L'Irrequieto - Numero 16 - Dicembre 2015

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L’Irrequieto Rivista Letteraria

Associazione Culturale L’Irrequieto Firenze - Paris Dicembre 2015 www.irrequieto.eu redazione@irrequieto.eu © Giacomo Braccialarghe


DIREZIONE Alessandro Xenos, Donatello Cirone

REDAZIONE Donatello Cirone, Luca Saracino, Luigi Balice, Alessandro Xenos, Elisa Saracino

CONCEZIONE E REALIZZAZIONE GRAFICA Luigi Balice

DISEGNI E LOGO Giacomo Braccialarghe

WEBMASTER Donatello Cirone

INFORMAZIONI E COLLABORAZIONI info@irrequieto.eu / redazione@irrequieto.eu

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Indice Racconti Saint-Mary / Inizio pag 6 di Luca Saracino

La ragazza del 65 pag 12 di Donatello Cirone

Il passaggio in auto pag 15 di Alessandro Xenos

Le biglie di vetro pag 25

Disegni - Foto Luce di Luca Cini Light stripes di Luca Cini Trees di Luca Cini UmiditĂ di Elisa Saracino I racconti del bar

di Mara Abbafati

pag 11 pag 14 pag 23

I racconti del bar pag 27 di Francesco Faraci

Poesie

pag 24 pag 33

Parlami di altro pag 20

Sleep tight pag 35

Un marciapiede pag 34 senza figli

di Francesco Faraci di Elisa Saracino

Contemplazione pag 37 di Luca Cini

di Luigi Balice

di Giuseppe Semeraro

Nausea pag 36

di Pietro Pancamo


La ragazza del 65 Donatello Cirone

Il bus arrivava sempre con un ritardo che oscillava fra i 3 e i 121 minuti, le scuse erano tante: il traffico, i lavori mai finiti, le vecchie sulle strisce da dover per forza scansare, i ciclisti che invadevano le corsie mentre mangiavano bistecche sul manubrio, i bimbi che giocavano a palla. La verità tutti la conoscevano, un po’ si incentivava il trasposto privato, un po’ era semplice inefficienza, fatto sta che Lorenzo aspettava sempre: un bus, un vero lavoro, un amore, l’abbraccio di un amico. Regalava ormai quasi un’ora al trasporto pubblico urbano e non ci poteva fare niente, come per tutto il resto. Sveglia e caffè, cesso, doccia, denti, vestiti, un altro goccio di caffè, poi borsa di finta pelle, si vergognava a portarla e non perché fosse di finta pelle, si vergogna proprio a portare quella borsa, sembrava facesse il verso a tutti quegli omini vestiti di bianco, incravattati e fintamente profumati che si accalcavano sui marciapiedi poco illuminati tutti pronti a fare lo sconto, se la portava dietro quella borsa come se fosse il simbolo del suo fallimento, della negazione della vita, della felicità.

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Usciva presto Lorenzo, alle 6,45 era già fuori pronto ad aspettare il 65 Spiagge – Piazza Dalmati; su quella linea c’era rimasto un arcobaleno di sentimenti ambigui, vaghi, chiari, tenui, marcati. Aleggiava su quello strano mezzo un senso di irresolutezza, di insensato. Tutto era insensato, era insensato per quei ragazzini andare a scuola, tanto sarebbero finiti a fare qualcosa di simile a quello che facevano i padri: manovali, pulitori di muco, aiuto porta giornali. Era insensato per l’autista svegliarsi così presto, era insensato correre a lavoro per quel gruppo di donne andine, sparse per la città come sale da cerimonia a lustrare, spolverare case e letti di famiglie troppo impegnate per chiamarle per nome, era insensato tutto. Era insensato quello che era accaduto, erano insensati tutti quegli addii, tutti quei tappeti macchiati di sangue, erano insensate le note dei kalashnikov mischiate alle urla, alla musica, al terrore. Era insensato il rumore della morte in un venerdì come tanti, era insensato tutto quel silenzio forzato, insensate le parole di guerra, le minacce. Era insensato quello che accadeva altrove, quello che trasaliva dalle Alpi per arrivare violento e senza preavviso dentro quel bus che non aveva altre pretese che portare ognuno al proprio squallore giornaliero, voleva evitare i rossi, surfare sull’onda verde e metterci il meno possibile, eppure si erano spalancate quelle porte, un vento impetuoso le aveva divelte e tutto era cambiato per sempre. Gli occhi dei più si erano dilatati, ogni hijab che incrociavano andava allontanato, emarginato. Scappare da quel pezzo di stoffa era l’unica vera vitale preoccupazione. Si era sparso, come olio sul parquet, uno strano senso di paura, diffidenza, di angoscia.

