T-Paper marzo 2014

Page 1


INDICE Arte e cultura: P. P. P. In arte Pif La città delle bestie “La vie d’Adèle”

Pag. 4/5 Pag. 6/7 Pag. 8/9 Pag. 10/11

Attualità La notte dei senza dimora Stato stupratore Berlusconi un esempio di vita? No, grazie

Pag. 12/13 Pag. 14/15 Pag. 16/17


News dall'Istituto: Vivere in Thailandia "Promettimi di non morire" "Passi verso l'altrove"

Sport:

Lo spettacolo della Champions Micheal, non mollare

Riflessioni:

23 Maggio 2013-19:41 Essere grandi Una notte scura

Pag. 18/19 Pag. 20/21/22 Pag. 23/24 Pag. 25 Pag. 26 Pag. 27 Pag. 28 Pag. 29


Vorrei che tutti leggessero, non per diventare letterati o poeti, ma perchè nessuno sia piÚ schiavo.

Gianni Rodari


C e e t r A

a r u ul t

P. P. P. Era il 2 novembre 1975; la voce si era sparsa in tutta Italia. “L’hanno ammazzato! Hanno ammazzato Pasolini!”. La tua voce si è spenta. Ora chi sarà capace di svelarci la verità? Chi sarà capace di smascherare le ipocrisie, i compromessi e le facili certezze? Chi ci farà pensare? Chi ci educherà alla coscienza civile? La tua voce si è spenta, ma io ti ricordo. Ti ricordo e voglio farlo ad alta voce. Voglio gridare. E voglio gridare ai giovani. Ai giovani destinati a esser morti, ai giovani infelici, ai ragazzi di vita, ai fascisti, ai comunisti, ai ragazzi della non Rivoluzione, ai ragazzi della Guerra Civile. E tu sai chi sono io. Sai che sono Gennariello. Sai che qualcuno ti ascoltava. E qualcuno apprendeva. E ho appreso che i compagni sono i miei veri educatori. Ho appreso che i genitori e la scuola fanno parte di un insieme organizzativo e culturale di diseducazione. Ho appreso che, qualora uno dei miei insegnanti mi avesse educato, non potrebbe averlo fatto che col suo essere, non col suo parlato. Col suo amore o con la possibilità di amore. E ho appreso con orrore il ruolo ormai decisivo della televisione che incarna la società dei consumi, che sta portando al conformismo i giovani. Ho appreso che lo sviluppo vuole la creazione, la produzione intensa, disperata, ansiosa e smaniosa di beni superflui, mentre il progresso vorrebbe la creazione, la produzione di beni necessari. Ho appreso la metafora del Palazzo, con la distinzione tra “dentro” (il potere) e “fuori” (il paese). Fuori dal Palazzo, scriveva Pasolini, un Paese di cinquanta milioni di abitanti sta subendo la più profonda mutazione culturale della sua storia (coincidendo con la sua prima vera unificazione: mutazione che per ora lo degrada e lo deturpa). Ho appreso che il giornalismo non informa sui fatti, o dei fatti, ma informa i fatti, come disse il filosofo Jacques Derrida. Ho appreso che la droga è un surrogato della cultura. La droga riempie il vuoto causato dal desiderio di morte che è un vuoto di cultura. Ho appreso che, per amare la cultura, occorre una forte vitalità. Perché la cultura è possesso: e niente come il desiderio di possesso necessita di una matta energia. Ho appreso che l’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione. Ho appreso che la serietà è la qualità di chi non ne ha altre.

04


Pier Paolo

Pasolini

Compare, sulle otto tessere della FGCI, questa frase che Pier Paolo Pasolini scrisse nello stesso anno della sua morte: “Siamo stanchi di diventare giovani seri, o contenti per forza, o criminali, o nevrotici: vogliamo ridere, essere innocenti, aspettare qualcosa dalla vita, chiedere, ignorare. Non vogliamo essere subito già così sicuri. Non vogliamo essere subito già così senza sogni.” E allora ridiamo. Ridiamo anche in questo triste giorno. Ridiamo di te, scrittore-regista, molto discusso e discutibile, un comunista poco ortodosso, un uomo poco di buono, un po’ come D’Annunzio. Ridiamo del qualunquismo perché mi hai insegnato anche questo. Mi hai insegnato che non bisogna temere nulla. Mi hai spinto a tutte le sconsacrazioni possibili, alla mancanza di ogni rispetto per ogni sentimento istituito, ma mi hai insegnato a non temere la sacralità e i sentimenti, di cui la società dei consumi ha privato gli uomini trasformandoli in automi. Mi hai insegnato a protestare con tutta la mia forza, anche sentimentale, contro il regresso e la degradazione, perché anche io, come te, ho la disgrazia di amare l’uomo. Mi hai insegnato a non rinunciare a niente, a rischio di risultare ridicolo. Mi hai insegnato a non lasciarmi tentare dai campioni dell’infelicità, della serietà ignorante. Mi hai insegnato ad essere allegro. Mi hai insegnato a splendere. Tu che sei stato massacrato per aver avuto il coraggio di splendere. Oriana Fallaci, piangendo la tua morte, disse: “Mi maltratterai ancora se dico che non eri un uomo, eri una luce, e una luce s’è spenta?”. Anna Comodo

05


C e e t r A

a r u ul t

In arte Pif Nasce a Palermo il 4 giugno del 1972, parliamo di Pierfrancesco Diliberto, meglio conosciuto come Pif. Attivo dal 1998 prima come aiuto regista di Franco Zeffirelli, poi, nel 2000, di Marco Tullio Giordana. Nel 2001 comincia un ruolo come autore di Candid & Video Show su Italia 1, e poi più attivamente - prima come autore poi come inviato - del programma “Le Iene”. Nel 2007 diventa vj per MTv, ed è proprio nello stesso anno che da' inizio ad un programma da lui diretto, "Il Testimone", tutt'ora in onda sempre su MTv. Con Il Testimone, Pif vuole dar spazio a quelle che sono le realtà vere e proprie, da lui riprese attraverso una telecamera, senza inibizioni. È proprio grazie al suo linguaggio semplice, alla sua capacità di attirare un pubblico di larga gamma, che Pif diventa un personaggio ben stimato da adulti e ragazzi di tutto lo stivale e non solo. A maggio del 2012, in commemorazione dei 20 anni dalla morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino pubblica il racconto "Sarà stata una fuga di gas" in "Dove Eravamo. Vent'anni dopo Capaci e Via D'Amelio". Molto vicino alle dinamiche italiane, Pif si cimenta come autore, regista e protagonista, nella realizzazione del film "La mafia uccide solo d'estate", nelle sale dal 28 Novembre 2013. Il film, prodotto dalla Wildside e ambientato in Sicilia, racconta l’educazione di un bambino, Arturo, che nasce a Palermo lo stesso giorno in cui Vito Ciancimino viene eletto sindaco. Ambientato in una realtà dove gli eventi più tragici della storia recente prendono luogo e dove,un ragazzino, poi giovane uomo, è costretto a fare i conti con il prepotere della mafia nella sua città.

