Istituto Tecnico per il Turismo “G. Mazzotti�
T-Paper Anno 6 - Numero 11 Maggio 2013
Everything that you think Something that we need
Indice INDICE pag.
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ATTUALITÀ Novecento - Un secolo di vita
pag. 4
Voglio la comunicazione dei Trogloditi
pag. 8
Be Stupid pag. 11 Il suo nome era Armanda Todd
pag. 13
NEWS DALL’ISTITUTO Per una volta dietro lo schermo!
pag. 15
Galleria immagini “Per un pugno di libri” pag. 20
RIFLESSIONI “Cosa resterà” pag. 21 24 Ottobre 2011
pag. 23
1 Marzo 2013 pag. 24 8 Febbraio 2013
pag. 25
Il passato resterà per sempre tale
pag. 26
Vita – insieme di persone, frutto di scelte
pag. 28
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CREATIVITÀ Poesie da Anonimo pag. 31 Poesie di Macrina: I. pag. 32 II. pag. 33 Elogiamo pag. 34 La sciolse pag. 35 Potremmo andare avanti così: indifferenti, arresi
pag. 35
Poesie di Alessia: Fuggire
pag. 36
Di nuovo al mondo pag. 36 Guardarsi dentro pag. 37 Mediocrità pag. 37
ARTE E CULTURA Fight Club Diario di una motocicletta
pag. 38 pag. 42
SPORT Zumba pag. 45
In molti si chiederanno: Perché T. Paper? T.Paper significa tutto e niente, è la sigla della tipsy, train, true, toffee, theocratic, terrible, tourism, toilet, teens, tedious, team, tea, taste, target, tank, talent, take-off, table, taboo, tac- au-tac, tacit, thirsty, thrill, tired, toasted, tod, toff, tollol, tomato, tool, tonic, tone, toneless, topic, toxic, ecc ... ..ecc……………
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AT TUA L I TA’ NOVECENTO – UN SECOLO DI VITA Oggi, all’alba del terzo millennio, c’è chi guarda al futuro, chi vive nel presente. Io ricordo il passato che non ho vissuto. Questo è il periodo in cui tutto è già stato scoperto, tutto è dato per scontato, le persone non hanno più il problema di vivere, cercano solo ciò che è superfluo in una società consumistica che da anni vede l’uomo come acquirente. Certo, anche il secolo scorso. Ma adesso l’uomo sa che è successo, sa com’è. Eppure non fa niente per cambiarlo, forse ci va bene così, accettiamo che nessuno si aspetti niente da noi. Sono sempre stata affascinata da questo fantomatico Novecento che ha dato e preso così tanto, ha presentato soluzioni a problemi irrisolvibili e ha sottovalutato questioni di vita o di morte, ha sofferto e festeggiato. Il Novecento è stato il secolo del tempismo, giusto o sbagliato poco importa. Il secolo si apre trascinandosi dietro una società caratterizzata da un ottimismo schiacciante, che si fida della scienza e del progresso rapidissimo che l’umanità sta portando avanti. L’illusione. In realtà la mentalità dei cittadini è manipolata come lo è oggi, ormai si è arrivati alla società di massa consumistica, in cui l’uomo è percepito come una cosa (Marx parlava, infatti, di reificazione).