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Lorenzo non sapeva come si chiamasse, era troppo timido per avvicinarla e chiederglielo, era troppo bella, eccezionalmente legata al sorriso di Dio e lui come poteva solo pensare di avvicinarsi e parlarle? Dirle che nei suoi occhi ci vedeva il vento caldo del Maghreb, che ci vedeva le orme degli uomini passati disegnate su di una sabbia soffice e mai rovente, che avrebbe dipinto sulle sue labbra lunghi papiri di poesie strappate al deserto, che con lei si sarebbe ricongiunto alla felicità e che le avrebbe sorriso tutte le mattine. Lorenzo non poteva e le accarezzava le gote con il pensiero, il suo sguardo non si posava mai sui suoi occhi cenere, su quella pelle luminosa e colorata come un gioiello di ambra scura nascosto sotto una sorgente d’acqua pura. Lorenzo si alzava e trovava che tutto era insensato, che era inutile andare a lavoro, che prendere 3 euro all’ora era umiliante, uno yuppie arrivato tardi: la camicia, i mocassini comprati in offerta, il pantalone nuovo, il profumo, e quella borsa che era l’oggetto che lo incatenava al fallimento; poi pensava alla ragazza del 65, alle sue dita lunghe, a quei capelli mai visti, a quel suo fare gentile, a quel suo adagiarsi con un’antica delicatezza su quei sedili sudici che al suo tocco brillavano, profumavano, li scrostava da tutto il marciume accumulato negli anni. Un vento di terrore spirava su tutto e tutti, uno di quelli che mandano a tutta vela i nordici omuncoli verdi, quei venti che gonfiano i piccoli peduncoli in mezzo a gambe di uomini privi di fantasia, che corrono veloci in bocca ai codardi, agli stronzi, ai sobillatori, ai frustati, agli insicuri amatori del proprio riflesso. Venti usati da governi per giustificare, per smacchiare omissis e firme

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litografate. Lorenzo abbracciato da una sinestesia incontrollata sentiva sulla sua lingua il dolore salato della ragazza del 65, la vedeva nei suoi sogni piangere, vedeva come gli altri la guardavano, come guardavano il suo meraviglioso viso raccolto dentro quel suo hijab di colori pastello, come la sua sfumatura, i suoi tratti somatici la legassero a una condanna per un Dio diverso. Ogni sguardo che riceveva era una lama tagliente, rovente. Una locusta zoppa ospite forzato di un formicaio crollato. Avrebbe preso per lei tutto il male, tutti gli sguardi, si sarebbe fatto bucare tutto il corpo per il solo piacere di morire tre volte e tornare a vivere per essere ancora trafitto. L’avrebbe protetta da tutti. Sentiva il metallo dei colpi sotto la lingua, sentiva come l’indifferenza di prima era diventata un lusso, sentiva sotto le sue vene come tutto era cambiato, come gli sguardi di paura si concentravano su di lei, sui suoi amici, sui loro zainetti, come dentro i lori occhi si era depositata una cera appiccicosa. Il 65 seguiva il suo percorso, la maggior parte dei suoi occupanti si era equamente distribuita fra la testa e la coda del bus, e in mezzo c’era lei: seduta, sola, un fascio luminoso di sguardi era indirizzato verso il suo gracile viso. Lunghe lune sotto gli occhi le disegnavano l’angoscia, le mani una dentro l’altra, lo sguardo triste e basso. Sola. Lasciata in mezzo sola. Tutte le paure del mondo le erano cadute in braccio e non lo sapeva, non sapeva il perché, lei era lì, sola, e non sapeva niente.

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Lorenzo aveva il cuore trafitto dal dolore, le mani gli sudavano, gli occhi si erano nascosti per non vedersi; gli si avvicinò barcollando, incespicò, quasi cadde su quel seggiolino sporco, riuscì a sedersi. Per la prima volta erano vicini, le due ginocchia si sfiorarono e un brivido millenario gli percorse la schiena: una nuova epoca senza lo 0. Sudava e tremava. Lei era ferma. Gli sguardi di tutti iniziavano a perdere di intensità, non erano più fari ma fuochi fatui, Lorenzo le stava accanto, rinsavì lentamente, le due ginocchia si sfiorarono ancora, pregava un Dio diverso per avere davanti a sé la strada sbarrata, una macchina in panne. Pregava un Dio da aspettare. Aveva bisogno di tempo. Il respiro lentamente ritornava regolare, il polso si indeboliva, le mani si riasciugavano, la voce uscì stridula, ammaccata, buffa: “Ciao, come ti chiami?” Lei alzò gli occhi, accennò un sorriso, lo guardò: “Amina”.

Donatello Cirone: fondatote de L’Irrequieto, nato nella valle del Sauro, in Lucania, il 28 giugno del 1986.

