboratore) Miracolo di san Domenico, particolare Bergamo, Accademia Carrara 19. Lorenzo Lotto Deposizione di Cristo, particolare Bergamo, Accademia Carrara
e non possiamo sapere se in essa – oltre ai tre scomparti della predella conservati all’Accademia Carrara e all’Angelo di Budapest – fossero inseriti pure elementi come i due tondi di Raleigh (III.13) e i due santi domenicani della Fondazione Longhi di Firenze (III.8). La critica si è giustamente domandata se il loro livello sia congruo rispetto al resto dei pannelli pervenuti e se i principi di illuminazione adottati siano coerenti. A questo riguardo il giudizio negativo di chi scrive si motiva nelle relative schede: ma è indubbio che, nel condurre a termine il monumentale lavoro, Lorenzo si sia trovato nella necessità di dover delegare almeno qualche parte dell’esecuzione. Lo si comprende molto bene comparando, ad esempio, il netto dislivello qualitativo tra la parte destra del Miracolo di san Domenico e la sinistra della Deposizione (figg. 18-19). D’altra parte, che il maestro si trovasse a gestire una bottega con allievi e collaboratori è indicato pure dall’esistenza di repliche non firmate di opere di questo periodo: come la tavola già in collezione Bussandri a Bassano del Grappa (III.1) che, per quanto talvolta rivendicata allo stesso Lotto, non può oggettivamente reggere il confronto con il prototipo da cui si origina, ossia il sopra citato San Girolamo di Allentown, firmato in oro sul tronco in basso a destra (I.30). La stessa cosa può dirsi anche a riguardo delle “duplicazioni” della Deposizione di Jesi in collezione Biandrà a Milano (III.10) e dell’Assunzione di Maria di Wilton House (III.16), che reitera il ben più fluido modello ora a Brera (I.22): non sono copie tarde ma coeve, e credere che siano state realizzate fuori dalla sua stretta cerchia risulta piuttosto difficile97. Quando la pala venne posta sull’altare maggiore della chiesa dei Santi Stefano e Domenico fu chiaro a tutti che Lotto era il più dotato pittore operante in città: e da qui iniziò un decennio di successi, esperimenti ed emulazioni di ogni tipo. Del 1517 è la sorprendente Susanna degli Uffizi, un’interpretazione freschissima e un po’ naïf, caratterizzata da una narratività articolata e quasi fumettistica, nella scelta di affidare il dialogo tra lei e i vecchioni a cartigli con parafrasi dei versetti biblici (I.35): ma la descrizione del paesaggio retrostante ha un che di magico (si veda il particolare riprodotto alle pp. 94-95), come la cura paziente e 39
ossessiva di ogni dettaglio, a partire dalle vesti dismesse dalla donna, che si direbbe spogliata, con commovente delicatezza e rispetto, dallo stesso pittore. Dell’anno successivo è la Madonna col Bambino e san Giovannino di Dresda, definita da Mauro Lucco “uno dei dipinti più straordinariamente belli, anche se meno noti, della storia della pittura”98 (I.36). È l’opera più leonardesca di Lorenzo, il segno inequivocabile di un passaggio per Milano. Erano tempi in cui l’artista pensava però anche a viaggi ben più lontani. È proprio del 1518 (Regesto: 1518, 17 luglio) un documento nel quale – assumendo un garzone – gli chiedeva espressamente la disponibilità ad accompagnarlo in Francia o in Germania. Evidentemente stava valutando tali possibili esperienze. Le attrazioni francesi potrebbero forse spiegarsi con qualche contatto nella capitale del ducato, che era tornata sotto il controllo di Francesco I dopo la battaglia di Marignano (1515), in cui il sovrano oltralpino peraltro aveva avuto l’appoggio delle truppe della Serenissima. L’idea tedesca, invece, potrebbe risalire ai tempi lagunari dell’infatuazione per l’arte di Dürer, la cui opera incisa continuò a inseguire per decenni99; oppure motivarsi con un precoce interesse verso i fermenti religiosi che vi si stavano diffondendo a macchia d’olio a seguito dell’affissione, il 31 ottobre 1517, delle novantacinque tesi di Lutero sulla porta della chiesa del castello di Wittenberg100. Ma sono solo ipotesi. Il radicamento nella società bergamasca è progressivamente attestato da numerose testimonianze notarili, in una delle quali accanto a lui compare anche il pittore Francesco Bonetti, che in una lettera del 2 settembre 1524 (Regesto: alla data) verrà definito “Francesco nostro” e che in seguito, nella tavola cofirmata con Lucano da Imola nel 1534 a Pizzino in Val Taleggio, si dimostrerà un suo seguace ortodosso, benché limitatissimo101; inoltre dalla commissione di alcune opere perdute, come il Battesimo di Cristo affrescato nella chiesa di San Francesco del 1520, che Pasta (1775) dichiarò “maraviglioso” per la rara capacità di espressione degli “affetti” (VI.9)102. Bisognerà aspettare il 1521 per ritrovare le successive opere datate. Il quesito su dove sia stato nel frattempo, se solo a Bergamo oppure anche altrove, è legittimo, considerando che i lavori seguenti sembrerebbero svelare aggiornamenti sull’arte di Pordenone, Romanino, Palma il Vecchio e probabilmente pure di qualche nordico103. Comunque sia, quel che è evidente è che nel 1521 egli appare rigenerato, capace di un approccio più libero e carico di un’incontenibile energia, che mise a disposizione di una committenza abituata a imprese pittoriche fino a quel momento non certo memorabili. Nelle felicissime ancone di San Bernardino e Santo Spirito (I.41, I.42) egli letteralmente sconquassa i moduli della pala d’altare tradizionale, affrontandole con precisione dottrinale ma permettendosi anche soluzioni imprevedibili: si pensi all’atteggiamento, per così dire, “interattivo”, con cui in San Bernardino l’angelo scrivano si rivolge a noi per sapere se vogliamo che pure il nostro nome sia scritto nel libro da consegnare a Gesù e a Maria, oppure all’ironia con cui in Santo Spirito il piccolo Giovanni Battista si diverte a far finta di strangolare l’agnello, lasciando il povero animale sbigottito. È evidente che in tali pale – ambientate en plein air nella campagna bergamasca – egli risponda alle soluzioni importate da Venezia dal suo più autorevole collega locale, ossia Giovanni Busi detto il Cariani (fig. I.41a), ma con la palese volontà di superarlo per inventiva. Come interpretare altrimenti la soluzione straordinaria dei quattro angeli che acrobaticamente tendono la cortina sopra la Madonna col Bambino in San Bernardino, ricorrendo a una non escludibile memoria addirittura della Pala Pitti di fra’ Bartolomeo del 1512 (fig. I.41b)104? Nella ritrattistica non fu da meno. Nel giro di due, tre anni sperimentò ogni modalità rappresentativa, in termini così originali da non avere equivalenti nell’arte italiana del periodo. Su ben sei versanti introdusse novità di rilievo: il ritratto singolo, il doppio ritratto, il ritratto di gruppo, 40
il ritratto inserito in sacre contemplazioni, il criptoritratto e lo pseudoritratto. Portiamo qualche esempio. Effigi come quelle di Lucina Brembati (I.38) e del marito Leonino Brembati (I.65), anzitutto, fanno capire che egli riuscì a conquistare il favore dei ricchi borghesi bergamaschi non solo con i virtuosismi del suo pennello, ma anche deliziandoli con qualche divertissement arguto e sorprendente: il nome della donna racchiuso nel rebus entro la luna nel cielo (lu/ci/na) e quello del consorte affidato alla zampina di leone (Leonino/Leoncino) sono espedienti al servizio di una formula comunicativa nuova, tesa al coinvolgimento spiritoso dell’osservatore105. Sono ritratti vivi, colti e dialogici. Per i committenti più sottili annida il rimando significante nell’oggetto di uso comune, che bisogna osservare con attenzione per risalire al messaggio implicito: come nel Giovane con libro del Castello Sforzesco di Milano – forse il figlio di Lucina e Leonino, Girolamo, prossimo alle nozze – che carezza un libro il cui formato richiama quello dei cosiddetti petrarchini, edizioni tascabili di quel vademecum amoroso universale che era il Canzoniere di Francesco Petrarca (I.63). A Bergamo la clientela di Lorenzo era costituita, più che dalla nobiltà, da un’alta borghesia ricca e ambiziosa, disponibile a soluzioni ritrattistiche diverse rispetto a quelle predilette dai nobili (al cui servizio si prestava di più Cariani)106. Sostanzialmente diede carta bianca, o quasi, al pittore, che in questo modo riuscì a elaborare schemi rappresentativi anche inediti. Il più innovativo fu, senza dubbio, la concezione di un ritratto matrimoniale che riuniva i coniugi all’interno di un medesimo campo visivo di formato orizzontale. Il caso di messer Marsilio Casotti con la moglie Faustina, del 1523, è esemplare (I.52). I due vengono bloccati un istante prima dell’inanellamento, allora come oggi fulcro del rito nuziale: lui le pone la fede all’anulare sinistro, mentre Cupido li “aggioga” con un ramo di alloro che allude al loro congiungimento (la parola coniuge deriva da cum jungo: lego insieme), un’unione virtuosa, perché al concetto di virtù richiama la pianta sempreverde. Entrambi si mettono in posa manifestando le loro specifiche attitudini psicologiche (“non ci restano dubbi su chi dei due prenderà in mano il timone del nuovo ‘ménage’”, sorrise Berenson)107 e il pittore si trova nel ruolo che già aveva avuto Jan van Eyck quando effigiò i coniugi Arnolfini nella celebre tavola alla National Gallery di Londra108. Ma se Van Eyck sostanzialmente si presentò come una sorta di notaio o testimone esterno – la stessa modalità della firma lo evidenzia (Johannes de eyck fuit hic 1434) – Lorenzo si fa quasi celebrante: non a caso appose nome e data sul giogo simbolico, a significare la sua compartecipazione personale, intima ma sostanziale, all’evento (fig. I.52b). Nella tradizione pittorica italiana finora non è stato individuato un equivalente di queste invenzioni: perché esse spettarono, tutto induce a crederlo, a Lotto, il quale molto semplicemente propose ai suoi patroni un’idea originale che fu accettata. La stessa dinamica s’intuisce anche dietro alla raffigurazione dei due sposi dell’Hermitage, la cui identità – molto dibattuta – resta ancora incerta (I.53). Qui l’artista suggerì di confezionare il doppio ritratto attorno a un’impresa, ossia a un nesso che legava all’immagine un testo emblematico: tale testo è l’homo numquam (“L’uomo mai”) che si legge sul cartiglio sbandierato dal marito, mentre addita uno scoiattolo addormentato, a significare che egli veglierà in ogni stagione della vita sulla sua sposa; ed ella ricambia sollevando il cagnolino bianco, un tradizionale riferimento all’amore e alla fedeltà109. Non è tradizionale, invece, il gesto che essi compongono con le braccia al centro del quadro: un intreccio che ripropone il concetto del “congiungimento” matrimoniale, ora però senza metafore esplicite come quella del giogo allegorico, bensì più sottilmente. In seguito a un recente restauro, il dipinto russo è apparso come un’autentica rivelazione: liberato da uno strato di sporco e ridipinture accumulati da secoli, ci presenta l’autore in un momento di particolare vicinanza a colui che fin dal 1550 Vasari avrebbe poi indicato come “suo compagno e amico dimestico”110, ossia Jacopo Palma il Vecchio, con il quale 41
20. Jacopo Palma il Vecchio Resurrezione di Cristo, particolare Serina, chiesa della Santissima Annunziata
molto probabilmente ebbe rapporti anche in questi tempi bergamaschi: come interpretare altrimenti l’accentuata connotazione lottesca che si riscontra nei due soldati in basso nella Resurrezione di Cristo a Serina (fig. 20)111? Non si può neppure escludere che già qui, a Bergamo, risalga la volontà del pittore di aprire le angolature delle sue composizioni ritrattistiche fino a comprendere anche gruppi di persone. È quel che dichiara uno straordinario foglio agli Uffizi, in cui una brigata di giovani si stringe, abbracciandosi, nel momento in cui si accingono a un concerto vocale: il formato oblungo dei libretti è infatti tipico di quelli musicali (fig. 21)112. La presenza della quadrettatura attesta l’intenzione di una trasposizione pittorica che, considerando il numero dei personaggi (due uomini e sei donne) e la presumibile connotazione ritrattistica di ognuno, si può credere destinata a una tela o a una tavola di ampie dimensioni, non dissimile da quelle che andavano elaborando, tra Veneto e Lombardia, Sebastiano Florigerio, Boccaccio Boccaccino e Callisto Piazza113. In questa fase di serrati esperimenti formali e concettuali Lotto non si limitò a proporre nuove soluzioni, ma scardinò dall’interno schemi iconografici consolidati. È quel che si riconosce nel quarto filone ritrattistico cui si accennava: quello che inserisce il committente all’interno di una sacra contemplazione. Ciò di solito avveniva ponendo le figure in una posizione marginale e subalterna rispetto a santi e Madonne, ma Lotto ora non si fa problemi a mescolarli in maniera più che disinvolta. È quanto si riscontra allorché decide di far posare il suo padrone di casa, Nicolò Bonghi, proprio dietro al seggiolone su cui è seduta Maria, nel momento dell’inanellamento mistico del Figlio con santa Caterina, nell’esemplare del 1523 all’Accademia Carrara di Bergamo (I.51). Berenson si stupì del modo in cui “this stupid man” avesse insistito per essere effigiato tanto vistosamente, senza distinguere tra sacro e profano, tra devozione e autocelebrazione114. In realtà in simili soluzioni c’è sempre un significato preciso, che però in questo caso ci sfugge. Lo comprendiamo bene invece – perché è lo stesso artista a esplicitare con chiarezza il suo assunto – nel Commiato di Cristo dalla Madre di Berlino, del 1521 (I.40). Qui il modo in cui egli ritrae Elisabetta Rota, la moglie del committente immersa nella preghiera, ci fa capire che la scena di fronte ai suoi 42
21. Lorenzo Lotto Gruppo di giovani Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe
occhi altro non è che una proiezione mentale della donna, intenta a interiorizzare l’episodio evangelico per rendere la sua meditazione – come raccomandato dai manuali devozionali dell’epoca – ancor più feconda115. Un aspetto singolare del dipinto è costituito dalla presenza simbolica del marito e del pittore nella lettera in primo piano, accanto all’arancia: Domenico Tasso aveva fatto fortuna nel ramo delle poste e, come intuito da Augusto Gentili, non sembra davvero un caso che sia proprio su una lettera ripiegata in trompe l’œil che l’artista appose la sua firma (fig. I.40b)116. Da qui il passo che porta a far coincidere santi e committenti – all’apparenza enorme – è in effetti assai breve. Quello del “criptoritratto”, ovvero del ritratto in veste di un santo o di un altro personaggio “mitico”, era un modulo rappresentativo adottato frequentemente in Italia tra Quattrocento e Cinquecento117. Serviva a sottolineare la volontà di incarnare un modello di santità, virtù o eroismo. Nei testi devozionali si suggeriva di immaginare i santi con i visi di persone conosciute e i luoghi sacri come la propria città118. Come s’è visto, Lotto lo aveva già fatto, in modo clamoroso, ad Asolo, dove nella pala del 1506 il volto anziano e arcigno della Vergine richiama quello di Caterina Cornaro, la “domina” locale (I.12). Ma se Caterina era una regina, per quanto spodestata, qui a Bergamo egli propose lo stesso meccanismo identificativo a ricchi e disinvolti mercanti. Ritrovare le fattezze della dama dell’Hermitage (I.53) nella Madonna circondata da santi nella tela del 1524 in Palazzo Barberini a Roma (I.56) – un dipinto che in origine stava nella camera da letto di Messer Marsilio – fa ben comprendere l’ampio grado di autonomia propositiva che l’artista poteva vantare in città. Che peraltro si spinse pure oltre, come documenta lo sconcertante Venere e Cupido del Metropolitan Museum (I.64). Questo dipinto, sulla cui datazione la critica si è divisa (e qui si accoglie quella più precoce, verso il 1525), costituisce un unicum nell’intera pittura italiana ed europea. Non che mancassero precedenti che in qualche modo legittimassero certe soluzioni (ad esempio, quella del puer mingens era di origine classica e la si ritrova in alcuni bizzarri deschi da parto toscani del XV secolo), ma è il modo in cui l’artista le interpreta che risulta del tutto spiazzante: l’idea del getto di urina che attraversa una ghirlanda di mirto fiorito, sotto cui pone un bracerino d’incenso, per depositarsi sulla vulva della dea, in un auspicio fecondativo, nasce per celebrare il concetto di voluptas su cui si fonda, assieme alla virtus, il buon matrimonio. Ma ciò che lascia interdetti è l’analisi del volto di Venere, non propriamente tipico della dea della bellezza: come non pensare che si tratti della sposa del committente, che richiese questo quadro erotico per porlo, al riparo di occhi indiscreti, nella propria camera da letto? E chissà quante altre invenzioni di questo genere Lorenzo disseminò nelle case di Bergamo, subendo in epoche successive la censura che portò spesso alla distruzione di simili opere. Ma se non tutto ci è giunto, per fortuna esistono anche le copie antiche, che svelano ulteriori “criptoritratti”: la tela dell’Accademia Tadini di Lovere testimonia che, intorno al 1523-1525, un ignoto bergamasco decise di travestirsi da san Sigismondo, il primo re cristiano di Borgogna (IV.2)119. Chissà perché. Forse, semplicemente, si chiamava così. 43
La stagione di Lorenzo Lotto a Bergamo fu un’avventura intellettuale straordinaria, che gli consentì di volare altissimo sui cieli della città. A un certo punto decise di ritrarre Dio. Non era il primo e non sarebbe stato l’ultimo. Senza dubbio Dio è – con Gesù e Maria – la figura più rappresentata nella storia della pittura occidentale, all’interno però di determinati canoni iconografici, che definirono la sua immagine come quella di un vecchio Padre barbuto e autorevole. Nella tela al Museo Bernareggi di Bergamo (I.37) Lorenzo ritenne di poterlo fare correttamente aderendo a quanto lo stesso Gesù disse del Padre, ossia che “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Giovanni 1,18). Per questo lo rappresentò come inconoscibile: una sagoma di nuvola densa e misteriosa. Già nella coperta allegorica del ritratto del de’ Rossi (I.6) si alludeva all’inconoscibilità dell’Eterno, paragonandolo alla cima di un monte avvolto nelle nubi: ma qui egli voltò le spalle alla tradizione locale120 e inventò una formula che fu poi raccolta da alcuni seguaci bergamaschi121. E se non rinunciò a effigiare lo Spirito Santo in forma di colomba – perché così è descritto nel battesimo di Cristo narrato dal Vangelo – quello del Figlio si configura come un vero e proprio ritratto in carne e ossa: in altri termini, come uno “pseudoritratto”. Simili esiti sottendono una tensione interpretativa non comune, una sorta di ruminatio inesausta sulle infinite possibilità figurative offerte dalla lettura dei testi sacri. A dimostrazione di ciò si prenda la genesi della Natività di Washington, del 1523 (I.50). Caratterizzata da un tono narrativo quasi popolaresco, è in effetti il risultato di una serie di variazioni in corso d’opera volte non solo a un più efficace risultato pittorico, ma pure a specificare meglio determinati concetti: come l’inserzione del crocifisso prolettico sul fondo a sinistra e l’incastro da falegname (in riferimento all’attività di san Giuseppe, il cui culto cresceva in città grazie all’assidua predicazione francescana) su cui il pittore appose la propria firma. Lo dimostrano gli esiti delle indagini diagnostiche ragionate da Lucco, così come due copie di bottega e/o stretta cerchia in cui si illustrano le prime fasi esecutive e non il risultato finale (fig. I.50b)122. Questi riscontri sollecitano riflessioni su più temi. Il primo è quello, già richiamato nell’introduzione, relativo all’ampia perdita di originali: di essi possono però essere buona testimonianza derivazioni antiche, se non – come forse nel caso soprastante – “duplicati” licenziati (senza firma) da qualche allievo attivo nell’atelier. Il secondo concerne la reiterazione di composizioni assai simili, realizzate però con diverse percentuali di “autografia”. Si consideri, ad esempio, la riproposizione del Gesù bambino seduto sulla sua stessa bara nelle tele di Costa di Mezzate (I.44), Boston (I.45) e Londra (I.46). Quest’ultima è firmata e datata 1522, ma rispetto alle altre due sembra che in alcune aree si debba sospettare dell’intervento di un collaboratore non all’altezza del maestro nella definizione dei passaggi chiaroscurali e volumetrici: basti considerare la maniera un po’ meccanica con cui sono costruiti alcuni panneggi e il volto del Bimbo. La stessa cosa si può dire anche per il soffitto di quello che sotto molti punti di vista è uno degli apici del soggiorno bergamasco del pittore: ossia l’affrescatura dell’Oratorio Suardi a Trescore Balneario, condotta tra il 1523 e il 1524 (I.54). Al di là dei danni subiti e dell’intuibile rapidità esecutiva, è evidente che molti di questi putti, pesanti e sgraziati, non possano spettare al raffinatissimo pennello responsabile dell’infinita sequenza di storie che scorrono lungo le pareti sottostanti. Il quesito è legittimo: sapendo che al suo fianco vi era il fedele – ma non propriamente dotato – Francesco Bonetti, come non chiedersi se ciò non dipenda anche da una qualche condivisione esecutiva, con lui o chissà chi123? L’intera decorazione, commissionatagli dai cugini Battista e Maffeo Suardi, s’impernia sul pilastro concettuale dell’imperitura vitalità di Cristo, la cui carne diventa legno vivo: “Io sono la vite e voi i tralci”, aveva detto Gesù, “chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete 44
fare nulla” (Giovanni, 15,1-3). La metafora viene visualizzata dal pittore attraverso un Cristo-vite dalle cui dita si sviluppano rami che racchiudono santi, profeti e sibille: gli eretici che cercano di tagliare quei rami sono rovesciati a terra da Girolamo e Ambrogio. Si è innanzi a un plateale richiamo alla necessità della difesa dell’ortodossia, in anni in cui da una parte la sfida appena lanciata da Lutero stava facendo tremare la Chiesa e aveva turbato fin troppe coscienze, e dall’altra la pressione degli ottomani da est diventava sempre più pesante124. In più si temeva un nuovo catastrofico diluvio universale, preannunciato da vari astrologi125; che per fortuna non si verificò, consentendoci di poter ammirare ancora oggi questa sorta di film immaginato prima dell’invenzione del cinema. Dietro al Cristo – infatti – si srotola un lungo, commovente racconto che ha per protagonista santa Barbara. Le sue vicende sono ambientate in luoghi semplici e quotidiani. Città, piazze, mercati, chiese e campagne fanno da sfondo a scene in cui la vita muta tra passione, ironia, violenza, dolore, pace, bellezza… Lorenzo ci fa entrare nelle case, nelle chiese, nelle aule di tribunale; ci fa sentire il profumo dei campi, dei frutti venduti sulle piazze, l’odore acre del sangue e il fumo denso degli incendi; tra aguzzini e povera gente, vecchi e bambini, giudici e vittime. Ma quel che l’artista raccomanda a chi guarda è la fedeltà a Dio: quella simboleggiata dal cagnolino bianco che segue passo passo Barbara nel suo martirio. Sulle altre pareti compaiono tre sante – Brigida d’Irlanda, Caterina d’Alessandria e Maria Maddalena – quali esempi preclari di devozione, pietà, penitenza ed estasi. Il tutto accompagnato da mezze figure di profeti e sibille che si protendono dagli oculi soprastanti, sbandierando cartigli verso l’osservatore e quasi costringendolo, con i loro gesti plateali, a infiammarsi per tali imprese di santità. Rialzando lo sguardo, l’azzurro del cielo s’intravede dal pergolato della vigna mistica su cui sfarfallano vari putti, uno dei quali orina (per suscitare un sorriso o per alludere a significati oscuri, misteriosofici?: fig. I.64b) sopra il ritratto di un bizzarro personaggio che passeggia con un fascio di panioni sulla spalla e una civetta
22. Lorenzo Lotto Ritratto di uomo Trescore Balneario, Oratorio Suardi
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(fig. 22): secondo Francesca Cortesi Bosco, si tratterebbe dell’autoritratto del pittore126. Storie e metafore, narrazioni e allegorie, si alternano in modo complementare anche nell’ultimo incarico impegnativo che Lorenzo ricevette a Bergamo: i disegni per le tarsie del coro di Santa Maria Maggiore, cui si dedicò dal marzo del 1524 al 1531127. Sulla base delle indicazioni fornite da un teologo, il francescano Girolamo Terzi, furono scelte storie bibliche imperniate sul contrasto tra virtù e vizio. Riproponendo la formula adottata per il ritratto del de’ Rossi (I.6), Lotto fece abbinare a ogni riquadro una copertura che, attraverso la presentazione di simboli e rebus, fornisse una chiave allegorica in grado di far comprendere il senso degli episodi descritti narrativamente nella “storia”. Purtroppo tutti i disegni preparatori forniti dall’artista all’intarsiatore Giovan Francesco Capoferri – ai quali era visceralmente legato – andarono perduti128. Tuttavia, qualcuno di essi lo ripropose, più o meno fedelmente, in pitture degli anni a venire (I.85, I.127, I.131): è la riprova del fatto che egli considerò sempre quella impresa uno straordinario repertorio di soluzioni figurative cui attingere. La fiducia accordata a Lorenzo dalla sua clientela bergamasca sembra dunque essere stata quasi illimitata: gli si consentirono libertà che a nessun altro furono permesse e si può ben affermare che qui il fuoco interpretativo del pittore infiammò gli animi della committenza. Però, a un certo punto, nel 1525 – dopo i corsivi affreschi in San Michele al Pozzo Bianco (I.60) e in San Giorgio a Credaro (I.61), e dopo una rapida puntata a Jesi per concludere l’accordo relativo alla realizzazione della Pala di santa Lucia (I.93)129 – decise improvvisamente di tornare a Venezia. Lo fece, quasi certamente, transitando (e forse fermandosi per qualche tempo) in un non documentato soggiorno a Verona. Non si comprenderebbero altrimenti certi sviluppi locali di Francesco Torbido detto il Moro: bastino a dimostrarlo le Nozze mistiche di santa Caterina già a Potsdam-Sanssouci (fig. 23)130. Venezia (1525-1533) Non v’è dubbio: quando nell’inverno del 1525 (Regesto: 1525, 20 dicembre) Lorenzo riapproda in laguna è, con Tiziano, il miglior pittore della Serenissima. Di sicuro ne è consapevole ed è convinto di potersi reinserire come merita nel contesto locale. Inizialmente si fa ospitare dai Domenicani dei Santi Giovanni e Paolo, al cui tesoriere – Marcantonio Luciani – dedica un ritratto realizzato nei primi mesi del 1526 (I.67). È un’opera stilisticamente superba, ma sommessa e condotta con lo stesso tono pacato che connota il ritratto del vecchio Tommaso Negri, vescovo di Scardona e di Traù, dell’anno seguente (I.72). Quest’ultimo è un capolavoro di essenzialità: dietro all’apparente fermezza del presule in preghiera, ogni dettaglio sembra animato da un significato proprio e profondo, che prende vita dalla luce divina che filtra dalla finestra in cui il maestro con il telaio ha disegnato la forma di una croce. Sono opere segnate da un naturalismo vibrante e da una meravigliosa morbidezza di tocco: la stessa che plasma il busto dell’uomo di profilo che appariva sul 46
23. Francesco Torbido detto il Moro Nozze mistiche di santa Caterina Già a Potsdam-Sanssouci, Neues Palais
24. Lorenzo Lotto Busto di uomo in profilo New York, The Morgan Library and Museum
retro di un foglio già della collezione di Janos Scholz – oggi alla Pierpont Morgan Library di New York – preparatorio per la pala di Celana del 1527 (fig. 24)131. Appariva perché purtroppo oggi non è più visibile, essendo stato incollato sul supporto, in quanto considerato meno significativo dell’Apostolo abbozzato sul recto (fig. I.71a)132 … La Venezia in cui Lorenzo si ritrovò era diversa da quella che aveva conosciuto da giovane e che di sicuro – anche se i documenti finora non lo attestano – ogni tanto lo riaccolse. La competizione tra artisti non era mai mancata, ma ora il mercato risultava dinamico più che mai, in linea con la renovatio urbis che ispirò il dogado di Andrea Gritti, una delle personalità politiche più spiccate dell’intera storia della Serenissima133. Quest’ultimo si scelse come pittore di fiducia Tiziano ma, per dare una nuova progettualità urbanistica al complicatissimo microcosmo lagunare, si affidò a Jacopo Sansovino, che vi si era rifugiato nell’estate del 1527, a seguito della sua fuga da Roma determinata dal sacco dei lanzichenecchi. È assai probabile che Lotto lo avesse conosciuto nell’Urbe nel 1509-1510, quando vi risiedeva anche il maestro fiorentino, e non appena questi fu nella capitale veneta i due cominciarono a frequentarsi proficuamente. In svariate missive – dal 5 agosto 1527 all’8 dicembre dell’anno successivo – Lorenzo lo raccomanda a Bergamo, per sostituire Bartolomeo Bergamasco nella realizzazione dell’ancona dell’altare maggiore in Santa Maria Maggiore134. Ma è ben intuibile che si sarà fatto informare nel dettaglio di quanto da lui visto a Firenze, Parigi e Roma, dei successi di Michelangelo, delle devastazioni e della guerra135. Guardandosi attorno, Lotto non poté che riscontrare che, in generale, i suoi colleghi tendevano a specializzarsi; molti si dedicavano a una produzione seriale condotta con le rispettive botteghe e, comunque, il registro linguistico prevalente continuava a essere quello classicista divulgato da Tiziano. Quest’ultimo aveva saputo prendere il posto di Giovanni Bellini (morto vecchissimo nel 1516) quale “pittore di Stato” e tanti suoi lavori pubblici venivano a dichiarare clamorosamente la sua preminenza. Nella basilica dei Frari, dopo la colossale Assunta consegnata per l’altare maggiore nel 1518, proprio nel 1526 trovava spazio la quasi altrettanto imponente ancona per la famiglia Pesaro: un lavoro che proponeva un nuovo modo di impostare la pala d’altare in laguna136. Nello stesso anno il cadorino iniziava il Martirio di san Pietro per i Domenicani dei Santi Giovanni e Paolo che – distrutto nel XIX secolo – per secoli fu tra i dipinti più ammirati di Venezia. I pochi che tentarono di tenere il passo del Vecellio, come Pordenone, furono costretti a cercare opportunità lavorative per lo più fuori dalla città137. Eppure, se c’era un settore nel quale era possibile trovare spazio e dire qualcosa di nuovo, era quello ritrattistico. A Venezia, infatti, con la morte di Giorgione per peste nel 1510 si era bloccato un innovativo processo di espressione dei valori – morali, politici, culturali, psichici – di una certa committenza e tutto sommato ci si era assestati su alcune formule assai poco caratterizzanti. Lo stesso Tiziano nei suoi ritratti degli anni venti tendeva a riproporre più o meno il medesimo schema, imperniato sulla presentazione a mezza figura, o a tre quarti, di personaggi di alto lignaggio che richiedevano la visualizzazione del loro status superiore. Poteva essere inserito qualche complemento più o meno simbolico (un guanto, un libro, un cane, un falcone…), ma senza che diminuisse il grado, per dir così, di autoreferenzialità iconica del “soggetto”138. Non è difficile immaginare che Lorenzo nel 1526 si riposizionò nel contesto lagunare anzitutto riprendendo i contatti con colleghi amici già conosciuti: a partire da Jacopo Palma il Vecchio, Giovanni Cariani (vi era tornato da Bergamo nel 1524) e Girolamo Savoldo. Dei 47
primi due avrà apprezzato le interpretazioni equilibrate e sottili139, non troppo diverse da quelle divulgate da Vincenzo Catena, molto vicino al potere politico – si pensi al Doge Andrea Gritti della National Gallery di Londra – e a quello culturale140. L’unico con cui Lotto davvero poteva confrontarsi in termini di condivisione di ricerca sperimentale era però Savoldo, un maestro con il quale aveva molto in comune, a partire dalla propensione per gli spostamenti e per le sparizioni improvvise. Questi aveva sposato una donna fiamminga e come Lorenzo era attratto dalla cultura figurativa nordica. Condivisero anche certi patroni, come Andrea Odoni. Se si accostano a quelli di Lotto i ritratti di Savoldo databili nella seconda metà degli anni venti (come il Gentiluomo in armatura del Louvre, il Giovane flautista dei Musei Civici di Brescia e due criptoritratti come l’Uomo in figura di san Girolamo di collezione privata bergamasca e la Donna in figura di santa Margherita della Pinacoteca Capitolina di Roma)141 non è difficile cogliere l’allineamento delle loro strade. Non è chiaro quale dei due precedette l’altro, probabilmente Lorenzo. In ogni caso, dal 1526 entrambi a Venezia erano presenze “nuove” e innovative. Lotto capì che in questo campo avrebbe avuto le migliori chance per rientrare in città dalla porta principale. Lo fece decidendo di portare alle estreme conseguenze alcune formule sperimentate con successo a Bergamo: una ritrattistica dialogica, che inglobava nel campo visivo uno spazio “parlante”. Così, dai ritratti, nacque la sua personale sfida all’ambiente artistico veneziano. Ne sortirono invenzioni memorabili. Quando il ricco mercante di origine milanese Andrea Odoni lo convocò nel suo palazzo a Santa Croce, Lorenzo si accorse che – come avrebbe poi scritto Pietro Aretino – al suo interno si era contemporaneamente a Venezia e a Roma. Odoni amava collezionare oggetti antichi, ed è appunto nella veste di antiquario che Lotto lo presenta nel 1527 (I.73). Prima di questo esemplare, la dimensione collezionistica di un committente era visualizzata attraverso pochi pezzi: qualche moneta, qualche statua, qualche libro142. Qualche, appunto: non il tripudio di reperti che, come reliquie profane, fanno da corona alla sua corpulenta figura. Caratterizzato da una formidabile presenza scenica, questa specie di Pavarotti dell’epoca ci affronta portandosi la mano sinistra al petto, che pone sopra una piccola croce d’oro, e allungandoci una statuetta di Diana Efesina, forse un indizio del suo personale auspicio di paternità. Sul tavolo ricoperto dal tessuto
25. Una parete della quarta sala della mostra Lorenzo Lotto. Retratos, Madrid, Museo del Prado (2018)
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verde stanno varie monete antiche e un prezioso libro dai laccetti slegati, elementi allusivi ai suoi interessi numismatici e letterari. Ma la domanda che ci si è sempre posti è la seguente: le statue che lo circondano erano sue o no? Originali o copie? Calchi in gesso o proiezioni mentali? Oppure un po’ questo e un po’ quello? Non siamo in grado di rispondere, anche se simili oggetti esistevano, eccome (fig. 25)143. Però è palese che con questo dipinto nasce in Italia e in Europa una nuova categoria iconografica: la si definisca “ritratto di collezionista” o meno, è un dato di fatto che a caratterizzarla è la descrizione simultanea del committente e di un ambiente allargato in cui si dispongono oggetti d’arte fortemente evocativi della sua realtà socio-culturale144. La cosa è ancor più evidente nel foglio con il Ritratto di prelato nel suo studio del British Museum (fig. I.91a), quasi certamente preparatorio per una tela di grande formato che non venne mai realizzata, o che non ci è giunta. Qui alla dimensione collezionistica, peraltro alquanto enfatizzata, si abbina quella legata alla lettura, allo studio diurno e notturno: il prelato ostenta vivacità e “sprezzatura”, e pare orgoglioso di poter vantare un ritratto non solo di sé, ma anche della sua stanza stipatissima ed enciclopedica. In teoria poteva diventare una formula ritrattistica di successo; ma non fu così. Forse lo stesso artista non volle autoimprigionarsi in un ruolo di “inventariatore” visivo. Così nella sontuosa gentildonna in veste di Lucrezia della National Gallery di Londra (I.92) dal sovraccaricamento di oggetti si passa all’eloquenza della loro rarefazione e perfino della loro assenza. Questa fanciulla seducente e nervosa, dalla bellezza e dall’abbigliamento molto particolari, s’inarca teatralmente richiamando l’attenzione sul disegno con l’eroina classica che si toglie la vita e sul cartiglio con la scritta latina che l’addita a esempio di pudicizia: ma, subito dopo, il nostro sguardo è attratto dalla sedia vuota (di chi? perché?) e dal fiore reciso lasciato sul tavolo. Diversamente da quel che proponevano in quei tempi i suoi colleghi lagunari, Lorenzo confeziona effigi deliberatamente enigmatiche, che in tele di notevole formato immortalano i suoi patroni nello sviluppo di un moto che richiede l’interpretazione dell’osservatore. È quel che si vede pure nel giovane “malinconico” o – come lo chiamavano i proprietari del quadro all’inizio del Novecento – “tisico” delle Gallerie dell’Accademia di Venezia (I.91). Egli si mette in posa davanti al pittore mentre sfoglia un libro di conti, che ne attesta l’attività mercantile. Ma attorno al volume si materializzano elementi di tutt’altra natura: un calamaio, lettere, i petali di una rosa sparsi, una lucertola e, più in lontananza, forse un liuto, un corno, un berretto… L’effetto prodotto da simili immagini è quello di una compresenza strana – quasi surrealistica, verrebbe da dire – che lascia interdetto l’osservatore e che documenta come anche qui, nella Venezia fra il terzo e il quarto decennio, la vis interpretativa dell’artista tendesse a oltrepassare le normali esigenze del committente, investendolo di proposte di ogni genere. Si torni con la memoria al presunto Crivelli già al Getty (I.28) e lo si confronti ora con il Ritratto triplice di orefice di Vienna (I.90), quasi certamente il suo amico Bartolomeo Carpan. Così effigiato gli confezionava una pittura che con la sua tridimensionalità era virtualmente anche una scultura (gli orefici in qualche modo erano pure scultori), ma nel contempo lo descriveva sia come uomo prudente (l’allegoria della Prudenza era raffigurata tricipite) sia di origine trevigiana (emblema della città di Treviso erano i “tre visi”). Si tratta di esperimenti d’avanguardia, che parallelamente tentò di introdurre sul versante delle opere religiose destinate alla devozione privata. Il Cristo portacroce del Louvre, del 1526 (I.66), sembra voler superare per coinvolgimento emotivo quello – assai celebre, anche perché considerato miracoloso – di Tiziano nella Scuola Grande di San Rocco, aprendo una finestra metatemporale da cui il Salvatore appare in tutta la sua fisicità pseudoritrattistica, chiedendoci un sostegno pietoso: della croce si vedono solo due bracci, che disegnano una L alla rovescia, su cui l’artista, sempre alla rovescia (perché rivolta verso il Cri49
sto), appose la sua firma. Affine a esso nello spirito interpretativo è il Cristo e l’adultera sempre al Louvre (I.75): un’opera che ebbe una notevolissima fortuna in Francia, a giudicare dal gran numero di copie antiche giunto fino a noi, e che descrive tangibilmente il clima di sommossa che investì la donna accusata di infedeltà, dove perfino Gesù sembra incapace di frenare quell’ondata di indignazione ipocrita e grottesca. Lotto però non volle limitarsi a composizioni di carattere drammatico. Rendendosi ben conto del clima edonistico e assetato di bellezza che pervadeva calli e campielli, decise di allinearsi anche a soluzioni più pacate ed euritmiche. Nella smagliante Sacra contemplazione di Vienna (I.77) egli adotta uno schema di matrice tizianesca più volte ripreso da Palma il Vecchio, immaginando una sorta di mistico picnic in cui tutti i protagonisti sacri si orientano verso un san Tommaso che tanto assomiglia al gioielliere del triplo ritratto viennese. Se la sua aureola lo cala palesemente nei panni di santità dell’apostolo (ma nulla vieta di immaginare, anche in questo caso, che si tratti di un criptoritratto), chiaramente laici sono i due pastori che irrompono decisi nell’Adorazione di Brescia, del 1530 (I.82), così simile – per l’immissione di umanità reale nella scena – a certe invenzioni di Savoldo. Ma quanto più libero e stravagante del bresciano era Lotto nell’inventare eccentricità iconografiche145: perché, ci si chiede, far accovacciare pure Maria nella mangiatoia in cui il piccolo Gesù abbraccia come un fratello l’agnellino destinato, al pari di lui, al macello? Sono estri inconsueti per la Venezia dell’epoca. Per non parlare della perduta Adorazione notturna (VI.127; nota tramite una stampa seicentesca di Jeremias Falck: IV.1), dove la luce emanata dal corpo di Gesù illumina l’intera stalla, con un superbo gioco di ombre riportate che fa stagliare sul muro di fondo, a un formato gigantesco, le teste dell’asino e del bue che si approssimano alla mangiatoia, allargando le narici per scaldare il Bambino (si veda il dettaglio alle pp. 508-509). Ma Venezia non era Bergamo, dove dopo un capolavoro gliene chiedevano un altro: qui la concorrenza era spietata. E in più, dentro di lui, si ruppe qualcosa. In una lettera del periodo confessa di “haver la mente molto travagliata da varie et strane perturbatione”146. Non sappiamo a che cosa si riferisse, ma si può intuire un pesante stato depressivo. Inoltre, quella che a tutti gli effetti fu la sua prima grande pala d’altare commissionatagli in città – il San Nicola con gloria tra i santi Giovanni Battista e Lucia per l’altare della Scuola dei Mercanti nella chiesa dei Carmini, del 1527-1529 (I.76) – per quanto satura di citazioni colte e prodigiosa in alcuni brani (come il magnifico paesaggio, di impronta fiamminga), fu criticata e non passò molto tempo che Ludovico Dolce, nel suo Dialogo della pittura (1557), ritenne di additarla quale esempio di “cattive tinte”147. Di carattere non facile e ossessionato da un’idea manichea della giustizia, Lorenzo da questo momento in poi fu probabilmente oggetto di quello che oggi definiamo mobbing: ossia una critica sistematica, strisciante e demolitiva della persona. I temi di alcuni dipinti realizzati in questi anni svelano meditazioni pessimistiche: il Putto che danzando incorona un teschio adagiato su un cuscino bianco nella collezione del duca di Northumberland ci ricorda il nulla che siamo (I.83), mentre l’Apollo dormiente nel museo di Budapest (I.86) potrebbe alludere alla solitudine, più che del dio della bellezza, dello stesso artista148. Forse era pure dilaniato dal dissidio tra il godimento terreno e la sua deliberata rinuncia per conquistarsi il cielo. Induce a crederlo il cosiddetto Trionfo della Castità della Galleria Rospigliosi Pallavicini di Roma (I.80), dove la personificazione della virtù si accanisce come invasata contro la dea dell’amore che – ispirata a un rilievo classico – vola via assieme a un Cupido terrorizzato e alla colomba, di cui pare di sentire il fruscio delle penne delle ali. Inoltre, non si può escludere che risalisse a questo periodo anche un pendant perduto che possiamo analizzare grazie a due copie fedeli realizzate da David Teniers il Giovane quando si trovava nelle collezioni dell’arciduca 50
26. David Teniers il Giovane (da Lorenzo Lotto) Venere, Marte e Cupido (Allegoria della lussuria) Philadelphia, Philadelphia Museum of Art, Johnson Collection 27. David Teniers il Giovane (da Lorenzo Lotto) Venere (?), Marte (?) e Cupido (Allegoria della frode) New York, The Metropolitan Museum of Art, Lehman Collection
Leopoldo Guglielmo d’Asburgo (IV.8, IV.5). Sull’eccezionalità di questo “dittico” si sono di recente soffermati Jeremy Wood (2018) e Keith Christiansen (2019), che hanno ben sottolineato come in esso si sviluppi un continuum narrativo (figg. 26-27). Nella tavola ora a Philadelphia Venere appare in camera da letto, in attesa di Marte, che vi è condotto da Cupido. Dopo essersi lavata e profumata, la dea si sta pettinando quando una colomba si posa di fronte allo specchio, allungando il becco per tubare con il suo stesso riflesso: un unicum iconografico, che allude all’imminente connubio amoroso. Nell’altro quadro Marte è addormentato a letto, con la donna clamorosamente invecchiata: dopo aver svolto alcune pratiche magiche, utilizzando il volume e gli oggetti posati a terra, ella ordina a Cupido di andare a colpire un nuovo possibile amante, visto lo sconfortante disinteresse nei suoi confronti da parte del dio della guerra. Secondo Christiansen – che colloca l’esecuzione degli originali in un arco cronologico molto ampio (tra il 1525 e il 1542) – probabilmente si trattava delle coperture di un doppio ritratto di coppia, realizzato allo scopo di richiamare nei coniugi la consapevolezza dell’inevitabile decadimento fisico (e del desiderio) che li attendeva con il prosieguo degli anni. Non è certo che avessero necessariamente questa funzione e non stupirebbe se nascessero come allegorie autonome: di sicuro, se fosse giunto fino a noi, e magari in buono stato, questo pendant avrebbe la stessa importanza storico-culturale dell’Allegoria dell’amore e della frode di Bronzino alla National Gallery di Londra. Ma ciò che rende ancor più straordinarie le scene sono le ambientazioni e le “nature morte” in esse rappresentate. Al di là del fatto che le immagini di interni domestici sono rarissime nella pittura italiana del Cinquecento – e quindi l’opportunità che Lotto 51
ci offre di entrare in due camere da letto veneziane di questi anni è quasi unica –, sono proprio gli oggetti descritti a uno a uno dall’artista a sorprenderci. Nella prima vediamo un grande bacile in ceramica bianco e blu, ispirato alla porcellana cinese, dove è stato appoggiato il drappo con cui la dea si è asciugata dopo le abluzioni; sotto stanno il catino in cui si è lavata i piedi e intorno le boccette di profumo con cui inebrierà Marte. Nella seconda invece il primo piano mostra un diagramma segnato a terra, con alcuni cerchi magici, un braciere con la fiammella accesa, un osso con una corda annodata, un compasso, un coltello e un libro cabalistico aperto (fig. 28). Ora, noi sappiamo con certezza che fin dalla sua prima attività Lorenzo Lotto era stato in contatto con umanisti-alchimisti, il più famoso dei quali era il riminese Giovanni Aurelio Augurello, del quale a Treviso (verso il 1545-1546) aveva realizzato un perduto ritratto con copertura (VI.54). Su tali interessi del pittore ha scritto un volume densissimo, poco prima di morire, Francesca Cortesi Bosco (2016), che purtroppo non ebbe modo di ragionare su questo doppio recupero, che di certo l’avrebbe entusiasmata149. Perché il circolo disegnato per terra è un pentacolo, analogo a quelli che si ritrovano nei processi di stregoneria del Sant’Uffizio (cfr. fig. I.157b). Tra gli strumenti utilizzati per l’evocazione vi erano stiletti, punteruoli e arnesi di tal fatta: ciò spiega la presenza in primo piano di un coltello. L’osso connota la scena come negromantica (di solito veniva usato un teschio: lo si vede in alcuni dipinti veneziani successivi di Pietro della Vecchia e di Joseph Heintz il Giovane, ma il significato è il medesimo) e il braciere probabilmente conteneva cera rossa, abitualmente adoperata per costruire piccole statue utilizzate con finalità che oggi definiremmo di tipo vudù150. Inoltre, il pentacolo si ritrova pure nel Negromante di Ariosto, dove il protagonista della commedia viene chiamato per risolvere la (finta) impotenza di uno dei personaggi. Per questo – nel quadro di New York – dopo aver compiuto il suo sortilegio, la donna sprona Cupido a servirsi di arco e freccia, sapendo bene che tutto quello che doveva fare per conseguire un nuovo e prestante compagno
28. David Teniers il Giovane (da Lorenzo Lotto) Venere (?), Marte (?) e Cupido (Allegoria della frode), particolare New York, The Metropolitan Museum of Art, Lehman Collection
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29. Sigillo sul codicillo del 15 gennaio 1533, Venezia, Archivio di Stato, Notarile Testamenti, Atti Daniele Giordano, b. 506
era stato fatto. Alla luce della storia ricostruita da Giuseppe Gullino in un saggio recentissimo, viene da sospettare che qui Lorenzo alludesse, più o meno intenzionalmente, alla vicenda amorosa e criminale di sua cugina Maria, che si sposò tre volte (con Giovan Paolo Armano, come ricordato a p. 22, ma pure con il celebre letterato Giovan Francesco Fortunio), subì un processo per l’assassinio del primo marito e condusse una vita dissoluta151. Chissà se nella scelta dell’artista di non contrarre nozze non fosse annidato il trauma per scandali familiari che la sua sensibilità, anche religiosa, non riuscì a tollerare. Di sicuro, quando il 25 marzo 1531 – primo giorno dell’anno a Venezia, in cui si celebrava l’Annunciazione a Maria dell’Incarnazione di Gesù – egli stese il suo primo testamento giunto fino a noi (Regesto: alla data), volle lasciare qualcosa a due “gioveni pictori […] che sian da ben” e che potessero sposare due fanciulle dell’Ospedale dei poveri di Gesù Cristo a San Giovanni e Paolo che fossero “de quiete nature”, ossia di animo tranquillo… In tale atto dichiarò inoltre di voler essere sepolto con l’abito dei Domenicani fra i conversi dei Santi Giovanni e Paolo152. Evidentemente stava reagendo al suo malessere interiore praticando opere di pietà e accostandosi ai frati predicatori. Già il 9 gennaio aveva donato i mobili della sua casa all’ospedale dei Derelitti (Regesto: alla data), segno della sua necessità di andarsene da qualche parte. Non è fuori luogo immaginarlo a cercare risposte, notte e giorno, nella Bibbia, che venne addirittura a illustrare se – come vari elementi inducono a ritenere – a lui spetta l’invenzione delle vignette nel celebre frontespizio della Bibbia tradotta da Antonio Brucioli e stampata da Lucantonio Giunti nel 1532, poi messa all’indice come eretica153. In altre carte dichiara di volersi “sequestrar dal mondo”, ossia di isolarsi per dedicarsi alla cura della propria vita spirituale. Vengono in mente immagini come il piccolo Eremita nella raccolta inglese di Wilton House, rappresentato in un anfratto mentre indica i suoi piedi nudi e la strada impervia che lo ha allontanato dalla comunità civile (I.88). Non sorprende pertanto che nel 1531 Lorenzo abbandoni l’alloggio in Santa Marina e si cerchi un’altra sistemazione. L’anno successivo lo troviamo a Treviso (Regesto: 1532, 29 agosto), dove verosimilmente eseguì il “tisico” di casa Rover (I.91), ma non vi si fermò a lungo. Il 15 gennaio 1533 (Regesto: alla data) è di nuovo in laguna e si premura di allegare una postilla al testamento di due anni prima, in cui premia – per i “suoi honesti portamenti” – la “mia massara giovine Armellina da Saraval [Serravalle] che in loco de figliola tenni et alevai”, provvedendo alla sua dote154. Il foglio è chiuso da un sigillo con una gru in volo, con un giogo alle zampe e nel becco un caduceo (fig. 29). Come egli stesso scrive, si trattava di “una bellissima corniola antica” incastonata in un anello che portava al dito e che interpretava così: “significato la vita attiva e la contemplativa: con meditazione spirituale levarsi dale cose terrene”155. Sollevarsi dalle cose terrene attraverso la meditazione spirituale, la contemplazione di Dio: questo era il suo anelito. 53
Nelle Marche (1533-1539) Da Venezia continuava a mantenere contatti lavorativi con l’area bergamasca e con quella marchigiana. Nella prima inviò sia pale d’altare – come la caotica e strana Assunzione della Vergine di Celana (I.71), così diversa da quella immaginata quindici anni prima per la predella di Brera (I.22) – ma anche modelli che furono posti in opera da suoi allievi locali. Lo testimonia la paletta eseguita da Agostino Facheris da Caversegno per il sepolcro del vescovo Alvise Tasso in Santo Spirito, sulla base di un foglio di Lorenzo che si conserva al Louvre (III.3)156. Ancor più numerosi i lavori destinati alle Marche, come la Pala di santa Lucia a Jesi – commissionatagli addirittura nel 1523, ma completata nel 1532 (I.93) – con il suo inedito sistema narrativo che parte dalla predella, slitta sul pannello principale, per poi concludersi ancora sulla predella. Sempre per Jesi, appena arrivato a Venezia, lavorava al trittico di San Floriano – di cui restano i due pannelli laterali con l’Annunciazione, ma non quello centrale con il San Giovanni a Patmos (V.114) – e alla cosiddetta Madonna delle rose (I.69), un testo tenerissimo nella descrizione dello slancio affettuoso che lega Gesù a Giuseppe e sorprendente per l’affinità tra la figura del san Francesco nella lunetta e quella realizzata in xilografia da Nicolò Boldrini, su disegno di Tiziano, esattamente negli stessi tempi (fig. I.69a): il dubbio su chi dei due artisti (come ricordato, allora gravitanti entrambi sul convento di San Zanipolo) avesse “copiato” l’altro è legittimo157. Ma soprattutto, in un arco di tempo che si può circoscrivere tra il 1525/1526 e il 1529, egli a Venezia diede forma a una delle sue creazioni più monumentali: la tonante Crocifissione di Monte San Giusto, richiestagli dal legato apostolico Nicolò Bonafede (I.74)158. Lotto lo rappresentò a piena figura nell’atto di contemplare, su invito di un angelo a lui deputato, lo svenimento di Maria, non molto diversamente da quanto aveva fatto con Elisabetta Rota nel Commiato di Berlino (I.140): con la differenza che chi entrava nella piccolissima chiesa che ospitava la pala praticamente entrava anche nel quadro e si trovava all’interno di una sacra rappresentazione simile a quelle nei Sacri Monti piemontesi e lombardi159. Questo capolavoro assoluto, per Berenson concepito con lo spirito di una tragedia greca, sebbene eseguito in massima parte in laguna, fu sostanzialmente ignorato, perché destinato altrove. Se fosse rimasto, oggi sarebbe considerato uno dei quadri più rivoluzionari del Cinquecento veneto; allora – forse – sarebbe stato capito da pochi. Per sua fortuna l’ambiente artistico marchigiano non presentava gli stressanti livelli di competitività che lo limitavano nella sua città natale, il gusto della committenza non era poi così sofisticato e l’autorevolezza del pittore era tale che quasi ogni sua proposta veniva accolta160. Certo, in qualche caso si sarà dovuto piegare alle richieste dei clienti, ma il più delle volte ebbe le mani libere e fu in grado di regalare alla regione opere che oggi sono sentite come identitarie. Ci si riferisce in particolare all’Annunciazione di Recanati (I.96), in cui dimostrò tutta la sua “diversità”. In effetti, dal punto di vista compositivo, prese spunto dalla pala di analogo tema realizzata da Tiziano nella cappella Malchiostro nel duomo di Treviso, del 1520 (fig. I.96a). Anche il cadorino aveva immaginato una visione frontale di Maria, con l’angelo che entra da destra e un’epifania di luce divina che si effonde dall’alto. Lotto l’avrà ammirata quando, nel 1532, abitava a Treviso e se ne ricordò per confezionare la sua proposta per Recanati. Quel che fece fu a un tempo semplice e rivoluzionario: trasformò la generica quinta prospettica adottata dal Vecellio nell’interno dell’abitazione di Maria, la stessa che si credeva essere stata portata dagli angeli a Loreto, riempiendola di oggetti di uso quotidiano. Ripensò a come aveva concepito la scena qualche anno prima a Jesi – con l’angelo che entra nella stanza planando e sorprende Maria sull’inginocchiatoio (I.68) – decidendo questa volta di far rivolgere lo sguardo della Vergine verso di noi. Già Antonello da 54
30. Alvise Vivarini Madonna col Bambino e santi, particolare Berlino, Gemäldegalerie
31. Lorenzo Lotto I santi Rocco, Cristoforo e Sebastiano, particolare Loreto, basilica della Santa Casa
Messina, nella celebre Annunciata di Palazzo Abatellis a Palermo (di cui a Venezia esistevano copie antiche, come quella ora alle Gallerie dell’Accademia)161, aveva adottato la medesima soluzione, ma in un close-up assai stretto, quasi atemporale. Lotto invece amplia la scena per descrivere l’istante preciso in cui cambiò la storia dell’umanità. Come sacra rappresentazione, la scena è assurda. La Madonna è terrorizzata: volta clamorosamente le spalle al libro sacro, all’angelo più che atletico che ha fatto irruzione nella stanza e allo stesso Dio Padre, che sembra tuffarsi dal cielo 162. Si rivolge a noi quasi chiedendoci aiuto e, per farsi più piccola, si avvita su se stessa. Dietro di lei un gatto balza via, sorpreso dall’irruzione celeste. La luce penetra da destra e sia l’animale sia l’angelo proiettano le loro ombre sul pavimento: i loro corpi sono dunque reali, non apparenze (era una diatriba teologica annosa, quella sulla consistenza fisica degli angeli), ciò significa che Gabriele, annunciatore del bene, entra concretamente nella vita reale e scaccia il male, simboleggiato dal gatto, che nell’iconografia è spesso associato al demonio (e Lotto lo dipinge come il più comune dei gatti, un soriano). Maria, timida come la ragazza della porta accanto, è turbata, incerta. Ogni cosa, nel dipinto, ha una sua consistenza tangibile: si descrive il letto con i cuscini in ordine, la cuffia da notte annodata, l’asciugamano lindo e, sopra la mensola, tre libri, un candelabro, una lucerna… Più in basso, su uno sgabello, una clessidra è in parte coperta da un drappo giallo che consente di vedere il filo di sabbia che scende e riempie la metà inferiore del vetro: come per dire, siamo esattamente a metà della Storia. È curioso: in un momento di massima libertà inventiva, ormai ultracinquantenne, il pittore torna con la mente a modelli da lui apprezzati nel corso della sua lunga carriera, ma li reinterpreta in modi personalissimi e a volte spiazzanti. Si è appena accennato alle matrici antonellesca e tizianesca alla base dell’Annunciazione di Recanati, ma qualcosa di analogo si riscontra pure nella pala con I santi Rocco, Cristoforo e Sebastiano della basilica lauretana (I.97). Quest’ultimo, infatti, ripropone quello descritto dal suo maestro Alvise Vivarini nella pala già in San Cristoforo e poi a Berlino, eseguita prima del 1499, forse proprio quando Lorenzo era a bottega (figg. 30-31). Per il san Cristoforo ripensò ancora a un modello tizianesco – l’affresco realizzato dal cadorino in una scala di Palazzo Ducale (fig. I.89a) – mentre per il san Rocco ripropose una sua stessa invenzione precedente, di cui resta un disegno al Louvre (fig. I.97a). Combinò il tutto in un “centone” di grande effetto, immaginando l’arrivo di Gesù dal mare (Adriatico) sulle spalle del gigantesco Cristoforo, fiancheggiato da Rocco e Sebastiano che ci fissano mostrando piaghe, bubboni e ferite, con il fine di esortare il fedele a imparare a convivere con il dolore. Tutto sommato sembrerebbe una pala abbastanza tradizionale: se non fosse che Lorenzo cela in uno strano dettaglio la chiave interpretativa dell’insieme. Si osservi come giusto al centro del primo piano, su un cartiglio arrotolato, volle
32. Lorenzo Lotto I santi Rocco, Cristoforo e Sebastiano, particolare Loreto, basilica della Santa Casa
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apporre la sua firma sotto a un occhio (fig. 32): come dimostra uno dei coperti delle tarsie in Santa Maria Maggiore a Bergamo, si tratta dell’occhio di Dio, a cui egli s’affida (fig. I.163a). Incredibilmente, però, nel cartiglio è entrato un grosso serpente, e non ne esce: va proprio sopra l’occhio, ci guarda e sibila. Sembrerebbe che la lotta tra il bene e il male sia quasi in equilibrio: anzi che sia il male a prevalere. Tuttavia, se si osserva con attenzione – e dal dettaglio si ripassa all’insieme – è chiaro che il piccolo Cristo è sopraggiunto dal mare proprio per proteggerci. Per questo si protende con decisione dalle spalle di san Cristoforo, quasi fino a sbilanciarsi: guarda il cartiglio e lo benedice, difendendo così il pittore – e noi con lui – dal maligno, di cui il serpente è antico simbolo. Sono idee originali, che non hanno molti equivalenti nella pittura europea del periodo. Spesso nascono dalla riflessione su spunti di artisti che stimava: appunto Tiziano, Dürer, Raffaello… Da un’idea di quest’ultimo divulgata da Marcantonio Raimondi, la cosiddetta Madonna dalla coscia lunga (fig. I.98a), nasce l’imprevedibile Madonna “metterza” degli Uffizi, del 1534 (I.98). Qui Maria si fa spazio, quasi spingendo, tra le gambe aperte di sant’Anna, di fronte a un perplesso Giuseppe, cui il san Girolamo alle sue spalle cerca di spiegare il senso teologico della scena. È una fase, questa marchigiana, in cui Lorenzo perviene a soluzioni compositive che lo soddisfano e che riproporrà anche in seguito. Quella della Madonna “metterza” è duplicata – senza Girolamo – in una tela al Courtauld di Londra (I.108); la dispersa Madonna delle Grazie di Osimo (I.95) tornerà nelle tele a San Pietroburgo (I.119) e Potsdam (I.137); il San Girolamo penitente di collezione privata milanese (I.103) nei più tardi esemplari della Galleria Doria Pamphilj (I.153) e del Prado (I.159); l’Adorazione di Gesù del Louvre (I.106) nella tela ora nel Museo della Santa Casa di Loreto (I.146). D’altro canto, sul versante ritrattistico Lotto porta avanti il frutto delle ricerche veneziane. Il volitivo Cavaliere di Cleveland (I.102), della metà del quarto decennio, esce dal chiuso del suo palazzo per esibirsi in terrazza, guardando al di fuori del campo visivo e atteggiandosi con il braccio levato al cielo come il protagonista di una commedia shakespeariana. Ben diverso lo spirito con cui il Gentiluomo della Galleria Borghese si mette in posa davanti al maestro con tutto il suo insostenibile dolore (I.87). L’espressione sofferente, a stento trattenuta, la mano sinistra premuta sulla milza, la destra come pietrificata su un cumulo di petali di rosa e gelsomini fra i quali sbuca un piccolo teschio: l’insieme converge a descrivere un uomo in lutto, forse di nome Giorgio, oppure che – al pari del san Giorgio nel paesaggio – avrebbe voluto uccidere chissà quale drago per salvare la sua principessa. Alla stessa tipologia sociologica appartiene anche il cosiddetto, più tardo, Uomo di trentasette anni della Galleria Doria Pamphilj di Roma (I.127), che però è ben più anziano di quell’età: tutto induce a pensare che si tratti di un vedovo inconsolabile, che si fa ritrarre nel ricordo imperituro di fronte alla lapide della moglie, lei sì – verosimilmente – scomparsa a trentasette anni163. È curioso che nel Seicento questi ultimi due dipinti fossero considerati autoritratti del pittore, ben prima che la critica moderna ne riesumasse i travagli esistenziali. Ancora di recente qualcuno ha ritenuto di non escludere tale possibilità, che tuttavia non sembra dimostrabile. Ma una cosa va detta: opere di questo tipo testimoniano che alla sua porta bussavano personaggi singolari e saturnini, in un momento in cui lo stesso Lorenzo probabilmente non sprizzava joie de vivre. Costoro erano tutti marchigiani? Non necessariamente. Dal 1533 al 1539 le sue tracce appaiono a intermittenza. Sappiamo che nel 1534 era ad Ancona, nel 1535 a Jesi, nel 1538 ad Ancona e nel 1539 a Macerata e Cingoli164, dove per i Domenicani realizzò una Madonna del Rosario, a un tempo arcaica e innovativa (indimenticabile è l’idea dei due angioletti che gettano petali di rose verso di noi), e in cui pure non si può escludere che sotto ai panni di alcuni santi fossero all’epoca riconoscibili persone in carne e ossa (I.111). 56
33. Lorenzo Lotto Elemosina di sant’Antonino, particolare Venezia, basilica dei Santi Giovanni e Paolo
Venezia, Treviso, Venezia (1540-1549) Nel gennaio del 1540, alla soglia dei sessant’anni, lo ritroviamo a Venezia, dove va ad abitare dal nipote Mario Armano (il figlio di Maria Lotto), un avvocato di successo, che lo ospita nella sua bizzarra famiglia (Regesto: 1540, 3 luglio)165. Del suo primogenito Alvise nel 1541 esegue un ritratto (Regesto: 1541, 17 febbraio), riconosciuto solo ora a seguito della corretta decodificazione dell’iscrizione sulla lettera ostentata dal giovane, in cui si legge “Ca[rta] di Alv[ix]e [suo] nepot[e]”; con l’altra mano, che stringe un paio di guanti, egli indica verso l’osservatore, ovvero lo zio Lorenzo (I.114). Nel contempo affitta una bottega fra Rialto e San Polo. Le commissioni però tardano ad arrivare. Da questo momento in poi entriamo sistematicamente nella sua esistenza grazie alle pagine del Libro di spese diverse, in cui annotava non solo ciò che era relativo alla sua professione, ma anche le crescenti asprezze della vita166. Clienti malmostosi, dipinti rifiutati, difficoltà di riscossione dei crediti, necessità di prestiti dando in garanzia le sue cose più care… Le persone che gli sono più vicine appaiono in questi anni religiosamente inquiete, come hanno rivelato i documenti resi noti da Renzo Fontana (1981): il disinvolto nipote, al quale Lotto regala i ritratti di Lutero e della moglie attestati dal Libro di spese diverse (VI.19), finirà più tardi davanti al tribunale dell’Inquisizione, al pari dell’amico e agente dell’artista, l’orefice Bartolomeo Carpan167. Un clima pesante grava su di lui. I Domenicani dei Santi Giovanni e Paolo gli offrono una chance importante, affidandogli l’esecuzione di una grande pala che descrive l’Elemosina di sant’Antonino, vescovo di Firenze nel primo Quattrocento (I.115). A sollecitare l’immagine era stato Sisto de’ Medici, un teologo che dal 1541 era priore del convento168. Il vecchio pittore si mise alacremente all’opera e visualizzò una quinta teatrale sollevata da angeli che svelano il momento in cui il santo riceve l’ispirazione per le opere di carità, demandate ai Domenicani lagunari, i quali a loro volta provvedono alle necessità dei miserabili. Una dozzina di figure stipa la parte inferiore, soprattutto donne e fanciulle, ma anche qualche uomo: è quella fetta di società che mai avrebbe potuto permettersi un ritratto, una rappresentanza di quegli “ultimi” cui il pittore era tanto legato. Tra costoro si è pensato di riconoscere – esattamente sotto alla firma – un autoritratto dell’artista (fig. 33), che in effetti eseguì il dipinto pensando anche alla propria morte. Infatti, dei centoventicinque ducati che gli venivano corrisposti, trentacinque volle destinarli ai suoi stessi committenti affinché realizzassero, al momento opportuno, quanto già richiesto nel testamento del 1531: ossia la sua sepoltura presso di loro con l’abito domenicano (Regesto: 1542, marzo). Non era però ancora venuta la sua ora e doveva continuare a lavorare per vivere. A Treviso aveva lasciato alcuni capolavori e qualche amico in vita. Dal 1542 al 1545 vi si trattenne ed eseguì opere registrate nel Libro di spese diverse, ma solo in parte giunte fino a noi169. Alcune furono per amministratori veneziani che reggevano la città: il podestà Francesco Giustiniani, per il quale fece “un suo retrato de meza figura” (VI.37), il suo successore, Andrea Renier, cui donò “un quadreto de un santo Andrea che li 57
piaceva” (VI.43), e Giovanni Lippomano, già camerlengo nel 1542-1543, che nel 1546 a Venezia gli chiese una copia del Ritratto di Giovanni Aurelio Augurello con il relativo coperto (VI.54). Lorenzo cercò di ingraziarseli, ma – una volta consegnati i dipinti – costoro sparivano e lui si ritrovava nella condizione di dover individuare nuovi clienti. Se è innegabile una certa discontinuità qualitativa, alcuni ritratti di questi anni sono tra i più belli e intensi della sua intera carriera e implicano – palesemente – un confronto con i risultati dell’epoca di Tiziano. Si pensi al vecchio con guanto di Brera, quasi certamente Liberale da Pinedel (I.125), o all’Architetto di Berlino, verosimilmente il suo caro amico Sebastiano Serlio (I.116): in essi vi è una tale capacità di descrivere la vana resistenza alla vecchiaia che sembra di essere davanti a premonizioni di Rembrandt170. Il problema, però, era che erano troppo veri, poco nobilitanti e poco idealizzanti. In più li pervadeva della sua stessa melanconia. Nei ritratti di questi anni riconosciamo infatti un comune denominatore: un velo di tristezza, quasi un’ombra di morte che si allunga su coloro che posarono di fronte al suo cavalletto. Personalità troppo inquieta ed empatica, Lorenzo non riuscì a non riversare sui suoi committenti il senso di precarietà del vivere che lui stesso provava, e paradossalmente le vesti lussuose e gli oggetti preziosi esibiti da questi patroni assumevano quasi la valenza di una vanitas, se non di un memento mori. Nel pendant nuziale con Febo da Brescia e la sua sposa Laura da Pola, del 1543-1544 (I.126), il marito appare richiuso in una forma di ottuso autoappagamento, mentre lei – molto più giovane del consorte – non lascia trasparire alcuna forma di coinvolgimento affettivo. Così, nel ritratto di Giangiacomo Buonamico con il figlioletto della Johnson Collection di Philadelphia (I.132), del 1544, il padre, dall’aria dolente, protegge il bimbo impaurito che gli si stringe al fianco, come se entrambi presagissero l’imminenza di un pericolo ineluttabile: sembra un quadro già caravaggesco. Perfino quando torna a giocare con i simboli – nella fiacca tela di El Paso (I.134)171 – il risultato appare sconcertante e quasi fuori tempo. Nel 1546 annota mestamente che “l’arte non guadagnava da spesarmi”. Come stupirsi… Eppure, le provava tutte per farcela. Sfogliando il Libro di spese diverse, risulta chiaro che adottò le più disparate strategie commerciali172. Passava dalla tela cui dedicava ogni cura, sia inventiva sia esecutiva, a opere realizzate velocemente, per far “derata”, come egli scrive, ossia per tirar su qualche soldo. Alcune di esse erano duplicati di lavori più accurati, che smerciava attraverso canali differenti. È il caso della Natività notturna e del Battesimo di Cristo (probabilmente I.129) che nel maggio del 1544 affida al doratore veneziano Giovanni Maria da Lignago, con una previsione di vendita di ottanta scudi: li accompagna con “doi altri quadrj simili ali sopraditi recavati et imitato quelli da farne più derata”, che alla fine, però, spedisce in Sicilia, per venderli tramite il gioielliere Lauro Orso (VI.45) (Regesto: alla data). Chi le avesse eseguite queste imitazioni non si sa: il maestro da solo, qualcuno della sua bottega, lui in collaborazione, magari con un altro pittore esterno alla stessa? A volte lo fece, come quando realizzò “doi teste de Salvator per mastro Sixto frate in San Zanipolo”, ossia Sisto de’ Medici, facendosi “aiutar a mastro Hieronimo Santa [Croce]”, un antico allievo di Gentile e Giovanni Bellini ben inserito, con il figlio Francesco, nel contesto artistico lagunare (VI.35). Ma quel che succedeva in questi anni nel suo povero atelier non è sempre chiaro. Sappiamo, ad esempio, che una replica della Sacra Famiglia con santa Caterina d’Alessandria, di cui restano varie redazioni più o meno autografe (I.84, I.94, I.105, II.1), venne impostata da un suo oscuro aiutante di nome Coriolano e che, quando egli morì, fu lo stesso Lotto a finire il quadro, che era rimasto incompiuto, consegnandolo alla vedova. Si tratta, probabilmente, della tela conservata nel Museum of Fine Arts di Houston, rozza nell’insieme, ma raffinata nella figura del piccolo Gesù dormiente (III.9). Riscontri di questo genere fanno ben intuire quanto complessa possa essere la definizione di “autografia” per la sua produzione matura e che la mera analisi del livello qualitativo a volte non basta: casi come quelli della Madonna col Bambino 58
34. Francesco e Valerio Zuccato (su disegno di Lorenzo Lotto [?]) San Marco, mosaico Venezia, basilica di San Marco
di Sarasota e di Vicenza (II.9, II.15) – per i quali la critica oscilla tra l’ascrizione al maestro e quella alla sua bottega e/o stretta cerchia – risultano emblematici. E non basta neppure il criterio della menzione all’interno del Libro di spese. Com’è ormai emerso con chiarezza, in esso non compaiono opere che il dato formale dichiara certamente autografe, molte realizzate negli ultimi anni lauretani (tra cui la celebre Presentazione di Gesù al Tempio: I.163) e in qualche caso addirittura firmate (I.154). Questo perché, come in ogni bottega veneziana dell’epoca, egli predisponeva opere realizzate “per mostra” – ossia come campioni da presentare a potenziali committenti173 – e di presumibile facile smercio (Madonne col Bambino, Cristi, immagini dei santi di culto maggiormente diffuso, come Girolamo), ma anche perché alcune di esse il pittore le realizzò per se stesso, come nel caso – attestato da un’iscrizione sul retro della tavola – del Crocifisso ora a Villa I Tatti (I.130) o probabilmente della Caduta dei Titani (I.149) su cui si farà un accenno a seguire. Non mancavano i doni, a volte segnati nel Libro (come lo Svenimento della Vergine di Strasburgo: I.118) e altre volte no: e neppure i baratti, con opere eseguite in cambio di cibo, oggetti o lavori di falegnameria (così nacque il ritratto del balestriere Battista da Rocca Contrada: I.158). Si registra comunque un’attività intensa, per quanto sia evidente la progressiva stanchezza creativa, che lo porta a riproporre schemi adottati nei fortunati tempi della prima maturità (I.131, I.135, I.146, I.152), se non addirittura della giovinezza (I.141, I.142). Eppure – e si può dire, quasi incredibilmente – dovrebbe essere di questi tempi una sua invenzione, non firmata né documentata, che ebbe uno straordinario impatto “simbolico” in laguna. Ci si riferisce alla paternità del modello preparatorio per il grande San Marco a mosaico che domina l’androne d’ingresso della basilica marciana a Venezia, eseguito nel 1545 sulla base di un cartone solitamente riferito a Tiziano, ma che Roberto Longhi e vari specialisti di Lotto hanno ritenuto – con ottime ragioni – assai più prossimo ai registi espressivi di Lorenzo (fig. 34)174. La cosa non sorprenderebbe anche tenendo conto che all’epoca proto di San Marco era il suo caro amico Jacopo Sansovino, con il quale (dopo le attestazioni del 1527-1528) sono documentati stretti contatti in laguna tra il 1542 e il 1549: essi riguardavano interscambi artistici (come dimostra la sua rielaborazione di un modello di Jacopo nel Trionfo di Cristo del Kunsthistorisches Museum di Vienna: I.128)175, ma soprattutto questioni di soldi e affari (Regesto: 1542, 10 febbraio, 14 maggio, 10 agosto, dicembre; 1543, aprile; 1545, 26 novembre; 1549, 15 maggio, 9 giugno). Come che sia, da Treviso nel dicembre del 1545 ritorna a Venezia dove, il 25 marzo 1546 (Regesto: alla data), redige un nuovo testamento in cui annulla le disposizioni precedenti, destinando i suoi materiali professionali a due bravi giovani scelti dalla Scuola dei pittori, che avrebbero dovuto sposare due ragazze – questo lo ribadisce – “de quiete nature, sane di mente e corpo, sufficienti a governi de case”, che erano ricoverate nell’ospedale dei poveri, cui lascia il resto dei suoi beni176. I problemi si acuiscono. Si ammala e Bartolomeo Carpan lo ospita a casa sua per un mese e mezzo. Si riprende, completa come riesce – 59
approssimativamente – la pala per la chiesa di San Giacomo dall’Orio (I.140) e la Cena in Emmaus per uno speziale di Rialto (I.138), e poi di nuovo cambia casa. Quel che non cambia è il vento della fortuna, e si trova costretto a pagare l’affitto al suo locatario, Giovanni della Volta, fornendogli un quadro in cui lo ritrae assieme alla sua famiglia. È la grande tela del 1547 alla National Gallery di Londra, dove neppure la presenza dei due bambini riesce a trasmettere un senso di leggerezza e di allegria alla scena (I.145): anzi, per il più piccolo addirittura ripropone la posa adottata per il Gesù nelle Adorazioni di Brescia (I.82) e Parigi (I.106). Più vibranti appaiono alcuni ritratti di religiosi cui fa stringere libri sacri tra le mani: si pensi al Fra’ Gregorio Belo del Metropolitan di New York, del 1547 (I.144), e al frate “in figura de san Piero martire”, probabilmente Angelo Ferretti, al Fogg Museum di Cambridge (Mass.), del 1549 (I.151). È come se il suo talento si ravvivasse quando si trovava di fronte a persone nelle quali riconosceva di avere in comune qualcosa di essenziale per lui: la ricerca di Dio. L’ossessione della giustizia, terrena e celeste, infiamma il suo petto ormai vecchio. Eppure ci sono altri vecchi onorati e omaggiati: e non necessariamente sono migliori di lui. Nel 1548 Pietro Aretino – un intellettuale senza scrupoli, molto amico di Tiziano – gli indirizza una lettera in cui da un lato ne loda la bontà e la virtù, ma dall’altro lo paragona beffardamente proprio al Vecellio, che in quei tempi era ad Augusta, alla corte dell’imperatore Carlo V. Allude a una competizione impossibile tra i due, dove Lotto è l’eterno sconfitto, condannato a gustare il trionfo solo nell’aldilà177. Un’altra goccia di amarezza si deposita nel suo animo già fiaccato. Non sappiamo per chi realizza la sopra citata Caduta dei Titani in cui sembra sfogare tutta la sua rabbia e la sua frustrazione: il dubbio che fosse per se stesso appare legittimo (I.149). La visione è dal basso, dove i giganti crollano miseramente nel nulla, come angeli deposti da un Giove vendicativo, che si erge al centro dell’Olimpo, attorniato dalle altre divinità che osservano, scacciano e maledicono. È una scena violenta e spaventosa, quasi barocca, che egli portò con sé – assieme a quanto era rimasto nella sua bottega – quando nel 1549 decise di andarsene definitivamente dalla città in cui era nato per recarsi, ancora una volta, nelle Marche (Regesto: 1549, 1° luglio). Ancona, Loreto (1549-1556) Possiamo immaginarlo fisicamente provato, disilluso, depresso, trascinarsi a fatica sulle stradine impervie della regione per riscuotere quel che il suo credito locale gli consentiva di riscuotere. Ma è indomito. Per farsi aiutare, richiama da Bergamo il figlio di quel Giovanni Belli da Ponteranica che lo aveva un tempo aiutato per le tarsie bergamasche. Poi l’11 luglio e il 9 settembre 1550 assume altri due apprendisti: Giovanni Matteo Pozzo da Pesaro e Marco Catalenich da Fiume178. Tutti entrano ed escono dalla sua bottega con rapidità sconcertante: forse il peso della vita lo aveva reso ancora più burbero e insofferente. Ad Ancona, nella chiesa di San Francesco alle Scale, lascia una pala monumentale e contraddittoria, dove il gioioso stupore degli apostoli alla vista della Madonna assunta in cielo si trasforma in inquietudine e pure gli angeli che sostengono Maria appaiono perplessi, come se provassero una fatica imprevista (I.155). Paradossalmente, ha deciso di adottare lo schema proposto molto tempo prima dal giovane Tiziano nell’Assunta dei Frari a Venezia, il punto di avvio dell’inarrestabile trionfo lagunare del cadorino. In effetti, già due anni prima, per una pala inviata da Venezia nella chiesa di un piccolo paese delle colline maceratesi, Mogliano, aveva scelto soluzioni tizianesche per impostare un’altra Madonna in gloria (I.148). E già quella prova mostrava la sua crisi: che era di concezione generale, perché molti dettagli, delicati e sapienti, svelano ancora l’amore per il suo mestiere. 60
35. Lorenzo Lotto Deposizione di Cristo nel sepolcro Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts graphiques
Dopo averli consegnati a Jacopo Sansovino per un tentativo di vendita andato a vuoto (Regesto: 1549, 9 giugno; 1550, 10 maggio), per racimolare un po’ di denaro provò a disfarsi dei quadri del suo magazzino organizzando una lotteria nella Loggia dei Mercanti di Ancona, ma il risultato fu abbastanza disastroso (Regesto: 1550, agosto; 1551, 3 luglio; VI.84)179. Era il segno che la sua produzione era passata di moda pure nelle Marche. Farà ancora qualche bel ritratto: come il probabile Ludovico Grazioli della Fondazione Cavallini Sgarbi, del 1551 circa (I.157), con le ultime rose da lui dipinte, quello di “maestro Batista balestrier de la Rocha contrada”, del 1551-1552, ai Musei Capitolini (I.158), o come l’intenso Ritratto di uomo con mantello di Brera (I.156). Ma il suo tempo era scaduto. La via del calvario su cui stava arrancando lo aveva condotto all’ultima stazione: la Santa Casa di Loreto. “Adì 30 agosto 1552 gionsi a Santa Maria di Loretto condoto con tutte mie robe” scrive nel Libro di spese diverse (Regesto: alla data)180. Qui, con le opere che si trascinava dietro, compone un ciclo da porsi sopra gli stalli del coro dei canonici della basilica, che venne così descritto da Vasari (1568): “Fecevi il Nascere di Gesù Cristo in una storia [I.146], e quando i magi l’adorano in un’altra [I.162]; il presentarlo a Simeone seguitava [I.163]; e dopo questa, quando è batezzato da Giovanni nel Giordano [I.129]; eravi la adultera condotta inanzi a Cristo, condotte con grazia [I.113]. Così vi fece due altre storie copiose di figure: una era Davit quando faceva sagrificare [I.131], et in l’altra San Michele Arcangelo che combatte con Lucifero, avendolo cacciato di cielo [I.136]”181. In quest’ultima tela – che probabilmente ripropone quanto da lui immaginato per una perduta pala veneziana del 1542 (VI.34) – ancora una volta bene e male si affrontano a duello. Michele ha spezzato la fiaccola del bellissimo Lucifero, che precipita nudo: si sta trasformando in diavolo e tra le gambe gli è spuntata una coda a forma di serpente. Tra le mani sospese del vincitore e del vinto c’è uno spazio breve e immenso: è quello del filo spezzato della pace originaria, dell’armonia perduta. Chissà quanti e quali pensieri gli attraversarono la mente quando aggiustò le opere per sistemarle sulla parete del coro. Alcune dovette realizzarle ex novo, per dare un senso di compiutezza al ciclo (l’Adorazione dei magi e la Presentazione di Gesù al Tempio). Ma la vitalità si stava esaurendo e ormai anche la sua pittura era diventata magra, secca, tendente alla cenere. Nella Presentazione al Tempio le figure appaiono quasi spettrali, come entità indistinte: solo una donna ha lo sguardo acceso, uno sguardo che preannuncia quelli dell’ultimo, tragico Goya. Sul fondo un vecchio barbuto, immerso nell’ombra, si affaccia da una porta e osserva: forse è proprio lui, Lorenzo, che lascia l’ultima immagine di sé, pronto a uscire di scena. Con pennelli e matite in mano, riflette sulla morte: in un disegno al Louvre, certamente degli stessi tempi (fig. 35), descrive la Deposizione di Cristo nel sepolcro con uno stile abbreviato affine a quello sperimentale praticato a Venezia da Andrea Schiavone e Tiziano182. Sono gli ultimi barlumi della sua oscura modernità. Nella breve biografia che gli riservò nell’edizione delle Vite del 1568, Vasari scrive che da vecchio Lotto perse quasi completamente la voce. Possiamo immaginare i suoi passi imprigionato nel 61
silenzio, mentre si dedica a lavori umili (dipinge anche i numeri dei letti dell’ospedale)183 e si dirige verso la preghiera. Sempre Vasari volle però specificare che gli “ultimi anni della sua vita provò egli felicissimi e pieni di tranquillità d’animo, e che è più, gli fecero, per quello che si crede, far acquisto dei beni di vita eterna: il che non gli sarebbe forse avenuto se fusse stato nel fine della sua vita oltre modo inviluppato nelle cose del mondo, le quali, come troppo gravi a chi pone in loro il suo fine, non lasciano mai levar la mente ai veri beni dell’altra vita et alla somma beatitudine e felicità”184. In un giorno sconosciuto della fine del 1556 cedette. Le sue ossa stanno da qualche parte sotto al pavimento della basilica di Loreto. I suoi occhi continuano a guardarci dalle opere che ci ha lasciato.