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Poi si arriva alla Prima Guerra Mondiale con la partecipazione indimenticabile di d’Annunzio, poi alla Seconda, passando per la crisi internazionale del ’29, la guerra civile di Spagna, le mire coloniali di vari paesi mentre altri si distinguevano per i loro modelli democratici, per esempio la Gran Bretagna. Mentre negli Stati Uniti la borsa crollava, nel ’29, in Italia nasceva una grande donna: Oriana Fallaci, giornalista di guerra, scrittrice e persona notevole prima di tutto. Qualche anno dopo, nel 1934, Pirandello vinceva il premio Nobel per la Letteratura; Grazia Deledda, la scrittrice sarda purtroppo poco citata, lo prendeva qualche anno prima, nel 1926. Nel 1993 l’ha guadagnato Nelson Mandela per la Pace, nel ’79 Madre Teresa. Ci sono luci, oltre che ombre. Luci spesso spente dalle dittature, dai totalitarismi come quelli di Stalin, di Hitler e di Mussolini, che hanno soppresso la libertà e la vita stessa delle persone. Però c’è chi si è opposto ed è riuscito ad aiutare i ribelli e a lasciare importanti testimonianze, per quanto fosse ufficialmente impossibile discordare. Come Boris Pasternak (Nobel per la Letteratura nel ’58) col suo libro Il Dottor Živago, censurato nell’Unione Sovietica fino al 1988, oppure il comunista Antonio Gramsci, condannato al carcere dal partito fascista, o Charles De Gaulle, che da Londra porta avanti la sua battaglia attraverso la radio, comunicando con la Resistenza francese. Ma questi grandi uomini non sono stati gli unici ad andare contro il sistema. Anche nell’arte si trovano opere controcorrenti, alcune di queste mirate apertamente a distruggere l’arte in sé, giusto per citare la stravaganza del Dadaismo. Uno dei più grandi esponenti è Marcel Duchamp, poco conosciuto per nome ma noto per le sue opere, tra cui l’orinatoio firmato o la Gioconda coi baffi (L.H.O.O.Q.). Oltre a questi uomini degni di nota, è d’obbligo citare il femminismo novecentesco che ha portato alla parità tra i sessi. Tra le prime, Emmeline Pankhurst, che fondò il WSPU – Women Social and Political Union – nel 1903. Le donne ottennero ulteriori posti nelle fabbriche durante la Grande Guerra e successivamente, perché gli uomini erano deceduti o declassati. Più recentemente, l’italiana Tina Anselmi è stata la prima donna a ricoprire il ruolo di ministro dal ’76 al ’78. E citerei nuovamente Oriana Fallaci. È il momento di ricordare alcuni uomini che hanno reso grande l’Italia, morendo. Paolo Borsellino e Giovanni Falcone sono stati spietatamente uccisi per essersi impegnati nella lotta alla mafia nel 1992. Vittima per/dello Stato è riconosciuto anche Aldo Moro, rapito e assassinato dalle Brigate Rosse nel 1978 per aver cercato di unire la politica italiana. Però, quando penso al Novecento, mi ripeto che avrei voluto viverlo. Non per la sofferenza, bensì per la gioia: vedo questo secolo come un inno alla pace. Le guerre hanno permesso alle persone di cercare la pace e di trovarla, i giovani hanno celebrato la Summer of Love a San Francisco e si sono uniti al Festival di Woodstock per tre giorni d’amore e musica, dal 15 al 18 agosto 1969. Accompagnata da artisti come Janis Joplin e Jimi Hendrix, la positività ha finalmente regnato. Avrebbero dovuto esserci anche Bob Dylan e i Doors, che hanno declinato l’invito, purtroppo. Io credo che in quegli anni, così carichi di sogni e di possibilità, le persone avessero davvero degli ideali, i giovani potessero davvero cogliere nuove occasioni. Invece adesso cosa ci resta? Non ab
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biamo nemmeno più il coraggio di sperare tutti insieme, ognuno pensa egoisticamente ai propri obiettivi personali, ci sentiamo solamente persone e non più gente. Vorrei percepire ancora quella “gente” che si intendeva parlando di agire insieme, vorrei essere parte di qualcosa che credo possibile solo nel Novecento, quando le occasioni ti riscattavano, quando un ragazzino percepito “somaro” come Einstein poteva diventare un genio e vincere il Nobel, quando Freud ha messo a punto le teorie sulla psicanalisi e le persone, o almeno chi poteva, ci riflettevano. Vorrei essere nell’Apollo 11 con Armstrong e Aldrin e Collins (i primi due più robot che persone) e mettere piede sulla luna