All’origine della cura
Homo viator
Dall’accoglienza dei primi pellegrini agli Ospedali Maggiori
Dall’accoglienza dei primi pellegrini agli Ospedali Maggiori
Dall’accoglienza dei primi pellegrini agli Ospedali Maggiori
Presentazione di Stefano Zamagni
Nelle edizioni Itaca
Luciano Sabolla
All’origine della cura
Pauper Christi. Assistenza e sanità tra Medioevo ed Età moderna
Luciano Sabolla
All’origine della cura 2
segno concreto progenie. immortale al ricordo. Sicuramente. stampa di un libro. rilegata, ha qualcosa di affascinante. impresso, probabilmente resterà appassionati.
Homo viator. Dall’accoglienza dei primi pellegrini agli Ospedali Maggiori
Volumi promossi dal Banco Farmaceutico
Nicolò, socio in questo progetto, di realizzare questo mio sogno. lui per aver “sposato”
Immagine di copertina
Particolare delle vetrate della Cattedrale di Canterbury (Inghilterra) raffigurante pellegrini in viaggio. Dmitry Naumov/Shutterstock.com
Luciano Sabolla
All’origine della cura 2
Pietro Manganoni, Soldano, fornito la maggior parte delle pubblicazione. sostenuto soprattutto sempre che ancora prima di aver riservargli naturalmente.
Homo viator. Dall’accoglienza dei primi pellegrini agli Ospedali Maggiori www.itacaedizioni.it/origine-della-cura-2
Prima edizione: agosto 2023
© 2023 Itaca srl, Castel Bolognese Tutti i diritti riservati
ISBN 978-88-526-0761-5
Impaginazione grafica: Isabel Tozzi
Stampato in Italia da Modulgrafica Forlivese, Forlì (FC)
Col nostro lavoro cerchiamo di rispettare l’ambiente in tutte le fasi di realizzazione, dalla produzione alla distribuzione. Questo libro è stato stampato su carta certificata FSC‰ per una gestione responsabile delle foreste.
Utilizziamo inchiostri vegetali senza componenti derivati dal petrolio e stampiamo esclusivamente in Italia con fornitori di fiducia, riducendo così le distanze di trasporto.
Crediti fotografici
Luciano Sabolla 8, 9, 14, 80; Shutterstock.com: Nicola Pulham 13, PavleMarjanovic 17, Valerie2000 22, Monsieurboule 23, pixelshop 24, mjols84 28, Fotografia Gosia11 33, Ivan Soto Cobos 35, joserpizarro 38-39, Maurizio De Mattei 42a, Roberto Cerruti 42b, Bertl123 42c, doom.ko 42d, maforche 42e, Viacheslav Lopatin 45a, gary yim 45b, saiko3p 53, Marco Taliani de Marchio 57, Miti74 59, SimonePolattini 61, AerialVision_it 62, SerFeo 71a, Giambattista Lazazzera 71b, Marco Taliani de Marchio 87, Fabio Caironi 99; © Byzantium 1200 31; ©Abbaye de Saint-Maurice/Thematis/Archéotec phot. 44; in A. Maiuri, (1921). L’ospedale dei Cavalieri a Rodi. Bollettino d’arte del Ministero della Pubblica Istruzione, 5, p. 213 52; Wikimedia Commons: Baldiri 68, Sailko 83, Josep Renalias 84, Elisa.rolle 96; in J. Tenon, Mémoires sur les hôpitaux de Paris, Ph.D. Pierres, Paris 1788 93; The Metropolitan Museum of Art, New York: The Cloisters Collection, 1962 102103; in G. Campobasso, Testimonianze di culto iacopeo e cateriniano in Albania ed una poco nota direttrice di pellegrinaggio: la chiesa di Shën Barbullës (S. Barbara) a Pllanë, Ad Limina, Volumen 3, N.º 3, 2012, Santiago de Compostela, p. 49 37; Jahansen Krause 90; Archivio Itaca 21, 26, 27, 29, 30, 47, 48.
L’editore rimane a disposizione di eventuali aventi diritto che non è stato possibile identificare o contattare.