Cecchetti 1887 (Testamento), p. 1. Cfr. Billanovich 1966, p. 453. 3 Su Ludovico Marcello si veda la nota 55. 4 Ridolfi 1648 (ed. 1914-1924, I [1914], p. 143): “Nella patria sua di Bergomo…”. 5 Zampetti 1969, p. XVIII; Id. in Lorenzo Lotto a Loreto e Recanati 1980, p. 46. 6 Pensava al padre Muraro 1981, pp. 299-300 (che però equivocò la lettura del “pictore Tarvisii” nel documento del 10 giugno 1503 edito da Gargan 1980, p. 9 n. 2; qui Regesto: alla data); invece al nonno Puppulin 1984, p. 351. 7 “1542, adì primo setembrio in Venetia. Non havendo jo Mario D’Armano dal latto materno altri parenti ch’el spetabil misser Lorenzo Loto zerman della quondam mia madre, nati ambj dui legitimamente de due sorelle et de duo fratelli […]”: Libro di spese diverse 2017, p. 276. Sul passo – e su tali relazioni familiari – si sofferma Gullino 2021. 8 Tali indagini sono state anticipate nel saggio nel catalogo della mostra di Madrid e Londra (Gullino 2018), in parte precisate in una comunicazione letta in occasione del convegno organizzato a latere dell’esposizione madrilena, ma più organicamente esposte in un saggio sul Fortunio edito nel 2021. Ringrazio il prof. Gullino per avermi anticipato le seguenti informazioni. 9 ASV, Notarile Testamenti, b. 1060, fasc. 7, Atti Pietro Usnago, rispettivamente nn. 16 e 23. 10 Archivio di Stato di Treviso, Archivio Notarile, b. 365, ad diem. Il 6 maggio 1495 compare a Venezia un Cristoforo de Lotis, sacrestano nella chiesa dei Santi Apostoli (nel sestiere di Cannaregio), che il 26 aprile 1514 vi risulta come prete titolato: ASV, rispettivamente Cancelleria Inferiore. Miscellanea notai diversi, b. 28/2774; Notarile testamenti, b. 1153/18. 11 Sugli Armano si veda, innanzi, alla nota 165. 12 Per gli apprendistati a Venezia cfr. Rosand 1970; Favaro 1975, pp. 55-66; Puppulin 1984; Tagliaferro, Aikema 2009; Hochmann 2017. Molto utile risulta il confronto con il coevo contesto milanese, per il quale si rinvia a Shell 1997. Sul rapporto tra Lotto e i suoi garzoni/ apprendisti, Dal Pozzolo 2000 e De Carolis 2018 (Lorenzo Lotto). 13 Per tali ipotesi Dal Pozzolo 1993, pp. 44-45 nota 1. 14 Per il contesto pittorico e artistico lagunare dell’ultimo decennio del XV secolo, cfr. Lucco 1 2
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1983 (Venezia), Dal Pozzolo 2009, pp. 64-117 e Ballarin 2016 [2018]. 15 Cortesi Bosco 2000 e 2006 ha suggerito di legare la commissione dell’opera all’assegnazione del vescovado di Treviso al de’ Rossi, il 9 agosto 1499. 16 Cortesi Bosco 2016, pp. 22, 233, 634 figg. 166-167. 17 Su Jacometto cfr., di recente, Angelini 2012 e Mazzotta 2012. 18 Der Anonimo Morelliano 1888, p. 98: “[…] alcuni credono chel sii stato de mano de Antonello da Messina. Altri credono che la figura sii stata rifatta da Jacometto Venitiano ma li più, e più verisimilmente, l’atribuiscono a Gianes, over al Memelin […]”. 19 Davies 1961, pp. 201-202. 20 Zeri 1973, pp. 34-36. 21 Si vedano i casi illustrati da Dülberg 1990, alle figg. 59, 61, 78, 113, 120. 22 Su di lui, e su alcuni incroci storiografici con Lotto, Ferrari 2006. 23 Sulla questione del primo soggiorno veneziano di Dürer – da tempo assodato, ma da ultimo spesso posto in discussione – rinvio all’informatissima nota di G.M. Fara, in Albrecht Dürer e Venezia 2018, pp. 138-140 n. 6. Anche a parere di chi scrive, si tratta di un’esperienza indubitabile per il giovane maestro di Norimberga. 24 Per tale documento si veda ora F. Coltrinari, in Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, pp. 64, 174-175. Il convincimento di una precocissima presenza del giovane pittore nelle Marche fu introdotto da Gianuizzi 1894 (Lorenzo Lotto), ripreso da Coletti 1939 e 1953, e – in più occasioni – da Zampetti 1980 (Una vita), pp. 14-15, 1980 (Un pittore), p. 54, 1983, p. 12. 25 Cfr. Coltrinari 2009 (Ipotesi), 2018 (Quasi), pp. 64, 81 nota 8, e Lucco 2013, p. 51. 26 Coltrinari 2009 (Ipotesi) e Ead. in Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, pp. 261-262. 27 G.C.F. Villa, in Lucco, Humfrey, Villa 2019 [2020], p. 501 n. 138, con una data 1495-1500. 28 Heinemann 1962, I, pp. 37-38 n. 135; poi anche Tempestini 2009. 29 Sullo sviluppo della cosiddetta “Sacra conversazione” nel secondo Quattrocento veneziano, cfr. Schmidt 1990; per il primo Cinquecento, Tempestini 1999.
Come sottolineato da Cortesi Bosco (2016, p. 203), nel 1492, quando era vescovo di Belluno, il de’ Rossi aveva voluto recarsi a Mantova per vedere “la Camera Depincta per la fama sua et la spalera”. 31 Sull’opera G. Fossaluzza, in Museo di Castelvecchio 2010, pp. 179-180 n. 126. In generale su Alvise, Pallucchini 1962, Steer 1982 e I Vivarini 2016. 32 Si confrontino le mani del san Pietro Martire con quelle nel foglio di Alvise alla Fondazione Custodia di Parigi: si vedano in Steer 1982, pp. 169-170 n. 43, e in Dürer e il Rinascimento 2018, p. 161 n. 1/21. 33 A partire da Gilbert 1956. Sulla sua frequentazione di Alvise, inoltre, Guarino 1981. Più di recente si registra la proposta di Simi De Burgis 1998 in merito a una possibile compartecipazione del giovane Lorenzo all’esecuzione dell’Assunta di Noale (V.83). Per altri fraintendimenti attributivi cfr. i ritratti qui alle schede V.89 e V.152. Un San Bernardino dell’officina di Alvise – proveniente dal convento francescano di San Daniele a Lonigo e ora nel Museo Diocesano di Vicenza – è stato accostato con prudenza all’“arte del giovanissimo Lorenzo Lotto”, in virtù delle “forti consonanze con la Sacra Conversazione di Edimburgo”, da C. Rigoni, in Museo Diocesano di Vicenza 2005, p. 47, ma la proposta non pare accoglibile. 34 Steer 1982, pp. 136-137 n. 9. 35 Il san Pietro martire è facilmente confrontabile con il san Francesco nel Compianto della Galleria Estense di Modena, un lavoro del 1495-1497 circa (Humfrey 1983, pp. 127-128 n. 95); mentre il fondale nella tavola di Napoli con quello della Madonna col Bambino e donatore della Gemäldegalerie di Berlino (per la quale ivi, p. 82 n. 13). 36 Per il trittico già a Berlino, e la sua fortuna, Heinemann 1962, I, p. 68 n. 213, e Tempestini 2009, pp. 42-53. 37 Il foglio si accompagna a un San Francesco molto cimesco derivante da quello nello scomparto laterale destro già a Berlino. Considerati entrambi dai Tietze (1944, p. 93 nn. 348-349) genericamente della scuola di Giovanni Bellini, furono presentati da Pallucchini alla mostra belliniana del 1949 a Venezia (Giovanni Bellini 1949, p. 229 nn. 139-140) come un “problema ancora aperto”. Nella scheda lo 30
studioso ricordava che Roberto Longhi si era dichiarato favorevole a riferire il San Francesco allo stesso Cima, mentre in seguito è stato proposto anche il nome di Bartolomeo Montagna (Puppi 1962, p. 151; Heinemann 1962, I, p. 68 n. 231p; e con dubbi Robertson 1968, pp. 120121). L’attribuzione del San Girolamo al Lotto è di chi scrive (Dal Pozzolo 1993, pp. 35-36, 47 nota 13, con ulteriore bibliografia). 38 Tale foglio presenta non irrilevanti analogie con quello raffigurante un Paesaggio con vista su una città, presentato da Catherine Monbeig Goguel in L’Œil et la Passion 2011, pp. 120-123 n. 32, e al convegno lauretano del 2018 (ed. 2019). Se dell’artista, come pare, esso non può che essere degli esordi. 39 Tale prospettiva venne aperta – dopo svariate incertezze (cfr. Dal Pozzolo 1993, p. 45 nota 1) – da Roberto Longhi, quando nel Viatico (1946, p. 60 n. 77), parlando della Pietà di Giovanni Bonconsiglio, accennò alla sua “supposizione che il pittore, oltre che con Venezia, abbia stretto intese con la cultura bramantesca lombarda; la stessa che, senza esito ulteriore, può aver toccato il Lotto giovane al tempo dei paggi Onigo a Treviso” (V. 118). L’apertura venne sviluppata da Lucco 1980, con qualche accenno da Momesso 1997 e ora – focalizzata sul 1504 – da Ballarin 2016 [2018], II, pp. 959-996, in un saggio specificamente dedicato a La formazione milanese di Lorenzo Lotto. 40 Solo per limitarsi alla larga cerchia belliniana, si rinvia al repertorio di Heinemann (1962 e 1991); più in generale, a Berenson 1958. 41 Gullino 2018, p. 120. 42 Su tale contesto si intreccino i contributi di Lucco 1980, Fossaluzza 1990, Sponza 1996 (Treviso) e Battaglia 2016. 43 Gargan 1980, pp. 1-2, 9-10 n. 3. 44 Su Pier Maria Pennacchi si vedano, in particolare, Nepi Sciré 1980 e 1981; Lucco 1980; Dal Pozzolo 1993 (Pier Maria Pennacchi); Biffis 2015; Battaglia 2016. 45 La presenza di tanti artisti di origine germanica a Treviso tra Quattro e Cinquecento è testimoniata da Bampo 1910 (ms.); su questo studio si basa in particolare Demattè 1982, relativamente a Giovanni Matteo Teutonico (su cui poi Fossaluzza 2003, pp. 452-462); ma per la vastità del fenomeno dal punto di vista sociale, Pesce 1983, pp. 46-47. 46 La focalizzazione dell’influsso düreriano è merito in particolare di Pignatti, che l’ha approfondita a più riprese: Pignatti 1953 (La giovinezza), 1954, 1968, pp. 6-8, 1973, 1981. 47 Steer 1982, pp. 151-152 n. 28. 48 Cfr. Gentili 1985, pp. 105-114; Dal Pozzolo 1990 (Alcune precisazioni). 49 Sul contesto umanistico trevigiano nel suo insieme rinvio a Serena 1912 e Pastore Stocchi 1992. 50 Sui rapporti col vescovo, in particolare, cfr. Liberali 1963 e 1981; Gargan 1980; Gentili 1985, pp. 76-93; Cortesi Bosco 1987 e 2016. 51 Sul Facino, Gargan 1983; Cortesi Bosco 2016, pp. 483-485. 52 Sul Tempesta, Gargan 1980 e, ora, Zaccariotto 2020, pp. 9-11.
Sul Pirrucchino, accanito bibliofilo, Pavanello 1905, p. 170. 54 Per Bologni e Lorenzo Lotto, Gentili 1985, pp. 19-26, 63-75, 129-137, e Cortesi Bosco 2016, pp. 224-231. Più in generale sulla sua figura, Pellegrini 2007-2008 e Soranzo 2019. 55 Sul Marcello rinvio a Biscaro 1898 (Lodovico Marcello); Pavanello 1905, pp. 165-167; Serena 1912, pp. 38-44; Gargan 1980, pp. 1, 3, 5-8; Cortesi Bosco 2016, pp. 222, 224, 270 nota 169; Soranzo 2019, pp. 38, 45. 56 Sull’Augurello è fondamentale Pavanello 1905; più di recente si veda Soranzo 2019. 57 Sull’identità di questo “Domenico” si è discusso: tradizionalmente (ma ora anche da Zaccariotto 2020, p. 10) riconosciuto in Domenico Capriolo, è considerato altra persona da Fossaluzza 1983, p. 49, e Lucco 2013, p. 58 nota 47, sulla base del fatto che egli sarebbe nato intorno al 1494. 58 A prescindere dall’ipotesi di una sua paternità della Sacra Famiglia di Recanati (II.8), questo è il primo dei sei tappeti turchi e anatolici, rappresentati – sempre con estrema precisione descrittiva – dal maestro, che non a caso è stato definito “un conoscitore di tappeti” (Mack 1998): su questo aspetto, da ultimo, E. Tsareva, in Lorenzo Lotto a San Pietroburgo 2015, pp. 42-45; Kim 2016; E. Dal Pozzolo; M. Falomir, in Lorenzo Lotto. Portraits 2018, pp. 264-251, 301-304. 59 Sono noti i commenti sul suo difficile rapporto con i colleghi locali (eccettuato Giovanni Bellini) che l’artista scrive all’amico Willibald Pirckheimer in alcune delle dieci lettere del 1506 inviategli da Venezia: si vedano in particolare quelle del 7 febbraio (“Fra gli italiani ho molti buoni amici che mi avvertono di non mangiare e bere con i loro pittori. Molti di loro mi sono anche nemici e copiano nelle chiese le mie opere e dovunque possano venirne a conoscenza. E poi le criticano dicendo che non sono di genere antico e perciò non buone”) e del 2 aprile (“i pittori di qui mi sono molto ostili. Mi hanno fatto convocare per tre volte davanti alla Signoria, e devo pagare quattro fiorini alla loro Scuola”): in Albrecht Dürer. Lettere 2007, pp. 32-33 n. 2, 40 n. 5. Per un’analisi generale dell’impatto delle invenzioni di Dürer sui pittori veneti, Heimbürger 1999. 60 Per i soggiorni veneziani di Dürer cfr., di recente, Ballarin 2016 [2018], IV; Dürer e il Rinascimento 2018; Albrecht Dürer e Venezia 2018. 61 La prima opzione è quella tradizionale: venne contraddetta da Wilde 1950 e di lì in seguito da quasi tutta la letteratura specialista. È da ultimo ripresa da Cortesi Bosco (2000, p. 75; 2006, p. 200; 2016, p. 431) e da Ballarin (2016 [2018], II, pp. 962-963 tavv. VIII. 1-2). Si vedano tuttavia anche le considerazioni espresse da D.A. Brown, in Lorenzo Lotto. Il genio 1998, p. 88. 62 Secondo Massimiliano Bassetti, professore di paleografia all’Università di Verona (con mail del 10 aprile 2020), la lettura 1506 è di gran lunga preferibile, considerando “non solo il prolungamento dovuto, ma anche lo schiacciamento regolare dell’occhiello, che 53
lo differenzia nettamente dal corpo circolare, basso sul rigo, di 0 (zero)”. 63 Per un’informazione sulla Corner, di recente, Hurlburt 2015, e – per il suo insediamento ad Asolo – Caterina Cornaro 2011. 64 Sulla storia del dipinto, Dal Pozzolo 1995; per un aggiornamento, Id. in Lorenzo Lotto. Portraits 2018, pp. 202-204 n. 7. 65 Dal Pozzolo 1995, p. 101. 66 Tale episodio è illustrato, ad esempio, nel polittico del Maestro delle Storie di San Giovanni Evangelista (Ferrara, prima metà del XV secolo) nella collezione Corsi al Museo Bardini di Firenze. 67 Analisi di Patrizio Giulini, in Dal Pozzolo 1995, pp. 53-55 tav. 28. 68 Si veda, con scheda di M.E. Avagnina, in Jacopo Bassano 1992, p. 151. 69 La valutazione del dipinto è dibattuta, sia per quel che riguarda la cronologia, sia per la partecipazione della bottega: cfr. Il colore ritrovato 2000, pp. 90-93 (scheda di restauro di A. Micheletto), pp. 139-140 n. 21 (scheda storico-artistica di G. Nepi Scirè); Brown 2019, pp. 93-96; e G.C.F. Villa, in Lucco, Humfrey, Villla 2019, pp. 527-529 n. 154. Per i legami iconografici con la pala di Lotto, Dal Pozzolo 1995. 70 Fontana 1994; Bonnet 1996, pp. 32-34, 139 nota 9. 71 Gentili 1985, p. 120. 72 Mariani Canova 1981; Mazza 1981; Aikema 1989, 2000; Zaru 2014. 73 Per un quadro storico bastino Moroni 1980 e – per uno sguardo sull’area regionale percorsa dal pittore – Niccoli 2018 (La Marca). Per il cantiere lauretano Coltrinari 2016 (Loreto). 74 Lucco 2013, pp. 60-78. 75 Coltrinari 2019. 76 Strauss 1974, II, p. 958 n. 1506/37. 77 Com’è noto, Vasari (1568) scrive: “Nella predella, che è di figure piccole e cosa rara, è nel mezzo quando Santa Maria di Loreto fu portata dagl’Angeli dalle parti di Schiavonia, là dove ora è posta. Delle due storie, che la mettono in mezzo, in una è San Domenico che predica, con le più graziose figurine del mondo, e nell’altra papa Onorio che conferma a San Domenico la Regola”. Se la prima e la terza sono da considerarsi perdute (VI.1), gran parte della critica riconosce il pannello con il “San Domenico che predica” in una tavola (segnalata a Treia, in provincia di Macerata, all’inizio del XX secolo) che si conserva al Kunsthistorisches Museum di Vienna (III.15): essa risulta del tutto inadeguata agli standard di Lorenzo e tuttavia non sembra riferibile neppure a qualche stretto collaboratore di bottega (basti vedere il dettaglio che apre il saggio di Vito Punzi negli atti dell’ultimo convegno lottesco: Punzi 2019, p. 192, fig. 72). Colgo l’occasione per evidenziare che – oltre ai problemi legati alla lettura iconografica e alla provenienza – si aggiungono pure quelli relativi al dato vestimentario che, come cortesemente mi comunicò Doretta Davanzo Poli, appare più congruo alla metà del secondo decennio del secolo. 78 Oldfield 1984 (Lorenzo Lotto, 1508-1513); cfr. poi anche Cleri 2009 e Frapiccini 20152016, entro il volume con gli atti del convegno lauretano dedicato alla presenza marchigiana
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del maestro svoltosi nel 2014, e Coltrinari 2018 (Quasi), p. 67. 79 Von Zahn 1867, p. 181; Liberali 1963, p. 21. 80 Cfr. Zocca 1953; Mancinelli 1982 e Id., in Raffaello in Vaticano 1984, p. 159. 81 Zocca 1953, p. 342 n. 14. 82 Sul periodo romano del pittore cfr. Longhi 1980; Volpe 1981; Il San Girolamo 1983; Gentili 1984; Cortesi Bosco 1990; Nesselrath 1993, 2000, 2004, 2009. Resta ancora enigmaticamente sospesa la dichiarazione, più volte fatta da Pietro Zampetti, che “all’attività romana” del maestro “dovrebbero appartenere anche certi affreschi dei quali non mi è stato possibile prendere visione, segnalati in una piccola chiesa alla periferia di Roma” (in Lorenzo Lotto nelle Marche 1981, p. 195). 83 Si vedano i contributi dello studioso menzionati alla nota precedente. 84 Per il contesto pittorico romano di questi anni rinvio a Bacchi, Benati 1988; Guarino 2004; Il Rinascimento a Roma 2011; Raffaello 1520-1483 2020. 85 Zocca 1953. Come evidenziato da Coltrinari 2018 (Quasi), si tratta probabilmente del “Jampero Corvello milane” che nel settembre del 1507 è testimone a Recanati di una vendita di paternostri. 86 Sulla frequentazione di tale categoria professionale si vedano in particolare Marcon 1999 e Firpo 2001. 87 Non inserisco in questa serie il disegno con una testa di Uomo con cappello conservato al Courtauld di Londra, un pezzo su cui Ballarin (2010, e poi 2016 [2018], II, pp. 831-838) ha molto insistito per la sua importanza, datandolo al 1511, e che tuttavia non si è ritenuto di inserire alla mostra Lorenzo Lotto. Retratos/Portraits del 2018-2019, in virtù dei dubbi manifestati sulla cronologia e l’autenticità del pezzo: Dal Pozzolo ivi, p. 61 nota 29. 88 Il problema dei rapporti Lotto-Genga era stato introdotto da Volpe (1981, p. 142), ampliato da Morandotti (1993, p. 276) e ultimamente reimpostato – con buone argomentazioni – da Ambrosini Massari (2018, pp. 18-20) e Delpriori (2018 [Girolamo Genga], pp. 80-81). La correlazione tra le due Trasfigurazioni, coeve, è stata opportunamente evidenziata da Petrioli Tofani 2018, pp. 68-69. 89 Cfr. Dacos 2012, pp. 40-62. 90 Mi ha sempre colpito certa affinità con opere marchigiane del Torrigiani, come la Madonna nella chiesa dell’Annunziata degli Zoccolanti a Fossombrone, e talune invenzioni di Lorenzo, quale la Giuditta del 1512 (I.23). 91 Si vedano al riguardo le considerazioni di F. De Carolis, in Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, pp. 178-179 n. IV.5. 92 Per la presenza del pittore nella città orobica, e i suoi rapporti di committenza, si rinvia ai fondamentali studi documentari di Chiodi (1968, 1971, 1972, 1977, 1980, 1981, 1998), Cortesi Bosco (1987 e, in collaborazione con Marino Paganini, 1983) e Petrò (1998, 20172018 [Sulle tracce], 2018). 93 Ballarin 2016 [2018], II, p. 996. Sul contatto con Sigismondo Gonzaga, cfr. ora anche De Carolis in c.s.
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Chiodi 1980, p. 15; Cortesi Bosco, Paganini 1983; Coltrinari 2018 (Quasi), pp. 69-70. 95 È stato suggerito in più occasioni da Cortesi Bosco (1990, 1991 [Sulla pala], 2006, p. 202) che sia rientrato a Roma e attivo a Bergamo solo dall’estate del 1514, ma gli indizi prodotti in tal senso non sembrano assolutamente probanti, come sottolineato anche da Ballarin 2016 [2018], II, p. 996. 96 Chastel 1984. 97 Sul problema, a lungo poco considerato, delle molte presenze di aiutanti e allievi transitati nella bottega lottesca, Dal Pozzolo 2000 e 2019 (Sui dipinti). 98 Lucco 2019, p. 31. 99 De Carolis 2019. 100 Per la rapida diffusione di tali idee, basti Felici 2016. 101 L’Assunzione di Pizzino, nel santuario della Madonna di Salzana in Val Taleggio, dipende dalla pala di analogo tema licenziata nel 1527 da Lotto per la parrocchiale di Celana (I.71): su Francesco Bonetti si veda la voce di M. Argenti e G. Barachetti, in I pittori bergamaschi 1975, pp. 363-369 (per la pala di Pizzino, p. 367 n. 3). 102 Si vedano inoltre le schede VI.7, 8, 10-13. 103 Cfr. Freedberg 1988, pp. 361-365. 104 Si veda S. Padovani, in L’età di Savonarola 1996, pp. 94-98 n. 20. Trattasi di indizio ulteriore del probabile transito del maestro a Firenze nel 1512-1513, ipotesi più volte riproposta dalla critica. Per un’altra di derivazione di tale soluzione, Campbell 2019, pp. 72-74. 105 Gentili 1989; poi Moffitt 2003. 106 Pallucchini, Rossi 1983. 107 Berenson 1955, p. 82. 108 Sul ruolo di Jan van Eyck nel Ritratto dei coniugi Arnolfini, Belting 2016, pp. 107-117. 109 Dal Pozzolo 2008, pp. 149-156. 110 Anche nella seconda edizione (1568, ed. 1976, IV, p. 552): “Fu compagno et amico del Palma Lorenzo Lotto pittor veniziano”. 111 Per essa Rylands 1988, pp. 223-224 n. 51; M. Danieli, in Tiziano e la nascita 2012, pp. 148-151 n. 27. 112 Presentato da D. Scrase, in The Genius of Venice 1983, p. 261 n. D25; cfr. inoltre Rearick 1984, p. 71 (1523 circa); G. Agosti, in Disegni del Rinascimento 2001, pp. 239-244 n. 48; Drawing in Venice 2015, p. 90 n. 20 (con una data sul 1530). 113 Si vedano le versioni di Callisto Piazza e Florigerio in Labirinti del cuore 2017, pp. 112113; quella di Boccaccino fu pubblicata da Tempestini 1988, pp. 74-79. 114 Berenson 1895, p. 192. 115 Cfr. Cortesi Bosco 1976 (La letteratura), pp. 11-16. 116 Gentili 2010 e 2012. 117 Sul criptoritratto si vedano, in generale, Ladner 1983, Polleross 1988, Castelnuovo 2002; per Lotto, Dal Pozzolo 1995, Frangi 2009, Zaru 2014 e – da ultimo, con importanti novità – Castegnaro 2018 e in c.s. 118 Cortesi Bosco 1976 (La letteratura); Baxandall 1978, pp. 56-60. 119 M. Lucco, in Bergamo. L’altra Venezia 2001, pp. 100-101 n. II.7. 94
Si pensi alla Trinità del 1517 di Andrea Previtali nella chiesa di San Nicola ad Almenno San Salvatore: M. Lucco, in Bergamo. L’altra Venezia 2001, pp. 132-133 n. III. 10. 121 Ceriana 1995 e Spiriti 2009. 122 M. Lucco, in Lorenzo Lotto. Il genio 1998, pp. 131-133. Dal Pozzolo 2019 (Sui dipinti), pp. 139-141. 123 Regesto: 1523, estate. Anche il 18 marzo 1525 i due sono insieme, in qualità di testimoni, in un contratto stipulato da Battista Suardi (Regesto: alla data). 124 Per la lettura antiprotestante, basti il rinvio a Cortesi Bosco (1980, 1997); per quella antiturca, ora, Sorce (2019). 125 Niccoli 1982; per alcune ricezioni bergamasche, da ultimo, Steen Hansen 2019. 126 Cortesi Bosco 1980, pp. 124-147, e 1997, pp. 16-17. Più di qualche dubbio sull’identificazione sorge, tuttavia, considerando l’età apparentemente più matura dei quarantaquattro anni che aveva Lotto all’epoca. 127 Su tale impresa resta sempre fondamentale lo studio di Cortesi Bosco (1987), da integrarsi con Ferretti (1982, 2013) e Zanchi (1997, 2016). 128 Confesso di avere forti perplessità sull’autografia del foglio raffigurante un dettaglio della Storia di Giuditta conservato al British Museum, per il quale rinvio alla scheda recente di F. De Carolis, in Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, pp. 182-183 n. V.5. 129 Ma già in precedenza, nel dicembre del 1523, si era recato a Jesi per stipulare il contratto della Pala di santa Lucia, presentato alla mostra di Macerata, Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, pp. 183-184 n. V.6 (con scheda di F. Coltrinari); più in sintesi, qui, si rinvia al Regesto: 1523, 11 dicembre. 130 Per il dipinto di Torbido, Repetto Contaldo 1984, pp. 56-67 n. 13. 131 Tietze 1944, p. 187 n. 779; Pouncey 1965, pp. 12-13 fig. 9; G. Agosti, in Disegni del Rinascimento 2001, p. 248. 132 Richiesto per la mostra di Madrid e Londra del 2018-2019, non è stato possibile averlo in quanto il distacco e il restauro sono stati considerati tecnicamente impossibili, come comunicatoci da John Marciari, Charles W. Engelhard Curator and Head of the Department of Drawings and Prints, The Morgan Library & Museum. 133 Tafuri 1984. 134 Regesto: 1527, 5 agosto, 13 settembre, 16 settembre, e 7 ottobre; 1528, 8 dicembre circa. 135 Per un’informazione dei rapporti tra i due, si vedano Boucher 1991 e ora, per un aggiornamento, Beltramini 2019. 136 Humfrey 1993, pp. 304-310. 137 Per i rapporti, e gli incroci, tra Lotto e Pordenone, cfr. Liberali 1963, Cova 1981, Pilo 1981 e ora Villata 2019. 138 I ritratti tizianeschi degli anni venti si vedano in Pedrocco 2000, pp. 124-126 nn. 58-62, pp. 137-139 nn. 73-77, pp. 144-145 nn. 81-82. Sul panorama pittorico di questo decennio più generale: Lucco 1996; Gentili 1997 (Per una storia); Rosand 1997; e Dal Pozzolo 2010, pp. 153-221. 120
Si vedano, ad esempio, per Palma, gli esemplari di Berlino, San Pietroburgo e Venezia (Rylands 1988, pp. 245-246); per Cariani quelli di Raleigh e Oslo (Pallucchini, Rossi 1983, pp. 133-134 n. 61, 136-137 n. 66). 140 Per la figura di Catena, Robertson 1954 e Dal Pozzolo 2006. 141 In Frangi 1992, pp. 54-55 n. 12, 70-71 n. 17, 74-75 nn. 19-20. 142 Cfr. i casi illustrati in Mason 1992 e Thornton 1997; per il contesto lagunare, Il collezionismo d’arte a Venezia 2008. 143 Alla fig. 25 si riproduce l’allestimento, nella mostra di Madrid del 2018, di una vetrina in cui accanto al dipinto sono stati inseriti un bronzetto dell’Ercole con clava e i marmi con la Figura femminile acefala appoggiata a una colonna, la Diana efesina e il Ritratto dell’imperatore Adriano proveniente dal Museo Archeologico di Venezia, oltre al disegno dell’Ambrosiana con l’Ercole e Anteo (qui fig. I.73 a): M. Falomir, in Lorenzo Lotto. Portraits 2018, pp. 269-273. Mancava la Venere al bagno sulla destra, che in effetti era stata riconosciuta da Fabiański (2000, pp. 110-111) in un modello classico del 200 a.C., che nella seconda metà del XVI secolo conobbe una particolare fortuna soprattutto in ambiente bolognese (Dal Pozzolo 2019 [Un apice], pp. 75-77). 144 Cfr. Franzoni 1984, p. 301; Favaretto 1990, pp. 75-78; Martin 2000; Lüdemann 2018, pp. 94-95. 145 Una riflessione sulle “bizzarrie” del maestro si deve ad Arasse (1981). In seguito si tenga conto in particolare dei numerosi e densi studi sulle simbologie del maestro di Cortesi Bosco e Gentili. 146 Regesto: 1529, 28 marzo. La lettera è trascritta integralmente da Cortesi Bosco 1987, II, p. 21 n. 29. 147 Dolce 1557 (ed. 1960, p. 152). 148 Gentili 1981 (Virtus), pp. 419-420. 149 Ma già prima si era soffermata su tale aspetto: Cortesi Bosco 1980, 1981 (Un amico), 1987 e 1995. 150 Su un episodio di questo tipo Guido Ruggiero scrisse un saggio in un volume di “Quaderni storici” del 1987, in cui raccontò la storia di una trovata, nel maggio del 1588 nel duomo di Feltre, che simulava un uomo nudo, con “fissi molti aghi in tutte le parti di detta statua, massime negl’occhi, nelle tempie, nelle parti del core, et nel membro virile”: era stata confezionata da una certa Elena, su consiglio di una fattucchiera, per cercare di farsi sposare dall’amato che l’aveva lasciata. Sull’episodio Dal Pozzolo 2008, p. 11, e 2020 (Lorenzo Lotto: due copie). 151 Gullino 2021, pp. 96-103. 152 Il testamento, importantissimo, era stato segnalato da Ludwig nel 1905, ma venne aperto solo da Cortesi Bosco, che lo ragionò in un fondamentale saggio del 1998. In seguito, si vedano anche Ellero 2011 e Dal Pozzolo in Lorenzo Lotto. Portraits 2018, pp. 182-184 n. 1. 153 Sul problema dell’attribuzione della Bibbia tradotta da Antonio Brucioli proposta da Romano (1976) rinvio, da ultimo, a F. De Carolis, in Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, p. 198 n. VIII.1.8, e Fara 2019. 139
Cortesi Bosco 1998, p. 11. Cortesi Bosco 1998, p. 17. Per un commento su questo sigillo, si veda anche Monaco 2019, pp. 136-137. Più in generale, sulla raccolta di gemme e anelli del maestro si rinvia a Poltronieri 2019. 156 Una dettagliata scheda del foglio la offre M. Lucco, in Lorenzo Lotto a Recanati 1998, pp. 43-45 n. 11; per qualche osservazione ulteriore, ora, Lüdemann in c.s. 157 Dal Pozzolo 2019 (Il San Francesco). 158 Su questo capolavoro risultano essenziali gli studi di Giordano 1999, e Angelucci 2016, 2018. 159 Paolucci 2009. Sul raffronto con le sacre rappresentazioni, inoltre, Campbell 2019, p. 138. 160 Lorenzo Lotto nelle Marche 1981; Cortesi Bosco 1996; Mozzoni, Paoletti 1996; Lotto nelle Marche 2011; Un maestro del Rinascimento 2013; Niccoli 2018 (La Marca); De Carolis 2018 (Lotto’s); Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018. 161 Moschini Marconi 1955, pp. 43-44 n. 41 162 Come rilevato da Coltrinari (2019, pp. 40, 48), questa soluzione potrebbe essere stata ispirata dal rilievo realizzato nel 1524 da Andrea Sansovino per la Santa Casa. Si veda anche Campbell 2019, p. 129. 163 Come da tempo evidenziato da Gentili 1981 (Virtus), pp. 421-422. L’ipotesi dell’autoritratto è ripresa di recente – sia pure in termini dubitativi – da Bonnet 1996, pp. 136-137, e De Marchi 2007. 164 Regesto: 1534, 13 aprile, 24 ottobre; 1535, 1° luglio, 4 agosto; 1538, 1° agosto, 16 novembre; 1539, 14 ottobre. 165 Per le sue frequentazioni in questi anni veneziani, e in particolare su Armano, sono fondamentali gli studi di Fontana 1981, 1984 e 2007; inoltre si vedano Ambrosini 2018, pp 34-38, Gullino 2018, pp. 123-137, e Wijnands 2019. 166 Il testo è consultabile nelle edizioni moderne a cura di Zampetti (1969), Grimaldi, Sordi (2003) e De Carolis (2017). Si veda inoltre la recensione a quest’ultimo lavoro di Niccoli 2018 (La Marca). 167 Cfr. Fontana 1981, 1984 (Aspetti sociali), in c.s., Calì 1981, Firpo 2001 e Ambrosini 2018, pp. 35-39. 168 Libro di spese diverse: cc. 57v-58r, ed. 2017, pp. 180-181. 169 Per il soggiorno trevigiano, cfr. Chiappini di Sorio 1981, e Dezuanni 2005, 2009. 170 Come già evidenziato da Berenson 1955, p. 11. 171 Cfr. Dezuanni 2005, pp. 51-56. 172 Per due analisi del suo atteggiamento mercantile, cfr. Frapiccini 2009 e De Carolis 2019 (Lorenzo Lotto). 173 Dal Pozzolo 2003. 174 Tradizionalmente ascritto a Tiziano, venne riferito a Lotto da Longhi (1947, ed. 1978, pp. 85-88), seguito da Pignatti (1953, pp. 168, 170), Zampetti (1953, p. II), Mariani Canova (1975, p. 119 n. 244), Caroli (1980, p. 282) e Fossaluzza (1998, p. 642). Conferma invece l’ideazione tizianesca Merkel (1994, pp. 126-130). Una buona immagine a colori del mosaico è riprodotta – con l’indicazione della paternità ideativa di Lotto – nel volume Vene154 155
zia 1999, a cura di S. Zuffi, pp. 196-197. Non convince invece l’ipotesi di ideazione tizianesca – suggerita da Muraro (1948) – di due ulteriori mosaici marciani, la Santa Caterina e il San Geminiano: cfr. Pignatti (1953, pp. 141, 143), Mariani Canova (1975, p. 115 nn. 216217) e Merkel (1994, pp. 126-128). 175 Per il dialogo tra i due sul tema del “Sangue di Cristo” si vedano Aurenhammer 2000, e la sezione di opere ai nn. 15-18 nel catalogo della mostra Omaggio a Lorenzo Lotto 2011, pp. 132-146. “Il Sansovino, e il Lotto” sono menzionati assieme – e forse deliberatamente abbinati – anche in una lettera di Pietro Aretino del gennaio del 1548: Aretino ed. 2001, pp. 135-136 n. 173. 176 Cecchetti 1887 (Testamento), p. 5. Si vedano anche il testamento depositato presso il notaio Michele Rampano il 21 aprile 1546 e ora all’Archivio di Stato di Venezia, riportato anche da Zampetti 1969, pp. 301-305, e la versione già nell’antico archivio dell’ospedale di Santa Maria dei Derelitti dei Santi Giovanni e Paolo pubblicata da A. Brusegan in Omaggio a Lorenzo Lotto 2011, pp. 160-167 n. 24. 177 Aretino ed. 2000, pp. 300-301 n. 500. Sui rapporti tra Lotto e Tiziano, in generale, si vedano almeno: Pallucchini 1975, p. 10; Zampetti 1978 e 1985 (Due mostre); Cova 1981; Humfrey 2013 (A la sombra de Tiziano); Falomir, González Mozo 2018; e Dal Pozzolo 2019 (Il San Francesco). 178 Per Giuseppe Belli si vedano il Regesto (1549, 11 giugno, 12 ottobre, novembre e 11 dicembre; 1550, 10 gennaio, 18 marzo e 20 agosto) e Dal Pozzolo 2000, pp. 185-192. Per il Pozzo si rinvia al Regesto (1550, 22 luglio), mentre per Marco Catalenich da Fiume, al documento presentato, con scheda di F. Coltrinari, alla mostra Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, pp. 193-194 n. VII.9 (ma più in sintesi, Regesto: 1550, 9 settembre). 179 Per il sistema delle lotterie all’epoca, con qualche riflessione su questa lottesca, Ortalli 2010. 180 Libro di spese diverse ed. 2017, p. 225. 181 Vasari 1568 (ed. 1966-1987, IV [1976], p. 554). 182 Il foglio è stato presentato alla mostra Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, p. 193 n. VII.9, con una scheda di R. Poltronieri che opportunamente lo pone al 1556 circa e sottolinea il raccordo “con le coeve ideazioni – e anche con le soluzioni grafiche – di Andrea Schiavone, con cui Lorenzo era comunque in documentato contatto, come attesta un appunto del 1547 nel Libro di spese diverse in cui si annota l’estinzione di un debito che un suo garzone aveva contratto nei confronti del pittore dalmata” (Regesto: 1547, marzo). Qui la tecnica disegnativa ha comunque molto in comune anche con quella di Tiziano negli anni quaranta: basti pensare a fogli come la Figura inginocchiata di Leeds e lo studio per il Sacrificio di Abramo di Parigi (in Chiari Moretto Wiel 1989, p. 92 nn. 27-28). 183 Regesto: 1553, 8 settembre. 184 Vasari 1568 (ed. 1966-1987, IV [1976]), p. 554.
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Regesto biografico a cura di Raffaella Poltronieri
1480 Lorenzo Lotto nasce intorno a quest’anno, o poco dopo (si veda il saggio introduttivo), a Venezia, come si deduce dal testamento del 1546 in cui egli si definisce “Laurentio Loto pictor veneziano de circha anni 66” (si veda alla data 1546, 25 marzo). Nel primo documento che lo riguarda, del 1503 (si veda alla data 1503, 10 giugno), è detto “ser Laurentius Loto q. ser Thome de Venetiis”: il padre Tommaso è quindi già deceduto, mentre della madre non si ha alcuna informazione. Tommaso Lotto e il fratello sposarono due sorelle: Lorenzo aveva una cugina che sposò Giovan Paolo Armano, da cui nacque Mario Armano nel 1494 (Gullino 2018, p. 119). Nulla invece sappiamo della bottega in cui poté compiere il suo apprendistato. Nella prima gioventù sembra si sia recato nelle Marche, come si deduce da una lettera del 17 giugno 1506 (si veda alla data) scritta dai frati domenicani di Recanati al Comune per ottenere un contributo per il pagamento del polittico commissionato al Lotto, in cui si accenna a lavori giovanili dell’artista presenti nell’area di Recanati. Si dice infatti che l’opera da eseguire dovrà essere “de melioribus picturis que sint iste que inspiciuntur facte in iuventute vel potiut adolescentia sua” (Gianuizzi 1894 [Lorenzo Lotto], p. 39; F. Coltrinari, in Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, pp. 174-175, III.5). 1498, 16 marzo, Treviso È presente a Treviso un certo “m.° Lorenzo depentor” che fa da garante in favore del prete Gaspare da Rovarè (Liberali 1963, p. 69; Gargan 1980, p. 9, doc. 1). Poiché non sembrano attestati altri pittori di nome Lorenzo attivi in quel periodo in città, è stata avanzata plausibilmente l’ipotesi che tale pittore sia da identificare con Lorenzo Lotto. 1503, 10 giugno, Treviso “Ser Laurentio Loto quondam ser Thome de Venetiis, pictore Tarvisii” è testimone a un atto rogato a Treviso in casa del notaio Girolamo da Camporacoler nella contrada di Santa Maria Maggiore (Liberali 1963, p. 70; Gargan 1980, p. 9, doc. 2). 1503, 23 agosto, Treviso Insieme a Pier Maria Pennacchi stima la pala di Sant’Erasmo eseguita da Vincenzo dai Destri per la chiesa di San Michele a Treviso (Biscaro 1898 [Lorenzo Lotto], p. 152; Gargan 1980, pp. 9-10, doc. 3). Il fatto che nel documento venga definito “civis tarvisinus” fa pensare che egli si trovasse in città da almeno cinque anni, rendendo in questo modo
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ancora più probabile che il “m.° Lorenzo depentor” documentato in città il 16 marzo del 1498 (si veda alla data) sia da riconoscersi proprio in lui. 1503, 25 agosto, Treviso Presso lo studio del notaio Giovanni da Spilimbergo, “magister Petrus Maria a Penachiis et magister Laurentius Lotus, pictores, cives et habitatores Tarvisii” dichiarano di aver stimato il lavoro di Vincenzo dai Destri (si veda anche 1503, 23 agosto) complessivamente 40 ducati (Biscaro 1898 [Lorenzo Lotto], p. 152). 1503, 6 settembre, Treviso “Ser Laurentio Loto quondam ser Thome pictore Venetiis habitatore in presentiarum Tarvisii” testimonia in casa di Caterina di Giacomo da Camporacoler (sorella di Girolamo; cfr. documento del 10 giugno 1503), nella contrada di Santa Maria Maggiore (Bampo 1886, p. 171). 1503, 20 settembre La data “1503 adi 20 septembrio” è iscritta sul retro della Madonna col Bambino, san Pietro Martire e san Giovannino del Museo di Capodimonte a Napoli (I.2). 1503, 27 novembre, Venezia È a Venezia, dove testimonia al testamento di Andriana Gradenigo, vedova del patrizio Giorgio Duodo (Cecchetti 1887 [Saggio], p. 408; Gargan 1980, p. 11, doc. 5). 1503, 20 dicembre, Treviso Affitta per un anno a Treviso, presso la chiesa di San Giovanni del Tempio, un’abitazione di proprietà del priore Ludovico Marcello (Biscaro 1898 [Lorenzo Lotto], p. 152; Gargan 1980, p. 12, doc. 6). 1504, 24 febbraio, Treviso Nella casa del pittore in contrada San Giovanni del Tempio il notaio Girolamo da Camporacoler roga un atto relativo a una controversia tra Mastro Giacomo del fu Michele Farina da Caravaggio e Andrea del fu Matteo Poloni da Povegliano (Bampo 1886, p. 171; Gargan 1980, p. 12, doc. 8). 1504, 4 agosto, Treviso Nel Libro della Luminaria della Scuola del Santissimo viene annotato che Lorenzo offre 4 soldi. Da quest’anno fino al 1510 il pittore compare nei libri come confratello moroso nel pagamento della quota di iscrizione (Biscaro 1898 [Lorenzo Lotto], p. 152; Liberali 1963, p. 13).
1504, 25 novembre, Treviso Testimonia a un atto rogato dal notaio Nicolò Tempesta nell’abitazione del giurista Giovanni Antonio Aproino (Bampo 1886, p. 171). 1504, 7 dicembre, Treviso Nell’abitazione del giurista Pancrazio Pirrucchino assiste a un atto rogato dal notaio Giovanni Leonardo Berengo, assieme ai notai Nicolò Tempesta e Girolamo da Camporacoler (Biscaro 1898 [Lorenzo Lotto], p. 152; Gargan 1980, p. 13, doc. 9). 1504, 21 dicembre, Treviso Testimonia a un atto rogato dal notaio Nicolò Tempesta nell’abitazione dell’aromatario Bernardino Caligi, in cui sono nominati arbitri Giovanni Antonio Aproino e Gregorio da Spinea (Bampo 1886, p. 171; Gargan 1980, p. 13, doc. 10). 1505, 16 marzo, Treviso È testimone di un atto rogato da Nicolò Tempesta (Bampo 1886, p. 172). 1505, 7 aprile, Treviso Il notaio Nicolò Tempesta roga un atto nella casa del maestro Lorenzo Lotto “pictor celeberrimus”: sono presenti il domenicano Vincenzo Frizieri e i patrizi Andrea di Nicola Bragadin e Alvise di Francesco Miani (Bampo 1886, p. 172; Gargan 1980, p. 13, doc. 11). 1505, 1° luglio Esegue il ritratto del vescovo Bernardo de’ Rossi delle gallerie nazionali di Capodimonte (I.6), firmandone e datandone il coperto con una allegoria, oggi alla National Gallery di Washington (I.6), sulla quale fino al XIX secolo sul verso si leggeva la seguente iscrizione epigrafica, oggi scomparsa: bernardvs. rvbevs. / berceti. comes. pontif. tarvis. / aetat. ann. xxxvi. mense. x. d. v. / lavrentivs lottvs. p. cal. / ivl. m.d.v. (ossia “Bernardo Rossi / di Berceto, conte papale di Treviso / all’età di 36 anni, 10 mesi, 5 giorni / Lorenzo Lotto dipinse / 1° luglio 1505”). 1505, 26 luglio, Treviso “Ser Laurentio Loto” testimonia a un atto rogato dal notaio Nicolò Tempesta (Gargan 1980, p. 14, doc. 12). 1506 Firma e data LAVRENT. LOTVS / IVNIOR M.D.VI La Vergine in gloria tra i santi Antonio Abate e Ludovico da Tolosa nel duomo di Asolo (I.12). Una data letta da molti 1506
(e da alcuni invece 1500) compare sul San Girolamo del Louvre (I.11). 1506, 4 maggio, Treviso Su richiesta del pittore, il vescovo di Treviso Bernardo de’ Rossi ordina che sia risolta la vertenza nata in merito al pagamento della pala per la chiesa parrocchiale di Santa Cristina al Tiveron, che risulta già eseguita, “per eum depicta”, e valutata in questa occasione “ultra ducatos quadraginta” (I.5). La vertenza però si trascina negli anni successivi e si registrano pignoramenti fino alla fine del 1508 (Liberali 1963, p. 69). 1506, 17 giugno, Recanati È a Recanati per accordarsi in merito all’esecuzione del polittico da collocare nella chiesa di San Domenico (I.16). In questa data i Domenicani chiedono al Comune un contributo “pro cona magni pretii per magistrum L. Lotum Venetum construenda iuxta designum ostensum et de melioribus picturis que sint iste que inspiraciuntur facte in iuventute vel potitut in adulescentia sua”: il Comune delibera l’assegnazione di 100 fiorini da versarsi in tre rate (si veda alle date 1506, 20 giugno e 24 novembre; 1510, 10 agosto; 1511, 15 maggio) (Gianuizzi 1894 [Lorenzo Lotto], p. 39; Coltrinari 2009 [Ipotesi], pp. 48-49; F. Coltrinari, in Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, pp. 174-175, III.5). 1506, 20 giugno, Recanati Viene stipulato il contratto tra Lorenzo Lotto e i frati di San Domenico per l’esecuzione del Polittico di San Domenico (I.16), a rogito del notaio Pier Giorgio di Antonio. Il prezzo da corrispondere è fissato in 700 fiorini, di cui 100 vengono pagati dal Comune, mentre le spese di soggiorno per l’artista e un suo aiutante, definito famulo, sono a carico dei committenti (si veda alle date 1506, 17 giugno e 24 novembre; 1510, 10 agosto; 1511, 15 maggio) (Gianuizzi 1894 [Lorenzo Lotto], p. 36; Coltrinari 2009 [Ipotesi], pp. 51-52; F. Coltrinari, in Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, p. 175, III.6). 1506, 18 ottobre, Treviso In procinto di partire da Treviso per le Marche, con un atto rogato da Nicolò Tempesta lascia in pegno le suppellettili della sua abitazione al proprietario, Agostino Bon, del quale si dichiara debitore di 16 fiorini per le spese effettuate a favore dello stesso Lotto (di cui non precisa il nome) e del “magister” Domenico, suo discepolo, forse da identificare con Domenico Petengi. Il documento comprende l’inventario degli oggetti in questione (Bampo 1886, pp. 172-174; Gargan 1980, p. 16, doc. 14).
1506, 24 novembre, Recanati I frati di San Domenico chiedono e ottengono dal Comune di Recanati venticinque tavole da utilizzare “pro stantia in S. Domenico pro picture Cona”, che dunque non è ancora in lavorazione (si veda alle date 1506, 17 e 20 giugno; 1510, 10 agosto; 1511, 15 maggio) (Gianuizzi 1894 [Lorenzo Lotto], p. 37). 1507, 7 febbraio, Recanati Gli altaristi della chiesa di Santa Maria di Castelnuovo chiedono al Comune di Recanati un contributo di 100 fiorini per una “cona” da collocare nell’altare maggiore. Dovrebbe trattarsi della Trasfigurazione, oggi nel Museo di Recanati (I.20), che l’artista eseguirà dopo la permanenza a Roma, forse per via del continuo ritardare della somma promessa dal Comune di Recanati (si veda anche alle date 1507, 20 luglio; 1508, 17 febbraio; 1511, 12 settembre; 1516, 25 novembre) (Oldfield 1984 [Lorenzo Lotto, 1508-1513], p. 36; Mozzoni, Paoletti 1996, p. 200; Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 253). 1507, 10 luglio, Recanati “Magistro Laurentio pictore” compare come testimone di un pagamento che coinvolge Gaspare di Giannino da Recanati (Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 253). 1507, 20 luglio, Recanati Dichiara di aver ricevuto da Antonio Gionta da Recanati 25 ducati dei 100 fiorini pattuiti (si veda anche alle date 1507, 7 febbraio; 1508, 17 febbraio; 1511, 12 settembre) per la Trasfigurazione (I.20) da collocare nella chiesa di Santa Maria di Castelnuovo (Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 253). 1507, 27 luglio, Recanati Francesco di don Giovanni da Monte è in debito con Lotto di 17 fiorini che il pittore aveva anticipato a suo nome al “maestro che aveva fatto la figura di San Sebastiano” (si veda anche alla data 1508, 20 novembre) (Coltrinari 2018 [Quasi], pp. 65, 81 n. 25; Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 253). 1507, 22 settembre, Recanati È testimone di una compravendita tra Nicolò Tinti e Giovanni de Tongaris alla fiera di Recanati (Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 253). 1507, 4 ottobre, Recanati Un “magistro Laurentio”, forse identificabile con Lotto, è testimone di una vendita alla fiera di Recanati (Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 253).
1508 Firma e data LAVRENT. LOTVS MDVIII il Polittico di San Domenico a Recanati (I.16) e anche la Madonna col Bambino e i santi Ignazio (o Flaviano?) e Onofrio della Galleria Borghese di Roma (I.17).
curia con il quale si dispone il pagamento di 1598 ducati a vari artisti attivi in Vaticano: tra questi 100 ducati sono destinati a “Laurentio pictori pingenti in camera nostra” (Liberali 1963, p. 75; Frapiccini 2013 [L’età aurea], pp. 177-178, doc. CI).
1508, 17 febbraio, Recanati Riceve da Antonio Gionta da Recanati 50 fiorini per la Trasfigurazione (I.20) commissionata l’anno precedente (si veda alle date 1507, 7 febbraio e 20 luglio; 1511, 12 settembre; 1516, 25 novembre) (Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], pp. 253-254).
1509, 9 marzo, Roma Ricevuta di pagamento fatta a “magister Laurentiius Lottus de Treviso” relativa a 100 ducati avuti per “laborerii picturarum faciendarum in cameris, superioribus pape prope librariam superiorem” (Cavalcaselle, Crowe 1890, p. 11; Frapiccini 2013 [L’età aurea], pp. 178-180, doc. CVII). Le ipotesi avanzate sul pagamento riguardano il suo intervento sia nella Stanza di Eliodoro (Zocca 1953; Nesselrath 2004) sia nella Stanza della Segnatura (Nesselrath 2000; Nesselrath 2004) (V.26).
1508, aprile, Recanati Viene menzionato dall’umanista Nicolò Peranzone di Montecassiano, forse per valutare un dipinto di Johannes Hispanus (Trubbiani 2003, p. 221; Coltrinari 2018 [Quasi], pp. 67, 82 n. 37). 1508, 3 agosto, Treviso Il notaio Nicolò Tempesta, procuratore di Lorenzo Lotto, richiede un pignoramento a carico dei massari della chiesa di Santa Cristina e del prete Franchino, per un valore pari a un carro di vino, come saldo del debito verso il pittore (si veda anche alle date 1506, 4 maggio e 1508, 18 agosto) (Biscaro 1898 [Lorenzo Lotto], p. 153; Gargan 1980, p. 15, doc. 13.III). 1508, 18 agosto, Treviso Il notaio Nicolò Tempesta viene informato da Stefano da Feltre, nunzio del vicario del vescovo di Treviso, del buon esito del pignoramento richiesto a favore di Lorenzo Lotto (si veda anche alle date 1506, 4 maggio e 1508, 3 agosto) (Biscaro 1898 [Lorenzo Lotto], p. 153; Gargan 1980, p. 15, doc. 13.III). 1508, 20 novembre, Recanati Dichiara di aver ricevuto da Francesco di don Giovanni da Monte l’intero pagamento dovutogli per la figura di san Sebastiano (si veda alla data 1507, 27 luglio) (Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 254). 1508, 22 dicembre, Treviso Il notaio Nicolò Tempesta, procuratore di Lotto a Treviso, richiede un altro pignoramento a carico di Silvestro Cargnato da Santa Cristina e Girolamo dal Tivaron per il pagamento dovuto al pittore per la Pala di Santa Cristina (I.5) (si veda anche alle date 1506, 4 maggio; 1508, 3 e 18 agosto) (Liberali 1963, p. 72; Gargan 1980, p. 15, doc. 13.IV). 1509, 7 marzo, Roma Breve di papa Giulio II ai doganieri senesi di
1509, 18 settembre, Roma È documentato un pagamento di 50 ducati a Lorenzo Lotto per lavori eseguiti in Vaticano. Sul retro è riportata la scritta “Infirmatio D(omini), mei R(everendissi)mi” a firma di “Hieronimus Francisci de Senis”. Dato che questa scritta è d’altra mano rispetto al dispositivo di pagamento, si desume che, in un secondo momento, al Lotto sia stato annullato l’incarico nelle stanze papali. Il progetto generale delle decorazioni fu affidato a Raffaello, che il 4 ottobre 1509 fu nominato da Giulio II “scriptor brevium” (Cavalcaselle, Crowe 1890, p. 11; Mozzoni, Paoletti 1996, p. 200; Frapiccini 2013 [L’età aurea], pp. 182183, doc. CVII) 1510, 14 aprile, Recanati È testimone in un atto rogato dal notaio Antonio Angelelli per una vendita fatta dal mercante Agostino de Sinistri alla fiera di Recanati (Castellana 2009; Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 254). 1510, 10 agosto, Recanati Il padre domenicano Giovan Domenico rilascia a Lorenzo Cipriani di Recanati una quietanza per 80 fiorini versati da quest’ultimo a Lotto per il Polittico di San Domenico (I.16) (si veda alle date 1506, 17 e 20 giugno; 1506, 24 novembre; 1511, 15 maggio) (Zampetti 1969, p. 32; Mozzoni, Paoletti 1996, p. 200; Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 254). 1511, 15 maggio, Recanati Rilascia quietanza per il pagamento del Polittico di San Domenico (I.16) al priore del convento, frate Federico (si veda alle date 1506, 17 e 20 giugno, 24 novembre; 1510, 10 agosto) (Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 254).
1511, 12 settembre, Recanati Gli altaristi della chiesa di Santa Maria di Castelnuovo sollecitano il Comune di Recanati a versare i 100 fiorini promessi nel febbraio del 1507 per il pagamento della Trasfigurazione (I.20) commissionata a Lotto (si veda anche alle date 1507, 7 febbraio e 20 luglio; 1508, 17 febbraio) (Oldfield 1984 [Lorenzo Lotto, 15081513], pp. 36-37; Mozzoni, Paoletti 1996, p. 201; Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 254). 1511, 27 ottobre, Jesi Lotto stipula con la Compagnia del Buon Gesù il contratto per la Deposizione da collocarsi nella chiesa di San Floriano (I.21) a distanza di tre anni dalla rinuncia del pittore Luca Signorelli, che aveva ottenuto la commissione nel giugno del 1508. Il pagamento per la Deposizione prevedeva l’erogazione di 125 ducati da pagarsi in tre rate; tuttavia Lotto non intendeva dimorare a Jesi, visto che chiese di togliere dal contratto la clausola dell’obbligo di eseguire il dipinto in città (Chevalier Matthew 1988 [New Evidence], p. 697; Mozzoni, Paoletti 1996, p. 201; Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 254). 1512 Data iscritta sulla Deposizione di Jesi (I.21), commissionata dalla Compagnia del Buon Gesù della chiesa di San Floriano, nonché sulla Giuditta nella collezione BNL Gruppo BNP Paribas (I.23). Non si può escludere che entro l’anno si fosse già spostato in Lombardia, considerando che la Sacra Famiglia con angelo del Princeton University Museum (II.7), della cappella dei conti Tadini a Romano Lombardo, è datata al 1513. 1512, 30 aprile, Loreto Un “Magistrum laurentium venetum” è menzionato insieme a Franchino da Como, Giovanni e Bernardo da Arezzo nel testamento di Gian Cristoforo Romano come beneficiario di disegni e modelli in cera (Pidatella 2011, p. 92). 1512, 5 ottobre, Mantova La mensa vescovile di Mantova predispone un pagamento di 30 ducati a favore di Lotto, da consegnargli tramite Francesco da Negroponte, “per due quadri con figure” per Sigismondo Gonzaga (VI.5) (Brown 1991, pp. 51-52). 1513, 13 maggio, Bergamo Un “maestro Lorenzo pittore” riceve l’incarico di preparare disegni ispirati a “bellissimi episodi” della vita di santa Caterina Martire per la chiesa di Sant’Alessandro in Colonna, oggi perduti (VI.6) (Lumina 1977, p. 195; Petrò 2018, p. 148).
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1513, 15 maggio, Bergamo Si trova a Bergamo dove, su commissione di Alessandro Martinengo Colleoni, stipula con i Domenicani l’accordo per l’esecuzione di una grande pala per la chiesa dei Santi Stefano e Domenico, consegnata da Lotto nel 1516 e oggi sull’altare maggiore della chiesa dei Santi Bartolomeo e Stefano (I.33). Il compenso per l’opera è di 500 ducati, compresi i materiali e la carpenteria (Pasta 1775, pp. 111-112; Tassi 1793, I, pp. 117-118; Cortesi Bosco, Paganini 1983, pp. 243-249; Petrò 2018, pp. 140-142). 1515 Firma e data il San Girolamo in un paesaggio dell’Art Museum di Allentown (I.30) e il Ritratto di Giovanni Agostino e Nicolò Della Torre della National Gallery di Londra (I.31). 1516 Firma e data a Bergamo la Pala Martinengo ora nella chiesa di San Bartolomeo (I.33). Esegue uno stendardo per il Consorzio della Misericordia da collocare in Santa Maria Maggiore (VI.8). L’opera è andata perduta, ma conosciamo l’accordo scritto intercorso tra i padri e il pittore in cui si determinano soggetto e misure: “da una banda la figura della Madonna ed il Bambino sopra l’asinello e Sancto Iosepho inanzi, e dall’altra sia dipinta l’Assunzione della Madonna in trono con alcuni angioli e li Apostolo e qualche popolo arente, el campo del qual pennello sia largo di luce e pittura braccia doi de panno, ed alto braccia trei de panno…” (Tassi 1793, I, pp. 119-120). 1516, 11 ottobre, Bergamo Nel palazzo del Comune, con testimone il pittore Domenico Petengi, Lotto assume come garzone per sette anni il diciottenne Giorgio Rottoli di Calusco. Il giovane si impegnava a servirlo e seguirlo in qualunque spostamento; in cambio Lotto gli avrebbe insegnato a dipingere, fornendogli vitto e vestiario e, alla fine dei sette anni di apprendistato, gli avrebbe corrisposto un salario di dieci ducati d’oro. L’accordo viene sciolto anticipatamente il 18 ottobre 1519 (Cortesi Bosco 1982, pp. 10-11, nota 11; Petrò 2018, p. 142). 1516, 25 novembre, Recanati “Anto de Angelo de Jonta”, massaro della Confraternita di Santa Maria di Castelnuovo, chiede il rimborso di due pagamenti anticipati al Lotto per l’esecuzione della Trasfigurazione (I.20) oggi a Recanati, ovvero “fiorini quaranta e due simili fl. 42b”, versati in due rate da 21 fiorini (si veda alle date 1507, 7 febbraio e 20 luglio; 1508, 17 febbraio; 1511, 12 settembre) (Oldfield 1984 [Lorenzo Lotto, 1508-1513], p. 36; Mozzoni, Paoletti 1996, p. 201; Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 254). 1517 Firma e data la Susanna e i vecchioni degli Uffizi (I.35).
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1518 Firma e data la Madonna col Bambino e san Giovannino della Gemäldegalerie di Dresda (I.36). 1518, 17 luglio, Bergamo Con un atto notarile redatto nella casa di Benedetto Ghislandi, Lorenzo Lotto assume come garzone il quindicenne Marcantonio Cattaneo, impegnandosi a provvedere al suo mantenimento e alla sua formazione come pittore ricevendo dai fratelli del giovane 8 ducati all’anno; il ragazzo doveva restare al servizio dell’artista otto anni e seguirlo “in altri luoghi o città, sia nel territorio bergamasco sia in Italia o fuori Italia, e dalle parti della Gallia o della Germania”. In caso di rescissione del contratto da parte del giovane, al pittore sarebbe spettato un risarcimento di 200 ducati d’oro (Caversazzi 1940, pp. 123-126; cfr. Petrò 2018, p. 143). 1519, 26 febbraio, Bergamo In un atto notarile redatto in casa di Balsarino Angelini compare “Magistro Laurentio quondam Tomasij de Lotis pictore” come testimone di Bernardo Angelini (Petrò 1993, p. 13 nota 12). 1519, 18 ottobre, Bergamo Nella bottega di Lotto, situata nella vicinia di San Michele al Pozzo Bianco, alla presenza del pittore Francesco Bonetti in qualità di testimone, viene sciolto il contratto di apprendistato di Giorgio Rottoli firmato l’11 ottobre 1516 (Cortesi Bosco 1982, pp. 6, 10-11 n. 11). 1520, Bergamo La Misericordia Maggiore incarica Lotto di eseguire il perduto affresco raffigurante il Battesimo di Cristo per la propria cappella nella chiesa di San Francesco (VI.9). L’anno 1520 si desume dalla commissione dell’altare, realizzato da Andrea Zilioli (Petrò 1998, p. 90). 1520, 17 novembre, Bergamo È documentato nella casa dei Da Ponte, nella vicinia di Sant’Andrea (Petrò 2018, pp. 153, 159 n. 65). 1521 Firma e data le pale per le chiese di Santo Spirito (I.42) e di San Bernardino in Pignolo a Bergamo (I.41), nonché Elisabetta Rota medita sul Commiato di Cristo dalla Madre di Berlino (I.40). 1521, 24 maggio, Bergamo In un documento si ricorda la presenza di “magistro Laurentio Loto quondam Tomaxij pictore” nella casa di Domenico Tasso (Petrò 2018, p. 144). 1521, 22 luglio, Bergamo È menzionato in un documento relativo all’altare maggiore della chiesa di Santa Maria Maggiore di Bergamo e definito “pictorem famosissimum” (Tassi 1793, I, pp. 68-69).
1521, 26 luglio, Bergamo Un documento del Consorzio della Misericordia dichiara che a questa data Lotto aveva presentato diversi disegni per l’ancona dell’altare maggiore di Santa Maria Maggiore (VI.10) (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], pp. 135-136). 1521, 25 settembre, Bergamo Rilascia procura alle liti a Gianmaria Baldelli (Lettere 1968, p. 9). 1522 Firma e data la Madonna col Bambino e i santi Giovanni Battista e Caterina a Costa di Mezzate (I.44), la Santa Caterina d’Alessandria della National Gallery of Art di Washington (I.47) e il polittico per l’altare di San Giovanni Battista nella parrocchiale di Ponteranica (I.48). 1523, Bergamo Firma la Natività della National Gallery di Washington (I.50), le Nozze mistiche di santa Caterina, con un angelo, alla presenza di Nicolò Bonghi dell’Accademia Carrara di Bergamo (I.51) e il ritratto di Marsilio e Faustina Casotti del Prado (I.52), riconoscibile con il Ritratto di due sposi citato nell’elenco dei quadri posseduti da Giovanni Casotti di Bergamo compare: “El quadro de li retrati, cioè miss. Marsilio et la sposa sua con quel Cupidineto rispetto al contrafar quelli habiti di seta scufioti et collane, d 30...d 20” (Locatelli 1867, p. 463; Lettere 1968, pp. 8-10; Gentili, Ricciardi, Marcone 1988, p. 20). Probabilmente nel periodo di Quaresima, consegna la Deposizione di Cristo dalla croce (I.49) realizzata per la cappella della Scuola del Corpo di Cristo nella chiesa di Sant’Alessandro in Colonna, dove la vede Michiel alla fine del 1524 (Michiel 1521-1543 [ed. 1800, p. 48]; Cortesi Bosco 2002, p. 18; Lauber 2011, pp. 83-84).
cappella di San Benedetto nella cattedrale di San Vincenzo, per un compenso di 2 ducati. Il disegno non ci è pervenuto (Pinetti 1908, pp. 235-236). 1523, estate, Trescore Lascia Bergamo per dirigersi a Trescore con Francesco Bonetti per affrescare l’Oratorio Suardi su incarico dei cugini Battista e Maffeo (I.54) (Petrò 2017-2018 [Sulle tracce], pp. 327-331). 1523, 11 dicembre, Jesi Giunge da Bergamo per stipulare con la Confraternita di Santa Lucia il contratto per l’esecuzione di una tavola con predella raffigurante le storie di Santa Lucia (I.93) da collocare nella cappella della compagnia presso la chiesa dei Minori conventuali di San Floriano, la stessa per la quale aveva dipinto nel 1512 la Deposizione (I.21). Lotto si impegna a terminare il lavoro entro due anni (sarà consegnato in realtà nel 1532, come iscritto sul dipinto stesso), a farlo giungere a Jesi da Venezia via mare, sbarcando nella spiaggia di Case Bruciate (l’odierna Montemarciano) e a essere presente alla messa in opera del dipinto sopra l’altare. Il compenso pattuito ammonta a 220 ducati d’oro, il cui pagamento viene concordato in cinque rate: 50 alla stipula, 50 nel maggio del 1524, 35 a giugno, altri 35 a settembre e gli ultimi 50 alla consegna, fissata al dicembre del 1525. Per la riscossione Lotto nomina suoi procuratori i bergamaschi Balsarino e Giovanni Angelini, mercanti di panni attivi a Jesi (si veda anche alle date 1525, 22 aprile; 1527, 4 giugno; 1528, 20 novembre; all’anno 1530 e alla data 1531, 6 febbraio) (Annibaldi 1905, pp. 15-16; Annibaldi jr. 1980, pp. 149-150; Mozzoni, Paoletti 1996, p. 201; F. Coltrinari, in Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, pp. 183-184, n. V.6).
1523, 18 maggio, Bergamo Dal Liber Fabrice Chori risulta che la MIA aveva corrisposto a Lotto il compenso per un quadro e la sua profilatura per il coro di Santa Maria Maggiore in Bergamo (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 158).
1524 Data iscritta sugli affreschi dell’Oratorio Suardi a Trescore, raffiguranti Cristo vite ed episodi della vita di santa Barbara e altre sante (I.54) e sulle Nozze mistiche di santa Caterina della Galleria Nazionale a Roma (I.56), identificato con “el quadro per la camera di messer Marsilio” che compare nel conto di Giovanni Casotti (Locatelli 1867, p. 464).
1523, 22 giugno, Bergamo Disdice il contratto d’affitto per la propria abitazione presso San Michele al Pozzo Bianco a Bergamo, dichiarando di aver ricevuto in denaro la differenza tra il suo debito e il dipinto consegnato a Nicolò Bonghi raffigurante le Nozze mistiche di santa Caterina (I.51), valutato 60 ducati. L’accordo tra Lorenzo Lotto e Bonghi viene redatto in presenza di Battista Cucchi e Agostino Facheris (Michiel 1521-1543 [ed. 1800, p. 53]; Lettere 1968, p. 12; Lauber 2011, p. 106; Petrò 2018, p. 155).
1524, Bergamo Dall’elenco dei dipinti eseguiti dall’artista per Giovanni Casotti a Bergamo risultano opere non identificabili fra quelle note: un “Cristo morto in brazo alla madre”, una “Madonna […] con il figliolo […] san Juliano con el padre e madre morti e un san Jonbatista picolo […] santa Cattrina et el rettrato de misser Zoanino” e una “Madonna […] con il filiolo […] el retrato de misser Zan Maria cola sua putina Lucretia […] el retrato della sua consorte et la sua putina Isabeta” (VI.7) (Locatelli 1867, p. 464).
1523, 24 luglio, Bergamo Viene incaricato dal consiglio cittadino di eseguire un progetto di decorazione per la
1524, 12 marzo, Bergamo Stipula con il Consorzio della Misericordia il contratto per i disegni a più colori delle
tarsie del coro di Santa Maria Maggiore in Bergamo, alla cui realizzazione attenderà fino al 1532 (Le lettere 1998, p. 213). 1524, 4 aprile, Bergamo Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore è segnalato un pagamento a Lotto per un disegno per il coro raffigurante il Sacrificio di Caino e Abele (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], pp. 171-172). Lotto è presente come testimone alla stipula del contratto per la statua di san Giovanni Evangelista commissionata dai deputati di Santa Maria ai fratelli Giacomo e Galeazzo Cambi (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], pp. 143, 144). 1524, 6 maggio, Bergamo Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore compare un pagamento a Lotto per il disegno raffigurante l’Amasa ucciso da Ioab (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 182). 1524, 30 maggio, Bergamo Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore compare un pagamento a Lotto per il disegno di Susanna (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 182). 1524, 16 giugno, Bergamo Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore è annotato un pagamento a Lotto per tre disegni dei coperti del coro e si registra l’accordo per i disegni a chiaroscuro relativi a tutti i coperti delle tarsie (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 182). 1524, 17 giugno, Bergamo Lorenzo Lotto e Antonio Boselli vengono chiamati a valutare un dipinto di Andrea Previtali eseguito per la cappella di San Benedetto nella cattedrale di San Vincenzo e commissionatogli dal podestà Girolamo Barbarigo nel 1523 (Pinetti 1908, pp. 234-236). 1524, 27 giugno, Bergamo Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore viene annotato un pagamento a Lotto per due quadri del coro e la profilatura di altri due (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 182). 1524, 20 luglio, Bergamo Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore compare il pagamento a Lotto per i disegni del Sacrificio di Abramo e l’Ebbrezza di Noè, portati al consiglio il 18 luglio (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 182). 1524, 20 agosto, Bergamo Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore si ricorda il pagamento a Lotto per quattro disegni a chiaroscuro e il disegno dell’episodio raffigurante Giuseppe venduto dai suoi fratelli (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 182).