Laureato in Scienze politiche. Ha pubblicato due silloge poetiche: La vita di una morte, LibroItaliano, Ragusa 2005 e Gl’oratori del nulla, Amorsog et Oream, Il filo -Roma 2007.

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Luce

© Luca Cini

Luca Cini: è nato a Firenze nel 1960. Vive e lavora a Firenze. Ha esposto le proprie opere in mostre personali e collettive, Italia e all’estero. Ha collaborato con la Asl Toscana e Cesvot Toscana alla pubblicazione di tre libri con le proprie foto (“Appunti di viaggio” , “Cerchi narranti” , “Prendersi cura della stomia”. Ha pubblicato la raccolta di fotografie e racconti “Silenziosamente” con Edizioni della Meridiana. www.lucacini.it

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C’è un mezzo arcobaleno in cima alla stanza mentre fumo alla finestra, appese alle maniglie dell’armadio le grucce spoglie hanno forma e colore diverso e sciupano ogni simmetria. Nel dormiveglia ho intravisto in tv che un uomo senza capelli è morto questa notte in Alabama, non ho capito come sia accaduto ma agli spigoli dei miei sogni ho trovato i tre mendicanti che masticando hanno confermato il mio destino. Verrò mangiato dagli scarabei e di me non resterà neanche un osso, non resterà l’odore. Tutto questo è avvenuto dietro al separè di stoffe colorate della memoria, aldilà della pioggia che diluisce le verità che ho inventato. Prima di finire a Saint Mary a farci curare dai parassiti e diventare amici durante gli anni dell’università studiammo insieme l’Inferno e un po’ del Purgatorio e oltre a ciò ci fu un solo bacio ma lungo, in auto una sera. Metà acobaleno è rimasto nell’anta a specchio del tuo armadio obliquo ormai sprofondato nel magma dei troppi traslochi. Fumo un’altra sigaretta e mi viene in mente la volta in cui dormii sepolto nel tuo divano dopo aver passato il pomeriggio a studiare la teoria femminista. Al tramonto con un gesto improvviso per mostrarti chissà cosa rovesciai il caffè sulla moquette rosa e un attimo dopo giunse la notte.

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Saint-

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Inizio

melo ani rubrica di

Luca Saracino

Tutto è All’inizio cominciato con osservan non si capiva ma un dolore a un sei mesi ledo di sbieco la la poi il dottore a spalla. giravo in tocca morire. A stra: è un cancr ha detto tutte le tondo nel pa llora ho ripensat accio, fra urgente giornate spese nrcheggio dell’os o mentre disperazio in ufficio, ai ell’ansia di una pedale a o per il c ne per un affro pomeriggi bruciamansione mai trov oncetto di amore nto subito da sc ti nella significatato declinazione che nella mia vitonosciuti o. e che ad a esso non non ha ha più

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Luca Saracino è nato a Fiesole nel 1980. Vive

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e lavora a Firenze. Ha pubblicato le raccolte di racconti Prima del capolinea (2012) e Silenziosamente (2014) con Edizioni della Meridiana. Dal 2008 scrive su Siamelli, blog di cui è cofondatore.


Light stripes

© Luca Cini

Luca Cini: è nato a Firenze nel 1960. Vive e lavora a Firenze. Ha esposto le proprie opere in mostre personali e collettive, Italia e all’estero. Ha collaborato con la Asl Toscana e Cesvot Toscana alla pubblicazione di tre libri con le proprie foto (“Appunti di viaggio” , “Cerchi narranti” , “Prendersi cura della stomia”. Ha pubblicato la raccolta di fotografie e racconti “Silenziosamente” con Edizioni della Meridiana. www.lucacini.it

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Il passaggio in auto parte quinta

Alessandro Xenos

Per qualche secondo la vista le venne a mancare, la rabbia le gonfiava gli occhi e le tempie. Fu l’abitudine a riportarla a casa quasi priva di forze. Per la prima volta Estelle si sentiva impotente di fronte agli eventi della sua vita. L’uomo con cui aveva condiviso gli ultimi due anni era sparito ancora una volta dietro vaghe parole che avevano l’odore dell’ennesima impostura. Mise in carica il cellulare e si sdraiò sul divano con lo sguardo puntato al soffitto. Ripensò alla telefonata di qualche ora prima, le poche parole scambiate e le sue grida che non sembravano raggiungerlo. Di colpo balzò in piedi e si diresse verso la camera da letto. Rovistò nell’armadio, sotto il materasso, ovunque ci potessero essere oggetti lasciati da Sebastian. Trovò due magliette, una decina di calzini spaiati e un chullo, ma niente che le potesse dare un nuovo indizio. Dette un altro sguardo allo zaino dove aveva trovato il passaporto di Miguel Negredo e scovò due pacchetti di sigarette vuoti comprati ad Andorra. Niente di niente insomma. Tornò in salotto con i pensieri mozzati dal dubbio e istintivamente prese il telefono per chiamare Claire. Sentiva la necessità di parlare con un’amica.