06


In Arte

Pif

«A Palermo bisogna essere o bianchi o neri», racconta Pif nell’intervista a Oggi, «perché la mafia è grigia, ti trascina verso di sé… Ed è dappertutto: mentre giravo, mi sono reso conto che il posto dove giocavo a pallone da piccolo era proprio di fronte alla casa di Vito Ciancimino. Ciancimino riceveva Bernardo Provenzano, magari al boss è arrivata pure qualche pallonata…». Con un linguaggio molto semplice viene narrata la storia della mafia dalle sue primordiali origini. Senza effetti speciali, senza inibizioni e senza paura, Pif, ci trascina nella Sicilia corrotta dove solo l’omertà alimenta gli animi della gente. Vengono narrati i primi omicidi commessi dai mafiosi nei confronti di procuratori e giudici; sono molti i nomi di coloro che già durante gli anni ’90 iniziarono questa lotta incessante alla mafia. Molte sono le scene tratte da fatti di cronaca realmente trasmessi nelle TV italiane, molte sono le cose che ancora oggi è difficile spiegarsi e spiegare. La mafia era presente ieri, la mafia è presente oggi. Grazie a film come questi, forse, in futuro, ci risulterà più semplice spiegare come uomini rispettabili, padri di famiglia, mariti, e semplici innocenti siano stati ingiustamente uccisi. Questo film arriva a far comprendere quanto fatti come le stragi di Ciancimino e Via D’Amelio non vadano nascosti, ma vadano spiegati di generazione in generazione, perché la mafia non uccide solo d’estate. Valeria Cicatiello

07


C e e t r A

a r u ul t

LA CITTA’ DELLE BESTIE La città delle bestie è un romanzo scritto da Isabel Allende nel 2002. Il tempo in cui si svolge il racconto non è precisato, ma si suppone che tutti i fatti siano avvenuti nel giro di tre mesi. E’ ambientato in tre luoghi diversi: in una città della California, a New York e a Manaus, una cittadina del Brasile situata lungo il Rio delle Amazzoni. La storia narra di Alexander Cold un ragazzo italo-americano di quindici anni, che vive in California, dal carattere tranquillo, con la passione per la musica e per le scalate. Fin dall’inizio si scopre che la madre di Alex è affetta da un tumore e che per questo deve essere ricoverata in una clinica; durante il periodo in cui sua madre sarà ricoverata in clinica, Alex risiederà a New York dalla nonna Kate, una giornalista del International Geographic non molto incline al fatto di essere chiamata “nonna” ed avere Alex tra i piedi. Nonostante tutto, quando deve partire per un viaggio sul Rio delle Amazzoni decide di portare il nipote con sé. Kate deve redigere un articolo dove si parla della “Bestia” che riesce a paralizzare tutti con il proprio odore. Arrivati in Brasile, Kate ed Alex conoscono Cèsar e sua figlia Nadia, una ragazzina di tredici anni capace di parlare con gli animali e che diventa subito amica di Alex.

08


Isabel

Allende

Le descrizioni paradisiache e dettagliatissime, caratteristiche di Isabel Allende, hanno la capacità di incantare il lettore, portarlo a vivere in prima persona le varie vicende ed a sentire tutte le emozioni e reazioni che si potrebbero avere se si provasse veramente questo genere di avventura, cosa di non poco conto, visto che ormai sono pochi gli scrittori, che riescono a dare vita al romanzo. Personalmente, trovo questo romanzo affascinante (credo di averlo fatto capire) e la ricchezza di particolari presenti, mi porta ancora adesso a voler vedere i luoghi descritti. Fanno parte della spedizione anche l’antropologo Leblanc, un fotografo, la dottoressa Torres –il cui compito era quello di vaccinare tutti gli indigeni- e Mauro Carias. Per i personaggi comincia una lunga serie di avventure; provano anche loro l’odore paralizzante della “Bestia”, vengono attaccati da alcuni indigeni e scoprono che tra loro c’è qualcuno con l’intenzione di sterminare intere popolazioni di indigeni, per impadronirsi delle loro terre. Intanto, Alex fa la conoscenza dello sciamano Walimai, tramite Nadia e, mentre segue la nonna in giro per la foresta amazzonica, vive anche lui una serie di avventure, tra cui essere rapito dal popolo invisibile, scoprire il suo animale totemico e arrivare a vedere la città delle bestie, da cui riuscirà ad arrivare alla fonte di salvezza per sua madre. Gaion Andrea Elisa

09


C e e t r A

a r u ul t

“La vie d’Adèle” – Le meilleur film de l’année Appare il 24 ottobre 2013, su tutti i grandi schermi italiani, l'ultimo capolavoro francese del regista tunisino Abdellatif Kechiche: "La vie d'Adèle", vincitore della Palma d’oro al Festival del cinema di Cannes 2013. Sartre disse: "Lo sai, mettersi ad amare qualcuno è un’impresa. Bisogna avere un’energia, una generosità, un accecamento. C’è perfino un momento, al principio, in cui bisogna saltare un precipizio: se si riflette non lo si fa.” "La vie d'Adèle" vuole proprio raccontare di questa ardua impresa: l'impresa di amare, l'impresa di coltivare quell'illusione di eternità, indipendentemente dall’anatomia dei due personaggi coinvolti. Per questo motivo voglio ringraziare Kechiche, il quale non mi ha solo illustrato la vita di una sedicenne alle prese con le sue prime esperienze sentimentali, ma molto di più e mi chiedo se sia possibile creare qualcosa in più di quello che ho visto e sentito nelle tre intense ore di durata del film. Ringrazio Kechiche per la cura maniacale di ogni dettaglio, per le inquadrature appiccicate alla bravissima e giovanissima Adèle Exarchopoulos che, come degli innamorati, non ci fanno perdere mai di vista il nostro oggetto d'amore. Così osserviamo ogni dettaglio del suo corpo, del suo modo di atteggiarsi, di mangiare con la bocca aperta sporcandosi gli angoli di pomodoro, di tirare su il naso, di aggiustarsi i capelli che sono sempre un disastro. La vediamo mentre dorme, mentre accarezza e bacia la sua innamorata, mentre ha un orgasmo; possiamo catturare il suo sudore e la sua saliva. La vediamo mentre si lava, mentre piange e si dispera, mentre è a scuola, mentre lavora e veglia il sonno di quei bambini che tanto desidera avere un giorno. La vediamo assorta tra i suoi pensieri in quei banchi di scuola e dispersa, spaesata in quell'ambiente di artisti acculturati. La vediamo crescere lungo circa dieci anni della sua vita e da adolescente diventa donna. Così voglio ringraziare il regista per i dialoghi vivi tra i professori e gli alunni, i quali mi hanno fatto desiderare una scuola più umana e meno artefatta. E lo ringrazio anche per i silenzi tra Adèle ed Emma. Sì, perché l'amore non è fatto di parole, ma di baci, di sguardi, di brividi, di sudore. Un amore come quello delle due protagoniste ci sta stretto nelle parole, soffoca. Ed esplode nel sesso, in quel sesso tanto discusso dall’uomo medio cattolico che osa scandalizzarsi dinnanzi ad una scena di sesso tra due donne, definendola al limite del pornografico. Ringrazio il presunto voyeurismo di Kechiche, per avermi permesso di percepire quelle posizioni così faticose che chiedevano disperatamente ai corpi di superare i loro confini per fondersi in un sinolo. E ho potuto percepire quelle carezze che solo una donna può dedicarti, quelle carezze che ti fanno sentire protetto, che ti fanno pensare "se morissi ora, tra le sue braccia, non avrei paura; non avrei paura della morte, con lei". E ho percepito quella stretta di mano, quegli orgasmi soffocati, quelle bocche bagnate.

