L'Irrequieto - Numero Embrione - Gennaio 2010

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L’Irrequieto Rivista Letteraria

Associazione Culturale L’Irrequieto Firenze - Paris Gennaio 2010 www.irrequieto.eu redazione@irrequieto.eu © Giacomo Braccialarghe


DIREZIONE Alessandro Xenos, Donatello Cirone

REDAZIONE Alessandro Xenos, Donatello Cirone

CONCEZIONE E REALIZZAZIONE GRAFICA Luigi Balice

DISEGNI E LOGO Giacomo Braccialarghe

WEBMASTER Donatello Cirone

INFORMAZIONI E COLLABORAZIONI info@irrequieto.eu / redazione@irrequieto.eu

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Indice pag 1

Editoriale di Alessandro Xenos

Racconti L’inesistente gatto di Elisa pag 6 di Donatello Cirone

Curriculum vitae di Alessandro Xenos pag 11

Poesie pag 22

L’attesa di una macchia

pag 26

Scannatoio di Donatello Cirone

pag 28

Una capra sullo spillo

pag 29

Guardando fuori

di Alessandro Xenos

di Donatello Cirone

di Alessandro Xenos

pag 31

Tre vie per la città di Donatello Cirone


pag 33

Sommesso di Alessandro Xenos

pag 36

Il trancio di Donatello Cirone

pag 37

Ore lungo i viali di Alessandro Xenos

Foto/Disegni Erbavoglio di Giacomo Braccialarghe BurbanKclouds di Elise Reinke

pag 4 pag 27


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Editoriale Una rivista letteraria nel 2010 Alessandro Xenos

Far nascere una rivista letteraria on line nel 2010 è una follia almeno per due ordini di motivi. Il primo risiede proprio nella denominazione, poiché essendo il termine strettamente legato ad un periodo storico ben preciso, l’inizio del XX secolo, e vivendo una realtà contemporanea in cui l’utilizzo di blog e personal profile risulta preponderante rispetto a qualsiasi altro mezzo di divulgazione artistica (almeno dal punto di vista quantitativo), il rischio che si corre è di risultare quantomeno antiquati, se non proprio anacronistici. Il secondo motivo, più pratico, va ricercato nella natura stessa del web e soprattutto nell’utilizzo che ne facciamo in quanto utenti. Durante la navigazione si è attratti maggiormente da informazioni lampo, per le quali non sia necessario spendere più di 30/40 secondi, e molto spes-

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so per articoli che siano più lunghi di 15 righe si ricorre ad un tipo di lettura selettiva, di conseguenza un formato che richieda un maggiore impegno è già svantaggiato in partenza. Si potrebbe dire, quindi, che far nascere una rivista letteraria sul web sia come viaggiare sui binari dell’alta velocità con un treno a vapore. Ciò nonostante abbiamo deciso di dedicarci in quest’impresa, perché abbiamo la convinzione di poter trasformare quest’obsoleta macchina motrice in qualcosa di innovativo, di transitorio, che possa donare nuova linfa alla ormai data per morta poesia: che possa cioè viaggiare alla stessa velocità delle più moderne carrozze risvegliando al contempo il moto anche delle più piccole narici al passaggio della lenta e goffa coltre di vapore, perché così come lenta e impercettibile ai sensi è la rivoluzione della Terra intorno al Sole così anche l’antico acre odore del carbone bruciato si muove fiacco verso il naso turato dei più. Troppo veloce ci muoviamo e troppo posata è la voce dei poeti. Sia chiaro, questa non vuole essere una sfida tra lo slow e il fast, o almeno, non si tratta solo di questo, prima di tutto perché noi stessi siamo figli di questa velocità e poi perché considerando il nostro Tempo la sfida avrebbe sicuramente un esito impietoso per la lentezza. Si tratta invece di superare lo stallo in cui vive la creatività poetica cercando di turbare le forme statiche o sottilmente dinamiche attraverso una