1524, 2 settembre, Bergamo Prima di una serie di lettere alla MIA di Bergamo, indirizzata al notaio Girolamo San Pellegrino. Lotto invia due disegni da lui realizzati per le tarsie del coro di Santa Maria Maggiore in Bergamo e due disegni avuti a modello da Giovan Francesco Capoferri, a sua volta ricevuti da Giovan Simone de Germanis; invia inoltre tre “imprese” per i coperti delle tarsie, specificando che si sarebbe avvalso del pittore Francesco Bonetti come messo per ricevere il dovuto pagamento. Informa, infine, che si sarebbe recato con Battista Suardi presso il giurista Giovanni Pietro da Ponte, per rendere omaggio al fratello defunto, Valerio da Ponte, mancato negli stessi giorni dell’architetto Andrea Zilioli (Lettere 1968, pp. 64-65).
affreschi raffiguranti le storie della Vergine di San Michele al Pozzo Bianco (I.60), quelli di San Giorgio a Credaro (I.61) e la Natività oggi a Siena (I.62).
1524, 4 ottobre, Bergamo Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore è annotato il pagamento a Lotto per i disegni del Sacrificio di Caino e Abele, il Sacrificio di Tubal e tre disegni a chiaroscuro, presentati al consiglio tramite Francesco Bonetti (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 182).
1525, 18 marzo, Bergamo Compare in un documento insieme al collaboratore Francesco Bonetti come testimone di un contratto tra Maffeo Suardi e Giovannino Borella (Petrò 1998, p. 99).
1524, 26 novembre, Bergamo Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore viene annotato il pagamento a Lotto per la profilatura di Giuseppe venduto dai suoi fratelli (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 183; Lettere 1968, p. 50). 1524-1525 circa, Bergamo Nel manoscritto conservato alla Biblioteca Marciana di Venezia (la cosiddetta Notizia d’opere di disegno nella prima metà del secolo XVI. Esistenti in Padova Cremona Milano Pavia Bergamo Crema e Venezia), Marcantonio Michiel annota di aver visto a Bergamo una serie di opere di Lotto, in un periodo probabilmente risalente al 15241525. Si tratta delle seguenti: la Deposizione di Cristo dalla croce in Sant’Alessandro in Colonna (I.49); le tarsie del coro in Santa Maria Maggiore, per cui l’artista aveva realizzato i disegni; la Pala Martinengo (I.33) e il Martirio di santa Caterina nella chiesa di San Domenico (VI.12); la Madonna col Bambino e santi nella chiesa di Santo Spirito (I.42); in San Bernardino in Pignolo la Madonna col Bambino e santi (I.41); in Santa Trinità la pala della Trinità (I.37); una Natività, una Pietà e un San Girolamo (VI.11) in casa di Domenico dal Cornello; due quadri non meglio specificati in casa Casotti; in casa Bonghi delle Nozze mistiche di santa Caterina (I.51) (Michiel 1521-1543 [ed. 1800, pp. 48-49, 5153, 62]; Der Anonimo 1888, pp. 62-68, 84; cfr. Lauber 2011). 1525 Tornato a Bergamo, alloggia presso la casa di Pasqualino Zanchi per 16 lire l’anno (Petrò 2018, p. 158). In questo periodo realizza gli
1525, 9 febbraio, Bergamo Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore viene computato il pagamento a Lotto per il disegno dell’Arca di Noè e dei Fratelli Maccabei (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 183). 1525, 16 marzo, Bergamo Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore viene annotato il pagamento a Lotto per quattro disegni a chiaroscuro (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 183).
1525, 23 marzo, Bergamo Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore viene ricordato il pagamento a Lotto per il disegno della Legge data a Mosè (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 183). 1525, 22 aprile, Jesi È nelle Marche per riscuotere dai priori della Confraternita di Santa Lucia di Jesi la seconda rata di 50 ducati relativa alla pala (I.93) commissionata l’11 dicembre 1523 (si veda anche alla data 1527, 4 giugno; 1528, 20 novembre; all’anno 1530 e alla data 1531, 6 febbraio) (Annibaldi jr 1980, p. 150; Mozzoni, Paoletti 1996, p. 202; Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 254). 1525, 10 maggio, Bergamo Fa parte di una commissione di artisti incaricata di valutare la statua di san Giovanni Evangelista realizzata dai fratelli Cambi per la chiesa di Santa Maria Maggiore (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 146). 1525, 20 giugno, Bergamo Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore compare il pagamento a Lotto per il disegno dell’Adorazione del serpente di bronzo, consegnato al consiglio dal pittore il giorno precedente (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 182; Lettere 1968, p. 50). 1525, 12 luglio, Bergamo Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore è annotato il pagamento a Lotto per il disegno raffigurante Giona, consegnato al consiglio tramite il garzone Antonio detto Tonio, famulo di Giovan Francesco da Lovere (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 183).
1525, 9 settembre, Bergamo Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore è annotato il pagamento a Lotto per i disegni di Amon violante Tamar e Amon ucciso da Absalon (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 183). 1525, 6 ottobre, Credaro Lettera a Girolamo Passi in cui Lotto lamenta controversie con Battista Suardi e Giovan Pietro da Ponte in merito al pagamento della profilatura delle tarsie e dei quadri grandi commissionati dal Consorzio della Misericordia di Bergamo. Il pittore chiede inoltre delucidazioni sulle Storie di san Donnino (VI.13) da affrescare nella cappella dedicata al santo su commissione del Consorzio di San Michele al Pozzo Bianco nell’omonima chiesa bergamasca, pregando di “infreschar il muro” prima del suo arrivo a Bergamo (Lettere 1968, pp. 66-67). 1525, 11 dicembre, Bergamo Riceve un pagamento della MIA, annotato anche nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore, per la profilatura di due quadri e due disegni in chiaroscuro (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 183). 1525, 15 dicembre, Bergamo Lascia Bergamo per dirigersi a Venezia (Le lettere 1998, p. 192). 1525, 20 dicembre, Venezia Si trova a Venezia e vive presso i Domenicani dei Santi Giovanni e Paolo, come afferma nella lettera alla MIA datata 7 febbraio 1526, in cui dice di esservi giunto proprio il 20 dicembre dell’anno precedente (Zampetti 1980 [Cronologia], p. 170; Cortesi Bosco 1987, II, p. 8). 1526 Firma e data la Madonna col Bambino e i santi Giuseppe e Girolamo per la chiesa di San Francesco al Monte a Jesi (I.69), il Cristo portacroce del Louvre (I.66) e il Domenicano dei Musei Civici di Treviso (I.67). 1526, 26 gennaio, Venezia Abita presso i Domenicani dei Santi Giovanni e Paolo, che il 26 gennaio stabiliscono “quod Laurentius cognomento Lotto habeat illam mansionem positam in dormitorio superiori, ut possit depingere” (E. Dezuanni, in Lorenzo Lotto 2011, p. 212). 1526, 7 febbraio, Venezia Lettera indirizzata al giureconsulto conte Trusardo de Calepio e ai presidenti della MIA di Bergamo in risposta a una comunicazione recapitata a Lotto da Francesco Zonca. Il pittore aggiorna i committenti sullo stato di realizzazione di due disegni per il coro, a cui stava lavorando dal 20 dicembre, lamentando ritardi nella ricezione della corrispondenza a causa di Zonca e dello scultore
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Bartolomeo Bergamasco (Lettere 1968, pp. 68-69; Cortesi Bosco 1987, II, p. 8). 1526, 16 marzo, Venezia Lettera indirizzata ai presidenti della MIA di Bergamo in cui informa dell’incontro avuto con Bernardo de Marin e Bartolomeo Bergamasco per il progetto dell’ancona di Santa Maria Maggiore (VI.10). Allega inoltre un disegno per il coro (Lettere 1968, pp. 70-71; Cortesi Bosco 1987, II, pp. 8-9). 1526, 20 marzo, Venezia, monastero dei Santi Giovanni e Paolo Lettera indirizzata ai presidenti della MIA di Bergamo in cui informa del suo incontro con Nicolò Besuzio, avvenuto per volere del Consorzio stesso, al fine di sollecitarlo nella realizzazione di un grande disegno per il coro (Lettere 1968, pp. 72-73; Cortesi Bosco 1987, II, p. 9). 1526, 24 maggio, Venezia Lettera del giureconsulto Nicolò Besuzio ai presidenti della MIA di Bergamo nella quale riferisce di aver fatto visita a Lotto a Venezia; suggerisce inoltre di spronare l’artista nell’invio dei disegni del coro, in quanto è impegnato in altre commissioni: “Li sono alguni opere de la Marcha che lo sollicitano” (Lettere 1962, p. 35). 1526, 20 giugno, Venezia Il giureconsulto Nicolò Besuzio informa la MIA di Bergamo di essere in contatto con Lorenzo Lotto e Bernardo de Marin (Lettere 1962, p. 35). 1526, 18 luglio, Venezia Lettera indirizzata al notaio Girolamo San Pellegrino in cui Lotto lo aggiorna dello stato dei lavori per i disegni del coro, menzionando l’incontro avuto con Nicolò Besuzio, a cui dice di aver consegnato tre quadri piccoli e uno grande raffigurante Davide e Golia. Per quest’ultimo raccomanda delle modifiche a cura di un pittore tra Andrea Previtali, Jacopino de’ Scipioni, Antonio Boselli, Francesco Bonetti e l’intagliatore Giovan Francesco Capoferri. Riferisce del suo trasferimento dal convento dei Santi Giovanni e Paolo presso una nuova abitazione a causa di alcune maldicenze diffuse da fra’ Damiano Zambelli e ricorda le controversie avute con il ministro del Consorzio Ludovico Rota (Lettere 1968, pp. 74-79; Cortesi Bosco 1987, II, pp. 9-10). 1526, 23 agosto, Venezia Lettera indirizzata al notaio della MIA di Bergamo, Girolamo San Pellegrino, in risposta alla comunicazione ricevuta il giorno 18 per mano di Francesco Bonetti, in cui il notaio avvisa Lotto della ricezione dei quattro disegni consegnati a Venezia a Nicolò Besuzio. Il pittore dice di essere al lavoro su altri tre quadri e chiede di ricevere il pagamento per i cinque quadri inviati da Venezia tramite
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Giovanni Antonio da Villa e Balsarino Angelini (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], pp. 183-184; Lettere 1968, pp. 80-81; Cortesi Bosco 1987, II, pp. 10-11). Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore compare un pagamento a Lotto per cinque quadri consegnati al consiglio tramite Nicolò Besuzio (Lettere 1968, p. 51). 1526, 18 ottobre, Venezia Lettera indirizzata al giureconsulto Ludovico Rota e ai presidenti della MIA di Bergamo in cui conferma di aver ricevuto tramite Balsarino Angelini il compenso richiesto per i cinque quadri già realizzati e di averne iniziato uno grande raffigurante la “submersione di Pharaon” e uno piccolo con “el sugeto di le cinque cità de Sodoma”. Ricorda inoltre di fare affidamento su Francesco Bonetti, come d’abitudine, per consegnargli i pagamenti pattuiti (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 184; Lettere 1968, pp. 82-83; Cortesi Bosco 1987, II, p. 11). 1527 Firma e data l’Assunzione della Vergine della chiesa parrocchiale di Celana (I.71), il Ritratto di Andrea Odoni della raccolta reale di Hampton Court (I.73) e il Vescovo Tommaso Negri del monastero delle Paludi a Spalato (I.72). 1527, 3 febbraio, Venezia Lettera indirizzata ai presidenti della MIA di Bergamo in cui conferma di aver ricevuto tramite Francesco Bonetti il compenso per i quadri consegnati. Richiede inoltre che vengano ritirati undici disegni di “imprese” presso “Vetor Cossa alla Testa de Lupo in bocha de Marzaria”, essendo in partenza per le Marche. Lamenta infine la mancanza di indicazioni per proseguire con la realizzazione dei disegni commissionati, in particolare la “istoria di Lot” e la “sumersione de Pharaone”, nonostante la richiesta del Consorzio di inviare urgentemente materiale a Bergamo (Lettere 1968, pp. 84-85; Cortesi Bosco 1987, II, p. 11). 1527, 18 febbraio, Venezia Lettera indirizzata ai presidenti della MIA di Bergamo in cui elenca gli undici disegni, già menzionati nella lettera del 3 febbraio, da ritirare presso “Vetor Cossa”: “dui pezi grandi, l’uno per il diluvio con l’archa di Noè, l’altro con la victoria de Davit contra Goliath; tertio como Davit fu lapidato et inziuriato da hebrei et lui perdonò, né volse che li suoi seguaci ne facesse alcun segno de vendeta; quarto como Archithophel se apicò et morse per dolor del consiglio men grato al suo signor; quinto, como Absalon persequitò et patre Davit et volse caciarlo del regno; sexto, como Davit pianse la morte de Absalon figliolo; septimo, le tavole de la leze date a Moyses; octavo, el serpente su la
colomna fabricato per Moyses; nono, Amon violante la sorela Tamar; x.mo, Absalon, che occide Amon fratello per vendicar el sopra de la violata Tamar; undecimo, Iona getato in mare et preda de la fortuna”. Il pittore, dopo essersi lamentato con il Consorzio per non aver più ricevuto istruzioni per la realizzazione dei quadri per il coro, indirizza a Giovan Francesco Capoferri una serie di indicazioni per lavorare sugli undici disegni inviati (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 183; Lettere 1968, pp. 86-89; Cortesi Bosco 1987, II, pp. 11-12). 1527, 22 febbraio, Venezia Annuncia ai presidenti della MIA di Bergamo di dover partire per le Marche: “dovendo io per alquanti di transferirmi in la Marcha per condur le opere mie finite et d’altre contrastare mercato, che non dimorarò troppo, fa che non posso fornirvi di altri disegni”. A oggi non abbiamo conferma che questo viaggio sia stato effettivamente compiuto. Il pittore avvisa il Consorzio di aver ricevuto con due mesi di ritardo la lettera con le indicazioni per eseguire i disegni del coro e di un errore avvenuto nella consegna della cassetta contenente i disegni per l’ancona dell’altare maggiore della chiesa di Santa Maria Maggiore (VI.10), recapitata allo stesso Lotto nella “Drapparia” anziché al committente Bernardo de Marin. Ricorda infine che sono ritirabili presso Vittor Cossa gli undici disegni delle “imprese” (Lettere 1968, pp. 90-91; Cortesi Bosco 1987, II, p. 12; Mozzoni, Paoletti 1996, p. 202). Lettera di Bernardo de Marin al giureconsulto bergamasco Ludovico Rota, in cui menziona una cassetta contenente scritti e disegni di Lorenzo Lotto (Lettere 1962, pp. 41, 271 nota 2). 1527, marzo, Bergamo Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore viene annotata la ricezione di undici disegni a chiaroscuro, accompagnati da una lettera di Lotto datata 18 febbraio, e il relativo compenso per il pittore (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 183). 1527, 9 maggio, Venezia Lettera indirizzata al notaio bergamasco Girolamo San Pellegrino in cui si rammarica del fatto che Francesco Capoferri voglia delegare la realizzazione degli undici coperti con le “imprese” all’allievo Angelo Ferri. Allega l’elenco di alcuni quadri realizzati di sua iniziativa, biasimando la mancata comunicazione con Girolamo Terzi in merito ai soggetti da rappresentare: “per uno de li quadri per li pilastri, seria al proposito quel Iosuè che firmò il sole, Submersion de Pharaone – per il quadro grande denant Iudit per 4 quadri piccoli – per un altro quadro grande, Iudicio de Salamon per un picolo, Hester per un altro picolo, Torre di Babilonia – per un pilastro, Helia ascendente in cielo – per un
pilastro”. Chiede, infine, che la profilatura dei quadri venga realizzata da lui o da Andrea Previtali, lamentando il dilungarsi della questione e la mancata restituzione dei cartoni (Lettere 1968, pp. 92-95; Cortesi Bosco 1987, II, p. 13). 1527, 4 giugno, Jesi I confratelli della Scuola di Santa Lucia, non avendo Lotto terminato il dipinto con le storie della santa, pubblicano il contratto, forse con l’intento di ricorrere in tribunale (si veda alle date 1523, 11 dicembre; 1525, 22 aprile; 1528, 20 novembre; all’anno 1530 e alla data 1531, 6 febbraio) (Annibaldi 1905, p. 17; Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 254). 1527, 15 luglio, Venezia In relazione alla realizzazione di quattro disegni per le tarsie del coro, Lotto scrive ai presidenti bergamaschi della MIA che “per mi penso non potrete essere serviti, perché mi è forza andar a far alcune opere in la Marcha, se non volesti mandarli de lì che non vi consiglieria et la mia andata serà a Dio piacendo ianti S. Bart.o. Al presente ho imbarchato alcune robe che mando inanti, cioè picture fate e prencipiate per quel loco, et per mantenir la mia fede e non perder certe imprese che ho mercato, mi bisogna andar lì…”. Non sappiamo se questo viaggio nelle Marche abbia qualche relazione con quello annunciato nella lettera del 20 febbraio (Lettere 1968, pp. 96-97; Cortesi Bosco 1987, II, p. 13; Mozzoni, Paoletti 1996, pp. 202-203). 1527, 22 luglio, Venezia Lettera indirizzata ai presidenti della MIA di Bergamo in cui ribadisce l’importanza di profilare i quadri inviati e l’intenzione di lasciare Venezia per altri impegni (Lettere 1968, pp. 98-99; Cortesi Bosco 1987, II, p. 14). 1527, 5 agosto, Venezia Lettera indirizzata ai presidenti della MIA di Bergamo in cui raccomanda di ingaggiare o un discepolo di Michelangelo (di cui non si precisa il nome) o Jacopo Sansovino in sostituzione di Bartolomeo Bergamasco per la realizzazione dell’ancona dell’altare maggiore di Santa Maria Maggiore commissionata da Bernardo de Marin (Lettere 1968, pp. 100101; Cortesi Bosco 1987, II, p. 14). 1527, 12 agosto, Venezia Lettera ai presidenti della MIA in cui informa di aver consegnato al messo Girolamo del Paiario il disegno raffigurante Ester e Assuero con il relativo coperto e di essere in procinto di terminarne altri due, ma di essere ancora in attesa di indicazioni per quelli che dovrebbero rappresentare Lot, Giuditta e Oloferne e la Sommersione del Faraone. Informa inoltre di aver deciso di rinviare il viaggio nelle Marche annunciato a luglio a causa della peste: “La mia andata in la Marcha, come scrissi, sta suspesa per le novità che su le parte sono in-
novate et per mia ventura. Ho mandato due palle finite con li soi ornamenti seu anchone li dì passati, per restarmi a fornire li vostri disegni et è astato per el meglio il restarmi; de le quali anchone non ho avuto nove di esse et non senza pensieri strani me ritrovo; non so che mi farò; lassarò guidarmi a messer Domenedio…”. (Lettere 1968, pp. 102-105; Cortesi Bosco 1987, II, pp. 14-15; Mozzoni, Paoletti 1996, p. 203; Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 254). 1527, 21 agosto, Bergamo Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore è annotato il pagamento a Lotto per il disegno della storia di Esther e per un disegno a chiaroscuro, consegnati tramite Girolamo del Paiario (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 183). 1527, 29 [agosto?], Venezia Il giureconsulto Nicolò Besuzio scrive al notaio della MIA di Bergamo, Girolamo San Pellegrino, per “accompagnare una lettera del Lotto del 12 agosto 1527” (Lettere 1962, pp. 49, 277 n. 1). 1527, 4 settembre, Venezia Lettera indirizzata ai presidenti della MIA di Bergamo in cui avvisa di aver ricevuto il pagamento tramite Marco Antonio Mozzi, al quale ha immediatamente consegnato altri tre quadri con i relativi coperti, rimanendo in attesa di altre istruzioni per i successivi disegni. Il pittore fa sapere di aver annullato temporaneamente il viaggio nelle Marche per il perdurare della peste: “su questo ne scrisse per avanti che io ero astrecto andar a lavorar in la Marcha… Ma tuto el mondo me disconseglia per la peste grande che è in tuto quelli paesi atiam suscitatione de tumulti e parte, per la qualcosa penso di restarmi a fornir quelle opere quei et per via di monsignor legato qui farmi far fede che le opere loro se lavorano fidelmente et sono in bonissimi termini che juste occasione de pericoli et disturbi me fano restar de andar li. Sicchè, Dio lodato del tuto, io me ne restarò…”. L’artista accenna nuovamente alla questione della profilatura dei quadri e alla realizzazione dell’ancona dell’altare maggiore (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 184; Cortesi Bosco 1987, II, pp. 15-16; Mozzoni, Paoletti 1996, p. 203). 1527, 6 settembre, Venezia Lettera del notaio Marco Antonio Mozzi indirizzata al notaio della MIA di Bergamo, Girolamo San Pellegrino, in cui avvisa di aver ricevuto da Lotto i disegni per il coro e che li avrebbe inviati quanto prima (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 183). 1527, 13 settembre, Venezia Lettera indirizzata ai presidenti della MIA di Bergamo in cui chiede delucidazioni in
merito al programma iconografico della decorazione del coro e cita di nuovo la questione dell’esecuzione dell’ancona dell’altare maggiore, menzionando Jacopo Sansovino (Lettere 1968, pp. 112-115; Cortesi Bosco, II, 1987, p. 16).
quadri grandi modificati con molta fatica, già annunciati nella lettera inviata alla MIA il 10 febbraio 1528, unitamente a delle tavole in grado di assicurarne una buona conservazione durate il trasporto (Lettere 1968, pp. 130-131; Cortesi Bosco 1987, II, p. 19).
1527, 16 settembre, Venezia Lettera indirizzata ai presidenti della MIA di Bergamo in cui chiede nuovamente chiarimenti sui quadri e sulle imprese destinati al coro. Li informa inoltre di una riunione tenuta nei giorni precedenti con Bartolomeo Bergamasco per il progetto dell’ancona dell’altare maggiore, che ha visto coinvolto anche Jacopo Sansovino, con lo scopo di raccomandarlo al Consorzio al posto di Bartolomeo Bergamasco (Lettere 1968, pp. 116-119; Cortesi Bosco 1987, II, p. 17). Lettera del notaio Marco Antonio Mozzi indirizzata al notaio della MIA di Bergamo, Girolamo San Pellegrino, in cui informa del mancato incontro tra Lotto e Sansovino (Lettere 1962, pp. 52, 282 nota 3).
1528, 9 marzo, Venezia Lettera indirizzata ai presidenti della MIA in cui torna sull’argomento dei cartoni modificati e consiglia di affidarsi a Francesco Bonetti per la consegna del denaro e l’acquisto del materiale richiesto nella lettera del 10 febbraio (Lettere 1968, pp. 132-133; Cortesi Bosco 1987, II, p. 19).
1527, 7 ottobre, Venezia Lettera indirizzata ai presidenti della MIA per aggiornarli in merito a un incontro con Jacopo Sansovino, alloggiato a Venezia con il romano Giovanni Gaddi, per discutere dell’incarico della realizzazione dell’ancona dell’altare maggiore, specificando la necessità dello scultore di visitare la chiesa per poter abbozzare un progetto (Lettere 1968, pp. 120123; Cortesi Bosco 1987, II, pp. 17-18). 1527, 29 ottobre, Venezia Lettera indirizzata ai presidenti della MIA in cui chiede di avere indicazioni sul numero e sulla collocazione dei quadri che deve eseguire per il coro, informando di essere impegnato nella realizzazione di tre quadri per i pilastri raffiguranti “la torre di Babilonia, la ruina de Sanson, Helia ascendente al cielo et per la quarta fatemi far la nota in scriptis el caso de Iosuè quando firmò el sole” (Lettere 1968, pp. 124-125; Cortesi Bosco 1987, II, p. 18). 1528, 10 febbraio, Venezia Lettera indirizzata ai presidenti della MIA in cui si scusa per il ritardo con cui invia i due disegni per il coro che gli erano stati riportati per essere modificati e per la mancata consegna dei disegni per i coperti. Avvisa inoltre del completamento dei quadri piccoli, pronti per essere consegnati in cambio del consueto pagamento in denaro o, in alternativa, in cambio di materiale da lavoro: “se in cunto de essi me voleti mandar b. 8 sarza negra dopia alta quatre 8 per mio uso et fustagno da rocha da fare uno zupone, al voler si scunterà et subito me sia mandato” (Lettere 1968, pp. 126-129; Cortesi Bosco 1987, II, pp. 18-19). 1528, 14 febbraio, Venezia Lettera indirizzata al notaio della MIA di Bergamo, Girolamo San Pellegrino, nella quale lo avvisa di aver inviato al Consorzio due
1528, 1° aprile, Venezia Compare come testimone insieme ad Alessandro Citolini alla stesura del testamento di Sebastiano Serlio in favore di Giulio Camillo (Olivato 1971). 1528, 20 novembre, Jesi La Compagnia di Santa Lucia decide di rompere i rapporti con Lotto e di assegnare a Giuliano Presutti, pittore di Fano, l’esecuzione della Pala di santa Lucia. Il nuovo accordo, però, viene sciolto quando Lotto comunica di aver già terminato la pala (I.93) (si veda anche alle date 1523, 11 dicembre; 1525, 22 aprile; 1527, 4 giugno; all’anno 1530 e alla data 1531, 6 febbraio) (Annibaldi 1900, p. 207). 1528, 21 novembre, Venezia Lettera indirizzata ai presidenti della MIA in cui dichiara di aver tenuto in sospeso il lavoro per il Consorzio a causa della situazione a Bergamo, colpita da “molte travaglie di guerra, fame et peste”, benché avesse già avviato i quadri da consegnare in previsione di un viaggio fuori dall’Italia (Lettere 1968, pp. 134-135; Cortesi Bosco 1987, II, p. 20). 1528, dicembre, Bergamo Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore è annotato un pagamento a Lotto per altri due disegni consegnati al consiglio tramite Angelo da Romanengo (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 182). 1528, 8 dicembre circa, Venezia Lettera indirizzata al pittore bresciano Alessandro Bonvicino detto il Moretto, con la richiesta di portare a termine la commissione avuta dalla MIA di Bergamo per il coro di Santa Maria Maggiore, essendo lui impegnato in altri lavori (Lettere 1968, pp. 136-137; Cortesi Bosco 1987, II, p. 20). Lettera indirizzata ai presidenti della MIA in cui riferisce delle grandi difficoltà a portare avanti il lavoro per il coro, esposte anche allo scultore Angelo Ferri in visita a Venezia. Ritorna inoltre sulla questione dell’ancona dell’altare maggiore, proponendo nuovamente Jacopo Sansovino in sostituzione di Bartolomeo Bergamasco, ormai deceduto; segnala inoltre la presenza di un “excellen-
tissimo et primo homo di Firenza, orefece cisellatore phamosso che per le turbolentie de la patria s’è venuto a riposso in Venetia” (Lettere 1968, pp. 138-141; Cortesi Bosco 1987, II, pp. 20-21). 1529 Secondo la testimonianza di Ridolfi (1648, I, p. 145) e Zanetti (1771, p. 208), firma e data il San Nicola in gloria con i santi Giovanni Battista e Lucia per Santa Maria dei Carmini a Venezia (I.76). 1529, 3 gennaio, Venezia Lettera indirizzata al notaio bergamasco Girolamo San Pellegrino in cui riferisce di aver ricevuto, dallo stesso San Pellegrino e da Angelo Ferri, informazioni discrepanti in merito al numero di disegni da realizzare per la MIA (Lettere 1968, pp. 142-143; Cortesi Bosco 1987, II, p. 21). 1529, 28 marzo, Venezia Lettera indirizzata a Girolamo San Pellegrino, notaio della MIA di Bergamo, in cui avverte di aver inviato tramite Nicolò Terzi due piccoli disegni raffiguranti una parte delle storie di Sansone, chiedendo di essere avvisato tempo prima della costituzione del coro. Da questa lettera si apprende inoltre della morte di Angelo Ferri, che solitamente si colloca al 19 aprile 1529 per la nota presente nel Liber Fabrice Chori, evidentemente errata essendo già morto a questa data (Lettere 1968, pp. 144-147; Cortesi Bosco 1987, II, p. 21). 1529, 11 giugno, Bergamo Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore è annotato un pagamento a Lotto per altri due disegni consegnati al consiglio tramite Nicolò Terzi (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 183). 1530, Venezia Firma e data l’Adorazione dei pastori (I.82) oggi in Pinacoteca Tosio Martinengo a Brescia. Tra gli iscritti alla fraglia dei pittori veneziani compare “Lorenzo Lotto figurer” (Favaro 1975, p. 140). Tramite due mercanti bergamaschi fiduciari del Lotto, Bazzarino e Giovanni Bazzari, l’artista avvisa la Confraternita di Santa Lucia che gli “jesini mandassero i denari ed avrebbero la Cona di S. Lucia” (I.93) (si veda anche alle date 1523, 11 dicembre; 1525, 22 aprile; 1527, 4 giugno; 1528, 20 novembre e 1531, 6 febbraio) (Annibaldi 1905, p. 18). 1530, 10 marzo, Venezia Lettera indirizzata ai presidenti della MIA, in cui lamenta la mancata restituzione dei disegni consegnati per il coro, concordata con i committenti, sollecitandone dunque la riconsegna; chiede inoltre che vengano ritirati i quadri finiti e che gli venga recapitato il denaro dovuto (Lettere 1968, pp. 148-149; Cortesi Bosco 1987, II, p. 22).
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1530, 15 maggio, Venezia Lettera indirizzata ai presidenti della MIA in cui informa di aver ricevuto la loro lettera tramite Francesco Corsetti, mentre si aspettava di trovare Francesco Capoferri con le tavole intarsiate per poterle profilare insieme. Attraverso Corsetti invia gli ultimi due disegni piccoli, raffiguranti le storie di Sansone, mentre ancora mancano otto quadri grandi per i pilastri. Ribadisce inoltre che vorrebbe terminare e consegnare al più presto gli ultimi disegni per potersi dedicare ad altri incarichi, escludendo la possibilità di recarsi a Bergamo per la profilatura delle tarsie (Lettere 1968, pp. 150-151; Cortesi Bosco 1987, II, p. 22). 1530, 13 giugno, Bergamo Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore è annotato un pagamento a Lotto per due disegni consegnati il 31 maggio al Consiglio tramite Francesco Corsetti (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 184). 1531 Firma e data il San Cristoforo e il San Sebastiano oggi alla Gemäldegalerie di Berlino (I.89) ma provenienti dalla chiesa di San Sebastiano di Castelplanio, in Vallesina (VI.172). Le due tele facevano parte di un polittico che raffigurava i Santi Sebastiano, Francesco di Assisi, Rocco, Giacomo e Cristoforo e la Madonna col Bambino, smembrato dopo il 1794, anno in cui fu visto nella chiesa dall’abate Colucci (1794, XXI, p. 47). 1531, 9 gennaio, Venezia Dona all’ospedale dei Derelitti tutti i mobili della propria casa, inventariati dal cassiere della struttura (Ellero 2011, p. 52). 1531, 25 gennaio, Venezia Lettera indirizzata ai presidenti della MIA di Bergamo in cui avvisa di aver ricevuto la loro missiva tramite Girolamo Bonghi, rallegrandosi dell’annunciata restituzione di tutti i disegni spediti a Bergamo e del posizionamento del coro in chiesa. Invia inoltre sei disegni per le “imprese” dei coperti, chiedendo come consegnare gli ultimi otto quadri per i pilastri ed elencando, infine, i venticinque disegni di cui aspetta la restituzione e i sei che aveva portato con sé al momento della partenza da Bergamo (Chiodi 1977, pp. 32-33). Lettera indirizzata a Girolamo San Pellegrino, notaio bergamasco della MIA, in cui ricorda le difficoltà e le controversie affrontate con i presidenti del Consorzio della Misericordia durante il periodo trascorso a Bergamo, chiedendo dunque di intercedere per lui presso il Consiglio. Chiede di riavere i quadri consegnati per il coro sistemati tra due tavole affinché non subiscano danni e di recapitarglieli tramite un messo di fiducia, oppure Girolamo Bonghi e Battista Cucchi detto Battista “da li Organi” (Cortesi Bosco 1987, II, pp. 18, 23-24).
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Lettera indirizzata a Battista Cucchi detto “da li Organi”, chirurgo bergamasco e organista di Santa Maria Maggiore, a cui Lotto chiede, in caso di un viaggio a Venezia, di portargli i disegni che il Consorzio gli deve restituire, oppure di assicurarsi che vengano inviati tramite un messo di fiducia e in un imballaggio appropriato (Cortesi Bosco 1987, II, p. 24). 1531, 6 febbraio, Jesi I confratelli della Compagnia di Santa Lucia decidono di vendere una casa di loro proprietà a un certo “Chierico di Rotoscio” per 130 fiorini e far fronte così alle richieste economiche di Lotto per l’ultimazione della Pala di santa Lucia (I.93) (si veda anche alle date 1523, 11 dicembre; 1525, 22 aprile; 1527, 4 giugno; 1528, 20 novembre e all’anno 1530) (Annibaldi 1905, pp. 18-19; Annibadi jr. 1980, pp. 150-151; Mozzoni, Paoletti 1996, p. 201; Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 254). 1531, 25 marzo, Venezia Scrive di suo pugno il suo primo testamento pervenutoci, chiuso con un sigillo raffigurante Giove seduto in trono. Il documento, consegnato al notaio Daniele Giordani, è firmato dai testimoni Gabriele Rinaldo e Giovan Battista Licinio e si conserva nell’Archivio di Stato di Venezia (Sezione Notarile, Testamenti in atti Daniele Giordani, busta 506, Alfabeto vecchio), corredato da un codicillo aggiunto da Lotto il 15 gennaio 1533 (si veda alla data). Nel documento compaiono disposizioni relative alla sepoltura del pittore e alla donazione dei suoi averi ai più bisognosi (Cortesi Bosco 1998). 1531, 29 settembre Fa parte di una commissione, insieme a Tiziano e Bonifacio de’ Pitati, istituita a Venezia dall’arte dei Depentori per amministrare un lascito di Vincenzo Catena (Favaro 1975, pp. 110-112). 1531, 17 ottobre, Venezia Lettera indirizzata ai presidenti della MIA di Bergamo in cui chiede nuovamente che gli vengano restituiti i disegni realizzati per il coro e che gli siano date istruzioni per l’esecuzione degli otto quadri grandi già iniziati e mostrati a diverse persone alle dipendenze del Consorzio, tra cui Alessandro Crotta (Lettere 1968, pp. 152-153; Cortesi Bosco 1987, II, pp. 24-25). 1531, 27 ottobre, Venezia Lettera indirizzata a Pietro Isabello detto Abano, ingegnere e architetto bergamasco, in risposta a una missiva ricevuta: viene accordata la collocazione temporanea presso l’abitazione di Isabello di tutti i disegni realizzati da Lotto per il coro di Santa Maria Maggiore prima di riaverli a Venezia, al fine di ricavarne qualche copia e poterli poi vendere allo stesso architetto per un prezzo da concordare. Dalla lettera si ricava l’informazione che il ritardo del Consorzio nella restituzione di
tali disegni era dovuto proprio alla richiesta di Pietro Isabello di poterli acquisire. Lotto lamenta infine il mancato accordo con i committenti per il sovrapprezzo richiesto per i disegni più grandi realizzati per le tarsie (Cortesi Bosco 1987, II, p. 25). 1531, 25 novembre, Venezia Lettera indirizzata ai presidenti della MIA di Bergamo che testimonia il persistente contatto con il Consiglio attraverso il pittore Agostino Facheris per la restituzione dei disegni (Lettere 1968, pp. 154-155; Cortesi Bosco 1987, II, p. 21). 1531, 11 dicembre, Bergamo Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore si dichiara di aver restituito a Lotto ventitré disegni realizzati per il coro, diciannove piccoli e quattro grandi, dopo averne già resi otto (Pinetti 1928 [Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore. IV], p. 184; Lettere 1968, p. 53). 1532 Firma e data la Pala di santa Lucia già nella chiesa di San Floriano a Jesi (I.93). Da contratto (si veda alla data 1523, 11 dicembre), l’artista doveva essere presente alla collocazione dell’opera sull’altare alla fine del 1532. Nello stesso anno Marcantonio Michiel vede a Venezia, “In casa de M. Andrea di Oddoni, in la camera di sopra”, il ritratto del collezionista (I.73), eseguito nel 1527 (Michiel 1521-1543 [ed. 1800, p. 62]; Der Anonimo 1888, p. 84). 1532, 15 gennaio, Venezia Lettera indirizzata ai presidenti della MIA di Bergamo in cui dichiara di aver ricevuto l’avviso dell’invio dei suoi disegni tramite Agostino Facheris, ma ricorda di dover ancora terminare otto quadri per i pilastri, iniziati da due anni ma mai terminati a causa delle mancate istruzioni da parte del Consorzio, specificando “che difficile mi sarà compirli”. Accenna inoltre alla commissione di una croce da parte del “R.ndo n. Aristotele”, forse Aristotele Zonca (Lettere 1968, pp. 156-157; Cortesi Bosco 1987, II, pp. 25-26). 1532, 6 marzo, Venezia Dal convento della Trinità Lotto scrive l’ultima lettera indirizzata ai dirigenti della MIA e al notaio Girolamo San Pellegrino, dalla quale risulta che i lavori per il coro di Santa Maria Maggiore sono terminati e che il pittore ha ricevuto in ritorno quasi tutti i cartoni. Lotto fa notare, infatti, che ne erano stati restituiti due in meno rispetto a quelli inviati (Lettere 1968, pp. 158-161; Cortesi Bosco 1987, II, p. 26). 1532, giugno Agostino Facheris riporta a Lotto gli ultimi disegni che la MIA doveva rendergli (Le lettere 1998, p. 212).
1532, 17 giugno, Bergamo Nel Liber Fabrice Chori di Santa Maria Maggiore e in un atto notarile steso da Girolamo San Pellegrino e firmato da Bernardino Rota, si specifica che tra i disegni da restituire a Lotto era stato trattenuto quello raffigurante Sansone e le volpi, affidato il 17 giugno ad Agostino Facheris per essere portato all’artista (Lettere 1968, p. 53). 1532, 29 agosto, Treviso Abita a Treviso, dove – nella casa dell’orefice Antonio Carpan – Giovanni dal Saon si dichiara suo debitore per due quadri, uno grande e uno più piccolo, raffiguranti “S. Girolamo”, due raffiguranti un “S. Cristoforo” e un “Inferno” (perduti o non riconosciuti) e infine una scultura del Laocoonte “cum filiis adiunctis” (cfr. VI.15) (Bampo 1886, p. 175). 1533 Firma e data la Sacra Famiglia con santa Caterina dell’Accademia Carrara di Bergamo (I.94). 1533, 15 gennaio, Venezia Scrive di suo pugno un codicillo relativo al testamento redatto il 25 marzo 1531 (si veda alla data), consegnandolo al notaio Daniele Giordani. Nel documento si apportano alcune modifiche alle disposizioni contenute nel testamento di due anni prima, con particolare attenzione alla giovane massaia Armellina. Lo scritto è corredato di un sigillo chiudilettera raffigurante una gru che si leva in volo (Cortesi Bosco 1998). 1533, 20 ottobre, Recanati Nomina Giuliano di Francesco Polini suo procuratore per la riscossione dei crediti, in particolare di 4 scudi dovutigli dal gioielliere veneto Pasquale, al quale aveva venduto un anello d’oro con un’agata e uno smeraldo (Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 254). 1534 Firma e data la Sacra Famiglia con i santi Anna e Girolamo degli Uffizi (I.98). 1534, 13 aprile, Ancona Viene chiamato, insieme a Stefano Regi, a valutare la qualità di uno stendardo realizzato per la Confraternita di Santa Maria del popolo di Ancona (Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 255). 1534, 24 ottobre, Ancona Nomina Giovanni dal Coro suo procuratore, autorizzato dunque a riscuotere denaro a suo nome e a vendere le sue opere (Mastrosanti 2011, p. 104; F. Coltrinari, in Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, pp. 187-188, n. VI.7). 1534, 20 novembre, Bergamo La Scuola del Corpo di Cristo della chiesa di Sant’Alessandro in Colonna commissiona a Lotto uno stendardo raffigurante gli Ange-
li che contemplano la Passione da un lato e Maria, Giuseppe e la Deposizione dall’altro (VI.16) (Petrò 2017-2018 [Sulle tracce], p. 309 e nota 12). 1535, Fermo Firma e data la pala raffigurante la Madonna in gloria con i santi Andrea e Girolamo per la chiesa di Sant’Agostino, oggi presso una collezione privata romana (I.101). 1535, Caldarola Durante Nobili, artista e primo allievo marchigiano del Lotto, firma e data la Madonna in gloria e i santi Cosma e Damiano per la chiesa di San Martino (III.7), eseguita secondo alcuni studiosi con la collaborazione del maestro (III.7) (P. Zampetti, in Lorenzo Lotto nelle Marche 1981, pp. 332-334; Paparello 2016, pp. 254- 257). 1535, 4 giugno, Bergamo È in debito di 8 soldi con il fattore vescovile di Scanzo per un prestito che risale alla sua partenza da Bergamo nel 1525 (Petrò 2018, p. 158). 1535, 1° luglio, Jesi Viene scelto dal Consiglio di credenza del comune di Jesi per realizzare una Vergine con i santi Settimio e Floriano per la cappella del palazzo dei Priori (Gianandrea 1877, p. 34; Mozzoni, Paoletti 1996, p. 204; Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 255; Coltrinari 2018 [Quasi], pp. 75-76). 1535, 4 agosto, Jesi Riceve un rimborso di 4 fiorini per essere “venuto ad far la capella” del palazzo dei Priori di Jesi commissionata il 1° luglio. L’opera venne iniziata da Lotto, ma già il 24 dello stesso mese l’incarico passò a Pompeo Morganti da Fano (Gianandrea 1877, p. 34; Annibaldi 1905, p. 23; Annibaldi jr 1980, p. 146; Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 255). 1538, 1° agosto, Ancona Stipula il contratto per la pala d’altare raffigurante la Madonna col Bambino e santi per la chiesa di Sant’Agostino con il committente Simone Pizoni, alla presenza dei testimoni Gerardo da Mondolfo, frate Pietro da Bompiano e Giovanni dal Coro, responsabile della carpenteria lignea (I.110). L’artista si impegna a terminare il quadro entro l’anno seguente per un compenso di 80 scudi d’oro, diviso in tre rate: 25 alla stipula, 25 a metà del lavoro e 30 alla consegna (Micaletti 1992, pp. 19-25; Coltrinari 2014, pp. 942-943; Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 255). 1538, 16 novembre, Ancona A questa data corrisponde la prima annotazione del Libro di spese, relativa alla commissione del ritratto di Giovanni Maria Pizoni, protonotario in Ancona. Non viene stabilito il compenso per l’opera, che il pittore valuta 25 ducati, e, pur consegnando 1 scudo d’oro in acconto
e un altro il 4 dicembre, Pizoni successivamente rifiuta il ritratto perché ritenuto troppo costoso. Lotto dunque trasforma il dipinto in un San Bartolomeo, per Lucco da riconoscere nel ritratto in collezione Koelliker (I.107), per regalarlo all’amico Bartolomeo Carpan (si veda alla data 1542, dicembre). L’artista, inoltre, decora per Pizoni un astuccio per pettini (Libro di spese diverse 2017, pp. 180-181). 1539 Firma e data la Madonna col Bambino, santi e Misteri del Rosario della chiesa di San Domenico a Cingoli (I.111). 1539, 18 aprile, Ancona Nomina suo procuratore l’allievo Ottavio di Giulio allo scopo di riscuotere il denaro dovutogli da frate Girolamo da Jesi per un’ancona realizzata per la chiesa di San Francesco a Jesi, probabilmente da identificarsi con la Visitazione conservata nella locale Pinacoteca Comunale (I.109) (F. Coltrinari, in Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, p. 188, VI.8). 1539, 14 ottobre, Macerata Invia una lettera “Alli magnifici Signori Antiani de la Cita de Cingoli” per sollecitare gli ultimi pagamenti relativi alla Madonna col Bambino, santi e Misteri del Rosario eseguita per la chiesa di San Domenico (I.111), e dunque già terminata (Aikema 1981), avendo l’artista il desiderio di rimpatriare. 1539, 13 novembre, Ancona Nomina suo procuratore Giovanni dal Coro (F. Coltrinari, in Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, p. 187, VI.7). 1540 Abita a Venezia dove la sua presenza è documentata dal 31 gennaio 1540 al 17 ottobre 1542. Dal 3 luglio 1540 al 17 ottobre 1542 è ospite del nipote Mario Armano, che aveva residenza presso le Procuratie Vecchie in piazza San Marco. Le spese per gli effetti personali del 1540 sono annotate nel Libro di spese diverse nella sezione “Spesa de cose apertinente a uso personale et vestire” dalla carta 200r (Libro di spese diverse 2017, p. 287; Gullino 2018, p. 126). 1540, 31 gennaio, Venezia Dichiara di aver contratto un debito di 120 scudi con il nipote Mario Armano (Libro di spese diverse 2017, p. 211). 1540, 10 marzo, Venezia Mario Armano riceve un prestito di 80 scudi da Lotto per pagare Giovan Battista Tristani (Libro di spese diverse 2017, p. 210). 1540, 3 luglio, Venezia Da questa data è ospite del nipote Mario Armano, in cambio di alcuni lavori, fino al 17 ottobre 1542, periodo durante il quale annota tutte le spese sostenute per la casa che lo ospita e per i nipoti (Libro di spese diverse 2017, pp. 211, 274-277).
1540, agosto, Venezia Giovanni Maria Giunta presta a Lotto 4 scudi d’oro (Libro di spese diverse 2017, p. 179). 1540, 4 agosto, Venezia Concorda con Gasparo Molin, procuratore di San Marco, l’affitto di due locali collocati in calle Sporca in San Matteo da utilizzare come studio a 11 ducati annui, da pagare in due rate (Libro di spese diverse 2017, p. 171; Gullino 2018, p. 128). 1540, settembre, Venezia Tra l’elenco delle spese sostenute durante la permanenza a casa di Mario Armano, annota di aver donato al nipote un quadro raffigurante una Venere, per cui ordina una cornice in legno del valore di 32 lire: il dipinto è stato talvolta riconosciuto nella Venere adornata dalle Grazie di collezione privata (I.58) o nell’esemplare del Metropolitan Museum di New York (I.64), ma probabilmente è da considerare disperso (VI.18) (Libro di spese diverse 2017, pp. 274-275). 1540, 7 settembre, Venezia Vincenzo Frizieri, mercante di stoffe a Rialto sotto l’insegna dell’Albero e governatore dell’ospedale dei Derelitti, presta al pittore 4 ducati (Libro di spese diverse 2017, p. 251). 1540, 17 settembre Riceve un prestito da Giovanni Maria Giunta di 8 ducati e 1 terzo (Libro di spese diverse 2017, p. 179). 1540, 19 settembre Giovanni Girolamo Grillo presta a Lotto 8 ducati e 1 terzo (Libro di spese diverse 2017, p. 179). 1540, 20 settembre Vincenzo Frizieri presta a Lotto 8 ducati e 1 terzo (Libro di spese diverse 2017, p. 251). 1540, 17 ottobre, Venezia Dona al nipote Mario Armano i ritratti di Martin Lutero e della moglie, “che misser Mario donò a Giovan Battista Tristani con li ornamenti dorati” (VI.19) (Libro di spese diverse 2017, p. 274; Gullino 2018, p. 127). 1540, 18 novembre, Venezia Paga la “luminaria de San Luca”, ossia una tassa sulle luminarie che gli iscritti alla corporazione dei pittori dovevano versare alla Scuola di San Luca (Libro di spese diverse 2017, p. 287). 1540, 22 novembre, Venezia Annota di dover pagare le cornici di una Lucrezia a mezza figura (opera perduta, VI.20) e del ritratto di Alvise Armano, oggi in collezione privata romana (I.114), menzionato anche in data 17 febbraio 1541 (Libro di spese diverse 2017, p. 287; Fontana 2007, p. 40). 1540, 8 dicembre, Venezia Tra le spese “Per l’arte” troviamo la prima
menzione relativa all’Elemosina di sant’Antonino (I.115) per la basilica dei Santi Giovanni e Paolo: “portar la pala del santo Antonino a la volta, schiodarlo e retirar la tella, sbare, chiodi, broche, spagi, colle e jessi”. Per accordi e consegna ai committenti si veda alle date 1542, marzo, 3, 14 e 22 aprile, 20 luglio, 16 ottobre; 1543, luglio; 1547, 19 settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 287). 1540, 10 dicembre, Venezia Regala alla nipote Lucrezia tre libri per la preparazione spirituale della ragazza: la Vita dei Santi Padri di Domenico Cavalca, il Salterio davitico per Ludovico da Ferrara, stampato a Venezia nel 1526, e l’Imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis (all’epoca ritenuto di Jean Gerson) (Libro di spese diverse 2017, pp. 274, 289, 388). 1541 Le spese per gli effetti personali dell’anno 1541 sono annotate nel Libro di spese diverse nella sezione “Spesa de cose apertinente a uso personale et vestire”, alla carta 200r (Libro di spese diverse 2017, p. 287). 1541, 8 febbraio, Venezia Paga 5 ducati e mezzo per l’affitto di sei mesi a Gasparo Molin (Libro di spese diverse 2017, pp. 170, 287). 1541, 15 febbraio, Venezia È in contatto con Sebastiano Serlio, come si deduce dalla nota “lacha de grana tolta da misser Sebastiano Serlio architeto bolognese per cunto de certo mio credito con luj, onze 6 a ducati uno l’onza ducati 6 val L37 s 4” (Libro di spese diverse 2017, p. 228). 1541, 17 febbraio, Venezia Annota di aver realizzato i ritratti dei nipoti Alvise (I.114), Armana e Moranda (questi ultimi dispersi, VI.21) durante il soggiorno presso Mario Armano. Ricorda inoltre l’esecuzione del ritratto di Alvise anche in data 1540, 22 novembre (Libro di spese diverse 2017, p. 275; Gullino 2018, p. 128). 1541, marzo, Venezia Deve 1 scudo d’oro al mercante di stoffe Vincenzo Frizieri (Libro di spese diverse 2017, p. 250). Compra da Vittore Rotta, drappiere e mercante di stoffe, del panno per un valore di 51 lire, di cui anticipa 3 scudi d’oro, pagando il resto in due rate, l’8 giugno e il 22 ottobre (Libro di spese diverse 2017, pp. 250-251). 1541, 4 marzo, Venezia Ricorda il conto aperto con Ottavio da Macerata, figlio del pittore Giulio Antolini. Lotto aveva infatti venduto alla madre di questi un quadro per 8 scudi d’oro (opera non identificata) e aveva anticipato il pagamento per alcuni paesaggi dipinti a olio da Gasparo fiammingo e alcune sculture in gesso di Naper. Ottavio doveva inoltre restituire a Lotto
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alcune opere realizzate dallo stesso, ovvero 8 teste a olio su carta, 3 disegni di teste e 8 di paesaggi, uno schizzo dell’allegoria della lussuria, un Presepio ad acquerello su carta rosa, “cioè de librj da oro n°2”, un modelletto in cera raffigurante un nudo femminile e uno con un cavallo in corsa. Menziona inoltre due cartoni dipinti a guazzo, grandi circa due braccia ciascuno, raffiguranti la Torre di Babilonia ed Elia sul carro (VI.22) (Libro di spese diverse 2017, pp. 278-279, 291; M. Falomir, in Lorenzo Lotto. Portraits 2018, p. 305 n. 36). 1541, aprile, Venezia Annota di dover portare un dipinto raffigurante Le Grazie e un altro con una Venere “alla volta”, cioè in bottega. L’identificazione delle due opere non è ancora chiara: la prima potrebbe essere la Venere adornata dalle Grazie in collezione privata (I.58), mentre la seconda, secondo Humfrey (1998, p. 139), potrebbe identificarsi con Venere e Cupido del Metropolitan Museum di New York (I.64). Come alla data del 18 novembre 1540, versa la tassa per la luminaria alla Scuola di San Luca (Libro di spese diverse 2017, p. 288). 1541, maggio, Venezia Annota di aver eseguito una Susanna per il nipote Mario Armano durante il periodo in cui fu suo ospite (opera dispersa, VI.24), per la quale viene già ordinata la cornice nel dicembre del 1540 e una “Madonna tramortita che feci voto dar alo spitale parturendo Armana in tempo per justificarla da le infamie non metto anche in cunto qual vale ducati 40”. L’opera è forse identificabile con lo Svenimento della Vergine durante il trasporto di Cristo al sepolcro conservato presso il Musée des Beaux-Arts di Strasburgo (I.118) (Libro di spese diverse 2017, pp. 275, 287, 289-290). 1541, 24 maggio, Venezia Annota le spese sostenute per il trasporto delle opere in occasione della “mostra de Sensa” nel giorno dell’Ascensione (Libro di spese diverse 2017, p. 288). 1541, 8 giugno, Venezia Paga altri 3 scudi d’oro a Vittore Rotta per la stoffa comprata a marzo (Libro di spese diverse 2017, p. 250). 1541, luglio, Venezia Marcantonio Giustiniani commissiona un piccolo ritratto a Lotto per 8 scudi d’oro, con la mediazione del pittore Pietro Bonazza (si veda alle date 1542, marzo e luglio; 1542, 28 luglio). L’opera, forse perduta, per alcuni è identificabile con il dipinto proveniente dalla collezione Giustiniani oggi a Berlino (I.100) (Libro di spese diverse 2017, p. 210). 1541, 14-15 luglio, Venezia Giovanni Girolamo Grillo e Vincenzo Frizieri, governatori dell’ospedale dei Derelitti, prestano a Lotto 13 scudi e mezzo d’oro, ricevendo come pegno diciassette cammei della sua personale
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collezione, consegnati a Giovanni Maria Giunta (Libro di spese diverse 2017, pp. 179, 251). 1541, 15 luglio, Venezia Lotto dà 40 scudi al nipote Mario Armano per coprire un debito con Giovan Battista Tristani (Libro di spese diverse 2017, p. 210). 1541, 12 agosto, Venezia Il pittore Gasparo fiammingo, che viene ospitato nello studio di Lotto gratuitamente, presta al pittore 6 scudi d’oro. Alla data 22 novembre 1540, tra le spese “Per l’arte”, Lotto ricorda di aver acquistato dei pigmenti da Gasparo “depentor in Cale de le Aque”, identificabile proprio con Gasparo fiammingo, per un totale di 24 lire. Lotto annota di avergli restituito il denaro in più volte, con saldo nel mese di ottobre del 1542. In data 1541, 4 marzo Lotto ricorda inoltre la vendita di alcuni dipinti del fiammingo (Libro di spese diverse 2017, pp. 170-171, 287). 1541, 13 agosto, Venezia Paga 5 ducati e mezzo d’affitto a Gasparo Molin (Libro di spese diverse 2017, pp. 170, 289). 1541, 16 agosto, Treviso Con l’orefice Antonio Carpan, tiene a battesimo a Treviso il figlio di Giovanni dal Saon, Rambaldo Simone (Liberali 1971, p. 142; Gargan 1980, p. 19, doc. 17). 1541, settembre, Venezia Marietta Novella, moglie del gioielliere Tommaso da Empoli, commissiona il proprio ritratto (opera dispersa, VI.29) anticipando al pittore 3 lire per tela e telaio, senza però concordare il compenso per l’opera finita (Libro di spese diverse 2017, p. 210). 1541, ottobre, Venezia Paga la tassa per le luminarie alla Scuola di San Luca (Libro di spese diverse 2017, p. 289; si veda anche alle date 18 novembre 1540 e aprile 1541). Dipinge una Madonna con due figure per il precettore del nipote Alvise (opera dispersa, VI.26) (Libro di spese diverse 2017, p. 275). 1541, 22 ottobre, Venezia Riceve da Vittore Rotta delle stoffe e salda il suo debito con 10 lire e 4 soldi (Libro di spese diverse 2017, pp. 250-251). 1541, dicembre, Venezia Gli viene richiesto di restaurare un dipinto in possesso di uno zio di Mario Armano, dietro un compenso di 2 ducati (Libro di spese diverse 2017, p. 275). 1541, inizio dicembre, Venezia Antonio Carpan fa un prestito a Lotto di 4 ducati, ovvero 24 lire e 6 soldi (Libro di spese diverse 2017, p. 117). 1541, 28 dicembre, Venezia Tre mercanti di vino bergamaschi, Antonio
Chagier de Gatti, Piero di Bernardo e Salvino de Zan Bon, commissionano una pala per la chiesa di Sedrina, ancora oggi in loco, firmata e datata (I.121). La tela, alta 9 piedi e larga 6, deve rappresentare cinque figure dipinte a olio, per una spesa di 50 scudi d’oro, di cui ne anticipano 12 (si veda anche alle date 1542, 4 febbraio, 13 maggio e 5 agosto) (Libro di spese diverse 2017, pp. 242, 243). 1542 Le spese per gli effetti personali dell’anno 1542 sono annotate nel Libro di spese diverse nella sezione “Spesa de cose apertinente a uso personale et vestire” alle carte 199r, 199v, 200r (Libro di spese diverse 2017, pp. 287-289). Redige a Treviso in casa dell’amico Giovanni dal Saon un testamento perduto, citato nel testamento del 25 marzo 1546 come documento decaduto al momento della stesura delle nuove volontà (Cecchetti 1887 [Testamento], p. 2; Gargan 1980, p. 23, doc. 23). 1542, gennaio, Venezia Dipinge una Madonna col Bambino e cinque angeli (I.137) per il gioielliere trevigiano Bartolomeo Carpan, valutata dal pittore 20 ducati. Alla stessa data annota di aver comprato presso l’orefice “un aneleto d’oro ligato in esso un diamantino et un robineto” da regalare alla nipote Laura (Libro di spese diverse 2017, pp. 128-129). Dipinge una Madonna con tre angeli per il nipote Mario Armano, che vuole regalare alla figlia Lucrezia in occasione della sua monacazione. Il dipinto è stato riconosciuto nella Madonna col Bambino e tre angeli conservata all’Hermitage di San Pietroburgo (I.119) (Libro di spese diverse 2017, pp. 275, 289). 1542, 21 gennaio, Venezia Lotto riceve da Marietta Novella 5 mocenigi per il suo ritratto commissionato nel settembre del 1541 (VI.29) (Libro di spese diverse 2017, p. 211). 1542, 30 gennaio, Venezia Paga a Vittore Lorenzo 2 scudi d’oro per la stoffa comprata il 22 ottobre 1541 (Libro di spese diverse 2017, p. 250). 1542, febbraio, Venezia Salda il debito di 16 lire e 16 soldi che aveva con Vittore Lorenzo per la stoffa comprata il 22 ottobre 1541 (Libro di spese diverse 2017, p. 250). 1542, 4 febbraio, Venezia Paga un certo Betin “per conzar la tella de la palla de quelli de Sedrina” (si veda alle date 1541, 28 dicembre; 1542, 13 maggio e 5 agosto) (Libro di spese diverse 2017, p. 289). 1542, 10 febbraio, Venezia Paga 5 ducati e mezzo per l’affitto dello studio a Gasparo Molin (Libro di spese diverse 2017, pp. 170, 289).
Jacopo Sansovino presta 10 ducati a Lotto (Libro di spese diverse 2017, p. 179). Sono già stati avviati i lavori per il perduto San Michele arcangelo che sconfigge Lucifero (VI.34) per la chiesa di San Lio; infatti tra le spese del pittore compare una somma “per el telar de San Michele, pala de San Lio, zoè tirar le telle, colle, jessi e imprimiture, chiodi e broche L 1 s 18” (si veda anche alle date 1542, marzo, 29 agosto, settembre, 17 ottobre; 1545, settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 289). 1542, 13 febbraio, Treviso Restituisce ad Antonio Carpan di Treviso 10 mocenigi, parte del prestito concessogli all’inizio di dicembre del 1541 (Libro di spese diverse 2017, pp. 115-116). 1542, 18 febbraio, Venezia Annota di dover restituire 10 ducati al nipote Enzo Agostino, effettivamente resi dal pittore tra aprile e luglio (Libro di spese diverse 2017, pp. 114-115). 1542, marzo, Venezia Consegna ai frati dei Santi Giovanni e Paolo l’Elemosina di sant’Antonino (I.115) per una somma di 125 ducati, suddivisi in 90 ducati in denaro e 35 trattenuti dai frati per dargli sepoltura nel loro convento. Gli accordi con i committenti dovevano essere già stati presi l’8 dicembre 1540, quando viene menzionata per la prima volta la pala (si veda anche alle date 1542, 28 marzo, 3, 14 e 22 aprile, 20 luglio, 16 ottobre; 1543, luglio; 1547, 19 settembre) (Libro di spese diverse 2017, pp. 180, 287). Marcantonio Giustiniani paga 5 scudi d’oro a Lotto per il ritratto commissionato nel luglio del 1541 (si veda alle date 1542, luglio e 28 luglio) (Libro di spese diverse 2017, p. 211). Deve consegnare a Marino dal Miel, pievano di San Lio, il San Michele arcangelo che sconfigge Lucifero (opera dispersa, VI.34), già menzionato in data 10 febbraio, il cui prezzo dovrà essere valutato da Giovanni Antonio dal Vasto (si veda anche alle date 1542, 29 agosto, settembre e 17 ottobre; 1545, settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 212; V. Punzi, in Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, pp. 239-240 n. IX.13). 1542, 2 marzo, Venezia Salda il debito contratto a inizio dicembre 1541 con Antonio Carpan consegnandogli 12 lire e 6 soldi (si veda anche alla data 1542, 13 febbraio) (Libro di spese diverse 2017, p. 116). 1542, 10 marzo, Venezia Annota la spesa sostenuta per “innervar el quadreto de Lucretia mia neza zoè quel de Maria Mater Gratie” (I.119) e “oro per le letere de la Susana del quadro de misser Mario, fogli 4” (VI.24) (Libro di spese diverse 2017, p. 289). 1542, 28 marzo, Venezia Riceve un pagamento di 23 ducati dai frati
della chiesa dei Santi Giovanni e Paolo per l’Elemosina di sant’Antonino (I.115) tramite i frati Girolamo e Agostino Malipiero (si veda anche alle date 1540, 8 dicembre; 1542, marzo, 3, 14 e 22 aprile, 20 luglio, 16 ottobre; 1543, luglio; 1547, 19 settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 181). 1542, 2 aprile, Venezia Dichiara di essere debitore nei confronti di Vincenzo Frizieri per 14 scudi d’oro (Libro di spese diverse 2017, p. 250). 1542, 3 aprile, Venezia Riceve un pagamento di 40 ducati per l’Elemosina di sant’Antonino (I.115), consegnatogli in Monte Nuovo dal falegname Benedetto Contarini che, per opera caritatevole, paga una parte del dipinto. Altri 40 vengono anticipati da Giovanni Giacomo Pilani, come comunicato a Trivisan, scrivano del deposito bancario di Monte Nuovo (si veda anche alle date 1540, 8 dicembre; 1542, marzo, 28 marzo, 14 e 22 aprile, 20 luglio, 16 ottobre; 1543, luglio; 1547, 19 settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 181). 1542, 14 aprile, Venezia Riceve 73 lire e 17 soldi da frate Girolamo Malipiero, “sindico del convento” dei Santi Giovanni e Paolo, per l’Elemosina di sant’Antonino (I.115) (si veda anche alle date 1540, 8 dicembre; 1542, marzo, 28 marzo, 3 e 22 aprile, 20 luglio, 16 ottobre; 1543, luglio; 1547, 19 settembre) (Libro di spese diverse 2017, 181). 1542, 16 aprile, Venezia Dipinge per il nipote Mario Armano un quadro da camera da letto raffigurante una Sacra Famiglia con san Giovannino e i magi (VI.31) da regalare a Domenico Pasqualigo insieme a Giovanni dal Canevo, per un totale di 20 ducati. Si segnala l’annotazione di una cornice per lo stesso nella sezione “Per l’arte” del Libro di spese alla data 29 dicembre 1540 (Libro di spese diverse 2017, p. 276). 1542, 22 aprile, Venezia Riceve un altro pagamento di 5 ducati e 11 soldi dai frati Girolamo e Agostino Malipiero per l’Elemosina di sant’Antonino (I.115) (si veda anche alle date 1540, 8 dicembre; 1542, marzo, 28 marzo, 3 e 14 aprile, 20 luglio, 16 ottobre; 1543, luglio; 1547, 19 settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 181). 1542, 25 aprile, Venezia Rende a Giovanni Maria Giunta 15 ducati avuti in prestito (Libro di spese diverse 2017, p. 178). 1542, 13 maggio, Venezia Frate Lorenzo da Bergamo commissiona a Lotto il proprio grande ritratto al naturale nelle sembianze di san Tommaso d’Aquino, oggi conservato al Walters Art Museum di Baltimora (I.123) (Libro di spese diverse 2017, p. 200).
I committenti della pala di Sedrina (si veda alle date 1541, 28 dicembre; 1542, 4 febbraio e 5 agosto) consegnano a Lotto un secondo pagamento di 18 scudi (Libro di spese diverse 2017, p. 243).
1542, 14 luglio, Venezia Annota di essere in debito con Vincenzo Frizieri di 13 scudi e mezzo d’oro e di aver dato in pegno i suoi cammei a Giovanni Maria Giunta (Libro di spese diverse 2017, p. 181).
1542, 14 maggio, Venezia Restituisce a Jacopo Sansovino 3 scudi d’oro, parte del debito contratto il 10 febbraio (Libro di spese diverse 2017, p. 178).
1542, 20 luglio, Venezia Lotto riscuote 40 ducati dai frati della chiesa dei Santi Giovanni e Paolo per l’Elemosina di sant’Antonino (I.115) presso il Monte Nuovo (si veda anche alle date 1540, 8 dicembre; 1542, marzo, 28 marzo, 3, 14 e 22 aprile, 20 luglio, 16 ottobre; 1543, luglio; 1547,19 settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 181). Deve a Vincenzo Frizieri il saldo del debito contratto, ovvero 66 lire e 5 soldi (Libro di spese diverse 2017, p. 250).
1542, 1° giugno, Venezia Lotto decide di trasferirsi a Treviso e lasciare la casa di Mario Armano, il quale gli deve 36 ducati (Libro di spese diverse 2017, pp. 212-213). 1542, 16 giugno, Venezia Concorda con Alvise Cataleno, mercante di Barletta inviato da don Matteo Grassi, la consegna di un polittico per la chiesa di Giovinazzo entro il Natale successivo, per un compenso di 30 ducati, nonostante il pittore la valuti il doppio. Alla stessa data annota il versamento dell’acconto di 10 ducati. Dell’opera si conserva oggi soltanto la tela centrale con San Felice in cattedra, custodita nella chiesa di San Domenico a Giovinazzo, Bari (I.122), mentre risultano dispersi i pannelli laterali con Sant’Antonio da Padova e San Nicola di Tolentino e la cimasa (VI.36) (si veda anche alle date 1542, 21 giugno, 31 luglio, 9, 24 e 30 agosto, 2 e 20 settembre, 9 ottobre; 1543, 1° gennaio) (Libro di spese diverse 2017, pp. 114-115, 290). 1542, 21 giugno, Venezia Concorda un pagamento di 6 ducati con l’intagliatore bergamasco Bartolomeo Bartoli per il polittico di Giovinazzo, versando un acconto di 2 ducati in presenza del doratore Bartolomeo detto Furlaneto e il saldo nel mese di luglio. Tra il materiale acquistato per il dipinto, Lotto annota nel luglio 1542: “braza 81⁄2 tella per li quadri de la pala de Juvenazo a soldi 81⁄2 el brazo, broche, cole, gessi et imprimiture per la dita pala, carte e colle da incolar drieto ditj quadrj” (si veda anche alle date 1542, 16 giugno, 31 luglio, 9, 24 e 30 agosto, 2 e 20 settembre, 9 ottobre; 1543, 1° gennaio) (Libro di spese diverse 2017, pp. 128, 290). 1542, luglio, Venezia Dipinge un crocifisso ligneo da regalare alla nipote monaca Lucrezia (opera dispersa, VI.32) (Libro di spese diverse 2017, pp. 276, 291). Paga il pittore Pietro Bonazza 8 marcelli d’argento per la mediazione con Marcantonio Giustiniani avvenuta nel luglio del 1541 (per l’opera si veda anche alle date 1542, marzo e 28 luglio) (Libro di spese diverse 2017, p. 290). 1542, 11 luglio, Venezia Giovanni Marcello, figlio del procuratore, consegna a Lotto tela, telaio e 12 lire per eseguire il ritratto del doge, opera mai portata a compimento (Libro di spese diverse 2017, p. 183).
1542, 24 luglio, Venezia Lotto è in debito con Giovanni Girolamo Grillo di 15 ducati (Libro di spese diverse 2017, p. 178). 1542, 28 luglio, Venezia Marcantonio Giustiniani salda con 3 scudi il pagamento dovuto per il ritratto (VI.36) (si veda anche alle date 1541, luglio; 1542, marzo e luglio) (Libro di spese diverse 2017, p. 211). 1542, 31 luglio, Venezia Alvise Cataleno versa altri 10 ducati a Lotto per la pala di Giovinazzo (per commissione e acconto si veda alla data 16 giugno 1542; si veda inoltre alle date 1542, 21 giugno, 9, 24 e 30 agosto, 2 e 20 settembre, 9 ottobre; 1543, 1° gennaio) (Libro di spese diverse 2017, p. 115). 1542, agosto, Venezia Lotto dichiara di avere speso 251 ducati dal 3 luglio 1540 all’agosto del 1542 mentre era ospite del nipote Mario Armano (Libro di spese diverse 2017, p. 210). 1542, 2 agosto, Venezia Paga 5 ducati e mezzo d’affitto a Gasparo Molin, ricordando che lo stesso giorno erano trascorsi due anni dall’accordo stipulato, per cui si veda alla data 4 agosto 1540 (Libro di spese diverse 2017, pp. 170, 291). Invia a Treviso due dipinti raffiguranti due episodi dell’Antico Testamento (VI.33), realizzati con i cartoni delle tarsie ideate per il coro della basilica bergamasca di Santa Maria Maggiore (Libro di spese diverse 2017, p. 291). 1542, 5 agosto, Venezia I committenti della pala di Sedrina (I.121) (si veda alle date 1541, 28 dicembre; 1542, 4 febbraio e 13 maggio) saldano il pagamento consegnando 20 scudi a Lotto, il quale termina l’opera quello stesso mese, annotando tra le spese il materiale per isolarne la parte posteriore: “per carta rial quinterno 1, colla de farina et mistura, et libre 1 olio de lin per il roverso de la pala de Sedrina” (Libro di spese diverse 2017, p. 243).
1542, 9 agosto, Venezia Paga 6 lire e 4 soldi un certo Nocente per la doratura della pala di Giovinazzo (si veda anche alle date 1542, 16 e 21 giugno, 31 luglio, 24 e 30 agosto, 2 e 20 settembre, 9 ottobre; 1543, 1° gennaio) (Libro di spese diverse 2017, p. 291). 1542, 10 agosto, Venezia Restituisce a Jacopo Sansovino 10 ducati per saldare il debito contratto il 10 febbraio (Libro di spese diverse 2017, p. 178). 1542, 24 agosto, Venezia Paga 24 scudi al doratore Nocente per l’oro utilizzato per la pala di Giovinazzo (si veda anche alle date 1542, 16 e 21 giugno, 31 luglio, 9 e 30 agosto, 2 e 20 settembre, 9 ottobre; 1543, 1° gennaio) (Libro di spese diverse 2017, p. 291). 1542, 29 agosto, Venezia Marino dal Miel paga a Lotto un acconto di 5 ducati per il dipinto commissionato (VI.34) (si veda alle date 1542, 10 febbraio, marzo, settembre e 17 ottobre; 1545, settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 213). 1542, 30 agosto, Venezia Paga 2 scudi d’oro al doratore Nocente per l’oro della pala di Giovinazzo (si veda anche alle date 1542, 16 e 21 giugno, 31 luglio, 9 e 24 agosto, 2 e 20 settembre, 9 ottobre; 1543, 1° gennaio) (Libro di spese diverse 2017, p. 291). 1542, settembre, Venezia Consegna a Marino dal Miel il dipinto commissionato raffigurante San Michele Arcangelo che sconfigge Lucifero (VI.34), pagatogli 20 ducati nel 1545 (si veda alle date 1542, 10 febbraio, marzo, 29 agosto e 17 ottobre; 1545, settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 212). 1542, 1° settembre, Venezia Nel Libro di spese diverse Lotto trascrive la dichiarazione del nipote Mario Armano in cui quest’ultimo afferma che il soggiorno del pittore nella sua casa sarebbe terminato in quello stesso giorno e che durante la sua permanenza non aveva dovuto versare alcun tipo di pagamento (Libro di spese diverse 2017, p. 276). 1542, 2 settembre, Venezia Dà un anticipo di 12 lire e 8 soldi al doratore Nocente, da scontare dal lavoro per la pala di Giovinazzo (si veda anche alle date 1542, 16 e 21 giugno, 31 luglio, 9, 24 e 30 agosto, 20 settembre, 9 ottobre; 1543, 1° gennaio) (Libro di spese diverse 2017, p. 291). Acquista del materiale “per zetar la storia del basso rilevo de la gloria del Cristo del Sansovino et de la fede et heresia tute tonde”, dagli studiosi identificato con un modello in stucco o in gesso del Cristo in gloria realizzato da Jacopo Sansovino in tre esemplari (Libro di spese diverse 2017, p. 409). L’ipotesi degli studiosi è che il pittore abbia inoltre costrui-
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to un altare per devozione privata con opere del Sansovino (Libro di spese diverse 2017, pp. 291, 409). 1542, 12 settembre, Venezia Non potendo eseguire l’opera commissionata, Lotto restituisce a Giovanni Marcello, tramite il suo garzone Bernardino, le 12 lire consegnategli l’11 luglio, con in aggiunta 2 lire per la tela e il telaio che gli aveva procurato (Libro di spese diverse 2017, p. 182). 1542, 20 settembre, Venezia Acquista oro, smalto e pigmenti per la pala di Giovinazzo (si veda anche alle date 1542, 16 e 21 giugno, 31 luglio, 9, 24 e 30 agosto, 2 settembre, 9 ottobre; 1543, 1° gennaio) (Libro di spese diverse 2017, p. 291). 1542, ottobre, Treviso Fioravante Avogadro commissiona a Lotto il proprio ritratto a mezzobusto, forse riconoscibile nell’opera oggi in collezione Cini a Venezia (I.124), pagato in tutto 4 ducati (si veda anche alle date 1543, 17 aprile e 16 settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 158). 1542, ottobre, Venezia Zaccaria da Bologna è in debito con Lotto di 13 scudi prestatigli tra il 1532 e il 1533 tramite Francesco Ognibene, cappellano dell’ospedale dei Santi Giovanni e Paolo; Lotto attende che questo denaro venga riscosso dal suo procuratore a Venezia, Filippo Riccio, zio di Bernardino, discepolo di Lotto e residente in casa di Piero Cappello (Libro di spese diverse 2017, p. 262). Alla presenza di Alessandro Spiera, pittore veneziano, Gasparo fiammingo riceve il saldo del debito contratto da Lotto in data 12 agosto 1541 (Libro di spese diverse 2017, pp. 170-171). 1542, 3/4 ottobre, Venezia Con il trasferimento a Treviso, stipula un nuovo contratto con Gasparo Molin che prevede l’affitto di un solo locale anziché due come deposito delle opere, che solo in parte vengono inviate a Treviso. La cifra stabilita è di 4 ducati all’anno da pagare in due rate, ovvero ogni sei mesi (Libro di spese diverse 2017, pp. 170-171, 292).
dani, notaio a Rialto. Riccio deve quindi riscuotere 9 ducati per la pala raffigurante l’Elemosina di sant’Antonino (I.115) e 13 scudi d’oro presso Zaccaria da Bologna (si veda anche alle date 1540, 8 dicembre; 1542, marzo, 28 marzo, 3, 14 e 22 aprile, 20 luglio, ottobre; 1543, luglio; 1547, 19 settembre) (Libro di spese diverse 2017, pp. 158, 180, 289). 1542, 17 ottobre, Venezia Marino dal Miel consegna a Lotto altri di 5 ducati per il dipinto commissionato a marzo e consegnato a settembre (VI.34) (si veda alle date 1542, 10 febbraio, marzo, 29 agosto e settembre; 1545, settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 213). 1542, 18 ottobre, Treviso Lascia Venezia per trasferirsi a Treviso dove, su consiglio dell’amico orefice Antonio Carpan e alla presenza dei suoi fratelli, Vittore e Bartolomeo, ma anche di Antonio dal Sarasin, Bernardo Bilioli, priore del convento di Santa Maria Maddalena a Treviso, e Giovanni dal Coro architetto, diventa ospite di Giovanni dal Saon. Come durante il soggiorno presso Mario Armano, Lotto annota tutte le spese sostenute presso la casa del suo ospite a partire dal 18 ottobre 1542 (Libro di spese diverse 2017, pp. 184-185, 279-285). 1542, 26 ottobre, Venezia Concede un prestito di 6 lire ad Alessandro Oliveiro, pittore bergamasco residente a Venezia, il quale lascia come pegno del pigmento azzurro oltremare che Lotto deposita presso il gioielliere Bartolomeo Carpan. Il pigmento viene restituito all’Oliviero nell’agosto del 1544, essendo quest’ultimo in difficoltà economica (Libro di spese diverse 2017, pp. 116-117). 1542, novembre, Venezia Esegue due teste di Cristo (opere disperse, VI.35) per Sisto de’ Medici, il priore del convento dei Santi Giovanni e Paolo, per le quali dichiara: “me feci aiutar a mastro Hieronimo Santa + [Croce]” (Libro di spese diverse 2017, p. 293).
1542, 9 ottobre, Venezia Acquista dell’oro e prosegue il processo di doratura della pala di Giovinazzo (si veda anche alle date 1542, 16 e 21 giugno, 31 luglio, 9, 24 e 30 agosto, 2 e 20 settembre; 1543, 1° gennaio) (Libro di spese diverse 2017, p. 292). Acquista tre stampe (Libro di spese diverse 2017, p. 292).
1542, 15 novembre, Treviso Francesco Giustiniani, podestà di Treviso, commissiona a Lotto il suo ritratto a mezzobusto (VI.37), per cui non viene stabilito un prezzo, ma che il pittore valuta tra 15 e 20 ducati. La cornice viene realizzata dal falegname Bernardino nel marzo del 1542 (per i pagamenti si veda alle date 1543, 13 febbraio, 2 marzo, 16 settembre) (Libro di spese diverse 2017, pp. 158, 293).
