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Miki Biasion

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Lanciavamo

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Miki Biasion una vita di corsa bruciando i… tempi

Il due volte campione del mondo rally racconta la sua passione nata fin da quando era bambino: a 9 anni scalava già le prime marce con la Renault 4, poi le gare in moto e quindi l’inizio della sua carriera in auto. L’amicizia con il suo navigatore Tiziano Siviero nata al liceo e rimasta tale nonostante le discussioni

■ Miki Biasion da sempre va di… corsa! Al volante, sulle strade dei vari continenti, dove ha conquistato 17 gare iridate e, soprattutto, due titoli mondiali, ancor oggi l’unico italiano ad avere centrato il prestigioso obiettivo. E giusto 35 anni fa coglieva, insieme con l’inseparabile navigatore Tiziano Siviero, il primo successo al Rally di Montecarlo. “Purtroppo è passato tutto quel tempo – esordisce il pilota bassanese, classe 1958 - Una vittoria prestigiosa anche se non era una delle gare che amavo di più. Però, abitando alle pendici del Monte Grappa, fin da giovane, appena nevicava, mi divertivo a provare le strade e questo mi ha dato una grandissima sensibilità sulla neve. Il Montecarlo era una delle poche corse che presentava quelle condizioni ed io ero l’italiano che si avvicinava di più ai nordici, gli specialisti sulla neve, ma me la cavavo poi egregiamente anche sull’asfalto. Già l'anno prima ero andato vicino al successo, mancato a causa di un problema meccanico nel finale. Il Montecarlo è tra i rally più famosi al mondo, reso celebre anche da film come “Un uomo e una donna” con JeanLouis Trintignant, che interpreta un pilota automobilistico. E poi la cornice è straordinaria senza contare il fatto che le premiazioni si tengono a Palazzo: conservo ancora le foto con il principe Ranieri ed il figlio Alberto”. Un viaggio indietro nei ricordi fino ad arrivare dove tutto è iniziato: “Fin da bambino adoravo tutto ciò che aveva a che fare con i motori e le automobili, basti pensare che in tutte le foto dell’epoca ho sempre una macchinina in mano – rac-

conta Biasion – E dire che i miei genitori non erano assolutamente appassionati. Io, però, avevo qualcosa dentro. Agli esami di quinta elementare c’era un concorso di disegno e io cosa ho ritratto? La Mini Minor che aveva vinto il rally di Montecarlo! Vuol dire che era nel mio destino. A 9 anni con un Renault 4, di nascosto, nel piazzale del supermercato dei miei genitori, provavo ad ingranare la prima e la seconda cercando di far slittare le ruote. Poi mi regalarono un go-kart ma, invece di aspettare a provarlo in pista, mi misi al volante nelle stradine di campagna con il risultato di scontrarmi contro un trattore! Seguì un bel castigo e niente più auto fino alla maggiore età”. Miki ripiega così sulle due ruote: “Ho vinto il Campionato triveneto delle 250 e mi sono classificato secondo in Italia della classe 50 tanto da diventare pilota ufficiale dell’Aprilia. Io, però, non vedevo l’ora di guidare le auto anche perché non avevo, come si dice “le phisique du rôle” per le moto: dalla mia avevo la regolarità, ma poi iniziavo ad accusare la stanchezza in gara”. E arrivano finalmente i 18 anni: “La mia prima macchina è stata la mitica Renault 4, poi ho dovuto aspettare quasi i 20 anni per iniziare a gareggiare. Bisognava infatti avere almeno un anno di patente per ottenere la licenza di pilota. Ed ecco allora l’Opel Kadett gte, con cui mi sono fatto subito notare arrivando secondo nel Campionato triveneto e vincendo il titolo italiano come pilota esordiente. Entro così nella squadra Opel Conrero assieme a Tizziano Siviero”. E da lì brucia le tappe: nel 1983 vince il Campionatato europeo rally e quello italiano con la Lancia Rally 037 del Jolly Club. “L’anno successivo Cesare Fiorio mantiene la promessa che mi aveva fatto e mi permette di partecipare a diverse gare del mondiale anche se non vestivo ancora i colori della Martini Racing. In ogni caso, tutto è stato molto rapido e credo di essere stato anche fortunato perché ci sono tanti piloti bravi che non riescono invece ad emergere”. Al fianco di Biasion c’è Tiziano Siviero: “Siamo stati compagni di liceo – svela – ed anche lui era un grande appassionato di corse, soprattutto come organizzatore. A 18 anni aveva già messo in piedi il Trofeo dei rally… abusivi, però aspettava soltanto di “regolarizzare” la sua posizione e così è diventato il mio navigatore. In realtà siamo come fratelli, pur essendo diversi di carattere. É stato sempre schivo e, in occasione delle interviste, mandava avanti me: a lui piaceva essere protagonista in macchina. Poi, abbiamo avuto tantissime discussioni tanto che una volta scese addirittura dall’auto. Però siamo stati assieme per 18 stagioni, 330 giorni all’anno!”.