10


Ho percepito il sesso nel modo più vero, crudo e intenso. Ho percepito la bellezza dei corpi. E se tu che leggi fossi uno di quegli uomini medio-cattolici, ricordati che Pasolini sosteneva: "chi si scandalizza è sempre banale: ma, aggiungo, è anche sempre male informato". Adèle è solo con Emma, incrociata per la prima volta fugacemente in una strada di Lille, che riesce a colmare quel vuoto abissale nel quale l'uomo è calato. E sarà vero, eccitante e irreparabile. Kechiche ci accompagna in quel turbine dell’amore adolescenziale, ma anche nella scoperta della cultura, dell’arte, della filosofia, dei sogni e dei progetti più o meno ambiziosi. Emma studia Belle Arti e viene da una famiglia colta e benestante; alla loro tavola si mangiano ostriche, si bene del buon vino bianco, si parla d’arte e di bellezza. Adèle invece viene da una famiglia popolare, a casa sua si mangia una deliziosa e semplice pasta al pomodoro, in silenzio e con la televisione accesa; Adèle vuole diventare una maestra perché vuole insegnare ai bambini ciò che lei non ha imparato dai genitori, dagli amici, ma tra le mura di una scuola. I mondi delle due belle francesi sembrano gli antipodi e, ahimè, all'amore tocca anche scontrarsi con le differenze sociali che, pian piano, costringono Adèle ed Emma a separarsi. E, nell'assurdità della fine di un amore così intenso, si chiude la vita di Adèle, che dopo tre anni piange e si dispera come quell'ultima notte insieme. E continua a sopravvivere con la consapevolezza che il mondo non sarà più quello di prima. Si accende una sigaretta e, nel suo vestito blu, si porterà addosso il profumo indelebile di Emma. “L’amore è qualcosa di astratto e indefinibile. Dipende da noi, siamo noi a percepirlo e a viverlo. Se non esistessimo, non esiterebbe. E noi siamo così mutevoli. Quindi non può che esserlo anche l’amore. L’amore si accende, muore, si spezza, ci spezza. Ci ravviva. Forse l’amore non è eterno ma ci rende eterni”, scrive Julie Maroh nel romanzo a fumetti "Blue Is the Warmest Colour" dal quale "La vie d'Adèle" è ispirato.

Abdellatif

Kechiche

Anna Comodo

11


à t i l a u t At

La notte dei senza dimora

Parliamo di Treviso, centro storico-culturale del Veneto. A Treviso, ogni notte, ci sono decine di senzatetto che lottano contro il freddo, contro una società poco socievole e, principalmente, contro se stessi. Ogni martedì, dalle ore 18:30 alle ore 20:00, ed ogni domenica, dalle ore 18:30 alle ore 20:30, la Chiesa di San Martino accoglie i senzatetto offrendo loro vestiti, un piatto caldo e volontari pronti ad ascoltare e mettersi in gioco con loro. E’ questo che oggi voglio raccontare, e cioè il servizio che dal 29 ottobre ho intrapreso e che, poco a poco, mi sta facendo rendere conto di cosa accada sotto gli occhi di noi tutti senza che nessuno se ne renda conto. Ogni martedì ed ogni domenica la piccola Chiesa di San Martino, nel cuore di Treviso, accende i riscaldamenti, alcune volontarie si mettono ai fornelli, altri giovanissimi aprono il magazzino, e tutti sembrano far parte di una stessa comunità: dall’imprenditore al clochard. Dal 2011, ogni anno, viene organizzata “La notte dei senza dimora”: per una notte si dorme in piazza come atto di provocazione e solidarietà. L’iniziativa si ispira all’”Euro sleep-out”, manifestazione nata negli anni ’90, che culminava con una notte all’addiaccio. Quest’iniziativa ha tre scopi principali: informare i cittadini sulla reale situazione dei clochard eliminando i luoghi comuni, denunciare le mancanze e i problemi nell’assistenza, e per ultimo, ma non meno importante, avvicinare e condividere una realtà per comprenderla meglio. I senzatetto non sono persone tanto lontane da noi: sono padri di famiglia, sono amici, sono figli, sono uomini e donne. Prima di intraprendere il mio volontariato ho sempre pensato che fossero, perlopiù, immigrati, ma mi sbagliavo. 12


I volontari

di Treviso

Molti di loro sono semplicemente stati licenziati, costretti a vendere la casa e, dall’oggi al domani, si sono ritrovati in questa condizione. Alcuni mi hanno raccontato di come sia difficile combattere contro se stessi, cercare di rendersi comunque presentabili al resto della società e darsi da fare senza finire nel giro della droga per un facile guadagno. Tali realtà sono di difficile comprensione anche per i volontari che da diverso tempo seguono questa iniziativa. La mia denuncia non vuole puntare alla sensibilizzazione o, peggio, alla compassione di chi si trova in difficoltà; è una richiesta di aiuto. Avete dei telefoni cellulari vecchi, messi in un mobile a prendere polvere? Bene, c’è chi aspetta una telefonata per una proposta di lavoro che non arriverà perché, molto semplicemente, non ha un telefono. I vostri genitori o i vostri nonni erano soliti andare in campeggio e oggi di quei vecchi sacchi a pelo, magari sostituiti da modelli più nuovi, non sanno che farsene? Avete trovato a chi fare questo grande regalo per essere più riparato. Può sembrare una banalità, ma non lo è: un maglione dismesso, un sacco a pelo, una coperta, possono salvare la vita a qualcuno. Siate attivi, siate interessati, siate generosi, siate cittadini di una società nella quale l’aiuto del singolo può salvare la vita a molti. Valeria Cicatiello

13


à t i l a u t At

STATO STUPRATORE Ultimamente abbiamo assistito alla clonazione dell'ennesimo neologismo. Si tratta del rinomato "femminicidio". L'uso del termine in questione sta sollevando il problema della violenza sulle donne in modalità mai ottenute prima: sui giornali, in tv, all'interno degli organi legiferanti e in ogni casa, l'argomento sembra aver avuto, finalmente, la meritata rilevanza. Finalmente, sì. Perché, se questo nuovo termine prima non esisteva, non possiamo affermare lo stesso della sua sostanza. È dall'inizio della civiltà, infatti, che la donna è soggetto delle più crudeli violenze da parte dell'uomo. La Genesi stessa ci insegna che Eva nacque da una costola di Adamo. Così il maschio ha sempre esercitato il suo potere di "essere superiore" nei confronti della donna disgraziata, che aveva solo il compito di procreare, cucinare e soddisfare i piaceri primitivi dell'uomo. È la donna la prima macchina: sfruttata ventiquattro ore su ventiquattro per il puro ed unico godimento dell'uomo. Per secoli, il genere femminile è stato protagonista di crudeltà: da Eva, alle donne dell'Ottocento costrette a lavorare in condizioni disumane nelle fabbriche, alle suffragette che dovettero pagare a prezzo della vita la loro voce che non si abbassava, che non si spegneva per rivendica i propri diritti. E furono arrestate, queste povere eroine. E nelle carceri iniziavano le disumane torture. Non soltanto violentate, ma, per calpestare i loro ideale, il loro voto di digiuno come forma di protesta, per sputare su "queste idee così folli", venivano costrette con la forza a mangiare. Oggi, in India, le bambine e le donne continuano a essere vendute come schiave, date in sposa all'età di dieci anni, bruciate vive e abusate sessualmente. In Siria, in Congo e nel Darfur lo stupro è arma di guerra. In Canada, nella maledetta area della Northern British Columbia, molte donne sono minacciare tra le mura domestiche, violentate sulla strada e costrette agli abusi degli agenti della polizia canadese. In Messico sono rapite, stuprate, torturate, mutilate, buttate nell'immondizia, nel deserto, bruciate, sfigurate, uccise. In Pakistan, i fondamentalisti islamici, che vogliono impedire l'alfabetizzazione delle donne, violentano alunne e maestre. Per non parlare delle prostituzione forzata e degli attacchi con l'acido. In Afghanistan le donne, costrette alle nozze all'età di sedici anni per legge ( e, illegalmente, ancora più giovani) e forzate dai propri "mariti" a prostituirsi, trovano nella morte l'unica soluzione per invalidare il patto matrimoniale. E lo Stato tace. In Turchia il paese è per soli uomini. Solo una donna è al governo.