e vent’anni dopo vedere il muro di Berlino che cade per riunire la gente e temere per l’affondamento del Titanic e per la strage di Chernobyl - per quanto orribile -, votare nel ’46 e scegliere la Repubblica, acclamare la Costituzione Italiana, quasi poesia. Avrei voluto sentirmi trasgressiva con una minigonna negli anni ‘60, i piercing e i tatuaggi visti col cannocchiale. Avrei voluto smaniare per ottenere i biglietti dei concerti dei Beatles, magari dei Rolling Stones e poi correre per avere i posti migliori e vederli meglio, sentirmi parte del mondo e riconoscermi in Grease, in Flashdance, in Footloose, sentirmi una vera hippy, raccogliere delle margherite e infilarle tra i capelli, provare le droghe proibite che danno felicità, tutti insieme. Avrei voluto piangere le morti dei grandi artisti che hanno segnato più generazioni come Rino Gaetano e Fabrizio De Andrè e di chi ha contribuito alla vita, come Che Guevara, Martin Luther King, Gandhi, di chi ha segnato la musica come Kurt Cobain, Freddie Mercury, Elvis e ovviamente John Lennon. Vorrei aver visto i primi film al cinema e in televisione, in bianco e nero, aver riso con le gemelle Kessler e Vittorio De Sica, aver cantato ascoltando Mina nel pieno della sua giovinezza, magari anche Francesco Guccini, o ancora brani famosi scelti dai jukebox, aver ballato i balli di gruppo più conosciuti di sempre oppure l’adrenalinico rock ‘n’ roll coi capelli vaporosi e i jeans a vita alta alle feste, dove gli LP venivano
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urlati dal giradischi, aver guidato una Vespa 50 senza casco, aver guardato i primi cartoni animati e raccontare ai miei figli che c’erano già ai miei tempi, narrare loro di come mi sono emozionata vedendo West Side Story, Via col vento, Il padrino, Apocalypse now appena usciti, aver letto i romanzi di Virginia Woolf e Ernest Hemingway appena usciti e aver avuto l’occasione di regalare parole ai fogli uscenti dalle macchine da scrivere. Ecco, a tutte le comodità di oggi, preferirei indubbiamente la vita che avrei potuto vivere allora. Vorrei ricordare tutte queste cose come se le avessi vissute, o meglio, se le stessi ancora vivendo. Invece mi restano solo testimonianze, solo souvenir di sogni irrealizzabili. Alessia Biral
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VOGLIO LA COMUNICAZIONE DEI TROGLODITI Per una volta, ci tengo a lasciar emergere il mio pressoché scomparso, anzi mai esistito, lato tradizionalista. No, non mi piace questa definizione: diciamo che sono gusti. Scrivo questo per far sprofondare la dignità dei cellulari di fronte all’ingiusta mortalità prematura delle lettere. Vogliamo metterli a confronto? Credo sia necessario, volenti o nolenti. I cellulari, soprattutto i moderni smart-phone, sono innegabilmente comodi e pratici. Con il minimo sforzo si chiama qualcuno, che sia nella stanza accanto o dall’altra parte del mondo, si manda un messaggio a chiunque si desideri, si naviga in Internet con la possibilità di accedere a diversi social network o alla propria casella di posta elettronica. Tutto ciò è in gran parte possibile senza spendere un centesimo, grazie alle promozioni che offrono messaggi, telefonate e il collegamento ad Internet gratuiti e illimitati (questo, per lo meno, dicono le pubblicità, in realtà è chiaro che nessuno regala niente). Insomma, il segreto della comunicazione intercontinentale nel palmo di una mano. La cosa straordinaria e ormai scontata è l’istantaneità del collegamento, la simultaneità che caratterizza l’incontro virtuale: la velocità del tempo che supera le distanze. Senza contare le funzioni più “individuali”: coi cellulari si possono scattare fotografie, registrare filmati e voci, è possibile, addirittura, dilettarsi con videogiochi o ascoltare una quantità illimitata di canzoni, tutte salvate in una minuscola memoria capientissima. Già da anni, ma mai come tra gli adolescenti – e non solo - d’oggi, questi nuovi apparecchi hanno