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Feuilleton

- Claire?


Feuilleton

- Bella, ciao! come stai? che è questa storia, che è successo? - Non ne so ancora molto, ma c’è di mezzo un tipo colombiano, ho trovato il suo passaporto nello zaino di Sebastian. - Miguel Negredo? - Sì, come lo sai? - Ho letto il foglio che avevi lasciato in salotto, mi sembrava strano infatti… - Ah, sì, guarda lasciamo stare. Questa storia comincia a preoccuparmi. Sebastian mi dice che se ne va per qualche giorno senza darmi spiegazioni, poi scopro il passaporto e infine Momo che fa finta di non saperne niente. - Ma di che si tratta? - Non ne ho la minima idea, Sebastian ti è sembrato diverso ultimamente? Non ti ha detto niente di strano? - Non che mi ricordi, l’ho visto talmente poco… ah, aspetta, l’ho incrociato l’altro giorno in piazza Albert I con Momo, stavano litigando, ma quando mi sono avvicinata hanno smesso subito. Non sono riuscita a capire di cosa stavano parlando, ho sentito solo che Momo gridava « ma come cazzo pensi di recuperarla? » - Ha detto proprio così? - Si, si, poi mi hanno visto e si sono messi a scherzare… - Quello stronzo di Momo! Sa tutto e non mi dice niente! E’ evidente che devono recuperare qualcosa da qualcuno, dell’erba probabilmente. Ma perché Momo si preoccuperebbe tanto? No, no, c’è qualcosa di più… senti ti lascio, vado a fare un giro nel quartiere. Tu tutto bene?

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- Si, si, sono in macchina, sto andando a Parigi. - Ah già, è vero, come va? - Tutto bene, mi stavo riposando un po’. Il viaggio è lungo, ma ho trovato un guidatore simpatico. - Mi fa piacere, dai ci sentiamo, un bacione. - Baci. - Claire non poteva dirle che anche lei si trovava in una situazione delicata, che stava viaggiando con un morto nel bagagliaio e che il guidatore simpatico era in realtà un trasportatore funebre, probabilmente psicopatico. Quando si girò per guardarlo si accorse che la stava fissando. Il suo sguardo era cambiato, la sua aria vagamente gentile era diventata d’un tratto seria. Per la seconda volta da quando erano partiti le rivolse la parola. - - - - -

Era una tua amica? Si, la mia coinquilina, perché? No, così, sembravi preoccupata. Sta bene? Sì, ha qualche problema col suo ragazzo, ma sta bene. Ok, meglio così.

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Nicolas alzò il volume della musica e tornò a guardare la strada. Stavano passando Almost cut my hair, una canzone che Claire adorava. Questa volta però la musica non bastò a distrarla. Le elucubrazioni sulla storia del passaporto viaggiavano a gran velocità nella sua mente. La


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conversazione tra Momo e Sebastian, Miguel Negredo, Estelle inquieta come non l’aveva mai sentita prima. Tutto era troppo vago, non riusciva ancora a formulare delle ipotesi coerenti. Inoltre, l’aria inquisitrice di Nicolas non l’aiutava a riflettere, perché si era interessato tanto alla sua conversazione? In quel momento il telefono appoggiato sul cruscotto suonò brevemente e Claire non poté fare a meno di sbirciare. Un messaggio di Sebastian. Non riuscì a leggerne il contenuto. Quel Sebastian? No, non è possibile, forse aveva letto male e si trattava di un Sebastien, alla francese. Eppure era sicura di aver letto Sebastian. Ma anche se fosse stato così, chissà quanti ce n’erano in Francia, con tutti gli immigrati spagnoli di prima e di seconda generazione… Il suo battito accelerava di pari passo con la sua ansia. Nonostante il freddo glaciale dell’abitacolo delle gocce di sudore cominciarono a formarsi sul suo naso. Guardò l’orologio, le 18. Erano passate solo due ore da quando erano partiti. Cazzo, in che situazione mi sono messa? Scrutò di nuovo Nicolas e quelle sue sopracciglia fitte alla Naruto. Devo fuggire, pensò. - Ehm, scusa, ma non mi sento tanto bene, ti dispiace se facciamo una pausa? Il suo sguardo vitreo la fulminò per un attimo.

