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ALLEGATO. ESTRATTO VALUTAZIONE AMBITI INTEGRAZIONE OPERATIVA E SCHEDE PROGETTUALI E QUADRO SINOTTICO
A L L E G A T O . E ST R AT T O VA L U T A Z I O N E A MB I TI IN T E G R A ZI O N E O P E R A TIVA E SC H E D E PR O G E T T U A LI E Q U A D R O SI N O TT I C O
Una prima considerazione di natura generale riguarda la distribuzione delle schede, che come si vede dallo schema a pag. appare concentrata nelle aree a maggiore problematicità trasformativa, intorno all’area torinese. Se da un lato tale situazione è giustificata dalla natura stessa dell’istituto delle schede, dall’altro questa condizione non ha favorito l’innesco di progettualità specifiche di varia natura in altri siti lungo le aste fluviali interessate dal Piano.
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Le schede progettuali infatti hanno interpretato la natura di carattere endogeno del piano, come strumenti per innescare progetti di intervento di natura diretta della Regione e del Parco, come testimoniato dai contenuti della normativa a cui rinviano gli Ambiti di integrazione operativa e che meglio descriveremo più avanti. L’assenza di indirizzi progettuali omogeneamente distribuiti lungo l’asta fluviale ha quindi limitato le capacità di stimolo alle trasformazioni locali. Sono da segnalare in particolare aree “vuote” (vedasi tavola nella pagina precedente), come quelle collocate nel territorio montano e pedemontano, in quello a monte del casalese in coincidenza dell’area di Trino sino alla confluenza Dora Baltea, e quelle nell’area della confluenza Po Sesia.
Nell’ambito della verifica di efficacia di questo strumento normativo previsto dal Piano d’Area si può in prima analisi, salvo approfondimenti che saranno oggetto delle analisi puntuali contenute nelle singole schede di commento per ogni scheda progettuale, affermare pertanto quanto segue.
La scheda progettuale un modello da confermare e potenziare. Il modello della scheda progettuale ha rappresentato un utile strumento guida sia per le trasformazioni endogene generate dalle proposte del Piano (descritte al punto successivo), sia per quelle esogene, legate alla verifica delle condizioni di ammissibilità di un progetto rispetto alle indicazioni normative e della scheda (connesse all’iter dei pareri di conformità con il Piano innestati dalle procedure edilizie ordinarie). In merito a questo secondo aspetto si segnala la particolare efficacia dell’istituto delle procedure di verifica sostanziale o non sostanziale delle previsioni di scheda. Questa procedura ha infatti permesso di poter gestire in termini di valutazione delle nuove condizioni al contorno, moltissime progettualità, ovvero di dichiarare non ammissibili trasformazioni che andavano in contrasto con gli obiettivi di piano e della scheda.
Schede progettuali: un successo per le aree estrattive e non per le altre riqualificazioni territoriali fluviali. Da una prima verifica complessiva dello stato di attuazione delle schede si può affermare che le loro finalità sono state ottenute sostanzialmente nell’unica grande categoria delle trasformazioni dei territori interessati da attività estrattive. Le mancate attuazioni relative ai progetti non estrattivi, non sono dipese dalla struttura della scheda in se, ma dalla mancanza di strumenti attuativi e finanziari che permettessero di innescare le trasformazioni degli usi del suolo indicate.
Nelle figure riportate da pag. 15 ed a seguire della relazione, si può notare come le aree perimetrate in verde nelle schede da pag. 20 a pag. 27, che corrispondono ai progetti previsti in scheda e realizzati in corrispondenza delle aree estrattive, coprono importanti superfici delle relative schede progettuali: un risultato complessivo attuativo che possiamo considerare intorno all’80% dell’atteso. Laddove invece la scheda progettuale ha individuato aree estrattive da riqualificare, connesse tuttavia a tipologie di attività in essere più legate al trattamento degli inerti che non alla vera e propria estrazione di inerti, in questi casi la capacità di attuazione è stata limitata o addirittura scarsa: è l’esempio del Sangone nella scheda B, descritto a pag 17, dove il recupero dell’attività esistente in prossimità della variante del Dojrone non è stato portato avanti nonostante la presenza di un progetto di sistematizzazione, e dove altresì la confinante area di recupero non ha visto alcuna attuazione in ragione della mancata presenza di un forte polo privato che potesse attivarne il riuso.