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sostituito la macchinetta fotografica, la telecamera, la radio e i game-boy. Il che, a mio parere, è abbastanza deprimente (fosse per me vivrei col telefono dei Flintstones). Ma questa non è la cosa peggiore. Nonostante non voglia condannare il progresso tecnologico, non posso fare a meno di porre la questione. Udite, udite – o forse sarebbe meglio: leggete, leggete? -, che fine hanno fatto le lettere? Sembreranno una cosa obsoleta e senza valore, un metodo di comunicazione ormai superato, ma io ho visto gli occhi di qualcuno che, dopo trent’anni, ritrova le lettere ricevute quand’era adolescente. In quel momento ho pensato che io, a quarantacinque anni, non avrò nessuna lettera tra le mani, niente che mi riporterà ad oggi, al massimo qualche messaggio salvato nella memoria illimitata a cui accennavo prima o ricopiato su dei foglietti che saranno finiti chissà dove. Forse recupererò qualche dedica, qualche bigliettino spedito tra i banchi di scuola o qualche frasetta di auguri. Ma ormai anche il “buon compleanno” si augura per telefono (o su Facebook) con una telefonata allegra, gentile, che dopo qualche tempo sarà dimenticata e per l’eternità sarà come se non fosse mai esistita, se fosse caduta nel vuoto, scaraventata nell’oblio da un apparecchio che colpevolmente ci facilita la vita. Io voglio ricevere quelle lettere, quei biglietti d’auguri, quelle dediche scarabocchiate sul diario solo per me e non pubblicate al mondo intero su Facebook. E voglio le foto tangibili, da incorniciare e da riporre negli album – passavo ore intere, da piccola, a riordinarle -; quelle salvate nel computer verranno difficilmente ritrovate per caso e non avranno l’odore del giorno in cui sono state viste per la prima volta, non si macchieranno di lacrime di nostalgia e non potranno essere strette a sé come nei film. Anni e anni di studi e di scoperte per ottenere una foto in mano, e poi... la si distrugge. E questi sms continui, che contengono soltanto poche parole, a volte anche scorrette a causa del T9 o della tastiera qwerty formato formica, non valgono niente. Ci sono quelli che regalano emozioni, ma niente di concreto. Sia chiaro, con questo non voglio svalutare i sentimenti spontanei, ma un sms non può essere infilato sotto un cuscino per averlo vicino nel sonno, non può essere appeso in camera come un quadro che ci fa sempre stare bene. Ed è inutile che siano simboleggiati da buste che magicamente si aprono una volta letti: l’illusione non vale la “fatica” di andare fino alla cassetta delle lettere, recuperare la busta e poi aprirla. I messaggini sono più veloci? Non mi interessa, preferisco gustare l’attesa prima dell’arrivo della posta pur di leggere pagine intere scritte a mano, magari con cancellature e sbavature, con la grafia che cambia dal “cara” al “a presto”, perché prima si è calmi poi affrettati, prima sereni e poi nervosi. Voglio la scrittura personale di ognuno, che siano gli smile coi capelli o i cuoricini sulle “i” che tanto detesto, voglio i caratteri incomprensibili che non ti permettono di riconoscere la parola se non dal contesto, voglio i racconti che non si adagiano tra i quadretti o sulle righe, ma che attraversano il foglio seguendo le linee della fantasia e del sentimento che spinge a scrivere e, se si può, voglio i disegni abbozzati in un angolino, i caratteri cubitali e i colori. Spero di non chiedere troppo. La differenza sostanziale è che un sms “mi è arrivato” mentre una lettera “mi è stata spedita”. Una busta chiusa e inviata da New York, dal Camerun, dalla Palestina o dalla spiaggia, quando arriva e viene aperta, proietta i grattacieli e i taxi gialli, odora di povertà e di miseria o di sabbia
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e salsedine, fa risuonare le bombe e i carrarmati, nonostante siano trascorsi dei giorni. Non voglio togliere niente alla tecnologia e non voglio mettere in croce lo Steve Jobs della situazione, ma sono convinta che serva una mediazione tra il passato e il presente. D’accordo gli sms, le telefonate, le fotografie come screensaver, ma ogni tanto scrivete una lettera e scattate un ricordo con una vecchia Polaroid. A tal proposito, apro una parentesi dedicata agli ottusi che pensano di sostituire i libri con quelle parole ammucchiate in un e-Book o quelche altro nuovo strimento elettronico. Ma l’avete mai odorato, un libro? L’avete accarezzato e avvertito la consistenza delle pagine, magari avete trovato la sbavatura dell’inchiostro dove non si legge bene? E ne avete conservato qualcuno in uno