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- Certo, alla prossima area di servizio mi fermo. - Grazie. - Ormai non aveva più voglia di fare sforzi per essere gentile. Un malessere acido le rimontava l’esofago. Trovare un altro passaggio, chiamare la polizia. Oppure fuggire in direzione della campagna. Non avrebbe fatto notte prima delle 21. Camminando per tre ore avrebbe trovato sicuramente un villaggio. Vide un cartello. Aire de Lafayette a 20 km. Non ho molto tempo. Devo escogitare un piano.

Alessandro Xenos: fondatore de L’Irrequieto, Nato l’8 ottobre 1986. Dopo aver conseguito una laurea triennale in Scienze Politiche alla Facoltà Cesare Alfieri di Firenze, decide di trasferirsi in Francia per continuare gli studi. Iscrittosi all’Università di Montpellier, lavora per alcuni giornali locali e consegue un Master 2 in Giornalismo nel 2012. Dal 2013 vive e lavora a Parigi, dove continua ad amare la poesia in tutte le sue forme.

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Feuilleton

Continua nel prossimo numero


Parlami di altro Luigi Balice

I topi escono uno alla volta tirandoli dalla coda Infame incoerenza di chi li ha nascosti sotto il cuscino Sonni tranquilli, poi al gala dei sogni improvvisati di impostori contastorie. Morte a mezz’asta dopo l’invasione domata, stordita, imbottita di pillole tranquillanti. Però mordono sempre, rodono tutto, giù tutto, meglio la tenda che la casa tanto la si può condividere anche con i santi mondani fuorvianti ideoassassini cresciuti a biberon e impedimenti, affannati ricercatori di distruzione disfunzionale Marciume cronico introspettivo che porta dritti all’uscita Rivoltati contro ? piuttosto come frittate. Assumere. Assumere damigelle da clonare che ci accarezzino la notte quando i topi ci ficcano i denti nel lobo frontale

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Ci vorrebbero donatori di buonismi anziché padri e madri Ci vorrebbe un bidet sporco di terra o una ferramenta tutto ritornerebbe a girare anche senza chiavistello come se si scalassero gradoni di cemento in ginocchio liscio, tutto liscio come le finalità, e gli angoli da smussare solo da fuori. E dentro? La pioggia arriccia il pelo dei topi che si moltiplicano, mangiano e fiutano carne viva, addentano quello che prova a non compromettersi, quello che vende sogni come candele da accendere sotto immagini della madonna. E basta sti commercianti della cultura, sti parcheggiatori abusivi di pulpiti in legno massiccio Che se li tengano in casa i loro comizi, noi vogliamo solo poeti che da lassù possano vomitare sui fedeli Meglio essere zingari da domenica pomeriggio, quelli che rubano i pomodori da sopra la focaccia. Tanto chi gli corre dietro? Dovremmo semplicemente liberarci dalla paura e invece arriviamo ai ferri corti con l’intenzione Arriviamo prima o poi al punto di rottura e si scatena l’inferno nelle nostre miserie. La liberazione che passa dai compromessi è un treno senza fermate, un cavallo con i paraocchi, destinazioni monche.

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Tutto parla da me. Farina del vostro sacco. Allora assumere!! Assumere portavoce capace di tagliare contropelo le false possibilità.

Luigi Balice è nato a Bari, nel gennaio dell’87, ha studiato Macroeconomia tra Bologna, Torino, Londra e Parigi, città in cui vive ormai da quattro anni. Ha dedicato anni di studio alla sempiterna Questione Meridionale. Oggi accompagna artisti e creatori di contenuto culturale nei loro processi di sviluppo multimediale, è responsabile del progetto editoriale Asinamali. Nel tempo libero litiga con i vicini di condominio.

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Trees

© Luca Cini

Luca Cini: è nato a Firenze nel 1960. Vive e lavora a Firenze. Ha esposto le proprie opere in mostre personali e collettive, Italia e all’estero. Ha collaborato con la Asl Toscana e Cesvot Toscana alla pubblicazione di tre libri con le proprie foto (“Appunti di viaggio” , “Cerchi narranti” , “Prendersi cura della stomia”. Ha pubblicato la raccolta di fotografie e racconti “Silenziosamente” con Edizioni della Meridiana. www.lucacini.it

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UmiditĂ

Š Elisa Saracino

Elisa Saracino: nasce a Firenze il 20 marzo 1986. Laureata in Economia Aziendale vive e lavora a Firenze e si occupa di Marketing e Comunicazione come consulente e art director. Coltiva da sempre la passione per le arti visive e il disegno. Le sue realizzazioni grafiche sono visibili all’indirizzo https://instagram.com/p/1ivEE5PcU7/

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Le biglie di vetro Mara Abbafati