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riappropriazione dell’ignoto, dell’astratto, cercando cioè di rompere le paratie tra l’idea e la parola che mano a mano si sono create nell’era dell’immagine. Una rottura quindi che necessita d’un degno contatto con la realtà, ma anche di una ferma volontà d’affermare il respiro dell’astrazione. E’ qui allora che il termine ‘rivista letteraria’ si può affermare in tutta la sua modernità: nel portare il sigillo della coscienza delle intenzioni. Naturalmente anche quest’etichetta è transitoria, così come transitoria è l’immagine che abbiamo di noi stessi e del nostro lavoro, ed è per questo che non ci legheremo ad una linea editoriale imponendoci una visione univoca in base alla quale scrivere. Anzi, l’intento è quello di esaltare la diversità dei nostri pensieri, dei nostri stili e magari un giorno d’avere al fianco altre persone stimate con cui potersi confrontare. Questo primo numero prende il nome di ‘embrione’, perché ancora dovremo lavorare per migliorare la grafica ed i contenuti del sito. Per ora, comunque, c’è quello che di meglio abbiamo da offrirvi e se vorrete confrontarvi abbiamo un portalettere enorme.

Alessandro Xenos: fondatore de L’Irrequieto, Nato l’8 ottobre 1986. Dopo aver conseguito una laurea triennale in Scienze Politiche alla Facoltà Cesare Alfieri di Firenze, decide di trasferirsi in Francia per continuare gli studi. Iscrittosi all’Università di Montpellier, lavora per alcuni giornali locali e consegue un Master 2 in Giornalismo nel 2012. Dal 2013 vive e lavora a Parigi, dove continua ad amare la poesia in tutte le sue forme.

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Erbavoglio

© Giacomo Braccialarghe

Giacomo Braccialarghe: è nato a Milano e ha vissuto a Firenze. Ha studiato all’Isituto Statale d’Arte di Firenze. Finiti gli studi nel 1989 ha avuto varie esperienze lavorative nella grafica, web design e illustrazione. Nel 2004 ha cominciato a lavorare con il nome di Animaz Studio collaborando con nuovi e abituali partners e clienti nel web design, animazione 2D e illustrazione. Nel 2009 si è trasferito in Sud Africa portando ANIMAZ Studio a Cape Town.Recentemente ha avviato ANIMAZING Arte decorativa e animazione 2D.

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RACCONTI


L’inesistente gatto di Elisa Donatello Cirone

La stanza di Elisa era sempre stata accogliente. Quella stanza aveva visto sempre ospiti diversi, uomini che si aggiravano per quella camera disordinata e polverosa. Mai un uomo era stato più di una volta fra quelle pareti, l’unica costante era il respiro di Elisa. Quel buco bastava ad Elisa: una camera, un bagno ed una mezza cucina. Un monolocale di 27 m², tre vani. La sua camera l’aveva dipinta di rosso, la cucina di azzurro e il bagno era nero, tutto nero anche il cesso, il lavandino e il piatto doccia. Nella cucina c’era un tavolo giallo con due sedie viola. La gigantografia grandezza naturale di suo padre prendeva tutta la parete alle spalle del tavolo. Il resto delle pareti era nudo, nessun quadro e nessuna mensola. La camera era bella, colorata di rosso: il letto da un piazza e mezza occupava più della metà della stanza. Ogni domenica mattina cambiava le federe e ne metteva un paio sempre di lino e sempre colorate, la nauseava annusare l’inesistente puzza del sudore lasciato lì dallo sconosciuto di turno ospite per

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una notte del suo letto, ospite del sabato. Lavorava dal lunedì al venerdì, turno da dieci ore. Da bambina Elisa voleva indossare il camice e fare la dottoressa. Da grande indossava il camice blu dell’impresa Clear. Impresa di pulizia. Il suo stetoscopio era una scopa mezza rotta, il resto della sua vita era tutta chiusa in una scatola nascosta sotto l’armadio della casa paterna. La sua settimana era scandita da cinque grandi palazzi. Lunedì in Via Pietro Manzoni, civici 103-176, lì non sopportava due inquilini: uno era l’Ingegner Dino Frascotti, uno squallido porco settantenne, con il viagra sempre in tasca. Una volta le palpò il culo, non poté neppure lamentarsi, il sudicio era un socio della sua ditta, aveva da mantenere una casa, i vizi e il gatto. L’altro inquilino insopportabile era la signora Nara degli Esponsi da Ficchiana, una ricca e libidinosa duchessa sulla cinquantina che si divertiva a passare e ripassare sul pavimento appena lavato, per il sol gusto sadico di vederla sbuffare. Il martedì era un giorno tranquillo, a lei era dato il compito di pulire i tre ascensori e di lustrare lo scorrimano. In tre anni mai nessuno l’aveva trattata male, anzi in quel palazzo regnava una calma ed una pace sconosciuti. Il palazzo in via de Fannulloni era un palazzo extralusso abitato solamente da quadri e dirigenti di un’importante multinazionale. Passavano veloci sempre con l’auricolare bluetooth attaccato, non si accorgevano mai di lei, rischiava alcune volte perfino di essere schiacciata da

