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daniele capaccio:i coraggiosi Ho messo neanche mezzo cucchiaino di zucchero nel mio caffè e fuori inizia il diluvio: una goccia cade sul davanzale, un’altra, una ancora. Non fosse che mi sono alzato alle cinque per andare al lavoro, sarebbe un buon inizio di giornata. Una volta in strada la pioggia è già finita e il caldo opprimente – immagino i titoli dei tg: caldo record, caldo killer, caldo caldo caldo – di giugno prosciuga in fretta le poche pozzanghere in terra. Alla fermata del bus siamo in tre, i soliti, i coraggiosi. C’è la ragazza vestita come al rientro da una discoteca o dal turno più antico del mondo: capelli biondi in disordine, innaturali, una parrucca piena di polvere. E il Tipo Criceto seduto sul muretto, il più lontano possibile da noialtri, con le braccia incrociate sulla ventiquattrore, come fosse una ghianda. Ogni mattina aspetto che impazzisca del tutto e cominci a rosicchiare la bella pelle centimetro per centimetro, a partire dalle maniglie. Sfortunatamente non è ancora accaduto. Aspettiamo una ventina di minuti prima che l’autobus appaia in fondo alla salita, risalendo lento: tremendamente lento. Io sono un appassionato dei velocisti: quelli che se ne fregano di portare tonnellate d’acciaio a spasso e corrono e prendono le curve a gomito e considerano qualsiasi altra forma di vita motorizzata insulsa e meritevole di estinzione. Circa due mesi fa, uno dei miei velocisti preferiti – un basso e sovraeccitato cumulo di polvere bianca – ha, probabilmente, concluso la sua gloriosa carriera di Caronte uccidendo, probabilmente, una coppia di filippini in scooter. Io c’ero, l’ho visto. E ora so cosa accade quando un autobus in accelerazione da fermo incontra un due e cinquanta che viaggia sui settanta orari: lo scooter perde. Perde su tutta la linea. Non siamo nemmeno a metà del viaggio ed io già sono in ritardo. Scendo qualche fermata prima e taglio per le scale dietro al Ministero, sicuro di risparmiare minuti preziosi. Sul fondo dei quattrocento scalini vedo una grossa ombra, un mucchio di stracci sporchi. Una persona. Ce n’è di spugne qui intorno, ce n’è sempre stato. La maggior parte gravita intorno alla Caritas e alle varie chiese del quartiere, mendicano un po’ qua e un po’ al di là del ponte, in centro storico. Questo non lo conosco – mai visto, mai parlato con lui - ma basta un minuto per capire che è diverso più di tanti altri. Questo non respira. Mi avvicino fino a stargli sopra e lui continua a non respirare. Irritante. Sono in ritardo di quasi dieci minuti e mica posso mettermi lì in ginocchio con uno specchietto vicino alla sua bocca: non ce l’ho neanche uno specchio, che cazzo.. Gli tiro un calcetto sulle gambe. Piano piano. Niente. Provo a dargliene un altro poco più forte, ancora niente. Chiamo un’ambulanza. «Pronto Intervento, dica?» la voce di un uomo. «Mi serve un ambulanza in via ... c’è un uomo che sta male.» «Cos’ha esattamente?» «Non respira.» «Si avvicini e si assicuri che sia così.» «Non respira.» «Ne è sicuro?» «Le invio una foto?» «È che abbiamo spesso false segnalazioni in quelle zone. Mandiamo le ambulanze e non si trova nessuno che l’abbia chiamate. È che ci sono un mucchio di persone particolari in quei posti... sa com’è... glu glu e vagabondi vari.» Glu glu? «Sì, lo so com’è. Ma questo non respira.» «Poi magari arriviamo e quello neanche ci vuole venire in ospedale. Così che siamo venuti a fare? C’è un sacco di gente perbene che ha bisogno di noi. Senta» dice cambiando tono «faccia una bella cosa. Controlli se reagisce agli stimoli.» «E come faccio?» «C’è un bastone lì?» «Gli ho già dato un calcio.» «Sì, va bene» dice quello «ma con un bastone è meglio. Ne trovi uno e lo spinga forte sulle costole.» Abbasso il telefono e mi guardo intorno: ci sono preservativi, carte, cartine e cocci di vetro. Scelgo una bottiglia di birra vuota e gli batto un colpo sull’addome. Provo ancora pigiando il fondo contro il suo corpo. Nessuna reazione. «Ho usato una bottiglia» dico riprendendo il telefono. «Niente bastone?» «No.» «E nessuna reazione?» «No.» «Mi ripete la via? Le mando qualcuno in cinque minuti.» Guardo ancora la targa affissa sul palazzo, ripeto l’indirizzo, aggancio e mi siedo sugli scalini – vicino al corpo ma non troppo. È quasi giorno e tra poco la gente comincerà ad uscire in strada e forse si formerà una specie di pubblico qui intorno. Potrei chiedere dei soldi per lasciar assistere allo spettacolo: foto ricordo in cambio di cinque euro. Il cellulare mi vibra in tasca, sono quelli del lavoro: oggetto della telefonata notevole ritardo da parte mia. «Sì, lo so» dico rispondendo «ma è successa una cosa buffa.»