Per le altre diverse categorie di destinazioni urbanistiche incluse nelle schede quali ad esempio:
baracche fluviali, parchi pubblici, aree a servizi sportivi, percorsi di collegamento, passerelle e guadi di attraversamento, orti urbani, riqualificazioni naturalistiche in specie delle sponde e delle fasce fluviali, sistemazioni urbanistiche di affacci fluviali urbani, riconversioni aree degradate o interessate da usi ad alto rischio ambientale, allontanamento dal fiume di attività economiche in aree compatibili etc...
i risultati ottenuti sono stati molto limitati rispetto alle previsioni ed alle aspirazioni del piano, per un valore approssimativo di attuazione che possiamo considerare per questo ambito plurimo di trasformazioni del suolo intorno al 20 % dell’atteso.
Per un sintetico commento a quanto prima affermato in merito alle altre mancate attuazioni, si possono vedere i riferimenti puntuali alle immagini che seguono nelle pagine successive, nelle quali sono campite in rosso le previsioni di scheda non attuate ed in verde quelle realizzate con i commenti sintetici relativi (con una visualizzazione grafico-cromatica che permette a colpo d’occhio di percepire la ricaduta attuativa delle schede progettuali sul territorio). Segue la tavole delo schema grafico di riferimento (mentre i testi delle schede progettuali sono riportati in allegato). A questa carrellata seguono una serie di valutazioni di carattere più puntuale sulle criticità ed aspetti positivi evidenziabili.
Ulteriore commento utile da richiamare riguarda la situazione particolare che si è venuta a creare in seguito agli ampliamenti delle aree protette del 1995 (L.R. 65/95), che hanno comportato estensioni in particolare lungo il Sangone, la Stura di Lanzo e la Dora Baltea, in aree dove la precedente pianificazione dell’originario progetto Po non si era spinta. Per tali aree l’allora ente di gestione del Po tratto torinese avviò e concluse tra il 1996 e il 2000 le procedure di estensione della pianificazione anche a questi tratti, compresi quelli del Po ampliati ma “coperti” dallo strumento del PTO in allora vigente (occorre ricordare che invece per il tratto del Po Vc-Al questo adeguamento del Piano d’area alle aree ampliate con la legge del 1995 non è stato eseguito, essendo aree già pianificate precedentemente con il PTO e che tuttavia sono state poi in un secondo tempo lasciate escluse dallo strumento del PTO dal 2005, data nella quale lo stesso è decaduto come sua vigenza). Nei tratti interessati dagli affluenti stante l’estrema complessità territoriale l’utilizzo dello strumento della scheda progettuale è stato decisamente esteso, con esempi di copertura pressoché completa delle aree come nel caso della Stura di Lanzo.
Verificate in prima analisi le situazioni analizzate per gli ambiti sopra descritti, si possono delineare una serie di considerazioni sullo stato di attuazione e sugli aspetti di criticità e problematicità individuati, ovvero delle condizioni che hanno per altro verso consentito l’attuazione di opere previste in schede progettuali.
Ecco di seguito una serie di valutazioni suddivise per tipologie di problemi per interpretare gli aspetti di criticità che non hanno portato alla attuazione di parti delle previsioni di scheda.