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quegl’omoni grossi, paffuti e tirati che passavano veloci. Il giovedì era il turno del palazzo dei cristalli, così lo rinominò Elisa, tutto era di vetro: l’ingresso luccicava: il tavolo, le pareti, le sedie, la scrivania del portiere. Sembrava di stare in una scultura di ghiaccio tipica dei paesi del Nord. Doveva pulire con attenzione medica tutto l’ingresso con uno speciale prodotto ed una pezza ricavata dal pelo di alpaca. Il portiere era una sorta di maniaco-voyeur che la fissava di nascosto, ad Elisa sembrava quasi che quel morboso sguardo le palpasse i seni ed il resto, per questo non metteva mai camicette o magliette scollate, aveva paura di Rocco il portiere del palazzo del cristalli. L’ultimo giorno arrivava a fatica, il così tanto desiderato venerdì si ritornava in centro in via dei Tuffi, al palazzo della famiglia Sigren, una famiglia nobiliare, che nemmeno abitava in quel palazzo enorme. Possedevano diversi palazzi in centro e sparsi per l’Italia, loro però abitavano in Germania. Era una pacchia, le ore di lavoro effettivo erano un paio poi il resto della giornata la passava in compagnia di Ester in giro a curiosare fra gl’armadi e i mobili antichi, suonavano il pianoforte a coda, cantavano e strimpellavano per tutto il giorno. A sera tornava sempre felice, si preparava la cena, beveva una delle sue solite tisane e si organizzava meticolosamente il fine settimana. Il sabato mattina era dedicato al riposo, la sveglia suonava all’una. Il

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pranzo era pronto in tavola per le due e mezzo. Il pomeriggio era dedicato alla lettura. Verso le sette e mezza iniziava a prepararsi per la sera, si depilava, poi una bella doccia, sceglieva i vestiti con estrema cura, lisciava i capelli, si truccava ed usciva, aperitivo sempre al solito locale con l’amica di sempre, Dana. Un paio d’ore in sua compagnia la rilassavano, si confidavano, si elencavano le insoddisfazioni, si raccontavano i vari problemi affrontati durante la settimana e si salutavano. Dana raggiungeva suo marito in un locale nei pressi della stazione, lì bevevano una birra, chiacchieravano sempre tenendosi la mano, come due freschi fidanzatini, poi verso un quarto alle undici passavano per la piscina riprendevano, Sara e Gemma le loro splendide figlie e ritornavano a casa. Le bimbe come ogni sabato crollavano dalla stanchezza, loro preparavano dei popcorn con del burro, si mettevano sul divano, guardavano un film e facevano l’amore. Dana ogni volta si commuoveva, le sembrava di fare l’amore per la prima volta, era così tenero suo marito, non aveva mai fatto l’amore con nessun altro uomo. Un padre affettuoso. Elisa dopo aver salutato Dana ritornava a casa, si lavava di nuovo, cambiava il suo vestito si lisciava di nuovo i capelli, cambiava la tonalità del colore del trucco e usciva. Andava sempre in locali affollati e rumorosi principalmente discoteche o discopub, poi le si avvicinava sempre un ragazzo. Tipo standard,

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incollato di creme, ben curato, vestito all’ultima moda, tutti le dicevano la stessa demenziale cosa: “ Non riesco a toglierti gl’occhi di dosso, sei incantevole”. Elisa sapeva già come comportarsi, poi come un’abile mantide, li portava tutti a casa sua. Tutti convinti d’aver aggiustato la serata, tutti convinti dell’imminente scopata facile, poi una volta lì l’atteggiamento di Elisa cambiava, era terribilmente sola Elisa. Cercava di sviarli. Elisa chiedeva solo una notte, chiedeva a quegli sconosciuti un abbraccio che durasse una notte. Così tutti i sabato Elisa usciva in cerca di un’anima che capisse il suo bisogno, il suo incurabile desiderio d’amore. Nessuno che capisse il suo sogno: addormentarsi abbracciata da un uomo con il respiro di lui sul suo collo, con le mani incatenate e svegliarsi così, solo una volta. Nessuno mai rimase a respirarle dietro.