scaffale, che ti urla “io ci sono” ogni volta che lo guardi? Io spero di no, perché non potreste dirmi che non li volete più, ma allo stesso tempo vi auguro di sì, perché è conforto, piacere, è vita. Sarò fissata, sarò esigente, ma io sono per ciò che resta, le cose passeggere possono rimanere dove sono se hanno lo scopo fine a se stesso di sparire. E, se avete letto tutto, complimenti: non avevate niente da fare, volevate scoprire cosa si celasse sotto il titolo un po’ bizzarro o accertarvi che questo mio articolo fosse all’altezza degli altri? La causa non mi importa, spero di avervi lasciato una conseguenza: il desiderio di qualcosa che resta. Qualunque idea vi abbiano suscitato queste pagine, ricordatevi che saranno sempre racchiuse nel giornalino e che, quindi, quando avrete voglia di farvi due risate se vi sembra una cosa ridicola, di criticarmi o semplicemente di tornare indietro nel tempo, potrete farlo non solo con l’immaginazione, bensì sfogliando con le vostre mani questi fogli lucidi. Alessia Biral
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BE STUPID
Be stupid è lo slogan usato dalla nota marca di abbigliamento “Diesel” per aumentare la propria popolarità utilizzando un’espressione accattivante che punta sull’ironia, sul gioco di parole tra smart e stupid, traducibili come “intelligente” oppure “astuto” e “stupido”. L’aggettivo “stupido” non è assolutamente inteso come se attribuito a qualcuno che non capisce o che non sa cavarsela, bensì come qualcuno che agisce col cuore, che si lascia guidare dall’ispirazione. Un po’ come un artista. Personalmente lo interpreto come un “lasciatevi andare” urlato da chi cerca di manipolarci, e questo è tutto dire. È un invito a vedere le cose da un altro punto di vista, senza un banale preconcetto capace di condizionare l’impressione. Aprite la mente, se non spontaneamente, con le pinze, perché avreste solo da guadagnarci: qualche idea geniale potrebbe assalirvi e conquistarvi, un’illuminazione vi condurrebbe all’arte, che può essere di qualsiasi tipo. Lorenzo Marini, famoso pubblicitario e scrittore, afferma: “Gli esseri animali usano l’istinto, gli esseri umani usano la ragione, i creativi usano l’intuizione”. Io vedo l’intuizione come razionalità che guida l’istinto alla creatività. I creativi, dunque, sono superiori agli animali e al resto delle persone perché, invece di scegliere, combinano i due modi di vivere, le due opzioni. Per cogliere l’istinto, quindi, bisogna frenare la ragione, bisogna smettere di trattenersi, lasciar
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si andare, perdere il controllo. Tuttavia chi accetterebbe di perdere il controllo per un attimo se non le persone stupide? Come detto sopra, coloro che sanno osservare il mondo da un’altra prospettiva e cogliere con una nota positiva ciò che per gli altri è irrilevante o deludente, sanno lasciarsi invadere dall’inaspettato. Essere stupidi, quindi, permette di partorire innovazioni. La stupidità è intrinseca nella natura umana. Gli intelligenti si sentono intelligenti dal momento che lo sono, gli stupidi lo sono dal momento che sono anche altro. Gli intelligenti calcolano ogni cosa per ottenere un risultato eccellente, spesso, però, non concretizzano niente, gli stupidi falliscono vittoriosamente. Gli stupidi sono quelle persone travolte dalla passione per la vita, gli intelligenti sono quelli che cercano di indirizzarla su binari ben pianificati da cui non potrebbe fuggire. Gli intelligenti seguono la mente, il cervello, la razionalità; gli stupidi non seguono niente se non il cuore, che li porta ovunque, li porta oltre. Essere stupidi è intelligente. Isn’t being stupid smart enough? Alessia Biral