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Saluto con simpatia la pubblicazione che il lettore ha per mano. Il libro di Luciano Sabolla narra una storia avvincente quanto poco conosciuta, quella di come sia nata, a partire dal IV secolo, e poi si sia andata evolvendo, l’attività di assistenza e cura. Occorre veramente essere grati all’Autore per il dono di un saggio che, con non comune maestria espositiva, ci fa comprendere come l’attenzione alle plurime situazioni di bisogno e di sofferenza fosse espressione diretta della carità cristiana e non già di un generico sentimento di natura filantropica. Duplice il pregio, cui va un convinto plauso, di questo scritto. Per un verso, per l’originalità dello stile espositivo e per l’accurata ricostruzione storica delle vicende prese in considerazione. Per l’altro verso, per il messaggio che esso ci trasmette, un messaggio che oggi è (forse) ancora più rilevante che non nel passato. Vedo di chiarire.
Perché la società odierna ha urgente necessità che soggetti come quelli qui narrati possano moltiplicarsi e rafforzarsi? Perché v’è bisogno che il principio del dono come gratuità venga restituito alla sfera pubblica. Sappiamo, infatti, che la cultura donativa è uno dei presupposti indispensabili affinché Stato e mercato possano funzionare in vista del bene comune. Senza pratiche estese di dono si potranno anche costruire un mercato efficiente e uno Stato autorevole (e perfino giusto), ma non si riuscirà a risolvere quel “disagio di civiltà”, di cui parla Sigmund Freud nel suo saggio famoso. Due, infatti, sono le categorie di beni di cui ogni persona avverte la necessità: beni di giustizia e beni di gratuità. I primi — si pensi ai beni erogati dal welfare state — fissano un preciso dovere in capo a un soggetto — tipicamente l’ente pubblico — affinché i diritti dei cittadini su quei beni vengano soddisfatti. I beni di gratuità, invece, fissano un’obbligazione che discende dal legame che ci unisce l’un l’altro. Infatti, è il riconoscimento di una mutua ligatio tra persone a fondare l’ob-ligatio. E dunque mentre per difendere un diritto si può, e si deve, ricorrere alla legge, si adempie ad un’obbligazione per via di gratuità reciprocante. Mai nessuna legge potrà imporre la reciprocità e mai nessun incentivo potrà favorire la gratuità. Eppure, non v’è chi non veda quanto i beni di gratuità siano necessari per il bisogno di felicità che ciascun uomo si porta dentro. Efficienza e giustizia, anche se unite, non bastano a renderci felici.
Il Novecento ha cancellato la terziarietà nella sua furia costruttivista. Tutto doveva essere ricondotto o al mercato o allo Stato o tutt’al più ad un mix di queste due istituzioni basilari a seconda delle simpatie ideologico-politiche dei vari attori societari. È oggi ormai acquisito che il modello bipolare “stato-mercato” ha terminato il suo corso storico e che ci si sta avviando verso un modello di ordine sociale tripolare: pubblico, privato, civile.
Una conferma significativa ci viene dalla riforma del 2001 del Titolo V della nostra Carta Costituzionale, laddove all’art. 118 viene introdotto esplicitamente il principio di sussidiarietà e si afferma che anche i singoli cittadini e le organizzazioni della società civile hanno titolo per operare direttamente a favore dell’interesse generale, senza dover chiedere generiche autorizzazioni.
La modernità si è retta su due pilastri: il principio di eguaglianza, garantito e legittimato dallo Stato; il principio di libertà, reso possibile dal mercato. La post-modernità ha fatto emergere l’esigenza di un terzo pilastro: il prendersi cura, che pone in pratica il principio di fraternità. Non è capace di futuro la società in cui si dissolve il principio di fraternità. Non può progredire quella società in cui esiste solo il dare per avere e il dare per dovere.
Ha scritto Antoine de Saint Exupery: «La perfezione non si raggiunge quando non c’è più nulla da aggiungere, bensì quando non c’è più nulla da togliere». In questo saggio di Luciano Sabolla non c’è nulla da togliere!
Il piacere provato nel 2020 alla pubblicazione, pochi giorni prima di Natale, del mio libro All’origine della cura fu progressivamente attenuato dagli interrogativi che il primo biennio di ricerca faceva lentamente emergere nella mia mente riguardo al contesto culturale che aveva favorito la creazione dei primi ostelli, i cosiddetti xenodochi per pellegrini in Medio Oriente e la loro diffusione in Italia e in Europa.