Donatello Cirone: fondatote de L’Irrequieto, nato nella valle del Sauro, in Lucania, il 28 giugno del 1986.

Laureato in Scienze politiche. Ha pubblicato due silloge poetiche: La vita di una morte, LibroItaliano, Ragusa 2005 e Gl’oratori del nulla, Amorsog et Oream, Il filo -Roma 2007.

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Curriculum vitae Alessandro Xenos

Nasce a Ferrara il 2 agosto 1977 da famiglia borghese di modesti principi morali. i genitori gli trasmettono soprattutto il loro incommensurabile amore per la vita. non specificando però poi cosa sia veramente la vita. così trascorre l’infanzia in uno stato di pura incoscienza allietato solo dal dolce sollievo di non aver responsabilità verso il resto del mondo. borghesi d’idee e non nel cuore o viceversa i primi pannolini indossati all’età di 1 anno, voglia di cagare repressa nel sonno. e su su cresce nella luce materna. a nove anni s’accorge d’aver cagato per nove anni e sente il bisogno di cambiare. seguono due anni di abbandono nella stitichezza militante, che però viene presto repressa dalla cucina esotica degli zii a cui non è concesso dire di no. Ad undici anni scopre di avere un pisello e subito pensa a come liberarsene. in un primo momento tenta di strapparselo ma un’erezione vanifica tutti i suoi sforzi rivoluzionari. comunque non demorde e da

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quel giorno decide che finché non vincerà la lotta sarà in rivoluzione permanente. tutte le mattine alle otto. il suo carattere deciso alle medie gli vale l’appellativo di ‘schiacciasassi’. a dodici anni dedica la sua prima poesia al campo in fiore di fronte alla sua finestra. qualche giorno dopo è costretto a revisionarla e a dedicarla alla calcina e agli operai che lavorano sull’excampoinfiore di fronte alla sua finestra. arrivato a quindici anni si accorge di aver già scritto venti versioni della sua prima poesia e decide che è arrivato il momento di cambiare casa. abbandona la famiglia e si trasferisce a Bologna. lavora prima nel settore tessile imparando a scucire soldi alle turiste americane, ma poi sentendo alla televisione che il settore è in crisi cerca un altro impiego più redditizio. lo trova in un’agenzia matrimoniale che gli garantisce un mensile a patto che lui faccia fallire almeno quattro matrimoni il mese. abile attore e scaltro truffatore inizialmente si spaccia per il figlio segreto di uno dei due coniugi ma presto si accorge che potrebbe trarre maggiore beneficio. sfruttando la sua illuminante bellezza si lancia in appassionati corteggiamenti che gli frutteranno nel giro di mezzora il suo primo bacio, il suo primo pompino, la sua prima scopata e la sua prima sigaretta. estasiato dall’esperienza decide che non può più proseguire la rivoluzione permanente da solo e da quel momento si reca a lavoro tutte le mattine alle otto.

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viene eletto impiegato del mese per due anni consecutivi e la sua foto entra nell’albo d’oro dell’agenzia matrimoniale. questi successi lo gratificano e gli fanno pensare che lui è in grado di cambiare le cose. vorrebbe cambiare tutto. i cessi della stazione la barba di fidel il sistema pensionistico la tassa sui rifiuti insomma proprio tutto. ma quando gli viene detto che il mercato è saturo perché ha fatto fallire tutti i matrimoni della città è costretto prima di tutto a cambiare il suo lavoro. così oltre a lavorare per l’agenzia si mette in proprio e sfruttando la sua esperienza rivende ai mariti informazioni riservate sulle exmogli. compleanni colore preferito segni particolari. tutto ciò che serve ad un uomo per riconquistare la propria donna. l’idea si dimostra geniale. il mercato è vasto e lui ne ha il monopolio. presto in tutta la provincia di Bologna tutti i matrimoni falliti si ricompongono ed egli mantiene il primato nell’agenzia. questa sua magnifica azione sociale viene riconosciuta anche dal vescovo che lo nomina ‘difensore cittadino della sacra famiglia’ e si offre di pagargli gli studi superiori che egli non ha mai terminato. ringrazia si inchina e riverisce ma chiede di poter passare direttamente all’università. non ha tempo da perdere. il vescovo si imbarazza scuote la testa s’incupisce ma alla fine il modo per farlo approdare alla facoltà di economia lo trova. quelli dell’università sono anni stupendi. feste bevute scopate multi-

