L'Irrequieto - Numero 17 - Gennaio 2016

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L’Irrequieto Rivista Letteraria

Associazione Culturale L’Irrequieto Firenze - Paris Gennaio 2016 www.irrequieto.eu redazione@irrequieto.eu © Giacomo Braccialarghe


DIREZIONE Alessandro Xenos, Donatello Cirone

REDAZIONE Donatello Cirone, Luca Saracino, Luigi Balice, Alessandro Xenos, Elisa Saracino

CONCEZIONE E REALIZZAZIONE GRAFICA Luigi Balice

DISEGNI E LOGO Giacomo Braccialarghe

WEBMASTER Donatello Cirone

INFORMAZIONI E COLLABORAZIONI info@irrequieto.eu / redazione@irrequieto.eu

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In questo numero Precipitazioni di Elisa Saracino Le derivate di Mara Abbafati I melograni: Quasi primavera / Autobus di Luca Saracino Apocalisse di Elisa Saracino Il passaggio in auto (6a parte) di Alessandro Xenos Malebande e storie di una famiglia di Martina Brizzi Cicale notturne di Donatello Cirone Privacy di Elisa Saracino Frasi subordinate di secondo grado di Luigi Balice Dentro al colore di Carlo Parlavecchio Per ogni fuga di Giuseppe Semeraro Sopravvivere di Alessandro Ghebreigziabiher Tu ne quasieris di Federica Gullotta I cerchi narranti #7 di Luca Cini La Nonna di Cristina Nesti Notte di Elisa Saracino


Precipitazioni

Š Elisa Saracino

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Le derivate Mara Abbafati

Augusto aveva un occhio di vetro, il destro. Quando prendeva l’ascensore per prima cosa apriva la porta esterna, poi le due ante di legno, quindi si voltava di spalle ed entrava camminando all’indietro. Dopo aver chiuso le porte spingeva il bottone del quarto piano, l’ultimo, e restava immobile fino all’arrivo. La signora Mercalli, la prima volta che andai a ripetizione di matematica da lei, mi disse che non dovevo aver paura di Augusto se l’avessi incontrato nell’ascensore. Io non avevo paura, però ogni volta mi chiedeva «Ce l’hai una sigaretta?». Glielo dissi almeno ottanta volte che non fumavo. Un giorno l’ascensore si bloccò tra il secondo e il terzo piano e Augusto mi raccontò di come perse l’occhio. Era ferragosto, lui aveva da poco compiuto sette anni, si trovava nella casa dei nonni in campagna e andava in bicicletta quando a un tratto il cane lupo dei vicini saltò il recinto e si mise a corrergli dietro: iniziò a pedalare fortissimo, la bici andava a zig zag sul terreno accidentato, superò la stalla, il cane gli era dietro, lui si abbassò per essere più aerodinamico e chiuse gli occhi, pensava solo a pedalare. «Andavo velocissimo, non vedevo niente e finii addosso al pollaio, la recinzione si sradicò e mi ritrovai avvolto

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nella rete di fil di ferro con la bici addosso». «Te lo cavasti così l’occhio?» chiesi io. «No, ero a terra impigliato nella rete, aprii gli occhi e Don Rodrigo mi beccò». «Chi è Don Rodrigo?» «Il gallo di nonna». L’ascensore si aprì, davanti c’era la signora Mercalli con il volto pallido, agitatissima, che parlava al telefono con i vigili del fuoco. Ci chiese come stavamo e Augusto le disse: «Ce l’hai una sigaretta?». Quel giorno la signora Mercalli mi spiegò le derivate. Eravamo al tavolo della cucina e per quanto fosse pulita e ci fosse la finestra leggermente aperta si sentiva ancora odore di fettina panata. Non riuscivo a immaginare la signora Mercalli che mangiava le fettine panate. Quando scesi nel cortile c’era Augusto che girava intorno al palazzo, era sempre lì quando finivo la lezione, ma in tutti quei mesi non lo vidi mai fumare. Era il ventinove maggio, faceva un caldo infernale, la scuola stava per finire e io dovevo essere interrogato sulle derivate prima della fine dell’anno, quel giorno tornai dalla signora Mercalli per un ripasso. Quando suonai al citofono mi rispose Augusto. Non capii. Arrivato davanti alla porta la trovai aperta, sentivo delle voci, entrai e vidi due donne sulla sessantina che stavano in piedi nell’ingresso. Augusto mi prese per un braccio «Vieni, ti devo far vedere una cosa».