Debole ruolo locale dei Comuni: mancata o limitata attivazione da parte delle amministrazioni comunali dei processi completi di adeguamento locale al PRGC ed alla attivazione delle iniziative indicate dal Piano d’area. Lo strumento generale del Piano non potendo affrontare e risolvere ogni singola problematica a scala territoriale locale, anche per una sua ovvia visione di carattere più vasto, ha rinviato in diversi aspetti alle attuazioni di carattere locale: è il caso delle perimetrazioni degli insediamenti arteriali, per consentirne il loro
riordino o delle sistemazioni degli agglomerati di baracche fluviali. Trattandosi spesso di questioni collocate ai margini dei temi centrali della pianificazione urbanistica comunale, questi indirizzi dati dal Piano non sono stati oggetto di presa in carico procedurale da parte dei comuni, che quasi sempre si sono limitati a rinviare nella loro normativa di riferimento a quella generale del Piano d’area, vanificando il processo opposto che è stato inserito nella normativa. In luogo di un rinvio era necessario invece e una risoluzione diretta ed a scala maggiore dei problemi identificati a livello di piano d’area. Questa criticità è da collegarsi non solo però con la scarsa attenzione pianificatoria comunale ordinaria ai temi di carattere più periferico dei processi di piano locale, ma anche a difficoltà croniche degli apparati tecnici dei Comuni, sempre più in difficoltà rispetto all’affastellarsi di problematiche tecnico amministrative dell’apparato pubblico. Non ultimo il periodo 2000-2010 è stato particolarmente interessato da una serie di procedure di adeguamento a piani sovraordinati, uno per tutti il PAI, che hanno reso ancora più di difficile attuazione il completamento delle iniziative locali dei PRGC su indicazione del Piano d’area.
Le normative idrauliche: difficoltà tecnico normative legate ai rapporti tra pianificazione idraulica e di bacino e previsioni del Piano d’area. I progetti di infrastrutture come ponti passerelle o guadi, o di riordino quale il caso citato prima delle baracche fluviali, hanno trovato uno scoglio invece che un partner nelle norme del PAI, per certi versi molto ristrettive e di limitazione ad una operatività di usi del suolo sulle sponde del Po. Gli avvenimenti alluvionali del 1994 e del 2000, con una serie di situazioni di piena intermedie che hanno cambiato l’assetto dei problemi idraulici, hanno portato ad una normativa, entrata in vigore con il PAI, di natura molto conservativa e che ha collocato in un ambito di incompatibilità generale le attività di loisir lungo il fiume, riducendo i margini di utilizzo delle sponde per attività antropiche ancorché non caratterizzate da forte peso insediativo.
Programmazione finanziaria della Regione: debole o nullo coordinamento tra le previsioni progettuali del Piano e le piattaforme progettuali e di finanziamento regionale. La normativa del piano fa riferimento alla adozione di “progetti regionali” in merito alla attuazione endogena e di sponte diretta in particolare dell’ente parco incaricato di seguire l’attuazione del Piano. Il ruolo di attuatore e monitoratore dell’ente parco è più volte richiamato all’interno delle NdA (norme di attuazione del Piano) , conferendo a questo soggetto pertanto un ruolo centrale nell’iniziativa applicativa del Piano. Nel caso delle schede progettuali si fa riferimento non a interventi normativi di regolazione, ma alla vera e propria realizzazione di progetti e opere che sono indicati dallo schema grafico e descritti dalla scheda di progetto connessa: questa situazione comporta necessariamente la possibilità per l’ente e di riflesso della regione Piemonte, di cui l’ente è soggetto attuatore strumentale, di disporre delle risorse finanziarie utili alla cantierizzazione di dette opere. Il bilancio regionale non ha mai tuttavia istituito risorse specifiche destinate ad hoc alla attuazione dei piani d’area (tanto meno direttamente per quello del Po): un capitolo di spesa attinente alle spese dette di investimento è stato istituito negli anni, ma con importi e finalità nel complesso strettamente dedicati alla realizzazione di iniziative di interesse diretto infrastrutturale o patrimoniale degli enti parco e non per opere sul territorio di importanza come quelle indicate dal Piano. Nel caso poi di programmi complessi attivati negli anni dalla Regione, questi anno avuto efficacia ma nei limiti che sono indicati nel punto successivo di commento dedicato agli aspetti di attuazione positiva del Piano, e che non hanno permesso una politica soprattutto di continuità essendo strettamente connessi a bandi con obiettivi temporali limitati. Nel complesso quindi pur essendo il Piano un atto regionale, l’amministrazione non lo ha dotato dei supporti finanziari adeguati per la sua realizzazione per le parti indicate nei progetti proposti. I tre enti gestori delle aree protette del Po (dei tratti cuneese, torinese e alessandrino vercellese) sono stati in parte agevolati a fronte di tale criticità grazie alla presenza di risorse derivanti dalle convenzioni con le attività estrattive, tema che è affrontato a seguire.