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specie tutte e tre le cose contemporaneamente e il tutto senza dover abbandonare il suo lavoro. ogni mattina alle otto è in casa di una bella bolognese per provare a riavviare gli affari. trascorre così due anni di intensa attività che però non giovano alla sua salute. stressato e malandato decide che è l’ora di laurearsi. quindi organizza un’assemblea con il rettore i professori e le segretarie tutti legati a lui per motivi professionali per annunciare la sua imminente laurea con il massimo dei voti. nell’aula tutti applaudono e si congratulano. il rettore invece si avvicina e dice che non può farlo. lui lo accusa di essere un materialista esacerbato dalla propria voluttà e gli ricorda che il giorno dopo sarebbe stato il compleanno della moglie. il rettore si stupisce per le belle parole e si congratula anch’egli. vanità voluttà materia che si spande sulle idee e che mi imbriglia le mani tu ti spendi in dissapori sulle nobili emozioni. tutta la città è in festa. il sindaco indice una notte bianca di baldoria collettiva. le donne ballano gli uomini un po’ meno. richiamati dalle luci accorrono in migliaia dalla provincia. è emozionato da tanto affetto. si apparta in un angolo e scrive la sua seconda poesia. parla di quella città di quelle donne e delle facce incupite dei mariti. vuole bene a tutti. li ama. e per questo ha deciso che un giorno saranno tutti ripagati. nel frattempo però chiederà un prestito per avviare la sua carriera.

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si guarda intorno. nessuno lo osserva forse si sono dimenticati di lui. scivola dietro un furgone e si dilegua in una via. arriva nella casa dell’assessore Balà, in quella del generoso Dottor Papello, in quella dell’Ing. Tognassi, in quella del conte Bardazzi, e poi via via raggiunge tutte le mete più ambite. si ferma solo di fronte a Battiato sparato ventiquattroresuventiquattro a volumi che sono crimine contro l’umanità dalla casa di cura ‘La cura’. lì non può razzolare niente. è troppo rischioso. decide comunque che un giorno ritornerà per parlare di nebulose ed ermeneutica con uno di quei vecchietti insonni. è mezzanotte. con tre sacchi di gioielli e contanti si dirige alla stazione per l’ultimo treno. la città è ancora in festa. sulla strada incontra solo qualche emarginato convinto di non aver ricevuto l’invito. nessuno bada a lui, nemmeno quando sale sulla carrozza di prima classe. destinazione modena. Finisce così la prima fase della sua vita. A soli diciotto anni. E’ il 1995 e l’Italia è ancora sconvolta dalla bufera di Mani Pulite. molti se ne sono andati. alcuni sono rimasti, ma aspettano. così nessuno sa più a chi rivolgersi, non si sa chi è pulito e chi è intercettato. ci si muove con sospetto. in questo clima solo un giovane intraprendente può ricucire gli antichi legami. e lui è lì, pronto a fare affari. in qualche giorno entra nel giro dei malaffari modenesi. in un mese già controlla