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«Augusto, non posso, devo fare lezione adesso». «No, vieni a casa mia, devo farti vedere una cosa importante». Sull’altro lato del pianerottolo c’era la casa di Augusto, entrammo: era pulitissima, nell’ingresso c’era una pianta alta fino al soffitto, percorremmo il corridoio dove in fila lungo il muro c’erano almeno dieci gatti di plastica ed entrammo nell’ultima porta in fondo. La stanza era vuota, c’era solo un enorme castello fatto di sigarette, «Guarda!» disse lui. «A questo ti servivano le sigarette?» «Sì». «È bellissimo, davvero. Adesso però vado a lezione». «No, lei è morta». Rimasi nella stanza del castello a fissare fuori dalla finestra per diversi minuti. Augusto Mercalli toccò quasi tutte le sigarette che formavano il castello controllando che fossero perfettamente allineate, poi uscì dalla stanza e io lo seguii per andarmene. Sul pianerottolo decisi di scendere per le scale e arrivato al terzo piano sentii la sua voce «Torni domani a vedere il castello?». Risposi di sì.

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I Melograni Luca Saracino

Quasi primavera

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Autobus

ia madre è arrivata puntuale guidando, col sedile tutto tirato all’indietro, l’auto di sempre. La macchina nuova ho pensato utilizzando un pensiero vecchio di quindici anni almeno. Indossava il cappotto arancio e passeggiando in strada dopo che con un’infinità di spiccioli avevamo pagato i due caffè mi ha detto che si stava proprio bene, si sente che è quasi arrivata primavera. Prima di ripartire mi ha chiesto se potesse farmi un regalo e mi ha dato una vecchia edizione della Bibbia. È tutto scritto lì dentro ha detto salutandomi con la mano fuori dal finestrino.

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o sognato la morte stanotte ma l’ho capito solo mentre mi svegliavo con le lacrime agli occhi. Cammino in terra straniera di notte e a un tratto vedo l’ombra di una donna svoltare un angolo e scomparire poi l’arrivo di un autobus. Mia sorella all’apparenza distratta dalla fabbricazione di una sigaretta mi invita a salire rassicurandomi che lei sarebbe salita alla fermata successiva. Attraverso i vetri mentre l’autobus deserto si avvia nel silenzio vedo le sue lacrime prima che intorno sia soltanto buio.

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Apocalisse

Š Elisa Saracino

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Il passaggio in auto parte sesta

Alessandro Xenos

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Feuilleton

L’arrivo del furgoncino grigio con a bordo Nicolas, Claire e un probabile cadavere nel bagagliaio non fece molto rumore, a quell’ora l’area di servizio era praticamente deserta. All’interno dell’autogrill si trovava solo una coppia di vecchietti, lei arzilla, lui valetudinario, dalle mani consumate e l’intonazione chiassosa della provincia di Nîmes, intenti a comprare una bottiglietta d’acqua a loro dire cara come l’oro. Il commesso, anche lui di una certa età, ma dall’accento molto meno marcato, rispose alla boutade affermando che lui per un po’ d’oro la bottiglietta d’acqua l’avrebbe regalata con piacere. Ma di tutto questo Claire non si accorse varcando l’ingresso principale, stava ancora riflettendo a come avrebbe potuto defilarsi senza dare nell’occhio. Quando vide la borsa che la signora portava a tracolla si ricordò di aver