14


In Italia, tra il 2000 e il 2012, 2200 donne sono state ammazzate in ambito familiare o relazionale. Queste sono solo statistiche, ma, si sa, il mondo è fatto di visibile e (molto di più) di invisibili. Oggi, però, voglio parlare di quelle suffragette che, nel 2013, non abbassano la testa, non smettono di protestare contro un governo maschilista e ingiusto, ipocrita e cinico. Oggi voglio parlare di quelle violenze che soffocano la libertà di pensiero e parola. E, se non si è nemmeno liberi di pensare, che vita è? Oggi voglio parlare delle Pussy Riot, movimento femminista russo. Sul palcoscenico della Mosca di Putin, le Pussy Riot hanno spesso eseguito performance di protesta nei confronti della politica russa. Fu proprio quando il primo ministro, nel 2012, si presentò per la seconda volta alle elezioni che tre tra le attiviste si introdussero nella Cattedrale di Cristo Salvatore mettendo in scena una preghiera punk con l'invocazione alla Vergine: "Liberaci da Putin!". In pochi minuti furono fermate e accusate per teppismo. Il 17 agosto 2012 furono arrestate e condannate a cinque anni di reclusione. Nadia Talokonnikova, una delle Pussy Riot, in una lettera descrive la vita disumana nella Colonia Correttiva numero 14: lavorano dalle sette e mezza a mezzanotte e mezza, quattro ore di sonno, un giorno libero ogni sei settimane; le mani sono ricoperte di piaghe, a pranzo, a cena e a colazione ricevono avena, pane secco, latte annacquato e patate marce; i capelli si possono lavare una volta a settimana, ma, a volte, la pompa dell'acqua non funziona; esiste un solo bagno per cinque persone, ma può esserci il divieto di andare al gabinetto, di lavarsi o di entrare nella baracca anche d'inverno, quando il freddo gela il sangue. Così, in queste condizioni, alcune donne hanno subito amputazioni, altre sono state picchiate a morte. Qua, la vera bestemmia è lo Stato carnefice. Lo Stato che viola apertamente i principi che proclama. Il messaggio delle Pussy Riot è: LE IDEE CONTANO. Esse sono artiste che incarnano un'Idea. Per questo motivo, spiega il filosofo sociologo Slavoj Žižek, indossano i passamontagna: maschere di de-individualizzazione. Il messaggio è questo: non importa chi di loro sia stata arrestata, non sono persone, sono un'Idea. È proprio per questo motivo che, come le suffragette, sono una minaccia, perché è facile imprigionare gli individui, ma è impossibile imprigionare un'Idea! Potete portare avanti la propaganda del femminicidio, potete violentarci, potete massacrarci, potete ucciderci, ma le nostre idee, le nostre rivoluzioni saranno eterne perché la Santa Maria, La Vergine ci libererà di Putin!

Pussy

Riot

Anna Comodo 15


à t i l ua t t A

Berlusconi: esempio di vita? No, grazie!

Avete mai visto "Conviene far bene l'amore"? Slavoj Zizek, il "filosofo pop", in un'intervista, analizza attentamente le dinamiche di questa sexy commedia italiana: siamo nel futuro, le risorse energetiche si esauriscono, ma un discepolo di Wihelm Reich scopre che, durante l'atto sessuale, gli uomini sprigionano una notevole quantità di energia, alla condizione che chi lo compia non sia innamorato. In questo modo il Papa viene convinto a rivoluzionare la morale cattolica: l'amore è il peccato! Vi è una profonda verità in questa simpatica, ma allo stesso tempo inquietante pellicola: il godimento, il piacere, la soddisfazione, oggi, stanno diventando un perverso dovere etico. Viviamo in una società nella quale non ci si sente colpevole se si tradisce il proprio partner, ma se non ci si diverte abbastanza. Un legame amoroso intenso è duraturo è considerato troppo autoritario. L'idea è di reinventare se stessi continuamente. Il nemico non è più l'autorità patriarcale. Stiamo combattendo la battaglia sbagliata, ci insegna Zizek. Il vero nemico è la menzogna del permissivismo capitalista. Prendiamo la figura del nostro ex primo ministro Silvio Berlusconi: certamente non è quello che definiremmo "figura patriarcale". Il potere ha cambiato il suo modo di funzionare: se prima pretendeva dignità e rispetto, adesso sta assumendo sembianze sempre più “clownesche”. Oggi le forme di dominio sono mascherate dietro il permissivismo. Berlusconi entra in campo nel 1992, nel pieno dello scandalo di "Mani Pulite" introducendo un'originale novità: una democrazia ultra-mediatica, in cui lo spettacolo prende il sopravvento sulle reali decisioni politiche. Ciò che Berlusconi continua a portare avanti è proprio il compimento dell'autoritarismo permissivo attraverso l'ubiuzzazione (uso?) del potere

16


No, Grazie! Il successo dell'ex premier è proprio questo: i suoi comportamenti con cui il popolo italiano si identifica. Nella figura, forse un po' stereotipata (ma non troppo), di un Casanova che non esita né nasconde troppo di tradire la proprio moglie. L’ex-premier è l'esempio dell'italiano medio. E, allora, non mi stupisco della catastrofica situazione economica, politica, sociale ed etica in cui il nostro popolo è caduto. Non sottovalutiamo gli esempi di vita, prestiamo loro molta attenzione, scegliamoli con minuziosa attenzione. "Gli uomini traggono i migliori insegnamenti dagli esempi, perché hanno il merito di provare che ciò che insegnano può essere messo in pratica", sosteneva Plinio nel suo panegirico all'imperatore Traiano. Questo è il motivo per cui è fondamentale, per noi giovani, circondarci di figure importanti, ma soprattutto positive. E il dovere della scuola è quello di allontanare quel nauseante odore di fascismo che impregna il sistema scolastico, di esiliare quegli insegnanti che impartiscono ai propri alunni lezioni di paura e terrore e incoraggiare quei grandi uomini e quelle grandi donne che portano avanti il compito più arduo e importante: istruire le generazioni future. Platone non sarebbe diventato il padre della Filosofia senza gli insegnamenti del suo maestro Socrate. Rimbaud non avrebbe rivoluzionato le menti di Pasolini o di Bene, senza l'aiuto di Verlaine. Giovanni Falcone non avrebbe vinto nessuna battaglia contro la mafia, senza le lezioni di storia e filosofia di Franco Salvo. Circondatevi di grandi esempi, di grandi guide, fatevi salvare dalla cultura, non permettete all'ignoranza di logoravi dall'interno. Al mio più grande esempio di vita, che mi ha educato al Bello e alla Poesia. Anna Comodo