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il racket delle auto di un russo, le partite di droghe altoatesine e il giro di prostituzione delle arance. ma quello che più gli rende è l’imprenditoria. demolisce e costruisce centinaia di società per conto di grandi affaristi che si vergognano a mettere il proprio nome. e lui non si vergogna. non si è mai vergognato. tutti lo adorano. qualcuno propone anche di farlo sindaco. ma poi ci ripensa perché il suo nome non deve essere associato ad un così brutto mondo. lo vogliono tutto per loro. in un anno diventa capomastro di 34 cantieri, consulente sanitario e manager di successo di una gelateria di certi suoi amici venuti da lontano. gli regalano una stazione radio e una villa nella campagna imolese. mangia di lusso e non si tratta peggio nella scelta delle compagne. è al top. con mille impegni ma soddisfatto. scopre finalmente qual è la vita che fa per lui. dimostra le sue grandi doti nell’arte del vivere. ecco cosa intendevano i suoi genitori. trascorre così i quattro anni successivi. alle soglie del duemila è ormai un uomo. ben fatto. con molte conoscenze e la fedina penale pulita. quello che si direbbe un brav’uomo. conosce meglio in quegli anni il mondo della religione. si attarda a sera con vescovi animisti e con predicatori serpintasca. discute di questioni morali e di problemi liturgici. “prima i soldi e poi la ragazza”. è un ambiente che lo affascina. decide anche di pregare. ma non sa scegliere

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qual è il dio che preferisce. dopo una consultazione con il suo amico Giampi decide che pregherà quello più figo. vince ovviamente Zeus. e senza grandi rivali. con il dio ha le spalle coperte e sa che può andare avanti. così decide di estendere il suo business a tutta la regione. non è facile perché ci sono ancora brave persone. ma lui conosce chi le comanda, le brave persone. e così fa. nessuno osa ostacolarlo. per il bene della nazione. i politici con cui aveva mercanteggiato adesso li affronta a muso duro. e siccome loro il muso lo hanno dietro la testa non si accorgono della sfida e lo accolgono a braccia aperte. evviva! vince facilmente. e facilmente viene anche invitato alla camera, al senato, all’inaugurazione delle nuove sedi del sindacato, della banca polare artica, del kkk, di un cpt e del palazzo di giustizia. è ovunque la mondanità lo richieda. non va però in televisione. non gli piacciono le telecamere. diventa famoso tra i famosi. ma è ancora sconosciuto agli ignoti. nel frattempo diventa esigente e pretende molto dai suoi subalterni. tutti lavorano volentieri per lui. ma non proprio tutti. un boss non ci sta. cerca di rubargli la scena. lo diffama e gli soffia gli affari. prova anche a dormire con la sua donna. quando lo scopre perciò va su tutte le furie e lo condanna a morte. sarà messo per 6 mesi in carcere.

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il boss ovviamente muore. ma lui per la prima volta si sente triste. scrive una poesia: Non conto le lacrime che mi guastan le scarpe a vederti l’età dai lombrichi nel pancreas. Ho sempre pensato che sono meglio le rughe. E’ triste, molto triste. la polizia invece è incazzata, molto incazzata. decide allora che un viaggio lo renderà più sereno. vola in più luoghi. prima in germania. poi in chile. in argentina. alla fine si stabilisce in quebec. lì passa due anni tranquilli. dai pionieri americani impara come masturbarsi con l’olio di foca. capisce che il futuro passa anche da quella straordinaria pratica. ma ancora il mondo non è pronto. mentre aspetta il momento buono si butta nel porno su internet. con due ragazze ben remunerate e un fallo di gomma costruisce ben 290

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siti. ne diventa il leader mondiale. è un re. nel frattempo in italia ci sono stati 3 condoni e 15 amnistie. anche per i reati futuri. decide che è l’ora di tornare. come prima cosa va a trovare i suoi amici di bologna. ma scopre che sono ancora incazzati da quel piccolo incidente di molti anni prima. lui cerca di spiegare che anche secondo la legge non ha fatto niente. ma i bolognesi son duri si sa. e allora li ripaga con un nuovo stadio. bello, colorato, con poltrone di piume. tutto in amianto. ma non si vede. i bolognesi sono di nuovo contenti e le bolognesi anche di più. inutile chiedersi con chi passino le domeniche pomeriggio. dal 2006 al 2008 è capo degli artigiani, degli operai, di un team di moto e del partito oltranzista. sì, finalmente entra anche in politica. del resto chi meglio di lui conosce la società? vince le provinciali e le regionali e adesso punta alle nazionali. è sempre in campagna elettorale. bacia tutti. ama tutti. e tutti lo amano. feste mostre cene funerali. deve essere con tutti. in un tutto questo trambusto gli viene voglia però di fermarsi. vuole lasciare qualcosa di indelebile nel mondo. non sa cosa esattamente. una voce dentro di sé gli suggerisce un figlio. ma la voce viene subito strozzata. vuole lasciare qualcosa che per tutti sia veramente importante.