Scarsità delle risorse economiche: limitate o nulle economie dirette degli enti gestori per le procedure di avvio delle fattibilità progettuali e per l’attuazione degli interventi. IN merito a tale aspetto si riprende quanto già indicato al punto precedente, ma con una ulteriore criticità rilevata negli anni di natura procedimentale e di definizione dei capitoli di spesa: ci riferiamo alla impossibilità per gli enti di poter dare il via a spese di natura progettuale, legate a studi di fattibilità, senza i quali la stessa proposta di allocazione di altre risorse, anche di natura privata, per la realizzazione di opere previste dal piano, non era possibile non essendo
possibile quantificarne le stime di oneri non essendo supportati da progetti di massima. Negli anni alcuni fondi in merito sono stati messi a disposizione ma per importi molto limitati e soprattutto senza continuità adeguata impendendo quindi all’ente di procedere nel tempo a sviluppare adeguate banche progetti. La stessa legittimità di porre in essere spese tecniche a fronte di progetti per i quali non erano subito disponibili le risorse complessive per la loro realizzazione, ha creato importanti ostacoli alla dotazione dei progetti utili all’avvio dei processi di trasformazione del territorio.
Personale tecnico amministrativo: debole struttura tecnico amministrativa del personale degli enti parco. Strettamente connesso al tema precedente è anche stato quello della ridotta od a volte nulla dotazione di personale tecnico (architetti, agronomi, ingegneri) in grado di guidare o redigere direttamente i progetti delle opere da sviluppare: le competenze tecniche sono una risorsa necessaria per la redazione dei progetti, e la sola possibilità di affidare all’esterno gli incarichi di progettazione, connessa alla scarsità delle risorse, ha reso a volte impossibile l’avvio di processi di definizione dei progetti necessari. Purtroppo la storica impostazione della costruzione delle piante organiche degli enti parco, basata su un numero importante di guardaparco e numeri molto limitati di figure tecniche (a fronte di una componente amministrativa più rappresentata) non ha favorito la crescita nel tempo di uno staff tecnico adeguato, lasciando i ranghi del personale dei parchi molto debole sotto il profilo tecnico.
Difficoltà finanziarie e giuridiche connesse alla risoluzione dei conflitti legali presenti in relazione all’applicazione della normativa del Piano, accompagnate da scarso coordinamento con l’amministrazione regionale. Laddove le difficoltà attuative si sono scontrate con rigidità degli operatori privati proprietari o titolari dei territorio oggetto delle opere di trasformazione, che non si sono resi disponibili all’applicazione delle normative del piano, anche operando in loro difformità, gli enti hanno dovuto affrontare battaglie legali complesse ed anche a volte molto onerose, facendovi fronte con le proprie risorse economiche o con limitate risorse derivanti da fondi regionali, che spesso sono stati erogati con enormi difficoltà di condivisone della loro necessità gestionale. Un tema questo che negli ultimi periodi è stato affrontato definendo un convenzionamento fra enti parco e avvocature regionale, aspetto che ha dato una parziale risposta alla problematica che per certi versi tuttavia è rimasta a causa della estrema complessità normativo giuridica delle questioni attinenti ai reati ambientali, che necessiterebbe di una specializzazione di filone all’interno della stessa avvocatura pubblica.