17


N

s w e

I ' l l da

o t u stit

Vivere in Thailandia “Diverso non è sinonimo di sbagliato – un po’ di Thailandia ” da Treviso a Chiang Mai, un anno in Thailandia 2013-2014 “Incredibile, persone che sorridono ovunque, incredibile come riescano a trovare il tutto nel niente. Ti poni domande sempre più spesso, ti chiedi come riescano a farlo, com'è possibile che qui anche “con quasi niente” riescano ad essere felici, a darti tutto ciò che possiedono senza nemmeno conoscerti veramente. … A vivere giorno per giorno senza paura del futuro. Ti domandi se sei tu ad aver sbagliato in questi diciassette anni di vita ad esserti sempre preoccupata di ogni minimo dettaglio, volevi la perfezione in ogni cosa. Ma ti sei mai chiesta cosa sia la perfezione? E se la perfezione fosse soltanto una giornata di felicità, di benessere personale e niente più? Lasciarsi andare, vivere oggi al meglio, infondo se non sono felice oggi perché dovrei esserlo domani? Che buffo, ti torturi col futuro e col passato senza pensare che ora hai il tempo per essere ciò che vuoi e ciò che sei. Incredibile quanto stupidi siamo, rovinandoci la vita per momenti passati o futuri.” Questa è stata la mia prima vera riflessione da quando sono in Thailandia, la chiamano “the land of smile” e… beh, credetemi, lo è! Sono partita senza aspettative perché avevo paura che potessero soltanto illudermi e credo sia stata la miglior scelta che potessi fare: sono arrivata qui e, giorno dopo giorno, sto ancora cercando di diventare una “Thai”. Ora sono qui da più di due mesi e ho imparato tantissimo, ma ho ancora molto da imparare. Ho imparato a sorridere anche quando sto male perché cambiare tutto non è semplice, nella sua difficoltà, però, è stupendo… e, giorno dopo giorno, capisci che ne vale davvero la pena. Ti domandi infinite volte come sarà la vita in un luogo così lontano sia geograficamente sia culturalmente da quello che si è appena lasciato, poi si è dentro e nemmeno ce se ne accorge, ci si abitua giorno dopo giorno… ai sorrisi belli da morire, ai sorrisi timidi di ragazzini a scuola che hanno paura di parlare per il loro scarso inglese, ci si abitua a vivere al meglio perché si capisce che la vita è un dono.

18


Thailandia

Chiang Mai Ci si abitua a non usare più le scarpe, all’inno alla mattina, a sdraiarsi per i corridoi a scuola e a sedersi ovunque. Ci si abitua ad usare la divisa, a lavarsi i propri vestiti ed a stirarteli, a mangiare riso ad ogni pasto e soprattutto a mangiare ogni ora. Ci si abitua al bagno diverso, ai gechi, agli insetti piccoli e grandi, alle formiche che sono ovunque. Ci si adatta alla cultura che piano piano sta diventando parte di me. Il primo contatto è stato fantastico: dopo nove ore di bus da Bangkok, la mamma mi ha accolta con un abbraccio caloroso e inaspettato che ricorderò per sempre, c’erano i miei fratelli e le mie sorelle, i cugini e le cugine. Erano venuti con due macchine a prendermi; mi hanno aperto il loro cuore senza nemmeno conoscermi. Erano pronti ad aiutarmi e ad amarmi. In questi due mesi, ormai passati incredibilmente veloci, mi sento parte di loro, una figlia, una sorella. Il primo giorno di scuola è stato incredibile, inaspettato e posso dire che mi abbia abbastanza sconvolto: subito, appena arrivata, ho incontrato l’Advisor, colei che mi segue a scuola, ci aveva detto che la presentazione davanti a 5.000 persone durante l’inno potevamo farla più avanti e invece, tutto d’un tratto, abbiamo dovuto improvvisarla, è stato un momento memorabile con un microfono davanti a così tanti ragazzi che hanno una cultura diversa, parlano una lingua differente e vivono qui da quando sono nati mentre tu devi scoprire, darti da fare e imparare, essere curiosa. Ana Sercer.

19


o t u stit

I ' l l a d s “PROMETTIMI DI NON MORIRE”: w Ne L'assurda e disperata richiesta di un'amicizia. Nel 1979, un gruppo di amici del noto scrittore-giornalista Giovanni Comisso, istituì, in onore dell'amico trevigiano, il Premio Letterario “Giovanni Comisso”. Oggi, alla XXXII edizione, si contendono la vittoria Maria Pace Ottieri con "Promettimi di non morire", Hans Tuzzi con "Morte di un magnate americano" e Paolo Di Stefano con "Giallo d'Avola”. Con grande onore il nostro istituto, sabato 30 novembre, è stato sede di un incontro costruttivo ed emozionante con l'unica donna finalista: Maria Pace Ottieri. Per noi, figli della globalizzazione, questo nome potrebbe sembrarci nuovo, ma, negli anni '60 e '70 del '900, la famiglia Ottieri era al centro della vita culturale italiana. Maria Pace, nasce nella Milano del 1953, dal profondo e intenso amore tra Ottiero Ottieri e Silvana Mauri. Il padre, famoso scrittore degli anni d'oro italiani, non si fece scappare la bellissima e intelligente Silvana Mauri. Donna estremamente empatica, colpì il cuore dello scrittore cineasta Pier Paolo Pasolini il quale, nonostante la sua omosessualità, si innamorò perdutamente di questa "Madonna del Duecento". I due frequentavano insieme a Moravia il Caffè Rosati di Piazza del Popolo, nucleo culturale della Roma del 1960. È proprio in questa atmosfera assetata di arte, letteratura, cinema e idee nuove; in questa atmosfera rivoluzionaria e viva che Maria Pace Ottieri con il suo ultimo libro "Promettimi di non morire", ci immerge. Vorrei trasmettervi non solo il resoconto di due ore piene, ma le emozioni più vere e pure che una donna semplice e umile ha saputo trasmettere alle classi quarte vincitrice del premio “tutti per un libro, un libro per tutti”. Raccontare è un’operazione a rischio, sostiene l'Ottieri, vorrebbe un dialogo, vorrebbe conversare con noi giovani timidi e impacciati dinnanzi alla scrittrice. Quella voce pacata e sicura colpisce immediatamente l'attenzione e si propaga nell'aula. “Tra le pagine dello “Zibaldone” di Giacomo Leopardi, trovai un foglietto con scritto "chiamami, ho bisogno di aiuto". La scrittura era tremolante. Non sapevo di chi fosse. Più tardi, in un cassetto che conservava la vita di mia madre come una piazza d'insurrezione, scoprii un intero pacco di lettere proveniente da New York. Questa corrispondenza rappresentava la concretizzazione del tempo che scorre dagli anni '60 fino ai primi anni del duemila. Avevo in mano quarant'anni di vita. Quarant'anni della vita di Carol Gaiser, una poetessa americana. Quarant'anni di vita che decise di condividere con mia madre. Così nasce il mio ultimo libro.” Erano gli anni Sessanta, Carol, giovane e bella, viene in Italia con la borsa di studio Fulbright per studiare cinema; è intelligente, brillante, scrive poesie e racconti, collabora con alcune testate americane. Nel Bel Paese, incontra Alberto Moravia che, da grande corteggiatore qual era, avvicinò subito l'americana. Carol diceva di questa relazione "siamo più che amici, meno che amanti". Moravia le apre le porte del mondo degli scrittori e degli artisti italiani. Insieme frequentano il Caffè Rosati e si lascia travolgere appieno da quell'atmosfera colma di speranze e promesse (tutto l'opposto della Roma odierna). Era in corso il Festival di Spoleto quando Pasolini, insieme a Moravia che lo incitava ad aumentare la velocità già di per sé sostenuta, prese la sua amata spider, per raggiungere la città Perugina. Sui sedili posteriori si trovavano Carol e Silvana Mauri. Immediatamente, tra le due, scoppia una forte intesa. Carol aveva vent'anni, Silvana quaranta. L'una vedeva nell'altra se stessa. E fu così per tutta la vita. 20