Feuilleton

lasciato lo zaino nel retro del furgoncino, si fermò quindi girandosi verso Nicolas. - Scusami, vorrei cambiarmi per mettermi qualcosa di più pesante, posso prendere lo zaino? Si disse che sarebbe stata l’occasione per verificare se effettivamente trasportava una bara. Purtroppo Nicolas non le lasciò intravedere niente, aprì appena lo sportello e infilato il busto nel bagagliaio tirò fuori rapidamente lo zaino. Quando richiuse un soffio freddo ne fuoriuscì andandosi ad appoggiare sulle sue braccia nude. Il caldo che pochi minuti l’aveva assalita si estinse d’un colpo e un brivido glaciale che sembrava provenire dall’aldilà la cinse. Se si trattasse di autosuggestione o di un brutale presentimento Claire non poté stabilirlo, ma ebbe la netta sensazione di essere entrata in contatto con il cadavere. Senza volerlo ripensò al corpo di suo zio, deceduto un anno prima, a cui aveva stretto la mano per un lungo istante prima di lasciare la camera ardente in preda a un brutto singulto. Nonostante odiasse quel ramo della famiglia di origine colonialista e bretone, Richard le era sempre stato simpatico, era stato lui a insegnarle a non fidarsi delle apparenze. Un’estate le insegnò anche a pescare i buccini. Questo ricordo inatteso per poco non le fece dimenticare il suo piano.

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Doveva andare in bagno, aspettare il momento opportuno per fuggire dall’uscita secondaria, salire su una macchina a caso e convincere il conducente a partire il più velocemente possibile. In un certo senso aveva sempre sognato di farlo, ma lo scenario che si profilava non assomigliava di certo a ciò che aveva potuto immaginare. Guardandosi intorno finalmente constatò che i due vecchietti erano gli unici altri avventori dell’aria di servizio. Il suo piano andava a farsi fottere. Istintivamente si diresse comunque verso il bagno. Rimase chiusa dentro per qualche minuto. L’unica opzione plausibile rimaneva quella di correre in direzione della campagna, ma con lo zaino in spalle, si disse, non sarebbe andata molto veloce. Avrebbe dovuto sparire, farsi invisibile per un centinaio di metri camminando di soppiatto da un nascondiglio all’altro, come una guerrigliera, o quasi. Ma quel lunedì 3 giugno non era decisamente il suo giorno di fortuna. Nell’istante preciso in cui mise la testa fuori dal bagno Nicolas apparve da dietro la macchina del caffè porgendole un bicchiere di plastica rovente.

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Feuilleton

- Ti ho preso un caffè, non sapendo se lo prendi con lo zucchero ho messo una sola dose. - Ah, grazie! Di solito lo prendo amaro, ma va benissimo. - Anche te?


Feuilleton

- Si. - Bene. Ehm. Alla fine non ti sei cambiata? - Ah, no, cioè, sì, mi sono messa una maglietta sotto, non ho trovato la giacchetta che cercavo. - Ok, ti senti meglio? - Si, va un po’ meglio grazie. Ma ci fa o ci è? Pensa davvero che facendo finta di interessarsi a me potrà abbindolarmi? Come minimo si aspetta che gli metta un commento positivo sul sito. Certo, scriverò « trasportatore funebre molto gentile, per niente losco, auto profumata e ben climatizzata. Insomma, un viaggio estremamente piacevole, se non vi taglia a pezzetti prima dell’arrivo ». Mi chiedo cosa voglia da me. Persa ogni speranza di fuggire tornò nel furgoncino. Si disse che a questo punto valeva la pena scoprire qualcosa di più su Nicolas. L’istinto le diceva che il messaggio di Sebastian non era una casualità. Proprio in quel momento dallo specchietto retrovisore vide arrivare un’auto della polizia. Stava entrando nell’area di servizio. Passò la pompa di benzina e si accostò a la loro sinistra. Nicolas non ebbe il tempo di mettere in moto che uno dei poliziotti si avvicinò al finestrino.