La carenza di strumenti attuativi e mancato raccordo con i progetti regionali previsti dagli AIO. Come già indicato dalla normativa del Piano d’area per gli Ambiti di integrazione operativa (AIO) (che si articolano nelle schede progettuali) , le previsioni del Piano si sono limitate ad individuare delle sotto-aree di intervento per le quali si è rinviato per la loro attuazione a generici “progetti regionali”, e pertanto non a uno strumento che afferisca all’armamentario della famiglia urbanistica per le attuazioni connesse all’ordinario processo di cui alla legge urbanistica per le attività esogene del piano (Piano particolareggiato, Piano esecutivo convenzionato e altri istituti previsti dalla strumentazione nazionale e regionale, ovvero ad “accordi territoriali”). Le capacità di intervento sono state quindi solamente destinate alla componente endogena del piano: lasciando questo elemento ad una indicazione di natura generale, senza un presidio attuativo coordinato dall’amministrazione regionale, le singole iniziative sono state avviate sulla base di processi a bando, senza indicazioni di interesse a regia regionale. Tale fattore ha disperso le progettualità nei meandri delle opportunità che si sono presentate, lasciando la loro attuazione alla competizione territoriale locale, che spesso non ha visto gli enti di gestione premiati come fattori di coordinamento a livello locale (vedasi il caso dei bandi PTI del 2006 che hanno escluso dai soggetti capofila gli enti di gestione privilegiando i Comuni).3 A differenza del caso dei PTI appena citati, nei precedenti PISL (Programmi integrati di Sviluppo locale) che avevano ammesso l’azione di coordinamento degli Enti Parco, i risultati di assoluto primo piano non sono mancati e si leggono nella graduatoria dei progetti finanziati nella loro farse di attuazione avvenuta a partire dal 2004 con gli Enti dei parchi del Po in posizioni di primo piano. In questo contesto si collocano
anche le necessità di raccordare le politiche di intervento locali con i Piani di settore che negli anni si sono susseguiti andando anche ad individuare punti di specifico intervento tali da rendere utili gli aggiornamenti a scala di schede progettuali.
Sulla questione degli strumenti attuativi solo nel caso della regolamentazione alle modifiche sostanziali delle schede legate al proseguimento delle attività estrattive, si è previsto, ma non nel Piano bensì con specifica deliberazione della giunta regionale in fase di attuazione (adottata nel 1997), uno strumento attuativo come il PEC (piano esecutivo convenzionato di iniziativa privata) per i casi di progetti estrattivi che andavano oltre le modifiche non sostanziali degli schemi grafici. E’ evidente ovvero che laddove esisteva una forza imprenditoriale locale che costituiva motore della trasformazione, si è potuto ottenere un risultato, ancorché individuando a latere della normativa del piano, uno strumento che non era previsto dal Piano stesso, come il PEC.
La mancanza di uno stretto dialogo, e laddove utile di una definizione di strumenti ad hoc, tra indicazioni del piano d’area e strumenti urbanistici della LUR, ha reso molto complesso o impossibile lo sviluppo di azioni virtuose di attuazione del Piano d’area.
Non ha favorito il livello attuativo del Piano anche la mancata attenzione data a quella parte delle NdA che fanno riferimento ai “necessari accordi programmatici tra i soggetti interessati” e che è richiamata negli strumenti attuativi del Piano nel quadro degli Ambiti operativi. Tale aspetto se fosse stato meglio sviluppato dal Piano, ovvero fosse stato oggetto di una direttiva regionale di procedimento che ponesse limiti e modalità per l’intestazione e la modalità di organizzazione di detti accordi (rinviabili alle molte forme di partenariato della PA dagli accordi di programma ad altri istituti di promozione delle iniziative territoriale) avrebbe potuto dare modo di sviluppare meglio e con maggiore efficacia le finalità e gli obiettivi del Piano.
In generale si può considerare che la mancata più dettagliata specificazione, anche di natura planimetria e pianificatoria dei contenuti degli AIO, ha reso poco pratico il passaggio suggerito dalla normativa verso i progetti regionali, che da un lato doveva essere più proceduralizzata, e dall’altro appoggiandosi ad una migliore indicazione dei contenti di piani e delle linee di applicazione dei singoli AIO, poteva permettere una più facile traduzione verso la costruzione dei progetti stessi. In merito le analisi condotte al paragrafo dedicato in questa relazione forniscono spunti sulla tipologia di approfondimenti necessari.