Uscito da scuola non tornai subito a casa, quel giorno mamma non c’era e nemmeno la mamma di Michele, così ce ne andammo sotto al ponte della ferrovia dove ci passa il Fiumescuro, che è un grosso ruscello con il letto stretto e profondo che fa sembrare l’acqua quasi nera. Io avevo portato le biglie di vetro colorate e iniziammo subito a fare una pista sul lato sinistro del ruscello dove c’è la sabbia. Dopo un po’ che giocavamo Michele stava vincendo, allora io feci un tiro fortissimo e la mia biglia con la venatura rossa che era la mia preferita se ne rotolò via, giù per la discesa, io iniziai a correrle dietro, inciampai in un cavo di ferro e caddi a faccia avanti. Il naso iniziò a sanguinarmi, così mi tolsi il grembiule per asciugare il sangue e andammo via. Quando mamma tornò a casa mi mise in punizione e disse che non sarei ma più dovuto andare al Fiumescuro per nessuna ragione al mondo. Ma io volevo indietro la mia biglia preferita e questa cosa che non potevo tornare là per cercarla mi faceva diventare matto, ci pensavo tutti i giorni anche a scuola e anche la notte sognavo di andare a cercare la mia biglia ma poi non la trovavo mai. Quando lo raccontai a mio nonno che stava nella casa di riposo perché è malato lui mi rispose che gli era successa la stessa identica cosa proprio quando aveva la mia età. «E tu poi l’hai ritrovata la biglia?» gli chiesi.

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«No. So dove si trova, ma non si può andare a riprenderla». «Perché?» «Perché nessuno ci può arrivare laggiù, è un posto irraggiungibile». «E dove sta questo posto?» «Sta nell’angolo più lontano del mondo, un buco buio e profondo dove le palline, le biglie, i bottoni, i tappi, le macchinine, i palloni e tutte le altre cose perdute vanno a finire». Forse, se mi perdo, ci vado a finire anch’io.

Mara Abbafati è nata nel 1980, lavora come traduttrice, redattrice editoriale e dialoghista. Crede nella sintesi.

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I racconti del bar Francesco Faraci

L’inverno è arrivato all’improvviso. - Finalmente! - esclama Gaetano seduto al tavolo accanto con in mano il bicchiere di bianco Sarti ancora intonso. -Ti mancava così tanto?- dico io. -Eccome se mi mancava, non ne potevo più del caldo- fa lui assaggiando a fior di labbra la brodaglia incolore sul fondo del bicchiere. Arriccia le labbra, sgrana gli occhi - A noi- urla e in un attimo fa fuori il liquido che prorompente cola agli angoli della bocca macchiandogli la camicia a scacchi rossa e nera. In effetti la lunga coda dell’estate si è protratta fino a ieri, alcuni giorni addirittura ha spinto flotte di ragazzi a marinare la scuola e raggiungere la spiaggia per dar sfogo ai loro giovani e ancora selvaggi istinti, saltando a piedi pari l’autunno arrivando fino ad oggi. Il cielo fuori è grigio, e il grigio uniforma tutto, annulla ogni differenza e bisogna rifugiarsi in un mondo colorato per riconoscere le cose, chiamarle ancora con il loro nome. Gaetano sibila una bestemmia da svegliare i Santi in paradiso, poi tossisce, tira fuori dal pacchetto una Marlboro, la batte sul tavolo, se la rigira tra le mani Gianni, famminni navutru [1] - urlando verso il bancone dove Gianni è 1. Gianni fammene un altro

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sprofondato sotto una montagna di tazzine. -Ma su l’ottu ri matina - gli dice di rimando - ti vò mmriacari?[2]. - Un ti preoccupari- fa Gaetano sorridendo - Tu pensa a tia ca a mia ci penso io - [3]. Accende la sigaretta, è inarrestabile: - Sai cosa fa un passero di trenta chili su un ramo?- mi chiede. - No - dico - non lo so. - Manco io - dice scoppiando in una risata che gli scopre la vecchia dentiera ingiallita. Siamo soli, la vita oggi sembra non voler decollare, stagna in una specie di languido abbandono, persino il rintocco della campane della chiesa vicina sembrano diversi, più lente, più gravi. Le strade sono quasi deserte, poco più in là, non molto distanti da noi, un pugno d’uomini con gli occhi rivolti al cielo - oggi piove- dice uno di loro, gli altri annuiscono, muti. -Picciò, arricampativi [4]- urla Gaetano -Tanino zittuti - dicono quasi all’unisono - sulu tu ci manchi [5]-Picchì chi fici?[6]-Porti attasso [7]- sempre in coro. -Tiè - risponde lui allungando un gran paio di corna. Parte la musica dalle casse posizionate ai quattro lati della struttura coperta da un tendone color cremisi la cui unica finestra, per giunta sporca di anni e anni di frittura, affaccia su una strada del mercato. Passa una donna africana mano a mano con sua figlia, lo sguardo vispo, gli occhi grandi e pieni di vita, cammina svelta quasi danzando, le treccine tese in testa coi fili arrotolati tutti colorati, è un attimo. Non le vedo già più, le loro 2. Sono le otto del mattino hai intenzione di ubriacarti? 3. Non ti preoccupare, pensa per te che per me ci penso io 4. Ragazzi venite 5. Tanino stai zitto, manca solo la tua 6. Perché cosa ho fatto? 7. Porti sfiga