Per tutto l’alto Medioevo e i primi secoli del basso Medioevo queste strutture caritative dedicate per spirito cristiano all’accoglienza dei viaggiatori in transito, ma anche al soccorso delle persone in stato di precarietà, furono anche indicate con altri termini tra loro intercambiabili: ostelli, ospizi, hotel, ospedali, sulla base della medesima radice hospes, termine latino che significa ospite.
Interessato ad arrivare alla radice dell’assistenza e della cura, ho studiato anzitutto il fenomeno sociale della mobilità, quel flusso di viaggiatori in continua crescita dal IV secolo in poi, anticamente formato da pellegrini devoti, poi dopo l’anno Mille sempre più da soggetti economici.
Un protagonista attorno al quale tutto si è sviluppato si può quindi pensare che sia stato l’homo viator, il viandante mediorientale ed europeo, che infaticabilmente si spostava lungo le vie di comunicazione di allora per motivi religiosi o per esigenze secolari.
Proseguendo quindi nello studio della storiografia della carità tardoantica e altomedievale, ho avuto la sorpresa di apprendere che i primi ospedali basati sulla diagnosi della malattia e sul conseguente specifico trattamento — una rivoluzione rispetto alla tradizionale pratica divinatoria fino ad allora in uso nei luoghi sacri alla divinità pagana di Asclepio — furono istituiti all’interno di cittadelle cristiane del vicino Oriente comprendenti anche la chiesa, la dimora del clero dedicato ai servizi religiosi e alla cura dell’utenza disagiata e altri edifici caritatevoli di utilità sociale.
Mi riferisco alla Basiliade fondata da san Basilio Magno nella seconda metà del IV secolo poco fuori le mura della Cesarea romana in Cappadocia e al complesso religioso-ospedaliero di Sansone, istituito in Bisanzio durante il V secolo e potenziato dopo la ristrutturazione voluta dall’imperatore Giustiniano (527-565).
Ho iniziato a scoprire anche alcune delle motivazioni profonde che furono alla base del concorde impegno di regnanti, laici e chierici nell’avvio di opere pie e nel mantenimento del loro funzionamento: la prefigurazione del giudizio finale descritto al capitolo 25 del Vangelo di Matteo; l’approfondimento teologico in sede monastica della SS.ma Trinità e della figura di Gesù Cristo riflessa nell’uomo destabilizzato dalla malattia o dall’estrema indigenza; il magistero penitenziale di san Francesco unito alla coscienza escatologica dei cristiani medioevali;
l’inserimento in tutte le regole monastiche dell’invito ad accogliere e soccorrere i bisognosi e i malati poveri presso le abbazie e le canoniche; la primaria richiesta popolare di salute e di sicurezza sociale…
Si verificò poi il trasferimento dei modelli organizzativi di assistenza e soccorso dalle sponde sud-orientali del bacino mediterraneo alla penisola italiana e Oltralpe per la combinazione di svariate circostanze storiche: la persecuzione iconoclasta nel mondo bizantino, che fece emigrare i monaci orientali nel Meridione italiano; il respingimento oltremare dalle regioni italiane centro-meridionali delle truppe di Bisanzio ad opera dei Longobardi; il primato del vescovo di Roma facilitato dalla precedente rinuncia al titolo di Pontifex Maximus da parte dell’imperatore Graziano; l’alleanza della Chiesa latina con i Normanni; il fenomeno delle crociate in Medio Oriente, nella penisola iberica e nel nord Europa; l’espansionismo ottomano nel bacino mediterraneo e la caduta di Acri in Medio Oriente; lo Scisma d’Oriente del 1054; l’autonomia della Chiesa latina dall’imperatore germanico; l’esperienza autonomistica dei Comuni dopo il fallimento del dominio imperiale degli Hohenstaufen, che aveva lasciato spazio all’iniziativa dei laici religiosi anche nel campo solidaristico; la prorompente affermazione nella vecchia Europa del regno carolingio, fortemente sostenuto dalla Chiesa; il declino di Costantinopoli, prima saccheggiata dai Crociati (1204), poi definitivamente sottomessa al dominio islamico (1453).
Per tutte queste contingenze oggi possiamo osservare a posteriori la progressiva evoluzione dell’assistenza caritativa mediorientale con la trasformazione in Occidente degli ostelli per l’utenza di strada in piccoli ospedali a conduzione familiare, superati nel Quattrocento dai grandi nosocomi intra-urbani medicalizzati.