La cerniera tra progetto e sua “manutenzione nel tempo” e il ruolo della categoria del paesaggio nel rapporto tra piano e cittadini. Nell’ambito delle attuazioni mancate emergono con evidenza tutti quei servizi alla fruizione del fiume quali percorsi di diverso ordine e grado dalle quiet-line a quelli pedonali e ciclabili, guadi, passerelle, attracchi per la navigazione, aree attrezzate e relativi parcheggi di attestamento, spazi dedicati agli impianti sportivi, interventi volti al miglioramento della navigabilità turistica. E purtroppo occorre aggiungere che anche laddove realizzate alcune opere, queste sono soggette a volte all’abbandono o all’incuria, ovvero alla difficile loro manutenzione nel tempo. Il tema della attuazione nella verifica del piano si è potuto verificare come non possa fermarsi alla analisi dell’opera fatta, ma spingersi oltre nella analisi del suo reale uso nel tempo.
Un caso per tutti che viene qui richiamato a titolo di esempio sono due realizzazioni nelle quali l’una, la passerella nel Parco del Sangone verso il Castello del Drosso è stata realizzata ma è abbandonata completamente nel nulla e l’altra l’opera di attracco di struttura importante realizzata Mugarone.
La passerella nel territorio del Sangone abbandonata all’utilizzo (a destra) e l’opera di attracco fluviale sul Po a Mugarone interessata da abbandono (a destra).
Intorno a questo tema si apre una grande questione che ha a che fare con le misure di attuazione del Piano, che quindi non si possono meramente fermare alla fase urbanistica o dei cantieri, ma deve essere in grado di interfacciarsi con altre forme di attuazione tra le quali possono essere previste i temi degli accordi locali sul territorio come anche la questione di una gestione ad hoc degli ambiti di integrazione operativa, temi sui quali sono portati alcune riflessioni nel paragrafo dedicato.
Ecco invece di seguito una serie di valutazioni utili ad interpretare le situazioni che hanno portato alla attuazione delle previsioni di scheda.
Progetti di conversione ad aree verdi attuati solo da grandi piattaforme di trasformazione come Corona Verde, PRUSST di Settimo-Borgaro, Torino Città d’acque, programmi legati a compensazioni ambientali o altri Programmi integrati (PISL, PTI). Attività che corrispondono a progetti di natura regionale o altra ma ai quali le previsioni di Piano hanno avuto accesso tramite sistemi a bando e non ad individuazione diretta di attuazione. L’efficacia della presenza di progetti regionali integrati di ampio respiro è stata dimostrata negli anni grazie alle diverse opportunità che sono state richiamate prima, permettendo di raggiungere risultati di progetti realizzati in diversi ambiti del Piano. E’ da rimarcare che tuttavia una delle iniziative più significative che ha permesso di raggiungere gli obiettivi del Piano è stata attivata prima dell’approvazione del Piano, non avendo quindi alcuna connessione fattuale tra input progettuale del piano e sua attuazione. Si tratta del programma Torino Città d’Acque approvato dall’amministrazione comunale di Torino nel 1993. Un programma nato grazie alle attività di scambio
internazionale sviluppato dallo staff del dr. Paolo Odone del Comune di Torino e condiviso dall’allora amministrazione guidata dall’Assessore Gianni Vernetti. Pur avendo ottenuto obiettivi interessanti la debolezza di tali fasi sta nella mancanza di continuità delle attività. Il programma Corona Verde, nato dal Parco del Po torinese nel 1997 e che ha visto i parchi dell’area metropolitana protagonisti, anch’esso non ha più ricevuto finanziamenti sui fondi europei dopo le due prime stagioni dal 2000 al 2013, limitandosi ad attività di comunicazione e sensibilizzazione su altri fondi negli anni 2020-21.Per quanto riguarda invece i programmi integrati che hanno visto una stagione importante di attuazione solo con i PISL (2005) e successivamente con i PTI, questi hanno avuto una sola sostanziale efficacia attraverso i finanziamenti alle sole progettualità, sviluppando poi ricadute attuative estremamente limitate rispetto alla dimensione delle opere inserite negli schemi generali dei programmi di fattibilità. In sostanza questa linea di lavoro non ha prodotto i risultati sperati.