1542, 16 ottobre, Venezia Dovendo partire per Treviso, Lotto nomina suo procuratore il sacerdote Filippo Riccio, zio del suo garzone Bernardino e residente in casa di Pietro Cappello a Venezia, con atto ufficiale steso dal figlio di Daniele Gior-
1542, dicembre, Venezia Regala a Bartolomeo Carpan un San Bartolomeo apostolo, per Lucco (1994) da riconoscere nel dipinto oggi in collezione Koelliker (I.107), ricavato dal ritratto a olio del protonotario Giovan Maria Pizoni, il quale aveva
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rifiutato il quadro per il prezzo troppo alto il 16 novembre 1538 (Libro di spese diverse 2017, pp. 128, 313-314). Jacopo Sansovino presta a Lotto 5 ducati (Libro di spese diverse 2017, p. 179). 1542, inizio dicembre, Venezia Ricorda di essere andato a trovare il nipote Mario Armano a Venezia e averlo omaggiato con carne di vitello “e altre cossete” (Libro di spese diverse 2017, p. 277). 1543, Treviso Le spese effettuate nell’anno per gli effetti personali sono annotate nel Libro di spese diverse nella sezione “Spesa de cose apertinente a uso personale et vestire” alle carte 198v, 199r. Tra gli acquisti di particolare interesse si segnala un libro sulla vita dell’imperatore Marco Aurelio (Libro di spese diverse 2017, pp. 289-290). Deve eseguire il ritratto di Marcello Framberti, medico di origine mantovana, genero di Tommaso Foscolo. Per l’opera (VI.41) non viene pattuito il compenso, che Lotto stima comunque in 15 ducati (si veda anche alle date 1543, 14 dicembre e 1544, giugno) (Libro di spese diverse 2017, p. 212). 1543, 1° gennaio, Venezia Alvise Cataleno versa 10 ducati a Lotto a saldo della pala di Giovinazzo (si veda anche alle date 1542, 16 e 21 giugno, 31 luglio, 9, 24 e 30 agosto, 2 e 20 settembre, 9 ottobre) (Libro di spese diverse 2017, p. 115). 1543, febbraio, Treviso Liberale da Pinedel commissiona il proprio ritratto a Lorenzo Lotto, per molti identificabile con quello conservato presso la Pinacoteca di Brera (I.125). Tela, telaio e chiodi per il quadro compaiono tra gli acquisti del mese di marzo. Per i pagamenti si veda alla data 1543, giugno (Libro di spese diverse 2017, pp. 200, 293). 1543, 13 febbraio, Treviso Francesco Giustiniani effettua un primo pagamento di 15 mocenigi per il ritratto commissionato il 15 novembre 1542 (VI.37) (si veda anche alle date 1543, 2 marzo e 16 settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 159). 1543, 2 marzo, Treviso Francesco Giustiniani effettua un secondo pagamento di 15 mocenigi per il ritratto commissionato il 15 novembre 1542 (VI.37) (si veda anche alle date 1543, 13 febbraio e 16 settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 159). 1543, 30 marzo, Venezia Lotto paga 2 ducati d’affitto a Gasparo Molin (Libro di spese diverse 2017, p. 170). 1543, aprile, Venezia Restituisce a Jacopo Sansovino i 5 ducati avuti in prestito nel dicembre del 1542 (Libro di spese diverse 2017, p. 178).
Bartolomeo Ammannati, scultore di origine fiorentina che lavora con Sansovino a Venezia, procura a Lotto una copia del Bambino Gesù in gesso realizzato da Desiderio da Settignano nella chiesa fiorentina di San Lorenzo, per cui l’artista gli anticipa 3 lire a gennaio saldando la commissione con uno scudo d’oro con l’arrivo del gesso ad aprile (Libro di spese diverse 2017, pp. 210, 294). 1543, inizio aprile, Treviso Febo da Brescia e Laura da Pola commissionano a Lotto i propri ritratti grandi al naturale, oggi conservati a Milano nella Pinacoteca di Brera (I.126), consegnati nel maggio del 1544 e pagati al pittore tra il 19 aprile 1543 e il 2 giugno 1544 (Libro di spese diverse 2017, pp. 160-161). 1543, 17 aprile, Treviso Fioravante Avogadro paga il ritratto commissionato nell’ottobre del 1542 (cfr. I.124) 22 mocenigi, vale a dire 4 ducati e 34 soldi, benché Lotto lo valuti tra i 15 e i 20 ducati. La cornice viene realizzata da Bernardino nel mese di marzo (si veda anche alla data 1543, 16 settembre) (Libro di spese diverse 2017, pp. 158-159, 293). 1543, maggio, Treviso Lotto concorda con i massari della chiesa di Breda, presso Zosagna di Sopra, la consegna di una pala per l’altare del Sacramento (opera dispersa, VI.39) raffigurante “4 anzoli che dano l’incenso con alcuni cherubini de sopra”, per il cui prezzo si affida alla mediazione di Giovanni dal Saon. La cornice viene realizzata da Bernardino, ricordato tra i pagamenti dello stesso mese (si veda anche alle date 1543, 6 agosto e 10 ottobre) (Libro di spese diverse 2017, pp. 128, 293; Gullino 2018, p. 135, n. 41). 1543, fine maggio, Treviso Federico Priuli, patrizio veneziano, commissiona una tavola raffigurante il Trionfo di Cristo redentore, oggi al Kunsthistorisches di Vienna (I.128), rifiutata a metà dell’esecuzione per il mancato accordo sul prezzo (Libro di spese diverse 2017, p. 160). 1543, giugno, Treviso Tra le spese annotate durante la sua permanenza in casa di Giovanni dal Saon, compaiono “un cristallo da coprir el quadreto de l’Adultera meniato” (opera dispersa, VI.38) e alcuni lavori di ristrutturazione della casa con la collaborazione del falegname Bernardino (Libro di spese diverse 2017, pp. 281, 294). Liberale da Pinedel paga a Lotto il ritratto commissionato a febbraio (I.125): il 2 giugno effettua un primo pagamento di 24 lire e 16 soldi e il 21 giugno il secondo versamento di 37 lire e 4 soldi (Libro di spese diverse 2017, p. 201). 1543, luglio, Treviso Filippo Riccio consegna a Lotto tramite
Bartolomeo Carpan i 9 ducati riscossi per suo conto per l’Elemosina di sant’Antonino (I.115). Il pittore non riesce però a riavere i 13 scudi prestati a Zaccaria da Bologna, deceduto senza beni per saldare il debito (si veda anche alle date 1540, 8 dicembre; 1542, marzo, 28 marzo, 3, 14 e 22 aprile, 20 luglio, 16 ottobre; 1547, 19 settembre) (Libro di spese diverse 2017, pp. 159, 181, 263). Il gioielliere Bartolomeo Carpan consegna 9 ducati a nome di Lotto a Giovanni Maria Giunta alla presenza di Vincenzo Frizieri (Libro di spese diverse 2017, p. 178). 1543, agosto, Treviso Antonio Carpan concede un prestito a Lotto di 12 lire, saldato già l’11 settembre dello stesso anno (Libro di spese diverse 2017, pp. 116-117). Deve dipingere una pace da altare con l’Imago Pietatis (opera dispersa, VI.40) e ornamenti dorati per “li homini de la vila de Saleto” al prezzo pattuito di 2 ducati (si veda anche alla data 1543, 8 dicembre) (Libro di spese diverse 2017, pp. 242, 294). 1543, 6 agosto, Treviso Riceve 5 ducati come pagamento per la pala di Breda, sottolineando che il giusto prezzo per l’opera finita e i viaggi intrapresi sarebbe di 40 ducati. Due giorni dopo annota di aver ricevuto altri 10 ducati tramite Giovanni dal Saon (si veda anche alle date 1543, maggio e 10 ottobre) (Libro di spese diverse 2017, pp. 128-129). 1543, 16 settembre, Treviso Fa portare a casa propria i ritratti di Francesco Giustiniani, commissionato il 15 novembre 1542, e quello di Fioravante Avogadro, per mostrarli alla famiglia veneziana Vendramin (per le opere si veda anche alle date 1542, ottobre e 15 novembre; 1543, 13 febbraio, 2 marzo, 17 aprile) (Libro di spese diverse 2017, p. 295). 1543, 19 settembre, Treviso Invia a Venezia tramite Bartolomeo Carpan 2 ducati per pagare l’affitto a Gasparo Molin (Libro di spese diverse 2017, pp. 170, 295). 1543, ottobre, Venezia Vivendo a Treviso, Lotto decide di lasciare il suo studio veneziano al pittore Alvise Biondo, cognato di Carpan, il quale provvede da quel momento in poi a pagare l’affitto a Gasparo Molin (Libro di spese diverse 2017, p. 170). 1543, 10 ottobre, Treviso Riceve 5 ducati come saldo per la pala di Breda (si veda anche alle date 1543, maggio e 6 agosto) (Libro di spese diverse 2017, p. 129). 1543, novembre, Treviso Antonio Carpan concede un prestito a Lotto per l’acquisto di un olio per i dolori reumatici. Il
debito viene saldato il 16 dicembre dello stesso anno (Libro di spese diverse 2017, pp. 116-117). 1543, 8 dicembre, Treviso Lotto riceve un pagamento tramite Giovanni dal Saon per la pace commissionata da “homini de la vila de Saleto” nell’agosto dello stesso anno (VI.40) (Libro di spese diverse 2017, p. 243). 1543, 14 dicembre, Treviso Riceve 3 scudi d’oro e 5 mocenigi per il ritratto di Marcello Framberti (VI.41) (si veda anche alla data 1544, giugno) (Libro di spese diverse 2017, p. 213). 1544 Le spese per gli effetti personali acquistati durante l’anno sono annotate nel Libro di spese diverse nella sezione “Spesa de cose apertinente a uso personale et vestire” alla carta 198v (Libro di spese diverse 2017, p. 290). 1544, Treviso Riceve in prestito da frate Alvise di San Nicolò “una preda de marmo fino machiato per maxenar colorj et un corente lungo da colori grossj de piera viva de Istria” (Libro di spese diverse 2017, p. 119). Viene incaricato da frate Bernardo Bilioli da Vicenza di eseguire per la chiesa di Santa Maria Maddalena una pala raffigurante la Madonna di Loreto con i santi Sebastiano e Rocco (VI.42) (si veda alle date 1548, 9 gennaio e marzo) (Libro di spese diverse 2017, pp. 214-285; Caroli 1986). 1544, 8 gennaio, Treviso Lotto vende al podestà di Treviso Andrea Renier un quadretto con sant’Andrea (opera dispersa, VI.43) per una cifra simbolica di 4 ducati, ricevuti il giorno 29 dello stesso mese (Libro di spese diverse 2017, p. 114). 1544, 16 gennaio, Treviso Tra le spese “Per l’arte” compaiono otto telai per alcune storie dell’Antico Testamento (VI.44) (Libro di spese diverse 2017, p. 295). 1544, 31 gennaio, Treviso Lotto presta del denaro a Dionisio da Monopoli, esiliato dalla sua città e assoldato dalla Repubblica di Venezia (Libro di spese diverse 2017, p. 146). 1544, 22 febbraio, Treviso Dionisio da Monopoli restituisce a Lotto parte del denaro prestatogli il 31 gennaio (Libro di spese diverse 2017, p. 147). 1544, 28 febbraio, Treviso Ludovico Avolanti commissiona a Lotto il proprio ritratto, per cui non viene stabilito un compenso, ma che l’artista stima tra i 12 e i 15 ducati (VI.52) (si veda anche alle date 1544, 7 marzo, 5 aprile, 20 luglio, ottobre; 1545, 13 febbraio, 26 e 27 novembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 200).
1544, marzo, Treviso Lotto viene incaricato da Gian Giacomo Bonamigo di eseguirne il ritratto insieme al figlio, oggi conservato presso la John G. Johnson Collection del Museum of Art di Philadelphia (I.132), per 15 ducati (si veda anche alle date 1544, 7 e 30 maggio) (Libro di spese diverse 2017, p. 182). 1544, 7 marzo, Treviso Lotto riceve il primo pagamento di 5 mocenigi da Ludovico Avolanti per il ritratto commissionato il 28 febbraio (VI.52) (si veda anche alle date 1544, 5 aprile, 20 luglio, ottobre; 1545, 13 febbraio, 26 e 27 novembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 201). 1544, 13 marzo, Treviso A partire da questa data Lotto assume per due mesi come collaboratore il pittore Alvise Bianchini di Conegliano, da lui completamente spesato e retribuito con 2 ducati al mese (Libro di spese diverse 2017, pp. 118-119). 1544, aprile, Treviso Girolamo Mocenigo commissiona a Lotto un San Girolamo con il suo ritratto (opera dispersa, VI.61), inviandogli un acconto tramite il figlio Giovanni Paolo. La prima versione del dipinto, realizzata su invenzione del committente, non andò a buon fine, mentre la seconda, ideata dal pittore, venne venduta al Mocenigo per 10 ducati (si veda anche alle date 1544, 21 maggio; 1545, 24 marzo, 18 maggio e 22 giugno; 1547, 29 marzo) (Libro di spese diverse 2017, pp. 182-183). 1544, 1° aprile, Treviso Nicolò Da Mula commissiona a Lotto due dipinti: un San Girolamo e un San Giovanni Battista (VI.55), per cui riceve il 6 aprile tele, telai e un acconto di 10 mocenigi e mezzo, vale a dire 12 lire e 12 soldi (si veda anche alle date 1544, giugno, 25 giugno; 1545, 28 marzo, 19 luglio; 1546, 11 e 15 marzo, 6 novembre; 1547, 14 gennaio) (Libro di spese diverse 2017, p. 226). 1544, 5 aprile, Treviso Tramite Alvise Rover, riceve il secondo pagamento di 12 lire da Ludovico Avolanti per il ritratto commissionato il 28 febbraio (VI.52) (si veda anche alle date 1544, 7 marzo e 20 luglio, ottobre; 1545, 13 febbraio, 26 e 27 novembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 201). 1544, 6 aprile, Treviso Nicolò Da Mula fornisce a Lotto tela e telaio e un acconto di 12 lire e 12 soldi, vale a dire 10 mocenigi e mezzo, per i dipinti commissionati il 1° aprile (VI.55) (si veda anche alle date 1544, 25 giugno; 1545, 28 marzo, 19 luglio; 1546, 11 e 15 marzo, 6 novembre; 1547, 14 gennaio) (Libro di spese diverse 2017, p. 227). 1544, 10 aprile, Treviso È registrato il primo pagamento a Coriola-
no, lavorante nella bottega di Lotto che si occupava di preparare le tele sui telai (Libro di spese diverse 2017, p. 296). I pagamenti continuano nei mesi di maggio, giugno e dicembre. Nello stesso anno però Lotto annota di avere ricevuto da Natalina, vedova di Coriolano e comare di Lotto, un quadro iniziato dal marito raffigurante la Madonna e i santi Giuseppe e Caterina, tratto da un dipinto del maestro, da molti identificato con quello oggi a Houston (III.9). Lotto intende completare l’opera per venderla quando la ragazza avesse trovato un nuovo marito e poterle dare una sorta di dote (si veda alla data 27 febbraio 1548) (Libro di spese diverse 2017, p. 226). 1544, maggio, Venezia Invia a Giovanni Maria da Lignago, doratore con bottega a San Lio a Venezia, due quadri da vendere: una Natività (dispersa, VI.45) e un Battesimo di Cristo, oggi conservato nel Museo Pontificio della Santa Casa di Loreto (I.129), per 40 scudi ciascuno. Successivamente gli invia le copie dei due quadri precedenti, da vendere per 20 ducati l’uno ed effettivamente vendute a Messina (opere disperse, VI.45). Gli affida infine per la vendita un “quadretto de nostra Donna fato per istancia de fra’ Lorenzo da Bergamo”, stimato dall’artista 12 ducati (Libro di spese diverse 2017, p. 184). Consegna a Febo da Brescia i ritratti commissionati all’inizio del mese di aprile del 1543 (I.126). I dipinti, per i quali non era stato stabilito un prezzo, vengono pagati 30 ducati benché Lotto li ritenesse di un valore pari a 40 scudi d’oro (Libro di spese diverse 2017, pp. 160, 283). 1544, 7 maggio, Treviso Riceve il primo pagamento di 10 mocenigi per il doppio ritratto di Bonamigo (I.132), commissionato in marzo (si veda anche alle date 1544, marzo e 30 maggio) (Libro di spese diverse 2017, p. 183). 1544, 15 maggio, Venezia Interrompe il rapporto lavorativo stipulato con Alvise Bianchini di Conegliano il 13 marzo. Viene concordata tra i due pittori una cifra di liquidazione di 18 lire e 12 soldi (Libro di spese diverse 2017, p. 296). Annota le spese sostenute per il trasporto dei quadri da esporre alla fiera della “Sensa” nel giorno dell’Ascensione di Cristo, festeggiata nel mese di maggio (Libro di spese diverse 2017, p. 296). 1544, 21 maggio, Treviso Mocenigo invia a Lotto 2 ducati per il ritratto commissionato nell’aprile del 1544 (VI.61) (si veda anche alle date 1544, aprile; 1545, 24 marzo, 18 maggio, 22 giugno; 1547, 29 marzo) (Libro di spese diverse 2017, pp. 182-183). 1544, 30 maggio, Treviso Lotto riceve il secondo pagamento di 10 mocenigi per il doppio ritratto Bonamigo (I.132)
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(si veda anche alle date 1544, marzo e 7 maggio) (Libro di spese diverse 2017, p. 183). 1544, giugno, Treviso Nicolò Da Mula ordina a Lotto “doi altri tellari atorno li quadri per defesa et sarano anche a servir al’ornamento” per i quadri commissionati il 1° aprile (VI.55) (si veda anche alle date 1544, 6 aprile, 25 giugno; 1545, 28 marzo, 19 luglio; 1546, 11 e 15 marzo, 6 novembre; 1547, 14 gennaio) (Libro di spese diverse 2017, p. 226). Tra le spese sostenute durante il soggiorno presso Giovanni dal Saon compare “un quadreto del Signor alla oratione al’orto con l’ornamento dato a le monache de Santa Chiara, qual valer tra doi cari amicj ducati 8” (opera dispersa, VI.46) (Libro di spese diverse 2017, p. 284). Fra’ Lorenzo da Bergamo commissiona a Lotto un dipinto raffigurante la testa della Vergine, senza Bambino (opera dispersa, VI.49), che gli verrà consegnato nell’agosto dello stesso anno (Libro di spese diverse 2017, p. 200). Tra i lavoranti a bottega da Lotto compare Domenico da Ceneda, assunto per un mese con un salario di 4 ducati (Libro di spese diverse 2017, p. 296). Consegna alla moglie di Marcello Framberti il ritratto del marito riparato, affidatogli nel dicembre del 1543 (VI.41) (Libro di spese diverse 2017, p. 212). 1544, 25 giugno, Treviso Nicolò Da Mula invia a Lotto 4 ducati tramite il cognato Andrea Renier, podestà di Treviso, per i dipinti commissionati il 1° aprile (VI.55) (si veda anche alle date 1544, 6 aprile, giugno; 1545, 28 marzo, 19 luglio; 1546, 11 e 15 marzo, 6 novembre; 1547, 14 gennaio) (Libro di spese diverse 2017, p. 227). 1544, luglio, Treviso Bonifacio della Croce porta a Lotto una miniatura di Francesco dal Ligname di Treviso da restaurare (Libro di spese diverse 2017, pp. 128-129). 1544, 20 luglio, Treviso Lotto riceve il terzo pagamento di 12 lire da Ludovico Avolanti per il ritratto commissionato il 28 febbraio (VI.52) (si veda anche alle date 1544, 7 marzo, 5 aprile e ottobre; 1545, 13 febbraio, 26 e 27 novembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 201). 1544, 29 luglio, Treviso Consegna ad Alvise Verzi il Trionfo di Cristo rifiutato da Federico Priuli (I.128), per il quale invece deve dipingere una nuova tavola, simile a quella rifiutata, ma di valore economico inferiore (si veda anche alla data 1543, fine maggio) (Libro di spese diverse 2017, pp. 161, 296). 1544, agosto, Treviso Lotto rende a Francesco dal Ligname la mi-
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niatura fiamminga consegnatagli per essere restaurata, lavoro che il maestro valuta 2 scudi d’oro (Libro di spese diverse 2017, p. 160). Lotto invia a fra’ Lorenzo da Bergamo il dipinto commissionato in giugno (VI.49), per cui riceve alcuni beni materiali ma non i 15 scudi richiesti (Libro di spese diverse 2017, p. 201). Dipinge “una santa de legno de relievo” per Tommaso Berengo (opera dispersa, VI.48) (Libro di spese diverse 2017, p. 284). 1544, ottobre, Treviso Invia a Venezia il ritratto di Ludovico Avolanti (VI.52), nonostante manchino ancora 10 ducati per completare il pagamento dovuto. Inoltre elabora per lui la “invention de una impresa de medaia a far su la beretta el disegno colorato” e “un’altra impresa sul paese nel quadro del suo retrato lui in mare con Cupido”. Annota di essere ancora in debito con il falegname Giuseppe per il materiale fornitogli per il ritratto (si veda anche alle date 1544, 28 febbraio, 7 marzo, 5 aprile, 20 luglio; 1545, 13 febbraio, 26 e 27 novembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 200). Fra’ Lorenzo da Bergamo commissiona un dipinto raffigurante la Vergine (VI.50) (Libro di spese diverse 2017, p. 201) 1544, 11 ottobre, Valdobbiadene Viene chiamato insieme a Giovan Paolo da Onigo a valutare l’Assunzione della Vergine di Francesco Beccaruzzi per l’altar maggiore del duomo di Valdobbiadene. Il compenso totale pattuito è di 10 ducati, di cui 4 destinati a Lotto, che li riceve il 12 dicembre. Della perizia rimangono sia il documento ufficiale sia le annotazioni di Lotto in data 10 dicembre 1544 (Libro di spese diverse 2017, p. 250; Federici 1803, II, pp. 33-35; Zampetti 1969, pp. 298-300; Caroli 1980, pp. 311-312). 1544, 24 ottobre, Treviso Fra’ Lorenzo da Bergamo invia a Lotto una tela per realizzare un’altra Vergine senza Bambino (opera dispersa, VI.50) insieme a 1 scudo d’oro tramite Bartolomeo Carpan (si veda la prima commissione alle date 1544, giugno e agosto) (Libro di spese diverse 2017, p. 201). 1544, novembre, Treviso Tra le spese sostenute in casa di Giovanni dal Saon, annota “l’ornamento del legname per el Cricifisseto de ligname a mastro Josep, mocenigi 2; el telero de rame per coprir el crucefiseto sopradito; el velo sotil et cordela per dito telareto; cartoni per el dito crucifisseto da far il timpano; la doratura dela cassa del dito crocifisseto e iustar l’orloio da sabion”. Si tratta del Cristo crocifisso con i simboli della Passione della collezione Berenson (I.130) (Libro di spese diverse 2017, pp. 284, 296). 1544, dicembre, Venezia Il gioielliere Lauro Orso, allievo di Bartolomeo Carpan, porta a Messina due quadri di Lorenzo Lotto, una Natività e un Battesimo di Cristo, da vendere per 40 scudi (opere disperse, VI.45) (Libro di spese diverse 2017, p. 202).
1545 Le spese per gli effetti personali sono annotate nel Libro di spese diverse nella sezione “Spesa de cose apertinente a uso personale et vestire” alla carta 198v (Libro di spese diverse 2017, p. 290). 1545, gennaio, Treviso Viene pagato 1 lira e 16 soldi dalla moglie di Marcello Framberti per la riparazione fatta al ritratto del consorte (VI.41) (Libro di spese diverse 2017, p. 213). Annota le spese sostenute per aver inviato a Venezia la Vergine commissionata da fra’ Lorenzo da Bergamo (VI.50) (per cui si veda alla data 1544, giugno) (Libro di spese diverse 2017, p. 296). Deve eseguire il ritratto di Tommaso Costanzo in armi grande al naturale (opera dispersa, VI.69) per un compenso di 10 scudi, ritenuti però insufficienti dall’artista (si veda anche la data 1545, 22 febbraio) (Libro di spese diverse 2017, p. 246). 1545, 12 gennaio, Treviso Lotto presta 6 lire a Bartolomeo dal Gallo di Murano, abitante in Treviso, consegnando la somma al padre Andrea. Altri prestiti a suo favore sono registrati tra il 15 gennaio e il 30 giugno come aiuto in un periodo di infermità (Libro di spese diverse 2017, pp. 128-130). Dionisio da Monopoli invia a Lotto, tramite “la sua donna Bernardina”, il resto del denaro prestatogli dal pittore nel gennaio del 1544 (Libro di spese diverse 2017, p. 147). 1545, 30 gennaio, Treviso Tiene a battesimo con Antonio Carpan il figlio di Giovanni dal Saon, Giovanni Francesco (Liberali 1971, p. 142; Gargan 1980, p. 19, doc. 17). 1545, febbraio, Treviso Annota di aver restituito a Giovanni dal Saon tutti i soldi spesi per lui da quando è suo ospite (Libro di spese diverse 2017, p. 184). Affida a Giovanni Maria da Lignago le trattative per il pagamento del dipinto realizzato per fra’ Lorenzo da Bergamo (VI.50) (si veda alle date 1544, giugno e agosto) (Libro di spese diverse 2017, p. 200). 1545, 10 febbraio, Treviso La badessa del convento di San Paolo, Giulia da Medolo, commissiona una pala per la chiesa, una Pietà oggi conservata nella Pinacoteca di Brera a Milano (I.135), per cui seguirà le direttive iconografiche di Vincenzo, frate teologo del convento di San Nicolò. La monaca Franceschina di Bianca Scolari anticipa 10 ducati all’artista (altri pagamenti alle date 1545, 2 luglio e 16 novembre) (Libro di spese diverse 2017, pp. 228-229). 1545, 13 febbraio, Treviso Lotto salda il suo debito con il falegname Giuseppe per il materiale fornitogli per il ritratto di Ludovico Avolanti (VI.52),
commissionato l’ultimo giorno di febbraio del 1543 (si veda anche alle date 1544, 7 marzo, 5 aprile, 20 luglio, ottobre; 1545, 26 e 27 novembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 200). 1545, 15 febbraio, Treviso Lotto consegna 6 lire al nipote di Girolamo, cappellano della chiesa di San Giovanni del tempio a Treviso (oggi dedicata a San Gaetano da Thiene), per curare la sua malattia (Libro di spese diverse 2017, p. 184). 1545, 22 febbraio, Treviso Tra il 22 febbraio e il 19 aprile Tommaso Costanzo versa a Lotto degli acconti per il ritratto ordinato nel gennaio dello stesso anno (VI.69), per un totale di 18 lire (si veda anche alla data 1548, ottobre) (Libro di spese diverse 2017, p. 247). 1545, 8 marzo, Treviso Paga l’intagliatore Sebastiano da Venezia, abitante a Treviso, per dei modelli in legno per dipingere (Libro di spese diverse 2017, p. 242). 1545, 16 marzo, Treviso Deve consegnare a Giovanni Maria da Lignago una tela raffigurante il Sacrificio di Melchisedech, oggi conservato al Museo Pontificio della Santa Casa di Loreto (I.131), da vendere per 40 ducati (Libro di spese diverse 2017, p. 184). 1545, 24 marzo, Treviso Girolamo Mocenigo invia a Lotto 2 ducati tramite il figlio Giovanni Paolo: era la seconda rata del San Girolamo (VI.61) commissionato nell’aprile del 1544 (si veda anche alle date 1544, aprile, 21 maggio; 1545, 18 maggio, 22 giugno; 1547, 29 marzo) (Libro di spese diverse 2017, p. 183). 1545, 28 marzo, Treviso Nicolò Da Mula invia 2 ducati a Lotto tramite il figlio Giovanni per i dipinti commissionati il 1° aprile 1544 (VI.55) (si veda anche alle date 1544, 6 aprile, giugno, 25 giugno; 1545, 19 luglio; 1546, 11 e 15 marzo, 6 novembre; 1547, 14 gennaio) (Libro di spese diverse 2017, p. 227). 1545, aprile, Treviso Trasporta a Treviso il San Michele precipita Lucifero dal cielo per la chiesa di San Lio (VI.34) (si veda alla data 1542, marzo) e alcuni ritratti da mostrare; inoltre invia a Venezia il Sacrificio di Melchisedech (I.131) a Giovanni Maria da Lignago (si veda anche alla data 1545, 16 marzo) (Libro di spese diverse 2017, pp. 296-297). 1545, 18 maggio, Treviso Lotto riceve 2 ducati da un messo di Girolamo Mocenigo per il dipinto commissionato nell’aprile dell’anno precedente (VI.61) (si veda anche alle date 1544, aprile, 21 maggio; 1545,
24 marzo; 1545, 22 giugno; 1547, 29 marzo) (Libro di spese diverse 2017, pp. 182-183). 1545, 21 maggio, Treviso Lotto riceve da fra’ Lorenzo da Bergamo 3 scudi per il dipinto consegnato nel gennaio del 1545 (VI.50) (Libro di spese diverse 2017, p. 201). 1545, giugno, Treviso Acquista un telaio per dipingere un San Michele, secondo alcuni identificabile con quello conservato oggi a Loreto (I.136) (Libro di spese diverse 2017, p. 297). 1545, 22 giugno, Venezia Girolamo Mocenigo invia a Lotto, tramite il figlio Bartolomeo, il quarto pagamento di 2 ducati per il San Girolamo commissionato il 21 marzo 1544 (VI.61) (si veda anche alle date 1544, aprile, 21 maggio; 1545, 24 marzo, 18 maggio) (Libro di spese diverse 2017, p. 183). 1545, 30 giugno, Treviso Nella loro casa in contrada di Santa Maria Maggiore, Andrea Angeli di Murano e suo figlio Bartolomeo si impegnano a restituire all’artista il prestito loro concesso di 67 lire e 2 soldi (Bampo 1886, p. 176; Zampetti 1969, p. 300). 1545, 2 luglio, Treviso Le monache di San Paolo pagano 6 ducati per la Pietà commissionata il 10 febbraio 1545 (I.135) (Libro di spese diverse 2017, p. 229). 1545, 19 luglio, Treviso Invia a Giovanni Maria da Lignago due quadri realizzati per Nicolò Da Mula, il San Girolamo e il San Giovanni Battista (VI.55), affinché giunga a un accordo economico con il committente (si veda anche alle date 1544, 1° e 6 aprile, giugno, 25 giugno; 1545, 28 marzo; 1546, 11 e 15 marzo, 6 novembre; 1547, 14 gennaio) (Libro di spese diverse 2017, p. 186). 1545, settembre, Treviso Riceve da Marino dal Miel tramite Bartolomeo Carpan 62 lire per il San Michele (VI.34) consegnato nel settembre del 1542 (si veda alle date 1542, 10 febbraio, marzo, 29 agosto, settembre, 17 ottobre) (Libro di spese diverse 2017, p. 213). 1545, novembre, Treviso Lotto modifica una Madonna (I.137) regalata a Bartolomeo Carpan nel gennaio del 1542, valutando il suo intervento 16 ducati (Libro di spese diverse 2017, p. 128). Giovanni Lippomano gli commissiona un ritratto del poeta e umanista Giovanni Aurelio Augurello (opera dispersa, VI.54) con relativo coperto. Non viene concordato il compenso, comunque stimato dal pittore 12 scudi, di cui ne riceverà però soltanto 2 (Libro di spese diverse 2017, p. 188).
Giovanni Maria da Lignago restituisce a Lotto la Natività (VI.45) e il Battesimo di Cristo (I.129) affidatigli per la vendita insieme alle relative copie (si veda alla data 1544, maggio); così come il Sacrificio di Melchisedech (I.131) (si veda alla data 1545, 16 marzo) (Libro di spese diverse 2017, pp. 185, 187). Vincenzo Frizieri presta 5 ducati d’oro a Lotto, il quale utilizzerà come pagamento i due dipinti ordinatigli il 13 marzo e il 24 luglio 1546 (Libro di spese diverse 2017, p. 253). 1545, novembre, Venezia Cornelia Griffo commissiona il proprio ritratto a Lorenzo Lotto (opera dispersa, VI.62) (si veda anche alle date 1545, 27 novembre; 1547, 30 aprile; 1548, 7 marzo) (Libro di spese diverse 2017, p. 138). 1545, 16 novembre, Treviso Riceve altri 6 ducati per la Pietà del convento di San Paolo (I.135) (si veda alle date 1545, 10 febbraio e 2 luglio) (Bailo, Biscaro 1900, pp. 26, 92; Gargan 1980, p. 22, doc. 21). 1545, 21 novembre, Venezia Lotto stipula un contratto d’affitto con Giovanni Molin a Rialto, presso la chiesa di San Mattia, per 20 ducati all’anno (Libro di spese diverse 2017, p. 187). 1545, 26 novembre, Treviso Jacopo Sansovino, invia a Lotto 15 ducati in prestito tramite il figlio Francesco (Libro di spese diverse 2017, p. 187). Tramite Bartolomeo Avolanti riceve l’ultimo pagamento di 21 lire e 1 ducato per il ritratto commissionato il 28 febbraio 1544 da Ludovico Avolanti (si veda anche alle date 1544, 7 marzo, 5 aprile, 20 luglio, ottobre; 1545, 13 febbraio e 27 novembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 201). 1545, 27 novembre, Treviso Non essendo rimasto soddisfatto del pagamento ottenuto da Ludovico Avolanti, riceve dal committente del vino (si veda anche alle date 1544, 28 febbraio; 1544, 7 marzo, 5 aprile, 20 luglio, ottobre; 1545, 13 febbraio, 26 novembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 200). Cornelia Griffo effettua un primo pagamento a Lotto di 4 ducati per il ritratto commissionato quello stesso mese (VI.62) (si veda anche alle date 1547, 30 aprile; 1548, 7 marzo) (Libro di spese diverse 2017, p. 139). 1545, dicembre, Treviso Lotto restituisce a frate Alvise di San Nicolò la pietra per macinare i colori che gli aveva prestato l’anno precedente, avvalendosi in qualità di messo di “Marson tintor”, conosciuto durante la permanenza presso Giovanni dal Saon (Libro di spese diverse 2017, p. 118). Ripete la nota del mese di novembre relativa al ritratto di Giovanni Aurelio Augurello (VI.54), consegnato dal Lotto il 12 marzo
dell’anno seguente, stimando l’opera 10 ducati anziché 12 (Libro di spese diverse 2017, p. 262). 1545, 2 dicembre, Treviso Lorenzo Lotto, “pictor Venetiis Rialti”, nomina un procuratore che lo possa rappresentare in occasione di controversie, presenti e future, con Girolamo Mocenigo (Gargan 1980, p. 23, doc. 22). 1545, 11 dicembre, Treviso Giovanni da Brescia, nobile trevigiano, presta a Lotto 5 ducati tramite Antonio Carpan, al quale consegna come pegno un anello con corniola (Libro di spese diverse 2017, p. 189). 1545, 12 dicembre, Treviso-Venezia Lotto abbandona Treviso e la casa di Giovanni dal Saon per tornare a Venezia, lasciando nella dimora dell’amico il dipinto rifiutato da Tommaso Costanzo (VI.69) (si veda alle date 1545, gennaio, 22 febbraio; 1548, ottobre) (Libro di spese diverse 2017, p. 285). 1545, 15 dicembre, Venezia Lotto ospita a casa sua il sarto Battista da Treviso (Libro di spese diverse 2017, p. 130). 1546, febbraio, Venezia Lotto riceve da Battista da Treviso, suo ospite, 1 ducato (Libro di spese diverse 2017, p. 131). Girolamo Morena, pievano di San Moisè, chiede a Lotto di restaurare e dorare un quadro raffigurante un Gesù Bambino (VI.53) (Libro di spese diverse 2017, p. 182). 1546, 20 febbraio, Venezia Riceve un pagamento da Girolamo Morena di 3 lire e 10 soldi, inviato tramite il nipote Francesco. In una data non precisata Morena concede al pittore un prestito di 2 ducati (Libro di spese diverse 2017, pp. 183, 189). 1546, marzo, Venezia Lotto deve “conzar el coperto de misser Joan Aurelio” per Bartolomeo Avolanti, lavoro per cui viene pagato 1 ducato nello stesso mese (Libro di spese diverse 2017, pp. 130-131). 1546, 6 marzo, Venezia Prende in prova come massaia donna Lucia di Cadore, sessantenne veneziana cresciuta in Ca’ Venier vicino a Santa Maria Formosa (Libro di spese diverse 2017, p. 205). 1546, 11 marzo, Venezia Lotto porta i due dipinti commissionati da Nicolò Da Mula (VI.55) a casa del committente, che non vuole pagare interamente il San Girolamo. Lotto trattiene il quadro appuntando a lato della nota: “el san Hieronimo fu venduto a misser Joan Baptista Erizo per ducati 14 1⁄2 val lire 89 soldi 18 perché misser Nicolò Mulla mi stentava del mio resto et fu dato ali 14 zenar del 1546. Et li rifeci un altro in loco del primo”. Non si forniscono altre notizie in merito al secondo
San Girolamo realizzato per Nicolò Da Mula, probabilmente riconoscibile in quello in collezione privata veneziana (I.139), mentre per la vendita a Erizzo si veda alla data 14 gennaio 1547 (si veda anche alle date 1544, 1° e 6 aprile, giugno, 25 giugno; 1545, 28 marzo, 19 luglio; 1546, 15 marzo, 6 novembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 226). 1546, 12 marzo, Treviso Lotto consegna il ritratto di Giovanni Aurelio Augurello (VI.54) a Giovanni Lippomano (si veda 1545, dicembre), il quale paga 2 scudi d’oro (Libro di spese diverse 2017, pp. 189-263). 1546, 13 marzo, Venezia Vincenzo Frizieri commissiona a Lotto il proprio ritratto (opera dispersa, VI.58) per 10 ducati (Libro di spese diverse 2017, p. 252). 1546, 15 marzo, Treviso Nicolò Da Mula invia 20 lire e 10 soldi a Lotto tramite suo figlio Giovanni per i due quadri commissionati il 1° aprile 1544 (VI.55) (si veda anche alle date 1544, 6 aprile, giugno, 25 giugno; 1545, 28 marzo, 19 luglio; 1546, 11 marzo, 6 novembre; 1547, 14 gennaio) (Libro di spese diverse 2017, p. 227). 1546, 21 marzo, Venezia Lotto assume come massaia donna Lucia (si veda alla data 6 marzo), la quale poco dopo lascerà il lavoro poiché troppo affaticata (Libro di spese diverse 2017, pp. 204-205). 1546, 25 marzo, Venezia A “Rialto apresso San Matio, ne la Volta de la Corona”, scrive di suo pugno il proprio testamento, nel quale si dilunga sulle sue relazioni con Giovanni dal Saon e con Antonio Carpan. Il documento, con sigillo in ceralacca raffigurante un satiro danzante, è conservato nell’Archivio IRE di Venezia (Cecchetti 1887 [Testamento]; A. Brusegan, in Omaggio a Lorenzo Lotto 2011, pp. 160-167 n. 24). 1546, aprile, Venezia Lotto annota di dover consegnare ad Alessandro Catani un “quadretto” con Cristo in Emmaus, oggi alla Christ Church Picture Gallery di Oxford (I.138), per cui non è stato stabilito un compenso, ma che l’artista valuta 10 scudi a prezzo di favore (si vedano i pagamenti alla data 1546, 13 maggio) (Libro di spese diverse 2017, p. 118). 1546, maggio, Venezia Marco Pantia, speziale sotto l’insegna dei Due Delfini, commissiona a Lotto una Maddalena penitente per 20 ducati (opera dispersa, VI.57), pattuiti con il suo agente Clemente dagli Orzi (si veda alle date 1546, 8 e 16 giugno, agosto e 7 settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 214). 1546, 13 maggio, Venezia Lotto annota di aver ricevuto un pagamento
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di 2 ducati ungari dallo speziale veneziano Alessandro Catani per un quadro raffigurante Cristo in Emmaus (I.138) commissionato nel mese di aprile; un secondo pagamento è annotato in data 11 giugno (Libro di spese diverse 2017, p. 119). 1546, 18 maggio, Venezia Girolamo Mocenigo invia a Lotto, tramite un commesso, il terzo pagamento di 2 ducati per il San Girolamo (VI.61) commissionato nell’aprile 1544 (si veda anche alle date 1544, aprile; 1545, 22 giugno; 1547, 29 marzo) (Libro di spese diverse 2017, p. 183). 1546, 19 maggio, Venezia Lotto concede un prestito di 2 ducati, cioè 12 lire, allo speziale Clemente dagli Orzi con bottega a San Bartolomeo a Venezia (Libro di spese diverse 2017, p. 138). 1546, 20 maggio, Venezia Versa 10 ducati per i primi sei mesi d’affitto a Giovanni della Volta (Libro di spese diverse 2017, p. 186). 1546, inizio giugno, Venezia Giovanni Maria Giunta restituisce a Lotto i 17 cammei ottenuti come pegno per il prestito concesso al pittore il 15 luglio 1541 (Libro di spese diverse 2017, p. 179). 1546, 8 giugno, Venezia Marco Pantia invia a Lotto, tramite Clemente dagli Orzi, del vino come acconto della Maddalena penitente commissionata a maggio (VI.57) (si veda anche alle date 1546, 16 giugno, agosto e 7 settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 215). 1546, 16 giugno, Venezia Marco Pantia invia a Lotto 10 ducati come pagamento per la Maddalena penitente, commissionata a maggio (VI.57), tramite Clemente dagli Orzi (Libro di spese diverse 2017, p. 215). 1546, 23 luglio, Venezia Lotto riceve 1 ducato da Vincenzo Frizieri per il ritratto commissionato il 13 marzo (VI.58) (si veda anche alle date 1546, 24 e 28 luglio, 28 settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 253). 1546, 24 luglio, Venezia Vincenzo Frizieri commissiona a Lotto un dipinto raffigurante San Girolamo in un paesaggio (VI.59) per 8 ducati (Libro di spese diverse 2017, p. 252). 1546, 28 luglio, Venezia Vincenzo Frizieri gli versa 2 scudi come acconto per i dipinti richiesti (VI.58 e VI.59) (si veda alle date 1546, 23 e 24 luglio) (Libro di spese diverse, 2017, p. 253). 1546, agosto, Venezia Consegna a Marco Pantia la Maddalena pe-
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nitente (VI.57) commissionata nel mese di maggio, stimandola 35 ducati ma ricevendone solo 17 (si veda anche alle date 1564, 8 e 16 giugno, 7 settembre). Presta inoltre allo speziale un quadro grande in occasione del parto della moglie (opera non identificata), con testimoni Clemente dagli Orzi e Giovanni dal Coro (Libro di spese diverse 2017, p. 214). Il mercante Mattia Antonino da Candia commissiona un ritratto (opera dispersa, VI.72), stimato da Lotto 20 scudi, e consegna 2 ducati in acconto per i pigmenti al garzone Ortensio (si veda anche alle date 1547, 6 maggio, 15 luglio; 1549, febbraio) (Libro di spese diverse 2017, pp. 214-215). 1546, 8 agosto, Venezia Il vetraio di Murano Gian Domenico Serena ordina a Lotto “un quadro de nostra Dona, san Joanne Baptista e san Domenego, agionto poi un anzoleto” (opera dispersa, VI.56), consegnando l’acconto di 1 ducato d’oro papale. Annota i successivi pagamenti nei giorni 31 agosto di 2 fiorini, 11 settembre di 3 ducati e 20 ottobre 1546 di “lire 23, cioè un dopion bolognese val lire 15 soldi 2, uno scioto per venetian lire 7 soldi 17 et soldi 1” (Libro di spese diverse 2017, pp. 262-263). 1546, 16 agosto, Venezia Maria da Montagnana viene assunta da Lotto come massaia per 4 ducati annui, al posto di Lucia di Cadore (Libro di spese diverse 2017, p. 218). 1546, 27 agosto, Venezia Defende, pittore di casse a capo della Scuola dell’Immacolata Concezione, commissiona a Lotto, insieme a Francesco di Giovanni tessitore e Tiberio Calegarin, una pala d’altare raffigurante una Madonna col Bambino e i santi Giacomo, Andrea apostolo, Cosma e Damiano e due angioletti che portano una corona, oggi collocata sull’altare maggiore della chiesa di San Giacomo dall’Orio (I.140). Il quadro deve essere consegnato a inizio dicembre per la festa della Scuola al prezzo pattuito di 20 ducati, di cui Lotto riceve un acconto di 1 scudo tramite il pittore Betin (si veda anche alla data 1546, 30 agosto) (Libro di spese diverse 2017, pp. 146-147). 1546, 30 agosto, Venezia Il pittore Defende consegna al garzone di Lotto, Ortensio, 9 lire per la pala commissionata il 27 agosto (I.140); i restanti pagamenti avvengono regolarmente tra l’8 settembre e il 15 novembre (Libro di spese diverse 2017, p. 147). 1546, settembre, Venezia Il notaio Gian Girolamo Federici preleva 3 scudi d’oro ai fratelli Serena, i quali avevano sequestrato il patrimonio di Bartolomeo dal Gallo, debitore nei confronti di Lotto e del suocero del Federici, Francesco Biadene (Libro di spese diverse 2017, p. 189).
Restituisce a Giovanni da Brescia, tramite Antonio Carpan, i 5 ducati avuti in prestito l’11 dicembre 1545, riavendo così l’anello con corniola dato in pegno (Libro di spese diverse 2017, p. 188). 1546, 7 settembre, Venezia Marco Pantia invia a Lotto, tramite Clemente dagli Orzi, 26 lire e 8 soldi come saldo della Maddalena penitente (VI.57) commissionata nel mese di maggio (si veda anche alle date 1546, 8 e 16 giugno, agosto) (Libro di spese diverse 2017, p. 215). 1546, 8 settembre, Venezia Defende, Francesco di Giovanni e Tiberio Calegarin consegnano a Lotto 15 lire per la pala commissionata il 27 agosto (I.140) (si veda anche alla data 1546, 30 agosto) (Libro di spese diverse 2017, p. 147). 1546, 11 settembre, Venezia Compra da Vittore Rotta della stoffa per una spesa totale di 68 lire e 2 soldi, in parte resa tre giorni dopo per alcuni difetti (Libro di spese diverse 2017, pp. 252-253). 1546, 27 settembre, Venezia Compra da Vittore Rotta altra stoffa per una spesa totale di 61 lire e 15 soldi, anche stavolta in parte resa il 1° ottobre perché difettata (Libro di spese diverse 2017, pp. 252, 253). 1546, 28 settembre, Venezia Vincenzo Frizieri con 55 lire e 8 soldi salda il pagamento per i due dipinti ordinati (si veda alle date 1546, 23, 24 e 28 luglio) (Libro di spese diverse 2017, p. 253). 1546, ottobre-novembre, Venezia Lotto si ammala per un mese e mezzo e viene curato affettuosamente presso la casa di Bartolomeo Carpan dallo stesso amico e dalle donne di casa. Rifiutato un risarcimento in denaro, proposto al gioielliere alla presenza dell’architetto anconetano Giovanni dal Coro, Lotto si sentì sempre in debito verso questa famiglia, ricordandosi con particolare riconoscenza della “massareta Menega” prima di morire (Libro di spese diverse 2017, p. 129). 1546, 9 ottobre, Venezia Compra da Vittore Rotta della stoffa per una spesa totale di 49 lire e 10 soldi (Libro di spese diverse 2017, p. 253). 1546, 12 ottobre, Venezia Clemente dagli Orzi restituisce a Lotto 12 lire avute in prestito il 19 marzo (Libro di spese diverse 2017, p. 139). 1546, novembre, Venezia Lotto annota pagamenti e spese sostenute per la massaia Maria (Libro di spese diverse 2017, p. 219). 1546, 2 novembre, Venezia Defende versa a Lotto 15 lire per la pala com-
missionata il 27 agosto (I.140) (si veda anche alle date 1546, 30 agosto e 15 novembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 147). 1546, 6 novembre, Treviso Nicolò Da Mula invia a Lotto della farina e del vino come pagamento per i quadri commissionati il 1° aprile 1544 (VI.55) (si veda anche alle date 1544, 6 aprile, giugno, 25 giugno; 1545, 28 marzo, 19 luglio; 1546, 11 e 15 marzo; 1547, 14 gennaio) (Libro di spese diverse 2017, p. 227). 1546, 15 novembre, Treviso È ancora coinvolto nella controversia relativa a un credito che vantava nei confronti di Bartolomeo dal Gallo, il cui patrimonio era stato sequestrato dai fratelli vetrai Gian Domenico e Vincenzo Serena, anch’essi creditori nei confronti del muranese, così come Agostino Vinzi della Zecca di Treviso e il notaio Gian Girolamo Federici (Libro di spese diverse 2017, p. 131). Defende versa a Lotto altre 10 lire per la pala commissionata il 27 agosto (I.140) (si veda anche alle date 1546, 30 agosto e 2 novembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 147). 1546, 22 novembre, Venezia Lauro Orso invia a Lotto del materiale tessile come acconto della vendita dei due dipinti portati a Messina (VI.45). Parte di questo materiale viene a sua volta inviato da Lotto a Bartolomeo Carpan e Giovanni dal Saon (Libro di spese diverse 2017, p. 203). 1546, 26 novembre, Venezia Lotto regala alla moglie di Bartolomeo Carpan dei tessuti per averlo curato durante il periodo di malattia (Libro di spese diverse 2017, p. 128). 1546, 9 dicembre, Treviso Fra’ Gregorio Belo da Vicenza, frate della chiesa di San Sebastiano a Venezia, commissiona a Lotto il proprio ritratto “con un crucifissetto, la Madona, san Joanne e la Madalena”, oggi conservato al Metropolitan Museum di New York, recante l’iscrizione “F. Gregorij belo de Vincentia / eremite. D[ivi]. hieronimi Ordinis beati fratris Petri de pisis Anno etatis eius. LV.M.D.XLVII” (I.144). Per l’opera non viene stabilito un compenso, che Lotto stima comunque in 8 ducati (si veda alle date 1546, 13 dicembre e 1547, 11 ottobre) (Libro di spese diverse 2017, p. 172). 1546, 13 dicembre, Venezia Fra’ Gregorio Belo effettua un primo pagamento di 6 lire per il ritratto commissionato il 9 dicembre (I.144), dilazionando gli altri versamenti tra aprile e ottobre 1547 per un totale di 21 lire e 9 soldi (si veda anche la data 1547, 11 ottobre) (Libro di spese diverse 2017, p. 173). 1546, 31 dicembre, Venezia Fra’ Lorenzo da Pesaro, sindaco di San Pietro Martire a Murano, ordina a Lotto per conto
di una monaca una Madonna col Bambino e i santi Giovanni Battista e Zaccaria con cornice in noce e profili in oro, verosimilmente quella oggi conservata al Museo Poldi Pezzoli di Milano (I.142), per un totale di 6 ducati, di cui 1 versato in acconto il 5 gennaio 1547. L’opera però non aveva soddisfatto le aspettative della monaca, e Lotto era stato costretto a inviare un altro dipinto nell’aprile del 1547 in cambio del primo. Forse si tratta della tela, analoga, ma con paesaggio, già in collezione Basevi a Genova (I.141) (Libro di spese diverse 2017, pp. 202-203). 1547, gennaio, Venezia Consegna a Giovanni Maria da Lignago una cornice lignea che aveva ricevuto durante il soggiorno nelle Marche e lasciato in deposito nel convento dei Santi Giovanni e Paolo. Affida inoltre al doratore due quadretti da vendere, entrambi raffiguranti la Vergine col Bambino, per alcuni identificabili nella Madonna col Bambino dormiente della Pinacoteca Civica di Vicenza (II.15) e nel quadro di medesimo soggetto del Ringling Museum of Art di Sarasota (II.9) (Libro di spese diverse 2017, p. 190). 1547, 4 gennaio, Venezia Lotto restituisce al pittore ragusano Cristoforo dei pigmenti che non è riuscito a vendere per suo conto. Lo scambio avviene tramite un garzone del creditore, Luca, collaboratore anche del doratore ragusano Nicolao (Libro di spese diverse 2017, pp. 138-139). 1547, 14 gennaio, Venezia Lotto vende a Giovanni Battista Erizzo il San Girolamo (VI.55) commissionato il 1° aprile 1544 e non pagato da Nicolò Da Mula, per il quale riceve 14 ducati e mezzo tramite i doratori Giovan Maria e Bartolomeo (si veda anche alle date 1544, 6 aprile, giugno, 25 giugno; 1545, 28 marzo, 19 luglio; 1546, 11 e 15 marzo, 6 novembre) (Libro di spese diverse 2017, pp. 182-183). 1547, 15 gennaio, Venezia Fra’ Lorenzo da Pesaro paga 12 lire per il dipinto commissionato il 31 dicembre 1546 (I.140) (Libro di spese diverse 2017, p. 203). 1547, 16 gennaio, Venezia Si reca nell’ospedale dei Santi Giovanni e Paolo per consegnare a Vittore Rotta 1 scudo d’oro (Libro di spese diverse 2017, p. 252). 1547, 19 gennaio, Venezia Riceve da Giovanni Maria da Lignago 5 scudi per la vendita di due quadri “del putin che dorme” (opere disperse, VI.60) (Libro di spese diverse 2017, p. 191). 1547, 29 gennaio, Venezia Assume per tre anni come garzone Pietro da Venezia, figlio di donna Orsola, con vitto e stipendio garantiti (Libro di spese diverse 2017, p. 228).
1547, 1° febbraio, Venezia Lotto, in cambio di alcuni lavori, consegna a Giovanni Maria da Lignago un quadretto raffigurante una Madonna col Bambino e i santi Zaccaria e Giovanni, forse identificabile nella tela del Museo Poldi Pezzoli (I.142) o in quella di attuale ubicazione ignota (I.141), precedentemente commissionata da fra’ Lorenzo da Pesaro (si veda alla data 1546, 31 dicembre) (Libro di spese diverse 2017, pp. 188, 189). 1547, 20 febbraio, Venezia Fra’ Lorenzo da Pesaro si reca a casa di Lotto, alla presenza di Giovanni dal Coro, per effettuare un secondo pagamento di 1 ducato d’oro per il quadro commissionato il 31 dicembre 1546 (Libro di spese diverse 2017, p. 203). 1547, 28 febbraio, Venezia Fra’ Lorenzo da Pesaro effettua un terzo pagamento di 10 lire e 15 soldi per il quadro commissionato il 31 dicembre 1546 (Libro di spese diverse 2017, p. 203). 1547, marzo, Venezia Lotto presta al garzone Pietro del denaro per riscuotere dei pegni lasciati ad Andrea Schiavone; i soldi provenivano da un credito vantato nei confronti del doratore Giovanni Maria da Lignago (Libro di spese diverse 2017, pp. 190-191, 229). 1547, 15 marzo, Venezia Il drappiere Vittore Rotta presta a Lotto 6 lire (Libro di spese diverse 2017, p. 255). 1547, 20 marzo, Venezia Consegna a Marcantonio Raspa, governatore dell’ospedale dei Derelitti, 4 scudi d’oro da restituire a Giacomo Grillo, figlio di Giovanni Girolamo (Libro di spese diverse 2017, p. 178). 1547, 21 marzo, Venezia Si reca nella drapperia di Vittore Rotta per consegnargli 1 scudo d’oro (Libro di spese diverse 2017, p. 252). 1547, 27 marzo, Venezia Annota la commissione di una Natività da parte di Gian Domenico Serena (opera dispersa, VI.63) su compenso di 30 scudi d’oro, nonostante l’artista lo valuti almeno 60, da pagare 20 in denaro e 10 in vetri. Tali vetri vengono lasciati da Lotto a disposizione di Pellegrino, vetraio a San Marco, da prelevare a suo nome presso il Serena per essere venduti (per l’opera si veda anche alle date 1547, 5 e 18 maggio) (Libro di spese diverse 2017, pp. 262-263). 1547, 29 marzo, Venezia Giovanni dal Saon ritira un pagamento di 2 ducati a nome di Lotto per il San Girolamo (VI.61) commissionato da Girolamo Mocenigo il 21 marzo 1544 (si veda anche alle date 1544, aprile, 21 maggio; 1545, 24 marzo, 18
maggio, 22 giugno) (Libro di spese diverse 2017, p. 285). 1547, 30 aprile, Venezia Vittore Rotta gli presta 12 lire (Libro di spese diverse 2017, p. 255). Restituisce a Cornelia Griffo 9 lire, ovvero parte del denaro ricevuto per il ritratto (VI.62) eseguito poiché, pentita della commissione, non ritira l’opera (si veda anche alle date 1545, novembre, 27 novembre; 1548, 7 marzo) (Libro di spese diverse 2017, p. 138). 1547, maggio, Venezia Riceve 14 lire e 10 soldi dal garzone Pietro, che ha riscosso alcuni oggetti dati in pegno al doratore Giovanni Maria da Lignago nel mese di marzo (Libro di spese diverse 2017, pp. 190-191). 1547, 5 maggio, Venezia Fra’ Gregorio Belo versa 3 lire come terzo pagamento per il ritratto commissionato il 9 dicembre 1546 (I.144); due giorni dopo, il 7 maggio, versa altre 6 lire (si vedano anche le date 1546, 13 dicembre; 1547, 11 ottobre) (Libro di spese diverse 2017, p. 173). Riceve 2 lire e 3 soldi per la tela e il telaio da utilizzare per la Natività (VI.63) da dipingere per Gian Domenico Serena, vetraio a Murano insieme al fratello Vincenzo, il cui ordine è annotato in data 27 marzo. Serena gli versa inoltre un acconto di 7 scudi d’oro sui 20 pattuiti (si veda alla data 1547, 18 maggio) (Libro di spese diverse 2017, p. 263). 1547, 6 maggio, Venezia Mattia Antonino da Candia consegna a Lotto 2 ducati d’oro per il ritratto commissionato nell’agosto del 1546 (VI.72) (si veda anche alle date 1547, 15 luglio; 1549, febbraio) (Libro di spese diverse 2017, p. 215). 1547, 8 maggio, Venezia Rende a Girolamo Morena 2 ducati, parte della somma ricevuta in prestito in una data non precisata (Libro di spese diverse 2017, pp. 188-189). 1547, 18 maggio, Venezia Gian Domenico Serena consegna a Lotto 13 scudi d’oro come pagamento per la Natività (VI.63) ordinata (si veda alle date 1547, 27 marzo e 5 maggio) (Libro di spese diverse 2017, p. 263). 1547, 15 luglio, Venezia Mattia Antonino da Candia incontra Lotto a Rialto per consegnargli 2 scudi d’oro per il ritratto commissionato in agosto (VI.72) (si veda anche alle date 1546, agosto; 1547, 6 maggio; 1549, febbraio) (Libro di spese diverse 2017, p. 215). 1547, 17 luglio, Venezia Lotto restituisce a Girolamo Morena 3 lire, parte del denaro ricevuto in prestito (si veda anche alla data 8 maggio) (Libro di spese diverse 2017, p. 188).
1547, 20 luglio, Venezia I provveditori della Zecca Lorenzo Giustiniani e Jacopo Pisani commissionano a Lotto un quadro raffigurante una Madonna col Bambino, due angeli, i santi Jacopo e Lorenzo e i due committenti (opera dispersa, VI.65, ma forse corrispondente a una descritta in loco da Marco Boschini nel 1674). Lotto valuta tale opera almeno 25 ducati, nonostante non sia stato stabilito un prezzo con i committenti, che consegnano come acconto 3 ducati (si veda alle date 1547, 17 agosto, 20 settembre, 18 ottobre) (Libro di spese diverse 2017, pp. 140-141; Gullino 2018, p. 132). 1547, 17 agosto, Venezia Riceve 3 ducati da Giustiniani e Pisani per l’opera commissionata il 20 luglio (VI.65) (si veda anche alle date 1547, 20 settembre, 18 ottobre) (Libro di spese diverse 2017, p. 141). Lotto annota pagamenti e spese sostenute per la massaia Maria (Libro di spese diverse 2017, p. 219). 1547, 12 settembre, Venezia Vittore Rotta gli concede un terzo prestito di 13 lire e 16 soldi (si veda anche alle date 13 marzo e 30 aprile) (Libro di spese diverse 2017, p. 255). 1547, 19 settembre, Venezia Deve 40 lire a Francesco Pavan, armatore e cognato di Pietro da Venezia, che è figlio di donna Orsola, residente in campiello di San Giovanni in Bragora, e garzone di Lotto, per duecento tavole di pino utilizzate per l’Elemosina di sant’Antonino (I.115) nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo. La contrattazione per le tavole viene effettuata da Benedetto Contarini tramite il garzone Giacomo e queste ultime sono consegnate ai frati domenicani come credito del pittore, messo per iscritto da Pietro con testimoni Francesco di Giovanni e Giovanni della Volta, presso la Volta della Corona a Venezia. Il giorno successivo Lotto annota di avere un credito con Pavan di 58 lire, che gli sarebbe stato saldato nel corso dei tre anni di apprendistato del cognato, che in realtà lascia la bottega dopo un anno e mezzo per divergenze caratteriali con il maestro (si veda anche alle date 1540, 8 dicembre; 1542, marzo, 28 marzo, 3, 14 e 22 aprile, 20 luglio, 16 ottobre; 1543, luglio) (Libro di spese diverse 2017, pp. 162-163). 1547, 20 settembre, Venezia Lotto riceve dai provveditori della Zecca tela, telaio e chiodi da utilizzare per l’opera commissionata il 20 luglio (VI.65) (si veda alle date 1547, 17 agosto, 18 ottobre) (Libro di spese diverse 2017, p. 141). 1547, 23 settembre, Venezia Giovanni della Volta commissiona a Lotto un ritratto di famiglia, oggi conservato alla National Gallery di Londra (I.145), con il suo coperto (VI.64). Il pittore valuta la sua opera 50 ducati, ma ne riceve solo 20 (Libro di spe-
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se diverse 2017, p. 186; M. Wivel, in Lorenzo Lotto. Portraits 2018, pp. 326-328). 1547, 1° ottobre, Venezia Maria di Montagnana, massaia del Lotto, lascia il suo lavoro (Libro di spese diverse 2017, p. 218). 1547, 11 ottobre, Venezia Fra’ Gregorio Belo manda frate Isidoro da Treviso a ritirare da Lotto il ritratto commissionato (I.144), saldando il pagamento dovuto con 3 lire (si veda alle date 1546, 9 e 13 dicembre; 1547, 5 maggio) (Libro di spese diverse 2017, p. 173). Lotto annota pagamenti e spese sostenute per la massaia Maria in chiusura del rapporto di lavoro (Libro di spese diverse 2017, p. 219). 1547, 18 ottobre, Venezia Lotto riceve 7 ducati come ultimo pagamento per la tela commissionata dai provveditori della Zecca il 20 luglio (VI.65) (si veda alle date 1547, 17 agosto, 20 settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 141). 1547, 16 novembre, Venezia Si impegna con il sindaco di Mogliano, Giacomo Boninfanti, a eseguire una pala raffigurante una Madonna in gloria da collocare sull’altare maggiore della chiesa parrocchiale del paese (I.148). Il lavoro dovrà essere terminato “con tutti gli ornamenti di legname” entro maggio dell’anno successivo per un compenso di 130 scudi d’oro, da pagarsi in diverse rate: “10 scudi alla mano… et a Natale proximo venente, scudi 60, e almeno 30 d’oro… per april venente altri scudi 50 d’oro… (e) haver scudi 20 d’oro per ultimo pagamento”. Una volta terminato, il dipinto dovrà essere sottoposto alla perizia di Dario Franceschini (si veda alle date 1548, 6 febbraio, 11 e 23 marzo, 10 giugno e giugno-luglio) (Libro di spese diverse 2017, pp. 190-191; Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 255). 1547, 19 novembre, Venezia Lotto paga l’ultima rata d’affitto di 10 ducati a Giovanni della Volta (Libro di spese diverse 2017, p. 186). 1547, 20 novembre, Venezia Si trasferisce presso l’abitazione di Bernardino da Verona in ruga dei Botteri, pagando l’affitto ogni sei mesi per un totale di 14 ducati annui (Libro di spese diverse 2017, p. 133). 1547, dicembre, Venezia La famiglia Pantia concede a Lotto un prestito di 2 ducati, consegnati tramite Clemente dagli Orzi, il quale ritira come pegno del pittore un anello con corniola (Libro di spese diverse 2017, p. 141). Presta a Dario Franceschini da Cingoli dei beni materiali da impegnare, vale a dire delle pelli conciate, delle vesti eleganti e una medaglia da berretta rilegata in oro con un cammeo antico, il tutto per un valore di 2 ducati (Libro di spese diverse 2017, p. 146).
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1547, 2 dicembre, Venezia Giovanni Maria Giunta riceve Lotto nel suo studio e gli presta 3 scudi d’oro (Libro di spese diverse 2017, p. 179). 1547, 15 dicembre, Venezia La famiglia Pantia concede a Lotto un prestito di 2 ducati tramite Clemente dagli Orzi; il pittore come pegno consegna invece un anello con corniola (Libro di spese diverse 2017, p. 231). 1548, gennaio, Venezia In una lettera di Pietro Aretino Lotto viene citato in un consesso di artisti e letterati tenutosi a casa dello scultore Danese Cattaneo, dove quest’ultimo stava realizzando il busto di Bembo (Aretino, ed. 2001, pp. 135-136). 1548, 1° gennaio, Venezia Lotto concede un prestito di 3 ducati a Giovanni Francesco da Monopoli, ma per farlo impegna un tappeto persiano e un saio nuovo (Libro di spese diverse 2017, p. 172). Invia a Dario Franceschini da Cingoli, tramite il suo garzone Pietro, un tappeto da impegnare e 1 ducato in prestito (Libro di spese diverse 2017, p. 146). 1548, 8 gennaio, Venezia Lotto può riscuotere il tappeto impegnato da Dario Franceschini una settimana prima (Libro di spese diverse 2017, p. 147). 1548, 9 gennaio, Venezia È costretto a stipulare un nuovo accordo con i frati di Santa Maria Maddalena per la pala realizzata nel 1544 (VI.42) e mai pagata al pittore, che deve infatti aggiungere due figure, una a destra e una a sinistra della tela: verrà retribuito con i 15 ducati pattuiti, ma anche con vino e alimenti. Della pala e dei due santi dipinti successivamente, Onofrio e Paolo eremita, solo quest’ultimo a oggi è stato identificato in un’opera già in collezione privata a New York (I.147). In partenza per Venezia, Lotto affida a Bartolomeo Carpan la procura per ritirare il compenso (Libro di spese diverse 2017, pp. 214, 285). Giovanni Donato Usper, mercante di origine tedesca, commissiona a Lotto “un quadro de honesta grandeza da camera, de una Susana nel bagno, grande quanto el natural, con li doj retrati dal naturale, del qual non fu fatto precio alcuno” (si veda alle date 1548, 18 gennaio, 29 marzo, 17 maggio, 16 e 29 ottobre, 11 novembre; 1549, 1° giugno) (opera dispersa, VI.71) (Libro di spese diverse 2017, p. 264). 1548, 18 gennaio, Venezia Giovanni Donato Usper dà a Lotto 4 scudi d’oro per pagare l’intagliatore Bartolomeo Bartoli con bottega a San Cassian (si veda alle date 1548, 9 gennaio, 29 marzo, 17 maggio, 16 e 29 ottobre, 11 novembre; 1549, 1° giugno) (Libro di spese diverse 2017, p. 265). Lotto salda il debito di 2 ducati contratto il mese precedente con la famiglia Pantia, che
gli restituisce l’anello dato in pegno (Libro di spese diverse 2017, pp. 140, 230). 1548, febbraio, Venezia Dario Franceschini restituisce a Lotto la medaglia da berretta avuta in prestito il 1° gennaio (Libro di spese diverse 2017, p. 147). 1548, 1° febbraio, Venezia Riceve 50 scudi per l’esecuzione della Madonna in gloria e i santi Giovanni Battista, Antonio da Padova, Maddalena e Giuseppe (I.148), commissionata il 16 novembre 1547 tramite Dionisio, mercante di Fermo, alla presenza di Giovanni dal Coro e Gian Domenico Boninfante, fratello di Giacomo (Libro di spese diverse 2017, p. 190). 1548, 5 febbraio, Venezia Estingue il debito contratto con Giovanni Maria Giunta consegnandogli 38 lire e 16 soldi all’ospedale dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia (Libro di spese diverse 2017, p. 178). 1548, 6 febbraio, Venezia Si accorda con l’intagliatore Bartolomeo Bartoli per affidargli l’esecuzione della cornice per la pala di Mogliano (I.148), commissionata il 16 novembre 1547, per una spesa totale di 18 ducati e da consegnare “a meza quaresina proxima”. Contestualmente Lotto gli consegna 10 ducati come acconto (si veda alle date 1547, 16 novembre; 1548, 11 e 23 marzo, 19 maggio, 10 giugno e giugno-luglio) (Libro di spese diverse 2017, pp. 132-133). Gli viene concesso un prestito di 16 scudi d’oro, 3 ducati ungari e 1 doppione da Giovanni dal Coro (Libro di spese diverse 2017, p. 265). Deve a Vittore Rotta 5 ducati e 16 soldi, ovvero 31 lire e 16 soldi, avuti in prestito alle date 1547, 15 marzo, 30 aprile e 12 settembre (Libro di spese diverse 2017, p. 254). 1548, 6/7 febbraio, Venezia Salda il debito contratto con Vittore Rotta il 21 marzo 1547 (Libro di spese diverse 2017, pp. 242, 254). 1548, 7 febbraio, Venezia Si reca a casa di Girolamo Morena per versargli 2 ducati, in presenza della massaia Simona, estinguendo così il prestito concessogli l’anno precedente in data non precisata (Libro di spese diverse 2017, p. 188).
Natalina, vedova del pittore Coriolano, nel 1544 aveva affidato a Lotto una tela che il defunto marito non era riuscito a ultimare (si veda alla data 1544, 10 aprile). L’opera nel frattempo era stata portata a termine da Lotto, che ora la offre come dote alla futura suocera della ragazza, in procinto di sposarsi (Libro di spese diverse 2017, p. 226). 1548, marzo, Venezia Riceve frumento e vino come acconto del pagamento dovutogli dai frati di Santa Maria Maddalena (si veda alla data 1548, 9 gennaio) (Libro di spese diverse 2017, p. 215). 1548, 4 marzo, Venezia Salda il debito contratto con Giovanni dal Coro in data 6 febbraio, consegnandogli 16 scudi d’oro e 3 ducati ungari (Libro di spese diverse 2017, p. 264). 1548, 7 marzo, Venezia Lotto restituisce 3 ducati a Cornelia Griffo per il ritratto rifiutato, commissionato nel novembre del 1545 (VI.62) (si veda anche alle date 1545, 27 novembre; 1547, 30 aprile) (Libro di spese diverse 2017, p. 138). 1548, 11 marzo, Venezia Giacomo Boninfanti versa a Lotto altri 25 scudi d’oro per la Madonna in gloria e i santi Giovanni Battista, Antonio da Padova, Maddalena e Giuseppe (I.148) commissionata il 16 novembre 1547 (si veda anche alle date 1548, 6 febbraio, 23 marzo, 19 maggio, 10 giugno, giugno-luglio) (Libro di spese diverse 2017, p. 191). 1548, 17 marzo, Venezia Paga 7 ducati a Bernardino da Verona per i primi sei mesi d’affitto (Libro di spese diverse 2017, p. 132). 1548, 23 marzo, Venezia Invia a Bartolomeo Bartoli 3 scudi d’oro per la cornice della Madonna in gloria e i santi Giovanni Battista, Antonio da Padova, Maddalena e Giuseppe, commissionata il 16 novembre 1547 (I.148), tramite il suo garzone Luca da Ragusa poiché Pietro è ammalato (si veda anche alle date 1548, 6 febbraio, 11 marzo, 19 maggio, 10 giugno, giugno-luglio) (Libro di spese diverse 2017, p. 132).
1548, 8 febbraio, Venezia Consegna a Marcantonio Raspa 22 lire e 7 soldi per saldare il debito contratto con Giovanni Girolamo Grillo il 19 settembre 1540 (Libro di spese diverse 2017, p. 178).
1548, 29 marzo, Venezia Giovanni Donato Usper dà a Lotto altri 4 scudi d’oro per pagare Bartolomeo Bartoli per la cornice della Susanna (VI.71) (si veda alle date 1548, 9 e 18 gennaio, 17 maggio, 16 e 29 ottobre, 11 novembre; 1549, 1° giugno) (Libro di spese diverse 2017, pp. 132, 265).
1548, 20 febbraio, Venezia Rende a Giovanni dal Coro 1 doppione d’oro, parte del prestito concessogli il 6 febbraio (Libro di spese diverse 2017, p. 264). 1548, 27 febbraio, Treviso
1548, aprile, Venezia Piero Aretino gli invia una lettera definendolo “come la bontà buono e come la virtù virtuoso” ma perdente nell’arte, in contrapposizione a Tiziano, in quel periodo attivo
presso l’imperatore ad Augusta (Lettere 2001, pp. 310-311). 1548, 10 aprile, Venezia Presta a Dario Franceschini 1 scudo d’oro, la medaglia da berretta rilegata in oro con cammeo antico e l’anello con corniola (Libro di spese diverse 2017, p. 146). 1548, 16 aprile, Venezia Presta 3 scudi d’oro a Dario Franceschini, il quale gli invia uno scritto in cui dichiara di dovergli restituire i gioielli prestati il 10 aprile e 3 scudi d’oro (Libro di spese diverse 2017, pp. 146-147). 1548, 30 aprile, Venezia Giovanni Francesco da Monopoli restituisce a Lotto i beni avuti in prestito e paga gli interessi per un totale di 3 ducati (Libro di spese diverse 2017, p. 173). 1548, 10 maggio, Ancona L’artista è nella città marchigiana e annota di avere avuto in prestito 12 scudi d’oro da Giovanni Maria Giunta, restituiti il giorno 23 dello stesso mese (Libro di spese diverse 2017, pp. 192-193). 1548, 17 maggio, Venezia Tramite il suo garzone Pietro riceve da Giovanni Donato Usper 6 scudi d’oro per la Susanna (VI.71) commissionata il 9 gennaio (si veda anche alle date 1548, 18 gennaio, 29 marzo, 16 e 29 ottobre, 11 novembre; 1549, 1° giugno) (Libro di spese diverse 2017, p. 265). 1548, 19 maggio, Venezia Riceve 20 scudi d’oro come acconto per la Madonna in gloria e i santi Giovanni Battista, Antonio da Padova, Maddalena e Giuseppe, commissionata il 16 novembre 1547 (I.148) (si veda alle date 1548, 6 febbraio, 11 e 23 marzo, 10 giugno e giugno-luglio) (Libro di spese diverse 2017, p. 190). 1548, 22 maggio, Venezia Riceve da Dario Franceschini da Cingoli i bollettini necessari per ritirare i gioielli impegnati, dovendo pagare 5 ducati e 16 soldi (Libro di spese diverse 2017, pp. 146-147). 1548, 6 giugno, Venezia Giovanni Maria Giunta gli presta 5 scudi d’oro (Libro di spese diverse 2017, p. 193). 1548, 10 giugno, Ancona Annota di aver consegnato la Madonna in gloria e i santi Giovanni Battista, Antonio da Padova, Maddalena e Giuseppe (I.148), commissionata il 16 novembre 1547 dal sindaco di Mogliano, ma di dover ancora ricevere l’ultimo pagamento di 25 scudi d’oro, di cui 7 da consegnare a Dario Franceschini (si veda alle date 1547, 16 novembre; 1548, 6 febbraio, 11 e 23 marzo, 19 maggio e giugno-luglio) (Libro di spese diverse 2017, p. 191).
1548, 16 giugno, Venezia Sottoscrive un contratto d’affitto con Arsenio Contarini per un’abitazione in San Giovanni Decollato a Venezia, precedentemente subaffittatagli da Marco Diedo, per una cifra concordata di 42 ducati annui da pagare ogni sei mesi. L’abitazione viene condivisa con Girolamo Polini, gioielliere di Recanati a Venezia, al quale affida i suoi gioielli per la vendita (Libro di spese diverse 2017, pp. 121, 194). 1548, giugno-luglio, Venezia Il pittore Durante Nobili di Caldarola è in credito con Lotto per aver posizionato la Madonna in gloria e i santi Giovanni Battista, Antonio da Padova, Maddalena e Giuseppe (I.148) sull’altare maggiore della chiesa di Santa Maria della Piazza a Mogliano; Lotto in quel periodo era residente a Venezia e aveva quindi inviato la tela completa di ornamenti nelle Marche (si veda alle date 1547, 16 novembre; 1548, 6 febbraio, 11 e 23 marzo, 19 maggio e 10 giugno) (Libro di spese diverse 2017, p. 149). 1548, 6 luglio, Venezia Lotto paga 7 ducati a Bernardino da Verona per la seconda rata dell’affitto e il giorno seguente lascia l’abitazione per andare a condividerne un’altra, di proprietà di Arsenio Contarini, con il suo figlioccio Girolamo Polini, a San Giovanni Decollato (Libro di spese diverse 2017, pp. 119-132). 1548, 24 luglio, Venezia Lotto va a Murano con Giovanni Andrea Federici, fratello del notaio Gian Girolamo, per riscuotere dai vetrai Serena il credito che vantavano nei confronti di Bartolomeo dal Gallo dal 1545. I due vetrai, infatti, non avevano ancora chiuso il contenzioso con quest’ultimo (Libro di spese diverse 2017, p. 188). 1548, 31 luglio, Venezia Giovanni Maria Giunta gli presta altri 5 scudi d’oro (si veda alla data 1548, 6 giugno) (Libro di spese diverse 2017, p. 193). 1548, agosto, Venezia Vincenzo Serena, vetraio a Murano e fratello di Gian Domenico, chiede a Lotto di “refarli un quadro vechio et corezer alla mia maniera, con figure n. 5” (opera dispersa, VI.68), per un totale stimato dall’artista di 7 scudi. Il lavoro gli viene pagato in due rate, una il 14 agosto e una il 20 settembre, per una cifra inferiore a quella attesa, ovvero 24 lire e 16 soldi (si veda alla data 1548, 19 settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 254). 1548, 8 agosto, Venezia Gian Domenico Serena porta a Lotto il dipinto commissionatogli nell’agosto del 1546 (VI.56) per restaurarlo poiché “se era guasto”, con una spesa pattuita di 9 scudi (Libro di spese diverse 2017, p. 262).