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- Buonasera signore, buonasera signora. - Buonasera. - Potrebbe mostrarmi i suoi documenti e quelli del veicolo? Nicolas si mise a cercare nel cruscotto, ne tirò fuori il libretto di circolazione e un fascicolo che a occhio e croce era pieno di moduli prestampati e fatture. - Ecco qui, ci sono anche le autorizzazioni per il trasporto del materiale. - Grazie, potrebbe scendere e far vedere al mio collega cosa trasporta? Claire sarebbe voluta scendere per andare vedere cosa c’era nel retro, ma non ebbe il coraggio di uscire. Lo diranno loro, pensò. Nel frattempo il primo poliziotto era tornato nell’auto per verificare i documenti. A questo punto si trovava sola nell’abitacolo con il cellulare di Nicolas proprio davanti a sé. Nessuno avrebbe potuto vederla. Lo afferrò avidamente e andò subito a leggere l’ultima conversazione:

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Feuilleton

N. « Tutto a posto, sto partendo » S. « Non dare passaggi » N. « Non ti preoccupare » N. « Indirizzo? »


Feuilleton

S. « 14 Impasse dei lillà, Montreuil. » S. « Tutto ok, ti aspettano per mezzanotte! » Copiò il numero sul suo telefono e provò a chiamare. Si trattava proprio di quel Sebastian. Si disse che in fin dei conti avrebbe sbagliato a scappare, restando poteva aiutare Estelle a sco-prire cosa trafficava il suo ragazzo. Ma cosa c’entrava Nicolas? Cosa trasportava? Rimise a posto il cellulare. Qualche secondo dopo i tre si avvicinarono all’abitacolo. Claire poté ascoltare la conversazione. - Insomma cosa ci fa con due bare? - Ve l’ho detto, una è vuota. La devo riportare a Parigi, ne hanno bisogno alla sede, potete verificare se volete. - Va bene così, però lo zaino lo deve mettere davanti. - Sì, certo. (il secondo poliziotto rivolgendosi a Claire) - Signorina, come le è venuto in mente di mettere lo zaino nel retro? Lo sa che è vietato? - Non lo sapevo, mi scusi. - Oggi è il suo giorno fortunato, ma se lo ricordi per la prossima volta. - Sì, è decisamente il mio giorno fortunato.

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Feuilleton

Continua nel prossimo numero


Malebande e storie di una famiglia

70x50 - Tecnica mista

Š Martina Brizzi

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Cicale notturne Donatello Cirone

Le tegole una dietro l’altra, bagnate da qualche goccia di pioggia, brillavano. Il comignolo assente era scappato al mare. Sopra la sagoma di un’antenna trasparente un Senatore, senza voglia di urlare, fissava le sue orecchie. Quella casa era caduta dal cielo come un chicco di grandine. Gettata tra gli alberi secchi. Costruita da mattoni fragili non crollava per noia. Igor si era lasciato morire lì, su quel prato incolto, in compagnia di lumache e grilli. Era arrivato un paio d’anni prima in quella casa, in una gabbietta color nocciola, le zampe grosse e forti, accompagnato da una signora distinta, in tailleur, i capelli biondi legati con un fermaglio nero come il vestito. Labbra sottili. L’accento teutonico fortissimo, in una mano la gabbietta e in un’altra il pedigree. Un pastore tedesco di Bonn: Igor appena uscí dalla gabbia ruppe il protocollo crucco che voleva il cagnolino seduto e composto e cavalcando il clichè italico si lanció a tuffo fra l’erba alta