Hanno mantenuto attiva questa capillare rete di ospedali e opere pie, nei secoli di mezzo, le esenzioni tributarie assicurate dalle amministrazioni civiche; le costanti donazioni da parte di privati cittadini di natura finanziaria, agricola e immobiliare; la raccolta di elemosine organizzata dalla Chiesa cattolica, in maniera eclatante con i Giubilei.
Un patrimonio di soluzioni sociologiche, architettoniche, mediche, chirurgiche e farmaceutiche che non può essere ignorato soprattutto da chi vive in Italia, il Paese che maggiormente si è distinto nella storia e ancor oggi si distingue per solidarietà e volontariato.
Dedico questo libro a mia moglie Cristina R.K., per la stima con cui ha costantemente sostenuto la mia ricerca.
Con il termine “galaziana” si intende la regione attorno all’attuale città di Ankara.
Quando san Paolo scrisse la lettera ai Galati si riferiva agli abitanti di quella regione.
Non appena l’imperatore Costantino legalizzò la religione cristiana con l’Editto di Tolleranza, nel 313 d.C., i fedeli che abitavano in Medio Oriente cominciarono a muoversi per andare a visitare in Palestina le località descritte dai Vangeli e in Egitto i luoghi santi vetero-testamentari, dando inizio al fenomeno popolare più caratteristico del Medioevo: il pellegrinaggio devozionale cristiano.
Per favorire i faticosi viaggi dei pellegrini, dal momento che san Paolo aveva riconosciuto nella premura per l’ospitalità un imprescindibile requisito per eleggere vescovo un battezzato (1 Tim 3,2), il Concilio di Nicea nel 325 stabilì che ogni presule a fianco del proprio duomo dovesse istituire un ospizio in cui i viaggiatori potessero riposarsi, alloggiare ed essere curati nel caso si fossero ammalati o feriti.
Le pie strutture sorte nel IV secolo per l’accoglienza dei forestieri di passaggio, con funzioni se necessario anche di infermeria, vennero dette xenodochi, case per gli stranieri. In esse trovarono soccorso anche i poveri, in riferimento alla concezione biblica1 ed evangelica dei “poveri in spirito”2.
La virtù dell’ospitalità si configura per i cristiani come opera di misericordia omnicomprensiva, dal momento che riunisce in sé più precetti evangelici: offrire del cibo agli affamati e dell’acqua agli assetati, rivestire gli ignudi, alloggiare i forestieri e curare gli infermi.
Il nascente sistema di xenodochi cristiani si impose fin da subito come una delle infrastrutture più importanti della società tardo-romana, al punto da indurre Flavio Claudio Giuliano l’Apostata, ultimo imperatore pagano (361-363), a ordinare con l’Epistola 84 al sacerdote Arsacio di istituire in ogni città galaziana degli ambienti per gli stranieri e per i soggetti indigenti, ritenendo che «sarebbe vergognoso che, mentre i Giudei non hanno mendicanti e mentre gli empi Galilei [si riferiva ai Cristiani] sfamano, oltre ai loro, anche i nostri, venisse fuori che noi non assistiamo nemmeno i nostri»3.
1 Già i devoti della comunità essena di Qumram (attiva nel deserto della Giudea dal 130 a.C. fino al 68 d.C.) nei loro “rotoli” si autodefinirono come «i poveri in spirito», o «i poveri della grazia» o «i poveri della tua redenzione» o semplicemente «i poveri». Vedi J. Gnilka, Il Vangelo di Matteo, I, Paideia, Brescia 1990, p. 189.
2 La prima affermazione tra le Beatitudini evangeliche proclama: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3).
3 G. Negri, L’Imperatore Giuliano l’Apostata, Ulrico Hoepli, Milano 1902, p. 161. https://www.gutenberg.org/files/37986/37986-h/37986-h.html Ebook n. 37986.
Per gestire questi primi ostelli vescovili si rivelarono particolarmente adatti i monaci basiliani, che nella propria Regola redatta da san Basilio (330-378), vescovo di Cesarea in Cappadocia, vedevano coniugata la vita contemplativa con l’impegno assistenziale a favore di pellegrini, orfani e persone sventurate di ogni categoria. Basilio non aveva concepito il monastero come separato dal mondo, ma integrato nel centro abitato e dotato di servizi di rilievo comunitario.