Presto Carol torna a New York piena di questi anni felici. Torna e scopre un' America particolare che stava perdendo la propria innocenza: contano solo il denaro e il successo, tutte cose molto, troppo distanti dalla poesia. Così Carol non riesce a reggere la forte competenza nata in quegli anni e ne rimane schiacciata: pubblica alcune sue poesie con molta fatica e la sua carriera non trovò strada. È da questo momento che si apre la lunga corrispondenza epistolare tra le due amiche. Le lettere di Carol sono spiritose, intelligenti, frivole, colte e disperate, nelle quali ritroviamo il dualismo fitzgeraldiano tra illusione e realtà. Il sogno europeo di Carol si era totalmente disfatto in una nostalgia cosmica. Tuttavia emerge quel tratto tipico americano, quella capacità di illudersi in modo poetico che la vita valga la pena di essere vissuta. E così Carol mantiene quella luce luminosa che le permette tutt'oggi di andare avanti e che, all'età di sessant'anni, l'ha fatta innamorare perdutamente di un nero americano: un vagabondo dolce, bello e pieno di umorismo. Dopo questa operazione rischiosa (quella di raccontare), tra la timidezza giovanile, i più coraggiosi rompono il ghiaccio e si dà il via alle domande che Maria Pace Ottieri tanto desiderava, perché, da brava antropologa, ama il contatto diretto con le persone. La prima domanda che le è stata posta riguarda proprio la madre. Il romanzo riporta una sola ed unica lettera firmata Silvana Mauri, la cui personalità emerge da Carol. Attraverso questa lettera la scrittrice ha scoperto una personalità della madre che non conosceva e un'incredibile affinità con quella donna a lei misteriosa. Questa affinità era senza dubbio il rapporto che le due avevano con la scrittura. Silvana lavorava per la casa editrice di famiglia, Bompiani. Era una brava scrittrice e in molti amici la rimproveravano per non aver mai scritto tutto ciò che aveva vissuto. Proprio quel rimpianto di non aver fatto quello a cui erano predestinate, di essere venute meno alla loro predisposizione per la scrittura, è ciò che le legò fino e oltre alla morte. Tuttavia, di questa profonda amicizia, Silvana non parlò molto con la figlia: era una donna molto empatica, ricorda l'Ottieri, infatti non scendeva mai dal treno senza aver conosciuto qualcuno. Conosceva moltissime persone. Eppure, prima di scoprire queste lettere, l'autrice del romanzo non aveva mai visto Carol. Lei, per sua madre, rimase la sua oasi: era il suo rapporto intimo e appartato. Successivamente, come una fanciullina, Maria Pace si perde nel raccontare i pilastri della vita di questa donna così misteriosa. Per Carol, i sogni, i desideri e le paure contano sempre, nella vita. E contano nella vita di ognuno di noi. Carol vive dei due anni felici a Roma e delle piccole gioie della vita, come l'aiuto che da al bambino portoricano che abita accanto a lei, nel Queens, dei libri prestati alla biblioteca e del podio di "donna più elegante del quartiere" che la rendeva tanto orgogliosa in quanto amante della moda. Particolarmente interessante è la reazione che Carol ebbe del libro. Prima di scrivere il romanzo, Maria Pace si recò a New York alla sua ricerca. Fu una vera è propria impresa raggiungere il suo appartamento: trenta fermate in metropolitana, cinque fermate in autobus e un chilometro a piedi. "In più Carol è un po' sorda e dovevo urlare per farmi sentire. Tornavo a casa distrutta!", dice la nostra ospite d'onore. Informata di questo progetto, ne fu entusiasta. Iniziò ad inviare tutti i suoi scritti: vide in questo l'occasione che aspettava da una vita. In un secondo momento, però, fu condizionata dalla critica che descriveva il romanzo come il sogno americano che andava devastandosi. Era un pendolo: solo qualche giorno prima della pubblicazione ufficiale, diede il consenso. Fu un'odissea, proprio come il romanzo stesso. "Promettimi di non morire" è la richiesta disperata che Carol chiedeva a Silvana: una di quelle promesse assurde dettate dall’amicizia. Gli ultimi minuti, Maria Pace Ottieri li dedica raccontandoci il suo rapporto con i libri. "I libri, per me, erano l'A e la Z della vita.

21


Promettimi

Ho passato una fase di rigetto nei confronti dei libri, non li leggevo, ma ero una studentessa diligente in quanto assorbivo le idee e la proprietà lessicale dalla mia famiglia. Solo in età più matura mi appassionai alla lettura saggistica. Senza dubbio tra i libri che ho scritto, quello a cui sono maggiormente affezionata è il primo: “Amore Nero”. Il Settantotto era un’ epoca molto permissiva, era usuale intraprendere viaggi da soli. Io viaggiai spesso durante la mia vita. Il mio primo viaggio in Africa fu un'esperienza formativa fondamentale, per me. Era un Africa intatta, pura. Così il mio primo libro nasce in seguito a due soggiorni in Africa. Mi ero recata, negli anni '80, per raggiungere un mio amico musicista. Studiavo antropologia ed ero estremamente interessata alle culture diverse. Qua sento il bisogno di raccontare ciò che vedevo, così, la sera, prima che scendesse la luce, iniziai a scrivere un diario. Riempii due quaderni e, quando tornai a casa, li feci leggere a Bompiani. "Questo è un libro", mi disse. E rimasi stupita. Sapevo quanta cura, pazienza e tempo bisognasse impiegare per scrivere un libro, avevo la prova diretta di mio padre. Com'era possibile scrivere un libro così facilmente? Questo mi paralizzò. Era stato un caso e in me nacque la sensazione che il secondo libro sarebbe stato sanguinoso. E passarono ben dieci anni prima che riprendessi a scrivere. Inoltre necessitavo di sensazioni forti. Perché, per scrivere un libro, bisogna consumare le scarpe." Con queste ultime parola, inizia una riflessione sulla società di oggi, su questo sistema incentrato su una tecnologia la quale rende i giovani pigri. Non siamo più affamati di cultura e scoperte come Moravia, Pasolini, Silvana e Carol. Non siamo più capaci di sorprenderci. Ci saziamo con poco.

di non morire

Ci sono libri che toccano la retina e libri che toccano l'anima. “Promettimi di non morire” e la stessa scrittrice, non hanno solo toccato la mia anima, ma l'hanno avvolta, spingendomi alla non resa, alla speranza continua. Speranza che mi auguro possa bollire nel sangue di tutti noi, figli della globalizzazione. Anna Comodo