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pensa per un intero giorno e poi un altro. e alla fine decide‌scriverò un curriculum vitae!

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POESIE

Scrivere un libro di poesie è come buttare un petalo di rosa nel Grand Canyon e apettare l’eco. Don Marquis (1878-1937)

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L’attesa di una macchia Alessandro Xenos

«C’è una persona che vuole vedere la casa» disse l’uomo dall’accento del mare. Io mi volsi e lo guardai con la disperazione di chi non ha più niente per cui pregare. Lo feci entrare. Il sorriso si distese pian piano sulle sue guance e il mio cuore pian piano si strinse. «Prego, signore, entri! Vedrà che bei vani ampi ha questa casa!» Il signore entrò. Il suo grugno mi parve di averlo già visto, ma i suoi occhi mi dissero di no.

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Avevo dodici anni e quell’estate morii nella mia casa. L’uomo si fece avanti e poggiandomi la mano sulla testa mi chiese «Ehi, piccolo, ma sei solo in casa? Non c’è nessuno che badi a te?». Mi feci rosso e poi salmone e con tutta la bile che avevo in corpo risalii con le mie parole tutto quell’ammasso di grasso e muscoli fino al ciuffo che si poggiava sugli occhiali «C’è mia madre, di là nel letto, ma grazie a te presto dovrò farmi badare da una bara!». Avevo dodici anni e quello fu un giorno indimenticabile. Il signore nuovo di zecca si ammaccò e le sue labbra iniziarono a vibrare come un’auto con la batteria scarica all’avvio. Il gran sorriso non si mosse

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e con tranquillità disse «Proprio, qui, sulla destra c’è una stanza a-do-ra-bi-le!» Era camera mia. Sapeva fare bene il suo lavoro, lo stronzo! Entrammo tutti. Abbagliato dalla bellezza del lucernaio mi ricordai d’aver promesso a Paola la mia vicina che un giorno l’avrei portata sul tetto per guardare la città. Non mi importava di Paola in realtà. «E’ stupenda! Qui potrò scrivere il mio romanzo in santa pace!» esclamò l’uomo. «Perfetta per qualsiasi tipo di lavoro in casa! se lo lasci dire, signor Bini, non se ne trovano di stanze così luminose in questo piccolo borgo». Chiusi gli occhi, ma sentii comunque lo sguardo d’intesa tra i due passare sopra la mia testa.

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La bara di mia madre due anni più tardi fu la mia ultima casa e il suo sublime odore lo porto ancora sulle mie dita.

Ho una birra tra le mani e ogni tanto la porto alla bocca per trovar pace dall’afa di questa notte. Qui seduto con le gambe incrociate nel buio ricordo tutto com’era in quel luglio e non accenderò la luce. L’estate mi ha offerto un facile passaggio nella finestra sul tetto e la mia stanza è l’unica in cui non ci dorme nessuno.

Rifletterò sul periodo di rotazione sinodico del sole e poi deciderò.

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Scannatoio Donatello Cirone

Nella somma che strazia e che strappa continua ho trovato il mio futuro. Ciò che scompiglia i capelli lisciati dalla lingua di vacca, ciò che irruvidisce impallinando il pelo dell’acqua salata, ciò che arrotola e sconquassa il fare angelico dell’uomo che vive tra i cumuli dello scarto d’una festa di bianchi, grassoni fumatori di sterco, mangiatori d’ossa, bevitori di sangue scolato dal catino di raccolta dello scanno.

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Burbankclouds

© Elise Reinke

Elise Reinke: è nata a Burbank, California il 19 Settembre 1986. È una fotografa, laureata in fotografia pres-

so la California State University di Los Angeles. Nell’estate del 2006 ha studiato a “The Darkroom-Istituto Internazionale di Fotografia” di Firenze. Dopo tanti viaggi tra Los Angeles e Firenze, si è trasferita Londra, dove vive attualmente.

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Una capra sullo spillo Donatello Cirone

Vivere dentro, l’esterno. Vieni in me vento. Il cielo è vuoto, il colore è azzurro. Tutto rimane silente. La mia ombra è un punto. Lo spillo di polvere che si perde nel cielo, vita.

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Gurdando fuori Alessandro Xenos

Guardando fuori dalla mia porta sul retro ho visto un castello dipinto e un fiume scolpito la sabbia sulle strade ed una torre crescere. Ho visto una piccola folla intorno a grandi parole ed un uomo con il volto coperto seduto su di esse. Guardando fuori dalla mia porta sul retro ho sentito la dura pioggia sugli stivali dei forestieri e i passi lenti del sole che cresce.

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Ho sentito un ragazzo girare la radio sulla dolce, dolce frequenza che suo nonno aveva spento. Guardando fuori dalla mia porta sul retro ho pianto le madri il cui seno nutre l’arida terra e i figli del tempo costretti nelle valli dove lo spazio si perde. Ho sentito e ascoltato quanto l’uomo mi ha detto dei suoi sogni dei suoi ori delle sue solide paure dei templi degli dei e dei ronzini lungo il fiume. Un castello una torre una folla sigillata gli applausi le carezze e gli abbracci in mezzo a un bosco. Sono corpi e parole che vivono, mio Amore, e che da questa soglia sul retro chiedono d’entrare. liberamente ispirato a “Lookin’ out my back door” dei Creedence Clearwater Revival

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Tre vie per la città Donatello Cirone

Il baratro del numero era lì come una donna nuda con le gambe aperte, il sesso gonfiato da quella falsa carnale sessualità che allenta e allevia il dolore della fine. Il musico aveva esagerato col flauto e col requiem. Le mie giugulari s’erano svuotate come il sacco dei vermi dell’ultimo sacro pescatore e il cacciatore s’era sparato scambiandosi allo specchio coll’ombra

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vista correre. I miei denti s’erano affilati a spada e a cannibale per vivere senza respiro nella metropoli coi morti gettati sulle strade come i mozziconi tagliati dei sigari sgretolati. Quella foglia di tabacco fumata per perdersi unita nella pioggia e nel tombino, il ratto forse la mangerà ?

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Sommesso Alessandro Xenos

Debole sordo amore profondo giace di labili sguardi nell’acque del fiume che ti diede i natali. Poeti i giorni di prime avventure levaron le torri sulle livide strade mentre al mondo le lire sembravan lontane. Poi fiori volarono nei canuti inverni e molti appresero della tua chioma famosa. Desiderarono averti e d’esser te. Ti vollero alta, bionda

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e di nobile stirpe, o mora e mamma dei padri del volgo. Tu fosti, Firenze, a seder tra i pianeti e a cullare le stelle l’unica donna che riconobbero tale. Tu fosti e tu eri, delicata bellezza, ma le nebbie che di fugaci sorprese avvolgono i viali t’adombraron la vista e ti trovasti a sognare. Tutto uguale, tutto immutato come a chi calano gli occhi d’improvvisa stanchezza. S.Miniato, il Battistero il Duomo e la Signoria rimasero lì e tu con loro non sentisti il lento roder del tempo che mutato d’aspetto t’avea.

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Vecchia in posa sedente sull’occhio d’un vecchio ubriacone. Da dietro, dai lati ti cinsero e pe’ i vicoli strette serrarono cinquecento cagne affamate che di tua bellezza non pasto serbarono. Livide nuovamente le strade e morti i giorni poeti ma nemmeno il grido di chi a far guardia fu posto ti scosse dal sonno. Tu dormivi e ancora tu dormi mentre David l’han preso e fatto di sabbia.

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Il trancio Donatelo Cirone

Sviscerato il pesce sul tavolo della pulitura, gl’occhi persi nel giallo e le squame squadrate col lucido striato. Il mastro ed il trancio perfetto aperto, la testa mozza nel secchio col sangue e l’acqua salata sulle mani callose a scollare scallando il peccato dell’ultimo colpo: estraneità innocente.

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Ore lungo i viali Alessandro Xenos

Un fantasma d’autunno non fa più notizia ed il suo grido non varca l’uscio di chi legge Scrivo e gemo per me uomo e donna che ora si muove e ora non dorme Mi sento l’ombra ai piedi dei vostri sorrisi e la sveglia nei vostri sogni Sono voi

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ma non siete me e lungo i viali non so pi첫 chi sono.

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L’Irrequieto numero Rivista Letteraria

embrione

Associazione Culturale L’Irrequieto Firenze - Paris


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