Dopo la sua precoce scomparsa, il vescovo fu ufficialmente insignito dalla Chiesa dell’appellativo di Magno per il lavoro pastorale svolto e l’elaborazione teologica formulata nell’ambito del gruppo anatolico dei Padri della Chiesa, ma anche perché aveva fatto edificare — di tasca propria — una cittadella di assistenza e cura su base caritativa alla periferia di Cesarea, la Basiliade, comprendente un ospedale, un cenobio per i monaci basiliani, la chiesa, uno xenodochio con relative stalle per i cavalli, un ricovero per i poveri e gli anziani soli, gli alloggi per gli artigiani e, separatamente, un lebbrosario4.
Per la sostenibilità funzionale dell’opera religioso-assistenziale intervenne l’imperatore Valente (364-378), che già aveva donato alla Chiesa di Cesarea il terreno per edificare l’opera.
L’ospedale di Basilio si distinse dalla stoà, l’edificio sacro dedicato al dio Asclepio5 Esculapio nel mondo latino — nel quale venivano ammessi i malati e i feriti a dormire per una notte sotto la protezione della divinità (cosiddetta fase di incubazione) per riferire il giorno dopo i loro sogni al sacerdote che, come terapia, li indirizzava alle attigue acque termali o alla palestra.
4 R.L. Wilken, I primi mille anni. Storia globale del cristianesimo, Einaudi Ed., Torino 2013, pp 178-181.
5 Il più rinomato tempio di Asclepio nell’antica Grecia fu quello di Epidauro, associato a un grande edificio, poco distante, di accoglienza per i malati, i feriti e i loro accompagnatori.
Sotto e nella pagina seguente: resti archelogici della stoà nell’Asclepeion di Epidauro (IV secolo a.C.). Fronte meridionale delle due ali accostate.
Luciano SabollaNato a Voghera (PV), si è laureato a pieni voti in medicina e chirurgia all’Università Statale di Milano nel 1975. Ha lavorato a tempo pieno per 35 anni all’Istituto Villa Marelli (Ospedale di Niguarda) dapprima in qualità di medico tisio-pneumologo poi, dopo la seconda specializzazione in radiologia, impegnandosi specificatamente nel campo diagnostico rinnovando l’Imaging della struttura.
Volontario dal 2002 dell’associazione no profit Banco Farmaceutico, scopre con una propria indagine la storia della Confraternita Santa Corona, che dalla fine del XV secolo soccorreva gli infermi poveri di Milano con il supporto medico e la gratuita dispensazione di rimedi medicamentosi preparati nella spezieria del sodalizio. La ricerca è stata utile a Philippe Daverio per creare un videoclip, di promozione della Giornata di raccolta farmaci, che per sfondo ha l’affresco Incoronazione di Spine di Cristo commissionato nel 1522 a Bernardino Luini per la sala capitolare della nobile compagnia (oggi Aula Leonardi dell’Ambrosiana).
Il successo del video sui social e l’imminenza del XX anniversario dall’avvio del Banco Farmaceutico (2022) ha ispirato l’Autore ad estendere lo studio ad altre strutture caritatevoli di assistenza e cura nel periodo compreso tra Medioevo e Rinascimento. Ne è scaturito il quadro panoramico relativo all’Italia e al Vecchio Continente esposto nel primo libro All’origine della cura. Pauper Christi. Assistenza e sanità tra Medioevo ed Età moderna, edito da Itaca nel dicembre del 2020.
La modernità si è retta su due pilastri: il principio di eguaglianza, garantito e legittimato dallo Stato; il principio di libertà, reso possibile dal mercato. La post-modernità ha fatto emergere l’esigenza di un terzo pilastro: il prendersi cura, che pone in pratica il principio di fraternità. Non è capace di futuro la società in cui si dissolve il principio di fraternità. Non può progredire quella società in cui esiste solo il dare per avere e il dare per dovere.
Mai nessuna legge potrà imporre la reciprocità e mai nessun incentivo potrà favorire la gratuità. Eppure, non v’è chi non veda quanto i beni di gratuità siano necessari per il bisogno di felicità che ciascun uomo si porta dentro. Efficienza e giustizia, anche se unite, non bastano a renderci felici.
Stefano Zamagniitacaedizioni.it