1548, settembre, Venezia Invia il proprio garzone Pietro dal sarto Battista da Treviso per commissionargli dei lavori come saldo per il debito contratto (Libro di spese diverse 2017, p. 131). Girolamo Polini restituisce a Lotto tutti i gioielli avuti dal pittore il 12 giugno per venderli (Libro di spese diverse 2017, p. 195). 1548, 19 settembre, Venezia Riporta il litigio avuto con Gian Domenico Serena per il pagamento relativo al dipinto restaurato nel mese di agosto: il vetraio aveva pagato solamente 1 scudo dei 9 stabiliti e aveva anche minacciato fisicamente il pittore (Libro di spese diverse 2017, p. 263). 1548, 20 settembre, Venezia Francesco Pavan risulta ancora debitore di 40 lire per 200 tavole di pino ricevute da Lotto. Il garzone Pietro, cognato di Francesco, lascia la bottega del pittore facendosi ufficialmente carico di tale debito (Libro di spese diverse 2017, p. 163). 1548, 26 settembre, Venezia Con atto ufficiale del notaio Giacomo Morando e dell’avvocato Paolo Nugno, Lotto congeda con un anno e mezzo di anticipo il suo garzone Pietro da Venezia, che gli rimane debitore di 58 lire da restituirgli in tre anni. Il pittore elenca inoltre tutte le spese sostenute per il garzone tra febbraio 1547 e giugno 1548 (Libro di spese diverse 2017, pp. 228-229). 1548, 27 settembre, Venezia Accetta come garzone Giuseppe Belli di Poltrenga (odierna Ponteranica, Bergamo) per un periodo non stabilito e senza salario, al quale provvederà solo per le spese di vitto e alloggio. Annota delle spese per il vestiario necessario al ragazzo nei giorni 10 e 20 ottobre presso il sarto Battista da Treviso (Libro di spese diverse 2017, pp. 131, 192-193). 1548, ottobre, Venezia Il tintore Francesco Canal ordina a Lotto il proprio ritratto, quello della moglie e quello del figlio Domenico, da realizzare a casa del committente (VI.73). A lavori eseguiti il prezzo viene stabilito da una perizia affidata ai pittori Paris Bordon e Giampietro Silvio, che valutano le opere 12 scudi d’oro ciascuna, con conseguente lamentela da parte di Lotto, che le valuta 20 scudi. Il pagamento dei dipinti avviene tra l’ottobre del 1548 e il 6 aprile 1549, sia in denaro che in stoffe (Libro di spese diverse 2017, pp. 162-163). Scrive a Tommaso Costanzo sollecitandolo a ritirare il suo ritratto (VI.69) presso Giovanni dal Saon, da tempo terminato e non ancora pagato. Con uno scambio di lettere tramite frate Giovan Andrea Ferretti dei Santi Giovanni e Paolo, il committente comunica al pittore di rinunciare al ritratto poiché ritenuto non somigliante, ma senza reclamare i soldi dati in acconto (si veda anche alle date
1545, gennaio, 22 febbraio, 12 dicembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 246). Lo stesso Giovan Andrea si fa ritrarre nelle vesti di san Pietro martire “de naturale in meza figura” (opera dispersa, VI.70). Il dipinto, il cui valore era stimato da Lotto in 6 ducati, viene eseguito dal pittore per sdebitarsi con il frate che gli aveva concesso di adibire un locale vuoto come laboratorio per dorare una cornice, ricevendo comunque 1 scudo in acconto (Libro di spese diverse 2017, pp. 264-265). 1548, 16 ottobre, Venezia Riceve da Giovanni Donato Usper 3 scudi d’oro per le spese relative al dipinto commissionato il 9 gennaio (VI.71) (si veda anche alle date 1548, 18 gennaio, 29 marzo, 17 maggio, 29 ottobre, 11 novembre; 1549, 1° giugno) (Libro di spese diverse 2017, p. 265). 1548, 29 ottobre, Venezia Riceve da Giovanni Donato Usper 6 scudi d’oro come pagamento della Susanna commissionata il 9 gennaio (VI.71), mentre 1 scudo gli era stato dato in precedenza per l’acquisto dell’azzurro oltremare (si veda alle date 1548, 18 gennaio, 29 marzo, 17 maggio, 16 ottobre, 11 novembre; 1549, 1° giugno) (Libro di spese diverse 2017, p. 265). Lotto riceve da Mattia Antonino da Candia del formaggio, parte del pagamento per il ritratto commissionato nell’agosto del 1546 (VI.72) (Libro di spese diverse 2017, p. 215). 1548, 1° novembre, Ancona Dario Franceschini salda il suo debito versando al pittore 38 lire e 12 soldi (Libro di spese diverse 2017, p. 147). 1548, 11 novembre, Venezia Riceve da Giovanni Donato Usper 2 scudi d’oro come saldo del pagamento per la Susanna commissionatagli il 9 gennaio (VI.71) (si veda anche alle date 1548, 18 gennaio, 29 marzo, 17 maggio, 16 e 29 ottobre; 1549, 1° giugno) (Libro di spese diverse 2017, p. 265). 1548, 19 novembre, Venezia Versa 16 scudi d’oro ad Arsenio Contarini per i primi sei mesi di affitto, alla presenza delle “sue donne e Joan Paulo, Pisani suo parente” (Libro di spese diverse 2017, p. 120). 1548, dicembre, Venezia Deve al sarto Battista da Treviso, suo ospite a Venezia, lire 8 e soldi 15 (Libro di spese diverse 2017, p. 130). Affida per la seconda volta (si veda alla data 16 giugno) i suoi gioielli a Girolamo Polini affinché li venda (Libro di spese diverse 2017, p. 194). 1548, 2 dicembre, Ancona Deve eseguire il ritratto di Vincenzo Cerencioni, mercante lucchese ad Ancona, cognato di Francesco Gabrieli (VI.74) (si veda alle date 1548, 9 dicembre; 1549, 28 febbraio, 7 aprile) (Libro di spese diverse 2017, p. 254).
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1548, 9 dicembre, Ancona Riceve un acconto di 2 scudi d’oro per il ritratto di Vincenzo Cerencioni commissionato il 2 dicembre (VI.74) (si vedano anche le date 1549, 28 febbraio, 7 aprile) (Libro di spese diverse 2017, p. 255).
1549, 29 maggio, Venezia L’architetto Giovanni dal Coro presta a Lotto 20 ducati ungari d’oro per recarsi ad Ancona, testimone Dario Franceschini da Cingoli. Il pittore restituirà la somma il 1° giugno (Libro di spese diverse 2017, p. 267).
1548, 15 dicembre, Venezia Versa 10 ducati e 4 soldi come saldo dei primi sei mesi d’affitto ad Arsenio Contarini, insieme a Girolamo Polini da Recanati, figlioccio di Lotto e suo coinquilino (Libro di spese diverse 2017, pp. 120, 195).
1549, giugno, Venezia Dovendo partire per Ancona, nomina suo procuratore Bartolomeo Carpan per diverse incombenze da sbrigare durante la sua assenza. Alla massaia del gioielliere, Menega, da cui era stato accudito durante il periodo di malattia trascorso a casa di Carpan, lascia 4 scudi per il matrimonio, ma anche il ricavato di diciannove stampe di cui era in possesso il suo garzone Bernardo. Chiede all’amico di vendere un suo libro miniato per 22 fogli di 46 totali, a non meno di 5 o 6 scudi, ma gli lascia anche in carico le altre questioni aperte: con Tommaso Costanzo per delle stampe rifiutate; con fra’ Lorenzo da Pesaro per il progetto di una pala; con il garzone Piero per del denaro; il recupero del credito che vanta con Santa Maria Maddalena di Treviso e quello con Gian Battista Miroseo miniatore. Tra le deleghe anche quella di occuparsi della controversia con Bartolomeo dal Gallo nata nel 1546 (Libro di spese diverse 2017, pp. 131, 189, 277-278). Monsignor Giacomo Benincasa vende a Lotto del vino per un totale di 19 fiorini e 20 bolognini, pagati nel mese di agosto alla presenza del nipote del prelato, Francesco (Libro di spese diverse 2017, pp. 194-195).
1549, febbraio, Ancona Riceve da Mattia Antonino da Candia del vino, parte del pagamento per il ritratto commissionato nell’agosto del 1546 (VI.72) (si veda anche alle date 1546, agosto; 1547, 6 maggio; 1547, 15 luglio) (Libro di spese diverse 2017, p. 215). 1549, 3 febbraio, Ancona In un documento dell’ospedale dei Derelitti, steso durante un’assemblea, si accetta il prestito di 200 ducati di un “amico et amorevole del luogo”, forse identificabile con Lotto (Ellero 2011, p. 51). 1549, 28 febbraio, Ancona Riceve 2 scudi d’oro per il ritratto di Vincenzo Cerencioni (VI.74) tramite il fattore Francesco (si veda alle date 1548, 2 e 9 dicembre; 1549, 7 aprile) (Libro di spese diverse 2017, p. 255). 1549, 7 aprile, Ancona Riceve 2 scudi d’oro a saldo del ritratto di Vincenzo Cerencioni commissionato il 2 dicembre 1548 (VI.74) (si veda anche alle date 1548, 9 dicembre; 1549, 28 febbraio) (Libro di spese diverse 2017, p. 255). 1549, maggio, Venezia Consegna al diamantaio Rocco, residente in una Ruga a Venezia, “un quadreto de un abatimento de la forteza con fortuna”, identificabile con il dipinto raffigurante La Fortuna infelice abbattuta dalla Fortezza conservato a Loreto nel Museo Pontificio della Santa Casa (I.150), per 3 o 4 scudi, ancora da concordare (si veda anche alle date 1550, maggio e giugno). Il dipinto viene però restituito all’artista il mese successivo e quindi proposto a Dario Franceschini come coperto per un suo ritratto che Lotto doveva restaurare. A quanto pare, però, anche questa proposta viene rifiutata (Libro di spese diverse 2017, pp. 240, 372). 1549, 15 maggio, Venezia L’artista si prepara a ripartire per Ancona e affida al Sansovino i suoi gioielli perché siano venduti: “camei de agate orientalj coloratj de varie sugeti e sorte et uno anello d’oro ligatavi una corniola etiam canellj de lappis lazuli n° 8”, dal valore complessivo di 181 ducati (Libro di spese diverse 2017, p. 186).
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1549, 1° giugno, Venezia Stipula con Giovan Francesco Todini e alla presenza di Dario Franceschini, Giovanni dal Coro e Antonio Saraceni, incaricato della famiglia anconetana dei Todini, gli accordi per l’Assunta di San Francesco alle Scale (I.155). Per il dipinto e “suoi ornamenti” vengono pattuiti “scuti quattrocento correnti”, con l’obbligo per l’artista di eseguire la pala in Ancona. Il pittore riceve in acconto da Saraceni 100 scudi “a moneta de la Marcha” presso la bottega di Venturino e Tommaso della Vecchia. Oltre a Giovan Francesco, prendono parte alla commissione del dipinto anche Lorenzo e Ciriaco Todini (si veda alle date 1549, 1° luglio, agosto, 3 e 29 ottobre, 16 novembre; 1550, 1°, 26 e 27 aprile, 6 e 31 luglio, 19 agosto, 2 ottobre, 24 novembre; 1551, 17 maggio; 1556, 26 aprile) (Libro di spese diverse 2017, pp. 267-268). Alla presenza di Dario Franceschini, rende a Giovanni dal Coro 20 ducati ungari avuti in prestito il 29 maggio (Libro di spese diverse 2017, p. 266). Invia l’ultimo pagamento a Bartolomeo Bartoli intagliatore per la cornice della Susanna (VI.71) insieme a “un ornamento vechio de una palla che non fo maj compita” (si veda alle date 1548, 9 e 18 gennaio, 29 marzo, 17 maggio, 16 e 29 ottobre, 11 novembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 132).
Assume come discepolo il bresciano Paolo Rossini, figlio del medico Giovan Francesco, concordando con i cugini Giovan Battista e Ludovico Lupatino, speziali a Venezia, tre anni di apprendistato con il versamento di 30 ducati annui a Lotto da parte della famiglia per la copertura delle spese necessarie al ragazzo. Su richiesta del padre di Paolo, Lotto paga 1 scudo d’oro al suo maestro spirituale (Libro di spese diverse 2017, pp. 230, 266). 1549, 3 giugno, Venezia Sebastiano, sarto a Rialto di origine fiamminga, fornisce a Lotto del pigmento azzurro tedesco per dipingere a olio, per un valore di 56 lire, di cui Lotto ne paga 34 alla presenza di Bartolomeo Carpan, mentre le rimanenti 22 devono essere versate nel mese di agosto (Libro di spese diverse 2017, pp. 242-243). 1549, 6 giugno, Venezia Girolamo Polini lascia l’abitazione condivisa con Lotto a causa di alcuni screzi tra i due, portando via con la forza il proprio ritratto e quello della moglie senza averlo pagato (VI.75) (Libro di spese diverse 2017, p. 194). 1549, 9 giugno, Venezia L’artista consegna a Jacopo Sansovino sei dipinti per “farne vendita e denari nel modo che è scritto tra noi”, stimati in totale 176 ducati: un Sacrificio di Melchisedech (I.131); una Sacra Famiglia con i santi Zaccaria, Elisabetta, Giovannino e tre angeli (I.146); un Battesimo di Cristo (I.129); un Apollo dormiente, le Muse e la Fama (I.86); un Bambino dormiente con altre figure e una Susanna (opere entrambe perdute, VI.76). L’anno successivo Sansovino spedisce al pittore in Ancona sia i cammei ricevuti il 15 maggio sia i dipinti rimasti invenduti (Libro di spese diverse 2017, p. 186). 1549, 11 giugno, Venezia Con uno scritto redatto da Quintiliano da Montolmo, Lotto rinnova per un anno l’accordo con Giuseppe Belli, suo allievo, fissando questa volta uno stipendio annuo di 12 ducati, ma con vitto e alloggio a carico del maestro. Insieme a Lotto e il giovane garzone Paolo Rossini, Belli partirà per Ancona e vi resterà fino al 20 agosto 1550 (Libro di spese diverse 2017, pp. 192-193). 1549, 1° luglio, Ancona È giunto ad Ancona e risiede presso il convento di San Francesco alle Scale, dove ha iniziato l’Assunta (I.155) commissionata il 1° giugno dalla famiglia Todini, sollevando così dall’obbligo di garante l’amico Giovanni dal Coro, al quale consegna 20 scudi per “dar capara al ornamento de la pala sopradita in Venetia” (si veda alle date 1549, agosto, 3 e 29 ottobre, 16 novembre; 1550, 1°, 26 e 27 aprile, 6 e 31 luglio, 19 agosto, 2 ottobre, 24 novembre; 1551, 17 maggio; 1556, 26 aprile) (Libro di spese diverse 2017, p. 266).
1549, 4 luglio Lotto riceve da Giovan Battista Lupatino 10 ducati tramite Piero Zulian di Trieste, mercante ad Ancona, per le spese necessarie all’allievo Paolo, cugino di Lupatino, preso a bottega il 1° giugno (Libro di spese diverse 2017, pp. 231, 267). 1549, agosto, Ancona Consegna a Giovanni dal Coro 50 scudi d’oro da spendere a Venezia da Venturino della Vecchia per gli ornamenti della pala dell’Assunta che sta dipingendo ad Ancona (I.155) (si veda alle date 1549, 1° giugno, 1° luglio, 3 e 29 ottobre, 16 novembre; 1550, 1°, 26 e 27 aprile, 6 e 31 luglio, 19 agosto, 2 ottobre, 24 novembre; 1551, 17 maggio; 1556, 26 aprile) (Libro di spese diverse 2017, p. 266). 1549, settembre, Ancona Gli viene ordinato un ritratto a figura intera del frate domenicano Angelo Ferretti in veste di san Pietro Martire, opera che Lotto valuta 40 scudi (si veda alle date 1549, 16 ottobre; 1550, 1° aprile e 1° giugno), riconoscibile nel ritratto al Fogg Museum (I.151) (Libro di spese diverse 2017, p. 120). 1549, 5 settembre, Ancona Propone a Dario Franceschini di acquistare come coperto il “quadreto de un abatimento de la forteza con fortuna” (I.150), rifiutato dal diamantaio Rocco (1549, maggio), per il ritratto di sua proprietà che stava restaurando. Anche Franceschini rifiuta però la tela (Libro di spese diverse 2017, p. 148) 1549, 1° ottobre, Ancona Pietro Bonarelli commissiona a Lotto un ritratto, due stemmi di famiglia sul fondo di due cestelli di giunco (VI.78) e il restauro di un quadretto raffigurante la Vergine con una nuova cornice, per cui fornisce del vino come caparra. Tra il marzo del 1550 e il gennaio del 1552 Bonarelli invia a Lotto pagamenti in natura (Libro di spese diverse 2017, pp. 230-231). 1549, 3 ottobre, Venezia Giovan Francesco Todini deposita a Venezia presso i della Vecchia 50 scudi d’oro tramite Giovanni dal Coro per gli ornamenti della pala dell’Assunta (I.155) (si veda alle date 1549, 1° giugno, 1° luglio, agosto, 29 ottobre, 16 novembre; 1550, 1°, 26 e 27 aprile, 6 e 31 luglio, 19 agosto, 2 ottobre, 24 novembre; 1551, 17 maggio; 1556, 26 aprile) (Libro di spese diverse 2017, p. 269). 1549, 5 ottobre, Ancona Il profumiere Marco di Ancona incarica Lotto di restaurare una tela, lavoro che il pittore vorrebbe barattare con un anello con brillante del valore di 3 scudi di proprietà del committente, visto alla presenza di Pietro Bonarelli e messer Liviero, cognato di Marco. Lotto, inoltre, riceve in prestito dal profumiere uno specchio grande che però rompe: per riparare al danno l’artista ne fa arrivare
uno nuovo da Venezia, che a sua volta viene rotto dai barcaioli. Intermediario fra Lotto e Marco è il nobile anconetano Pietro Bonarelli (Libro di spese diverse 2017, pp. 216-217; Coltrinari 2018 [Personaggi], p. 268).
1549, 19 novembre, Ancona Riceve 10 carlini dal “reverendo mastro Sebastiano” per la pala commissionata da Piera Monaco il 25 ottobre (I.152) (Libro di spese diverse 2017, p. 241).
1549, 12 ottobre, Ancona Paga 2 scudi d’oro al garzone Giuseppe Belli (Libro di spese diverse 2017, p. 192).
1549, dicembre, Ancona Lotto, debitore nei confronti del pittore Durante Nobili per il posizionamento della Madonna in gloria e i santi Giovanni Battista, Antonio da Padova, Maddalena e Giuseppe (I.148), invia a costui, prima a Recanati e poi ad Ancona, dei colori tramite lo speziale Quintiliano da Montolmo, “per segno de reconossenza e non pagamento” (Libro di spese diverse 2017, p. 148).
1549, 16 ottobre, Ancona Angelo Ferretti effettua un primo pagamento di 5 scudi d’oro a Lotto per il quadro commissionato il mese precedente (I.151) (Libro di spese diverse 2017, p. 121). 1549, 25 ottobre, Ancona Piera, moglie di Francesco Monaco, insieme ad altre gentildonne anconetane, commissiona un dittico raffigurante San Rocco e San Sebastiano, conservati rispettivamente nella Galleria Nazionale delle Marche di Urbino e in collezione privata bolognese (I.152), per la cappella di San Rocco nella chiesa di Santa Maria in Posatora, oggi Santa Maria Liberatrice. Il 25 ottobre il pittore riceve, tramite il notaio Pier Gentile Senili, un acconto di 7 fiorini e 10 bolognini dei 30 scudi totali stimati, ma non concordati ufficialmente. Sempre per donna Piera realizza un San Giovanni Battista e un San Francesco con gli angeli (VI.80) per l’altare maggiore della stessa chiesa, valutati 3 scudi. Lotto menziona inoltre un “san Chiriaco nel paese” (VI.80) aggiunto successivamente (Libro di spese diverse 2017, pp. 240-241). 1549, 29 ottobre, Ancona Giovan Francesco Todini consegna a Lotto 10 scudi d’oro per l’Assunta (I.155) da porsi in San Francesco alle Scale (si veda alle date 1549, 1° giugno, 1° luglio, agosto, 3 ottobre, 16 novembre; 1550, 1°, 26 e 27 aprile, 6 e 31 luglio, 19 agosto, 2 ottobre, 24 novembre; 1551, 17 maggio; 1556, 26 aprile) (Libro di spese diverse 2017, p. 269). 1549, novembre, Recanati Si reca con Giuseppe Belli alla fiera di Recanati e gli consegna 1 scudo d’oro (Libro di spese diverse 2017, p. 192). 1549, 15/16 novembre, Ancona Come pagamento per l’opera commissionata il 25 ottobre da Piera Monaco (I.152), Lotto riceve tramite un certo Tomasone cinque coppe di farina dal valore di 5 fiorini, quattro coppe di grano dal valore di 4 fiorini; altra farina per il valore di 45 bolognini il giorno successivo (Libro di spese diverse 2017, p. 241). 1549, 16 novembre, Ancona Riceve da Giovan Francesco Todini 10 scudi d’oro per l’Assunta (I.155) commissionata il 1° giugno 1549 (si veda alle date 1549, 1° luglio, agosto, 3 e 29 ottobre; 1550, 1°, 26 e 27 aprile, 6 e 31 luglio, 19 agosto, 2 ottobre, 24 novembre; 1551, 17 maggio; 1556, 26 aprile) (Libro di spese diverse 2017, p. 269).
1549, 11 dicembre, Ancona Lotto consegna 2 scudi d’oro a Giuseppe Belli da spendere per il suo vestiario (Libro di spese diverse 2017, p. 192). 1550 Giorgio Vasari nella prima edizione delle Vite (ed. 1966-1987, IV [1976], pp. 549-553) menziona le seguenti opere di Lotto: la pala di Sant’Agostino ad Ancona (I.110), il ritratto di Andrea Odoni (I.73), il San Nicola in gloria in Santa Maria dei Carmini a Venezia (I.76) e l’Elemosina di sant’Antonino nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo (I.115). 1550, Venezia e Marche Consegna dieci quadri ad Agostino Filago di Loreto, uno raffigurante San Cristoforo e nove quadretti con le storie della Madonna di Loreto (opere disperse, VI.77), da vendere nella propria bottega. Testimone dello scambio è Francesco Pellegrini, computista della Santa Casa di Loreto (Libro di spese diverse 2017, p. 120). 1550, 10 gennaio, Ancona Lotto versa a Giuseppe Belli 1 scudo d’oro (Libro di spese diverse 2017, p. 192). 1550, febbraio, Ancona Il profumiere Marco, dopo aver barattato un anello con brillante con il dipinto restaurato da Lotto (si veda 1549, 5 ottobre), se ne pente e chiede indietro il gioiello alla presenza di Pietro Bonarelli e del garzone Giovan Giacomo (Libro di spese diverse 2017, p. 216). Francesco Bonarelli consegna a Lotto 4 scudi, vino e mosto per aver ospitato suo figlio Arrigo due mesi e mezzo per 4 scudi al mese. Il pagamento viene consegnato in parte dal Bonarelli stesso e in parte da Gabriele Trionfi (Libro di spese diverse 2017, p. 113). 1550, marzo, Ancona Lotto riceve da Giovan Battista Lupatino 10 ducati tramite Piero Zulian di Trieste per le spese necessarie a Paolo Rossini (si veda anche alla data 1549, 4 luglio) (Libro di spese diverse 2017, pp. 231, 267). Pietro Bonarelli recapita a Lotto del vino per le opere commissionate nell’ottobre 1549 (VI.78) (Libro di spese diverse 2017, p. 231).
1550, 2 marzo, Ancona Lotto consegna due stendardi (dispersi, VI.79) per il Comune di Ancona, commissionati da Ludovico Grazioli, Angelo Freducci e un terzo personaggio il cui nome non è riportato (Libro di spese diverse 2017, p. 150). 1550, 18 marzo, Ancona Angelo Freducci consegna a Lotto 3 scudi per i due stendardi realizzati per il Comune di Ancona (VI.79) (Libro di spese diverse 2017, p. 151). Giovan Paolo Corbetta, venditore di legname, fornisce a Lotto 40 tavole al prezzo di 8 bolognini ciascuna, pagate tra il 21 marzo e il 21 maggio 1550 tramite il garzone Giuseppe Belli e il figlio di Corbetta, Giulio (Libro di spese diverse 2017, p. 269). 1550, 1° aprile, Ancona Angelo Ferretti effettua un secondo pagamento di 2 scudi d’oro per il dipinto commissionato nel settembre del 1540 (I.151) (si veda alle date 1549, 16 ottobre; 1550, 1° giugno) (Libro di spese diverse 2017, p. 121). Per la pala dell’Assunta (I.155), commissionata il 1° giugno del 1549, riceve da Giovan Francesco Todini 10 scudi, successivamente della lacca rossa e 4 scudi d’oro tramite il Saraceni (si veda alle date 1549, 1° luglio, agosto, 3 e 29 ottobre, 16 novembre; 1550, 26 e 27 aprile, 6 e 31 luglio, 19 agosto, 2 ottobre, 24 novembre; 1551, 17 maggio; 1556, 26 aprile) (Libro di spese diverse 2017, p. 269). 1550, 9 aprile, Ancona È testimone al testamento di Ludovico Grazioli (Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 256). 1550, 12 aprile, Ancona Durante Nobili riceve un pagamento da Lotto per l’aiuto “ne l’arte e per dorature e picture”, un rapporto che non prevede un salario fisso ma definito di mese in mese (Libro di spese diverse 2017, p. 151). 1550, 26 aprile, Ancona Riceve 60 scudi da Giovan Francesco Todini per la pala dell’Assunta commissionata il 1° giugno 1549 (I.155) (si veda alle date 1549, 1° luglio, agosto, 3 e 29 ottobre, 16 novembre; 1550, 1° e 27 aprile, 6 e 31 luglio, 19 agosto, 2 ottobre, 24 novembre; 1551, 17 maggio; 1556, 26 aprile) (Libro di spese diverse 2017, p. 269; Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 256). 1550, 27 aprile, Ancona Giovanni dal Coro comunica da Venezia di aver speso 70 scudi per la cornice che si stava realizzando a Venezia per l’Assunta di Ancona commissionata il 1° giugno 1549 (I.155) (si veda alle date 1549, 1° luglio, agosto, 3 e 29 ottobre, 16 novembre; 1550, 1 e 26 aprile, 6 e 31 luglio, 19 agosto, 2 ottobre, 24 novembre; 1551, 17 maggio; 1556, 26 aprile) (Libro di spese diverse 2017, p. 267). Riceve da Piera Monaco 1 fiorino e 30 bolognini per l’opera commissionata il 25 ottobre 1549 (I.152). Nello stesso giorno Lotto anno-
ta anche di aver ricevuto da Francesca Cintio 1 scudo per il san Ciriaco aggiunto alla pala e la cornice del quadro (si veda alla data) (Libro di spese diverse 2017, p. 241). 1550, maggio, Ancona Rocco, diamantaio veneziano che aveva commissionato a Lotto nel maggio del 1549 un “quadretto de un abatimento de la forteza con fortuna in cunto de sua impresa” (I.150), richiede all’artista un secondo quadro di uguali dimensioni del primo, raffigurante questa volta la “virtù operativa da quale succede la speranza” (VI.81). Il compenso per entrambe le opere, consegnate tramite Giovanni Molinello, è di 20 scudi da pagare al pittore in diamanti e rubini (Libro di spese diverse 2017, p. 240). 1550, 4 maggio, Montolmo La comunità di Montolmo, l’attuale Corridonia in provincia di Macerata, commissiona al pittore, tramite il priore e speziale Quintiliano, l’esecuzione dello stendardo cittadino per la festa dell’Assunta, ufficializzata dal consiglio cittadino il 4 maggio 1550 (Paparello 2009, pp. 158-165). Il gonfalone (perduto) doveva avere “4 figure principal a doj figure per banda etiam altre fregiamenti et ornamentj” (VI.90). Il compenso pattuito è di 1 scudo a figura e l’oro per gli ornamenti, di cui vengono anticipati 2 scudi d’oro lo stesso mese di maggio (si veda anche alle date 1550, 14 maggio; 1551, 13 maggio, 29 agosto) (Libro di spese diverse 2017, pp. 216-217). 1550, 10 maggio, Ancona Invia a Jacopo Sansovino a Venezia 15 ducati tramite Giovanni Molinello, aspettando di riavere i quadri lasciatigli in pegno, che riceverà due giorni dopo (Libro di spese diverse 2017, pp. 196-197). 1550, 12 maggio, Ancona In presenza di Durante Nobili da Caldarola Lotto consegna a Giuseppe Belli 5 scudi d’oro (Libro di spese diverse 2017, p. 192). 1550, 14 maggio, Ancona Concede al garzone Durante Nobili di passare a casa la festa dell’Assunta, lasciandogli parte del compenso ricevuto per il gonfalone (VI.90) eseguito, grazie allo stesso Nobili, per la comunità di Montolmo (si veda alla data 1550, 4 maggio). Viene così saldato il debito che Lotto aveva con il garzone per l’aiuto prestatogli in occasione dell’esecuzione dell’Assunta in San Francesco alle Scale (I.155) (Libro di spese diverse 2017, p. 217). 1550, 16 maggio, Venezia Salda un debito di 10 scudi d’oro contratto con Giovanni Maria Giunta nel 1548 (si veda alle date 1548, 6 giugno e 31 luglio). Il denaro viene restituito tramite Giovanni Molinello (Libro di spese diverse 2017, p. 192). 1550, 28 maggio, Ancona Acquista dal profumiere Marco l’anello con
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brillante precedentemente barattato per una spesa di 3 scudi (Libro di spese diverse 2017, pp. 216-217). 1550, 31 maggio, Ancona Riceve 56 lire da Giovan Battista Lupatino tramite Piero Zulian di Trieste, con il quale aveva preso accordi il 18 febbraio, per il saldo delle spese annue necessarie all’allievo Paolo (si vedano i precedenti pagamenti alle date 1549, 4 luglio; 1550, marzo) (Libro di spese diverse 2017, pp. 231, 267). 1550, giugno, Ancona Il diamantaio Rocco restituisce il dipinto raffigurante La Fortuna infelice abbattuta dalla Fortezza (I.150) (si veda alle date 1549, maggio; 1550, maggio, 5 settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 241). 1550, 1° giugno, Ancona Riceve un terzo pagamento di 3 scudi d’oro da frate Angelo Ferretti per l’opera commissionata nel settembre del 1549 (I.151) (si veda alle date 1549, 16 ottobre; 1550, 1° aprile) (Libro di spese diverse 2017, p. 120). 1550, 9 giugno, Ancona Dario Franceschini fa mettere per iscritto da Orazio Bertucci da Osimo di dover consegnare a Lotto 5 scudi, su 7 che gli deve, e alcune tavole (Libro di spese diverse 2017, p. 149). 1550, 6 luglio, Ancona Riceve nel suo alloggio Giovan Francesco Todini, il quale gli consegna 10 scudi per la pala dell’Assunta (I.155), ordinata il 1° giugno 1549, in presenza di Nicolò Giustiniani (si veda alle date 1549, 1° luglio, agosto, 3 e 29 ottobre, 16 novembre; 1550, 1°, 26 e 27 aprile, 31 luglio, 19 agosto, 2 ottobre, 24 novembre; 1551, 17 maggio; 1556, 26 aprile) (Libro di spese diverse 2017, p. 269). 1550, 22 luglio, Ancona Assume come allievo Giovanni Matteo Pozzo da Pesaro, essendo il contratto con il Belli in scadenza nel mese di agosto. Pozzo si allontanerà già nel mese di novembre (si veda alle date 1550, 25 agosto e 26 novembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 271). 1550, 31 luglio, Ancona Francesco Bernabei gli consegna 20 scudi per conto di Giovan Francesco Todini per l’Assunta commissionata il 1° giugno 1549 (I.155) (si veda alle date 1549, 1° luglio, agosto, 3 e 29 ottobre, 16 novembre; 1550, 1°, 26 e 27 aprile, 6 luglio, 19 agosto, 2 ottobre, 24 novembre; 1551, 17 maggio; 1556, 26 aprile) (Libro di spese diverse 2017, p. 269). Versa allo speziale Quintiliano di Montolmo 6 scudi d’oro per l’oro consegnato al pittore Durante Nobili (Libro di spese diverse 2017, pp. 242-243). 1550, agosto, Ancona L’artista mette in vendita presso la Loggia dei
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Mercanti, a mezzo di una lotteria, 45 suoi dipinti, compresi i 30 disegni colorati delle tarsie bergamasche, sperando di ricavarne 400 scudi. I risultati sono deludenti e vengono ceduti solo 7 dipinti, con un ricavato di 39 scudi e 29 bolognini. L’elenco delle opere in vendita è il seguente: “Quadri n° 30 del Testamento Vechio zoè 26 piccoli et 4 grandi; El quadro del Melchisedech [I.131]; El quadro grande de la Madona e Cristo san Joanino Helisabet et Zacharia san Josep et tre anzolettj [I.146]; El quadro de Luciffero [I.136]; El quadro de san Joan Baptista che bateza Cristo [I.129]; El quadro de Maria con el putin che dorme; El quadro de l’Apollo [I.86]; El quadro de la adultera [I.113]; El quadro de la Susana [VI.84]; El quadro de san Joan Baptista giovineto [VI.84]; El quadro de san Cristoforo [VI.84]; El quadro de la Madallena [VI.84]; El quadro del san Hieronimo [VI.84]; El quadro del putin che porta la croce [VI.84]; El quadro de l’anima rationale [VI.84]; El quadro de la Madona con san Joanino e Zacharia [I.141]; El quadro de lo abatimento de la forteza con fortuna [I.150]” (Libro di spese diverse 2017, pp. 206, 355-359). Il pittore Durante Nobili, collaboratore di Lotto, chiede del denaro per alcune spese e per tornare a casa dalla madre malata; gli consegna anche quattro bollettini per la lotteria organizzata ad Ancona (Libro di spese diverse 2017, p. 152). Giovanni Taurino da Montepulciano, vicegerente di Vincenzo de Nobili ad Ancona, ordina il suo ritratto a mezzobusto (VI.83) (per Lucco [1990] identificabile con il Ritratto di uomo con mantello a Brera: I.156). Tela, telaio e colori sono a spese del pittore, che valuta l’opera 12 scudi, ma ne riceve solo 3 tramite Ercole Ramazzani, con la promessa di fargli “ristoro in altre cose” (Libro di spese diverse 2017, pp. 256, 257). 1550, 4 agosto, Ancona Lotto termina di pagare l’anello vendutogli dal profumiere Marco nel maggio del 1550 versandogli 3 fiorini (Libro di spese diverse 2017, p. 216). 1550, 19 agosto, Ancona Giovan Francesco e Alessandro Todini inviano a Lotto, tramite Francesco Bernabei, 25 scudi per la pala dell’Assunta (I.155) commissionata il 1° giugno 1549 e già consegnata (si veda alle date 1549, 1° luglio, agosto, 3 e 29 ottobre, 16 novembre; 1550, 1°, 26 e 27 aprile, 6 e 31 luglio, 2 ottobre, 24 novembre; 1551, 17 maggio; 1556, 26 aprile) (Libro di spese diverse 2017, p. 269). 1550, 20 agosto, Ancona Chiude la collaborazione con Giuseppe Belli versandogli il salario di quattordici mesi, pari a 3 scudi d’oro, in presenza del pittore Giovanni Matteo Pozzo. Lotto deve inoltre 18 scudi a Durante Nobili per un lavoro non meglio specificato (Libro di spese diverse 2017, pp. 151, 192).
1550, 22 agosto, Ancona Marco Antonio Palazzi viene assunto come addetto alla vendita dei biglietti della lotteria indetta dal Lotto ad Ancona presso la Loggia dei Mercanti, ricevendo un compenso di 3 scudi mensili (Libro di spese diverse 2017, p. 219). 1550, 25 agosto, Ancona Paolo Antonio Pozzo concorda con Lotto un anno di apprendistato per il figlio Giovan Matteo, che era entrato a bottega il 22 luglio 1550 con un salario di 18 scudi annui. La permanenza del ragazzo termina però dopo pochi mesi (veda alla data 26 novembre 1550) (Libro di spese diverse 2017, p. 271). 1550, settembre, Ancona Lotto riceve da Ludovico Grazioli 2 scudi (si veda anche alle date 1550, settembre, 28 settembre e 5 ottobre) (Libro di spese diverse 2017, p. 203). 1550, 3 settembre, Ancona Versa allo speziale Quintiliano di Montolmo 40 paoli per del materiale pittorico acquistato (Libro di spese diverse 2017, p. 242). 1550, 5 settembre, Ancona Riscuote presso Dario Franceschini il credito per la Madonna in gloria e i santi Giovanni Battista, Antonio da Padova, Maddalena e Giuseppe (I.148) che gli deve Giacomo Boninfanti (si veda alla data 1547, 16 novembre). Franceschini, inoltre, gli commissiona la “racontiatura de un suo ritrato fato da altri et un coperto in esso con doi figurine, lo abatimento de la forteza con fortuna” per quatto scudi (I.150). Si tratta della stessa opera realizzata per il diamantaio Rocco nel maggio del 1549 e rifiutata dallo stesso nel giugno del 1550. Anche Dario Franceschini rifiutò la tela, che troviamo dunque menzionata tra le opere aggiudicate nella lotteria di Ancona del 1550 (Libro di spese diverse 2017, p. 148). 1550, 9 settembre, Ancona Con un atto rogato dal notaio Riccardo Mazzei, alla presenza di Angelo Piero e Girolamo Fiorini, Lotto assume come garzone il quattordicenne Marco Catalenich, originario di Fiume, presentato dai suoi maestri, Paolo di Terenzio da Pesaro e il triestino Piero Zulian. L’accordo prevede sei anni di apprendistato durante i quali, oltre a imparare l’arte pittorica, il ragazzo deve occuparsi delle faccende di casa. Il pittore si impegna a fornirgli vitto e alloggio e un compenso di 10 scudi al termine del periodo pattuito (Libro di spese diverse 2017, p. 220; F. Coltrinari, in Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, pp. 193-194, n. VII.9). 1550, 11 settembre, Ancona Estingue il suo debito con lo speziale Quintiliano di Montolmo versandogli 5 fiorini e 29 bolognini (si veda il primo pagamento alla data 1550, 3 settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 242).
1550, 28 settembre, Ancona Lotto restituisce a Ludovico Grazioli 2 scudi (si veda anche 1550, settembre e 5 ottobre) (Libro di spese diverse 2017, p. 203). 1550, ottobre, Ancona Tra il 1° e il 12 di ottobre Lotto versa il secondo stipendio a Marco Antonio Palazzi, inizialmente stabilito in 3 scudi mensili, poi modificato in 2 (Libro di spese diverse 2017, pp. 218-219). Giovanni Taurino da Montepulciano commissiona un San Girolamo in abito cardinalizio mentre contempla la Croce (opera dispersa, VI.91) che Lotto valuta 15 scudi (si veda alle date 1551, 2 e 11 settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 256). 1550, 2 ottobre, Ancona Giovan Francesco e Alessandro Todini inviano a Lotto tramite Francesco Bernabei 25 scudi per la pala dell’Assunta (I.155), commissionata il 1° giugno 1549 (si veda alle date 1549, 1° luglio, agosto, 3 e 29 ottobre, 16 novembre; 1550, 1°, 26 e 27 aprile, 6 e 31 luglio, 19 agosto, 24 novembre; 1551, 17 maggio; 1556, 26 aprile) (Libro di spese diverse 2017, p. 269). 1550, 5 ottobre, Ancona Salda a Ludovico Grazioli 4 scudi avuti in prestito (si veda anche alle date 1550, settembre e 28 settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 202). 1550, 12 ottobre, Ancona Lotto versa a Marco Antonio Palazzi la seconda rata del suo compenso in qualità di addetto ai bollettini della lotteria (si veda alla data 1550, 22 agosto) (Libro di spese diverse 2017, p. 218). 1550, 9 novembre, Ancona Francesco Bernabei presta 10 scudi a Lotto (Libro di spese diverse 2017, p. 165). 1550, 12 novembre, Recanati Al prezzo di 5 ducati e 48 bolognini acquista, tramite Tommaso della Vecchia, una cortina azzurra alla fiera di Recanati per coprire un San Francesco (VI.85) (Libro di spese diverse 2017, p. 247). 1550, 13 novembre, Ancona Prende in affitto una casa situata ad Ancona nella parrocchia di San Pietro, di proprietà di Girolamo di Giovanni Battista Scalamonti, fino all’agosto dell’anno successivo. L’atto viene rogato dal notaio Pier Gentile Senili e sono presenti Ludovico Grazioli e Francesco Vecchioni (Libro di spese diverse 2017, pp. 196-197; Mozzoni, Paoletti 1996, p. 205; Coltrinari 2014, p. 944, doc. 4). 1550, 24 novembre, Ancona Riceve 50 scudi dagli eredi Todini, ultima rata a saldo per l’Assunta commissionata il 1° giugno 1549 (I.155), con atto ufficiale rogato dal
notaio Girolamo Giustiniani (si veda alle date 1549, 1° luglio, agosto, 3 e 29 ottobre, 16 novembre; 1550, 1°, 26 e 27 aprile, 6 e 31 luglio, 19 agosto, 2 ottobre; 1551, 17 maggio; 1556, 26 aprile) (Libro di spese diverse 2017, p. 269).
1550, 30 e 31 dicembre, Ancona Riceve 2 fiorini da Girolamo Gibellino, parte dei 40 lasciatigli in deposito il 27 novembre (Libro di spese diverse 2017, pp. 183, 199).
Invia ad Antonio Jacopo Cossa “boletinj n°22” della lotteria come parte del pagamento dovuto per l’acquisto di stoffa presso la sua bottega (si veda alla data 1551, 17 febbraio) (Libro di spese diverse 2017, p. 122).
1550, 26 novembre, Ancona Con disappunto di Lotto, Giovanni Matteo Pozzo interrompe il suo apprendistato dopo tre mesi (si veda alla data 25 agosto 1550) (Libro di spese diverse 2017, p. 270).
1551, Ancona Annota di aver versato al funzionario dell’Ufficio del registro di Ancona, “Fredinj da la gamba torta”, 10 scudi per dieci mesi d’affitto dell’anno 1551 (si veda alla data 1550, 13 novembre) con la tassazione di 1 grosso per scudo (Libro di spese diverse 2017, p. 240).
1551, marzo, Venezia e Marche Agostino Filago restituisce a Lotto le nove storie della Madonna di Loreto, due con cornice e sette senza, mentre tiene in bottega un San Cristoforo corredato di cornice (VI.77) (Libro di spese diverse 2017, p. 121).
1550, 27 novembre, Ancona Si reca a casa di Francesco Bernabei per saldare un debito di 10 scudi (Libro di spese diverse 2017, p. 164). Consegna a Girolamo Gibellino un deposito di 20 scudi, ovvero 40 fiorini, e tramite lui invia a Roma a Francesco Petrucci 17 cammei della sua collezione da mettere in vendita (Libro di spese diverse 2017, pp. 182, 198). 1550, dicembre, Ancona Isacco, ebreo spagnolo, ordina un ritratto a Lotto che però non verrà mai realizzato (Libro di spese diverse 2017, p. 198). 1550, inizio dicembre, Ancona Ercole Ramazzani da Rocca Contrada, figlio di Giovan Paolo, entra in bottega da Lorenzo Lotto come garzone. L’accordo, stipulato con l’orefice Francesco da Rocca Contrada, prevede che il pittore provveda alla formazione e a tutte le necessità del ragazzo per un anno, un periodo che successivamente viene prolungato a tre anni (Libro di spese diverse 2017, p. 155).
1551, 9 gennaio, Ancona Girolamo Gibellino consegna al garzone Ercole 1 scudo per Lotto, parte dei 20 scudi lasciatigli in deposito dal pittore il 27 novembre 1550 (Libro di spese diverse 2017, pp. 183, 199). 1551, 31 gennaio, Ancona Pier Paolo Siculo, maestro d’abaco ad Ancona, presta a Lotto 4 scudi (Libro di spese diverse 2017, p. 233). 1551, febbraio, Ancona Marino da Poza, mercante ragusano, commissiona a Lotto un ritratto (si veda alla data 1551, 2 marzo) (Libro di spese diverse 2017, p. 220). 1551, 4 febbraio, Ancona Affida a Petruccio Petrucci i cammei inviati a Roma al fratello Francesco affinché li venda (si veda anche alla data 10 settembre 1551) (Libro di spese diverse 2017, p. 232).
1550, 3 dicembre, Ancona Passa in città Lauro Orso, accusato di simpatie luterane e fuggiasco da Siracusa. Chiede a Lotto un aiuto finanziario che l’artista gli concede: “per suo pasazo a Venezia capitato qui in Ancona, bisognò io li acomodassi de scui doi” (Libro di spese diverse 2017, p. 204). Sostiene alcune spese per sistemare la casa presa in affitto da Girolamo Scalamonti, per un totale di 48 bolognini e 5 quattrini (Libro di spese diverse 2017, p. 196).
1551, 9 febbraio, Ancona Si reca nella bottega di Girolamo Gibellino per ritirare 22 paoli, parte del denaro lasciato in deposito il 27 novembre (Libro di spese diverse 2017, pp. 183, 199).
1550, 4 dicembre, Ancona Girolamo Gibellino invia a Lotto della stoffa per un valore di 8 fiorini e 16 bolognini, in virtù dei 20 scudi lasciati in deposito il 27 novembre (Libro di spese diverse 2017, pp. 183, 199).
1551, 11 febbraio, Ancona Riceve della stoffa da Girolamo Gibellino tramite il fratello di costui, Nicolò. Si precisa che la nota viene ricordata in data 17 febbraio, nella partita di Nicolò Gibellino (Libro di spese diverse 2017, pp. 183, 199).
1550, 24 dicembre, Ancona Riceve 2 scudi da Girolamo Gibellino, tramite il suo garzone Marco Catalenich, per il debito contratto il 27 novembre (Libro di spese diverse 2017, pp. 183, 199).
1551, 17 febbraio, Ancona Riceve dal mercante di panni Antonio Jacopo Cossa alcune braccia di stoffa in cambio di “boletinj n°22” della sua lotteria organizzata tra il 1550 e il 1551, e alcuni pagamenti in denaro (Libro di spese diverse 2017, pp. 122-123).
1550, 27 dicembre, Ancona Interrompe l’accordo di apprendistato stipulato con Marco Catalenich il 9 settembre “per non aver natura de poterlo domar” (Libro di spese diverse 2017, p. 221).
1551, 10 febbraio, Ancona Effettua delle spese per un totale di 66 bolognini per sistemare la casa presa in affitto da Girolamo Scalamonti (Libro di spese diverse 2017, p. 196).
1551, marzo, Ancona Sostiene una serie di acquisti per il mantenimento del suo garzone Ercole Ramazzani (Libro di spese diverse 2017, p. 155).
1551, 2 marzo, Ancona Riceve della stoffa da Girolamo Gibellino per il valore di 3 fiorini (Libro di spese diverse 2017, pp. 183, 199). Marino da Poza invia a Lotto, tramite il servitore Girardo, un acconto di 5 scudi per il ritratto commissionato nel mese di febbraio, che però non viene terminato a causa della partenza del mercante per Ragusa (Libro di spese diverse 2017, pp. 220-221). 1551, 3 marzo, Ancona Ludovico Grazioli presta 10 scudi a Lotto, il quale consegna come pegno alcuni gioielli: “pezi n° 16 de camei in agata colorate, cioè 12 segni cellesti et 4 teste di donna et pezi n° 8 de canelli de lappis lazuli et tuto in una bustetta coperta de veluto negro” (Libro di spese diverse 2017, p. 207). 1551, 25 marzo, Ancona L’affitto dovuto a Girolamo Scalamonti viene ridotto a 10 scudi per aver ristrutturato la casa a proprie spese (Libro di spese diverse 2017, p. 196). Invia in dono tre quadri con cornice a Francesco Bernabei: un San Francesco che riceve le stigmate, una Santa Chiara e una Madonna di Loreto, accontentandosi di “quella cortesia che piacesse a lui” (VI.87) (Libro di spese diverse 2017, p. 164). Regala a Vincenzo da Chio, cavaliere lauretano, un quadretto raffigurante la Madonna di Loreto con cornice in noce, stimato circa 4 scudi (VI.86). In cambio riceve un fiasco di vino, uva passa, pesce sotto sale, fichi e bottarga (Libro di spese diverse 2017, pp. 256-257). 1551, 31 marzo Francesco Bernabei rifiuta i tre quadri regalatigli dal Lotto “dopo alquanti dì con una letera goffamente” (si veda alla data 1551, 25 marzo) (VI.87) (Libro di spese diverse 2017, p. 165). 1551, post 31 marzo, Ancona Essendo la figlia di Eusebio Bonarelli, nobiluomo anconetano, entrata in convento, invia in dono a quest’ultimo tramite Pietro Bonarelli due quadretti, un San Francesco che riceve le stigmate e una Santa Chiara (opere disperse, VI.87), entrambi con cornice dorata, in cambio di un riconoscimento a suo piacimento. L’artista colloca questa nota nel mese di febbraio compiendo un evidente er-
rore, visto che entrambi i dipinti erano stati rifiutati da Francesco Bernabei il 31 marzo 1551 (si veda alla data 1551, 7 aprile) (Libro di spese diverse 2017, p. 154). 1551, 6 aprile, Ancona Tommaso della Vecchia concede a Lotto un prestito di 8 scudi, lasciati a suo nome “al bancho de Isac ultimo per calar in Becaria” (Libro di spese diverse 2017, p. 247). 1551, 7 aprile, Ancona Eusebio Bonarelli invia a Lotto 3 scudi per quadri avuti in dono dal pittore (si veda alla data 1551, post 31 marzo) (Libro di spese diverse 2017, p. 155). 1551, 11 aprile, Ancona Estingue il debito contratto il 31 gennaio con Pier Paolo Siculo, sia versandogli del denaro (3 scudi e 10 bologni), sia fornendogli generi alimentari (Libro di spese diverse 2017, p. 232). 1551, maggio, Ancona Riceve tramite “misser Baron” della stoffa da Girolamo Gibellino per confezionare un cappotto al garzone Marco, per un totale di 21 carantani (Libro di spese diverse 2017, pp. 183, 199). 1551, 13 maggio, Ancona Consegna a Durante Nobili 5 scudi d’oro per la collaborazione allo stendardo commissionato da Quintiliano da Montolmo (VI.90) (si veda anche alle date 1550, 4 maggio, 14 maggio; 1551, 29 agosto); il pittore riparte il giorno seguente per festeggiare l’Ascensione al suo paese. Altri due pagamenti per il lavoro eseguito sono annotati da Lotto ai giorni 29 agosto e 10 ottobre dello stesso anno (Libro di spese diverse 2017, p. 150). 1551, 14 maggio, Ancona Ludovico Grazioli concede a Lotto un prestito di 20 paoli (Libro di spese diverse 2017, p. 204). 1551, 17 maggio, Ancona Giovanni dal Coro rifiuta per amicizia il compenso che Lotto voleva corrispondergli per le commissioni svolte a Venezia in relazione alla realizzazione della pala dell’Assunta per San Francesco alle Scale in Ancona (I.155) (si veda alle date 1549, 1° giugno, 1° luglio, agosto, 3 e 29 ottobre, 16 novembre; 1550, 1°, 26 e 27 aprile, 6 e 31 luglio, 19 agosto, 2 ottobre, 24 novembre; 1556, 26 aprile). Alla stessa data Lotto ricorda la partecipazione dell’amico alla lotteria organizzata dal pittore ad Ancona tra 1550 e 1551 (Libro di spese diverse 2017, pp. 270-271). 1551, giugno, Ancona Invia in dono ad Agostino Filago, tramite il suo garzone Galeazzo de Passi da Bergamo, un quadretto con storie della Madonna di Loreto in occasione della sua nomina a cava-
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liere: “se la tenesse ne la camera sua insieme con el san Cristoforo”, che dunque aveva già regalato o venduto al Filago (VI.88) (Libro di spese diverse 2017, p. 120). 1551, giugno, Ancona Riceve da “misser Baron” delle stoffe per fare degli abiti per sé e per il garzone Ercole Ramazzani, per un valore di 43 carantani (Libro di spese diverse 2017, p. 135). 1551, 7 giugno, Ancona Caterina da Rocca Contrada, nonna di Ercole Ramazzani, viene assunta da Lotto come domestica per un anno, tramite Francesco da Rocca Contrada, orefice e balestriere (Libro di spese diverse 2017, p. 143). 1551, 10 giugno, Ancona Lotto prende in affitto dai frati di San Francesco alle Scale due magazzini da utilizzare come laboratorio e deposito delle opere. La cifra pattuita è di 6 scudi d’oro annui da consegnare a Sebastiano da Castel Durante (Libro di spese diverse 2017, pp. 164-165). 1551, luglio, Ancona Paga la domestica Caterina con 12 lire e della stoffa (Libro di spese diverse 2017, p. 142). 1551, 3 luglio, Ancona Lotto dichiara chiusa la lotteria aperta nell’agosto del 1550, con un ricavato di 39 scudi (Libro di spese diverse 2017, p. 207). 1551, 8 luglio, Ancona Paga 20 paoli la stoffa consegnata da Baron (Libro di spese diverse 2017, p. 134). Riceve da Ludovico Grazioli 10 paoli, parte del prestito concessogli il 14 maggio. Il saldo di altri 10 paoli viene effettuato il 28 dello stesso mese (Libro di spese diverse 2017, p. 205). 1551, agosto, Ancona Affronta delle spese per la domestica Caterina, che ha necessitato del medico, dello speziale e di alcune stoffe (Libro di spese diverse 2017, p. 142). Alessandro Robaza commissiona a Lotto il proprio ritratto in veste di sant’Alessandro armato (opera dispersa, VI.93) (si veda alle date 1551, 22 agosto, ottobre, 26 novembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 122). 1551, 14 agosto, Ancona Ottiene un prestito di 6 scudi impegnando i suoi gioielli presso Chinto, portoghese ebreo con banco ad Ancona, grazie alla mediazione di Isacco spagnolo (Libro di spese diverse 2017, p. 155). Il calzolaio Ercole realizza diverse scarpe per Ercole Ramazzani e la domestica Caterina tra l’agosto del 1551 e il marzo del 1552, pagate da Lotto con l’esecuzione del ritratto dell’uomo (VI.89) (Libro di spese diverse 2017, p. 155). 1551, 17 agosto, Ancona Versa 1 scudo, 3 bolognini e 2 quattrini alla
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moglie di Giovanni dal Coro alla presenza di donna Felice, massaia di don Benedetto, per le commissioni svolte dal marito a Venezia per suo conto (Libro di spese diverse 2017, p. 270). Paga delle stoffe a misser Baron per 8 carlini e 4 bolognini (Libro di spese diverse 2017, p. 134). 1551, 22 agosto, Ancona Alessandro Robaza dà 1 scudo a Lotto come primo pagamento per il quadro commissionato nel mese di agosto (VI.93) (si veda alle date 1550, ottobre, 26 novembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 123). 1551, 27 agosto, Ancona Riceve da Giovanni Taurino da Montepulciano 5 scudi d’oro in tre rate (27 agosto, 2 e 11 settembre) per il San Girolamo ordinato nell’ottobre del 1550 (VI.91) a Lotto, che lo aveva valutato 15 scudi (Libro di spese diverse 2017, p. 257). 1551, 29 agosto, Ancona Consegna a Durante Nobili 8 scudi e 64 bolognini per la collaborazione allo stendardo commissionato da Quintiliano da Montolmo (VI.90) (si veda anche alle date 1550, 4 maggio, 14 maggio; 1551, 13 maggio) (Libro di spese diverse 2017, p. 150). 1551, 1° settembre, Ancona Lotto rinnova il contratto d’affitto con Girolamo Scalamonti per un altro anno (Libro di spese diverse 2017, p. 197). 1551, 2 settembre, Ancona Giovanni Taurino versa 1 scudo come secondo pagamento per il San Girolamo commissionato nell’ottobre del 1550 (VI.91) (si veda anche alla data 1551, 11 settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 257). 1551, 10 settembre, Ancona Petruccio Petrucci restituisce a Lotto i cammei affidatigli per la vendita a Roma il 4 febbraio (Libro di spese diverse 2017, p. 233). 1551, 11 settembre, Ancona Giovanni Taurino versa gli ultimi 3 scudi per il San Girolamo ordinato nell’ottobre del 1550 (VI.91), arrivando così a 5 scudi totali, ritenuti sufficienti come retribuzione per l’opera (si veda anche alla data 1551, 2 settembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 257). 1551, ottobre, Ancona Alessandro Robaza versa a Lotto un secondo pagamento, di 1 fiorino e 5 bolognini, per l’acquisto di alcuni pigmenti utilizzati per il proprio ritratto commissionato ad agosto (VI.93) (si veda alle date 1551, 22 agosto e 26 novembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 123). Eusebio Bonarelli manda in regalo a Lotto da Roma della pelle di cervo (Libro di spese diverse 2017, p. 155).
1551, 10 ottobre Annota la vicenda del ritratto di Ludovico Grazioli, per alcuni identificabile nel Ritratto di uomo di fronte a una lapide oggi alla Fondazione Cavallini Sgarbi (I.157), per cui viene accordato un pagamento in denaro e cibo. Il nobile però muore durante l’esecuzione dell’opera, che gli eredi ricevono e pagano 8 scudi, cancellando così il debito di 10 scudi che il pittore aveva contratto precedentemente con Ludovico e restituendogli i cammei consegnati come pegno. Tali accordi vengono presi alla presenza di Bernardino da Osimo, Francesco da Staffolo e Francesco Vecchioni (Libro di spese diverse 2017, pp. 204-207). 1551, 16 ottobre, Ancona Il mercante Giovanni da Argenta commissiona a Lotto tre dipinti per la chiesa di Sant’Anna dei Greci ad Ancona: una Santa Elisabetta, una Veronica e una testa di San Giovanni decollato (opere disperse già prima del bombardamento del 1943, VI.92) (si veda alla data 1551, 21 ottobre) (Libro di spese diverse 2017, p. 270; Cucco 1983, pp. 350-351). 1551, 17 ottobre, Ancona Riceve dal Monte di Pietà 2 scudi per il pegno di un anello con brillante (Libro di spese diverse 2017, p. 223). 1551, 21 ottobre, Ancona Paga l’affitto a Girolamo Scalamonti sia dell’abitazione, 6 scudi e 76 bolognini e mezzo, che dello studio in San Francesco alle Scale, 3 scudi e 40 bolognini (Libro di spese diverse 2017, p. 196). Riceve 3 scudi d’oro per le opere commissionate da Giovanni da Argenta il 16 ottobre (VI.92), tramite il nipote Tommaso (Libro di spese diverse 2017, p. 271). 1551, 31 ottobre, Ancona Ritira dei soldi lasciatigli da Ludovico Grazioli presso il notaio Pier Gentile Senili in Piazza ad Ancona per il ritratto commissionato in ottobre (I.157). Riceve inoltre, tra il novembre del 1551 e il marzo del 1552, altri pagamenti in generi alimentari (Libro di spese diverse 2017, p. 205). 1551, novembre, Ancona Il balestriere Battista da Rocca Contrada commissiona a Lotto il proprio ritratto, identificabile nel Ritratto del balestriere conservato nella Pinacoteca dei Musei Capitolini a Roma (I.158), valutato dal pittore 8 scudi, ma che ritiene già pagati con delle cornici e ornamenti realizzati per alcuni quadri (Libro di spese diverse 2017, p. 134). 1551, 4 novembre, Ancona Lotto paga 1 scudo per l’affitto dei magazzini dei Francescani (Libro di spese diverse 2017, p. 164). 1551, 17 novembre, Ancona Consegna a Francesco Petrucci, mercante a
Roma, dei gioielli da affidare per la vendita all’orefice Francesco da Rocca Contrada, il quale riceve i beni in presenza delle parenti Caterina e Girolama Luchini. “In una busta lj camei sono li dodece segni cellesti moderni al precio da negociarli su li scuti 80; Un putino antico de mezo rilevo, legato in medaglia da beretta ut supra su lj scuti 20; Quatro teste di donne su lj scuti 25; Lo anello con la corniola, significata per la vita attiva e contemplativa su lj scuti 12; Canelli de lappis lazuli n° 8 su lj scuti 5 per suma scuti 142”. Il guadagno avrebbe dovuto consegnarlo a Tommaso della Vecchia ad Ancona. I beni invenduti vennero richiamati da Lotto già il 28 dicembre (Libro di spese diverse 2017, p. 166). Restituisce 6 scudi ricevuti in prestito al banco di Chinto, ebreo di origine portoghese, il quale rende al pittore i gioielli impegnati. Il denaro per saldare tale debito viene prestato a Lotto da Tommaso della Vecchia (Libro di spese diverse 2017, pp. 151, 247). 1551, 26 novembre, Ancona Consegna ad Alessandro Robaza il ritratto commissionato nel mese di agosto (VI.93), ricevendo un saldo di 15 paoli tramite Ercole Ramazzani. Il dipinto fu dunque pagato solo per il valore dei materiali utilizzati (si veda alle date 1551, 22 agosto e ottobre) (Libro di spese diverse 2017, pp. 122-123). 1551, dicembre, Ancona Il portoghese Abraam, banchiere a Pesaro, commissiona il proprio ritratto (opera dispersa, VI.95) per una spesa di 3 scudi d’oro, tela e telaio, dando un acconto di 4 paoli (si veda anche alla data 1552, 25 gennaio) (Libro di spese diverse 2017, p. 122). Consegna al calzolaio Ercole il ritratto accordato in cambio dei lavori svolti (VI.89)(Libro di spese diverse 2017, pp. 122-123). 1551, 2 dicembre, Ancona Invia a Roma a Francesco da Rocca Contrada, tramite il mulattiere Antonio da Firenze, sei quadri da rivendere o impegnare insieme ai gioielli precedentemente consegnati all’orefice; “El paese con Apollo addormentato… scuti 20” (I.86); “El quadro de la Susanna… scuti 15” (VI.107); “El san Joan Baptista zovene…scuti 20” (VI.94); “Et li due piccolj cioè putin con i misterij de la pasione e santa Maria Madalena…scuti 16” (VI.110) (Libro di spese diverse 2017, p. 166). Pier Paolo Siculo presta a Lotto 2 ducati (Libro di spese diverse 2017, p. 233). 1551, 28 dicembre, Ancona Scrive a Francesco Petrucci e Francesco da Rocca Contrada di consegnare a Pier Giovanni da Viterbo, agente di Vincenzo de Nobili, i quadri e i gioielli precedentemente inviati (1551, 17 novembre e 2 dicembre) “per causa de pericolarmi tal robe in maneggio de mastro Francesco orefece per desordeni cadutj de soj figliolj” (Libro di spese diverse 2017, pp. 166-167).
1552, Ancona Annota di aver versato al funzionario dell’Ufficio del registro di Ancona “Fredinj da la gamba torta” 14 scudi per l’affitto di tutto l’anno 1552 con la tassazione di 1 grosso per scudo (si veda alle date 1550, 13 novembre; 1551) (Libro di spese diverse 2017, p. 240). 1552, gennaio, Ancona Pier Giovanni da Viterbo si trova a Roma per ritirare presso Francesco da Rocca Contrada i quadri e i gioielli inviati al gioielliere il 2 dicembre da Lotto, il quale manda in quest’occasione a Francesco Petrucci “julij 23 et baiochi 8… che sono scudi 2 bl. 29 q. 2”. Lotto elenca i beni in questione (VI.94): “El quadro de nostra Dona con el putin che dorme […] scudi 25; Lo Apollo adormentato in monte Parnaso […] scudi 20[I.86]; La Susana […] scudi 15 [VI.107]; San Joan Baptista giovine[…] scudi 20 [VI.94]; Li doi piccoli cioè el putin co li misterij de la passione e santa Maria Madalena […] scudi 16; Precij de la medaglia e corniola: La medaglia da beretta con el putin […] scudi 20; E lo anello con la corniola […] scudi 12”. Il gioielliere può restituire al pittore i dipinti ma non i gioielli, perché li aveva impegnati mediante lo scultore Ludovico Lombardo per affrontare il viaggio verso Ancona, ricavandone 3 scudi (Libro di spese diverse 2017, pp. 166-167, 232). 1552, 1° gennaio, Ancona Effettua un pagamento di 20 bolognini al sarto Jachet, con bottega nella Loggia dei Mercanti ad Ancona (Libro di spese diverse 2017, p. 194) 1552, 14 gennaio, Ancona Consegna in dogana ad Antonio Jacopo Cossa 10 paoli, parte del pagamento dovuto per le stoffe acquistate il 17 febbraio 1551 (Libro di spese diverse 2017, p. 122). 1552, 25 gennaio, Ancona Il banchiere Abraam effettua un pagamento di 4 paoli per il ritratto commissionato nel dicembre del 1551 (VI.95) (Libro di spese diverse 2017, p. 123). 1552, 29 gennaio, Ancona Deve 3 scudi e 12 baiocchi al gioielliere Francesco da Rocca Contrada, cifra necessaria per riavere alcuni gioielli impegnati dall’orefice a Roma (Libro di spese diverse 2017, p. 166). 1552, 30 gennaio, Ancona Tommaso della Vecchia presta a Lotto 2 scudi da 20 grossi (Libro di spese diverse 2017, p. 247). 1552, 13 febbraio, Ancona Annota alcune transazioni finanziarie tra lui e Francesco da Rocca Contrada, testimone Francesco Vecchioni, per il trasporto dei quadri a Roma e il rientro dei gioielli ad Ancona (si veda alle date 1551, 17 novembre e 2
dicembre), con un rimanente credito a favore di Lotto di 5 fiorini e 32 bolognini (Libro di spese diverse 2017, p. 166). 1552, 18 febbraio, Ancona Viene informato da una lettera di Pier Giovanni da Viterbo che Francesco Petrucci è riuscito a vendere il dipinto con la “nostra Donna con el putin che dorme” (VI.94) per 3 scudi d’oro, e a riavere i due gioielli impegnati: “un putin antico più che mezo rilevo, legato in medaglia da beretta et uno anello con una bellissima corniola anticha con una gruva che si leva a volo”, riscossi con 3 scudi e 12 baiocchi di interessi. Il pittore però non ha ancora ricevuto i soldi ricavati, né ha più avuto notizie dei dipinti invenduti: “Apollo in monte Parnaso con le muse, quello dorme et quelle confuse [I.86]. Et sono un san Joannino giovinetto in heremo [VI.94]. Et sono un altro quadro di Susana nel bagno con li dui vechj blandenti [VI.107]. Et sono due quadretj piccoli fornitj de noce ad uso di spechio, et depinto un Jesu Christo in pueril forma con li misteri dela pasione in nubbe [VI.110] et una santa Maria Madalena [VI.94]” (Libro di spese diverse 2017, pp. 167, 233). 1552, 20 febbraio, Ancona Scrive a Pier Giovanni da Viterbo chiedendo di affidare a Francesco Petrucci i dipinti e i gioielli invenduti da Francesco da Rocca Contrada (Libro di spese diverse 2017, p. 233). 1552, 3 marzo, Ancona Paga un altro scudo per l’affitto dei magazzini dei Francescani (Libro di spese diverse 2017, p. 164). 1552, 4 marzo, Ancona Riceve da Petruccio Petrucci alcune stoffe da utilizzare per il vestiario di Ercole Ramazzani e della tela per dipingere (Libro di spese diverse 2017, p. 235). 1552, 7 marzo Ancona Paga un altro scudo per i magazzini, che dal mese di agosto sono a disposizione di Girolamo Scalamonti, il quali divide l’affitto con l’artista (Libro di spese diverse 2017, p. 164). 1552, 9 marzo, Ancona Si accorda con Girolamo Scalamonti sull’affitto condiviso dei magazzini dei frati francescani per 14 scudi annui (Libro di spese diverse 2017, p. 196). 1552, 29 marzo, Ancona Invia il garzone Ercole Ramazzani al Monte di Pietà a impegnare alcuni abiti per un valore di 4 scudi, con il riscontro del bollettino firmato da messer Girolamo Senati (Libro di spese diverse 2017, p. 223). Estingue il debito contratto il 2 dicembre 1551 con Pier Paolo Siculo versandogli 30 paoli, vale a dire 3 scudi e 10 bolognini (Libro di spese diverse 2017, p. 232).
1552, aprile, Ancona Acquista tessuti e medicinali per la domestica Caterina (Libro di spese diverse 2017, p. 142). Madonna Maria, vedova di Antonio Durante, commissiona a Lotto un ritratto, rimasto incompiuto (VI.99), e consegna 1 scudo d’oro al garzone Gerardo (si veda anche alla data 1552, 16 luglio) (Libro di spese diverse 2017, pp. 220-221). Lotto omaggia Gaspare Dotti, protonotario apostolico di Loreto di origine veneziana, con un San Francesco che riceve le stigmate con cornice dorata (opera dispersa, VI.96), valutato dal pittore 2 scudi (Libro di spese diverse 2017, p. 224). 1552, 5 aprile, Ancona Camillo, dottore di Macerata, ordina a Lotto il suo ritratto e anticipa 1 paolo, rinunciando al dipinto a metà dell’esecuzione (VI.97) (Libro di spese diverse 2017, pp. 144-145). Giovan Paolo Corbetta presta a Lotto 1 scudo d’oro (Libro di spese diverse 2017, p. 273). 1552, 10 aprile, Ancona Vincenzo de Nobili, governatore delle Armi in Ancona e nipote di Giulio III, commissiona a Lotto un ritratto del figlio Roberto, opera valutata dal pittore 30 scudi. Lotto annota di aver dipinto quasi un anno prima il ritratto dello stesso Vincenzo de Nobili, completo di cornice e coperto, per omaggiare l’effigiato (dispersa, VI.98), senza mai avere avuto in cambio qualche tipo di riconoscimento, benché il valore dell’opera fosse di circa 40 scudi. Ricorda inoltre i due dipinti realizzati per il vicegerente Giovanni Taurino da Montepulciano e “un retrato al maestro di casa valse scudi 10” (VI.83), lamentando di aver ricevuto per tutte le opere solo 13 scudi (si veda anche alla data 1552, 16 aprile) (Libro di spese diverse 2017, p. 256). 1552, 16 aprile, Ancona Vincenzo de Nobili consegna a Lotto tramite Ercole Ramazzani 5 scudi per il ritratto del figlio Roberto commissionato il 10 aprile (VI.98) (Libro di spese diverse 2017, p. 257). 1552, 17 aprile, Ancona Trascorsi sei mesi dalla consegna al Monte di Pietà di un anello (si veda alla data 1551, 17 ottobre), Lotto decide di lasciarlo ancora in deposito (Libro di spese diverse 2017, p. 223). 1552, maggio, Ancona Effettua un secondo pagamento di 60 bolognini al sarto Jachet (si veda alla data 1552, 1° gennaio) (Libro di spese diverse 2017, p. 194). Ottiene in prestito 1 scudo dal frate domenicano Angelo Ferretti di Ancona (Libro di spese diverse 2017, p. 123). Riceve tramite Pier Giovanni da Viterbo una lettera di Francesco Petrucci scritta per mano di Luca Panze, contenente il denaro ricavato dalla vendita della Madonna col Bambino (VI.94), ovvero “julij vinti trè e baiochi otto”. Lamenta però di non avere ancora ricevuto né i cinque quadri né i due gioielli invenduti (Libro di spese diverse 2017, pp. 167, 233).
1552, 18 maggio, Ancona Versa altri 10 paoli ad Antonio Jacopo Cossa che, essendo ammalato, fa ritirare i soldi dai fratelli (si veda l’accordo alla data 1551, 17 febbraio) (Libro di spese diverse 2017, p. 122). 1552, 21 maggio, Ancona Petruccio Petrucci comunica a Lotto che il fratello Francesco ha ricevuto tramite Pier Giovanni da Viterbo i dipinti (VI.94) e i gioielli da mettere in vendita a Roma, ovvero “primo san Joan Batista al’heremo giovinetto, 2° lo Apollo con le muse l’un dormiente e l’altre confuse [I.86], el 3° Susana nel bagno con li dui vechi blandienti [VI.107], el 4° un putin in forma de Yesu Christo con li misterij de pasione in nubbe [VI.110], el 5° una Maria Madalena levata da li angeli in aria, tuti doj questi sono piccolj et legati in noce a uso de spechj. Item ancora avisa haver una medaglia da beretta con il putin in cameo antico. Etiam avisa haver havuto lo anello con la corniola legata anticha de la gruva che volla, et avisa che li denareti restati de la vendita de la Madona non l’ha havuti da misser Per Giovanni sopra ditto, ma ditto darlielj…” (Libro di spese diverse 2017, p. 234). 1552, giugno, Ancona Domenico Salimbene porta a Lotto il ritratto con cornice e il suo coperto che era stato commissionato dal mercante fiorentino Donato Nobili (VI.105), ma che lo stesso non voleva più. Lotto regalerà tale opera al Salimbene come pagamento per alcuni lavori (Libro di spese diverse 2017, pp. 151-153). 1552, 8 giugno, Ancona Sebastiano Marchetti, mercante bergamasco a Jesi, vanta un credito di 4 scudi d’oro nei confronti di Lotto (Libro di spese diverse 2017, p. 136). Lotto versa ad Antonio Jacopo Cossa 3 scudi, ritirati il giorno 27 dello stesso mese dal fratello Cossa di Cossa, ritenendo chiuso l’accordo stipulato il 17 febbraio 1551. In realtà effettuerà in favore di Cossa altri versamenti fino al 22 marzo 1553 (Libro di spese diverse 2017, pp. 122-123). 1552, 13 giugno, Ancona Invia il garzone Ercole Ramazzani al Monte di Pietà a impegnare un tappeto per un valore di 1 scudo, con il riscontro del bollettino firmato da messer Girolamo Senati (Libro di spese diverse 2017, p. 223). 1552, 18 giugno, Ancona Giacomo Ferrari presta 4 scudi a Lorenzo Lotto, che in pegno gli lascia alcune pietre preziose della sua collezione: “12 segni celesti et teste n° 4 de done, tuti in agate orientali, et canelli de lapis lazulj n° 8” (Libro di spese diverse 2017, pp. 198-199). 1552, 20 giugno, Ancona Alla presenza di Girolamo Senili e Alessandro Todini consegna 3 scudi a Francesco Busago, agente degli eredi di Ludovico Gra-
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zioli, che in cambio restituiscono i cammei depositati come pegno (Libro di spese diverse 2017, pp. 206-207). 1552, 29 giugno, Ancona Battista, mastro tornitore veneziano, commissiona il proprio ritratto a Lotto (opera dispersa, VI.100) anticipando mezzo scudo (si veda anche alle date 1552, 5 luglio, 12 agosto) (Libro di spese diverse 2017, pp. 134-135). 1552, luglio, Ancona Antonio, tintore veneziano con bottega a Porta Calamo in Ancona, presta a Lotto 5 paoli (Libro di spese diverse 2017, p. 119). Il governatore della chiesa di Loreto Gaspare Dotti commissiona a Lotto dodici figure di profeti e sibille “de chiaro et scuro da esser posti in la chiesa lauretana in ornamento a li pilastri de la navata” (opere disperse, VI.101), valutate dall’artista 9 scudi, ovvero 120 carantani. Gli vengono commissionate anche decorazioni effimere sul fondo della navata, che però non verranno mai eseguite. Il governatore consegna a Lotto, tramite un dipendente di Tommaso della Vecchia, 1 scudo e mezzo per sostenere le prime spese (Libro di spese diverse 2017, pp. 174-175, 224). 1552, 5 luglio, Ancona Il mastro tornitore Battista versa 30 bolognini a Lotto in casa di Tommaso della Vecchia per il ritratto commissionato il 29 giugno (VI.100) (Libro di spese diverse 2017, p. 135). 1552, 16 luglio, Ancona Donna Maria, vedova di Antonio Durante, consegna a Lotto tramite Ercole Ramazzani 2 scudi per il ritratto commissionato nel mese di aprile, pagato dunque in tutto 3 scudi. Il pittore sottolinea però che il giusto valore dell’opera, lasciata a buon prezzo, sarebbe stato di 8 scudi (Libro di spese diverse 2017, p. 221). 1552, 22 luglio, Ancona Versa ad Antonio Jacopo Cossa 3 scudi per la stoffa acquistata nel febbraio del 1551 (Libro di spese diverse 2017, p. 122). 1552, 31 luglio, Ancona Il calzolaio Ercole gli presta 1 scudo, restituito il 21 maggio 1553 (Libro di spese diverse 2017, p. 157). 1552, 5 agosto, Ancona Antonio, tintore veneziano con bottega a Porta Calamo in Ancona, gli presta 1 fiorino e 10 quattrini, consegnati a Ercole Ramazzani (Libro di spese diverse 2017, p. 119). 1552, 12 agosto, Ancona Tramite Ercole Ramazzani, riceve 2 carantani dal tornitore Battista per il ritratto commissionato il 29 giugno (VI.100) e lo stesso giorno altri 16 bolognini in casa di Tommaso della Vecchia (Libro di spese diverse 2017, p. 135).
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1552, 13 agosto, Ancona Riceve 2 fiorini da un dipendente di Tommaso della Vecchia per i dipinti da realizzare per Gaspare Dotti (VI.101) (Libro di spese diverse 2017, p. 175). 1552, 15 agosto, Ancona Giovan Paolo Corbetta gli presta 5 paoli (Libro di spese diverse 2017, p. 273). 1552, 19 agosto, Jesi Stipula un contratto con Pierfrancesco Amici e Amico Franciolini per la realizzazione di “una ancona de pictura coi soi ornamenti de lignami, intagli et dorata”, secondo le direttive di Vincenzo Amici. I disegni della pala (VI.108) vengono approvati durante la stesura dell’accordo presso il notaio Aurelio Aureli con testimone il mercante bergamasco Sebastiano Marchetti, il quale possedeva il disegno della cornice. Lotto si impegna a consegnare l’opera in un anno e mezzo, anticipando la spesa prevista di 300 scudi in moneta marchigiana (vale a dire 600 fiorini), resi da Amici in tre rate da 100 scudi ciascuna. Il pittore si impegna inoltre a occuparsi del trasporto e del posizionamento della pala sull’altare di San Biagio nel duomo di Jesi (si veda anche alle date 1552, 31 agosto, 31 ottobre, novembre; 1553, maggio, 17 maggio, 8 ottobre, 7 novembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 236; Annibaldi 1902, p. 99; Mozzoni, Paoletti 1996, p. 206). 1552, 20 agosto, Ancona Viene stimato un debito di 30 scudi nei confronti di Tommaso della Vecchia, alla presenza del suo fattore Tommaso Roverado (Libro di spese diverse 2017, p. 247). 1552, 25 agosto, Ancona Riceve 2 fiorini da un dipendente di Tommaso della Vecchia per i dipinti da realizzare per Gaspare Dotti (VI.101) (Libro di spese diverse 2017, p. 175). Annota degli acquisti effettuati presso Giovanni Maria da Treviso, speziale ad Ancona sotto l’insegna dell’Agnus Dei, tra maggio e agosto del 1552, per un totale di circa 2 scudi e 10 bolognini (Libro di spese diverse 2017, p. 245). 1552, 26 agosto, Ancona Francesca Alberici gli consegna un quadro con ornamento e coperto da vendere. Per questo dipinto Lotto deve anticipare 1 scudo d’oro e consegnare eventuale altro denaro ricavato dalla vendita. Secondo l’accordo, in caso di morte del pittore la donna avrebbe potuto riscuotere il dipinto (Libro di spese diverse 2017, p. 169).