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a rincorrere Hydra la gatta di Maria che era morta almeno due anni prima. La gran Dama si scusò, prese l’assegno e un pezzo di fegato di Graziano e andò via, si lasciò alle spalle un corridoio di polvere e dietro una casa, Igor, Maria che saltava, Graziano seduto su una sedia di paglia, gli alberi secchi, le ossa di Hydra, l’antenna trasparente e la noia. Quella gran Signora che indossava il tailleur nero e i capelli raccolti e il pizzo che le bardava le cosce forti, ultimo ricordo di un passato giovanile fra le ragazze della campestre, se ne andò proprio come era arrivata, sarebbe tornata nella sua sempreospitale terra, avrebbe dormito nel suo letto, avrebbe mangiato il suo pane, avrebbe raccolto le molliche sulla sua tavola e le avrebbe regalate, generosa, ai suoi vicini che abitavano nello scantinato, ci avrebbero sfamato la fenice che custodivano gelosamente. Igor correva, abbaiava, ringhiava, si era adattato al costume, Maria continuava a saltare, Giovanni il postino ogni tanto passava, salutava tutti e accarezzava Igor che gli leccava le mani, Graziano gli sorrideva, dalla finestra che dava sul cortile Lucia gli mandava baci. La casa sempre più fragile ogni tanto scricchiolava, come le ossa di Graziano, Igor gli correva intorno, gli dava forza, lo teneva in vita, come non avrebbe fatto un triplo ciclo di chemio. Si trasformava Graziano come un baco in attesa e Igor faceva lo stesso, mangiava una tripla

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razione di croccantini eppure si svuotava come un grosso budello di salsiccia spaccato da una pressa industriale. Andavano su e giù per la stradina che portava dalla casina a un fienile abbandonato a qualche centinaio di metri dal letto e dalle cannule e dall’armadietto delle medicine e dalle lacrime di parenti e amici, mai versate. Correvano nella loro mente Igor e Graziano sugli altopiani etiopi, a fatica arrivava a toccare il muro del fienile e poi su piano piano verso casa. Igor seguendo sempre il cliché - familista amorale tracciava ogni passo di Graziano, che con il passare dei giorni diventava sempre più debole, sempre meno attaccato al suolo di questo creato. Graziano se ne andò proprio come era arrivato, proprio come era arrivata la signora con il tailleur e il fermaglio nero, senza troppi lamenti crollò dalla sua sedia di paglia e la sua testa, cadendo, fece lo stesso rumore di una boccia di ferro scaraventata con violenza sulla sabbia. Igor latrò tutta la notte la sua disperazione e cercò a suo modo di riportare in vita Graziano. Le tegole brillavano. Il comignolo si era risposato. Maria non saltò mai più e Lucia si tenne i baci solo per lei. Igor si lasciò morire lì, su quel prato incolto, in compagnia di lumache e grilli.

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Privacy

Š Elisa Saracino

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Frasi subordinate di secondo grado Luigi Balice Gli strascichi remoti di presente si intrecciano continuamente con il tempo che ci scorre sotto i polpastrelli, ora in questo esatto momento. Non ci chiedono forme in cui ingabbiare significati. Siamo noi a comporre esclamazioni, frasi subordinate di secondo grado ed avverbi irritanti come vicini che fanno lavori in casa di domenica mattina. Siamo noi a voler inscatolare gli attimi e portarli con noi al prossimo trasloco. Ma questi quattro fogli non sono nient’altro che maldestri raccoglitori di mancanze. C’è chi li attaccherà vicino la fermata dell’autobus, chi li leggerà solo al ritorno, chi bacerà colui che li ha scritti senza capirne una mazza. Perché? Perché sono state concepite mentre giocavamo a nascondino con la morte, quando prendevamo fiato sulle lenzuola fradice di sudore, ma scritte subito dopo un arrivederci … un ci vediamo domani ed una doccia prima di dormire. Messaggi minatori per amanti ricattabili da qualsiasi lontananza, solo perché assuefatti da carne viva e sudore, solo perché viziati dall’amore. 25


Dentro al colore

Š Carlo Parlavecchio

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Per ogni fuga Giuseppe Semeraro

per ogni fuga c’è qualcuno che rimane steso al sole dei dimenticati a custodire il chiodo a seccare le lacrime per ogni fuga c’è qualcuno che scommette, chi nel miracolo chi nella resa chi confonde la fuga con la preghiera che dimentica chi la fuga col passo che tradisce. Per ogni fuga c’è chi resta a pulire la merda a prendersi cura a stare con chi muore e la fuga è una presenza spenta l’indietro della vita

gli annunci vicino al comune le offerte di lavoro il lavoro dei mendicanti il lavoro del suicidio per ogni fuga ci sono cartoline foto sottovuoto saluti da chi vive saluti da chi muore.