22


I ' l l da

o t u stit

s w Ne “PASSI VERSO L’ALTROVE”: MOTORE DONNA Incontro di sensibilizzazione a Villa Zanetti Il 22 gennaio, alcune classi della nostra scuola hanno partecipato ad un incontro a Villa Zanetti, a Villorba; era uno degli incontri gestiti dalla Fondazione Zanetti in cooperazione con il CESVI. Tutte e due organizzazioni no profit, aiutano la gente che vive nei paesi più sottosviluppati, attraverso il volontariato. In questo incontro, il terzo dei tanti tenuti da queste fondazioni, si parlava della condizione della donna in questi paesi, la cui situazione, spesso, resta a noi ignota. Subito, il presidente della Fondazione Zanetti ci ha esposto, in breve, lo scopo principale di quest’organizzazione: prestare un’attenzione particolare ai problemi dei paesi sottosviluppati e cercare di spingere le persone ad essere più solidali verso i meno fortunati. In seguito, la parola è stata data al presidente del CESVI, Giangi Milesi; come la Fondazione Zanetti, il CESVI si occupa di fronteggiare i problemi nei paesi dell’Africa e dell’Asia e cerca di portare i valori promossi dopo la Rivoluzione francese (ÉGALITÉ, FRATERNITÉ, LIBERTÉ) anche lì dove spesso vengono trascurati. Per cominciare a parlare del tema dell’incontro, hanno mostrato un video dove, una ricercatrice volontaria del CESVI, Claudia Gandolfi, parlava di come l’operato della fondazione ha contribuito al miglioramento della vita di molte donne e di come insieme hanno trovato una cura per diminuire il rischio di trasmissione di AIDS da madre in figlio. La ricercatrice definisce il CESVI, come una fondazione laica che fa volontariato solo per portare un po’ di serenità nei cuori di quella gente e non per avere l’onore di ricevere premi o riconoscimenti. Un esempio concreto può essere quello di Safina Magosi. Safina aveva già perso un figlio in precedenza senza saperne il perché e, per non perdere anche il secondo, decise di affidarsi ai volontari del CESVI, operanti all’ospedale S.Albert in Zimbabwe. Entrò a far parte del loro progetto, venendo ripudiata dal marito, dalla famiglia e cacciata dal suo villaggio, perché contrari a questo genere di aiuti. Grazie alla fondazione, Safina scoprì di essere sieropositiva, riuscì a guarire e a non trasmettere la carica virale anche al figlio.

23


Ora sia Safina, che suo figlio, Takunda (nella loro lingua “abbiamo vinto”), sono considerati un simbolo e il loro esempio è stato seguito da più di 200mila altre persone. Takunda ha avuto la possibilità di studiare e Safina ora è infermiera al S.Albert. In seguito, il livello di sieropositività si è abbassato dal 25% al 12%. Inoltre, ci hanno mostrato un video girato in Afghanistan, dove due volontarie del CESVI hanno insegnato a molte donne, tra i 17 e i 37 anni, la professione di fotografo e video-maker; si poteva notare che nel video non comparivano uomini, ma solo donne. Le protagoniste del video descrivevano la loro situazione, sia durante il regime talebano, che dopo; nonostante il regime sia caduto, alcuni uomini violano le libertà delle mogli e delle figlie costringendole a rimanere in casa, a indossare il burqa per uscire e a non andare a scuola. Alcune sono costrette a mentire, per poter uscire di casa e frequentare il corso tenuto dalle volontarie del CESVI; però, quando nel video si vedeva, che tenevano in mano la telecamera o la macchina fotografica, sorridevano ed erano contente, si capiva che erano felici di avere quella possibilità. Lylen Albani, una volontaria del CESVI, per altro, ci ha esposto la situazione della donna in tutto il mondo: dal 1948 (Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Individuo) al 2000 (UN Millennium Declaration), passando per il 1979 (Convention on the Elimination of all Forms of Discrimination Against Women). Il presidente della Fondazione Zanetti ha dato, poi, spazio per eventuali domande o riflessioni da parte del pubblico, dal quale è scaturito un breve dibattito riguardante i pari diritti tra uomo e donna. Una parte sosteneva che, oltre a parlare dell’educazione delle donne, bisognerebbe parlare anche dell’educazione degli uomini verso le donne. L’altra, invece, sosteneva che, se le donne hanno lottato a lungo per essere pari agli uomini, hanno poco di cui lamentarsi sulla loro educazione e non possono continuare a sostenere che “le donne non vanno toccate nemmeno con un fiore”. Affermazione, quest’ultima, che rappresenta il comportamento femminile, ora che non dovrebbero esistere più differenze. Se qualcuno, uomo o donna che sia, vuole essere rispettato, dev’essere lui per primo a rispettare il prossimo e la teoria della seconda parte è, in alcuni casi, più che giusta.

Passi verso

l'altrove

Gaion Andrea Elisa

14


SP

T R O

La Champions League

Con l’uscita della Juventus e del Napoli dalla Champions l’unica squadra italiana rimasta in gara è il Milan, squadra che rischiava di trovare nel sorteggio degli ottavi, Clubs calcistici molto competitivi come il Bayern, il Paris Saint-German o il Chelsea. Fortunatamente per la squadra italiana, ciò non è avvenuto: il Milan è stato “risparmiato”. Infatti si dovrà confrontare con l’Atletico Madrid, una squadra di tutto rispetto, rivelazione della Liga, in vetta alla classifica del campionato spagnolo a pari punti con il Barcellona e con solo quattro punti in più rispetto al concorrente Real. Si prevede una Champions League molto agguerrita, ma, allo stesso tempo, molto equilibrata, giocata fino al fischio finale. La favorita rimane sempre la vincitrice della scorsa edizione, il Bayern Monaco: il 25 Maggio 2013 ha sconfitto il Borussia Dortmund nella finale. Anche quest’ultima squadra punta in alto dopo il passaggio di turno sofferto e conquistato nei minuti finali: un solo gol ha visto crollare i sogni del Napoli. Il Borussia si è trovato a giocare con una delle squadre più deboli, lo Zenit di Spalletti. Si può dire che questo non sia un momento fortunato per gli allenatori italiani. Oltre a Spalletti, nella Champions di quest’anno sono presenti con le squadre che allenano, Mancini, galvanizzato dalla vittoria contro la Juventus, che si troverà davanti il suo successore all’Inter, non che lo “Special One” al secondo tentativo col Chelsea, determinato a conquistare la terza coppa europea in tre anni. Ancelotti nonostante qualche critica è favorito contro lo Shalke, anche se le squadre tedesche sono sempre molto forti; sono ben quattro quelle presenti agli ottavi: Bayer Leverkusen che giocherà contro il PSG, Shalke 04, Borussia Dortmund e Bayer Monaco, campione in carica, che se la vedrà contro l’Arsenal. Anche l’Inghilterra, però, vanta quattro squadre in competizione negli Ottavi: Chelsea, Manchester United. La prima alla guida di Moyes dopo le dimissioni di Sir Alex Ferguson dopo 27 anni di servizio, Manchester City messo alla prova col Barcellona dopo l’ultima straordinaria partita. Un sorprendente Arsenal che non ha cambiato allenatore, ma ha puntato solo sul gioco e sul grande desiderio di vittoria tanto da aver la possibilità di vincere contro i Campioni della scorsa edizione. Ebbene sì, sarà di sicuro su queste due partite che verranno accesi i riflettori. Saranno le partite che offriranno uno spettacolo emozionante per tutti gli appassionati di calcio. Queste le premesse per gli ottavi di Champions League. E che lo spettacolo abbia inizio! Alvise Toniolo

Lo spettacolo della

Champions League

25


SP

T R O

Micheal, non mollare !