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sagome sparite oltre quella piccola fessura che guarda su quel mondo, piccolo eppure così grande. Guardo il mio caffè ancora fumante, mentre afferro la tazzina fra il pollice e l’indice si sente il crash di un bicchiere: -Auguri!- urla Gaetano - Grazie- rispondono dal bancone, qui si usa così, quando si rompe un piatto oppure un bicchiere è come se morisse e gli si augura il meglio. “Senza ‘e te un ce pozz sta pecchè tu m’appartiene, pecchè me piaci tu” La musica prende il sopravvento, rimbalza sulle pareti di plastica, è qualcosa in più di un sottofondo che dovrebbe, per definizione, accompagnare l’avventore nei suoi dolci deliqui, e qualcosa in meno, invece, di un concerto all’interno di uno stadio. -Ti piace ah?- chiede Gaetano sbattendo il suo gomito contro la mia spalla -Da morire - dico io e per non dispiacerlo mi limito a dondolare la testa seguendo il ritmo, infatti sorride compiaciuto. -Ah, dice, Gianni Celeste, che ricordi - sai - dice - con questa canzone mia moglie si è innamorata di me-. -Davvero? - dico ingenuamente- non sapevo che fossi sposato-Ceeerto! da dieci anni anni ormai, guarda- così facendo mi mostra l’anulare con dentro la fede dorata. -Te lo fai un bicchierino? - mi chiede – amunì [8], brindiamo. -Non posso Gaetà, l’alcool mi fa male, poi di prima mattina - so già che non potrò rifiutare. Il suo sguardo infatti si tramuta, spalanca gli 8. Forza

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occhi e la bocca come se avessi diseredato con una parola lui e la sua generazione: - Ma quando mai un bicchiere ha fatto male - urla con la sua voce da megafono - Gianni, due per favore -Subito!- si sente alle nostre spalle. Sono spacciato, la situazione sta degenerando. -Ma no- dico- come se avessi accettato, grazie, sul serio- provo a schernirmi ma ormai i giochi sono fatti. Arriva il cameriere con i due cicchetti, Gaetano li prende entrambi, me ne porge uno senza troppi complimenti - tutto d’un sorso- dice. -Aspetta- dico ma non ho il tempo. Si alza solennemente in piedi e io con lui, alziamo i calici in cielo - Alla faccia di chi ci vuole male!- e subito vuota il suo bicchiere, io il mio. Arriva come una scudisciata nella gola, scende nell’esofago con la forza di un vulcano in eruzione, trattengo il respiro. Gaetano fa un rutto d’approvazione più simile a una porta sbattuta, crolliamo di nuovo sulle sedie, la situazione ritorna sotto controllo. -Tu sei sposato?- mi chiede da un tavolo all’altro -No- dico- non ancora-E che ci aspetti?- fa lui stupito -Non è ancora il momento Oh Gianni - dice rivolgendosi al barista alle sue spalle - t’immagini? non è ancora sposato-. Poi tornando verso di me - Ma quanti anni hai?- trentadue- rispondo. Si volta di nuovo - a trentadue anni!!! -Ma lascialo in pace, fa bene fa, il matrimonio è una camurria [9]- dice ridendo. 9. Seccatura

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-Oh non capite niente- protesta - ma scusa, come fai a sapere quando è il momento?- chiede -le cose bisogna farle, non chiedersele- continua - se te le chiedi non le farai mai, troverai sempre un motivo buono per rimandare-. Poi si avvicina al mio orecchio come se stesse per farmi una rivelazione: - Sei innamorato, te lo leggo negli occhi - sussurra vai dalla tua ragazza e chiedile di sposarti, se vuoi ti presto la cassetta di Gianni Celeste, con me ha funzionato, va alla grande- dice e tutti e due scoppiamo in una risata. -Ci penserò- gli dico - grazie per il consiglio -Tutto pagato mio- risponde ed è il suo modo per dirmi che i suoi consigli sono spassionati e gratuiti. Torna in silenzio al suo tavolo, prende un giornale da una sedia e inizia a sfogliarlo, l’atmosfera è di nuovo calma. Finisco il caffè e ne ordino un altro, accendo una sigaretta e tiro su una vorace boccata di fumo. Guardo Gaetano senza che se accorga; scorre il dito sulle righe di giornale per non perdere il segno, le sue labbra si muovono lentamente al ritmo delle parole, non so nulla di lui ma non è necessario, basta la sua invadente simpatia a rendermelo amico. Per tutti è Tanino ed è nato qui, nel quartiere dove io da straniero sono venuto a vivere e dove subito mi sono sentito a casa, contro il parere di tutti che mi dicevano di fare attenzione perché credevano e credono ancora che sia pericoloso. -Il caffè- arriva Gianni, mi guarda sorridente mentre porge la seconda tazzina sul tavolo sparso di fogli.