- Ma non avete mai pensato di invertire i ruoli?

“No davvero: soffro il mal di macchina e non potrei mai leggere le note”. Nel frattempo, nel 1986, Miki è pi-

lota ufficiale Lancia con la Delta S4, con cui vince in Argentina la sua prima gara iridata, in un anno funestato da gravi incidenti mortali. La stagione successiva sfiora il titolo mondiale, perso all’ultima gara a cui non può partecipare per cosiddette ragioni di squadra che premiano Kankkunen, ma nel 1988 e 1989 ecco che il sogno diventa realtà: per ben due volte sale sul tetto del mondo. “Ho sfiorato il terzo titolo nel ’93, quando ero passato alla Ford, perdendolo nelle ultime tre prove in calendario per problemi meccanici. Quell’anno ho vinto la mia ultima gara iridata, l’Acropoli in Grecia e poi nel 1994 ho deciso di smettere”. Ma non di correre perché nel 1998 e 1999 si aggiudica la coppa FIA tout TERRAIN cambiando però mezzo: “Guidare i camion è fantastico e sono molto più competitivi e divertenti di quello che comunemente si pensi”. E ci sono poi i raid, come la Parigi – Dakar, molto differenti dalle corse a cui era abituato: “Nei rally un bravo pilota fa la differenza al 70% - spiega – mentre in gare estenuanti come quella africana è il navigatore che conta per vincere: in pratica, si invertono i ruoli”. Oggi Biasion è brand ambassador per una serie di aziende, tra cui la Eberhard, sponsor della recente Winter Marathon, che lo ha visto anche in gara: “In queste competizioni non guardo certo alla classifica ma a divertirmi e a far divertire il pubblico. E’ anche vero che mi è rimasto quello spirito agonistico che mi ha sempre contraddistinto fin da ragazzino, qualsiasi sport praticassi, a cominciare dallo sci che mi aveva visto ottenere buoni risultati. Non ci penso, però, di tornare a correre i campionati magari per auto storiche: ho già dato e per me non avrebbero senso”.

- Come è invece Miki al volante sulle strade di tutti i giorni?

“Devo dire che sono attento e rispettoso delle regole anche perché spesso vado nelle scuole a far lezione di educazione stradale e non sarebbe corretto che poi non mettessi in pratica quello che insegno. Devo confessare, tuttavia, che quando mi trovo davanti uno che va troppo piano non vedo l’ora di sorpassarlo”. Adesso però scalpita in vista della seconda edizione del Rally mee-