andrea maggiolo:micronarrativa Furio si considera uno “scrittore incompreso”. Ha speso 2000€ per pubblicare il suo romanzo. Un refuso alla seconda riga. Vorrebbe morire. Joe è nato a Las Vegas. Casinò, notti illuminate a giorno. Studia filosofia in una piccola università tedesca. È il contrasto la sua ricchezza. Ivano, 44 anni, sposato con due figli, compra preservativi al supermercato usando i buoni pasto. Con la moglie non fa sesso da cinque anni. Lino per lavoro traduce manuali d’istruzioni di elettrodomestici. Sognava di tradurre poesia ma quel che conta, dice, “è fare le cose con cura”.

la posta di loretta jesus mcjagger Cara Loretta, ti scrivo perché io e mio marito siamo, davvero, non poco in allarme, per una cosa che sta avvenendo tra le mura domestiche, della nostra casa appunto. Avrei, perciò, bisogno di un consiglio: mia figlia, che ha studiato al Liceo, dove è uscita con un 100 e lode, che è pure laureata in Ingegneria Informatica con 110 e lode, e che adesso lavora per una importantissima ditta di export di livello nazionale, ha una forte simpatia, a quanto pare, “ricambiata”, per un collega, che dicono sia molto bravo, onesto e gran lavoratore, ma, sempre stando a voci, “ateo”. Lui e mia figlia, mi hanno detto dei vicini, si comportano proprio da fidanzati, praticamente. La nostra è, però, una famiglia tradizionale, credente e praticante, e questo “strano” rapporto tra mia figlia e il suo collega ci disturba, davvero, non poco. Ci disturba questo rifiuto di Dio, che io e mio marito vediamo in special modo in tutta la nostra, di società. Loretta, puoi suggerire, non so, un libro, un argomento o un qualsiasi altro mezzo di comunicazione con cui mia figlia può aprire un varco di luce nella mente buia di quest’uomo? La capacità di imparare dai suoi errori, lo giuro, non manca a nessuno dei due. Clementina, via posta ordinaria Cara Clementina, certamente è molto importante, come scrivi, credere che tua figlia e l’“ateo” siano in grado di imparare dai suoi errori. Davvero, ritengo sia così importante che ho deciso di fermarmi qui e non darti alcun consiglio, se non quello di imparare anche tu dai tuoi errori e da te stessa (dal modo in cui usi virgole e virgolette, diciamo). Anzi, facciamo così: riscrivimi. Te ne prego, per l’amore del cielo. Scrivimi ancora e spiegami cos’è un “ateo” per te. Perché davvero hai posto una questione molto importante per me e per i nostri lettori (o “i nostri, di lettori”, se preferisci). Faccio degli esempi: forse potremmo definire “ateo” qualcuno che bestemmia in continuazione? Forse uno di quei tizi vagamente di sinistra che per lavoro non fanno altro che buttar giù progetti per fantomatiche associazioni di volontariato? O, piuttosto, quei mariti (come il tuo, la butto lì) che vanno in giro coi calzini spaiati? Dico sul serio, cara Clementina, io davvero non riesco a venirne a capo. Molti miei amanti non fanno che dirsi “atei” e poi finiscono ogni domenica allo stadio. Di cosa parliamo quando parliamo di “atei”? Per finire, vorrei dirti che io credo che un vero “ateo” non mette mai in discussione la religiosità. Ma magari mi sbaglio. Parlami ancora dell’“ateo” che insidia tua figlia (non so perché, adesso lo immagino a camminare sul soffitto con il collo girato di 360° mentre urla a te, futura suocera, “chiamami, chiamami!”, ovviamente anelando a un appuntamento per fissare le nozze in comune). Davvero, Clementina, io sono tutta frastornata da questa tua richiesta. Riscrivimi, fallo. Tua Loretta