1552, 30 agosto, Ancona-Loreto Lascia Ancona per trasferirsi a Loreto con Ercole Ramazzani. Giunge con tutte le sue “robe” alla Santa Casa di Loreto, avendo ottenuto dal governatore Gaspare Dotti, protonotario apostolico veneziano, vitto e alloggio oltre alla possibilità di “lavorare per altri”, in cambio della sua attività di pittore presso la Santa Casa, da svolgersi in qualità e quantità che “parà a mia consentia”. Alla stesura dell’accordo sono presenti Tommaso della Vecchia e Girolamo Gibellino (Libro di spese diverse 2017, p. 225). 1552, 31 agosto, Loreto Domenico Salimbene, intagliatore della cornice della Pala Amici (VI.108), riceve da Lotto 10 scudi d’oro, cioè 23 fiorini, tramite Tommaso della Vecchia (si veda anche alle date 1552, 19 agosto, 31 ottobre, novembre; 1553, maggio, 17 maggio, 8 ottobre, 7 novembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 247). 1552, settembre, Loreto Riceve tre paia di occhiali, “olio de sasso, sponge e pomice” dal tornitore Battista per un dipinto commissionato il 29 giugno (VI.100) (Libro di spese diverse 2017, p. 135). 1552, 5 settembre, Loreto Ercole Ramazzani gli consegna 16 bolognini ricevuti da un dipendente di Tommaso della Vecchia per i dipinti da realizzare per Gaspare Dotti, commissionati nel mese di luglio (VI.101) (Libro di spese diverse 2017, p. 175). 1552, 30 settembre, Loreto Viene pagato per le decorazioni interne alla chiesa di Loreto, di cui oggi non rimane traccia: la cornice in una cappella, per 1 fiorino, e angeli e cartigli con motti della Vergine sotto i dodici profeti e sibille nella navata, per 12 fiorini (VI.101). Invia al cardinale Rodolfo Pio da Carpi, tramite Gaspare Dotti, un quadro di piccolo formato raffigurante la Madonna di Loreto del valore di 3 scudi (opera dispersa, VI.102) e un San Girolamo in un paesaggio (probabilmente riconoscibile nella tela oggi in Galleria Doria Pamphilj, I.153), del valore di 4, entrambi con cornice nera (Libro di spese diverse 2017, p. 224).
1552, 27 agosto, Ancona Ritira 30 ducati in deposito da Tommaso della Vecchia (Mastrosanti 2011, p. 105; Coltrinari 2018 [Lorenzo Lotto], p. 256).
1552, 31 ottobre, Loreto Pierfrancesco Amici consegna a Ercole Ramazzani 4 scudi d’oro per la pala commissionata il 19 agosto 1552 (VI.108), mentre altri 16 devono essere consegnati da Sebastiano Marchetti a Tommaso della Vecchia per conto del pittore (si veda anche alle date 1552, 31 agosto, novembre; 1553, maggio, 17 maggio, 8 ottobre, 7 novembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 237).
1552, 29 agosto, Ancona Eroga l’ultimo pagamento alla domestica Caterina, pari a 1 fiorino e 27 bolognini (Libro di spese diverse 2017, p. 142).
1552, novembre, Loreto Restituisce a Giacomo Ferrari i 4 scudi avuti in prestito il 18 giugno e in cambio torna in possesso delle pietre preziose consegna-
te come pegno, sempre tramite Tommaso della Vecchia (Libro di spese diverse 2017, pp. 198-199). Fornisce a Giovanni dal Coro il disegno della cornice per la Pala Amici (VI.108) di Jesi tramite Cecco, organista di San Ciriaco, che riporta a Lotto la lettera dell’amico in cui valuta il lavoro da svolgere in 35 scudi. Nello stesso mese Lotto annota di dover dare all’architetto 2 scudi per essersi recato a Loreto a sue spese a prendere accordi con l’intagliatore Santi; sopraggiunta la morte dell’amico, mantiene i contatti con la vedova per saldare i suoi debiti (si veda anche alle date 1552, 19 e 31 agosto, 31 ottobre; 1553, maggio, 17 maggio, 8 ottobre, 7 novembre) (Libro di spese diverse 2017, pp. 270-272). 1552, 9 novembre, Loreto È menzionato tra i testimoni in un atto notarile con cui Gaspare Dotti mette in vendita alcuni beni della Santa Casa per saldare un debito di 5000 ducati (Grimaldi 2002, pp. 170-171). 1552, 17 novembre, Loreto Ercole Ramazzani lascia con circa due anni di anticipo la bottega di Lorenzo Lotto per incompatibilità caratteriale e di costumi, sciogliendo l’accordo in presenza del monsignore governatore di Loreto, che mette a disposizione del pittore un nuovo garzone, Felice del Tesoro, servo della Santa Casa. Il padre di Ercole, Giovan Paolo, è così in debito con Lotto dei soldi spesi per il vestiario durante il primo anno di apprendistato del figlio, per un totale di 17 fiorini e 14 bolognini (Libro di spese diverse 2017, pp. 156-157, 225, 272). 1552, dicembre, Loreto Chiede ad Agostino Filago di riprendere a Roma presso Francesco Petrucci tutto ciò che gli è dovuto: “uno de san Joan Baptista el’heremo giovineto [VI.94]; uno de la Susana nel bagno et li vechi [VI.107]; uno con Apollo dormiente in Parnaso e le muse andar disperse e la Phama levarsi a volo [I.86]; et uno piccolo ligato in noce con Yesu Christo bambino in aria con lj misterj de la passione [VI.110]; et un altro piccolo pur ligato in noce con santa Maria Madalena levata in aria da li angeli [VI.94]; et una medaglia da beretta legato un cameo bianco con un putino; et uno anello con una corniola legata; et li dinari julij vintitrè e baiochj 8 fu pagato a li soi agenti li 19 julij e mezo, non mi ricordo el tempo” (Libro di spese diverse 2017, p. 124). Utilizza il denaro ricevuto da Dotti nel mese di luglio, il 13 agosto e il 5 settembre, per comprare i colori necessari all’opera commissionata, come comunicato anche al tesoriere Fabio Liliani di Montecassiano e al contabile della Santa Casa di Loreto, don Santi (Libro di spese diverse 2017, p. 175). 1552, 31 dicembre, Loreto La Santa Casa annota le spese sostenute da
Lotto nell’agosto del 1552 per i materiali utilizzati per i profeti “et 12 epiteti” (VI.101), e per l’acquisto di una botte di vino e utensili di rame per la sua casa (Pittori a Loreto 1988, doc. VI, p. 39; Coltrinari 2016 [Artisti], p. 63, doc. 1552, 43). 1553 [nota senza data e senza luogo] Deve 7 scudi al Monte dei pegni per i beni impegnati e riscossi da Tommaso della Vecchia (Libro di spese diverse 2017, p. 222). 1553, gennaio, Jesi Tramite Tommaso Roverado, invia al tintore Antonio di Ancona 10 paoli a saldo del debito contratto tra luglio e il 5 agosto 1552. Gli consegna inoltre delle stoffe bianche affinché le tinga di giallo e le restituisca a lavoro ultimato (Libro di spese diverse 2017, pp. 118-119). Gaspare Dotti commissionata per l’Epifania delle “teste de spiritelli n°10 et alle de angeli n°8 collorato el tuto de colori a un paolo per uno e son paoli 18”; per la festa della Presentazione al Tempio di Gesù due piccole Madonne di Loreto “sopra li candellottj” per 16 bolognini, e “una arme grande del cardinale per la camera del governator da metter sopra el camino” per 4 fiorini, pagati il 23 gennaio (VI.103) (Libro di spese diverse 2017, pp. 174, 224). 1553, 1° gennaio, Jesi Consegna a Tommaso della Vecchia 2 scudi da portare a Cossa di Cossa. Il debito è relativo all’acquisto di stoffa effettuato presso la bottega del fratello Antonio Jacopo il 17 febbraio 1551 (Libro di spese diverse 2017, p. 122). 1553, 6 marzo, Loreto Deve consegnare a Gaspare Dotti un quadretto con “la istoria lauretana dato de mano del governator al cardenale de Augusta” (VI.104), ovvero il cardinale Ottone di Waldburg, per 2 scudi d’oro “chel cardinale volse darmi et governatore non volse”, scrive Lotto. Alla stessa data annota la realizzazione del “miracolo del podestà di Recanati” (VI.104) per cui ha impiegato cinque giornate, per il valore di 1 scudo (Libro di spese diverse 2017, pp. 174-224). 1553, 30 marzo, Loreto Vinciguerra Giglio, mercante di Recanati, riceve in pegno alcuni gioielli di Lotto: “pezi de agate orientali colorati dala natura ditj camej, pezi n° 16 videlicet pezi n° 12 con li segni cellesti di bassi rilevi tuttj seperati a una grandeza. Et pezi n° 4 con teste di donne. Et canelli de lappis lazuli n° 8 in una busteta de viluto negro, quali consignai da rescite in dinarj con homini grandi a Joanne bergamasco fator loro, li honesti precij fu li 12 segni tuti insieme su li 80 in 70 scuti d’oro, et le teste di done sul contorno de scuti 25, et li canelli de lappis lazuli non mancho de scuti 4” (Libro di spese diverse 2017, p. 258).
1553, aprile, Treviso Alla morte di Tommaso Costanzo, che aveva rifiutato il ritratto commissionato nel gennaio del 1545 (VI.69), il figlio Scipione ritira il dipinto lasciato presso Giovanni dal Saon a Treviso pagando 5 mocenigi su 27. Per questo motivo in data 15 maggio 1553 Lotto annota di essere creditore nei confronti di Giovanni dal Saon (Libro di spese diverse 2017, pp. 247, 285). 1553, maggio, Jesi All’inizio del mese riceve 75 scudi d’oro dalla famiglia Amici per la pala commissionata il 19 agosto 1552 (VI.108) (si veda anche alle date 1552, 31 agosto, 31 ottobre, novembre; 1553, 17 maggio, 8 ottobre, 7 novembre). Salda di conseguenza il debito contratto con Giovan Paolo Corbetta (si veda alle date 1552, 5 aprile e 15 agosto) (Libro di spese diverse 2017, pp. 237, 272). Deve restituire a frate Angelo Ferretti 10 paoli avuti in prestito nel maggio del 1552 (Libro di spese diverse 2017, pp. 122-123). Antonuccio da Jesi anticipa a Lotto 100 scudi per iniziare il lavoro in attesa della prima paga (Libro di spese diverse 2017, pp. 127, 237). 1553, 15 maggio, Treviso Segnala un credito di 6 scudi d’oro nei confronti di Giovanni dal Saon dopo che questi ha consegnato, senza chiedere l’autorizzazione, il ritratto di Tommaso Costanzo (VI.69) al figlio Scipione, che non ha pagato l’opera per intero, come anticipato in aprile (Libro di spese diverse 2017, p. 285). 1553, 17 maggio, Treviso Riceve da Pierfrancesco e Principella Amici 100 scudi come prima rata dell’ancona (VI.108) (si veda anche alle date 1552, 19 e 31 agosto, 31 ottobre, novembre; 1553, maggio, 8 ottobre, 7 novembre); il pittore Antonuccio da Jesi maestro di Andrea da Jesi presta fideiussione dell’esecuzione dell’opera (Annibaldi 1902, pp. 99-100; Mozzoni, Paoletti 1996, p. 206). 1553, 20 maggio, Ancona È in debito con Caterina da Rocca Contrada di 7 scudi, prestati al pittore in casa di Tommaso della Vecchia alla presenza della domestica di costui, Gabriella da Siena. Lotto restituisce tale somma tra l’8 settembre e il 17 ottobre dello stesso anno (Libro di spese diverse 2017, pp. 142-143). Consegna a Tommaso della Vecchia 40 scudi d’oro in deposito per pagare i materiali necessari alla Pala Amici di Jesi (VI.108) (Libro di spese diverse 2017, p. 246). L’intagliatore Domenico Salimbene di Firenze deve ricevere da Lotto 15 scudi come acconto per la cornice della Pala Amici di Jesi, le cui tavole erano state fornite da Giovan Paolo Corbetta al prezzo di 35 scudi. L’opera doveva essere finita per il mese di luglio (Libro di spese diverse 2017, pp. 150-151).
1553, 21 maggio, Ancona Riceve da Giovan Paolo Corbetta 1 scudo e 55,4 bolognini (Libro di spese diverse 2017, p. 269). Restituisce al calzolaio Ercole 1 scudo, avuto in prestito il 31 luglio 1552 (Libro di spese diverse 2017, p. 156). Deve a Petruccio Petrucci 1 scudo e 12 bolognini per alcune stoffe comprate tra il 4 marzo e il 21 maggio (Libro di spese diverse 2017, pp. 234-235). Paga 1 fiorino e 10 bolognini al tintore Antonio di Ancona alla presenza di “Julio camerier del governator lauretano” (Libro di spese diverse 2017, pp. 118-119). 1553, 22 maggio, Ancona In presenza di un notaio, Lotto estingue il suo debito nei confronti di Cossa di Cossa versandogli 69 bolognini (si veda alla data 1553, 1° gennaio) (Libro di spese diverse 2017, p. 122). 1553, 25 maggio, Loreto Riceve in prestito da Sebastiano, priore dell’ospedale di Loreto, 2 scudi d’oro da regalare a una ragazza povera in procinto di sposarsi; debito estinto dal pittore dopo venti giorni (Libro di spese diverse 2017, pp. 244-245). 1553, 27 maggio, Loreto Invia a Francesca Alberici 1 scudo d’oro, tramite il cognato Girolamo Bongrano, per un dipinto a lui affidato per la vendita ma rimasto invenduto (Libro di spese diverse 2017, p. 168). 1553, luglio, Loreto Agostino Filago restituisce a Lotto due gioielli (una medaglia da berretta e un anello con corniola) e cinque dipinti che aveva affidato a Francesco Petrucci il 2 dicembre 1551 per venderli a Roma, in parte gli stessi rimasti invenduti nella lotteria di Ancona: San Giovannino (VI.94); Apollo sul Parnaso (I.86); Susanna al bagno (VI.107); Cristo bambino in aria con i Misteri della Passione (VI.110); Maria Maddalena penitente sospesa in aria (VI.94) (Libro di spese diverse 2017, pp. 125, 167). 1553, 2 luglio, Loreto Il pittore Antonuccio da Jesi trascorre un periodo di tredici giorni come garzone di Lotto, collaborando sia per la realizzazione della Pala Amici (VI.108) che per “l’ornamento” del San Girolamo per Rodolfo Pio da Carpi (I.153), iniziato da Durante Nobili (Libro di spese diverse 2017, p. 125). 1553, 11 luglio, Ancona Durante Nobili diventa collaboratore di Lotto senza stipulare precisi accordi (Libro di spese diverse 2017, p. 153). 1553, 18 luglio, Ancona Consegna a Giovanni, fattore di Vinciguerra Giglio, altri gioielli come pegno (si veda alla data 1553, 30 marzo): “una medaglia da be-
retta con un putin in cameo biancho antico, et un anello legata una belissima corniola antica con una gruva che si leva a volo significata per la vita activa e contemplativa per haver ne li piedi un jugo et nel rostro il segno caduceo, presente misser Baldasar dal Monte S. Pietro de li Agli canonico de la Casa etiam misser Pier Paolo canonico de la Casa, et misser Matheo speciar da Morro et altri pur per causa de farne rescite, e la dita medaglia el precio circha 25 et lo anello da la corniola scuti 15, tuto a scuti d’oro et cedendo partito de rescite sia detrato dal ditto Joanne agente ut supra de li Vinciguerra a suo consienza abassar li precij” (Libro di spese diverse 2017, p. 258). 1553, 21 luglio, Ancona Paga 5 scudi a Domenico Salimbene tramite Tommaso della Vecchia (Libro di spese diverse 2017, pp. 150, 247). 1553, 26 luglio, Loreto Scrive di suo pugno una ricevuta consegnata al cavalier Filago in cui dichiara di aver riavuto alcuni dipinti affidatigli da vendere a Roma (Zampetti 1953[Lorenzo Lotto], p. 192; Libro di spese diverse 2017, pp. 21-22). 1553, luglio-agosto, Ancona Antonuccio da Jesi realizza alcune cornici per Lotto, tra cui ricorda quella per il San Girolamo per Rodolfo Pio da Carpi (I.153) (si veda alle date 1552, 30 settembre; 1553, 2 luglio) e quella per un ritratto femminile per Donato Nobili (opera dispersa, VI.105) (Libro di spese diverse 2017, p. 150). 1553, 4 agosto, Loreto Il medico e fisico Vincenzo consegna a Domenico Salimbene ad Ancona 6 fiorini e 5 bolognini per conto di Lotto (Libro di spese diverse 2017, p. 261). 1553, 10 agosto, Ancona Durante Nobili lascia Lorenzo Lotto per rientrare presso la propria abitazione, non facendo più ritorno. Il pittore prende quindi a bottega Simone de Magistris, figlio del pittore Giovanni Andrea di Caldarola e parente di Durante Nobili, sia per insegnargli l’arte pittorica, sia per occuparsi delle faccende domestiche. Il giovane rimane soltanto otto giorni (Libro di spese diverse 2017, pp. 153, 245). 1553, post 18 agosto, Ancona Prende in prova a bottega Paolo di San Ginesio, figlio del pittore Battista. Il ragazzo se ne andrà dopo solo venti giorni dopo aver rubato alcuni averi del maestro (Libro di spese diverse 2017, p. 245). 1553, 6 settembre, Loreto Il governatore di Loreto Gaspare Dotti presta a Lotto 5 scudi d’oro in nome della Santa Casa con un atto scritto in cui il pittore si impegna a restituirli (Libro di spese diverse 2017, pp. 175, 225).
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1553, 8 settembre, Loreto Consegna a Gaspare Dotti il San Girolamo con cornice a finto marmo e il suo coperto per il cardinale Rodolfo Pio da Carpi (I.159 e VI.106), opera dal valore di 46 scudi (40 il dipinto e 6 il coperto). Dalle annotazioni risultano aver lavorato alla cornice Durante Nobili e Antonuccio da Jesi per un compenso di 4 fiorini, e successivamente Domenico Salimbene, al quale spetta 1 scudo; quest’ultimo lavora anche come doratore nella cappella del Sacramento della chiesa di Loreto, ricevendo 1 fiorino. Lotto annota inoltre di aver realizzato ventisei tavolette in noce per le testiere dei letti dell’ospedale per 2 fiorini e 24 bologni in tutto (Libro di spese diverse 2017, pp. 174, 176, 224). 1553, 23 settembre, Loreto Assume come garzone Paolo, figlio del muratore Andrea Lombardo residente in San Severino, con l’accordo di provvedere al suo mantenimento per un anno e rinnovare il contratto quello seguente. Il ragazzo in seguito prenderà i voti diventando prete (Libro di spese diverse 2017, p. 238). 1553, 8 ottobre, Loreto Il pittore Antonuccio da Jesi torna a servizio da Lorenzo Lotto fino al 9 dicembre per portare a compimento la Pala Amici (VI.108) (si veda anche alle date 1552, 19 e 31 agosto, 31 ottobre, novembre; 1553, maggio, 17 maggio, 7 novembre) (Libro di spese diverse 2017, p. 125). Riceve un prestito di 5 scudi d’oro dal tesoriere della Santa Casa di Loreto, Vincenzo Molari (Libro di spese diverse 2017, pp. 175, 225, 261). 1553, 19 ottobre, Ancona Il pittore Antonuccio da Jesi viene pagato 35 scudi da Lotto tramite Tommaso della Vecchia (Libro di spese diverse 2017, p. 150). Lotto riceve 3 scudi da Domenico Salimbene, da restituirgli entro un mese (Libro di spese diverse 2017, p. 151). 1553, 20 ottobre, Ancona Francesco Vecchioni di Ancona è creditore nei confronti di Lotto per una cifra di 5 scudi. Parte di questo debito viene saldato dal pittore con i 5 fiorini e 32 bolognini che ancora gli doveva Francesco da Rocca Contrada, riscossi dal Vecchioni a suo nome (Libro di spese diverse 2017, pp. 166, 168-169). 1553, 30 ottobre, Jesi Viene erogato il secondo pagamento di 100 scudi da Pierfrancesco e Principella Amici per la pala commissionata il 19 agosto 1552 (VI.108). Lotto lascia ai committenti 40 scudi da consegnare ad Antonuccio da Jesi per la doratura della cornice. L’atto è rogato a casa di Principella e i testimoni sono Girolamo di Giovanni Marchetti e Bernardo di Giacomo (Libro di spese diverse 2017, pp. 124, 126, 237; Annibaldi 1902, p. 100; Mozzoni, Paoletti 1996, p. 207).
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1553, 31 ottobre, Loreto Consegna 30 scudi a Tommaso Roverado, sempre per le spese relative alla Pala Amici (VI.108) (Libro di spese diverse 2017, p. 246). 1553, novembre, Loreto Presta 10 paoli al falegname Giovan Piero da Treviso, residente a Monte Santo (oggi Potenza Picena, in provincia di Macerata), da scontare su alcuni lavori (Libro di spese diverse 2017, p. 272). 1553, 4 novembre, Loreto Alla presenza dell’architetto Galasso Alghisi da Carpi, Lotto rende al medico e fisico Vincenzo 3 scudi e 5 bolognini, ovvero 6 fiorini e 5 bolognini, anticipati a Domenico Salimbene per conto del pittore il 4 agosto 1553 (Libro di spese diverse 2017, p. 260). 1553, 7 novembre, Loreto Morto Giovanni dal Coro, Lotto consegna alla sua vedova, Margherita, 1 scudo per il lavoro svolto in relazione alla Pala Amici di Jesi (VI.108), cifra stimata da Domenico Salimbene, a cui viene conferito l’incarico di architetto (si veda anche alle date 1552, 19 e 31 agosto, 31 ottobre, novembre; 1553, maggio, 17 maggio, 8 ottobre) (Libro di spese diverse 2017, pp. 271-272). 1553, 11 novembre, Ancona Rende a Domenico Salimbene 6 fiorini avuti in prestito il 19 ottobre, inviati tramite il sarto Paolo di Ancona (Libro di spese diverse 2017, p. 150). 1553, 3 dicembre, Loreto Il garzone Paolo Lombardo lascia la casa di Lotto rompendo l’accordo di apprendistato (si veda alla data 1553, 23 settembre) in presenza di Antonuccio da Jesi (Libro di spese diverse 2017, p. 239). 1553, 9 dicembre, Loreto Dà del denaro al suo garzone Antonuccio da Jesi per tornare a casa (si veda alla data 8 ottobre) (Libro di spese diverse 2017, p. 124). 1553, 31 dicembre, Loreto Il tesoriere della Santa Casa di Loreto gli rimborsa le spese per il viaggio a Jesi (Gianuizzi 1894 [Lorenzo Lotto], p. 90). 1554, 26 gennaio, Loreto Assume un altro allievo, Bastiano di San Ginesio, fratello di Paolo (si veda alla data 1553, post 18 agosto), ma anche costui scompare rubando al maestro denaro, libri e vestiario (Libro di spese diverse 2017, p. 137). 1554, 24 maggio, Loreto Annota degli acquisti per il suo vestiario in occasione della festa del Corpo di Cristo (Libro di spese diverse 2017, pp. 176, 224). 1554, luglio, Loreto Consegna a Gaspare Dotti una Veronica con
il sudario e un tondo con un Crocifisso con cuore fiammante (opere disperse, VI.107), il tutto per 6 fiorini (Libro di spese diverse 2017, pp. 174, 224). Regala al Dotti una Susanna con cornice di noce del valore di 15 scudi, specificando che si tratta di un quadro da altri più volte rifiutato, dunque probabilmente identificabile con il dipinto rimasto invenduto alla lotteria di Ancona del 1550-1551 (VI.107) (Libro di spese diverse 2017, p. 224). 1554, agosto, Loreto Consegna a Gaspare Dotti “la bandiera da soldati la Madona de la Casa da doi bande”, ricevendo un compenso di 3 fiorini (Libro di spese diverse 2017, p. 176). Tommaso Roverado si reca a Venezia per consegnare 1 scudo d’oro e altro denaro a Domenico Salimbene a nome di Lotto (Libro di spese diverse 2017, p. 249). A Lotto vengono restituiti tutti i gioielli dati in pegno a Vinciguerra Giglio (si veda alle date 1553, 30 marzo e 18 luglio) (Libro di spese diverse 2017, p. 259). 1554, 8 agosto, Loreto Matteo da Morrovalle, speziale della Santa Casa di Loreto, presta a Lotto 2 scudi d’oro (Libro di spese diverse 2017, p. 245). 1554, 10 agosto, Loreto Riceve in prestito 2 doppioni bolognesi da Laura Simonetti, vedova di Dario Franceschini (Libro di spese diverse 2017, p. 209). 1554, 15 agosto, Loreto Viene registrata l’oblazione di Lorenzo Lotto presso la Santa Casa di Loreto (Libro di spese diverse 2017, pp. 175, 225). Annota di aver dato in pegno nel mese di marzo alcuni gioielli a Tommaso della Vecchia, consegnandoli a Tommaso Roverado: “li 12 segni cellestj in agate, 4 teste di donne in agate, una medeglia da bereta con un puttino antico in cameo bianco, duj anelli uno con corniola anticha bona intagliato una gruva che si leva, et l’altro ligato una plasma tagliata moderno, et 8 pezi di canellj di lappis lazuli” (Libro di spese diverse 2017, pp. 248-249). 1554, settembre, Loreto Matteo da Morrovalle, speziale della Santa Casa di Loreto, presta a Lotto 4 scudi d’oro per un viaggio a Jesi dove deve lavorare alla Pala Amici (VI.108); il pittore gli lascia come pegno 2 doppioni bolognesi prestatigli da Laura Simonetti, vedova Franceschini (Libro di spese diverse 2017, p. 245). 1554, 8 settembre, Loreto Cerimonia di oblazione di Lotto presso la Santa Casa: “In questa santissima capella della Madonna in ginocchione dinanzi al mio Signore Iddio Jesu Christo, alla sua santissima madre et a voi monsignor reverendissimo messer Gaspar de Dotti governatore di questa santissima casa spontaneamente e
perpetuamente offerisco, do, dono e dedico la propria volontà il corpo et tutta la mia robba che mi truovo et che pro tempore trovar mi potessi si mia vita come dopo morte a questo pio e santo luogo et in tutto e per tutto renuntio a essa mia volontà e mi connetto a quella di vostra signoria reverendissima, come moderno governatore e superiore di esso santo luogo e così giuro per haec sacra De Evangelia, pregando quella che accetti et incorpori me e tute le cose mie predette ad essa Santa Chiesa. E prego qui messer Lorenzo Masserotto canonico et cancelliero che delle cose predette se ne roghi e ne facci pubblico instrumento…” (Libro di spese diverse 2017, p. 175; Gianuizzi 1894 [Lorenzo Lotto], pp. 92-93; Mozzoni, Paoletti 1996, p. 207; F. Coltrinari, in Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, p. 194, n. VII.10). 1554, 10 novembre, Loreto Restituisce i 2 doppioni bolognesi avuti in prestito da donna Laura Franceschini (Libro di spese diverse 2017, p. 208). 1554, 21 novembre, Roma Lettera del cardinale Rodolfo Pio da Carpi, protettore della Santa Casa, con la quale si conferma e approva l’atto di oblazione del Lotto (Lorenzo Lotto a Loreto e Recanati 1980, p. 45; Pittori a Loreto 1988, pp. 47-48, doc. XII; Mozzoni, Paoletti 1996, pp. 207-208). 1554, 29 novembre, Loreto L’artista assume come allievo Camillo Bagazzotti di Camerino per farsi aiutare nei lavori alla Santa Casa di Loreto (Libro di spese diverse 2017, p. 145; Pittori a Loreto 1988, pp. 48-49, doc. XV; Coltrinari 2016 [Artisti], p. 75, doc. 1554, 60). 1555, Loreto Lotto invia a Francesco Vecchioni, tramite Giovan Paolo Corbetta, 40 paoli per un debito contratto con l’anconetano il 20 ottobre 1553 (Libro di spese diverse 2017, p. 168). 1555, 6 febbraio, Loreto Camillo Bagazzotti da Camerino, allievo del Lotto, riceve un pagamento per aver collaborato alla realizzazione dei quadri del coro (Lorenzo Lotto a Loreto e Recanati 1980, pp. 9697; Pittori a Loreto 1988, doc. XV, pp. 48-49). 1555, 16 febbraio, Loreto Tra le spese della Santa Casa si registrano 1 fiorino e 12 bolognini per il vestiario di Lorenzo Lotto (Lorenzo Lotto a Loreto e Recanati 1980, p. 97). 1555, 21 febbraio, Loreto Restituisce a Matteo da Morrovalle 2 scudi d’oro avuti in prestito l’8 agosto 1554 (Libro di spese diverse 2017, p. 244). 1555, 25 aprile, Loreto Don Lorenzo della basilica della Santa Casa presta 8 paoli a Lotto, resi al sacerdote l’8
giugno. Probabilmente per errore, il pittore annota il saldo del debito all’8 giugno 1550 (Libro di spese diverse 2017, p. 209). 1555, 30 giugno, Loreto Lotto riceve la provvigione di sei mesi dalla Santa Casa, pari a 12 fiorini l’anno (Coltrinari 2016 [Artisti], p. 81, doc. 1555, 35). 1555, 12 settembre, Loreto Lotto riceve dal tesoriere della Santa Casa un rimborso per le spese di vitto e vestiario sostenute (Lorenzo Lotto a Loreto e Recanati 1980, p. 97; Coltrinari 2016 [Artisti], p. 82, doc. 1555, 47). 1555, 1° novembre, Loreto Consegna a Veronica, moglie di Matteo da Morrovalle, 4 scudi d’oro avuti in prestito nel settembre del 1554. Come da accordi, vengono resi a Lotto i 2 doppioni bolognesi depositati come pegno, i quali vengono subito restituiti dal pittore a Laura Franceschini, che glieli aveva prestati (Libro di spese diverse 2017, p. 244). 1555, 9 novembre, Loreto La tesoreria della Santa Casa rimborsa a Lotto le spese di vitto e vestiario sostenute dal 12 agosto al 24 ottobre (Lorenzo Lotto a Loreto e Recanati 1980, p. 97; Coltrinari 2016 [Artisti], doc. 1555, 67). 1555, 7 dicembre, Loreto Antonuccio da Jesi riceve un pagamento dalla Santa Casa per la doratura della cornice della Pala Amici (VI.108) (Lorenzo Lotto a Loreto e Recanati 1980, p. 97; Coltrinari 2016 [Artisti], doc. 1555, 70). 1556, 14 gennaio, Loreto Riceve dalla Santa Casa la provvigione semestrale per il periodo terminato il 31 dicembre 1555 (Pittori a Loreto 1988, doc. XXX, p. 52; Coltrinari 2016 [Artisti], doc. 1556, 2). La Santa Casa rimborsa Agostino Filago di 2 fiorini e 12 bolognini spesi per una scatoletta di lacca per Lotto (Lorenzo Lotto a Loreto e Recanati 1980, p. 97; Coltrinari 2016 [Artisti], doc. 1556, 1). 1556, 13 febbraio, Loreto Riceve il rimborso di 10 fiorini, 7 bolognini e 4 soldi per le spese di vitto e vestiario dal 26 ottobre al 31 dicembre 1555 (Lorenzo Lotto a Loreto e Recanati 1980, p. 97; Coltrinari 2016 [Artisti], doc. 1556, 14).
p. 97; Coltrinari 2016 [Artisti], p. 87, doc. 1556, 18). 1556, 26 aprile, Loreto Su richiesta di Giovanni Molinello, nipote di Giovanni dal Coro, versa a Giovan Battista Picco, creditore della vedova dell’architetto, il restante denaro dovuto all’amico scomparso per le commissioni svolte a Venezia in relazione alla pala dell’Assunta in Ancona (I.155), per un totale di 2 scudi e 35 bolognini (si veda alle date 1549, 1° giugno, 1° luglio, agosto, 3 e 29 ottobre, 16 novembre; 1550, 1°, 26 e 27 aprile, 6 e 31 luglio, 19 agosto, 2 ottobre, 24 novembre; 1551, 17 maggio) (Libro di spese diverse 2017, p. 272). 1556, 9 luglio, Loreto Riceve 2 fiorini di elemosina, come oblato della Santa Casa, relativa ai mesi di maggio e giugno (Lorenzo Lotto a Loreto e Recanati 1980, p. 98; Pittori a Loreto 1988, p. 54, doc. XXXVII; Coltrinari 2016 [Artisti], p. 90, doc. 1556, 46). 1556, 21 luglio, Loreto Riceve 2 fiorini come elemosina mensile della Santa Casa (Lorenzo Lotto a Loreto e Recanati 1980, p. 98; Pittori a Loreto 1988, p. 54, doc. XXXVIII; Coltrinari 2016 [Artisti], p. 90, doc. 1556, 52). 1556, 19 agosto, Loreto Riceve dalla Santa Casa 7 fiorini, 30 bolognini e 5 quattrini per alcune spese (Pittori a Loreto 1988, p. 54, doc. XXXIX; Coltrinari 2016 [Artisti], p. 91, doc. 1556, 54). 1556, 1° settembre, Loreto Ultima annotazione del Libro di spese: Lotto invia all’amico Bartolomeo Carpan a Venezia, tramite Agostino Filago, 4 scudi d’oro perché siano consegnati alla “massara” Menega come regalo per il suo matrimonio, denaro promesso sin dal 1549 alla donna, che lo aveva amorevolmente assistito in casa dell’amico durante la sua malattia (Libro di spese diverse 2017, p. 278).
1557, 4 luglio, Loreto Il tesoriere della Santa Casa annota la vendita di “un terazzetto già di Lorenzo Lotto” (Pittori a Loreto 1988, p. 55, doc. XLII; Coltrinari 2016 [Artisti], p. 93, doc. 1557, 11). 1557, agosto, Venezia Ludovico Dolce nel Dialogo della pittura intitolato L’Aretino menziona la pala di san Nicola (I.76) nella chiesa veneziana dei Carmini quale “notabile esempio” di “cattive tinte” (Dolce 1557 (ed. 1960, p. 152). 1558, 7 marzo, Loreto Il tesoriere del santuario annota la vendita, successivamente annullata, di una camicia appartenuta a Lorenzo Lotto (Pittori a Loreto 1988, p. 55, doc. XLIII; Coltrinari 2016 [Artisti], p. 97, doc. 1558, 7). 1565, 1° luglio, Loreto Nell’inventario del guardaroba della Santa Casa sono indicati alcuni dipinti di Lorenzo Lotto (VI.111) tra cui: “quadri di Lorenzo Loto n° cinque uno del miraculo del Corpus Domini”, “quadro della rovina di giganti”, da riconoscersi con quello in collezione privata (I.149), “quadro in dicto loco di Lorenzo loto con la Natività di nostro Signore n° 1; Quadro di Lorenzo Loto in dicto loco con più donne in esso nude senza cornice n° 1”, probabilmente riconoscibile o nella Venere di collezione privata (I.58) o nella tela di Budapest (I.86) (Coltrinari 2015 [Quadri], pp. 573-588, doc. 3; F. Coltrinari, in Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, p. 194, n. VII.11). 1576, 26 settembre, Loreto Il governatore della Santa Casa Vincenzo Casali compra per 2 fiorini dal guardaroba del santuario “doi quadri in carta straciati e negletti l’uno di Noé e il diluvio e l’altro di Juditta”, identificati dagli studiosi con due dei cartoni di Lorenzo Lotto per le tarsie di Bergamo (Coltrinari 2015 [Quadri], p. 588, doc. 4).
1556, 18 settembre, Loreto Il tesoriere della Santa Casa versa a Lotto 7 fiorini, 22 bolognini e 5 quattrini, ultimo rimborso registrato a favore del pittore (Pittori a Loreto 1988, p. 54, doc. XL; Coltrinari 2016 [Artisti], p. 91, doc. 1556, n. 56).
1556, 14 marzo, Loreto Riceve da Venezia colori, pennelli e tre paia d’occhiali (Gianuizzi 1894 [Lorenzo Lotto], p. 91).
1557, 14 maggio, Loreto La Santa Casa rimborsa 26 fiorini e 36 bolognini al governatore Gaspare de Dotti per saldare un prestito di 13 scudi che Dotti aveva concesso a Lotto il 30 settembre 1555 (Coltrinari 2015 [Quadri], p. 573, docc. 1-2; Coltrinari 2016 [Artisti], p. 93, doc. 1557, 6).
1556, 19 marzo, Loreto Tommaso della Vecchia riceve un rimborso dalla Santa Casa per “più colori fatti venire per Venesia e più pennelli” per Lorenzo Lotto (Lorenzo Lotto a Loreto e Recanati 1980,
1557, 1° luglio, Loreto Lotto muore tra la fine di settembre del 1556 e il 1° luglio 1557, quando i documenti lauretani lo dicono già scomparso (Gianuizzi 1894 [Lorenzo Lotto], p. 91).
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Dipinti autografi
I.1
Ritratto di giovane 1498-1500 circa
Tavola, 34,2 × 27,9 cm Bergamo, Accademia Carrara Inv. 81LC00147 Provenienza: Bergamo, collezione Lochis (ante 1833 - fino al 1840); Mozzo, Villa Lochis (1840 circa - fino al 1866). Esposizioni: Venezia, Mostra di Lorenzo Lotto 1953, n. 3; Losanna, La pittura italiana 2008, n. 27; Ravenna, La cura del bello 2008; Roma, I grandi veneti 2010-2011, n. 21; Bergamo, Un Lotto riscoperto 2016-2017, n. 1; Madrid-Londra, Lorenzo Lotto. Portraits 2018-2019, n. 2. Restauri: 1869, G. Fumagalli; 1932, M. Pellicioli; 1974 (trattamenti antitarlo); 1984. Diagnostica: le riflettografie hanno evidenziato la presenza di un disegno sottostante particolarmente rifinito e suggeriscono che il berretto possa essere stato aggiunto in un secondo momento (si veda Lorenzo Lotto. Portraits 2018, p. 186 fig. 2.2). Bibliografia: Berenson 1895, pp. 35-36 (ed. 1901, p. 28; ed. 1905, p. 28); Frizzoni 1907, p. 44; Berenson 1932, p. 308 (ed. 1936, p. 264); Boschetto 1953, pp. 63-64 n. 3; Coletti 1953, p. 36 n. 4; Zampetti 1953, p. 6; Berenson 1955, p. 29 (ed. 1956, p. 13; ed. 1957, p. 13); Bianconi 1955, p. 74 (ed. 1963, II, p. 99 n. 211); Berenson 1957, I, p. 100 (ed. 1958, I, p. 104); Pignatti 1963, p. 38; Pope-Hennessy 1966, p. 129; Pignatti 1973, p. 263; Caroli 1975, p. 92 (ed. 1980, p. 78); Mariani Canova 1975, p. 87 n. 6; Zampetti 1975, p. 44 n. 1; Lucco 1980, p. 53; Guarino 1981, pp. 43-44; Sgarbi 1983, pp. 231-232; Eberhardt 1994, p. 132; Bonnet 1996, p. 198 n. 3; Cortesi Bosco 2000, pp. 113119; S. Facchinetti, in La pittura italiana 2008, p. 118 n. 27; G. Valagussa, in I grandi veneti 2010, pp. 76-77 n. 21; Mazzotta 2012, pp. 155-156; Ballarin 2016 [2018], II, p. 971, IV, tav. 46; Cortesi Bosco 2016, p. 233; G. Valagussa, in Un Lotto riscoperto 2016, pp. 84-85; E.M. Dal Pozzolo, in Lorenzo Lotto. Portraits 2018, pp. 185-188 n. 2.
Il dipinto costituisce la prima opera attribuibile con sufficiente plausibilità a Lorenzo Lotto giunta fino a noi. Si tratta di una tavoletta sottilissima (4 mm di spessore), forse di rovere, lievemente arcuata, in cui è raffigurato un giovane poco più che adolescente che ci osserva frontalmente, inclinando lievemente la testa verso la nostra sinistra. Ha tratti regolari, occhi azzurri e labbra carnose; il volto è incorniciato da una chioma con lunghi capelli inanellati che ricadono alle spalle. Indossa una berretta scura e una veste pure scura, annodata con un laccio, dalla quale fuoriesce il bordo di una camicia a girocollo bianca. La figura appare al di là di un parapetto in pietra chiara che la separa dall’osservatore. Il fondo quasi nero focalizza l’attenzione sul volto e sull’espressione, contraddistinta da un’aria sognante. Sul retro è simulato un finto marmo, che emula il diaspro di Sicilia (fig. a). Il dipinto proviene dalla collezione Lochis, nei cui cataloghi (1834, 1846 e 1858) portava l’ascrizione ad Hans Holbein, assieme a un altro ritratto – con il quale
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era montato a dittico – oggi riferito a Giovanni Bellini, pure alla Carrara. Dopo l’ingresso in museo, Cavalcaselle (1871) vi riconobbe un carattere a un tempo antonellesco e belliniano, mentre a Jacopo de’ Barbari pensarono Morelli (1891), Berenson nelle sue prime monografie (1895, 1901, 1905) e, in un primo tempo, Frizzoni (1907). Fu quest’ultimo il primo a indicare la paternità lottesca nel 1907 e – a parte alcuni dubbi manifestati da Bianconi (1955), Guarino (1981: Pier Maria Pennacchi?) e Bonnet (1996) – si è registrata una sostanziale concordia attributiva. Da allora la discussione si è concentrata sulla corretta collocazione cronologica, che alcuni individuarono nell’aprirsi del secolo (Boschetto 1953; Pope-Hennessy 1966; Milesi 2004; Valagussa 2010) o nel pieno della fase trevigiana, intorno al 1505 del Ritratto del vescovo Bernardo de’ Rossi (I.6) – così, ad esempio, Mariani Canova (1975) e Caroli (1980), che indicavano un 1503-1505, e Ballarin (2016 [2018]), 1504 – o ancora entro il 1508 (Pignatti 1963 e 1973). Più di recente, tuttavia, si è registrata la tendenza a una retrodatazione, ribadita in più di un’occasione da Cortesi Bosco (2000, 2007, 2016), che suggeriva il 1497 circa, e sostenuta da Facchinetti (2008), che indicava 14951500, e da chi scrive (2018). È in effetti evidente che – come svariati elementi inducono a credere – si tratta di un lavoro assai precoce, segnato da una rimeditazione personale sui modelli antonelleschi visibili nelle chiese (fig. b) e nelle collezioni private veneziane. La datazione più probabile sembra cadere alla fine del Quattrocento, non oltre i primissimi anni del nuovo secolo, anche in considerazione della tipologia dell’abbigliamento e dell’acconciatura (cfr. Eberhardt 1994). Rispetto ai precedenti di Antonello e ai suoi principali seguaci lagunari, tra tutti Jacometto Veneziano (si veda al riguardo quanto scritto nel saggio introduttivo, alle pp. 23-24), qui l’artista propone una soluzione che trasforma la canonica impostazione di tre quarti in una visione frontale: essa conferisce un ulteriore grado di intensità all’immagine, come se si fosse innanzi a una sorta di autocontemplazione dell’effigiato allo specchio. Lo stesso punto espressivo palesato, sospeso e melanconico, appare – per così dire – quasi anticipatamente giorgionesco: non si può escludere che a originarlo fosse stata la comune ricezione di esempi scultorei di marca protoclassica, pensando in particolare a talune figure eseguite da Tullio Lombardo nel celebre monumento ad Andrea Vendramin. Sembra alquanto probabile che questo Giovane abbia ispirato l’esecuzione di un Cristo benedicente già nella collezione Lanfranchi di Parma e poi in quella Martello a Fiesole, caratterizzato dall’adozione dello schema compositivo utilizzato da Antonello da Messina nel Cristo benedicente della National Gallery di Londra. L’attribuzione dell’opera oscilla tra il trevigiano Pier Maria Pennacchi e Jacopo da Valenza (fig. c): a parere di chi scrive questa seconda ipotesi pare più facilmente accoglibile. D’altro canto, la prima suggerì a Sgarbi (1977, 1983) la possibilità che proprio Pennacchi potesse essere stato il primo maestro del più giovane Lorenzo.
a
b
c
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I.2
Madonna col Bambino, san Pietro Martire e san Giovannino 1503
Tavola, 55,5 × 87 cm Firmata in basso a destra sul sedile della Vergine: L. LOTVS P. Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte Inv. Q55 (1930) Provenienza: Roma, palazzo Farnese (ante 1641, come di Perugino); Napoli, palazzo di Capodimonte (dal 1760); palazzo degli Studi (ante 1806-1816); Real Museo Borbonico; Museo Nazionale (fino al 1957). Esposizioni: Venezia, Mostra di Lorenzo Lotto 1953, n. 6. Restauri: 1964, L. Tintori. Diagnostica: RX, Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte (De Rinaldis 1928), Venezia, Palazzo Ducale (1953). Bibliografia: Berenson 1895, pp. 4-6 (ed. 1901, pp. 3-4; ed. 1905, pp. 3-4); Frizzoni 1896, p. 6; Biscaro 1898 (Lorenzo Lotto), pp. 146, 148; Biscaro 1901, p. 161; Biscaro 1930, p. 32; Berenson 1932, p. 310 (ed. 1936, p. 266); Banti 1953, p. 9; Boschetto 1953, pp. 64-65 n. 7; Coletti 1953, p. 37; Morassi 1953, p. 291; Pignatti 1953, p. 20; Zampetti 1953, p. 12; Berenson 1955, pp. 15-16 (ed. 1956, p. 1; ed. 1957, p. 1); Bianconi 1955, p. 32 (ed. 1963, I, p. 35); Berenson 1957, I, p. 104 (ed. 1958, I, p. 107); Heinemann 1962, I, p. 38 m; Liberali 1963, pp. 11, 26-27; Caroli 1975, p. 96 (ed. 1980, p. 74); Mariani Canova 1975, p. 86 n. 6; Sgarbi 1977, pp. 41-42; Longhi 1980, p. 111; Lucco 1980, pp. 5859; Mascherpa 1980, p. 15; Guarino 1981, p. 43; Liberali 1981, p. 74; Trevisani 1981, p. 280; Sgarbi 1983, pp. 231232; Gentili 1985, pp. 78-79; Dal Pozzolo 1988-1989, pp. 49-62, 209-211; Dal Pozzolo 1993, pp. 33-34; P. Leone de Castris, in Museo e Gallerie 1995, p. 35; Bonnet 1996, pp. 18-20, 193 n. 1; Sponza 1996 (Treviso), pp. 227-228; Heimbürger 1999, pp. 199-201; Cortesi Bosco 2000; Cortesi Bosco 2006, p. 200; Coltrinari 2009 (Ipotesi), pp. 5865; Lucco 2013, p. 54; Battaglia 2016, p. 71; Cortesi Bosco 2016, pp. 233-235; Ambrosini 2018, pp. 25-26; Monbeig Goguel 2019, p. 301; Piccolo 2019 (Lorenzo Lotto), pp. 409-410.
Opera di raffinata e smagliante esecuzione, rappresenta la Madonna col Bambino seduti che benedicono un san Giovanni Battista al centro in basso, introdotto da un san Pietro Martire che porta la sinistra al petto e con la destra lo presenta. Solo parzialmente separato da un drappo verde con un vistoso risvolto arancione, al centro e a destra si apre un ampio paesaggio con pastori, cavalieri e viandanti nei pressi di un borgo (fig. 6 a p. 26) e, più distanti, alcune città fortificate sulle colline. Il cielo è in parte coperto da nubi plumbee. Come evidente dal punto di vista stilistico e come dimostrato dalla radiografia eseguita a Venezia nel 1953 e edita da Berenson nel 1955 (fig. b), in origine al posto del Battista vi era un’altra figura, poi abrasa, caratterizzata dalla presenza di una croce astile: è naturale pensare che potesse trattarsi del vescovo Bernardo de’ Rossi, come aveva per tempo intuito Biscaro nei suoi studi sul dipinto (1898, 1901, 1930). Ciò rende possibile che in quest’opera vada riconosciuto il “quadro dove è retratato soso la figura de monsignor rev.mo di Rossi”, men-
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zionato in un inventario del 4 luglio del 1511, allorché si trovava in deposito a Santo Spirito a Venezia, prima di essere portato a Roma con il resto dei suoi beni (Liberali 1963 e 1981). Sul verso della tavola un’iscrizione (coeva, ma non autografa, secondo una perizia grafologica effettuata da padre Antonio Luisetto: Dal Pozzolo 1988-1989, p. 49) riporta la data “1503 adi 20 septembrio” (fig. c), che ha suggerito di mettere in relazione l’esecuzione del dipinto con la congiura ordita contro il de’ Rossi appunto nel settembre di quell’anno. Considerando il modo in cui risultano descritti il coltellaccio sul cranio e la palma del martirio, come infilata nella destra del santo, nonché il pugnale (a destra e non in corrispondenza del cuore), verrebbe da pensare che essi siano stati aggiunti in un secondo momento, forse proprio per evidenziare una correlazione tra l’attentato e il santo martirizzato. Secondo alcuni (Trevisani 1981; Cortesi Bosco 2000 e 2016), tuttavia, la tavola potrebbe risalire a una fase precedente, ed essere stata commissionata in occasione dell’insediamento del presule nella sede vescovile di Treviso il 9 agosto del 1499. È stato suggerito da Coltrinari (2009), peraltro, che “il dipinto in oggetto, o un suo prototipo, sia transitato nelle Marche proprio nei primissimi anni del Cinquecento”: ciò in virtù di una serie di influssi riconosciuti dalla studiosa nella produzione di Marchisiano di Giorgio (cfr. anche Lucco 2013). La proposta, ovviamente, può essere presa in considerazione solo immaginando che il pittore possa aver inviato nella regione qualche replica o variante di tale composizione, ma non l’esemplare napoletano, la cui vicenda collezionistica sembra ormai chiarita (si veda infra). Si tratta della prima opera certa di Lorenzo giunta fino a noi, “già singolarmente matura” (Pignatti 1953) e che stilisticamente “ci mostra un artista già formato, legato alla tradizione quattrocentesca di Giovanni Bellini e pari, per qualità, a un Cima da Conegliano” (Berenson 1955). La composizione ripropone uno schema elaborato alla fine del XV secolo da Giovanni Bellini e reiterato in svariati esemplari da allievi della bottega e seguaci della stretta cerchia (fig. a). Tuttavia, il linguaggio qui palesato dal giovane maestro non si limita all’emulazione belliniana e tradisce una difforme tensione interpretativa. Come finemente osservato da Longhi (1953), rispetto ai paesaggi di Bellini, qui “si sente una specie di brivido, quasi nell’imminenza di un piovasco, un temporale, che percorre questo stupendo esemplare”. Mascherpa (1980) sottolineò che “un paesaggio del genere trova riscontri soltanto con certa esaltazione cromatica nordica ma, singolarmente, più con quella a venire che in quella già dipinta alla data di questo primo capolavoro”: tuttavia Heimbürger (1999) intravide una dipendenza da modelli grafici düreriani quali il Tritone, la Madonna con la scimmia, l’Ercole e la Penitenza di san Giovanni Crisostomo. La percezione dell’alto grado di eterogeneità formale manifestato dal dipinto ha inevitabilmente suscitato numerosi quesiti sulla formazione di Lotto e sull’identità di chi fu il suo primo maestro – da Alvise Vivarini a Cima da Conegliano (Berenson 1895), Benedetto Diana (Banti 1953), Pier Maria Pennacchi (Sgarbi 1977), Vincenzo Catena (Morassi 1953) – ma per una più ampia disamina del problema, si veda il testo introduttivo alle pp. 22-27.
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Come sottolineato da Mariani Canova (1975), “se il vescovo effigiato è veramente il de’ Rossi, il dipinto può essere stato acquistato dai Farnese a Roma, dove il presule soggiornò a lungo, o a Parma, dove visse dal 1524 alla morte, avvenuta nel 1527”. Secondo Liberali (1981) e Cortesi Bosco (2000, 2016), la cancellazione della sua immagine sarebbe stata decisa dai suoi eredi – i parenti di un ramo rivale – per damnatio memoriae. La prima menzione inventariale della tavola la attesta a Roma nel 1644 in palazzo Farnese (nel camerino d’Ercole) e la dichiara di Perugino: evidentemente la firma era stata ricoperta. Qui rimase fino al 1760, quando fu inviata a Napoli, questa volta con un’attribuzione a Giovanni Bellini, poi mutata in favore del Lotto verosimilmente a seguito di un restauro effettuato sul finire del Settecento (Leone de Castris 1995).
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I.3
Ritratto di uomo 1503-1505 circa
Tavola, 40,9 × 32,7 cm Firmata in basso sul parapetto: LAVRENT. LOTUS P Vienna, Kunsthistorisches Museum Inv. 2985 Provenienza: segnalato in galleria a partire dall’inventario del 1772. Restauri: inizio del XX secolo (Glück 1910). Bibliografia: Glück 1910, pp. 212-213; Berenson 1932, p. 311 (ed. 1936, p. 268); Boschetto 1953, p. 112; Coletti 1953, p. 39; Pignatti 1953, p. 31; Berenson 1955, p. 31 (ed. 1956, p. 14; ed. 1957, p. 14); Bianconi 1955, p. 75 (ed. 1963, II, p. 100); Berenson 1957, I, p. 106 (ed. 1958, I, p. 110); Oberhammer 1960, p. 126; Seidenberg 1964, pp. 40-41; Demus 1973, p. 101; Mariani Canova 1975, p. 86 n. 2; Caroli 1980, p. 250; Lucco 1980, pp. 58-59; Dal Pozzolo 1992 (Laura), p. 126 nota 70; Dal Pozzolo 1993, p. 35; Bonnet 1996, p. 198; Cortesi Bosco 2006, p. 200; Dal Pozzolo 2008, pp. 73, 207 note 78-79; Cortesi Bosco 2016, pp. 235, 284-285 nota 214; Dal Pozzolo 2018, p. 44; Soranzo 2019, pp. 73-77.
Il dipinto raffigura un personaggio dall’età non facilmente definibile che si staglia su un tendaggio di velluto verde lumeggiato con larghe pennellate orizzontali, separato dall’osservatore da un sottile parapetto su cui compare la firma per esteso, e non con la sola iniziale del nome come nel caso della Madonna col Bambino di Capodimonte (I.2). Egli guarda fuori campo, verso la propria destra, da cui proviene la luce. Sui capelli biondi porta una berretta nera e sopra la camicia bianca indossa una veste rossa chiusa da un laccetto come nel Giovane dell’Accademia Carrara (I.1). Gli occhi sono chiari e l’espressione è altera. La tavola – assegnata a Holbein nei cataloghi settecenteschi della galleria – fu rivendicata a Lotto, nella sua fase iniziale, da Glück (1910), che la confrontava in particolare con il Ritratto di giovane con lampada dello stesso museo (I.13) e con quello del vescovo de’ Rossi a Capodimonte (I.6). Lo studioso riproduceva un’immagine relativa al dipinto dopo l’intervento di pulitura, evidenziante numerose cadute di colore diffuse sull’intera superficie e un generale stato di abrasione della pellicola pittorica (fig. a). Come si evince da tale immagine, gran parte dell’iscrizione (specie nella seconda parte) è ben leggibile e pertanto i dubbi a volte manifestati in merito all’autografia (come quelli di Boschetto 1953, che dichiarava la “firma apocrifa” e definiva l’opera “forse cosa basaitesca o belliniana”) risultano superati. Anche una recente verifica effettuata in laboratorio da Elke Oberthaler, in occasione della preparazione della presente monografia, ha attestato solo una lieve e parziale ripassatura della scritta. Negli Elenchi del 1932 e del 1936 Berenson la segnalava come dubitativamente del Lotto, indicando comunque per essa un’esecuzione precoce. Come esplicitato nell’edizione del 1955, l’effigie “si presenta con l’aristocratico distacco di molti ritratti del Giambellino; e in verità, se non fosse per l’iscrizione […] pochi arrischierebbero l’attribuzione al Lotto. Lottesca, tuttavia, è la morbidità e la delicatezza dell’esecuzione, la bocca, la capigliatura”.
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Tali dubbi – uniti a quelli di Banti e Boschetto – condussero Bianconi (1955) a inserire il dipinto nella sezione del suo catalogo dedicata alle “opere attribuite”. Viceversa, già Coletti (1953) aveva dichiarato l’opera “bellissima e tipica del Lotto, molto vicina al ‘Giovanetto dalla lucerna’ [I.13] e al ‘Ritratto’ già Béarn [V.152], di poco anteriore”, con Pignatti (1953) a sottolineare come fosse comunque “ancorato ai modi antonelliani e alvisiani”. In seguito la critica ha confermato l’autografia senza esitazioni, con l’eccezione di Bonnet (1996), per il quale “there is no solid evidence to show that it really is by Lotto”. Mariani Canova (1975) la definisce “forse una delle opere più belliniane del Lotto, da accostarsi alla Madonna con san Pietro Martire di Napoli” (I.2); anche per Lucco (1980) i due dipinti sono legati e testimoniano, “a meno di fortunati ritrovamenti, le opere iniziali del suo catalogo”. Se Berenson indicava come datazione il primo lustro del XVI secolo, per Mariani Canova si tratterebbe di cosa del 1503 circa, concorde Caroli (1980), mentre Cortesi Bosco (2006, 2016) la arretrava fino al 1500: secondo la studiosa, infatti, qui “si ripropongono nella tenda il trattamento a pennellate orizzontali della giubba del Giovanetto [di Bergamo: I.1] e negli occhi del personaggio lo sguardo assorto, introverso dell’Armigero con mazza, nonché il disegno delle palpebre abbassate” [nel Monumento Onigo: V.118]. Non vi è dubbio che si tratti di uno dei lavori del giovane Lotto più segnati dalla riflessione sui modelli ritrattistici di Giovanni Bellini, in virtù non solo dell’impostazione elusiva dello sguardo del personaggio (fig. b), ma anche per il tipo di interpretazione formale, che si allinea al linguaggio del più anziano maestro a inizio secolo. Più morbido e meno costruito plasticamente del Ritratto del vescovo de’ Rossi, non manifesta tangenze con il linguaggio düreriano e una data tra il 1503 e il 1505 sembra la più probabile. In considerazione del rapporto proporzionale con le misure del Ritratto del vescovo de’ Rossi a Napoli e la correlata coperta a Washington (I.6) – nonché della pluralità di elementi di matrice petrarchesca riscontrabili nella seconda allegoria della National Gallery di Washington (I.9) – chi scrive (1992, 2008) si chiedeva se nell’effigiato non potesse essere ipoteticamente riconosciuto Giovanni Aurelio Augurello, un letterato riminese di stanza a Treviso che fu uno dei massimi seguaci e studiosi di Petrarca nell’Italia dell’epoca e di cui sappiamo che il maestro aveva eseguito un ritratto (Regesto: 1546, marzo). L’ipotesi identificativa è stata considerata “suggestiva” da Cortesi Bosco (2016), secondo la quale “l’età del personaggio effigiato non sarebbe in contrasto con quella di Augurello, allora di circa 58 anni. La veste rossa denota l’ufficio elevato del personaggio, non so se compatibile con la carica di segretario vescovile ricoperta dall’Augurello fino all’agosto del 1499”. Se la studiosa non concordava tuttavia sulla relazione con la seconda allegoria americana, più positivo in questo senso si è dichiarato Soranzo (2019), in quello che è l’unico profilo monografico sul letterato. Secondo Soranzo, “the portrait’s emphasis on red, the color of caritas traditionally associated with John the Evangelist, might be interpreted as an allusion to Augurello’s first name, Giovanni. The blond hair might conceal a pun on the author’s middle name, Aurelio, and its etymology from aurum, gold”. Resta
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il problema dell’eventuale connessione con il dipinto americano che – a differenza dell’esemplare austriaco – è senza dubbio segnato da una riflessione su modelli pittorici e disegnativi düreriani, che poterono essere noti a Lorenzo solo a partire dall’autunno del 1505. Tuttavia, qualora si volesse mantenere aperta l’ipotesi che l’allegoria costituisse la copertura dell’effigie, nulla vieta di pensare che quest’ultima possa essere stata eseguita in un secondo momento. Berenson (1955, 1956, 1957) ha ritenuto di cogliere un nesso tra questo dipinto e uno dei più affascinanti ed enigmatici disegni di primo Cinquecento agli Uffizi: quel Ritratto di giovane da Vasari creduto di Giovanni Bellini e – più recentemente – accostato a Basaiti (Gabinetto disegni e stampe 1986, p. 264) e da chi scrive alla stretta cerchia giorgionesca (Dal Pozzolo 2009, p. 319).
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I.4
Madonna col Bambino e i santi Girolamo, Pietro, Chiara (?) e Francesco 1504-1505 circa
Tavola trasportata su tela, 82,5 × 105 cm Firmata sul cartiglio: L. LOTVS F. Edimburgo, Scottish National Gallery Inv. 2418 Provenienza: probabilmente Filippo, duca d’Orléans (dal 1723); Luigi, duca d’Orléans (dal 1727); Luigi Filippo II, duca d’Orléans; da questi ceduta nel 1791 al visconte Walchiers; François de Laborde de Méréville; posta in vendita alla Bryan’s Gallery di Londra nel 1798-1799 (n. 234); riservata al terzo duca di Bridgewater; ereditata dal secondo marchese di Stafford, a Stafford House, Londra; ereditata da Lord Francis Egerton, poi primo conte di Ellesmere, a Bridgewater House, Londra; dal quinto conte di Ellesmere prestata alla galleria nel 1945; acquisita dal museo nel 1984 (Humfrey 2004). Esposizioni: Washington-Bergamo-Parigi, Lorenzo Lotto 1997-1999, n. 1; Edimburgo, The Age of Titian 2004, n. 11. Restauri: tra il 1903 e il 1946 (Brigstocke 1993); 1991 (pulitura) (Brigstocke 1993). Diagnostica: RX, da cui si evincono svariati pentimenti (Brown 1998; Humfrey 2004). Copie: • Roma, collezione privata Tavola, 81,5 × 108 cm Firenze, Charles Fairfax Murray (1849-1916); acquistata nel febbraio del 1883 dalla Gemäldegalerie di Dresda; ceduta nel 1922; Roma, collezione Pasini-Lupi, 1923; venduta a un collezionista svizzero nel 1928; pubblicizzata dalla Galerie Lingenauber di Düsseldorf sul “Burlington Magazine” del novembre 1996. Per Morelli, copia fiamminga; per Coletti e Berenson, replica. Di recente considerata autografa da Filippo Pedrocco, in una scheda divulgata e ragionata da Loretta Mozzoni, che la espose nel 2007 nella Pinacoteca Civica di Jesi e la pubblicò come di Lotto nel 2009. A parere di chi scrive, copia antica. Bibl.: Morelli 1891, pp. 332-333; Berenson 1895, p. 7; Boschetto 1953, p. 65; Coletti 1953, p. 39; Berenson 1955, p. 24; Berenson 1958, I, p. 108; Mozzoni 2009, pp. 148-153 (con ulteriore bibl.). • Phoenix, Art Museum, Lewis Ruskin Collection (già) Tavola, 77,5 × 92,7 cm Già del duca di Westminster nella Grosvenor Gallery; poi nella raccolta di Lewis Ruskin a Phoenix; Phoenix, Art Museum; Londra, Sotheby’s, 4 luglio 1956, lotto 133; New York, Sotheby’s, 3 ottobre 1996, lotto 80. Fotografia: FBB. Bibl.: Berenson 1895, p. 7; Frizzoni 1896, p. 11; Boschetto 1953, p. 65. Stampe: • W.M. Craig, in Catalogue of the Pictures Belonging to the Marquis of Stafford, London 1814, p. 52 n. 272. Bibliografia: Dubois de Saint-Gelais 1727, pp. 294-295; Crowe, Cavalcaselle 1871 (ed. 1912, III, p. 399); Berenson 1895, pp. 6-7 (ed. 1901, pp. 4-5; ed. 1905, pp. 4-5); Venturi 1929, p. 113; Berenson 1932, p. 309 (ed. 1936, p. 265); Boschetto 1953, p. 65 n. 8; Coletti 1953, p. 39; Berenson 1955, p. 24 (ed. 1956, pp. 8-9; ed. 1957, pp. 8-9);
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Bianconi 1955, p. 37 (ed. 1963, I, p. 35); Berenson 1957, I, p. 102 (ed. 1958, I, p. 105); Caroli 1975, p. 98 (ed. 1980, p. 80); Mariani Canova 1975, p. 89 n. 13; Lucco 1980, p. 59; Béguin 1981, p. 100; Muraro 1981, p. 304; Tempestini 1981, pp. 112-113; Volpe 1981, pp. 129, 143; Lucco 1983 (Venezia), p. 468; Gentili 1985, pp. 105-117; Brigstocke 1993, pp. 93-95; Dal Pozzolo 1993, pp. 34-37; Bonnet 1996, pp. 32, 193 n. 8; Sponza 1996 (Treviso), pp. 234-235; D.A. Brown, in Lorenzo Lotto 1997 (ed. it. 1998, pp. 70-72 n. 1); Humfrey 1997 (ed. 1998, pp. 22-23); Heimbürger 1999, pp. 211-213; Tempestini 1999, p. 961; Cortesi Bosco 2000, pp. 114-116 nota 37; P. Humfrey, in The Age of Titian 2004, p. 76; Cortesi Bosco 2006, p. 200; Gentili 2009, p. 120; Villata 2013, p. 142; Ballarin 2016 [2018], II, pp. 974-976; Cortesi Bosco 2016, pp. 240-241 nota 11; Humfrey 2019, pp. 51, 164, 259, 288 n. 101.
Dopo essersi appoggiato a un modello belliniano per la sua prima opera devozionale giunta fino a noi – la Madonna col Bambino e san Pietro Martire di Capodimonte (I.2) – Lotto sentì il bisogno di partire da una composizione di Alvise Vivarini per la seconda sacra contemplazione che si incontra nella presente ricostruzione del suo corpus pittorico. Si tratta della tavola, poi trasportata su tela, ora alla National Gallery di Edimburgo, in precedenza segnalata nelle raccolte d’Orléans, Bridgewater ed Ellesmere (si veda supra). È infatti evidente che alla base della soluzione adottata da Lorenzo sta la riflessione su uno dei capolavori della prima maturità dell’artista muranese: la pala già in San Francesco a Treviso (fig. a), oggi conservata alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, del 1480 (Steer 1982, pp. 151-153). Sebbene quest’ultima presenti un numero maggiore di santi, descritti a piena figura a fianco del trono su cui campeggia la Madonna col Bambino, è evidente che siano molti i punti di contatto tra i due dipinti: dall’impianto paratattico (qui più focalizzato) alla scelta di porre alle spalle dei personaggi un tendaggio verde che lascia spazio in alto all’ultimo piano, fino a specifici rimandi come il gesto di Francesco e la modellazione di mani e volti. Tuttavia non è solo in chiave alvisiana che si spiega questa interpretazione. Al pari del dipinto napoletano, infatti, si colgono richiami pure alla produzione di Bellini (in particolare nei panneggi) e di Cima: basti confrontare il san Girolamo con quello del coneglianese nella pala dell’arancio alle Gallerie veneziane e nel relativo disegno preparatorio al British Museum (Humfrey 1983, pp. 153-154 n. 145, 175 n. 194). Considerando l’impostazione del viso della santa (priva di attributi, ma plausibilmente Chiara), inoltre, non si può escludere che – al pari della Vergine nella tavoletta di Cracovia (I.14) – l’artista avesse avuto modo di conoscere qualche esempio leonardesco, pensando a soluzioni come quella della Madonna Litta all’Hermitage (fig. I.14a), ma pure il gesto di Maria è stato accostato a quello nella vinciana Madonna dei fusi (Cortesi Bosco 2000). Sono stati peraltro intravisti ulteriori legami, che non ci paiono evidenti, con Dürer (Mariani Canova 1975; Heimbürger 1999; Humfrey 2004), Luca Antonio Busati (Tempestini 1981) e Bramantino (Lucco 1980; Ballarin 2016 [2018]). La costruzione iconografica della scena è piuttosto elaborata. Come evidenziato da Gentili (1985, 2009),
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s’imposta sul tentativo di Gesù (vestito con un abito simile a quello del Bimbo nella pala di Vincenzo dai Destri nei Musei Civici di Treviso e degli angeli nella dispersa Pietà di Pier Maria Pennacchi a Berlino) di leggere il cartiglio offertogli da Girolamo, che allude alla traduzione della Bibbia operata dal santo dalmata. Se Pietro osserva la scena con perplessità e Chiara abbassa la testa in segno di raccoglimento, incrociando le braccia sul petto, Francesco sembra reclamare le stigmate troppo precocemente, venendo invitato all’attesa da Maria, che si rivolge a lui con espressione severa: il Bambino deve infatti crescere prima di affrontare la Passione che porterà la salvezza dell’umanità. Per questo sul fondale due boscaioli sono rappresentati in attesa, prima di preparare il legno che costituirà la croce di Cristo (Béguin 1981; Gentili 1985; Dal Pozzolo 1990; Brigstocke 1993). Tale motivo è stato peraltro altrimenti spiegato come un auspicio dello “sterminio degli empi” da Muraro (1981), nonché in rapporto a un passo del Vangelo di Luca (23,28-31) in cui sul Calvario Gesù si rivolge alle pie donne con una metafora relativa al legno verde e secco (Gentili 1985, 2009). Da Berenson (1895) in poi, la critica si è dimostrata concorde nel porre il dipinto all’interno della prima esperienza trevigiana dell’artista, in stretta prossimità della Pala di Santa Cristina, del 1505 (I.5): specificazioni più circoscritte sono state proposte da Cortesi Bosco (2016: “entro e non oltre la seconda metà del 1503”), Ballarin (2016 [2018]: 1504 circa), Boschetto (1953: 1505; concorde Caroli 1975), Mariani Canova (1975: 1506; concorde Bonnet 1996) e Villata (2013: 1506-1507). L’ipotesi prospettata da Cortesi Bosco (2000, 2006, 2016) di una commissione da parte di Giovan Antonio Bettignoli, a Treviso, non si fonda su elementi oggettivi.
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I.5
Pala di Santa Cristina 1505 Madonna col Bambino e i santi Pietro, Cristina, Liberale e Girolamo (pannello principale) Tavola (di abete bianco), 177 × 162 cm Cristo morto sorretto da due angeli (cimasa) Tavola (di pioppo bianco), 90 × 179 cm Firmata alla base del trono: LAVRETIVS LOTVS P Quinto di Treviso, chiesa di Santa Cristina al Tiveron Provenienza: dalla distrutta chiesa cinquecentesca. Esposizioni: Venezia, Cinque secoli 1945, nn. 72-73; Venezia, Mostra di Lorenzo Lotto 1953, nn. 11-12; Roma, Lorenzo Lotto 2011, n. 1. Restauri: 1858, G. De Lorenzi; 1879, G. Botti; 1893, C. Pasetti; 1909, G. Zennaro; 1920 (consolidamento del supporto); 1966-1969, A. Lazzarin; 1980, M. Simonetti; 1999, 2002 e 2010, A. Bigolin e R. Saccuman, per il supporto (Simonetti, Vanghi 1980; Bigolin 2011; Delfini 2011). Diagnostica: sezioni lucide, radiazione UV, IRR, RX, XRF (Lorenzo Lotto. Madonna 2011, pp. 10-35). Bibliografia: Crico 1833, pp. 148-152; Crowe, Cavalcaselle 1871 (ed. 1912, III, pp. 396-397); Berenson 1895, pp. 7-10 (ed. 1901, pp. 6-8; ed. 1905, pp. 6-8); Frizzoni 1896, pp. 6-8; Biscaro 1898 (Lorenzo Lotto), pp. 150-153; Venturi 1915, p. 762; Berenson 1932, p. 311 (ed. 1936, p. 267); Biagi 1942, pp. 4-5; Pallucchini 1944, p. XXVIII; Pallucchini 1945, pp. 68-69; Longhi 1946, p. 18; Banti 1953, pp. 10-11; Boschetto 1953, p. 66 n. 13; Coletti 1953, p. 38; Pignatti 1953, pp. 31-43; Zampetti 1953, p. 21; Pignatti 1954 (La giovinezza), pp. 176-177; Berenson 1955, pp. 23-24 (ed. 1956, p. 8; ed. 1957, p. 8); Bianconi 1955, pp. 11, 39 (ed. 1963, I, pp. 37-38); Berenson 1957, I, p. 105 (ed. 1958, I, p. 109); Liberali 1963, pp. 7-10; Caroli 1975, p. 112 (ed. 1980, p. 88); Mariani Canova 1975, pp. 88-89 nn. 11-12; Gargan 1980, pp. 14-15; Lucco 1980, pp. 59, 65-66 nota 71; M. Simonetti, L. Vanghi, in Lorenzo Lotto a Treviso 1980, pp. 119-123; Spiazzi 1980; Manzato 1981; Murutes 1983; Gentili 1985, pp. 94-117; Chevalier Matthew 1988 (Lorenzo Lotto), pp. 398-401; Antonelli 1990, pp. 35-36; Beltramini 1992; Dal Pozzolo 1993, p. 37; Humfrey 1993, pp. 246, 353 n. 63; Dal Pozzolo 1995, p. 25; Bonnet 1996, pp. 27-31, 193 n. 6; Humfrey 1997 (ed. 1998, pp. 17-20); Mack 1998, pp. 63, 66; Tempestini 1999, pp. 991-992; Cortesi Bosco 2000, p. 114 nota 37; Cortesi Bosco 2006, p. 200; G.C.F. Villa, in Lorenzo Lotto 2011, pp. 94-96 n. 1; A. Bigolin, in Lorenzo Lotto. Madonna 2011, pp. 22-27; G. Delfini, in Lotto in Veneto 2011, pp. 20-21; E. Francescutti, in Lorenzo Lotto. Madonna 2011, pp. 10-19; Kim 2014, pp. 187-188; Punzi 2015-2016, pp. 48-50; Ballarin 2016 [2018], II, pp. 973977; Battaglia 2016, p. 71; Cortesi Bosco 2016, pp. 232, 283 nota 209, 417, 468, 488; Castellana 2019, pp. 101-102; Piccolo 2019 (Lorenzo Lotto), pp. 408, 410.
La chiesa di Santa Cristina al Tiveron, presso Quinto di Treviso, era stata fondata nel 1125 da un gruppo di monache camaldolesi provenienti da Bologna, che quando si spostarono in città lasciarono la gestione della stessa ai canonici del duomo, uno dei quali era
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preposto ad assolvere le funzioni di parroco. Ai tempi di Lorenzo era un certo pre’ Franchino de Geromei, la cui figura sta alla base della commissione dell’opera. Con un atto testamentario del 29 aprile del 1504, infatti, egli mise a disposizione una somma che consentiva di rinnovare la chiesa, di costruire il campanile e di dotare l’altare maggiore di una pala. Non stupisce che per realizzare quest’ultima si sia rivolto al pittore prediletto dal vescovo, al cui ritratto stava lavorando proprio in quei mesi (I.6). L’esecuzione fu probabilmente completata entro il 1505, o al massimo all’inizio del 1506, perché sappiamo che il 4 maggio del 1506 – quando il pittore reclamava il saldo dei pagamenti (Regesto: alla data) – essa risultava già “depicta”. Una serie di documenti successivi attesta, tuttavia, che la controversia economica non si risolse presto (Regesto: 1508, 3 e 18 agosto, 22 dicembre) e che la cornice fu commissionata nel 1507, quando Lorenzo si trovava già nelle Marche (Biscaro 1898; Liberali 1963; Gargan 1980). È stato comprensibilmente immaginato che tale perduta cornice (intagliata da Bartolomeo da Bologna e dorata da suo genero Vincenzo di Angelo) potesse estendere illusionisticamente quella descritta dal pittore nella tavola principale, che rievoca lo spazio della cappella del Santissimo Sacramento nel duomo di Treviso (Beltramini 1992). Sotto a una calotta absidale decorata con un finto mosaico con girali d’acanto e un uccello che becca dell’uva rossa, la Madonna siede su un alto trono, sorreggendo con una mano un volume chiuso e con l’altra il Figlio che – in piedi sul suo ginocchio – benedice la santa titolare della chiesa, Cristina, mostrandole un cardellino, tradizionale simbolo della Passione. Lei li osserva quasi ipnotizzata, ostentando la macina del suo supplizio e la palma del martirio. All’estrema sinistra san Pietro, riconoscibile per le chiavi, è concentrato nella lettura. Dall’altra parte san Girolamo in abiti cardinalizi lo scruta cipiglioso, sostenendo un volume decorato sul piatto anteriore della legatura con una borchia con il Cristo passo. Accanto a lui Liberale, patrono di Treviso, in armatura e con un vessillo, presenta con la sinistra una raffigurazione tridimensionale della città in miniatura. La sua ombra si staglia sul basamento marmoreo del trono, su cui l’artista ha apposto la firma in caratteri latini, proprio sotto un tappeto turco da preghiera a motivo rientrante, che ripropose anche in altre opere successive (Mack 1998; Kim 2014). Datata generalmente intorno al 1505-1506, non sono mancati tentativi di posticiparne l’esecuzione all’anno seguente, il 1507 (Biscaro 1898; Pignatti 1954), così come di distinguere una possibile scansione esecutiva tra il pannello principale e la lunetta, per alcuni studiosi più tarda (Coletti 1953; Gentili 1985). Tali proposte non sembrano tuttavia accoglibili. L’opera è incentrata sui temi del culto della Vergine e dei santi (Murutez 1983) e della Passione di Cristo (Manzato 1981; Gentili 1985). Come per tempo evidenziato da Berenson (1895), essa rielabora la soluzione proposta da Giovanni Bellini nella pala del 1505 per la chiesa veneziana di San Zaccaria (fig. a). Lo dimostrano l’analogia compositiva e svariati dettagli: dalla trabeazione con i medesimi capitelli al catino parimenti mosaicato, dal particolare del ramo di fico alla fisionomia di taluni personaggi. È altrettanto vero, però, che “a misura che l’occhio mette a fuoco le
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immagini ci si accorge che quanto pareva imitazione e consenso non è che involontaria contraddizione” (Banti 1953). Si è pure osservato, nondimeno, che “la disposizione delle figure e tutto il ritmo compositivo rivelano chiaramente la discendenza dalla Pala di San Cassiano di Antonello” (Zampetti 1953) e “ce ne danno una riprova le derivazioni dirette della figura di Santa Cristina dalla Maddalena di San Cassiano, e i numerosi particolari delle mani scorciate” (Pignatti, 1954). Nonostante siano stati evocati ulteriori confronti con altri autori coevi (Previtali, Cima, Bonconsiglio, Catena, Bissolo, Montagna, Jacopo de’ Barbari, Alvise Vivarini…), è su tale doppio binario ispirativo che ci si è per lo più concentrati, peraltro sottolineando come tali matrici venissero ritrascritte conducendo a un risultato non solo pienamente originale, ma anche clamorosamente antitetico ai coevi esiti di Giorgione: anzi, secondo Pallucchini (1944), qui “Lotto sembra opporsi polemicamente alla Madonna giorgionesca di Castelfranco”. Al di là di tali raffronti contrappositivi, è un dato di fatto che ora Lorenzo dimostra di saper risolvere un’impostazione ancora tardoquattrocentesca con una immediatezza espressiva del tutto nuova, per certi versi affine – come rilevato da Lucco (1980) e Ballarin (2016 [2018]) – alla drammaticità astraente di un Bramantino. Perché la solidità che emerge dalla tavola si fonda, oltre che sull’abbassamento del fuoco prospettico, su un sensibile “raccorciamento del campo visivo” (Pignatti 1954), così da derivarne “una struttura architettonica più accelerata lungo l’asse centrale” (Mariani Canova 1975). Le stesse figure risultano determinanti nella definizione spaziale: sono infatti anch’esse “architettura” e davvero si ha “l’impressione che i santi non possano avanzare di un pollice, senza far crollare tutto” (Biagi 1942).