ting, organizzato in Fiera a Vicenza i prossimi 19 e 20 febbraio. “Abbiamo voluto farlo a tutti i costi – ci dice – nonostante alcune fiere siano state annullate a causa dell’emergenza sanitaria. Io sono un’ottimista di natura e per questo sono fermamente convinto che, rispettando determinate regole, si possa continuare a vivere. Mi auguro che la gente venga numerosa a trovarci in quello che io ho definito una sorta di villaggio globale. E’ un evento che vuole avvicinare i neofiti ed accompagnarli in un viaggio virtuale facendo scoprire l’universo dei motori per ritrovare la voglia di correre. Purtroppo in questo momento i piloti italiani non stanno raccogliendo le soddisfazioni che meriterebbero e si è un po’ abbassato il livello. Bisogna tornare ad essere protagonisti anche a livello mediatico in modo che si abbia un ritorno degli investimenti. Tutto quello che si sperimenta nelle specialità motoristiche viene, infatti, poi portato nel settore auto come innovazione, tecnologia e quanto altro voglia dire progresso. Adesso nei rally correranno le auto ibride a dimostrazione di questa ricerca verso il futuro e la sostenibilità”.

- Ma cosa consiglierebbe ad un giovane che sogna la sua carriera?

”E’ una carriera difficile perché purtroppo l’automobilismo sportivo ha dei costi elevati, di conseguenza ci vogliono dei budget o degli sponsor importanti. Intanto, rinnovo a tutti i ragazzi l'invito a venire, in Fiera a Vicenza, al Rally meeting dove potranno respirare l’atmosfera dei motori a 360° gradi prendendo confidenza ed imparando a conoscere quell’universo dove, un giorno, auguro ad alcuni di loro di poter arrivare”.

- Dopo Miki Biasion e Tiziano Siviero non ci sono più stati altri campioni del mondo italiani. Come lo spiega?

“Me lo chiedo anche io: abbiamo avuto tanti piloti bravi, penso ad esempio a Bettega o Galli, che hanno conquistato tante gare, ma non sono riusciti a concretizzare l’impresa. Forse dipende da una questione di mentalità. Io pensavo molto al campionato del mondo dove contano una serie di fattori. Bisogna innanzi tutto vincere, però anche portare a casa punti in quelle prove in cui sai di non essere competitivo come vorresti”.

- E la paura?

“Un pilota deve avere paura, è una sorta di stato d’animo per non andare oltre i propri limiti. Poi ci sono gli spaventi, che sono un’altra cosa: li prendi, ma guardi subito avanti. E quando si corre pensi che l’incidente grave capiti soltanto agli altri anche se io non dimenticherò mai le immagini degli amici e colleghi morti in gara”.

- La sua corsa del cuore?

“Adoravo il Rally Safari in Africa, una prova lunghissima ed estenuante: quando la vincevi la soddisfazione era immensa”.

- Il pilota a cui si è ispirato?

“Sandro Munari. Ricordo come se fosse stato ieri quando lo vidi per la prima volta in piazza a Bassano, con la sua Lancia Fulvia, in occasione di una tappa di avvicinamento al rally di Montecarlo. Il mio maestro, però è stato Walter Röhrl. Amici tra i colleghi? Ai tempi del mondiale eravamo come un… circo: 12 piloti professionisti, che stavano sempre assieme, cene, viaggi. Così si formavano legami profondi. Poi, capitava anche di litigare come è successo con Kankunnen: adesso, invece, ci sentiamo almeno una volta al mese”. Ma Miki Biasion, non dimentichiamolo, tra le sue varie cariche, è anche vice presidente di ACI Vicenza: “Sono socio ACI da più di 40 anni ed intendo mettere a disposizione dei soci e dei futuri soci la mia esperienza di automobilista al fine di fare prevenzione e sensibilizzazione in materia di sicurezza stradale e del rispetto delle regole del codice della strada, che deve essere anche più adeguato alle caratteristiche delle vetture moderne. Inoltre, vorrei fare in modo che i neo patentati, accompagnati da istruttori, abbiano la possibilità di fare più esperienza su vari tipi di strade”.

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