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La Truffa dei migranti

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Sopravvivere Brano tratto da “La truffa dei migranti” - Tempesta Editore 2015

Alessandro Ghebreigziabiher

Era giunta l’ora di scoprire le carte. Il copione aveva un ritmo da seguire e l’armonia dei tempi richiedeva il colpo di scena proprio in quel momento. “Noi diventeremo uguali”, disse soppesando con cura ogni singola lettera. “Perché, grazie alla magia più potente della terra, noi perderemo la diversità.” “Di cosa stai parlando, Ramakeele?” domandò Bikila, dando voce alla curiosità di tutti. “Bianchi, diverremo tutti bianchi”, rispose la vecchia. “Sempre se quel bianco non si intenda alla lettera. Non più neri, semmai davvero tali siamo stati.” Quindi la donna alzò da terra un voluminoso boccale e lo mostrò ai presenti tenendolo stretto tra le mani. Di seguito, parole rarefatte, come in un sogno. Date un sorso alla pozione e liberate la pelle dal peso del sole. Non più nera. Leggete pure marrone, più o meno scuro. Bevete e liberate i capelli dal nodo che li lega.

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Non più ricci. Assaggiate l’incantesimo e affrancate le labbra dal presunto imbarazzo del volume. Non più carnose. Bevete e diventate con me perfettamente uguali. Bianchi. Rassicuranti e liberi. “Ma non possiamo…” si lasciò sfuggire Kereeditse, violando innanzi alla nonna di tutti il sacro protocollo del silenzio, eccezion fatta per il marito. “Sì, invece”, disse Ramakeele. E sebbene con un soffio di tristezza perso in un afflato di speranza, aggiunse: “Noi possiamo. Perché dobbiamo.” Sopravvivere.

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Tu ne quaesieris Federica Gullotta

“Tu ne quaesieris (scire nefas) quem mihi, quem tibi Finem di dederint” Essere dietro la fredda tenda Di una notte precoce, O senza riparo alcuno Esposta alle braci del sole; Non l’una, non l’altra scelta Ti è consentita Là dove non c’è illusione Che renda dolce l’aria: “Tu non chiedere (tanto non è dato sapere) Quale a me, quale altra a te Sorte gli dei concedano” Alle rive di sterpi rigogliose Ride la salina Con innocente fanciullezza,

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Ed i vecchi gabbiani, E la gabbianella con la prole accanto Brancolano sulle sponde, Una zampa nell’acqua L’altra incerta sollevata; “Tu ne quaesieris (scire nefas) quem mihi, quem tibi Finem di dederint” Ed è questo l’Amore che io Conosco, ma non è lo stesso Per il gabbiano stanco, né Per il parente o l’amico lontano; Non affetto fraterno, né Pietà, Non l’Amore di un poeta Che ignora il futuro, E si vanta: “Tu non chiedere (tanto non è dato sapere) Quale a me, quale altra a te Sorte gli dèi concedano” Ognuno conosce Il proprio destino Da quando la sua voce lancia Un grido nell’aria

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I cerchi narranti #7

Š Luca Cini

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La Nonna Cristina Nesti

Una sera dormivo dalla mia nonna in un lettino aggiunto apposta per me in camera sua. Dalle persiane non proprio chiuse filtrava parecchia luce e la vedevo distesa nel suo lettone con la testiera di bordoni intarsiati di madreperla e la bottiglia e il bicchiere di vetro celeste scanalato sul comodino, come usava allora. Nessuna delle due aveva sonno e ad un certo punto le chiesi: “Nonnina, qual è stato il periodo più felice della tua vita?” E lei senza un attimo d’esitazione: “Questo Ninina (lei chiamava così i nipoti) da quando sono rimasta vedova”.

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La notte

Š Elisa Saracino

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L’Irrequieto Rivista Letteraria

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