inut ile40 OPUSCOL OLETTERA RIO numero

gennaio 2011

alessandro romeo:editoriale Negli ultimi anni, grazie a internet, il verbo “connettere”, con tutti i suoi derivati e simili, è tornato in auge. Per esempio oggi ho scoperto che sul sito americano della Bugatti puoi scegliere l’auto dei tuoi sogni nel colore “rape yellow”, che tradotto letteralmente significa “giallo stupro” e il giallo stupro è il colore di un mucchio di cose che ho sotto gli occhi in questo momento, tipo il portabanana giapponese che mi ha regalato un’amica, l’accappatoio in ciniglia appeso all’attaccapanni, la vecchia scatola del Memory comprato nel 1987, le costine del Topolino. Si potrebbe narrare un’intera vita a partire dal color giallo stupro, connettendo elementi eterogenei, distanti tra loro nel tempo e nello spazio. Anche il colophone qui sotto è giallo stupro. Una volta stampato sarà sicuramente diverso da come si vede sullo schermo, però non sentitevi traditi per questo: è giallo stupro al 100%. E insieme a Capaccio, Maggiolo, Loretta, Porcelluzzi e Daniel Cuello, il giallo stupro è il vero protagonista di questo numero. (Sì, ok, va bene, il portabanana era di cattivo gusto). INUTILE opuscolo letterario gennaio 2011, numero 40 supplemento al #1690 di PressItalia.net, registrazione presso il Tribunale di Perugia #33 del 5 maggio 2006. pubblicazione mensile a cura di INUTILE » ASSOCIAZIONE CULTURALE.

Ps: Forse Moby Dick potrebbe essere il libro giusto per la mente oscura di questo tuo diabolico genero in potenza. Forse.

la redazione giacomo buratti, viviana capurso {ufficio stampa}, ferdinando guadalupi, marco montanaro, virginia paparozzi, nicolò porcelluzzi, alessandro romeo {responsabile editoriale}, matteo scandolin {grafica e impaginazione}

nicolò porcelluzzi:chiara cerri, “anche i pesci affogano”

hanno collaborato a questo numero daniele capaccio, daniel cuello, andrea maggiolo, loretta jesus mcjagger

Otto anni fa, un mio caro amico mi raccontò che un suo compagno di classe – scuole medie – chiese all’insegnante di scienze se un’ape imprigionata in un bicchiere “annega nell’aria, prof”. Letto il primo capitolo, allusivo-esplosivo-adesivo, nel cranio cresce – tipo scimmia marina in un bicchiere – un ronzio che fa più o meno così: sto leggendo una di quelle storie dove c’è un inizio folgorante ma presto tutta la suspence sfreccierà in caduta libera verso un ipotetico vuoto cosmico foderato di noia intergalattica. Invece no. Lo spessore dei personaggi e la fluidità delle parole (che cura!) prendono per mano la trama, liberandola soltanto all’ultimo punto, sfinita, soddisfatta. Avete presente AGOSTINO di Moravia? Ecco, leggendo il libro di Cerri vagava nella testolina il ricordo di quel romanzo. Vuoi per l’ambientazione balneare (dalle coste toscane di Moravia a quelle sicule), vuoi per la giovane età dei protagonisti (magari Rosario ha qualche pelo in più, sì), vuoi per delle tematiche comuni (adolescenza, omosessualità, conflitto genitori/figli). Non avete presente AGOSTINO di Moravia? Meglio. Chiara Cerri, Anche i pesci affogano, PerroneLAB, €11

poster “Pensieri pesanti” di Daniel Cuello {danielcuello.com} per abbonarti prepara 15€ e vai al link http://www.rivistainutile.it/?page_id=90 wild wild web rivistainutile.it, facebook.com/inutileonline, associazioneinutile.org, micronarrativa.com Se vuoi collaborare, spedisci un tuo pezzo a collaborare@rivistainutile.it. Allega due righe su di te. Se vuoi essere pubblicato sul pdf, cerca di non superare di troppo la cartella standard (1800 battute). Non spedirci poesie. Per il web facciamo 8000 circa, e morta lì. Scrivi a info@rivistainutile.it per qualsiasi informazione. Il presente opuscolo è diffuso sotto la disciplina d e l l a l i c e n z a C R E AT I V E C O M M O N S Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia. La licenza integrale è disponibile a questo url: http://tinyurl.com/8g7sw5.


di Daniel Cuello | danielcuello.com • imagotime.com rivistainutile.it


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