Attuazione delle aree estrattive in scheda ma tramite le modifiche sostanziali e lo strumento della pubblicazione del PEC. Rari esempi di attuazione su modifiche non sostanziali e quindi di attuazione pressoché diretta delle indicazioni di scheda. Il risultato positivo che l’applicazione del Piano d’area ha permesso di raggiungere con l’approvazione e l’attuazione delle sistemazioni ambientali delle attività estrattive presenti, è stato raggiunto, ma non seguendo direttamente le indicazioni delle schede, ma le loro varianti approvate in seguito all’avvio di progetti di modificazione sostanziale delle stesse schede, che sono stati oggetto di procedura parallela di variante tramite lo strumento del PEC, che non era stato individuato dal Pano stesso. Per tale ragione si può sostenere che il successo del piano è solo parziale, in quanto lo stesso ha fornito la strada iniziale per risolvere le problematiche di proseguimento delle attività estrattive nel rispetto di standard ambientali dettati dal piano, che è stata completata solo grazie alla aggiunta procedurale condotta dalla Giunta regionale che ha individuato a latere lo strumento del PEC come via per regolare l’attuazione urbanistica delle modifiche sostanziali, approvando anche lo schema di convenzione stabilito dal Piano(questo fattore si può invece considerare direttamente un successo procedurale tutto da riconoscere al piano d’area). Ciò è stato in particolare vero per le aree collocate nel tratto torinese e cuneese.
Disponibilità finanziarie degli enti legate ai proventi derivanti dalle convenzioni con attività estrattive che hanno permesso l’innesco di interventi ed anche di supporto per la disponibilità del personale tecnico ed amministrativo necessario. L’effetto conseguente alla definizione delle procedure per le attività estrattive di cui al punto precedente, con la definizione della convenzione ed il versamento di oneri legati ai materiali estrattivi inerti estratti, è stato quello di dotare il bilancio del Parco (oltre che dei Comuni che tuttavia hanno utilizzato dette risorse per scopi raramente di natura direttamente ambientale pur essendo incorse negli ultimi anni anche modifiche di vincolo di destinazione d’uso in merito) di ingenti provvidenze economiche. Grazie a queste risorse aggiuntive che gli enti hanno potuto utilizzare liberamente sino al 2011 (anno nel quale l’amministrazione regionale ha tagliato direttamente i fondi ordinari ai parchi costringendoli ad utilizzare dette risorse per sostenere l’attività gestionale di base), si sono potuti finanziare sia studi di fattibilità progettuali utili per l’accesso a bandi e progetti, sia opere dirette di miglioramento ambientale soprattutto in campo naturalistico, in particolare sviluppando miglioramenti nelle aree demaniali richieste in concessione al Demanio prima dello stato e poi regionale in seguito alle normative di delega entrate successivamente in vigore. Oggi pertanto questa possibilità di intervento è venta meno riducendo a quasi zero le possibilità di intervento autonomo dell’ente parco. Ma queste risorse hanno negli anni permesso di dare un ulteriore ed importante risultato che è consistito nel poter assumere a tempo determinato personale tecnico ed anche amministrativo necessario per sostenere le attività di redazione e controllo gestionale delle progettualità. Senza queste dotazioni di organico, alquanto ridotte specie nell’ente dell’ex Po del tratto torinese essendo ente nato con dotazione a zero di personale, hanno consentito di poter costruire l’apparato tecnico di base (che è stato indispensabile anche per avviare la fase di gestione dei pareri del piano con l’istituzione di apposite commissioni esterne con oneri coperti con le risorse delle attività estrattive) senza il quale gli stessi incarichi specialistici esterni per le progettualità non potevano essere esperiti. Oggi lo stesso apparato in pianta stabile all’ente deriva dalle stabilizzazioni rese possibili grazie a quelli investimenti svolti con le risorse esterne delle attività estrattive. Un elemento di criticità è oggi rappresentato dal fatto che la crescente necessità gestionale comporta nuove risorse di personale che tuttavia non è dato sapere con quali modalità di assunzione sarò possibile attivare.