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La mia messa alla prova
a Casa Edolo
Ho svolto 260 ore di lavoro di pubblica utilità, ma sono stati gli altri ad aiutare me di Allessandro
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Abbate
È finita l'estate. Dopo mesi che non frequentavo Casa Edolo e i suoi abitanti, ci ritorno e percepisco tutto un ambiente diverso dall'ultima volta in cui ci sono stato. Casa Edolo è una struttura per persone con disabilità gestita dalla cooperativa sociale Spazio Aperto Servizi di Milano, che si occupa di servizi a persone con problematiche di autismo, disabilità e grave marginalità. In questa casa ho svolto i lavori di pubblica utilità da fine settembre 2021 fino ad inizio estate 2022. Mentre scrivo, sono passati dei mesi dall'ultima volta che ci sono stato e ora sono di nuovo qui per svolgere le ultime ore (circa una ventina) di lavoro, dato che il mio periodo di messa alla prova finirà a febbraio 2023 e richiede un impegno costante. Si sente la mancanza di Maria che ha deciso di trasferirsi in un'altra casa della cooperativa e di Laura, operatrice socio sanitaria, nonché mia complice per eccellenza, che ha deciso di accettare un'altra offerta di lavoro. I ragazzi sono cambiati. Andrea ha i capelli lunghi, è sempre il più alto della casa ed è sempre il più inte- diceva “sta mentendo”. Ora la verità la conosco: la sua era tutta una bugia. Non siamo per niente simili, né di aspetto, né di carattere. Ringrazio la genetica per avermi fatta totalmente diversa. Nonostante io abbia il suo Dna nel mio sangue, non sono lui e non lo sarò mai. Per 17 anni ho nutrito un rancore dentro di me, rista non soltanto della casa, ma di tutti gli operatori e volontari, e da vero tifoso soffre per l'amata Inter che al momento non ha iniziato bene il campionato. Andrea non è soltanto un grande interista, ma è anche un grande sopportatore, perché il fratello del suo coinquilino è un milanista nato, come quasi tutti quelli che gli stanno attorno, infatti, basta accompagnarlo una volta in palestra per entrare nel covo dei milanisti e sentirli argomentare scherzosamente sull'andamento del proprio club. Francesco è felice di vedermi, mi riconosce subito e mi saluta, ha sempre con sé la sua pallina con cui gioca e va in giro per la casa. Rebecca invece è più tranquilla, è pure fidanzata, si vede che la brezza di questa estate le ha fatto bene. Le mie ore in questa casa sono quasi esaurite e mi porto dentro tanti bellissimi e felici ricordi. Tornare a lavorare e sentirmi utile per me è stato molto più che gratificante. Nella mia vita mi sono sempre sentito poco utile, se non a me stesso. Vedere che a causa della sua perenne assenza e perché scoprii che, subito dopo la mia nascita, iniziò a creare una nuova famiglia con un’altra donna e ciò vuol dire che non c’è stato neanche durante il parto. Non mi ha voluta, questa è la verità. Giorno dopo giorno, continuava a inviarmi foto della sua famiglia e di come erano felici alla notizia di una sorellastra maggiore che si trova in un altro paese. Tuttavia pretendevo comunque delle scuse sincere, ma rimasi stupita dalle sue parole: “Se credevi che io avessi delle scuse, sappi che non ne ho”. La situazione stava diventando così pesante che perdevo sempre più forze per scrivergli. Dopo settimane, arrivò il fatidico momento in cui, finalmente, buttai fuori quello che avevo dentro: gli spiegai quanto la sua assenza mi aveva fatto soffrire e quanto sperassi di sentire delle scuse. Niente, se ne andò. Bloccò il mio numero e mi disse: “Quando ti scuserai, chiamami”. Non devo nessuna scusa, non è colpa mia. Il modo in cui affronto la vita potrebbe farla amare a chi mi sta attorno ed è per questo che voglio apparire forte agli occhi degli altri, per dimostrare che c’è speranza di futuro e felicità: “Get out while you can”(cit Banksy). qualcuno mi considera, mi chiede aiuto, mi ascolta e mi fa sentire apprezzato, mi fa stare meglio. Dal primo giorno in cui sono entrato in Casa Edolo mi sono promesso di trattare il mio lavoro di pubblica utilità come se fosse un lavoro a tutti gli effetti e credo che questo si sia visto. Potrei raccontare tantissimi episodi divertenti, tipo di quella volta in cui Andrea stava facendo una cura agli occhi che come effetto collaterale lo faceva continuamente piangere. Mentre eravamo fermi al semaforo in macchina, vedo avvicinarsi una signora appartenente alla comunità Sinti che, battendo sul finestrino per chiedermi se poteva pulire il parabrezza, nota Andrea piangente e mi chiede: "Perché piange? Gli hai fatto del male?" e, alzando la voce, rivolgendosi ad Andrea aggiunge: "Ti ha picchiato?".
Io ovviamente scoppio a ridere, mentre Andrea continua a piangere. Sono state 260 ore spese nel migliore dei modi, perché non sono stato io ad aiutare gli altri, ma gli altri ad aiutare me.