Questo finale 2013 sembrano gli ultimi giri della Formula Uno. Tutti con il fiato sospeso fino all’ultimo giro. I piloti devono rimanere concentrati per guadagnare posizioni o per mantenere la propria, per poter gioire a fine corsa anche se non si ha vinto, e per far gioire i loro sostenitori. Nelle corse tutto può succedere: una curva sbagliata, problemi di elettronica, cambio gomme sbagliato o non sincronizzato al centesimo. Il risultato può dipendere dalla squadra, dal pilota, dalla pista, dalla macchina e da tantissimi altri fattori. Voi guardate la Formula Uno? Non siete tantissimi? Un dato è certo: tutti conoscono Michael Schumacher. Ebbene è ancora lui a tenerci col fiato sospeso. Il campione assoluto che ha battuto ogni record e che ha fatto piacere al mondo questo sport con la Ferrari. Il 29 dicembre ’13 mentre stava sciando con il figlio di 14 anni a Meribel, è caduto ed ha sbattuto la testa contro un sasso e disgraziatamente il casco si è rotto. E’ stato ricoverato all’ospedale di Grenoble; in coma ormai da giorni, Michael ha dato segno di fare movimenti spontanei, ma questo non chiarisce la situazione ed è comunque grave. Il 3 gennaio Michael Schumacher ha compiuto 45 anni. Tutto il mondo sportivo gli è vicino, lo sostiene e sostiene la sua famiglia, spera che ancora una volta tagli il traguardo da vincitore. Quel giorno è stata una casualità, Schumacher è stato vittima di un incidente, come riferiscono i testimoni. Il campione tedesco non stava sciando ad una velocità eccessiva, non aveva azzardato come amava fare dentro l’abitacolo del suo “bolide”. Non stava azzardando neppure un fuori pista, insomma una discesa con la famiglia e gli amici come molte persone comuni fanno durante le vacanze di Natale, una giornata “normale”. Una fatalità, e, proprio perché tale, sembra un fatto così assurdo. Ancora le modalità dell’incidente non sono chiare, una cosa è certa: questa volta il casco lo ha tradito, ed ora per arrivare al traguardo bisogna tenere duro e non mollare. La Ferrari in occasione del suo compleanno oltre agli auguri, dedicherà una gallery di 72 foto in omaggio ai successi del pilota che ha scritto un pezzo di storia della “Rossa”.

Micheal

Schumacher

Alvise Toniolo

26 02


Ri

s s e fl

i n io

23 Maggio

2013

19:41

Fuggiamo dalle persone solo perché non riusciamo a fuggire da noi stessi Dalle cose che ci circondano. Fuggiamo perché, fondamentalmente, siamo circondati da cose. Fuggiamo perché le cose di cui vorremmo liberarci, sono quelle che ci tengono stretti. L’unica cosa che ci resta è lo scontrino di qualche pub a basso costo, qualche cartina corta e qualche rimasuglio di tabacco in fondo alla borsa. Qualche pacchetto di sigarette comprato pur non essendo maggiorenni, deludendo un’altra volta i nostri genitori. Fuggiamo con la mente, perché non riusciamo a sfuggire all’ipocrisia Al materialismo. Non riusciamo a sfuggire a ciò che ci corrode, a ciò che ci distrugge dall’interno. Viviamo grazie a persone che ci regalano cose delle quali, con tutta probabilità, il giorno dopo già non apprezzeremo pronti a far spazio a qualcosa di nuovo. Più banale, sempre meno necessario. Sopravviviamo anziché vivere, perché nessuno ci ha insegnato a fare il contrario. Diamo la colpa agli altri per le persone inutili che stiamo diventando, sempre colpa degli adulti, mai colpa nostra. Ci sentiamo inopportuni, inadeguati, continuiamo a sopravvivere impassibili. Valeria

27


le f i R

i n o ssi

Essere grandi

Essere

GRANDI

Ho sempre voluto essere grande, da quando posso ricordare, è stata la mia ambizione. -Cosa vuoi fare da grande? -La grande Mi affascinava l’idea non solo di decidere da me, senza che ci fosse qualcun altro a imporsi nella mia vita, marcandola irrimediabilmente, ma anche solo per prendere quel barattolo che sta sopra il frigo; insomma senza chiedere a qualche adulto, troppo preso dalla sua frenetica quotidianità, per poter accontentare le richieste di una diciottenne come me. A 18 anni per lo stato sono “grande” abbastanza per poter giustificare le assenze, abbastanza per poter guidare e per poter oltrepassare la dogana da sola, senza la mamma, abbastanza da possedere un numero telefoni co a mio nome, abbastanza da potermi affittare un appartamento, vivere da sola, lavorare per poter essere indipendente. Eppure… Non mi sono mai sentita così piccola, perché in questa Repubblica fondata sul lavoro, di lavoro non ce n’è e quel barattolo è sempre irraggiungibile nonostante il mio metro e sessanta centimetri! Devo forse rassegnarmi a dipendere per sempre dai miei genitori? È troppo chiedere uno Stato che non assuma solo personale con esperienza, uno Stato dove sia possibile fare esperienza? Dovrò forse fare la stagista per sempre? Questo Stato non riesce ad incoraggiarmi e farmi credere che tra un paio d’anni anch’io riuscirò a mettere su famiglia, perché lo Stato non crede nei giovani e non dà loro i mezzi perché si concretizzino i loro sogni. Ah, è vero! Io e chi la pensa come me siamo solo degli ambiziosi. Siamo la generazione che si deve accontentare di sentire i racconti di chi se ne esce con “si stava meglio quando si stava peggio”, “questa è una generazione di fannulloni che sa solo lamentarsi, che non ha voglia di lavorare, perché qui di lavoro ce n’è”. E hanno ragione, a questo proposito, domani, ragazzi, sul tardi, mi raccomando: andate a prendere i vostri curriculum… siete tutti assunti! Xhilda Barreti

28


le f i R

i n o ssi

Una notte scura

Una notte scura, come ogni notte: senza nuvole, senza vento, senza suoni. Una notte di pensieri. Una notte in cui solamente le lucciole si spingono a vivere. Silenziose ed eleganti, per non rovinare nulla. Si raggruppano, si diradano, prima un ammasso di luce e poco dopo scintillii rari. Questa è l’unica notte che hanno, le uniche poche ore di oscurità che possono illuminare. Quando io crederò imparare a vivere, e io imparerò a morire. Così le lucciole brillano per poter spegnersi. Così rido per poter piangere e piango per poter ridere, così mi ferisco per poter guarire. Così la pioggia cade per dar vita all’arcobaleno. La morte pareggia tutti i conti.

Deb 29


LA REDAZIONE Anna Comodo Valeria Cicatiello Gaion Andrea Elisa Deb Alvise Toniolo Xhilda Barreti GRAFICA: Leonardo Mattei Alessandro Marion CAPOREDATTORI: Prof.ssa Sandra Antonietti Prof.ssa Paola Brunetta

02



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.