4 minute read

Condividere fragilità e problematiche per guardare oltre la dipendenza

Guidato dagli educatori, il gruppo è riservato a ragazzi dai 16 ai 25 anni che fanno uso di sostanze

di Beatrice Zanin, educatrice professionale SerD Pordenone trici" o "dipendenzacentrici" negli incontri, ma di trovare insieme ai ragazzi il senso del-

Advertisement

Lo scorso mese di ottobre è stato avviato un gruppo psicoeducativo per giovani consumatori dai sedici ai venticinque anni, che ha preso forma dalla collaborazione tra il SerD urbano el'associazione I Ragazzi della Panchina. Ogni giovedì pomeriggio, dalle 15.30, i ragazzi si incontrano nella sala al primo piano della sede dell'associazione, in via Fiume 8 a Pordenone, insieme a due educatori e a una psicologa con cui affrontano diverse tematiche che il gruppo ritiene importante trattare. L’idea dei conduttori, supportata dalla guida arricchente della dottoressa Cristina Meneguzzi, responsabile del Servizio, è quella di non essere soltanto "sostanzacen- si stanno interrogando sulla loro difficoltà a intercettare i giovani, i quali, pur sviluppando un rapporto problematico se non addirittura una condizione di dipendenza dalle sostanze, non oltrepassano la soglia degli ambulatori se non costretti da fattori esterni (dalle pressioni genitoriali fino alle prescrizioni legali). È una questione complessa, strettamente correlata a processi di identificazione e costruzione identitaria e a forme di esplorazione delle modalità d’uso delle sostanze. “Al Serd ci vanno i tossici”, dicono i ragazzi, riferendosi le esperienze quotidiane, mettendole in parola in un luogo tutelante, dove l’operatore è pronto ad accogliere e ad esserci per avere uno scambio vero e reciproco. Gli interrogativi principali che emergono dalle esperienze dei ragazzi fanno capire l’aspetto contraddittorio e dissociato della nostra società, nella quale il ritirarsi per un po’ nella propria camera, usare sostanze per lenire la sofferenza e colmare il vuoto, oppureavere dei pensieri mortiferi può essere l’ultimo gesto estremo di difesa di un ragazzo per non fallire ed essere disapprovato. Invece di fuggire dal problema, si chiede ai ragazzi di parlare di quell’ostacolo enorme e si cerca di stuzzicare in loro lo all’archetipo passato del consumatore di eroina per via endovenosa, e differenziando quindi la loro condotta di uso che spesso prevede l’assunzione di un mix di sostanze con frequenze e temporalità variabili. La predisposizione di un piano farmacologico con somministrazione di metadone, propedeutico poi ad altre proposte educative e terapeutiche, che nei percorsi d’uso di eroina spesso costituisce il primo aggancio della persona al Servizio, non risulta né desiderabile né attrattivo per molti giovani consumatori, non li motiva alla domanda di aiuto. Diventa quindi centrale chiedersi: quali sono le coordinate per una progettualità – educativa, terapeutica, animativa… – rivolta ai giovani consumatori di sostanze? È una domanda aperta, che non può mantenere il lessico e i modelli di azione dei precedenti decenni, fondati su esperienze di vita diverse, su rappresentazioni ormai obsolete dei consumatori di sostanze e delle loro scelte di vita. È un itinerario che interroga le capacità relazionali dei Servizi sanitari, sociali ed sviluppo di tutto quell’insieme di abilità cognitive, sociali ed emotive riconosciute a livello internazionale in ambito preventivo e di intervento educativo chiamate “life skills”, che possono diventare utili nel fronteggiare le esperienze di vita quotidiana. Le tematiche affrontate sino ad oggi sono state le più disparate. La profondità del pensiero dei ragazzi attiva negli operatori la motivazione alla riflessione: capire come poter accogliere al meglio certe intenzioni, come sostenere i ragazzi dentro le situazioni difficili, accettare l’esistenza della propria fragilità e trovare delle modalità di riflessione alternative, ovvero che, anche se non è facile avere uno "spazio nel palazzo, almeno si vede il mare fuori da terrazzo!", come recita un post-it che i partecipanti hanno scritto un giorno, a fine incontro, per riassumerne i contenuti e dirsi come sono stati nella seduta. L’idea è quella di essere sempre a fianco dei ragazzi non soltanto con la mente, aspetto fondamentale, ma anche facendo delle esperienze insieme. L’uscita fatta insieme alla mostra di Bansky a Trieste ne è un esempio. Gli incontri del giovedì pomeriggio sono sempre aperti. educativi, la loro possibilità di venire percepiti come luoghi di riferimento e di ascolto, disponibili e presenti. Se c’è una domanda che rimane invariata nel tempo, nonostante il passare delle generazioni, è un appello alla relazione, al contatto. Se i Servizi, pubblici e privati, riescono a svincolarsi da un immaginario di puri dispensatori di prestazioni e riscoprono una loro vocazione a (ri)diventare luogo di incontro, di un contatto che è in sé restituzione di dignità, calore e protagonismo alle storie delle persone accompagnate, potranno in questo riscoprire un senso, un orizzonte verso cui orientare i gesti della loro quotidianità operativa. È la sollecitazione di una curiosità amorevole verso le storie di questi ragazzi e le scene in cui sono attivi, per rompere rappresentazioni stereotipate e adultocentriche. Ascoltare è il primo passo per evitare generalizzazioni e pregiudizi, per cercare di interrogarci su cosa c’è sulla Luna, quali finalità e intenzioni i giovani ritrovano in queste pratiche, senza fermarci ad una limitata demonizzazione del dito che la Luna indica, al comportamento di uso in sé.

È una spinta a creare contesti inclusivi e non stigmatizzanti, in cui i giovani non vengano appiattiti a puri “problemi con le gambe”, ma abbiano la possibilità di essere riconosciuti nelle loro competenze, contesti dove sperimentare versioni positive di se stessi. È una focalizzazione educativa sul piacere, che evita di cadere in una sterile competizione con la sostanza, ma punta invece ad allargare lo spettro delle esperienze potenzialmente attivanti e aiutare le persone nel gestire i tempi e i ritmi della loro eccitazione. È l’allestimento di una palestra emotiva in cui riconoscere, nominare e gestire i vissuti che quotidianamente i ragazzi attraversano nelle loro esperienze di vita. È apertura alla creatività, per moltiplicare i canali di comunicazione ed espressione dei singoli. Non esiste una risposta univoca e preconfezionata, esistono processi di ascolto, di partecipazione e di co-costruzione di occasioni di benessere e cambiamento, con tutte le potenzialità che essi portano con sé. Buona esplorazione!

This article is from: