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La scrittura filosofica come ambiente emotivo sicuro al tempo del CoViD-19

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Parole silenziose

Parole silenziose

Beatrice Anderlini 1

“Ogni momento della vita emotiva, […], è una modalità, di relazione, di equilibrio o squilibrio, tra lo spirito e la vita.” Max Scheler, Il valore della vita emotiva

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“L’arte di scrivere consiste nel far dimenticare al lettore che ci stiamo servendo di parole.” Henri Bergson, conferenza L’anima e il corpo

Il lavoro filosofico si deve mettere sempre alla prova con la realtà e l’attualità.

In un momento storico dove un virus come il CoViD-19 ha letteralmente stravolto la vita di ogni singolo individuo, c’è l’urgenza di preservare il nostro vissuto, ovvero le nostre emozioni. Così la scrittura filosofica si rivela essere, nei giorni dell’isolamento, uno strumento d’aiuto per intraprendere un percorso di comprensione su ciò che si “sente”, si pensa e si vive nell’adesso.

Il silenzio della pagina bianca si rispecchia nel silenzio delle città. Si! Le città sono silenziose al tempo del CoViD-19, ma un silenzio che fa rumore. Gli abitanti del quartiere si raccontano le loro giornate dalle finestre, escono sul balcone e osservano il palazzo di fronte, iniziando discorsi per ore ed ore…si vivono emozioni! Ma quelle emozioni non possono essere portate via dal vento della giornata che sta per finire, “Le emozioni designano il paesaggio della nostra vita spirituale e sociale. Come <<sommovimenti geologici>> che un viaggiatore può scoprire in un paesaggio, dove in precedenza si poteva scorgere una superficie piatta, le emozioni lasciano un segno nelle nostre vite rendendole irregolari,

incerte, imprevedibili”, come afferma Martha C. Nussbaum nell’opera “L’intelligenza delle emozioni”. In quella pagina bianca bisogna provare a fissare le nostre emozioni, descriverle per portarle con noi un domani. Il silenzio della pagina bianca inizierà a parlare delle nostre emozioni vissute. Lo stupore, la collera, l’aggressività, la paura, l’angoscia, il fastidio, l’esasperazione, la gioia, il piacere-soddisfazione, il dispiacere, la vergogna, la tristezza hanno bisogno di un “ascolto comprensivo”, ovvero quella capacità di essere in grado di riprendere e riassumere ciò che abbiamo “sentito”. Il volto dell’altro, affacciato alla finestra, è l’esteriorità che si presenta con le caratteristiche dell’umiltà, della sobrietà e della vulnerabilità, così come umili e vulnerabili sono le sue emozioni. La scrittura filosofica, come ambiente emotivo sicuro, è un’idea per ascoltarsi ed ascoltare, uno spazio privato, ma ricco d’immagini vissute insieme. In questo periodo, caratterizzato dall’irruzione nella nostra esistenza di qualcosa di imprevisto come lo è una pandemia, ogni giorno sembra uguale all’altro, ma non è così, “nulla accade due volte né accadrà […]. Non c’è giorno che ritorni, non due notti uguali, né due baci somiglianti, né due sguardi tali e quali”, come recitava la poetessa polacca Wislawa Szymborska. L’imprevisto ci tiene in ostaggio, ci inquieta, sta diventando la nostra ossessione, sta rimettendo in gioco le nostre convinzioni, idee, emozioni. Così dal momento che l’eccomi dell’imprevisto rappresenta un vero disorientamento esistenziale, la scrittura filosofica deve essere di aiuto come esperienza ed esercizio, per condurre un attento lavoro di comprensione del nostro stato emotivamente e esistenzialmente connotato. Foucault sosteneva che la scrittura intesa come esperienza, è allo stesso tempo una sperimentazione, poiché la persona che vi si implica non sa a priori, dove tale esperienza lo condurrà. Un processo mobile, che si pratica e crea ogni giorno. L’altro aspetto della scrittura filosofica su cui riflette il filosofo francese, è la scrittura come esercizio di sé su sé, strumento determinante per ciò che viene chiamato “soggettivazione del discorso”. La scrittura così, in quanto elemento fondamentale dell’ascesi filosofica non mira a strappare o svincolare il soggetto da se stesso, ma contribuisce alla sua positiva costruzione di soggetto in azione, un rapporto di sé con sé adeguato e completo il più possibile. Nella scrittura esercizio, la verità non si trova nell’avvenire, ma è lì, richiede lo sforzo di essere messa in pratica, diventando uno strumento per fronteggiare gli impresiti della vita. Una fusione dei modelli di scrittura presentati da Foucault, la fusione di esperienza ed esercizio, sarà determinante per mettere alla prova noi stessi, con i nostri limiti, le nostre emozioni e la nostra libertà. Per mettere nero su bianco la fisionomia delle emozioni vissute durante l’imprevisto CoViD-19, la loro urgenza e intensità, la loro tendenza ad assumere il controllo della personalità, spingendola all’azione con forza irresistibile; il loro rapporto con i legami importanti, in base ai quali la

persona definisce la propria vita; il senso di passività della persona di fronte ad esse; il loro apparente rapporto antagonistico con la razionalità intesa come freddo calcolo o analisi costi-benefici; lo stretto intrecciarsi di emozioni diverse, nell’ansioso alternarsi di speranza e paura, nel trasformarsi improvviso di speranza in dolore, nel dolore che cercando una causa si esprime come rabbia, nel fatto che tutte esprimono un amore di fondo; può essere di grande aiuto iniziare a scrivere utilizzando le metafore. Questa figura retorica che implica un trasferimento di significato, riesce a far sentire meno l’isolamento che si vive nelle nostre case al tempo del CoViD-19, in quanto anche questo sta assumendo per molti la connotazione di un virus velenoso e invalidante. Elisabetta Gola, nel suo “Che cos’è una metafora?”, ricorda che noi ricorriamo all’uso delle metafore nel momento in cui non riusciamo a parlare in modo letterale di situazioni emotivamente complesse: di fronte ad un lutto, ad una grave malattia. Una delle funzioni che più viene riconosciuta alle metafore è quella esegetica: quando non si comprende qualcosa, perché difficile o perché è nuova per noi, l’immagine metaforica ci aiuta a costruire nuove idee partendo da concetti analoghi che presentino le stesse proprietà. Così scrivere delle nostre emozioni utilizzando le metafore potrà creare una nuova connessione tra il nostro mondo interiore e il mondo che è fuori. La fase metaforica, rappresenta un primo momento del lungo cammino da percorrere per riscoprire se stessi e comprendere l’intelligenza emotiva: competenza e caratteristica per affrontare con successo la vita.

Scrivere delle nostre emozioni è un riflettere non solo su loro ma con loro, è un “dialogo di riflessione” per porre in luce quelle allusioni, vaghe e sfuggenti.

Pertanto nel confrontare e maneggiare le emozioni, a questo punto, fondamentale è non dimenticare la così detta domanda semantica del “Che cosa … significa per te?”, per vivere autenticamente la sincerità dell’emozione. Dare voce al “sentito”, trovare la parola giusta per fissarla sulla carta o su un foglio elettronico, significa applicare una sorta di riformulazione rogersiana: ridire con un altro linguaggio, in maniera più conscia e chiara ciò che si prova. Per far tutto questo bisogna mettere al primo posto la fiducia, affidarsi al proprio vissuto e non temerlo. La riformulazione, in questo caso la riscrittura, permetterà alla persona di veder apparire un nuovo significato dei suoi stati soggettivi, ritrovandosi al centro del significato stesso, riconoscendo ciò che è fondamentale per sé.

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