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-Che scrivi?- mi chiede -é un segreto- dico strizzando l’occhio. Non chiede altro, raccoglie la tazzina vacante e se ne va. Il mercato ha preso vita. E’ un crogiolo di urla, la gente sciama su e giù come un branco di vespe che ha perso la rotta, pesce e frutta fresca sono già sui banchi prima deserti, ognuno fa sfoggio delle proprie meraviglie. Anche il traffico di macchine poco lontano, coi sui clacson strombazzanti e la gente che tira fuori la testa dal finestrino urlando di muoversi a quella davanti non da fastidio. Si alza pure Tanino - segnadice a Gianni -che dopo passo-. Si avvicina a me, mi cinge alle spalle - Pensaci - mi dice - sposala - domani ti porto la canzone. Lo guardo uscire dalla porta, fischiettando con le mani in tasca.

Francesco Faraci: Palermo, 1983. Si occupa di fotografia documentaria e reportage sociale nella sua terra, la Sicilia, e alle minoranze di tutto il Sud e del Mediterraneo. I suoi reportage sono stati pubblicati su riviste nazionali ed estere. Nel 2014 ha vinto il primo premio al festival “NuoveImpressioni – impressioni di strada” con un reportage dal titolo “Cupe vampe”. Fa parte dell’agenzia fotografica Controluce e di Magma. Attualmente è collaboratore del gruppo L’Espresso, dei mensili ComboniFem ed Erodoto108.

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Š Francesco Faraci

i racconti del bar

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A un marciapiede senza figli Giuseppe Semeraro

a un marciapiede senza figli come un cane senza patria senza l’ideale regno celeste schiavo di una cometa resa mentre imbianca il sorriso voce del verbo credere voce del verbo sbattere col muso smilzo del cane con i tacchi del morto prima col fiato santo dell’amico col vestito buono di lumaca io e la voce del tempo che fu straniero con la rissa nel cuore ogni tanto un bel film negli occhi una canzone nel mettere il passo una preghiera nel graffiare la pietra un ballo per corteggiare le nuvole

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Sleep tight

© Elisa Saracino

Giuseppe Semeraro: è nato a Pezze di Greco ( BR) e vive a Lecce. Si occupa di teatro sia come attore che come regista. Per la compagnia Principio attivo teatro ha realizzato diverse regie e performance. Insieme al teatro si occupa di poesia pubblicando Nomi d’angela (1998 ) Cantica del Lupo (2004 ) Convalescenza di un poeta (2014) e Due parole in croce (2015).Nell’ultimo anno è ideatore e interprete dell spettacolo sulla figura di Danilo Dolci dal titolo Digiunando Davanti al Mare.

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Nausea Pietro Pancamo

Morbido silenzio, soffice come una preghiera del sonno. Il buio che adora fruscii e parole: il buio, affannato dal mio respiro, può solo accarezzare la nausea di questa vita. Nel giorno, sputo della notte, fiori freddi come steli di pioggia. Un’orma di luce imbavaglia lo spazio.

Pietro Pancamo: (1972) ha fondato e coordinato il portale «L(’)abile traccia». È stato conduttore e diretto-

re editoriale di «Poesia, l(’)abile traccia dell’universo», podcast culturale della defunta emittente milanese Pulsante Radio Web. Già redattore di «Viadellebelledonne», scrive attualmente per la piattaforma culturale di Hong Kong «Beyond Thirty-Nine». È autore di «Manto di vita» (LietoColle, Como, 2005), compare in «Poetando. L’uomo della notte» (Aliberti editore, Roma-Reggio Emilia, 2009).

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Contemplazione

© Luca Cini

Luca Cini: è nato a Firenze nel 1960. Vive e lavora a Firenze. Ha esposto le proprie opere in mostre personali e collettive, Italia e all’estero. Ha collaborato con la Asl Toscana e Cesvot Toscana alla pubblicazione di tre libri con le proprie foto (“Appunti di viaggio” , “Cerchi narranti” , “Prendersi cura della stomia”. Ha pubblicato la raccolta di fotografie e racconti “Silenziosamente” con Edizioni della Meridiana. www.lucacini.it

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L’Irrequieto Rivista Letteraria

Associazione Culturale L’Irrequieto Firenze - Paris



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