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I.6
Ritratto del vescovo Bernardo de’ Rossi 1505
Tavola, 54,7 × 43, 5 cm Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte Inv. 259 Provenienza: Treviso, episcopio (1505-1510); Venezia, Roma, collezione de’ Rossi (fino al 1527); Roma, collezione Fulvio Orsini (?, ante 1600); Parma, collezione Farnese, palazzo del Giardino (ante 1680); Parma, Ducale Galleria (ante 1708 e sino al 1734); Napoli, Palazzo Reale (?); palazzo degli Studi (ante 1806-1816), Real Museo Borbonico; Museo Nazionale (fino al 1957) (Bertini 1987; Leone de Castris 1995). Esposizioni: Roma, Mostra temporanea 1945, n. X; Venezia, Mostra di Lorenzo Lotto 1953, n. 8; ColornoMonaco-Napoli, I Farnese 1995, n. 2; WashingtonBergamo-Parigi, Lorenzo Lotto 1997-1999, n. 2; Venezia, Il Rinascimento a Venezia 1999, n. 4; Napoli, Tiziano e il ritratto di corte 2006, n. C46; WashingtonVienna, Bellini, Giorgione 2006-2007, n. 46; Roma, Lorenzo Lotto 2011, n. 34; Madrid-Londra, Lorenzo Lotto. Portraits 2018-2019, n. 3. Restauri: ante 1901 (pulitura) (Biscaro 1901); 1962-1964, L. Tintori. Bibliografia: Berenson 1894, p. 80; Frizzoni 1895, p. 23; Biscaro 1898 (Lorenzo Lotto), p. 146; Berenson 1901, p. 90 (ed. 1905, p. 90); Biscaro 1901, p. 161; Glück 1910, pp. 214-215; Venturi 1915, pp. 758-760; Berenson 1932, p. 310 (ed. 1936, p. 266); Mostra temporanea 1945, p. 24; Banti 1953, p. 11; Boschetto 1953, p. 65 n. 10; Coletti 1953, pp. 36-37; Pignatti 1953, p. 26; Zampetti 1953, p. 16; Berenson 1955, pp. 16-17 (ed. 1956, pp. 1-3; ed. 1957, pp. 2-3); Bianconi 1955, p. 37 (ed. 1963, I, p. 35); Berenson 1957, I, p. 104 (ed. 1958, I, p. 107); Liberali 1963, pp. 6, 23-28; Seidenberg 1964, pp. 38-40; Pignatti 1973, pp. 262-263; Caroli 1975, p. 102 (ed. 1980, p. 84); Mariani Canova 1975, p. 87 n. 8; Pallucchini 1975, p. 6; Sgarbi 1977, pp. 42, 45-47; Mascherpa 1980, pp. 15, 26; Liberali 1981, pp. 74-75, 83, 90; Pignatti 1981, pp. 94-95; Zampetti 1983, n. 1; Gentili 1985, pp. 76-82; Bertini 1987, p. 133 n. 159; Cortesi Bosco 1987, I, pp. 178, 346-348; Freedberg 1988, p. 372; Dülberg 1990, pp. 13-14, 22, 92, 143-144; Dal Pozzolo 1993, pp. 37-39; Hochmann 1993, pp. 52-53; P. Leone de Castris, in Museo e Gallerie 1995, pp. 35-37; Bonnet 1996, pp. 20-21, 193 n. 2; D.A. Brown, in Lorenzo Lotto 1997 (ed. it. 1998, pp. 73-75 n. 2); Humfrey 1997 (ed. 1998, pp. 10-11); Heimbürger 1999, pp. 201-205; B. Aikema, in Il Rinascimento a Venezia 1999, p. 190; Cranston 2000, p. 20; Cortesi Bosco 2000; Ruvoldt 2004, pp. 44-48; Bertling Biaggini 2005, p. 74; D.A. Brown, in Bellini, Giorgione 2006, p. 246 n. 46; G. Porzio, in Tiziano 2006, p. 260; Winner 2005, pp. 109-111; E. Dezuanni, in Lorenzo Lotto 2011, p. 206; McCall 2012, pp. 42-47; Villata 2013, pp. 142-143; Ballarin 2016 [2018], II, p. 967; Cortesi Bosco 2016, pp. 233, 285; Grabski 2016 (On the Relations), pp. 66-68; E.M. Dal Pozzolo, in Lorenzo Lotto. Portraits 2018, pp. 189-195; Villata 2019, pp. 265-266.
Coperta allegorica del ritratto di Bernardo de’ Rossi 1505
Tavola, 56,5 × 42,2 cm
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Washington, The National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection Inv. 1939.1.156 Provenienza: Treviso, episcopio (1505-1510); Venezia, Roma, collezione de’ Rossi (fino al 1527); (?) Roma, collezione di Fulvio Orsini; (?) Parma, collezione Farnese, palazzo del Giardino (XVII secolo); Parma, Antonio Bertioli (1735-1806) (entro il 1791); Bergamo, Giacomo Gritti (1819-1891); Londra, collezione privata (dal 1891); Londra, Sotheby’s, 9 maggio 1934, n. 129; comperato da Martin Asscher; Firenze, Alessandro Contini Bonacossi, acquistata dalla Samuel H. Kress Fundation (1935); donata alla National Gallery of Art nel 1939. Esposizioni: Washington-Bergamo-Parigi, Lorenzo Lotto 1997-1999, n. 3; Venezia, Il Rinascimento a Venezia 1999, n. 99; Washington-Vienna, Bellini, Giorgione 2006-2007, n. 47; Roma, Lorenzo Lotto 2011, n. 50; Londra-Madrid, Lorenzo Lotto. Portraits 2018-2019, n. 4. Restauri: 1890 circa, G. Gritti; 1936 circa, S. Pichetto; 1955, M. Modestini; 1995. Diagnostica: RX e IRR (Rusk Shapley 1979; Brown 1998). Bibliografia (si indicano in questa selezione bibliografica contributi specificamente dedicati alla coperta, rimandando per la più generale analisi del pendant alle voci indicate nella scheda precedente): Affò 1791, pp. 200-201; Federici 1803, II, pp. 5-6; Glück 1933, pp. 272-274, 282, 284; Borenius 1934, p. 228; Boschetto 1953, p. 66 n. 11; de Tervarent 1958-1959, I, coll. 389-390; Rusk Shapley 1968, pp. 157-158; Caroli 1975, p. 104 (ed. 1980, p. 86); Mariani Canova 1975, pp. 87-88 n. 9; Galis Wronski 1977, pp. 192-203, 245-248, 447-457; Gandolfo 1978, pp. 32-33 n. 36; Rusk Shapley 1979, I, pp. 277-280; Gentili 1980 (ed. 1988, pp. 80-84, 98); Albani Liberali 1981 (Lorenzo Lotto), p. 429; Pochat 1985, pp. 5-7; Cortesi Bosco 1987, I, pp. 346-348; Place of Delight 1988, pp. 76, 258 n. 15; Cortesi Bosco 1990, pp. 59, 70-73; Cortesi Bosco 1992 (Divina vigilia), pp. 25, 36, 43, 46; Dal Pozzolo 1992 (Laura), pp. 103-104; Dal Pozzolo 1995, pp. 30-35; Bonnet 1996, pp. 20-21, 193 n. 3; Sponza 1996 (Treviso), pp. 231-232; D.A. Brown, in Lorenzo Lotto 1997 (ed. it. 1998, pp. 76-80); Humfrey 1997 (ed. 1998, pp. 9-12); Cortesi Bosco 1998, pp. 38-40, 69-70; B. Aikema, in Il Rinascimento a Venezia 1999, pp. 400-401; Helke 1999, pp. 65-67; Zanchi 1999, pp. 25-32; D.A. Brown, in Bellini, Giorgione 2006, p. 246; Dal Pozzolo 2008, pp. 54-75, 199-208; Bolzoni 2010, pp. 232-234; M. Binotto, in Lorenzo Lotto 2011, pp. 260-264; L. Sabbadin, in Lorenzo Lotto 2011, pp. 264-265; Ballarin 2016 [2018], II, pp. 972-973; Cortesi Bosco 2016, pp. 233, 462, 466-469, 475-482; De Carolis 2019, p. 326; Cibati in c.s.
Un prelato abbastanza giovane e dall’aria sanguigna è rappresentato a busto quasi intero davanti a una tenda verde arricciata, dietro la quale s’intravede un cielo azzurrissimo. Ha lo sguardo fiero, gli occhi chiari e le labbra serrate. Dalla berretta scura fuoriescono i riccioli della capigliatura castano rossiccia. Sopra la camicia e la veste indossa una mozzetta rosata chiusa da otto bottoni. Solleva la mano destra con cui stringe un foglio arrotolato; all’indice porta un anello d’oro con uno stemma nobiliare in cui si riconosce un leone rampante. Da sinistra proviene una luce intensissima
a
che investe la sua figura e rileva le increspature della tenda. Come precisato in un inventario redatto a Parma nel 1680, si tratta di “un ritratto di un cardinale di casa Rossi”, la cui identità fu svelata da Biscaro (1898, 1901), che vi riconobbe il parmense Bernardo de’ Rossi (Berceto, 1468 – Parma, 1527), divenuto vescovo di Treviso nell’autunno del 1499. Il riferimento a Lotto indicato nei primi inventari (1680, 1725) venne presto dimenticato e l’opera fu considerata un prodotto nordico (di Hans Holbein o Christoph Amberger), di Giovanni Bellini (Burckhardt, Cavalcaselle) o di Jacopo de’ Barbari (Morelli, Frizzoni e Berenson). Dopo alcuni iniziali tentennamenti (1898) – e a seguito di un’indicazione favorevole espressa da Adolfo Venturi – fu Biscaro (1901) a capire che si trattava del prelato e che il dipinto spettava a Lorenzo. Del vescovo restano almeno altre tre immagini d’epoca: dal prototipo napoletano deriva la ripresa speculare che ne fece Luca Antonio Busati nell’Incredulità di san Tommaso in San Nicolò a Treviso (in Tempestini 1981 e 1993, fig. 2); di analogo taglio è il busto in terracotta reso noto da Coletti nel 1921, con l’errato nome di Andrea Briosco, nella cappella Malchiostro del duomo di Treviso; esiste inoltre una imago di profilo in una medaglia di un seguace di Francesco Francia coniata intorno al 1519 (si veda in Brown 1998, p. 73). È stato anche proposto (Berenson 1955) che si possa riconoscere il de’ Rossi pure nel foglio, realizzato da Lotto nello stesso periodo, al British Museum, ma non sono mancati dissensi (cfr. M. Wivel, in Lorenzo Lotto. Portraits 2018, pp. 196-198 n. 5). Fin dal 1910 Glück collegò il ritratto napoletano a una tavola, allora a Londra, che sul verso portava la seguente iscrizione: bernardvs. rvbevs. / berceti. comes. pontif. tarvis. / aetat. ann. xxxvi. mense. x. d.v. / laurentivs lottvs. p. cal. / ivl. m.d.v. (ossia “Bernardo Rossi / di Berceto, conte papale di Treviso / all’età di 36 anni, 10 mesi, 5 giorni / Lorenzo Lotto dipinse / 1° luglio 1505”). Si tratta dell’Allegoria che dal 1939 si conserva alla National Gallery di Washington, a seguito del lascito del magnate statunitense Samuel Kress (Rusk Shapley 1979). L’iscrizione oggi non è più leggibile (lo era ancora a fine Settecento: Affò 1791; Federici 1803), ma poi scomparve con la riduzione del supporto: tuttavia la connessione tra i due pezzi non è mai stata più messa in dubbio.
Nella tavola americana appare una scena divisa in tre aree. A destra, nei pressi di un boschetto, un satiro accasciato su un prato scruta il contenuto di un otre; accanto ha una ciotola semipiena, un mestolo in legno e un tralcio di uva con dei grappoli. Due anfore sversano a terra un liquido rosso e uno bianco, verosimilmente vino e latte. Sul fondale, non distante dalla riva, un vascello sta naufragando. Al centro campeggia un albero (forse un leccio) schiantato nel fusto principale, su cui con un nastro rosso è appeso uno scudo trasparente con la testa di Medusa; la pianta però si rigenera in un ramo laterale a sinistra. Alla base del tronco è appoggiato uno scudo con un leone rampante su fondo blu. Innanzi a esso un putto si china per raccogliere un compasso, scegliendolo tra i vari oggetti adagiati a terra, tra cui due libri rossi chiusi, uno specchio, una squadra, una siringa, un flauto e un cartiglio musicale. Egli si trova in un piccolo spiazzo terroso circondato da rocce e rovi, che lo separano da una montagna su cui – inerpicandosi su un sentiero stretto e ripido – un altro putto con otto ali sta salendo per raggiungere la cima avvolta dalle nubi. Al contrario di quanto si riscontra dalla parte opposta, qui l’aria si è rischiarata e filtra la luce del sole. Nel 1509 il vescovo de’ Rossi fu costretto dagli eventi che seguirono la costituzione della Lega di Cambrai a lasciare Treviso per Venezia: negli inventari del 1510 e del 1511 che registrano i suoi beni (Liberali 1963, 1981) si attesta la presenza di “uno quadro dove è retratato suso la figura de monsignore rev.mo de Rossi” (4 luglio 1511) e la “coverta del quadro del retratto” (23 ottobre 1510). Slegati in occasione del trasferimento, non è chiaro come i due dipinti fossero tra loro in origine abbinati. È assai probabile che l’Allegoria potesse coprire l’effigie del vescovo mediante un sistema di scorrimento da un lato della cornice esterna (fig. a), come si è riscontrato nel ritratto di Hieronymus Holzschuher di Albrecht Dürer del 1526 a Berlino, nonché nella cornice originale del Ritratto di Tommaso Negri a Spalato, che ha una fessurazione sul lato superiore della stessa (fig. I.72c): ne conseguirebbe che la coperta non avrebbe avuto in origine una sua incorniciatura propria (per un’altra ipotesi di connessione, a dittico, si veda Lorenzo Lotto. Portraits 2018, fig. 31b). Non è noto quando i due pezzi furono separati. La prima menzione successiva dell’Allegoria la attesta nella raccolta Bertioli di Parma, dove – forse pervenutovi tramite Fulvio Orsini a Roma (Hochmann 1993) – il ritratto stava nella collezione Farnese: prima nel palazzo del Giardino, poi nella Galleria Ducale, per finire a Napoli (Leone de Castris 1995). Il legame di Lorenzo con il de’ Rossi risale, quanto meno, al 1503 della realizzazione della Madonna col Bambino e san Pietro Martire a Capodimonte, in cui il prelato era stato effigiato nella posizione abbassata del donatore (I.2): anche se è da osservare che il primo probabile riferimento trevigiano di Lorenzo, quello del 16 marzo del 1498 (Regesto: alla data) lo segnala già nell’ambiente curiale. Di sicuro egli per almeno tre anni fu al servizio del vescovo e secondo alcuni – sia pure con sfumature diverse (cfr. Liberali 1981; Gentili 1985) – il cartiglio ostentato potrebbe fare riferimento alla controversia che oppose il prelato alla potente famiglia locale degli Onigo, che culminò in un
tentativo di assassinio del de’ Rossi e che si concluse, il 3 dicembre del 1503, con un decreto della Serenissima che gli diede ragione. Raccogliendo l’incarico, Lotto cercò di sintetizzare il meglio delle sue predilezioni visive. Diede all’effigie un taglio analogo a quello solitamente adottato nei ritratti scultorei dell’epoca, che in pittura a Venezia era stato già proposto da Andrea Solario nel Senatore della National Gallery di Londra e da Pietro Perugino nel Francesco delle Opere agli Uffizi. In questo modo egli sostanzialmente eluse la formula aulica e distaccata che Giovanni Bellini aveva riproposto per decenni (cfr. fig. I.3b), per rifarsi a modelli alloglotti, assunti forse anche grazie alla mediazione del suo probabile primo maestro, Alvise Vivarini: si pensi al ritratto di questi alla National Gallery di Londra del 1497, ma anche alla soluzione della tenda verde che si staglia sul cielo azzurro, uguale a quella che si ritrova nella pala di Alvise alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, all’epoca in San Francesco a Treviso (cfr. fig. I.4a). Non v’è dubbio che rispetto a tali antefatti Lotto affrontò l’interpretazione con un linguaggio più pregnante e aggressivo, spiegabile con il tentativo di coniugare l’esempio di Antonello da Messina con spunti di matrice nordica, specificamente tedesca, che motivano il richiamo all’arte di Jacopo de’ Barbari spesso avanzato. Non di rado si è rilevato il parallelismo con la produzione di Albrecht Dürer, che però – dopo il suo giovanile primo viaggio a Venezia nel 1494-1495 – vi tornò solo alla fine del 1505, quindi dopo l’esecuzione del presente pendant. È assai probabile che nella Treviso di quegli anni fossero visibili non solo stampe ma anche dipinti tedeschi, considerando pure la presenza in città di artisti di origine nordica (come Giovanni Matteo Teutonico) o sensibili a tali influssi (Pier Maria Pennacchi). Comunque sia, si è di fronte a una rielaborazione ormai pienamente matura, che attesta il livello di eccellenza raggiunto da Lorenzo a questa altezza cronologica: non a caso, il 7 aprile del 1505 (Regesto: alla data), veniva definito in un atto notarile “pictor celeberrimus”. L’analisi della tavola americana conferma tale posizione, oltre che per la straordinaria resa pittorica – che ha suggerito spesso il confronto con la Tempesta di Giorgione – anche per la sua raffinatissima elaborazione concettuale. Da subito il tema è stato inquadrato nei termini di una contrapposizione tra virtù e vizio, con il primo concetto incarnato dal putto, il secondo dal satiro: così, tra gli altri, Berenson (1955), che coglieva “un evidente monito morale sui beni e i mali derivanti dalle virtù e dai vizi”, de Tervarent (1958-1959), Rusk Shapley (1968), che sottolineava il passaggio dalla rovina della vita peccaminosa alla serenità dell’arte e della bellezza (attraverso la scelta razionale simboleggiata dall’albero al centro) e Gentili (1981, 1985) che approfondiva un’analisi imperniata sulla contrapposizione tra virtus e voluptas. Si è tuttavia dovuto attendere il 1987 per giungere a una lettura in grado di spiegare coerentemente ogni aspetto della scena. Il merito spetta a Francesca Cortesi Bosco, che dimostrò come i tanti elementi disseminati nell’Allegoria “sono tutti motivi che trovano riscontro o spiegazione negli scritti di teologia mistica del teologo parigino Jean Gerson relativi all’anima rationalis e all’unione mi-
stica con Dio” (p. 346). La studiosa specificava il suo assunto costituendo una rassegna di passi, tratti dal De monte contemplationis e dal De mystica theologia, di palese aderenza con quanto illustrato da Lorenzo. In sintesi, ella dimostrò come il mare rappresenti il mondo e corrisponda alla sensualità umana, sconvolta dai venti delle passioni, da cui ci si può salvare approdando alla riva sicura della salvezza eterna. “Il monte è metafora dell’ascesi”, a cui si sale solo grazie alla natura dell’Amore che è rappresentato dal putto con le ali. “I tre alberi lungo il pendio del monte rammemorano le tre stationes della virtù”, mentre la nube che avvolge la cima “è la caligo nella quale Dio inspicitur per abnegationem”. Le tre figure, invece, “alludono alle tre forze cognitive e appetitive dell’anima razionale di cui Gerson tratta a lungo nel De mystica theologia: Amor sta per l’intelligentia semplicis, il putto con il compasso per la ratio, il satiro per la sensualitas o animalitas o potentia cognitiva sensualis” (p. 347). È solo la prima attitudine a consentire l’ascesi, grazie alla quale l’uomo può dominare se stesso, scegliere il bene e rinnovarsi interiormente. Questa svolta morale è simboleggiata dall’albero mediano che, troncato nel punto in cui vira verso la parte negativa, si rigenera nel ramo che tende verso il monte. Lo scudo di cristallo con incisa la testa di Pallade è spiegato infine – sulla base di Cartari (1571) – come ciò che protegge l’anima senza oscurarla (p. 348). In seguito, la studiosa tornò anche in altre occasioni sull’opera (1990, 1998, 2016), titolandola Gli appetiti dell’Anima razionale, e le successive letture dedicate al dipinto non hanno alterato la validità di tale interpretazione, bensì, semmai, integrata: come l’osservazione di Cibati (in c.s.) che ha giustamente messo in risalto il fatto che al putto in primo piano in effetti stanno crescendo le ali, appena tratteggiate ma distinguibili. La sofisticatezza della costruzione iconografica implica un’interazione stretta con il committente, che produsse anche “pentimenti” in corso d’opera: come rilevato da Brown (1998), in particolare, “la sommità del monte nascosta tra le nubi è stata dipinta sopra la catena montagnosa visibile in lontananza, che in origine continuava fin sul bordo sinistro dell’immagine. Il secondo putto e la sommità immersa nella luce non erano quindi inclusi nella concezione originale dell’artista”. Tale riscontro consente di motivare ulteriormente la sopra menzionata specificazione di Cibati.
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Ritratto di frate domenicano 1505-1506 circa
Tavola, 33,8 × 25,5 cm The National Trust, Upton House, Banbury (Oxfordshire) Inv. NT 446819 Provenienza: Lemberg (Germania), collezione Pininsky (Glück 1910); Vienna, collezione von Auspitz (Berenson 1932); David George van Beuningen (1932); galleria Bachstitz dell’Aja (dal 1935; cfr. Bulletin 1935); acquisita da Lord Walter Horace Samuel e posta nella residenza famigliare di Upton House. Esposizioni: Venezia, Mostra di Lorenzo Lotto 1953, n. 26; Madrid-Londra, Lorenzo Lotto. Portraits 2018-2019, n. 6 (solo a Madrid). Bibliografia: Glück 1910; Venturi 1926; Venturi 1927, pp. 264-267; Berenson 1932, p. 312; Fröhlich-Bume 1932, p. 399; Bachstitz 1935, pp. 9-10; Catalogue 1950, pp. 61-62 n. 235; Boschetto 1953, p. 68 n. 20; Coletti 1953, p. 37 n. 12; Pignatti 1953, pp. 46-49; Zampetti 1953, p. 46; Berenson 1955, pp. 20-21 (ed. 1956, p. 5; ed. 1957, pp. 5-6); Bianconi 1955, p. 40 (ed. 1963, I, p. 38 n. 18); Berenson 1957, I, p. 106 (ed. 1958, I, p. 109); Seidenberg 1964, pp. 43-44; The Bearsted Collection 1964, pp. 61-62; Upton House 1974, p. 19; Caroli 1975, p. 284 (ed. 1980, p. 250); Mariani Canova 1975, p. 89 n. 18; Lucco 1980, p. 59; P. Zampetti, in Lorenzo Lotto nelle Marche 1981, p. 195; Dal Pozzolo 1993, pp. 38, 42; Pedrocco 1994, p. 48; Bonnet 1996, p. 193 n. 13; Ballarin 2016 [2018], II, p. 987; E.M. Dal Pozzolo, in Lorenzo Lotto. Portraits 2018, pp. 199-200 n. 6.
Questa tavola è una delle meno note della prima produzione ritrattistica di Lorenzo, anche a causa della sua collocazione nel Novecento in collezioni di non agevole accessibilità. Ebbe una sua visibilità nel 1953, quando venne presentata alla mostra sull’artista tenutasi a Palazzo Ducale a Venezia, e, più di recente, a quella sui ritratti lotteschi a Madrid nel 2018. Vi si raffigura un giovane ecclesiastico apparentemente di un’età compresa tra i venticinque e i trent’anni, che indossa un abito bianco e che, rivolto verso la sua destra, porge lo sguardo all’osservatore. Alle sue spalle ricade un drappo verde smeraldo, come nell’Uomo di Vienna (I.3), nel Vescovo de’ Rossi a Napoli (I.6) e nella Donna di Digione (I.8). La prima segnalazione dell’opera la attesta a Lemberg, in Germania, presso il conte Leo Pininsky (Glück 1910). Poi passò a Vienna, nella raccolta di Stephan von Auspitz, dove nel 1932 fu segnalata da Fröhlich-Bume e Berenson. In quell’anno, però, von Auspitz andò in bancarotta e molti suoi dipinti entrarono in possesso del collezionista olandese David George van Beuningen. Almeno dal 1935 il dipinto si trovava nella galleria Bachstitz dell’Aja (Bulletin 1935), dove Lord Walter Horace Samuel (1882-1948), secondo visconte di Bearsted, lo acquisì (Catalogue 1950; The Bearsted Collection 1964) per collocarlo ad Upton House. Il primo a riconoscervi la mano di Lorenzo fu Max Dvořák, ma a pubblicarlo fu Glück (1910), che opportunamente inserì il dipinto all’interno del corpus giovanile. L’attribuzione venne in seguito accolta da tutta la critica lottesca, pur con qualche distinguo re-
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lativo alla cronologia: ovvero se collocarlo nella fase d’esordio nel Veneto (entro la metà del 1506) oppure durante il soggiorno marchigiano, ai tempi del polittico di Recanati (1506-1508). “È certamente opera giovanile, non oltre il 1510” affermava Boschetto nella sua scheda del 1953, in capo alla quale precisava però l’anno 1508 circa. Una datazione lievemente anteriore veniva preferita da Coletti (1953) e Pallucchini (19651966), in base al confronto con il ritratto di Donna di Digione (solitamente posto intorno al 1506, per via dello spiccato accento düreriano), e anche Bonnet (1996) si orientò sul 1506-1508. Per Lucco (1980) si tratterebbe invece di un lavoro “un po’ più arcaico” dell’esemplare francese, “e perciò da retrodatare lievemente”; nel medesimo senso si indirizza Ballarin 2016 [2018], che precisa un 1504-1505. Nella sua monografia del 1955 Berenson riconobbe una somiglianza somatica con il san Ludovico nella pala di Asolo (I.12), interrogandosi sulle ragioni di tale affinità: “può darsi che il Lotto abbia preso quel frate a modello per il suo santo; ma può anche darsi che, avendolo dipinto poco prima, lo abbia inconsciamente riprodotto nella pala d’altare, perché ne aveva impresse le fattezze nella sua memoria visiva: un fenomeno che, in guisa meno patente, non è affatto raro”. Zampetti (1953) pensava, invece, che “il raffigurato sia uno dei frati del Convento di Recanati, presso il quale il pittore dimorò dal giugno del 1506 al 1508”; sulla stessa linea si posero poi anche Mariani Canova (1975), Caroli (1975, 1980), Zampetti (1981) e Pedrocco (1994). Quest’ultimo proponeva di riconoscere in una tavola di collezione privata veneziana un altro domenicano parimenti effigiato dal pittore a Recanati nel 1506-1508 (V.135): si tratta, tuttavia, di un’ipotesi attributiva non accoglibile. Anche a parere di chi scrive siamo di fronte a un lavoro trevigiano del 1505, se non addirittura dell’anno seguente: la costruzione molto grafica del volto, con tocchi paralleli e ondulati, ricorda infatti certi disegni di Dürer preparatori per la Pala del Rosario oggi a Praga (come quello a fig. I.13a). Il dipinto, su tavola di pioppo, si presenta in uno stato di conservazione disomogeneo, con un’ampia lacuna
che scende sul viso e un depauperamento della pellicola pittorica, che possiamo immaginare in origine più brillante e smaltata di quel che appare oggi. Ciò nonostante, resta valido il giudizio di Bianconi (1955) che, definendolo “uno tra i più squisiti ritratti di questo periodo”, rimarcava la finezza dei toni di questo “volto roseo sull’avorio caldo della tonaca, contro il fondo della tenda verde che torna insistente nei ritratti lotteschi” dell’epoca. Affrontato senza alcuna volontà di enfasi retorica, il dipinto si contraddistingue per una sensibilissima interpretazione del dato naturale, che viene indagato con delicatezza nella resa delle superfici: basti osservare la capacità di descrivere il riaffiorare della barba rasata da non molto e la definizione di brani come quelli delle rughe e delle sopracciglia. Evidente è la consonanza d’impostazione con il cosiddetto Ritratto Giustiniani a Berlino, la cui attribuzione – come è noto – oscilla tra Giorgione e il primo Tiziano (fig. a). In alcuni siti britannici dedicati alle collezioni di Upton House si specifica che il ritratto potrebbe essere quello di un camaldolese o un cistercense: tuttavia il tradizionale riconoscimento del personaggio in un frate domenicano deve essere mantenuto, considerando la tipologia dell’ampio soggolo e la tonsura ad aureola (i monaci optarono per la corona). Non si può escludere, pertanto, che si tratti di un frate predicatore gravitante intorno al tempio di San Nicolò a Treviso, o a Venezia, ai Santi Giovanni e Paolo, un contesto di committenza in seguito assai frequentato dall’artista.
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Ritratto di donna 1505-1506 circa
Tavola, 36 × 28 cm Digione, Musée des Beaux-Arts Inv. T 52 Provenienza: Anthelme Trimolet (1866 circa); donata al museo nel 1878 da Edma Saulinier, vedova del pittore lionese Anthelme Trimolet (Guillaume 1980). Esposizioni: Parigi, Exposition de l’Art Italien 1935, n. 263; Venezia, Mostra di Lorenzo Lotto 1953, n. 10; Parigi, De Giotto à Bellini 1956, n. 92; Parigi, Les XVIème siècle 1965, n. 186; Washington-Bergamo-Parigi, Lorenzo Lotto 1997-1999, n. 4; Roma, Lorenzo Lotto 2011, n. 33; Amburgo, Die Poesie 2017, n. 39. Restauri: 1983, C. Huot e K. Krzyzynski. Bibliografia: Frizzoni 1906, pp. 186-187; Glück 1910, pp. 214-216; Magnin 1929, pp. 38-39 n. 52; Venturi 1929, p. 113 nota 1; Berenson 1932, p. 308 (ed. 1936, p. 265); Magnin 1933, p. 41 n. 52; Exposition 1935, p. 121; Banti 1953, p. 24; Boschetto 1953, p. 67 n. 15; Coletti 1953, p. 37; Morassi 1953, pp. 292, 296; Pignatti 1953, p. 31; Zampetti 1953, p. 21; Pignatti 1954 (La giovinezza), p. 176; Berenson 1955, p. 31 (ed. 1956, pp. 14-15; ed. 1957, p. 15); Bianconi 1955, pp. 10, 38 (ed. 1963, I, p. 36); De Giotto à Bellini 1956, pp. 65-66; Berenson 1957, I, p. 102 (ed. 1958, I, p. 105); Heinemann 1962, I, p. 246 n. V.186; Liberali 1963, pp. 6, 11; Seidenberg 1964, pp. 42-43; P. Rosenberg, in Les XVIème siècle 1965, pp. 141-142; Caroli 1975, p. 284 (ed. 1980, p. 250); Mariani Canova 1975, p. 89 n. 16; Galis Wronski 1977, pp. 212, 214-217, 250, 268270; Guillaume 1980, pp. 43-44 n. 68; Béguin 1981, p. 99; Liberali 1981, p. 75; Pignatti 1981, p. 94; Lucco 1983 (Venezia), p. 469; Sgarbi 1983, pp. 232-233; Gentili 1985, pp. 89-93; Dülberg 1990, pp. 144-145, 293 n. 329; Bonnet 1996, pp. 25, 193 n. 4; Sponza 1996 (Treviso), p. 232; D.A. Brown, in Lorenzo Lotto 1997 (ed. it. 1998, pp. 81-83); Humfrey 1997 (ed. 1998, p. 12); Giani 1998 (Lorenzo Lotto), p. 91; Stedman Sheard 1997 (ed. 1998, p. 43); Heimbürger 1999, p. 214; Cortesi Bosco 2000, p. 115 nota 37; S. Jugie, in Musée des Beaux-Arts de Dijon 2002, p. 44; Bertling Biaggini 2005, pp. 74, 77; Cortesi Bosco 2006, p. 200; S. Ferino-Pagden, in Bellini, Giorgione 2006, pp. 200-203; Dal Pozzolo 2008, pp. 71-72; E. Dezuanni, in Lorenzo Lotto 2011, p. 204; Villata 2013, p. 142; Ballarin 2016 [2018], II, p. 987; Cortesi Bosco 2016, pp. 258 nota 218, 501 nota 60; S. Pisot, in Die Poesie 2017, p. 192; Davanzo Poli 2018, pp. 112-113.
A mezzo busto, contro una tenda verde smeraldo definita con colpi di pennello e marezzature quasi impressionistici, una donna di circa quarant’anni – un po’ paffuta e con gli occhi chiari – è immobile e in posa. Come rilevato da Doretta Davanzo Poli (2018), indossa una veste nera con ampia scollatura ovaliforme, con un punto vita rialzato e maniche voluminose, unite al giro spalla dove fuoriesce lo sbuffo della camicia, secondo una tendenza propria del primo decennio del Cinquecento. Un “fazuolo” sulle spalle riduce lo scollo e scende sui seni in due lembi ben acconciati. I capelli biondo-rossicci sono raccolti entro una cuffietta di rete bianca, ricoperta parzialmente da un piccolo velo trasparente. L’acconciatura, ordinata ma
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modesta, in quest’epoca si ritrova sul capo di donne identificabili quali balie, così come il “fazuolo”, posto forse a nascondere gli spacchi sui seni fatti per facilitare l’allattamento, come dimostrano numerosissime immagini di Madonne colte in tale atteggiamento. Portatore di una tradizionale attribuzione a Holbein, il dipinto venne rivendicato all’artista veneziano da Frizzoni (1906), che lo confrontava con il Ritratto del vescovo de’ Rossi di Napoli (I.6) – “vi è caratteristica la levigatezza e la trasparenza del colorito” – e con la santa Caterina nella tavoletta di Cracovia (I.14). Tale riferimento fu unanimemente recepito dalla critica, con l’eccezione di Magnin, che – dopo averlo accolto in un primo momento (1929) – nel 1933 propose invece il nome di Jacopo de’ Barbari, suggerito da Roberto Longhi nel 1922 in una nota inviata al museo. All’epoca la tavola era pesantemente ridipinta, come si comprende bene dalle vecchie riproduzioni. In seguito, lo stesso Longhi dovette cambiare idea, come attesta l’inserimento del quadro entro il corpus autografo licenziato da Banti e Boschetto nel 1953. Qui Banti evidenziava la ricorrenza tipologica riscontrabile rispetto alla santa Caterina polacca e alla Madonna nella pala di Asolo (I.12): “un unico modello di massaia limitata, ostinata ma dolce, dal mento grassoccio, dal nasetto adunco, con quella ciocca, sotto il panno da testa, che si scioglie dalla scriminatura”. Una buona convergenza si è registrata sul problema della datazione, che da genericamente giovanile si è andata comunemente fissando sul biennio 1505-1506 (Zampetti 1953; Boschetto 1953; Bianconi 1955; Pallucchini 1965-1966; Mariani Canova 1975; Caroli 1980; Brown 1998). In effetti, la più volte richiamata prossimità con l’effigie del vescovo de’ Rossi è ben evidente nell’analogia del taglio interpretativo, condotto all’insegna di un’“immediatezza realistica che non conosce più limite di accademia o di tradizione” (Pignatti 1954). D’altra parte, questa tensione formale ha suggerito l’ipotesi che all’epoca dell’esecuzione Lotto avesse già avuto modo di conoscere direttamente l’opera di Dürer e che, di conseguenza, la datazione andasse precisata sul 1506 (Pallucchini 1965-1666; Ballarin 2016 [2018]), se non addirittura più avanti (Heimbürger 1999). Peraltro, non è mancato anche in tempi recenti chi – come Cortesi Bosco (2000) – ha ritenuto di anticipare l’esecuzione a prima del luglio del 1505 in cui fu licenziato il ritratto del de’ Rossi, se non addirittura al 1501-1502 (Dezuanni 2011). In effetti, il confronto con alcuni disegni del maestro tedesco – come quello suggerito da Pignatti (1981) con la Testa di donna dell’Albertina (fig. a) – lascia intendere un contatto già intercorso tra i due artisti. Purtroppo lo stato di conservazione della tavola non è buono, con una generale abrasione e ampie lacune: solo alcune aree documentano la finezza dell’esecuzione, come gli occhi, dalla cornea brillante e trasparente. A partire da Liberali (1963, 1981) si è più volte avanzato un tentativo di identificazione del personaggio con la sorella del vescovo Giovanni de’ Rossi, vedova Malaspina, morta nel 1502. Si tratterebbe, in tale prospettiva, di un ritratto post mortem, fatto eseguire dal fratello per commemorarne la memoria. Tale ipotesi è stata prospettata da Galis Wronski (1977), che individuava un’eventuale coperta del ritratto nell’Allegoria
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petrarchesca di Washington (I.9). Tale supposizione è stata ripresa anche da Gentili (1985), Bonnet (1996), Brown (1998), Humfrey (1998), Jugie (2002), Ferino-Pagden – che ha pubblicato un’idea ricostruttiva del pendant (2006: fig. 1 a p. 202) – e Dezuanni (2011): quest’ultima, peraltro, difendendo la possibilità di un ritratto dal vivo. Tuttavia, come ammesso dallo stesso Liberali, negli inventari dei beni del vescovo e della sorella non vi è alcun riferimento a un’effigie di Giovanna e men che meno a un correlato pannello protettivo. Inoltre, il rapporto proporzionale che si registra tra il ritratto del vescovo (54,7 × 41,3 cm) e la relativa coperta (56,5 × 42,2 cm) – con un’estensione lievemente superiore di quest’ultima, che poteva essere inserita lateralmente nella cornice originale (fig. I.6a) – non depone in favore di tale opzione, considerando che l’Allegoria petrarchesca di Washington misura 42,9 × 33,7 cm, mentre la tavola francese 36 × 28 cm. Ovviamente non si può escludere un diverso sistema proporzionale, con una cornice più larga, ma, trattandosi di opere eseguite nello stesso periodo, sembrerebbe piuttosto improbabile. Per una differente proposta di abbinamento della tavola americana si veda la scheda I.3.
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I.9
Allegoria petrarchesca 1505-1506 circa
Tavola, 42,9 × 33,7 cm Washington, The National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection Inv. 1939.1.147 Provenienza: forse Firenze, vendita Medici 1681 (Anderson 1996); Milano, collezione del conte Carlo Castelbarco (1808-1880); Milano, mercato antiquario; acquistata nel 1887 da Sir Martin Conway, Allington Castle, presso Maidstone, Inghilterra (Conway 1914); Firenze, Alessandro Contini Bonacossi; venduta nel 1934 alla Samuel H. Kress Foundation e donata alla National Gallery of Art nel 1939. Esposizioni: Londra, Exhibition of Venetian Art 1894-1895, n. 80; Londra, Catalogue of a Collection 1914, n. 21; Londra, Catalogue of the Picture Gallery 1928, n. X29; Londra, Exhibition 1930, n. 403; Hartford, Night Scenes 1940, n. 11; Washington-Bergamo-Parigi, Lorenzo Lotto 1997-1999, n. 5; Washington-Vienna, Bellini, Giorgione 2006-2007, n. 37; Roma, Lorenzo Lotto 2011, n. 51; Firenze, Il sogno del Rinascimento 2013, n. 19. Restauri: 1887, L. Cavenaghi (?); 1935 circa, S. Pichetto; 1955, M. Modestini; 1996 (pulitura). Diagnostica: RX e IRR (in Brown 1997, p. 86, figg. 1-2). Bibliografia: Morelli 1891, pp. 59 nota 1, 63, 69, 73 nota 1; Morelli 1893, pp. 46, 51, 55 nota 1; Berenson 1894, p. 115; Exhibition of Venetian Art 1894, p. 16; Berenson 1895, pp. 1-3, 49-50, 316-318 (ed. 1901, pp. 1-2, 38, 256-257; ed. 1905, pp. 1-2, 38, 256-257); Frizzoni 1896, pp. 3-5; Catalogue of a Collection 1914, p. 22; Conway 1914, pp. 38-44; Fiocco 1914, p. 382; Exhibition 1930, p. 224; Berenson 1932, p. 309 (ed. 1936, p. 266); Borenius 1934, p. 231; Coletti 1939, pp. 350-351; Biagi 1942, pp. 3-4; Pallucchini 1944, pp. XXVII-XXVIII; Longhi 1946, pp. 18, 62; Boschetto 1953, p. 64 n. 5; Coletti 1953, p. 37; Pignatti 1954 (La giovinezza), p. 172; Berenson 1955, pp. 18-19 (ed. 1956, p. 4; ed. 1957, p. 4); Berenson 1957, I, p. 107 (ed. 1958, I, p. 110); Tervarent 1958-1959, II, coll. 390-391; Ballarin 1962, p. 484; Rusk Shapley 1968, pp. 158-159; Pochat 1973, pp. 384-387; Caroli 1975, p. 106; Mariani Canova 1975, p. 88 n. 10; Galis Wronski 1977, pp. 35, 203-217, 435-446; Sgarbi 1977, p. 45; Gandolfo 1978, pp. 34-36; Rusk Shapley 1979, I, pp. 275-277; Gentili 1980, pp. 65-66 (ed. 1988, pp. 101-103); Lucco 1980, p. 50; Mascherpa 1980, pp. 15, 22-23 nota 8; Arasse 1981, pp. 370-377; Béguin 1981, p. 101; Pignatti 1981, p. 95; Gentili 1985, pp. 87-93; Pochat 1985; Place of Delight 1988, pp. 69, 74-76, 258; Dülberg 1990, pp. 144-145, 293 n. 329; Cortesi Bosco 1992 (Divina vigilia); Dal Pozzolo 1992 (Laura); Anderson 1996, pp. 79, 351 nota 44, 378; Bonnet 1996, pp. 25, 193 n. 5; D.A. Brown, in Lorenzo Lotto 1997 (ed. it. 1998, pp. 85-87); Humfrey 1997 (ed. 1998, p. 12); Cortesi Bosco 1998, pp. 38-40; Gardner 1998, I, p. 208; Heimbürger 1999, pp. 205-206; Helke 1999, pp. 22-24; Zanchi 1999, pp. 33-36; Trapp 2001, pp. 84-87; Bertling Biaggini 2005, pp. 74-76; Cortesi Bosco 2006, p. 201; S. Ferino-Pagden, in Bellini, Giorgione 2006, pp. 204-207; Dal Pozzolo 2008, pp. 55-75, 199-208; Dal Pozzolo 2009, pp. 106-108; Bolzoni 2010, pp. 276-277; M. Binotto, in Lorenzo Lotto 2011, pp. 266-269; V. Dalmasso, in Il sogno
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nel Rinascimento 2013, p. 100; Oettinger 2015, pp. 250255; Ballarin 2016 [2018], II, p. 973; Cortesi Bosco 2016, pp. 462-467, 531 nota 25; E.M. Dal Pozzolo, in Lorenzo Lotto. Portraits 2018, p. 195; Wood 2018, pp. 13-14; Torre 2020-2021.
In un paesaggio boschivo una fanciulla bionda, vestita con una tunica bianca e un drappo dorato, se ne sta nei pressi di una pozza d’acqua. Con il braccio destro si appoggia a un tronco apparentemente morto, da cui però si sviluppano in verticale due rami rigogliosi: la forma dei fusti e delle foglie indica trattarsi di alloro. La donna è scalza e rappresentata con gli occhi aperti, in atteggiamento riflessivo. Sopra di lei, un putto alato getta manciate di corolle bianche, che sembrerebbero pure di alloro: le tiene raccolte entro un lembo della sua tunica, ma la stessa nuvoletta da cui si protende è costituita da fiori analoghi. Parte di questi cade sulla figura, parte sull’erba e sull’acqua. In primo piano – quasi indifferenti alla fanciulla – appaiono a sinistra una satiressa che, allargando le zampe e abbracciando il tronco di un albero, guarda al satiro che nell’angolo a destra sta sollevando una brocca, per bere, ma da cui però non sembra uscire alcun liquido. Nell’ultimo piano si staglia un paesaggio montano e, all’orizzonte, il cielo si tinge di arancio, a indicare il tramonto o – più probabilmente – l’aurora. È stato osservato come un dipinto con un soggetto analogo fosse stato venduto dai Medici a Firenze nel 1681: una “tavola di Giorgione, con una dona seduta che guarda il cielo tiene un drappo nelle mani qual sono Danae in piogia d’oro” (Anderson 1996). Non possiamo appurare se fosse proprio quest’opera, che venne acquistata da Sir Martin Conway (un esploratore e storico dell’arte inglese) presso un rigattiere di Milano, con l’indicazione che si trattava di un pezzo proveniente dalla collezione Castelbarco. Portatolo nel laboratorio del restauratore Luigi Cavenaghi, fu riconosciuto a Lotto da Giovanni Morelli e Gustavo Frizzoni. Il primo a pubblicarlo come opera giovanile dell’artista veneziano, in una fase molto belliniana, fu per l’appunto Morelli (1891, 1893), venendo subito seguito da Berenson, prima negli Indici dei Venetian Painters del 1894 e l’anno successivo nella prima edizione del suo lavoro monografico. In quest’ultima lo studioso poneva il pezzo ad apertura del catalogo del maestro, con una datazione sul 1498, in lieve anticipo rispetto al San Girolamo del Louvre, la cui data veniva allora letta come un 1500 (I.11). Questa (1498-1500) fu la cronologia ammessa dalla critica successiva (ad esempio: Fiocco 1914; Biagi 1942; Longhi 1946), fino a quando Wilde (1950) propose di rettificare in 1506 la data del dipinto parigino; nel frattempo era riapparsa la coperta del ritratto del de’ Rossi (I.6), che Borenius (1934) aveva precisato risalente al 1505, sulla base della perduta iscrizione sul verso riportata da Federici (1803). A quel punto il problema della cronologia si risolse indicando, pressoché concordemente, gli anni 1505-1506. Il secondo dei due estremi fu privilegiato da quanti v’intravedevano il riflesso di un avvenuto contatto con Albrecht Dürer, com’è noto presente a Venezia dall’autunno del 1505. Altri, invece, sottolineavano il nesso con Giorgione, e in particolare con la Tempesta, peraltro di datazione incerta.
a
Più di recente la discussione si è concentrata sul problema iconografico. Dopo il riconoscimento di una Danae, furono avanzate titolazioni generiche (come Amor sacro e Amor profano o Sogno di una giovane) oppure del tutto improbabili (la Ninfa Rodi coperta d’oro da Plutone): in seguito ci si è per lo più indirizzati verso una lettura di carattere allegorico, contrapponente la virtus, rappresentata dalla fanciulla al centro, alla voluptas, emblematizzata dai due satiri. In tal senso significative si sono rivelate le precisazioni offerte da Brown (1998), il quale ha fatto notare che in una prima stesura (a tavola capovolta) il pittore aveva immaginato al centro una figura seminuda (fig. a) analoga a quella del dio nell’Apollo di Budapest (I.86), a suo parere però più probabilmente un Ercole al bivio, paragonabile a quello di Giacomo Pacchiarotti nel medesimo museo ungherese. Lo studioso adottava il titolo di Allegoria della Castità, pur riprendendo una serie di spunti che erano stati offerti da chi scrive e da Francesca Cortesi Bosco in due saggi apparsi indipendentemente nel 1992. Quest’ultima riconosceva nel dipinto la rappresentazione dell’anima che si ricongiunge a Dio, identificandolo in quel “quadro de l’anima rationale” che Lotto alla fine della sua carriera aveva portato con sé nelle Marche, ponendolo in vendita – ma senza successo – nella lotteria svoltasi ad Ancona nel 1550: si tratterebbe, quindi, di un’opera eseguita per se stesso. Per Pochat (1973, 1985) e chi scrive (1992, 2008, 2009), invece, siamo innanzi a una singolare interpretazione della canzone CXXVI delle Rime di Francesco Petrarca, Chiare e fresche e dolci acque: la donna al centro sarebbe Laura, appoggiata a una pianta di lauro, che riceve una pioggia di fiori d’alloro, all’aurora (pure un riferimento petrarchesco alla donna: “ivi è Laura ora”), sulle rive del fiume Sorga e nel contesto boschivo di Valchiusa, esattamente dove il poeta ebbe la sua visione dell’amata. La presenza dei due satiri serve a contrapporre al candore della donna una ferinità di segno negativo, che per certi aspetti però riflette una precisa e dissacrante linea interpretativa del Canzoniere in voga dalla fine del XV secolo, secondo cui antesignano degli “stolti amanti” sarebbe stato lo stesso letterato aretino che, se avesse potuto scegliere, “harebbe voluto lasciare le lettere et usare le lettiere” (Francesco Filelfo). Un possibile ispiratore iconografico, e forse committente, del dipinto è il riminese Giovanni Aurelio Augurello (cfr. I.3), un autorevole esegeta di Petrarca, che in quegli anni dimorava a Treviso e di cui sappiamo che Lotto eseguì un perduto ritratto corredato da un coperto (VI.54). È stato peraltro più volte sostenuto che la tavola costituì, invece, la copertura allegorica del Ritratto di donna a Digione, alla cui scheda si rinvia per ulteriori informazioni (I.8).
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I.10
Matrimonio mistico di santa Caterina alla presenza di san Girolamo (?) 1506 circa
Tavola, 71,3 × 91,2 cm Firmata sulla ruota di Caterina: LAVRENT LOTVS F. Monaco, Alte Pinakothek Inv. 12 Provenienza: (?) Parigi, collezione del cardinale Richelieu (1643); Würzburg, Residenz (fino al 1804); dal 1804 al 1836 nella Hofgartengalerie; di lì al museo. Esposizioni: Venezia, Mostra di Lorenzo Lotto 1953, n. 15. Disegni: • Roma, Istituto centrale per la grafica (inv. F.C. 130462) Testa di donna (fig. a) Pennello, acquerello grigio e biacca su carta, 177 × 145 mm Forse preparatorio per Berenson (1955), Bianconi (1955) Mariani Canova (1975), Zampetti (1981), Rearick (1993) e L’Occaso (2016). Per chi scrive, di dubbia autografia (lombardo?). Bibl.: Grassi 1954; Mariani Canova 1975, p. 90; Dal Pozzolo 1993, pp. 40, 48 nota 36; Rearick 1993, p. 308; L’Occaso 2016, p. 20. • Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe (1685 F) Studio di panneggio Matita e gesso nero su carta azzurra, 283 ×246 mm Per Mariani Canova (1975), forse preparatorio. Sul verso, frammento di una testa maschile di profilo. Bibl.: Forlani 1961; Mariani Canova 1975, p. 90; R. Poltronieri, in Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, p. 174 n. III.4. Copie: • Bergamo, collezione privata Si veda III.2. • Boston, Museum of Fine Arts Si veda III.4. Bibliografia: Crowe, Cavalcaselle 1871, p. 560 (ed. 1912, III, p. 397); Morelli 1880, p. 39; Morelli 1893, p. 53; Berenson 1894, p. 115; Berenson 1895, pp. 12-13 (ed. 1901, pp. 9-10; ed. 1905, pp. 9-10); Frizzoni 1896, p. 9; Biscaro 1898 (Lorenzo Lotto), p. 148; Coletti 1926, p. 98; Venturi 1929, pp. 15-17; Berenson 1932, p. 309 (ed. 1936, p. 266); Biagi 1942, p. 6; Boschetto 1953, p. 67 n. 16; Coletti 1953, p. 39; Pignatti 1953, pp. 46-49; Zampetti 1953, p. 28; Zocca 1953, p. 337; Grassi 1954, p. 56; Pignatti 1954 (La giovinezza), p. 178; Berenson 1955, p. 25 (ed. 1956, p. 9; ed. 1957, pp. 9-10); Bianconi 1955, p. 38 (ed. 1963, I, p. 37); Berenson 1957, I, p. 104 (ed. 1958, I, p. 107); Venezianische Gemälde 1971, pp. 90-93; Caroli 1975, p. 116 (ed. 1980, p. 94); Mariani Canova 1975, pp. 89-90 n. 19; Sgarbi 1979, p. 274; Mascherpa 1980, pp. 19, 31; Rudel 1981, p. 197; Volpe 1981, pp. 129, 130, 144 nota 4; P. Zampetti, in Lorenzo Lotto nelle Marche 1981, p. 96; Zampetti 1983, n. 7; Oldfield 1984 (Lorenzo Lotto, 1508-1513), p. 24; Gentili 1985, pp. 132-137; Cortesi Bosco 1987, I, p. 346; Dal Pozzolo 1993, pp. 39-40; Dal Pozzolo 1995, pp. 21-22; Bonnet 1996, pp. 34-35, 193 n. 10; Sponza 1996 (Treviso), p. 237; Humfrey 1997 (ed. 1998, pp. 23-25); Heiden 1998, p. 328; Heimbürger 1999, p. 213; Tempestini 1999, pp. 961-962; Cortesi Bosco 2006, p. 200; Gentili 2009, p. 120; Wilson 2009, p. 137; Ballarin 2016 [2018], II, pp. 981, 986-987;
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Cortesi Bosco 2016, p. 233; Campbell 2019, pp. 146-147; Caramanna 2019, pp. 458-459; Piccolo 2019 (Lorenzo Lotto), p. 411.
La Madonna seduta sta accostando con le mani Gesù e santa Caterina d’Alessandria, alla quale il Bimbo pone l’anello delle nozze mistiche all’anulare della sinistra. Lui la osserva attentamente, mentre lei abbassa lo sguardo portandosi l’altra mano al petto. È elegantissima: i capelli biondi sono intrecciati e fermati da un filo nero, con un pendente all’estremità, che le circonda il capo. Orecchini e collana sono di perle e al polso porta un bracciale d’oro decorato. Indossa una camicia bianca, di cui si vedono le maniche plissettate, sopra la quale porta una veste pure bianca con un fiocco rosa alla spalla e risvolti color pervinca. La Madonna assiste alla scena chinando il capo, coperto da un velo con filettature gialle. Alla loro sinistra sbuca la mezza figura di un vecchio canuto che – analogamente alla santa Caterina nella tavoletta di Cracovia (I.14) – si protende per osservare meglio la scena. Indossa una veste blu con un mantello violaceo e stringe a sé un grande volume verde chiaro, chiuso con cerniere, caratterizzato da una raffinatissima decorazione con motivi ispirati ai tappeti orientali. Sulla sua identità non vi è certezza. Per lo più riconosciuto in Giuseppe, è forse più probabilmente Girolamo, per via dell’ostentazione del libro, come rilevato da Gentili (1985): fu tramite la sua traduzione della Bibbia, infatti, che Caterina poté innamorarsi di Cristo, sposandolo misticamente. Sul lato sinistro si apre un paesaggio con un cielo azzurro solcato da nuvole grigiastre e bagnato in basso da uno squarcio arancione che sembra indicare il momento del tramonto o dell’aurora. L’ambientazione è montana, con alberi e rocce e da un sentiero risale un cavaliere che conduce un secondo cavallo carico di bagagli, forse allusivo al tema del pellegrinaggio spirituale (fig. 11 a p. 32). È stato recentemente suggerito da Caramanna (2019) che la tavola potrebbe corrispondere a quella descritta come del maestro nel 1643 nella raccolta parigina del cardinale Richelieu, poi acquistata da Claude Mallier II d’Houssay e in seguito dispersa. Quel che è certo è che la prima segnalazione la attesta all’inizio del XIX secolo nella prestigiosa residenza di Würzburg, per giungere all’Alte Pinakothek di Monaco di Baviera nel 1836. Qui la vide Giovanni Battista Cavalcaselle, che la copiò in uno dei suoi disegni conservati alla Biblioteca Marciana di Venezia (si veda Piccolo 2019, fig. 173), così commentandola nell’History of Painting (1871): “the gentle and slender saint recalls Previtali’s angel in the Annunciation of Ceneda, and the bearded Joseph, with his book, is half Bellinesque and half Palmesque”. Un carattere belliniano era evidenziato pure da Morelli (1880, 1893), secondo il quale “it is probably of the same period of the pictures at Treviso and Asolo (1505-1507)”, mentre Berenson (1895, 1901, 1905) rilevava analogie con Alvise Vivarini e Jacopo de’ Barbari. Le datazioni proposte oscillano tra il 1503 e il 1509, per lo più focalizzandosi sul biennio 15051506. Sarebbe tuttavia del 1504-1505 per Cortesi Bosco (2016), del periodo marchigiano (1506-1508) per Pallucchini (1953), Berenson (1955), Mariani Canova (1975) e Mascherpa (1980), e addirittura del 1509, a Roma, per Zocca (1953). Chi scrive ritiene il 1506 l’opzione preferibile, in virtù degli evidenti nessi con
a
l’Allegoria petrarchesca di Washington (I.9), con il San Girolamo del Louvre (I.11) e con la pala di Asolo (I.12). “Tra le più perfette opere del periodo trevigiano” per Bianconi (1955), è caratterizzata da una composizione piramidale, con un bilanciamento geometrico delle varie aree ben evidenziato da Rudel (1981, II, fig. 8 a p. 97). Spesso si è rilevato il carattere düreriano dell’interpretazione, ma non senza distinguo (cfr. Heimbürger 1999). Inoltre, non sono mancati richiami alla produzione lagunare di Giovanni Agostino da Lodi (Dal Pozzolo 1993) e lombarda e nordica più in generale: Ballarin (2016 [2018]) ha definito il Bambino “un esempio strepitoso di bramantismo milanese”, evocando da un lato anche i nomi di Leonardo e Boltraffio, e dall’altro, oltre che Dürer – nel santo barbuto – “il Grünewald dell’altare Heller”. Nella medesima direzione danubiana, Volpe (1981) notava “la corrispondenza di motivi e di fantasia nell’incendiato tramonto della Natività dell’Altdorfer nel Museo di Brema, che è del 1507”. In verità, il fondale paesistico è molto vicino a quello nell’Allegoria petrarchesca di Washington, di certo coeva (I.9). Se Boschetto (1953), seguito da Zampetti (1953, 1983), era propenso “a riconoscere nell’opera lo Sposalizio di Santa Caterina visto da Ridolfi in casa Galdini a Treviso” (VI.131), secondo Gentili potrebbe trattarsi dell’ultima opera eseguita per Bernardo de’ Rossi: “intanto perché Caterina ha ancora una volta le sembianze trasfigurate e abbellite di madonna Giovanna [cfr. I.8]; poi perché il quadro può essere identificato con quello ‘de la Madona e san Joseph’ citato negli inventari dei beni del vescovo”. Secondo Cortesi Bosco (2006), invece, committente dell’opera sarebbe stato il notaio Nicolò Tempesta, in documentato contatto con l’artista dal novembre del 1504 all’ottobre del 1506: tuttavia non sussistono solidi indizi che supportino una tale ipotesi. La composizione – estremamente equilibrata, ma anche originale in soluzioni come quella del santo in diagonale e del paesaggio visto dall’alto – ebbe successo e fu riproposta, con minime variazioni, in due tavole realizzate dalla bottega negli stessi tempi (si veda supra).
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I.11
San Girolamo in un paesaggio 1506
Tavola, 48 × 40 cm Firmata e datata su una roccia: LOTVS 150[6?] Parigi, Musée du Louvre, Département des Peintures Inv. M.I. 164 Provenienza: Roma, collezione del cardinale Fesch (1814-1841); Parigi, collezione del pittore Moret; vendita Moret, Parigi, 12 febbraio 1857, n. 39; acquisito dal Louvre. Esposizioni: Parigi, Exposition de l’Art Italien 1935, n. 239; Venezia, Mostra di Lorenzo Lotto 1953, n. 13; Parigi, Le Siècle de Titien 1993, n. 8; WashingtonBergamo-Parigi, Lorenzo Lotto 1997-1999, n. 6; Venezia, Il Rinascimento 1999, n. 41; Roma, Lorenzo Lotto 2011, n. 18; Lens, Renaissance 2012-2013, n. 27; Londra, In the Age of Giorgione 2016, n. 18. Bibliografia: Catalogue 1841, p. 61 n. 1367; Crowe, Cavalcaselle 1871, p. 501 (ed. 1912, III, p. 399); Morelli 1886, p. 37; Morelli 1893, pp. 45, 47; Berenson 1895, pp. 3-4 (ed. 1901, pp. 2-3; ed. 1905, pp. 2-3); Frizzoni 1896, p. 5; De Ricci 1913, p. 78 n. 1350; Hautecoeur 1926, p. 77; Berenson 1932, p. 310 (ed. 1936, p. 266); Exposition 1935, p. 119; Coletti 1939, pp. 350, 352; Longhi 1946, pp. 18, 62; Wilde 1950; Banti 1953, p. 8; Boschetto 1953, p. 66 n. 12; Coletti 1953, p. 37; Pignatti 1953, pp. 21, 26; Zampetti 1953, p. 24; Berenson 1955, p. 26 (ed. 1956, p. 10; ed. 1957, p. 10); Bianconi 1955, p. 39 (ed. 1963, I, p. 37); Berenson 1957, I, p. 104 (ed. 1958, I, p. 107); Liberali 1963, pp. 6, 27-28 nota 80; Caroli 1975, p. 108 (ed. 1980, p. 90); Mariani Canova 1975, p. 89 n. 15; Salvini 1978, p. 93; Mascherpa 1980, pp. 15, 31; Béguin 1981, pp. 99-101; Liberali 1981, pp. 75, 78, 83; Sgarbi 1981, p. 230; Volpe 1981, p. 128; Lattanzi 1983, pp. 66-68; Gentili 1985, pp. 129-132; Dülberg 1990, pp. 164-165, 293 n. 330; Romano 1991, p. 61; A. Ballarin, in Le Siècle 1993, p. 309; S. Béguin, in Le Siècle 1993, pp. 274-275; Dal Pozzolo 1993, pp. 37-38, 47-48 note 21-22; Bonnet 1996, pp. 31-32, 193 n. 7; D.A. Brown, in Lorenzo Lotto 1997 (ed. it. 1998, pp. 88-90); Humfrey 1997 (ed. 1998, pp. 12-17); Heimbürger 1999, pp. 206-207; S.C. Martin, in Il Rinascimento 1999, p. 272; Cortesi Bosco 2000, pp. 75, 97-98 note 8-9; Cortesi Bosco 2006, p. 200; Catalogue sommaire des peintures 2007, p. 83; Dal Pozzolo 2008, pp. 55-57; Mozzoni 2009, pp. 154-155; Dal Bello 2011, pp. 42-43; F. Fracassi, in Lorenzo Lotto 2011, p. 156; V. Delieuvin, in Renaissance 2012, p. 72; Mariuz 2012, p. 26; Ballarin 2016 [2018], II, pp. 962-965; Cortesi Bosco 2016, pp. 401, 506 nota 86, 532 nota 273; S. Facchinetti, in In the Age 2016, p. 80; De Carolis 2019, p. 327; Monbeig Goguel 2019, p. 302; Piccolo 2019 (Lorenzo Lotto), p. 410.
San Girolamo fu uno dei santi più amati dalla committenza di formazione umanistica nei secoli XV e XVI perché la sua figura combinava quella del cardinale, protagonista della vita attiva, dell’anacoreta, che si rigenera nella meditazione, e del letterato, che si assunse il compito di tradurre la Bibbia in latino (la cosiddetta Vulgata). Al pari di molti suoi colleghi, Lotto privilegiò quasi sempre la veste del penitente in fuga dal mondo e alla ricerca del Cristo. L’esemplare del Louvre è la sua prima interpretazione del tema giunta
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fino a noi, sia che la si consideri – come alcuni – del 1500, oppure – come qui si ribadisce – del 1506 (per tale questione si veda infra e il saggio introduttivo alle pp. 29-30). Esso fotografa nella maniera più limpida la peculiarità della posizione artistica del maestro al culmine della sua prima esperienza trevigiana, con un risultato di eccezionale equilibrio compositivo, ma nel contempo emozionante, lirico e visionario. Il santo è rappresentato frontalmente seduto tra le rocce e circondato dai libri, mentre con la sinistra impugna il crocifisso e con la destra stringe il sasso con cui si percuote il petto. Si trova in un paesaggio montuoso e aspro, e vi è giunto attraverso un percorso solitario pure descritto dal pittore: perché è verosimilmente lui – e non, come spesso affermato (da Berenson 1895), Antonio Abate – il personaggio che si scorge nell’ombra dell’anfratto a sinistra accompagnato dal leone (Gentili 1985). Tale rappresentazione cinetica si ritrova anche nel San Girolamo di Castel Sant’Angelo (I.18) e si esplica in maniera articolatissima nel continuum narrativo nelle Storie di santa Barbara a Trescore (I.54). Nel fondale s’intravede un cavaliere solitario, che pure può alludere, metaforicamente, al viaggio interiore. La composizione è caratterizzata da una tendenza geometrizzante che gioca con gli elementi naturali per comporre un contesto finalizzato a enfatizzare, come scrisse Banti (1953), “non più il penitente, ma la solitudine del penitente”. Girolamo è parte integrante di questo paesaggio: addossato al masso più aguzzo si macera in una preghiera dura ed estenuante, della quale però è pieno padrone e, in fondo, unico vincitore. Non si può escludere che l’opera appartenesse al vescovo de’ Rossi. Gli inventari delle sue suppellettili pubblicati da Liberali (1981) testimoniano infatti di un dipinto raffigurante “uno sancto Hieronimo” (1510) e “uno quadro del santo Gieronimo” (1511), a fianco di altri pezzi poi riconosciuti come dell’artista (I.2, I.6 e, forse, I.10 e I.15). Si tratta tuttavia di una possibilità, non di una certezza, considerando l’enorme fortuna iconografica del santo cui si è accennato in apertura. Anche in considerazione della sottigliezza del supporto originale (5 mm: Brown 1998), è stato supposto che, al pari dell’Allegoria di Washington (I.9), pure questa tavola possa aver avuto in origine la funzione di copertura protettiva di un ritratto (Berenson 1955; Dülberg 1990; Béguin 1993; Delieuvin 2012), per Brown (1998) forse di Girolamo Bologni (ma cfr. Gentili 1983, 1985). La data apposta sotto la firma alla base della roccia più scura in primo piano (fig. b) è stata letta come 1500 fino al contributo di Wilde del 1950; in seguito, la critica si è pressoché unanimemente pronunciata per il 1506, sebbene difensori della prima opzione si siano dichiarati Volpe (1981), Ballarin (1993, 2016) e Cortesi Bosco (2000, 2006, 2016), con la conseguente necessità di un integrale ripensamento della cronologia giovanile del maestro (sul problema si rinvia a quanto scritto nel testo introduttivo a p. 30). Dal punto di vista ispirativo si è spesso collegata questa composizione a una stampa di Dürer del 1496 circa (Salvini 1978; Pignatti 1981; Lattanzi 1983; Colalucci 1994; Humfrey 1997; Brown 1998; De Carolis 2019), ma le consonanze appaiono piuttosto generiche. È
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fuori di dubbio, però, che la tavola manifesti una meditazione profonda sull’arte del tedesco: e non solo sui dipinti pubblici o privati visibili a Venezia, ma anche sui disegni dal vivo che Dürer poteva esibire a quei colleghi lagunari che non gli si erano dimostrati palesemente ostili. Tutto lascia credere che Lorenzo fu tra costoro: il semplice confronto, ad esempio, con il foglio acquerellato che si conserva all’Ambrosiana di Milano (fig. a) documenta una sintonia che non può essere casuale. È anche vero che di fronte a esiti così platealmente orientati verso nord – al pari di altri dell’epoca (I.9, I.10) – sorge il sospetto che Lorenzo possa avere in qualche modo intercettato, magari con semplici frequentazioni al Fondaco dei Tedeschi, qualche prodotto di provenienza danubiana (Coletti 1939; Pignatti 1953). Comunque sia, con tali risultati Lotto propone nel Veneto un’alternativa culturale al naturalismo solare dell’ultimo Bellini e del primo Giorgione, lasciando peraltro affiorare i prodromi di una tensione di ricerca – anche esistenziale – che si manifesterà, con sempre maggiore insistenza, nel prosieguo della sua carriera.
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I.12
La Vergine in gloria tra i santi Antonio Abate e Ludovico da Tolosa 1506
Tavola, 175 × 161 cm Firmata e datata sul cartiglio in basso al centro: LAVRENT. LOTVS IVNIOR M.D.VI. Asolo, chiesa prepositurale e collegiata di Santa Maria Assunta Provenienza: Asolo, chiesa di Santa Caterina; nel XVII secolo probabilmente nella sala consiliare della Scuola dei Battuti. Esposizioni: Venezia, Mostra di Lorenzo Lotto 1953, n. 16; Roma, Lorenzo Lotto 2011, n. 2; Madrid-Londra, Lorenzo Lotto. Portraits 2018-2019, n. 7. Restauri: 1826, B. Corniani, Venezia; 1941, M. Pellicioli, Venezia; 1979-1980, P. Brambilla Barcilon, Milano; 2010-2011, A. Bigolin; 2018, F. Faleschini. Diagnostica: IRR, IRC, Vis-RS (Lotto in Veneto 2011, pp. 40-59). a
Bibliografia: Berenson 1895, pp. 10-11 (ed. 1901, pp. 8-9; ed. 1905, pp. 8-9); Berenson 1932, p. 308 (ed. 1936, p. 264); Banti 1953, p. 11; Boschetto 1953, pp. 63, 66-67 n. 14; Coletti 1953, pp. 37-38; Pignatti 1953, pp. 20-21; Zampetti 1953, p. 30; Berenson 1955, pp. 19-21 (ed. 1956, p. 5; ed. 1957, p. 5); Bianconi 1955, p. 38 (ed. 1963, I, p. 36 n. 7); Berenson 1957, I, p. 100 (ed. 1958, I, p. 104); Caroli 1975, p. 120 (ed. 1980, p. 92); Mariani Canova 1975, p. 89 n. 14; De Nicolò Salmazo 1975-1976; Dillon 1980; Mascherpa 1980, pp. 15-16; Gentili 1985, pp. 118-128; Cortesi Bosco 1990, pp. 62-74; Dal Pozzolo 1990 (Lorenzo Lotto); Chastel 1993, pp. 230-231; Humfrey 1993, pp. 259-260, 353 n. 65; Pozzi 1993, pp. 301-310; Dal Pozzolo 1995; Bonnet 1996, pp. 32-34; Sponza 1996 (Treviso), p. 235; Humfrey 1997 (ed. 1998, pp. 19-20); Heimbürger 1999, p. 210; E. Francescutti, in Lotto in Veneto 2011, pp. 36-45; G.C.F. Villa, in Lorenzo Lotto 2011, pp. 98-99 n. 2; Villa, Villa 2011, pp. 50-55; Villata 2013, p. 142; Ballarin 2016 [2018], II, pp. 984-986; Grabski 2016 (The Portrait), pp. 85-103; E.M. Dal Pozzolo, in Lorenzo Lotto. Portraits 2018, pp. 202-204; Campbell 2019, pp. 122-124, 298 nota 92; Marcelli 2019, p. 168; Piccolo 2019 (Lorenzo Lotto), pp. 410, 419 nota 20.
Un’anziana Madonna, dai tratti somatici estremamente caratterizzati, è sospesa in aria – entro una mandorla di luce e nubi, sorretta da quattro angioletti – sopra i santi Antonio Abate a sinistra e Ludovico da Tolosa a destra, che la contemplano rapiti. La scena si svolge in una campagna fitta di vegetazione, lungo un sentiero che conduce a una città fortificata che svetta su una collina in lontananza. Si tratta di uno dei vertici della prima fase lottesca, eseguito subito dopo i lavori condotti per il vescovo de’ Rossi (I.6) e per la parrocchia di Santa Cristina al Tiveron a Quinto (I.5). Stilisticamente appare in bilico tra le ancora vive suggestioni belliniane e l’aggiornamento sull’arte di Dürer (fig. b), particolarmente evidente nell’elemento naturalistico e negli angeli. La prima attestazione del dipinto lo registra nella chiesa dell’ospedale di Asolo, intitolata a santa Caterina. Da quando vi si trovasse, se dall’origine o meno, non è chiaro. Molti hanno ritenuto di identificarla con
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b
“la bellissima pala di altare di pretio considerevole” che un manoscritto del XVII secolo ricordava nella sala consiliare della Scuola dei Battuti. La cosa non va esclusa, anche perché nel 1548 i Battuti commissionarono a Jacopo Bassano l’esecuzione di una tela uguale nelle dimensioni e nel soggetto, con due sole differenze: la trasformazione di Maria da anziana a giovane e la soppressione del grande albero su cui pare appoggiarsi la mandorla di nubi. In base a tali indizi si è per molto tempo ritenuto che a commissionare il lavoro a Lorenzo fossero stati proprio i Battuti di Asolo e ancora oggi Ballarin 2016 [2018] dà l’ipotesi per certa. È da ricordare che a riscoprire il dipinto dimenticato “in un’appartata stanza del duomo” sia stato nel 1820
Antonio Canova, che ne riconobbe l’importanza e che raccomandò di “farlo altrove trasportare e serbare” (Dillon 1980, p. 130). Già all’epoca alla pala erano collegati il Cristo passo e il Frammento di paesaggio che ancora oggi sono inglobati nella cornice poco dopo realizzata e che – al di là di quanto per molto tempo creduto – non possono in alcun modo essere assegnati alla mano di Lorenzo (V.10). Uno degli aspetti più singolari della pala è legato alla rappresentazione del volto di Maria. Gentili (1985) riteneva evidente che “in questa immagine – inequivocabilmente un ritratto, e di straordinaria suggestione – si rivelasse allora ai confratelli una defunta benefattrice della Scuola e dei suoi assistiti”. Chi potesse essere lo studioso non lo diceva, ma basta il confronto con il ritratto di Caterina Cornaro eseguito da Gentile Bellini nel 1500 a Budapest per farlo intuire (fig. a). Nel 1506 Asolo era il luogo in cui dimorava Caterina Cornaro, regina di Cipro fino al 1489, quando la Serenissima la costrinse ad abbandonare l’isola in cambio della città, assegnatale in feudo. Noi sappiamo che Caterina era in contatto con il vescovo de’ Rossi, che era animata da una religiosità intensa (manifestata anche dalla scelta di farsi tumulare alla sua morte “vestita di l’habito di San Francesco”) e che in componimenti poetici a lei dedicati veniva paragonata alla Vergine. Inoltre, era l’unica persona al mondo che poteva fregiarsi del titolo di “Regina di Gerusalemme”, oltre che di Cipro e d’Armenia. Come dimostrato da un’analisi botanica della tavola da parte di Patrizio Giulini (in Dal Pozzolo 1995), l’albero sotto alla mandorla entro cui appare Maria è un cipresso a chioma larga, corrispondente alla forma selvatica della specie, detta anche “horizontalis” o “femminile”, originaria del Medio Oriente e diffusa a Cipro. Evidentemente serviva a evocare – attraverso l’assonanza cipro/cipresso – l’isola amata da Caterina, con un richiamo semantico paragonabile a quello nel Ritratto di Lucina Brembati a Bergamo, laddove la luna con al centro la sillaba ci produce il rebus lu/ci/na (I.38). Va ricordato che un criptoritratto mariano si ritrova anche nella più tarda Madonna e santi di Lotto a Roma (I.56), laddove il volto della Vergine presenta le caratteristiche somatiche della sposa nel Ritratto di coniugi dell’Hermitage (I.53). Grabski (2010 e 2016) ha ritenuto di individuare un ritratto della Cornaro pure nella santa Caterina d’Alessandria nella tavoletta di Cracovia (I.14). Che pure nel san Ludovico possa riconoscersi un criptoritratto è stato suggerito da Berenson (1995), che accostò il suo volto a quello del Frate a Upton House (I.7), mentre per Fontana (1994) e Bonnet (1996) si tratterebbe, invece, del Giovane con lampada di Vienna (I.13).
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I.13
Ritratto di giovane con lampada 1506 circa
Tavola, 42,8 × 35,3 cm Vienna, Kunsthistorisches Museum Inv. 214 Provenienza: in galleria dal 1816. Esposizioni: Venezia, Mostra di Lorenzo Lotto 1953, n. 27; Madrid-Londra, Lorenzo Lotto. Portraits 2018-2019, n. 8 (solo a Madrid). Bibliografia: Biscaro 1901, pp. 156-159; Glück 1910, p. 214; Berenson 1932, p. 311 (ed. 1936, p. 268); Pallucchini 1944, p. XXVII; Boschetto 1953, p. 69 n. 24; Coletti 1953, p. 39 n. 33; Zampetti 1953, p. 48; Berenson 1955, pp. 28-29 (ed. 1956, p. 12; ed. 1957, pp. 12-13); Bianconi 1955, p. 74 (ed. 1963, I, p. 38 n. 16); Berenson 1957, I, p. 106 (ed. 1958, I, p. 110); Kunsthistorisches Museum 1960, pp. 70-71 n. 574; Caroli 1975, p. 130 (ed. 1980, p. 96); Mariani Canova 1975, p. 90 n. 21; Pallucchini 1975, p. 6; Mascherpa 1980, p. 28; Grabski 1981, pp. 384-385; Pignatti 1981, p. 97; Gentili 1983 (Le ragioni); Zampetti 1983, n. 3; Gentili 1985, pp. 7683; Trevisani 1985, pp. 223-225; Cortesi Bosco 1987, I, pp. 178, 429; Freedberg 1988, p. 372; Ricciardi 1989 (Lorenzo Lotto. Il Gentiluomo), p. 85; Dal Pozzolo 1990 (Lorenzo Lotto), p. 110 n. 45; Dal Pozzolo 1993, p. 37; Fontana 1994, p. 38; Dal Pozzolo 1995, p. 118 nota 74; Bonnet 1996, pp. 25-27, 193 n. 12; Humfrey 1997 (ed. 1998, pp. 20-21, 168 note 32-34); Stedman Sheard 1997 (ed. 1998, pp. 43-44); Heimbürger 1999, pp. 214-215; Cortesi Bosco 2000, p. 115; Lucco 2004, pp. 81-82; Bertling Biaggini 2005, pp. 77-78; Ballarin 2016 [2018], II, p. 987; Cortesi Bosco 2016, pp. 236, 285 n. 218; Frangi 2017, pp. 19, 26; E.M. Dal Pozzolo, in Lorenzo Lotto. Portraits 2018, pp. 205-208; Lüdemann 2018, pp. 89-90; Angelini 2019, p. 398.
Questo dipinto costituisce uno dei vertici del percorso di Lorenzo Lotto, apprezzabile anche in virtù dell’ottimo stato di conservazione della pellicola pittorica. Raffigura un uomo di circa venticinque anni o poco più, effigiato a mezzo busto, con veste e cappello neri, di fronte a una tenda bianca decorata con motivi a fiore di cardo e con un bordo verde impreziosito da una filettatura d’oro. La tenda è lievemente scostata, per lasciare intravedere sulla destra la fiamma di una lampada immersa nella penombra e sostenuta da un supporto metallico agganciato al muro. La resa del tessuto varia a seconda della battuta di luce, in modo più elaborato di quanto non si veda in altri esemplari lotteschi del periodo. Fulcro dell’intera composizione è il volto del personaggio, indagato con prodigiosa perizia mimetica: ogni capello della folta chioma castano chiaro, ogni ciglio, ogni rifrazione della pupilla e della cornea, ogni rilievo della pelle, perfino l’interno della bocca visibile dalle labbra socchiuse, è restituito con un tale grado di verità ottica da far credere che qui l’artista cercasse di accreditarsi come il pittore più naturalistico e ineccepibile tra i capiscuola lagunari. Attribuito in antico a scuola fiorentina (e addirittura ritenuto una copia da Masaccio!), il dipinto fu accostato a Jacopo de’ Barbari da Mündler (1850) e Morelli (1893), quest’ultimo sulla base soprattutto di talune analogie con la decorazione ad affresco del Monumento Onigo in San Nicolò a Treviso (V.118). Lo stesso confronto
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veniva mantenuto da Biscaro (1901), che cercò di dimostrare la paternità lottesca di tale lavoro, nel contempo evidenziando analogie tra la tavola viennese e il san Vito nel polittico di Recanati (I.16) e lo Sposalizio mistico di santa Caterina di Monaco (I.10). Da allora il riferimento all’artista non è più stato messo in dubbio. La cronologia spazia dal 1503 al 1510. Del 1503-1504 è per Gentili (1983), del 1505 per Zampetti (1983), del 1506 per Dal Pozzolo (1990, 1993, 1995), Humfrey (1997), Stedman Sheard (1997), Cortesi Bosco (2000, 2016), Lucco (2004) e Ballarin (2016 [2018]), del 1508 per Pignatti (1981) e Freedberg (1988), del 1510 per Boschetto (1953). In genere la maggior parte degli studiosi propende per il 1506-1508, riconoscendo da un lato il forte accento nordico – e nello specifico düreriano (ma cfr. Heimburger 1999) – e dall’altro una connessione indissolubile con il polittico di Recanati. In effetti l’opera dovrebbe cadere qualche tempo dopo il luglio del 1505 in cui si pone con certezza il Ritratto del vescovo de’ Rossi (I.6). Rispetto a tale esito si riscontra infatti una maturazione, una sorta di “sprezzatura” stilistica, che consente all’artista di rimodulare i consueti canoni ritrattistici veneziani e di introdurre l’elemento simbolico costituito dalla lampada attraverso una modalità rappresentativa – quella della tenda scostata – che pure non sembra avere precedenti locali. Inoltre è chiaro che qui Lorenzo documenti, come nella Donna di Digione (I.8), un contatto diretto con Albrecht Dürer, e il confronto con alcuni disegni preparatori (fig. a) che quest’ultimo stava elaborando per la sua più importante impresa lagunare – la Pala del Rosario richiestagli dalla comunità germanica per la chiesa di San Bartolomeo presso Rialto, datata 1506, oggi a Praga (fig. 9 a p. 29) – consente di precisare che l’esecuzione non cade prima del 1506. Siamo dunque nel periodo in cui Lotto lavorava alla pala di Asolo (I.12), dove Fontana (1994) ha ritenuto di ravvisare nel san Ludovico da Tolosa le medesime fattezze del giovane viennese. Chi fosse quest’ultimo è difficile a stabilirsi. Gentili (1983, 1985), seguito da Cortesi Bosco (1987) e Ricciardi (1989), ha tentato di dimostrare che dovrebbe trattarsi del cancelliere del vescovo de’ Rossi Broccardo Malchiostro, in virtù del riconoscimento nella tenda di un broccato con i motivi del fiore di cardo, da cui l’acronimo broc/cardo: si tratterebbe di un richiamo nominale paragonabile al lu/ci/na inventato per la Lucina Brembati di Bergamo (I.38). Tale proposta è stata contestata da Trevisani (1985), che a ragione precisava che il tessuto della tenda non è un broccato ma un damasco (cfr. poi Lucco 2004). Gentili proponeva inoltre di riconoscere il medesimo personaggio nel donatore di una pala realizzata da Francesco Bissolo per il duomo di Treviso, che effettivamente presenta, per quanto a un’età più avanzata, simili caratteri somatici. Contrariamente a quanto ritenuto dallo studioso, come dimostrato da Carboni (1987), si tratta però del canonico parmense Giovanni de Novellis, con il quale pertanto, sia pure in termini congetturali, il giovane viennese potrebbe essere identificato (Dal Pozzolo 1990, 1993, 1995: cfr. però Humfrey 1997). Per tale opera sussiste nel Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi (inv. 1460 E: Tiziano 1976, pp. 35-36 n. 14) un disegno preparatorio in cui i tratti risultano meglio caratterizzati rispetto alla pala e compatibili con quelli dell’effigiato (fig. b).
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Come rimarcato da Stedman Sheard (1997), questo è “il primo esempio in cui Lotto introduce un’‘impresa’ simbolica proprio dentro un ritratto, e non sul suo coperto”. I significati fino a oggi attribuiti alla lampada sono principalmente due, quelli di vita e di sapienza: Biscaro (1901) vi coglieva un riferimento alla “brevità della vita umana”, Zampetti (1965) alla “giovinezza”, Mariani Canova (1975) alla “labilità del tempo che passa o della passione che brucia”, Mascherpa (1980) alla “lux in tenebris della ricerca alchimistica”, Grabski (1981) alla “sapienza e alla vita interiore”, Gentili (1983, 1985) e Cortesi Bosco (1987) alla “vita” e al conseguente “pericolo di morte”. Qualora si trattasse in effetti di Giovanni de Novellis, potrebbe implicare un riferimento nominale al passo del Vangelo di Giovanni (5,35) in cui Gesù definisce Giovanni Battista “lampada ardente e splendente”.
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I.14
Madonna col Bambino e i santi Giovannino, Francesco, Girolamo (?) e Caterina d’Alessandria 1506-1507 circa
Tavola, 40 × 29 cm Firmata sulla panca in pietra: [L.] LO[T]VS Cracovia, Muzeum Narodowe, The Europeum Centre for European Culture Inv. MNK-XIIA-639 Provenienza: Napoli, don Gaspar de Haro y Guzmán, settimo marchese del Carpio (dopo il 1682); suoi eredi, Spagna, 1686; Roma, 1803 circa; Parigi, palazzo Puslowski; Cracovia, conte Sigismund Puslowski; Cracovia, Muzeum Narodowe (per qualche tempo in deposito al Muzeum Czartoryskich). Esposizioni: Cracovia, Malarstwo 1961, n. 98; Dresda, Venezianische Malerei 1968, n. 58; Cracovia, Obraz jak klejnot 1997, s.n.; Washington-Bergamo-Parigi, Lorenzo Lotto, 1997-1999, n. 7; Varsavia, Brescia 2016, n. 23; Monaco-Londra-New York, Tizian 2019, n. 7. Restauri: seconda metà del XIX secolo (Grabski, Wolańska 2010); 1996-1997 (Grochowska-Angelus 2004). Diagnostica: IRR (Grochowska-Angelus 2004).
Bibliografia: Berenson 1901, p. 15 (ed. 1905, p. 15); Biscaro 1901, p. 156; Frizzoni 1906, p. 187; T. Borenius, in Crowe, Cavalcaselle 1912, III, p. 395 nota; Serra 1913, p. 9; Berenson Logan 1915, p. 25; Venturi 1929, p. 113 nota; Berenson 1932, p. 308 (ed. 1936, p. 265); Banti 1953, p. 13; Boschetto 1953, p. 68 n. 22; Coletti 1953, p. 39; Zocca 1953, p. 343; Berenson 1955, pp. 25-26 (ed. 1956, pp. 9-10; ed. 1957, p. 10); Bianconi 1955, p. 42 (ed. 1963, I, p. 40); Berenson 1957, I, p. 102 (ed. 1958, I, p. 105); Różycka-Bryzek 1961, pp. 95-96; A. Różycka-Bryzek, in Malarstwo 1961, p. 101; Heinemann 1962, I, p. 38 m; A. Różycka-Bryzek, in Venezianische Malerei 1968, p. 70; Mariani Canova 1975, p. 90 n. 20; Goffen 1978, pp. 38-39; Gioseffi 1979, pp. 96-97; Caroli 1980, p. 252; Lucco 1980, p. 66 nota 73; Rudel 1981, pp. 197, 202 nota 19; P. Zampetti, in Lorenzo Lotto nelle Marche 1981, p. 195; Dal Pozzolo 1993, pp. 40, 48-49 nota 39; Bonnet 1996, p. 193 n. 11; D.A. Brown, in Lorenzo Lotto 1997 (ed. it. 1998, pp. 91-93); Zanchi 1999, pp. 103108; Grochowska-Angelus 2004; Bertelli 2005, pp. 96-97; Gentili 2009, p. 121; Grabski, Wolańska 2010; Collareta 2011, p. 149; Acres 2013, pp. 112-113; Hills 2013, pp. 9-10; Wałek, Dec 2013, pp. 28-29, 31; Cortesi Bosco 2016, pp. 180, 524 nota 170; Grabski 2016 (The Portrait); J. Kilian, in Brescia 2016, pp. 117-119; A. Kutschke, in Tizian 2019, pp. 60-61; Marcelli 2019, p. 168; Paraventi 2019, pp. 474-475; Castegnaro in c.s.
In uno spazio parzialmente conchiuso da una tenda di color verde scuro, che lascia intravedere a sinistra un cielo luminoso attraversato da nubi, Maria è seduta su un podio marmoreo, sul lato esterno del quale il pittore ha apposto la sua firma in caratteri latini. Ella rivolge il suo sguardo, congiungendo le punte delle dita delle mani, verso il Figlio addormentato tra le sue ginocchia: è completamente nudo, porta la mano sinistra sul petto e quasi sprofonda nel grande velo bianco retto della Madre. La posizione è quella tipica del Cristo morto, che nell’espressione ricorda quello nel sepolcro nella cimasa del polittico di Recanati
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(I.16). Si tratta, evidentemente, di una prefigurazione del suo destino di Passione e ciò spiega l’atteggiamento mesto dei tre santi che lo circondano. Il più prossimo è il piccolo Giovanni Battista, che con una mano sorregge una croce lignea – costituita da due rametti ritorti legati tra loro e su cui è arrotolato un cartiglio con la scritta agn[nvs] de[i] – e con l’altra addita il cugino: di certo non è casuale che l’aureola di Gesù non sia circolare (come quella di tutti gli altri personaggi), ma costituita da raggi cruciformi. Sopra il Precursore, san Francesco d’Assisi, in piedi, assume una posizione a mani giunte quasi speculare a quella della Madonna, verso la quale rivolge lo sguardo. Più in basso, al centro, compare la figura di un vecchio con il capo coperto da un cappuccio simile a quello di Girolamo nella Pala di Santa Cristina al Tiveron (I.5) e, sebbene sia stato per lo più riconosciuto in Giuseppe (ma anche in Antonio Abate o in Giuseppe d’Arimatea), non va escluso che si tratti appunto del santo di origine dalmata. Alle spalle di Maria compare, in posizione elevata rispetto alle altre figure, Caterina d’Alessandria, riconoscibile per la palma del martirio, la veste preziosa e la ruota dentata. È bionda, con le trecce raccolte sulla nuca e due coroncine vegetali; pone la mano sul petto e si scosta per osservare meglio la scena del sonno di Gesù. Come rilevato da Brown (1997) e confermato dalle analisi riflettografiche pubblicate da Grochowska-Angelus (2004), sul verso della tavola compare il monogramma di don Gaspar de Haro y Guzmán, viceré di Napoli dal 1682 al 1687. Si trattava di uno dei più insigni collezionisti della sua epoca, con migliaia di opere acquisite bulimicamente e disseminate nei suoi vari palazzi italiani e spagnoli. Il numero di collezione segnato è il “1254” e corrisponde a un dipinto menzionato in un inventario stilato nel 1687, dopo la sua morte: non comparendo, tuttavia, in un più ampio elenco redatto nel 1682 (in cui figurano altresì ben sei opere di Lorenzo: VI.158) lo studioso americano presumeva che fosse stato comperato successivamente. Alla sua morte, l’opera fu inviata in Spagna dagli eredi. La ritroviamo nel 1803 in Italia, molto probabilmente a Roma, per poi passare nella residenza parigina dei conti, ma non sappiamo esattamente quando e come pervenne in Polonia. La tavoletta – in più che discreto stato conservativo – fu pubblicata per la prima volta da Berenson nella seconda edizione della sua monografia (1901), allorché si trovava nelle mani del conte Sigismund Puslowski. Come evidenziato dal critico lituano, si tratta di un’opera di carattere devozionale eseguita verso il 1508 “or little later”: quindi nei tempi dei lavori sul polittico di Recanati (I.16). Berenson osservava come “the Francis is the Peter Martyr in the latter polyptich, but reversed” e che “the Catherine is own sister to the Vito in the same panel”, opinione subito confermata da Biscaro (1901) e Frizzoni (1906), che paragonava la santa pure alla donna del ritratto di Digione (I.8). Banti (1953) definì l’opera “un’escursione leonardesca”, in evidente riferimento alla Madonna Litta dell’Hermitage (fig. a), come in seguito precisato da Gioseffi (1979) e Bertelli (2005: ma cfr. Brown 1997). Le datazioni proposte confermano la collocazione all’interno del periodo di esecuzione del polittico, oscillando tra
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un più ampio 1506-1508 (Mariani Canova 1975; Zampetti 1981; Bonnet 1996), il 1507 circa (Gioseffi 1979; Dal Pozzolo 1993) e il 1508 (Boschetto 1953; Caroli 1980; Brown 1997; Zanchi 1999; Hills 2013; Wałek, Dec 2013; Kutschke 2019). Unica eccezione quella di Francesca Cortesi Bosco (2016), secondo la quale “potrebbe porsi sullo scorcio del soggiorno a Treviso”, per via dei “sensibli rapporti” con la pala di Asolo (I.12) “e soprattutto la lunetta della pala di Santa Cristina”. Molto interesse ha suscitato la figura di Caterina. Per Zanchi (1999), “pare che si contrapponga al gruppo dei tre santi, quasi a rappresentare quella Katharsi, quella purificazione spirituale, quella espiazione necessaria all’uomo che deve vedere nell’esempio della storia di Cristo la via che conduce alla visione del mondo celeste posto oltre il telo dell’apparenza”. Inoltre lo studioso richiamava l’attenzione in particolare sull’emblema descritto al di sotto del gioiello sulla manica della donna: “un astro luminoso, o meglio, un mezzo sole che proietta i suoi raggi verso il basso, verso due rami d’ulivo incrociati a X, sormontati da un cartiglio bianco (o filatterio) che parrebbe privo di scritte”. Per Zanchi si potrebbe trattare dell’“emblema di una congregazione di filosofi neoplatonici o di teologi cristiani a cui Lotto poteva aver aderito nell’ambiente culturale veneziano o trevigiano, prima della sua partenza per Roma”. Da parte sua Grabski (2010), analizzandone i tratti somatici particolarmente caratterizzati, vi ha riconosciuto le fattezze di Caterina Cornaro, al pari della Vergine nella pala di Asolo (I.12): l’ipotesi è stata raccolta da Wałek, Dec (2013), Marcelli (2019) e Castegnaro (in c.s.).
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I.15
Busto di Cristo 1506-1507 circa
Tavola, 34,5 × 25,5 cm Dresda, Gemäldegalerie Alte Meister Inv. 62 Provenienza: acquistata da Kindermann, agente dell’elettore Augusto II; menzionata, come di Leonardo da Vinci, nell’inventario della galleria del 1722. Esposizioni: Dresda, Venezianische Malerei 1968, n. 32.
Bibliografia: Schäfer 1860, p. 272; Hübner 1867, p. 119; Morelli 1880, p. 166; Botteon, Aliprandi 1893, pp. 143144; Burckhardt 1905, p. 115; Posse 1929, p. 29; Berenson 1932, p. 146 (ed. 1936, p. 125); Van Marle 1935, p. 455; Berenson 1957, I, p. 65 (ed. 1958, I, p. 67); Coletti, Menegazzi 1959, p. 84 n. 71; Heinemann 1962, I, p. 59 n. 194.3; A. Walther, in Venezianische Malerei 1968, pp. 52-53; Alpatow 1971, p. 59; Menegazzi 1981, p. 140; Humfrey 1983, p. 98 n. 43; Dal Pozzolo 1988-1989, pp. 138-139, 229-230 n. 11; Dal Pozzolo 1993, p. 38; Gemäldegalerie Alte Meister Dresden 2005, n. 333; Cima da Conegliano 2010, ripr. a p. 29.
Un Cristo a mezzo busto ci osserva intensamente con il volto di tre quarti; sopra la tunica rossa, con decorazioni in oro sullo scollo, indossa un manto di color pervinca. Non ha alcun attributo (come il globo), né benedice, né svolge un’azione di alcun tipo: si staglia sul fondo nero come se fosse una sorta di ritratto. L’unico elemento iconografico presente è costituito dall’aureola, i cui raggi (verticali e laterali) alludono alla croce, al pari del Gesù bambino nella Pala di Santa Cristina al Tiveron (I.5) e come in quello nella cimasa del polittico di Recanati (I.16). Entro gli estremi cronologici indicati dall’esecuzione di queste due opere (1505 e 1506-1508) dovrebbe cadere l’esecuzione di questa tavoletta, che purtroppo versa in uno stato di conservazione non ottimale. Considerata in antico di Leonardo, fu indirizzata dubitativamente su Giambattista Cima da Conegliano da Hübner (1867) e Morelli (1880), seguiti da gran parte della critica (Posse 1929; Berenson 1932, 1936, 1957, 1958; Van Marle 1935; Coletti, Menegazzi 1959;
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Heinemann 1962; Walther 1968; Alpatow 1971). In particolare, la si pose in rapporto con il Cristo a figura intera dello stesso Cima conservato nella medesima pinacoteca tedesca. Dubbi furono però manifestati da Burckhardt (1905), che la riteneva di bottega, e da Menegazzi (1981), che nella sua monografia sul maestro la inserì nella sezione dedicata alle opere a suo avviso erroneamente attribuite. Autografa risulta invece per Humfrey (1983), sebbene “difficult to date with precision, but it may be close to the full-lenght Crist Blessing, also in Dresden, of ca. 1505-06”. Come opportunamente sottolineato dallo studioso, “the iconographic type […], although ultimately Byzantine in origin, was probably inspired more immediately by Flemish prototypes. It was fairly common in late fifteenth-century Venice, and several examples are known by Giovanni Bellini and his shop, Alvise Vivarini and Montagna” (sulla diffusione dell’iconografia in laguna cfr. inoltre Saracino 2006). L’attribuzione a Lotto fu avanzata da chi scrive nel 1988-1989 e nel 1993, supportata da una conferma in tal senso espressa oralmente da Federico Zeri. L’intensità dello sguardo, il taglio dato all’immagine, l’identità di certuni dettagli (si veda anche la resa dei panneggi accartocciati) suggeriscono infatti di sottrarre il pezzo dal catalogo di Cima per accostarlo in particolare al san Sigismondo nel polittico di Recanati, assai simile nella tipologia del volto, nella distribuzione dei lumi ma anche nel taglio della barba e nella resa dei capelli (fig. a). Si tratterebbe del punto di massima convergenza del linguaggio dei due artisti, che trova proprio a questa altezza cronologica ulteriore conferma pure nel trittico di San Fior (fig. I.16a): un apice della maturità del maestro di Conegliano, in cui però – com’è stato osservato da Ballarin (1962) – non mancano espliciti tributi al più giovane collega. Non si può escludere che il dipinto vada riconosciuto nel volto del Salvatore citato per tre volte negli inventari del vescovo de’ Rossi pubblicati da Liberali (1981): la prima come “uno quadro cum uno sudario” (17 marzo 1510), la seconda più semplicemente come “uno cum uno Christo” (25 aprile 1511) e la terza come “uno quadro de Christo in maiestate cioè una testa” (4 luglio 1511).
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I.16
Polittico di San Domenico (1506-)1508 Madonna col Bambino, san Domenico, i papi Gregorio (XII?) e Urbano V, un angelo e due putti musicanti (pannello centrale) Tavola, 227,7 × 108,8 cm San Tommaso d’Aquino e san Flaviano (pannello laterale inferiore sinistro) Tavola, 158,5 × 66,7 cm San Pietro Martire e san Vito (pannello laterale inferiore destro) Tavola, 158,4 × 66,2 cm Santa Lucia e san Vincenzo Ferrer (pannello laterale superiore sinistro) Tavola, 66,5 × 67 cm Santa Caterina da Siena e san Sigismondo (pannello laterale superiore destro) Tavola, 66,4 × 67,4 cm Cristo morto sorretto da un angelo, san Giuseppe d’Arimatea, la Vergine e la Maddalena (cimasa) Tavola, 79,5 × 113,5 cm Firmato e datato sul pannello centrale in basso: LAVRENT LOTVS M D. VIII Recanati, Musei Civici, Villa Colloredo Mels Inv. 1556 Provenienza: Recanati, altare maggiore della chiesa di San Domenico; spostato “nel fondo del Coro” (Calcagni 1711); nel XVIII secolo rimosso e smembrato; nel 1834 la predella era già perduta (Ricci 1834); le sei tavole rimanenti furono ricomposte e riportate in chiesa nel 1876; dal 1896 nel Palazzo Comunale, Museo Civico; nella sede attuale dal 1998. Esposizioni: Ancona, Mostra della pittura veneta 1950, n. 53; Venezia, Mostra di Lorenzo Lotto 1953, nn. 19-24; Urbino, Mostra di opere d’arte restaurate 1968 (la sola Pietà); Ancona, Lorenzo Lotto nelle Marche 1981, n. 34; Recanati, Lorenzo Lotto a Recanati 1998, n. 1; Roma, Lorenzo Lotto 2011, n. 3; Macerata, Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018-2019, n. IX.22. Restauri: 1890, S. Centenari; 1966-1967, A. Del Serra; 1999 (disinfestazione), O. Pieramici; 2011, L. Casaglia, B.R. Bruni, B. Sperandio (Cooperativa Beni Culturali, Spoleto); 2021 (disinfestazione). Diagnostica: 2010, IRR, IRC, XRF, Vis-RS (G. Poldi, G.C.F. Villa); sezioni lucide (Università di Urbino) (si vedano in Lotto nelle Marche 2011, pp. 23-29, 37-44, e in Il polittico 2013, pp. 99, 104, 107-108, 137-143). Copie: • Barcellona, collezione privata Pietà Tela, 97 × 123 cm Con iscrizione pro mundi vita. Già sul mercato antiquario a Londra nel 1926; poi in collezione G. Hartmann a Francoforte sul Meno. Bibl.: Dussler 1943. • Bologna, collezione Ghedini Alboni (già) Pietà Tela, 78,1 × 110,5 cm Foto Tatti: Cleveland Exhibition 1986, n. 157.
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Vendita Doyle a New York, 26 gennaio 2011, lotto 10. Bibl.: Berenson 1955, p. 22. • Pietà Les Fougerêts (Bretagna), chiesa di Notre Dame Tela, 80 × 110 cm Fonte: Agorha. Bibliografia: Vasari 1568 (ed. 1966-1987, IV [1976], p. 553), Ridolfi 1648 (ed. 1914-1924, I [1914], p. 145); Calcagni 1711, p. 331; Lanzi 1783 (ed. 2003, p. 69); Ricci 1834, II, pp. 92-93; Mündler 1855-1858 (ed. 1985, p. 230); Crowe, Cavalcaselle 1871, p. 498 (ed. 1912, III, pp. 395-397); Morelli 1880, p. 34; Gianuizzi 1894 (Lorenzo Lotto), pp. 35-39; Berenson 1895, pp. 15-19 (ed. 1901, pp. 11-14; ed. 1905, pp. 11-14); Cavalcaselle, Morelli 1896, p. 255; Frizzoni 1896, pp. 9-11; Biscaro 1897, pp. 20-21; Biscaro 1901, pp. 155-156; Frizzoni 1906, p. 187; L. Serra, in Vita di Lorenzo Lotto 1913, pp. 11-12; Venturi 1915, p. 766; Venturi 1926, pp. 153-154; Venturi 1929, pp. 10-15; Berenson 1932, p. 310 (ed. 1936, p. 267); Tietze, Tietze-Conrat 1937, p. 84; Biagi 1942, pp. 6-7; Pallucchini 1944, p. XXVIII; P. Zampetti, in Mostra della pittura veneta 1950, p. 35; Banti 1953, pp. 11-12; Boschetto 1953, pp. 67-68 n. 18; Coletti 1953, pp. 23, 31, 39; Morassi 1953, p. 292; Pignatti 1953, pp. 49-51; Zampetti 1953, pp. 35-37; Grassi 1954, p. 56; Pignatti 1954 (La giovinezza), pp. 177-178; Berenson 1955, pp. 21-23 (ed. 1956, pp. 6-7; ed. 1957, pp. 6-7); Bianconi 1955, pp. 11, 40-42 (ed. 1963, I, pp. 38-40); Berenson 1957, I, p. 105 (ed. 1958, I, p. 108); Forlani 1961, p. 237; Liberali 1963, pp. 5-6 nota 9; A. Rossi, in Mostra di opere d’arte 1968, pp. 70-72; Caroli 1975, p. 122 (ed. 1980, p. 98); Mariani Canova 1975, pp. 90-91 nn. 22-27; Pallucchini 1975, pp. 6-7; Zeri 1976 (Il capitolo), p. 63 (ed. 1988, p. 185); Lorenzo Lotto a Loreto 1980, pp. 55, 81-82; Lucco 1980, pp. 59-60; Mascherpa 1980, pp. 16-17, 32-36; Zampetti 1980 (Una vita), pp. 14-15; Mariani Canova 1981, pp. 340-341; Pignatti 1981, pp. 96-97; Rudel 1981, pp. 195196, 198-199; Trevisani 1981, pp. 279-282; Volpe 1981, pp. 129-131; P. Zampetti, in Lorenzo Lotto nelle Marche 1981, pp. 194, 196-199; Murutes 1983, pp. 148-151, 234-240; Pignatti 1983, p. 182; Sgarbi 1983, pp. 238-239; Zampetti 1983, p. 12 e nn. 4-5; Gentili 1985, pp. 141-154; Chevalier Matthew 1988 (Lorenzo Lotto), pp. 402-405; Freedberg 1988, pp. 359-360; Zampetti 1989, pp. 225-227; Antonelli 1990; Dal Pozzolo 1993, pp. 40-42; Colalucci 1994, pp. 1012; Bonnet 1996, pp. 36-42, 193 n. 14; Mozzoni, Paoletti 1996, pp. 13-15, 46-53; Humfrey 1997 (ed. 1998, pp. 27-30); P. Humfrey, in Lorenzo Lotto 1997 (ed. it. 1998, pp. 12-21); Heimbürger 1999, pp. 215-221; Aikema 2000, pp. 134-140; Frapiccini 2000, pp. 149-155; Punzi 2000 (Lorenzo Lotto e la Dalmazia), pp. 149-156; Punzi 2000 (Lorenzo Lotto nella Marca); Punzi 2003, pp. 118-121; Cortesi Bosco 2006, pp. 200-201; Cosmo 2007, p. 31; Dal Pozzolo 2008, p. 51; Cleri 2009, pp. 263-265; Coltrinari 2009 (Ipotesi); Dal Poggetto 2009, pp. 289-290; Sanvito 2009, pp. 263-264; De Carolis 2011 (Metodo), pp. 51-54; V. Garibaldi, in Lotto nelle Marche 2011, pp. 20-35; G.C.F. Villa, in Lorenzo Lotto 2011, pp. 100105; Frapiccini 2013 (L’età aurea), p. 126; Lucco 2013; Punzi 2015-2016, pp. 50-54; Cortesi Bosco 2016, pp. 141, 179-180 note 207 e 208, 232, 250 nota 77; Coltrinari 2018 (Quasi), pp. 63-67; F. Coltrinari, in Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, pp. 174-175 nn. III.5-6; Dal Pozzolo 2018 (Progetto Lotto), p. 29; De Carolis 2018 (Lotto’s), pp. 161-164; G. Pascucci, in Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, pp. 246-248; Campbell 2019, pp. 117-122; Castellana 2019, p. 93; Coltrinari 2019,
a
pp. 44, 47; De Giorgio 2019, pp. 156-157; Paraventi 2019, p. 474; Piccolo 2019 (Lorenzo Lotto), p. 410; Punzi 2019, p. 197.
Il polittico di Recanati è l’opera più importante del soggiorno marchigiano dell’artista, quella che riassume le esperienze maturate negli anni veneti e che, in qualche modo, favorì la sua convocazione alla corte pontificia. La commissione data al 20 giugno del 1506, quando i frati della locale chiesa di San Domenico si impegnarono a versare al pittore settecento fiorini (circa trecentoventi ducati veneziani), cento dei quali promessi dal Comune con un atto di tre giorni precedente (17 giugno; Regesto: alle date). Se sappiamo che il progetto generale era stato accompagnato da un “designum” esemplificativo già approvato dai frati in giugno (ma si può presumere che su numerosi aspetti ci siano stati continui aggiustamenti concordati in corso d’opera), i lavori vennero condotti in pianta stabile non prima della fine di quell’anno, quando il pittore ebbe a disposizione le venticinque tavole fornite dal Comune, secondo la richiesta domenicana del 24 novembre (Regesto: alla data). È incerto se tali tavole servissero a costituire il supporto dell’opera, come generalmente ammesso, o se invece andassero impiegate per “servire a creare un’area chiusa, una sorta di stanza, in uno degli spazi comuni del convento”, come invece suggerito da Lucco (2013). Quel che è sicuro è che il maestro fu ospitato in quest’ultimo, assieme a un “famulo”, ossia a un ragazzo di bottega. Quando possa essersi messo all’opera non si può dire. Il 18 ottobre 1506 era di nuovo a Treviso (Regesto: alla data), mentre non è detto che si trovasse personalmente a Recanati il 24 novembre: la sua prima attestazione certa in città è del 10 luglio 1507 (Regesto: alla data), anche se è probabile che vi risiedesse ormai da qualche tempo. Tra il 1506 e il 1508 va comunque immaginata una certa mobilità tra le Marche, Venezia e Treviso, pur senza accettare l’idea di Pignatti (1954) che postulò una “contemporaneità dell’esecuzione delle pitture di Santa Cristina [I.5] e di Recanati”. Lo stesso studioso suppose che egli “abbia iniziato a dipingere dalle figure laterali e dalle minori, lasciando poi al 1508 la tavola centrale, che porta la data”. Secondo Cortesi Bosco (1990), il polittico sarebbe stato completato entro il 4 agosto 1508, giorno in cui si celebra la festa di san Domenico. L’opera venne così descritta da Vasari nella seconda edizione delle Vite (1568): “Essendo anco questo pittore giovane et imitando parte la maniera de’ Bellini e parte quella di Giorgione, fece in San Domenico
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di Ricanati la tavola dell’altar maggiore partita in sei quadri. In quello del mezzo è la Nostra Donna col Figliuolo in braccio che mette per le mani d’un Angelo l’abito a San Domenico, il quale sta ginocchioni dinanzi alla Vergine; et in questo sono anche due putti che suonano, uno un liuto e l’altro un ribechino. In un altro quadro è San Gregorio e Santo Urbano papi, e nel terzo San Tommaso d’Aquino et un altro Santo che fu vescovo di Ricanati. Sopra questi sono gl’altri tre quadri: nel mezzo, sopra la Madonna, è Cristo morto sostenuto da un Angelo, e la Madre che gli bacia un braccio e Santa Madalena; sopra quello di San Gregorio è Santa Maria Madalena e San Vincenzio; e nell’altro, cioè sopra San Tommaso d’Aquino, è San Gismondo e Santa Caterina da Siena. Nella predella, che è di figure piccole e cosa rara, è nel mezzo quando Santa Maria di Loreto fu portata dagl’Angeli dalle parti di Schiavonia là dove ora è posta; delle due storie che la mettono in mezzo, in una è San Domenico che predica, con le più graziose figurine del mondo, e nell’altra papa Onorio che conferma a San Domenico la Regola”. Sebbene non manchino le imprecisioni, è significativo il risalto dato a questo lavoro, in cui lo storiografo colse nella formula lottesca il punto di congiunzione tra la stagione quattrocentesca incarnata dai Bellini e la maniera moderna introdotta in laguna da Giorgione. Dai riconoscimenti vasariani si è distaccata parzialmente Mariani Canova (1981), che suggeriva la possibilità che i due papi andassero identificati in “Gregorio IX (1227-1241) che canonizzò San Domenico (1234) e Onorio III (12161226) che sancì la presenza nella Chiesa della ‘religio’ domenicana. Amenoché, cambiando prospettiva, non si trattasse di Innocenzo V (1276) e Benedetto XI (1303-1304) i primi due papi domenicani beatificati”. All’interno di un’analisi iconografica più dettagliata Gentili (1985) ipotizzò invece l’identità di Gregorio XII e di Urbano V, evidenziando come il sottofondo tematico dell’opera sarebbe stato, “più che l’esaltazione dell’ordine domenicano” – verso la quale propendeva Mariani Canova –, “la memoria, da parte domenicana e in chiave domenicana, di multiple glorie e devozioni cittadine”: in altri termini il radicamento dell’ordine nella vita della comunità recanatese. In effetti, come rimarcato da Humfrey (1997), nel “programma iconografico, i rispettivi interessi dei frati e del Comune sono esposti con una chiarezza quasi diagrammatica”: vi si riconoscono due patroni cittadini (Vito e Flaviano), quattro santi domenicani (Tommaso, Pietro Martire, Vincenzo Ferrer e Caterina da Siena), Lucia (cui era dedicata una confraternita, cofinanziatrice dell’impresa, che gestiva l’ospedale e che aveva la propria sede in San Domenico) e il meno prevedibile Sigismondo (si veda infra). Non bisogna tuttavia dimenticare che nel 1506 della commissione si celebrava anche il giubileo lauretano (Dal Pozzolo 1993): a tale occasione sembrano fare riferimento il tema dello scomparto centrale della predella (incentrato sul trasferimento della Santa Casa da Nazareth a Loreto), la presenza di Urbano V, primo papa a rendere omaggio al santuario, e la tipologia della volta sotto la quale si svolge la scena centrale, che rievoca in maniera forse non casuale quella reale all’interno della Santa Casa lauretana. Grande è la suggestione emanata da questo polittico “ricchissimo, smagliante e tutto rilevato, fra ori di gu-
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sto vecchiotto, delle più piccanti e patetiche invenzioni […] quasi a commemorare gli sfoggi spinosi e tersi di Carlo Crivelli” (Banti 1953). Comprensibilmente, si è più volte sostenuto che la scelta della suddivisione in più riquadri sia stata “non dell’artista, probabilmente, ma dei committenti”, i quali vollero, forse, che egli s’ispirasse ai modelli crivelleschi tanto diffusi nelle Marche (Zampetti 1953; cfr. poi Antonelli 1990). E davvero a questi – e non certo al polittico Rovella di Tura, senza motivo invocato quale “fonte iconografica del polittico” da Pignatti (1954) – il pittore dovette prestare la sua attenzione, nel tentativo di risolvere coerentemente i nodi compositivi che tale impianto presentava. Ma è anche probabile che, alle prese con i primi progetti per l’opera, egli abbia tenuto conto di quanto in quei tempi andavano facendo suoi colleghi veneti quali Cima, con il polittico di San Fior, assolutamente coevo (fig. a), come ben vide Coletti (1959), e forse anche Bartolomeo Montagna, per la chiesa veronese dei Santi Nazaro e Celso, del 1505 circa (si veda in Il restauro 2001, p. 12). All’interno del compartimento ligneo – purtroppo non più quello originale (l’attuale è del 1914, su progetto di Oreste Grazzini) – s’immagina un’abside sormontata nel vano centrale da una volta a cassettoni, per la quale non serve portare il confronto con “la pala che Alvise Vivarini iniziò nel 1503 per la chiesa di Santa Maria dei Frari” a Venezia (Berenson 1955): è piuttosto plausibile che in questo “telaio spaziale di sapore bramantesco” (Mascherpa 1980) sia adombrata – oltre che la conoscenza di quanto realizzato nella fabbrica lauretana – anche una prima frequentazione dell’architetto urbinate. Nel pannello centrale “la composizione è subordinata ad una ritmica di masse oscillanti” (Pallucchini 1944), che fa fluttuare le figure in un movimento armonico e maestoso, animato da una luce “incline a modificare la forma per ragioni sentimentali, affettive, espressive” (Mascherpa 1980). Essa penetra di striscio, lateralmente, insinuando un vago senso di instabilità emozionale che negli anni andrà sempre più caratterizzando le ambientazioni lottesche. E in tal senso va inquadrata la distinzione che Zampetti (1980) porta fra questa luce, definita “significante”, e quella “naturale” giorgionesca. Il nome dell’artista di Castelfranco si ripresenta, peraltro, nel momento in cui si analizzano certe scelte cromatiche, particolarmente evidenti soprattutto nel pannello centrale, e pure alcune tipologie: se pare azzardata l’idea che la posa del san Vito “fu forse suggerita al Lotto dal San Liberale di Giorgione nella pala di Castelfranco” (Berenson 1955), non v’è dubbio che l’angelo che sorregge lo scapolare di Domenico ostenti una gamba nuda identica a quella della Giuditta del maestro castellano a San Pietroburgo (Dal Pozzolo 2008). Ma soprattutto, al pari degli altri pezzi marchigiani di questa fase (I.14, I.17), nel polittico sono particolarmente esplicite le riprese da Dürer: “düreriani sono, nel quadro, san Sigismondo (singolare figura scavata nella luce proiettata dalla mano interrogativamente sospesa in primo piano) e soprattutto il san Tommaso che sembra dipinto con una pelle di natura minerale” (Mascherpa 1980). In essi si deduce lo studio condotto da Lorenzo non solo sulla Pala del Rosario in San Bartolomeo, ma anche sul Cristo fra i dottori del Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, del 1506, una strana polifonia di mani (si confrontino ap-
punto con quelle di Tommaso e Sigismondo: figg. a p. 33) e teste (quella in alto a destra riemerge nel Giuseppe d’Arimatea della Pietà). Al di là dei molti richiami riconoscibili nell’opera, ciò che caratterizza l’interpretazione è però la straordinaria capacità mimetica dell’artista, che qui – più che in ogni suo altro lavoro, precedente e successivo – sembra voler dimostrare una volontà di riproduzione ottica esatta di ogni elemento: dai paramenti sacri (come dimostrato da Silvija Banić in una comunicazione al convegno lauretano del 2019, purtroppo non edita nei relativi atti), alle oreficerie (a conferma della sua precoce frequentazione di maestri orafi – anche qui a Recanati, dove uno dei principali finanziatori del polittico era stato Francesco Polini: Coltrinari 2019), ai volumi (cfr. Pickwoad in c.s.), fino alle armi. E a quest’ultimo riguardo vale la pena di riportare le osservazioni proposteci da Marco Merlo, in merito alle figure dei santi Vito e Sigismondo. Il primo – milite siciliano martirizzato al tempo di Teodosio II – viene effigiato con indossata solo la parte inferiore dell’armatura, con la registrazione di dettagli notevoli, come il sistema di allacciare le scarpe di maglia di ferro al piede (il nastrino di cuoio), le protezioni in anelli di maglia di ferro, con anelli anche dorati, nel girovita, la falda di maglia (le cui punte sarebbero poi sporte sotto il petto) e sotto il ginocchio (sono le toppe delle brache d’armare, che proteggevano la parte posteriore del ginocchio). Si tratta di un modello di armatura da cavallo – come si desume dalla presenza delle gambe complete (i cosiddetti “arnesi”) e dal tipo di lancia con vessillo – di sapore ancora gotico, ma comunemente adottato per gran parte della prima metà del Cinquecento. Notevolissima appare la spada, uno stocco a una mano e mezza, con elso a doppia S e arricchito in ogni superficie da decorazioni all’agemina: potrebbe essere una raffinatissima “schiavonesca”, paragonabile a quella portata da sant’Alessandro nella Pala Martinengo Colleoni (I.33). È inoltre significativo che nel Sigismondo nel pannello soprastante la spada è di sicura fattura tedesca, identica ad alcuni esemplari giunti fino a noi, in genere da caccia (uno dei quali appartenuto a Massimiliano I), in cui l’impugnatura risulta sempre in argento decorata con foglia d’oro: tale riscontro potrebbe forse risultare un indizio ulteriore a favore dell’allusione colta da Gentili (1985) di questo Sigismondo (re dei Burgundi nel VI secolo) alla figura dell’imperatore Sigismondo di Lussemburgo, promotore del Concilio di Costanza e attivo fautore della riforma della Chiesa. Alcune delle soluzioni proposte nel polittico ebbero una certa fortuna locale: il san Vito venne ripreso nell’affresco con la Madonna col Bambino e quattro santi nella chiesa dei Santi Tommaso e Barnaba a San Ginesio, eseguito entro il 1529 (forse di Giulio Vergari), mentre l’angelo suonatore di liuto torna in due pale di Giovanni Andrea De Magistris: una nella collegiata di San Martino a Caldarola e un’altra in Santa Maria Assunta a Pieve Torina (si vedano in Lorenzo Lotto nelle Marche 1981, pp. 348-349 n. 86, 348-349 n. 86, 360).
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I.17
Madonna col Bambino e i santi Ignazio (o Flaviano?) e Onofrio 1508
Tavola, 53 × 67 cm Firmata in alto al centro: LAVRENT. LOTVS. M. D. VIII Roma, Galleria Borghese Inv. 193 Provenienza: Roma, collezione di Scipione Borghese, forse identificabile nella “Madonna col S. Giovannino alta palmi 3 1/1 e 4 1/1 di Lorenzo Lotto” per cui nel 1613 fu realizzata una “cornice negra col battente dorato”; di sicuro menzionata nell’inventario del 1693 della collezione Borghese. Esposizioni: Londra, Exhibition 1930, n. 401; Venezia, Mostra di Lorenzo Lotto 1953, n. 25; Venezia, Il Rinascimento 1999, n. 54; Roma, Dürer e l’Italia 2007, VI.6; Roma, Lorenzo Lotto 2011, n. 19; Francoforte sul Meno, Tizian 2019, n. 6. Bibliografia: Mündler 1870, pp. 57-58; Crowe, Cavalcaselle 1871, p. 497 (ed. 1912, III, pp. 394-395); Berenson 1894, p. 116; Berenson 1895, pp. 14-15 (ed. 1901, pp. 10-11; ed. 1905, pp. 10-11); Frizzoni 1896 (Lorenzo Lotto pittore), pp. 11-12; Morelli 1897 (ed. 1991, pp. 248-249); Biscaro 1901, p. 158; Phillips 1912, p. 197; Venturi 1915, pp. 762766; Venturi 1929, p. 15; Exhibition 1930, p. 223; Berenson 1932, p. 310 (ed. 1936, p. 267); Biagi 1942, p. 6; Della Pergola 1951, p. 33; Boschetto 1953, p. 68 n. 21; Coletti 1953, pp. 38-39; Pignatti 1953, pp. 43-46; Zampetti 1953, p. 44; Berenson 1955, pp. 24-25 (ed. 1956, p. 9; ed. 1957, p. 9); Bianconi 1955, pp. 39-40 (ed. 1963, I, p. 38); Della Pergola 1955, p. 117 n. 209; Berenson 1957, I, p. 105 (ed. 1958, I, p. 108); Pignatti 1973, p. 265; Caroli 1975, p. 128 (ed. 1980, p. 104); Mariani Canova 1975, p. 91 n. 29; Mascherpa 1980, p. 19; Guarino 1981, p. 45; Pignatti 1981, p. 95; Zampetti 1983, n. 6; M. Lattanzi, in Gentili 1985, pp. 155-161; Dal Pozzolo 1995, p. 79; Bonnet 1996, pp. 42, 193 n. 15; Ekserdjian 1997, pp. 251-253; Humfrey 1997 (ed. 1998, pp. 30-31, 37, 169 nota 12); Heimbürger 1999, pp. 221-222; E.M. Dal Pozzolo, in Il Rinascimento 1999, p. 300; Moreno, Stefani 2000, p. 408; Cortesi Bosco 2006, p. 201; P. Humfrey, in Bellini, Giorgione 2006, pp. 70-72; S. Lucantoni, in Dürer e l’Italia 2007, p. 276; F. Fracassi, in Lorenzo Lotto 2011, p. 158; Cortesi Bosco 2016, pp. 178-180 nota 207; A.J. Martin, in Dürer e il Rinascimento 2018, p. 330; H. Aurenhammer, in Tizian 2019, pp. 58-59 n. 6; De Giorgio 2019; Piccolo 2019 (Lorenzo Lotto), pp. 411-412.
Sul fondo scuro, già adottato nella cimasa della Pala di Santa Cristina al Tiveron (I.5), si stagliano la Madonna col Bambino e due santi: a destra l’anacoreta Onofrio e a sinistra un vescovo che regge la palma del martirio e un cuore con il trigramma di Cristo, già identificato in Bernardo (Exhibition 1930), Nicola (inv. 1693; Biagi 1942; Pignatti 1953 e 1973), Flaviano (Lattanzi 1985; De Giorgio 2019) e Ignazio d’Antiochia, sul cui cuore alla morte fu ritrovato il nome di Gesù (Ekserdjian 1997; Dal Pozzolo 1999; ma cfr. Cortesi Bosco 2016): queste ultime due opzioni sono le preferibili. Dal punto di vista compositivo l’opera, perfettamente bilanciata, esprime il senso di equilibrio umanistico che il giovane maestro aveva assorbito dai modelli di
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Giovanni Bellini (si pensi alla Madonna col Bambino e due sante alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, pure su fondo nero) e di Cima da Conegliano (nelle pose divergenti di Maria e Gesù, già adottate nel quadro a Edimburgo: I.4). Tuttavia, come per tempo scorto dalla critica, stilisticamente la tavola si caratterizza per un marcato accento nordicizzante, rilevato in primis da Thausing (1884) e Morelli (1897), che portavano il confronto con il Cristo fra i dottori di Dürer ora a Madrid. Quest’opera fu senza dubbio nota al Lotto, se non altro tramite gli studi preparatori, come si intuisce anche da numerosi dettagli – specie le mani – nel polittico di Recanati (figg. a p. 33). In particolare, la figura di Onofrio ricorda quella del vecchio all’estrema destra in tale dipinto, per quanto vada rilevato che un parallelo altrettanto calzante, se non ancora più stringente, si recupera nella seconda testa da sinistra nella Pala del Rosario (fig. a). E pure c’è da rilevare che nello scorcio della testa e del braccio artificiosamente alzato di Gesù si rivela la conoscenza sia di un’incisione del maestro di Norimberga del 1505 circa (la Strega sulla capra e quattro putti, uno dei quali è, in controparte, davvero molto simile), sia della Madonna del lucherino del 1506 a Berlino, dove il Battista è, lievemente ruotato, quasi identico (fig. b). Tuttavia sono stati intravisti anche ulteriori richiami stilistici: se Crowe e Cavalcaselle (1871) vi riconoscevano un forte accento palmesco – al punto da ipotizzare che “Palma Vecchio furnished the sketch for the composition” – Berenson (1895, 1901, 1905) coglieva non meno infondati richiami a Cima, Alvise e Jacopo de’ Barbari. Di grande finezza è la costruzione allegorica dell’immagine. Il dato più evidente è la contrapposizione tra vita contemplativa e attiva, affidate rispettivamente a Onofrio, eremita spoglio e selvatico, e al vescovo, ritratto nello splendore delle sue vesti. Si tratta di un’antitesi già affrontata da Lotto nella pala di Asolo del 1506 (I.12) e che rispecchiava un dibattito in quei tempi vivissimo a Venezia e in Italia: quello su “dove e come” essere Chiesa, se nei deserti o nei luoghi del potere, se rinunciando a tutto o giovandosi dei beni terreni (Massa 1992). La risposta data da Lotto si evince dalla presentazione paritetica dei santi, a significare che misticismo e azione non sono disgiungibili (Dal Pozzolo 1995). Anche altri elementi sembrano avere significati connessi alla preghiera e alla sfera liturgica. Si noti lo sguardo che la Vergine rivolge verso il rosario, uno strumento devozionale il cui uso si andava allora estendendo grazie in particolare alla predicazione dei Domenicani (con cui Lotto fu sempre in contatto), mentre Gesù benedice il suo stesso cuore piagato, che è attributo di Ignazio e che – qualora fosse davvero lui, e non Flaviano, il santo rappresentato – servirebbe a visualizzare uno dei nuclei portanti del suo misticismo: ossia la necessità che Egli abiti in noi. Alla luce del pensiero del santo di Antiochia (le cui lettere furono edite a stampa alla fine del Quattrocento) troverebbe spiegazione, inoltre, la singolare mise ecclesiastica del piccolo Gesù, che – sostenuto da Maria (di Lui madre e simbolo della Chiesa stessa) con un inflessibile abbraccio dalle mani, l’effettivo centro della tavola – indossa una sontuosa tunica bianca, predisposta non certo per celare la sua nudità allo sguardo di monache pudiche (Morelli 1897), bensì per alludere
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appunto alla sua presenza sacerdotale: di essa si parla nella Lettera agli ebrei (allora ritenuta di san Paolo), ma è motivo ricorrente anche nelle lettere di Ignazio, che paragonava Cristo a un vescovo che veglia su una Chiesa gerarchicamente costituita. In sintesi, Lotto, per un committente assai colto – probabilmente marchigiano – svolge una sofisticata allegoria della vita della Chiesa, che tanto nella dimensione operativa quanto in quella ascetica ruota attorno al mistero del sacerdozio di Gesù e alla mediazione fondamentale di Maria, che con i loro sguardi raccomandano allo spettatore le pratiche del rosario e dell’imitazione di Cristo. Persuasivamente De Giorgio (2019) ha suggerito che il dipinto possa essere pervenuto a Scipione Borghese, in virtù dello stretto rapporto di quest’ultimo con Agostino Galamini, vescovo di Recanati dal 1613 al 1620.
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I.18
San Girolamo in un paesaggio 1509 circa
Tavola, 80,5 × 61,7 cm Firmata sulla roccia in basso a destra: L LOTVS Roma, Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo Inv. III 50/386 Provenienza: Roma, collezione Mario Menotti; donato al museo nel 1916. Esposizioni: Venezia, Mostra di Lorenzo Lotto 1953, n. 14; Roma, Il S. Girolamo 1983, s.n.; WashingtonBergamo-Parigi, Lorenzo Lotto 1997-1999, n. 8; Roma, Dürer e l’Italia 2007, n. VI.24; Trento, Rinascimento e passione 2008, n. 26; Roma, Lorenzo Lotto 2011, n. 20; Venezia, Tiziano 2012, s.n.; San Secondo di Pinerolo, Lorenzo Lotto. I volti e l’anima 2013-2014, s.n.; Roma, Lorenzo Lotto e i tesori 2015, n. 7. Restauri: 1970, G. Colalucci (relazione edita in Il S. Girolamo 1983, pp. 33-39); 2007. Diagnostica: 1970, RX e fotografie a luce radente (in Il S. Girolamo 1983, pp. 28-29, 34, 36), analisi chimiche quantitative. Bibliografia: Menotti 1917, II, p. 487; Papini 1920; Venturi 1929, p. 113; Berenson 1932, p. 311 (ed. 1936, p. 267); Longhi 1946, p. 62; Boschetto 1953, p. 67 n. 17; Coletti 1953, p. 39; Morassi 1953, p. 296 nota 25; Zampetti 1953, p. 26; Zocca 1953, p. 343; Pallucchini 1953-1954, ms., p. 28; Berenson 1955, pp. 26, 218 (ed. 1956, pp. 10, 468; ed. 1957, pp. 10, 469); Bianconi 1955, p. 39 (ed. 1963, I, p. 37); Berenson 1957, I, p. 105 (ed. 1958, I, p. 108); Caroli 1975, p. 110 (ed. 1980, p. 106); Mariani Canova 1975, p. 92 n. 31; Pallucchini 1975, p. 7; Longhi 1980, p. 113; Mascherpa 1980, p. 36; Arasse 1981, pp. 377, 382 nota 71; P. Zampetti, in Lorenzo Lotto nelle Marche 1981, p. 195; Contardi 1983; Gentili 1983 (L’immagine); Lattanzi 1983; Gentili 1985, pp. 170-178; Cortesi Bosco 1987, I, pp. 366367; Dal Pozzolo 1993, p. 43; Aikema 1994, p. 101; Echols 1994, pp. 62-64; Bonnet 1996, pp. 47-48, 194 n. 16; D.A. Brown, in Lorenzo Lotto 1997 (ed. it. 1998, pp. 94-96); Humfrey 1997 (ed. 1998, p. 32); Heimbürger 1999, pp. 207-210; Pirovano 2002, p. 175 n. 19; Calì 2003, p. 58; Hochmann 2004, pp. 179-180; F. Bellini, in Dürer e l’Italia 2007, p. 295; F. Bellini, in Rinascimento e passione 2008, p. 294; Mozzoni 2009, p. 155; F. Fracassi, in Lorenzo Lotto 2011, p. 160; G.C.F. Villa, in Tiziano 2012, pp. 92-93; M.G. Bernardini, in Lorenzo Lotto. I volti e l’anima 2013, pp. 28-33; Cleri 2014, p. 38; Frapiccini 2014 (Lorenzo Lotto sulla via), pp. 25-31; Kim 2014, pp. 15-16; Lorenzo Lotto e i tesori 2014, p. 70; Dürer e il Rinascimento 2018, p. 133; Collareta 2019, p. 367; De Carolis 2019, p. 327; Monbeig Goguel 2019, p. 302.
Nonostante non sia datato, questo San Girolamo è l’unico dipinto che la critica moderna – pressoché concordemente – considera realizzato a Roma dall’artista, e, pertanto, databile al 1509, sulla base del fatto che il 7 e il 9 marzo e il 18 settembre (Regesto: alle date) egli è documentato al lavoro nei palazzi vaticani. La descrizione di Castel Sant’Angelo sul fondale a destra, molto precisa, è stata ritenuta un indizio in tal senso: ma anche il confronto con le tavole, pure raffiguranti il santo in penitenza, del Louvre, del 1506 (I.11), e di Sibiu (I.26) – non datata ma allineata ai lavori
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marchigiani del 1512 (I.20, I.21, I.22, I.25) – richiede inevitabilmente una collocazione intermedia. I caratteri formali inoltre attestano la conoscenza di modelli antiquari visibili in città, nonché di alcuni risultati coevi di Raffaello e Michelangelo: in particolare nella posa è evidente l’analogia con il Diogene nella Scuola di Atene del 1509 (Brown 1997: fig. a), ma nondimeno con l’Adamo nella volta della Sistina (fig. b), impresa iniziata nel 1508 e completata nel 1512, forse nota a Lorenzo in fase di progettazione. Inoltre, nella resa del paesaggio, ma più in generale nel cromatismo acceso, si coglie l’influsso della scuola umbro-toscana. Il santo è rappresentato seduto a terra, seminudo, con un fisico statuario da divinità classica, mentre compulsa tre volumi aperti, che “stanno per le lingue ebraica, greca e latina” (Collareta 2019). Egli sosta nel mezzo di un sentiero che parte dal fondale, dove un viandante sprona un asino con violenza. Un leone poco realistico osserva il santo, quasi attendendo che si rialzi per riprendere il cammino: al momento dello studio, infatti, deve seguire quello della penitenza. Non è un caso che – adottata una formula di narrazione “cinetica” già sperimentata nella tavola parigina – si ritrovi Girolamo pure presso la sommità del monte, dove si percuote il petto con un sasso protendendosi verso il crocifisso (in una prima fase, come rilevato da Contardi 1983, egli si rivolgeva però all’osservatore). Più in basso, un boscaiolo è intento ad abbattere un albero morto – un motivo iconografico, evidentemente di carattere simbolico, che rammenta quello dei taglialegna sullo sfondo della tavola di Edimburgo (I.4) –, ma si osservi pure come nel primo piano il santo sosti presso un tronco mozzato e scorticato, la cui morfologia secondo Arasse (1981) – seguito da Gentili (1983, 1985), Echols (1994) e Bonnet (1996), ma non da Calì (2003) – alluderebbe alle morbidezze tentatrici di un corpo femminile. All’orizzonte la sagoma di Castel Sant’Angelo è preceduta da un edificio con una torre e merlature difensive, in un paesaggio rurale arcadico, solcato da un fiume presso il quale, dialogando, due pastori sono intenti a pascere il loro gregge. L’opera venne donata al museo dal collezionista e storico dell’arte romano Mario Menotti, che fu il primo a pubblicarla nel 1917, seguito da Papini (1920): questi l’accostò all’Allegoria petrarchesca di Washington (I.9) e al San Girolamo del Louvre (I.11), allora creduti rispettivamente del 1498 circa e del 1500. Nonostante non si fosse ancora individuata la firma, l’attribuzione fu confermata da Venturi (1929), Berenson (1932, 1936) e Longhi (1946), che lo disse “di poco tempo dopo” l’esemplare parigino. A seguito della precisazione di Wilde (1950) che quest’ultimo recava la data 1506, la critica lo pose quasi concordemente nei tempi romani: così da Zocca (1953), Longhi (1953) e Morassi (1953) in poi. Fecero eccezione Boschetto (1953) e Caroli (1975: ma cfr. ed. 1980) – che restarono sul 1506 – e Berenson (1955: 1515 circa; ed. 1956: 1510-1515). Sono stati scorti, inoltre, contatti con Sodoma (Brown 1997) e Dürer (Heimbürger 1999; De Carolis 2019). Uno snodo fondamentale di approfondimento si ebbe con la piccola mostra monografica dedicatagli a Roma nel 1983, in cui Contardi ripercorse la vicenda collezionistica e critica, Colalucci diede conto del restauro effettuato nel 1970 e Lattanzi e Gentili si soffermarono
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sugli aspetti iconologici. In particolare, Lattanzi – che immaginò un’interpretazione del pittore in qualche misura autobiografica – rilevò che il punto di vista adottato è “probabilmente il colle del Vaticano da cui si domina il corso del fiume Tevere e gli antichi prata di Nerone, al cui centro si erge la Mole Adriana”. Ancor più in là si spinse Fiona Bellini (2008) che – basandosi sulla trama di rapporti romani dell’artista ben ricostruita da Frapiccini (2000) – propose di legare la commissione alla figura dell’arcivescovo di Taranto Enrico Bruni (tesoriere vaticano fino all’ottobre del 1509, quando morì) che “possedeva una cappella dedicata al santo eremita e dottore nella chiesa romana di Sant’Onofrio. Proprio per quella cappella (se non per il suo studiolo) è dato supporre che il Bruni abbia commissionato al Lotto questo quadro da meditazione in cui la veduta panoramica sull’ansa del Tevere, su ponte Sisto e su Castel Sant’Angelo coincide con il punto di vista sulla città leonina che a quel tempo si offriva dal colle del Gianicolo, dove sorge appunto la chiesa di Sant’Onofrio”. L’ipotesi, suggestiva, è stata ripresa da Fracassi (2011), Villa (2012), Bernardini (2013) e Cleri (2014), ma con sensatezza alquanto ridimensionata dallo stesso Frapiccini (2014).
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I.19
San Vincenzo Ferrer in gloria 1510-1511 circa
Affresco staccato e montato su tela, 265 × 166 cm Recanati, chiesa di San Domenico (attualmente nella cattedrale di San Flaviano) Esposizioni: Venezia, Mostra di Lorenzo Lotto 1953, n. 31; Ancona, Lorenzo Lotto nelle Marche 1981, n. 38; Recanati, Lorenzo Lotto a Recanati 1998, n. 9; Venaria, Un maestro del Rinascimento 2013, n. 1; Macerata, Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018-2019, n. IV.1. Restauri: 1953; 2012-2013 (L. Passarini). Diagnostica: 2010, IRR, IRC, XRF, Vis-RS (G. Poldi, G.C.F. Villa, in Lorenzo Lotto nelle Marche 2011, pp. 79-81).
Bibliografia: Vasari 1568 (ed. 1966-1987, IV [1976], p. 553); Calcagni 1711, p. 332; Lanzi 1783 (ed. 2003, p. 69); Lanzi 1834, III, p. 72; Ricci 1834, II, p. 93; Gianuizzi 1894 (Lorenzo Lotto), p. 40; Spezioli 1894, pp. 23-25; Berenson 1895, pp. 131, 135 (ed. 1901, pp. 104-107; ed. 1905, pp. 104-107); Cavalcaselle, Morelli 1896, p. 256; Venturi 1929, p. 21 nota; Berenson 1932, p. 310 (ed. 1936, p. 267); Banti 1953, p. 15; Boschetto 1953, p. 70 n. 30; Coletti 1953, p. 40; Zampetti 1953, p. 54; Zampetti 1953 (Lorenzo Lotto nelle Marche), pp. 47-48; Berenson 1955, pp. 46-47, 218 (ed. 1956, pp. 27, 468; ed. 1957, pp. 26-27, 468); Bianconi 1955, p. 42 (ed. 1963, I, pp. 40-41); Berenson 1957, I, p. 105 (ed. 1958, I, p. 108); Caroli 1975, p. 134 (ed. 1980, p. 110); Mariani Canova 1975, p. 92 n. 32; Steinberg 1977, p. 108; Mascherpa 1980, p. 21; Mariani Canova 1981, p. 341; Volpe 1981, pp. 132-133, 142; P. Zampetti, in Lorenzo Lotto nelle Marche 1981, pp. 207-208; P. Zampetti, in Urbino e le Marche 1983, pp. 312-313; Oldfield 1984 (Lorenzo Lotto, 1508-1513), pp. 26-27; Gentili 1985, pp. 197-200; Freedberg 1988, p. 360; Zampetti 1989, p. 229; Cortesi Bosco 1990, pp. 50-54; Dal Pozzolo 1993, p. 43; Bonnet 1996, pp. 52, 194 n. 18; Mozzoni, Paoletti 1996, pp. 72-77; Humfrey 1997 (ed. 1998, pp. 38-39); P. Humfrey, in Lorenzo Lotto a Recanati 1998, p. 38; Lucco 1997 (ed. 1998 [Le fonti], p. 18); Anderson 2000 (I Taccuini), pp. 83, 264; Nesselrath 2000, p. 7; M. Lucco, in Bergamo. L’altra Venezia 2001, p. 50; Pirovano 2002, p. 175 n. 20; Hochmann 2004, p. 215; Nesselrath 2004, pp. 740-741; Cortesi Bosco 2006, p. 201; Castellana 2009, pp. 132-138; Nesselrath 2009, pp. 31-35; Pidatella 2011, pp. 88-92; G. Poldi, in Lotto nelle Marche 2011, pp. 80-81; A. Vastano, in Lotto nelle Marche 2011, pp. 76-79; G. Barucca, in Un maestro del Rinascimento 2013, pp. 66-69; Frapiccini 2013 (L’età aurea), p. 119; Ballarin 2016 [2018], II, pp. 995-996; M. Paraventi, in Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, pp. 175176; Castellana 2019, p. 103, nota 3; Coltrinari 2019, p. 40; Lucco 2019, p. 32.
La figura di san Vincenzo Ferrer aveva trovato spazio, accanto a quella di santa Lucia, nello scomparto superiore sinistro del polittico di Recanati (I.16), dove – reggendo un libro chiuso e ostentando la fiamma (il più tipico dei suoi attributi) – rivolgeva uno sguardo malinconico all’osservatore. Pochi anni dopo, sempre per la chiesa di San Domenico a Recanati, viene rappresentato da Lorenzo seguendo l’iconografia più diffusa in Italia, che lo propone frontalmente con l’indice della destra puntato verso il cielo (ovvero Dio)
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e un volume aperto al passo dell’Apocalisse (XIV, 7) timete / devm et / date il / li hono / rem / quia ve / nit ho / ra ivdi / cii eivs. Di norma egli è presentato in nicchie o spazi conchiusi (fig. a), qui invece appare assiso su una nuvola sostenuta da quattro angioletti, con altri quattro soprastanti con le trombe, in un ulteriore riferimento al Giudizio universale. La scena è concitata: le creature angeliche in basso (in qualche misura memori di quelle della pala di Asolo: I.12) sembrano in difficoltà nel reggere il peso di questo vecchio imberbe, che rivolge uno sguardo acceso e ammonitore, socchiudendo le labbra e sollevando una mano vigorosa da cui sembra scaturire un’energia quasi michelangiolesca. È stato suggerito da Steinberg (1977) – concorde Humfrey (1997) – che vi possa essere un richiamo alle fattezze di Girolamo Savonarola. Il primo a menzionare l’affresco fu Vasari, nella seconda edizione delle Vite (1568), laddove – subito dopo aver descritto il Polittico di San Domenico – aggiunse: “È di mano del medesimo in mezzo a questa chiesa un San Vincenzio frate lavorato a fresco”. All’epoca era posizionato sulla parete finale della navata sinistra, ma nel 1593 fu inglobato in una nicchia entro due mezze colonne e nel XVIII secolo trasformato in una sorta di pala d’altare, con la perdita di parte delle aree marginali (Paraventi 2018). Venne strappato in occasione della mostra veneziana del 1953, quando fu fissato su tela entro un telaio metallico (Zampetti 1953). È stato suggerito che in origine fosse sormontato dalla “figura, oggi perduta, di un Cristo Giudice” (Humfrey 1997), con in basso un paesaggio per lo studioso forse ispirato a una xilografia di Dürer del 1496-1498 raffigurante san Michele. Riconosciuto al maestro da Lanzi (1795) e Ricci (1834), che lo accostò alla Trasfigurazione (I.20), fu definito da Morelli, in una pagina dei suoi Taccuini (19 maggio 1861), una “pittura bene conservata e disegnata egregiamente” (Anderson 2000). Se già il conoscitore bergamasco vi aveva colto un’“imitazione di Raffaello nell’angiolo a sinistra”, Berenson (1895) focalizzò meglio tale componente culturale, sostenendo che “Vincent himself, and the putti playing around him, betray the influence of Raphael. His features and the modelling of his face recall faces in the Disputa, as of the Stephen, for instance. He points upward with the gesture of the first figure on the right in the Disputa, or the Plato in the School of Athens. The putti have a distinct resemblance to those in the allegories of Poetry and Justice on the ceiling of the Stanza della Segnatura”. Tale prospettiva di lettura – poi ribadita dallo studioso pure nelle ultime monografie lottesche – fu accolta da Venturi (1929), Banti e Boschetto (1953), Zampetti (1953, 1981), Bianconi (1955), Mariani Canova (1975), Caroli (1975, 1980), Mascherpa (1980), Gentili (1985), fino a Paraventi (2019). Non è mancato, peraltro, chi ha scorto richiami a Michelangelo, come Volpe (1981): “proprio qui, quando il fare ad affresco dovrebbe ricordare più da presso i toni delle stanze vaticane, affiorava invece la nota dissonante che nessun orecchio d’artista sapeva smorzare quando si lasciava prendere dal ricordo di quella terribilità antica e di quella magnanimità rissosa che già incombeva dalla volta sistina”. Inoltre, a partire da Pallucchini (19651966), s’è evidenziata un’analogia con l’opera di Fra’
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Bartolomeo: in particolare Oldfield (1984) propose il confronto con il San Vincenzo Ferrer di quest’ultimo ora al Museo di San Marco di Firenze (fig. a), deducendo che ciò implicasse il fatto “that Lotto spent some time” nella città toscana tra il 1509 e il 1512. Tale ipotesi è stata accolta da Humfrey (1997), Lucco (1997) e Hochmann (2004). Non essendo ancorabile a riscontri documentari, il problema cronologico è stato affrontato sulla base dell’analisi stilistica. Sono stati suggeriti gli anni 1506 (Gianuizzi 1894), 1507-1508 (Nesselrath 2009), 1510 (Venturi 1929; Castellana 2009 e 2019; Barucca 2013; Ballarin 2016 [2018]), 1510-1512 (Mariani Canova 1975; Bonnet 1996; Pirovano 2002; Paraventi 2019), 1511 (Humfrey 1997), 1512 (Berenson 1955; Caroli 1980; Volpe 1981; Freedberg 1988), 1512-1513 (Bianconi 1955; Humfrey 1997), 1513 (Boschetto 1953; Caroli 1975; Cortesi Bosco 1990 e 2006; Mozzoni, Paoletti 1996), fino al 1514-1515 (a partire da Longhi, cfr. Boschetto 1953; Zampetti 1981; Gentili 1985; Vastano 2011). A parere di chi scrive, una data sul 1510-1511 risulta preferibile, anche in virtù della freschezza dei ricordi romani ostentati del maestro (fig. b).
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Trasfigurazione di Castelnuovo 1510-1512 circa Trasfigurazione di Cristo (pannello principale) Tavola, 300 × 203 cm Firmata su un cartiglio in basso: LAVRENTIVS[S LOTVS] Recanati, Musei Civici, Villa Colloredo Mels Inv. 1555 Provenienza: Recanati, altare maggiore della chiesa di Santa Maria di Castelnuovo; spostata in un altare laterale prima del 1711; nel 1861 il pannello principale è segnalato in sacrestia (nel frattempo la predella era già stata smembrata e dispersa); dal 1890, Recanati, palazzo municipale (sede della Pinacoteca Comunale); dal 1998 Recanati, Museo Civico, Villa Colloredo Mels. Esposizioni: Ancona, Mostra della pittura veneta 1950, n. 55; Ancona, Lorenzo Lotto nelle Marche 1981, n. 37; Recanati, Lorenzo Lotto a Recanati 1998, n. 6; Roma, Lorenzo Lotto 2011, n. 4; Macerata, Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018-2019, n. IX.23. Restauri: 1890, S. Centenari; 1973, M. Oberto e A. Oberto; 2010-2011, F. Pappagallo (Pappagallo 2019); 2021 (disinfestazione). Diagnostica: 2010, IRR, IRC, XRF, Vis-RS (G. Poldi, G.C.F. Villa); sezioni lucide (Università di Urbino); FTIR, GC-MS (Università di Parma). Copie: • Recanati, collezione Casa Leopardi Si veda V.91. Bibliografia: Vasari 1568 (ed. 1966-1987, IV [1976], p. 553); Angelita 1601, p. 34v; Ridolfi 1648 (ed. 1914-1924, I [1914], p. 145); Calcagni 1711, p. 291; Lanzi 1783 (ed. 2003, p. 69, 184 nota 849); Tassi 1793 (ed. 1969, p. 130); Ricci 1834, II, pp. 93, 106 nota 26; Mündler 1855-1858 (ed. 1985, p. 230); Berenson 1894, p. 116; Gianuizzi 1894 (Lorenzo Lotto), pp. 40-41; Berenson 1895, p. 134 (ed. 1901, p. 106; ed. 1905, p. 106); Cavalcaselle, Morelli 1896, p. 254; Frizzoni 1916; Venturi 1929, pp. 18-21; Berenson 1932, p. 310 (ed. 1936, p. 267); Biagi 1942, p. 8; P. Zampetti, in Mostra della pittura veneta 1950, p. 35; Banti 1953, pp. 16-17; Boschetto 1953, p. 69 n. 26; Coletti 1953, pp. 24-25, 40; Pignatti 1953, pp. 61-63; Berenson 1955, pp. 46, 218 (ed. 1956, pp. 26, 468; ed. 1957, pp. 26, 469); Bianconi 1955, pp. 42-43 (ed. 1963, I, p. 41); Berenson 1957, I, p. 105 (ed. 1958, I, p. 108); A. Oberto, M. Oberto, in Restauri nelle Marche 1973, p. 340; P. Zampetti, in Restauri nelle Marche 1973, pp. 333-340; Caroli 1975, p. 284 (ed. 1980, p. 252); Mariani Canova 1975, p. 92 n. 33; Pallucchini 1975, p. 7; Mascherpa 1980, pp. 19-20, 40: P. Zampetti, in Lorenzo Lotto a Loreto 1980, pp. 48, 60-61; Bertelli 1981, p. 188; Trevisani 1981, pp. 283-284, 286; Volpe 1981, pp. 132133, 142; P. Zampetti, in Lorenzo Lotto nelle Marche 1981, pp. 204-206; Zampetti 1983, pp. 14, 38-40; Gentili 1984, pp. 44-48; Oldfield 1984 (Lorenzo Lotto, 1508-1513), pp. 34-37; Gentili 1985, pp. 184-189, 195-197; Chevalier Matthew 1988 (Lorenzo Lotto), pp. 406-409; Zampetti 1989, pp. 228-229; Cortesi Bosco 1990, pp. 54-59; Dal Pozzolo 1993, pp. 43-44; Colalucci 1994, pp. 13-16; Bonnet 1996, pp. 54-56, 194 n. 19; Mozzoni, Paoletti 1996, pp. 19-21, 60-67; D. Oldfield, in Oldfield, Matthew 1996, p. 711; Humfrey 1997 (ed. 1998, pp. 37-38); P. Humfrey, in Lorenzo Lotto a Recanati 1998, pp.
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29-31; Anderson 2000 (I Taccuini), p. 78; Frapiccini 2000, pp. 151-153, 156; Nesselrath 2000, p. 9; Punzi 2000 (Lorenzo Lotto nella Marca), p. 30; Hochmann 2004, p. 214; Bertling Biaggini 2005, pp. 34-35; Cortesi Bosco 2006, p. 201; Artemieva 2009, p. 168; Nesselrath 2009, pp. 28-31; M. Minardi, in Lorenzo Lotto 2011, pp. 106-108; M. Minardi, in Lotto nelle Marche 2011, pp. 46-57; Pappagallo 2013; Frapiccini 2014 (Sul tema); Frapiccini 2015-2016; F. Coltrinari, in Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, pp. 248-249; De Carolis 2018 (Lotto’s), pp. 166-167; Campbell 2019, pp. 124-125; Coltrinari 2019, p. 40; Monaco 2019, pp. 141-142; Pappagallo 2019; Paraventi 2019, pp. 474, 480-481 nota 8. Cristo conduce gli apostoli al monte Tabor (scomparto sinistro della predella) Tavola trasportata su tela, 26,5 × 58 cm San Pietroburgo, The State Hermitage Museum Inv. 103 Provenienza: Roma (?); Parigi, collezione di Manuel Godoy; acquistata nel 1831 dall’Hermitage (inoltre si veda infra). Esposizioni: Belgrado, Narodni Musei u Beogradu 1968-1969, n. 60; Urbino, Urbino e le Marche 1983, n. 91; Recanati, Lorenzo Lotto a Recanati 1998, n. 7; Tokyo, Florence and Venice 1999, n. 25; Roma, Lorenzo Lotto 2011, n. 5; Macerata, Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018-2019, n. IV.2. Restauri: 2021. Diagnostica: 2021, RX, IRR. Bibliografia (si indicano in questa selezione bibliografica contributi specificamente dedicati allo scomparto, rimandando per la più generale analisi della pala alle voci indicate nella scheda precedente): [F. Labensky] Livret 1838, p. 43; Viardot 1844, p. 47; Frizzoni 1916; Berenson 1932, p. 308 (ed. 1936, p. 265); Bianconi 1955, p. 43 (ed. 1963, I, p. 41); Berenson 1957, I, p. 103 (ed. 1958, I, p. 106); Bazin 1958, p. 60; Narodni Musei u Beogradu 1968, p. 24; Mariani Canova 1975, p. 92, n. 34; P. Zampetti, in Lorenzo Lotto nelle Marche 1981, p. 204, n. 37; P. Zampetti, in Urbino e le Marche 1983, pp. 311-312; Gentili 1985, p. 204; Zampetti 1989, p. 229; Cortesi Bosco 1990, p. 59; M. Lucco, in Pinacoteca di Brera 1990, pp. 161-163; Fomičeva 1992, p. 193 n. 144; Bonnet 1996, p. 194 n. 19; Mozzoni, Paoletti 1996, pp. 60-67; P. Humfrey, in Lorenzo Lotto a Recanati 1998, p. 32; M. Lucco, in Lorenzo Lotto a Recanati 1998, p. 34; I. Artemieva, in Cinquecento veneto 2001, pp. 58-59; Artemieva 2009, pp. 168-171; M. Minardi, in Lorenzo Lotto 2011, pp. 110-111; Frapiccini 2014 (Sul tema), p. 102; F. Coltrinari, in Lorenzo Lotto. Il richiamo 2018, pp. 176-177; Pappagallo 2019, pp. 537, 540; Paraventi 2019, pp. 474, 481 nota 22.
La commissione del dipinto risale agli inizi del 1507, quando i rettori della chiesa benedettina di Santa Maria di Castelnuovo, presso Recanati, chiesero al Comune un contributo di cento fiorini per una “cona” da porsi sull’altare maggiore dell’edificio (Regesto: 1507, 7 febbraio). Il tema non è specificato nel documento, ma va ammesso che si trattasse proprio di questa Trasfigurazione. Il 20 luglio dello stesso anno e il 17 febbraio di quello successivo (Regesto: alle date) il pittore riceve da Antonio Gionta – massaro della Confraternita di Santa Maria di Castelnuovo – rispettivamente venticinque ducati e poi cinquanta fiorini di anticipo: tuttavia, quasi certamente, non avviò i lavori. In quei tempi, infatti, era alle prese con il completamento del
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