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Il suo nome era Amanda Todd 2012. Canada. Una ragazza si suicida a causa del cyber bullismo. Amanda Todd aveva solo 15 anni quando si è uccisa; prima della sua morte, però ha pubblicato un video su YouTube in cui descrive, attraverso dei bigliettini, la sua esperienza e di come lei sia stata ricattata e fisicamente aggredita. “Ho deciso di raccontarvi la mia storia infinita” inizia il video. Tutto è iniziato quando, in seconda media, cominciò a frequentare un video chat per conoscere persone nuove su internet. Lusingata dai complimenti che riceveva per il suo aspetto fisico iniziò a permettere agli utenti dall’altra parte di fotografarla. “Venivo chiamata splendida, bella, perfetta etc”. Un estraneo un anno dopo iniziò a ricattarla minacciandola di esporre la foto di lei in topless ai suoi amici a meno che lei non si fosse mostrata in un video. “Conosceva il mio nome, il mio indirizzo, la mia scuola, genitori, amici, nomi dei familiari”. Alla mattina di Natale la polizia bussò alla porta di casa sua avvisando la famiglia che su internet fu pubblicata la foto di Amanda in topless; la ragazza allora iniziò a soffrire di ansia, depressione e attacchi di panico. Per farla stare meglio l’intera famiglia Todd si trasferì così che potesse cominciare una nuova vita lontana dagli sguardi accusatori ma lì conobbe l’alcool, la droga e un’ ansia altissima tanto da non riuscire più ad uscire di casa. Un anno dopo lo stalker ritornò creando un falso profilo su Facebook che aveva la fotografia di Amanda come immagine del profilo. L’uomo contattò anche i suoi nuovi compagni di scuola che iniziarono a prenderla in giro. “Piangevo ogni notte, persi tutti i miei amici e il rispetto che le persone avevano per me..ancora”. “Non piacevo a nessuno..venivo chiamata per nome e giudicata. Non avevo amici e a pranzo mi sedevo da sola così ricominciai a cambiare varie scuole..ancora”. Un mese dopo cominciò a parlare con un ragazzo, un vecchio amico che iniziò a interessarsi a lei,
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la invitò a casa sua e fecero sesso nonostante lui avesse la ragazza. Quando questa tornò dalle vacanze scoprì l’accaduto così, l’amico con la fidanzata e un gruppo di altri ragazzi, attaccarono Amanda fuori da scuola gridandole insulti e picchiandola finché lei non rimase a terra dolorante. “Ero sola.. Mentivo e dicevo che era colpa mia ed era stata una mia idea.. Non volevo che lui stesse male, pensavo di piacergli sul serio.. Ma lui voleva solo sesso”. Sua padre la trovò quasi in fin di vita nei pressi di un fosso; la riportò a casa e si rifugiò in bagno. Successivamente cercò di suicidarsi bevendo la candeggina ma l’ambulanza arrivò in tempo portandola immediatamente in ospedale per una lavanda gastrica. Quando tornò a casa dall’ospedale lesse i messaggi che la gente, anche sconosciuti, le inviarono su Facebook. Parole orribili da scrivere e da leggere. “Se lo merita, hai lavato via il fango dai capelli? Spero sia morta”. Si trasferii lontano, di nuovo, non sporgendo denuncia perché voleva dimenticare, voleva solo ricominciare da capo ma la gente continuava a perseguitarla su Facebook postandole foto di candeggina, ammoniaca e fossi. Continuavano a mandarle messaggi come “Dovresti provare un tipo di candeggina differente, spero che lei muoia questa volta e che non sia così stupida” “Spero che lei veda questa e si uccida” Cambiò città nuovamente e iniziò a prendere anti-depressivi e consultare uno psicologo ma il suo stato mentale peggiorò ugualmente tanto da auto lesionarsi. “La mia ansia è davvero orribile ora.. Non sono mai uscita quest’estate. Tutto per il mio passato.. La vita non migliora mai.. Non posso andare a scuola, incontrare e stare con gente nuova. Tagliarmi di continuo. Sono davvero depressa” In Ottobre la trovarono impiccata in casa sua. La tecnologia, internet e in particolare i social network non vanno usati per ricattare le persone, per rendere le vite altrui impossibili, per far del male alla gente; specialmente nel XXI secolo che la società si è evoluta ed ha una mentalità più aperta. Non si può odiare così tanto una persona solo per una stupidaggine fatta in adolescenza, chi non le fa? “Non ho nessuno.. Ho bisogno di qualcuno” L’aveva detto, aveva solo bisogno di un amico.
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Veronica Porcellato
NEWS DALL’ISTITUTO PER UNA VOLTA DIETRO LO SCHERMO! MERCOLEDI’ 19 MARZO 2013: “PER UN PUGNO DI LIBRI” MERCOLEDI’ 19 MARZO 2013, la 5°Cs dell’Istituto Turistico Commerciale “Giuseppe Maz-
zotti” di Treviso, dopo aver vinto il concorso interno all’istituto “TUTTI PER UN LIBRO, UN LIBRO PER TUTTI” (Edizione 2011-2012), parte alla volta degli studi RAI di Saxa Rubra a Roma, per registrare la puntata del celebre programma domenicale “PER UN PUGNO DI LIBRI” che vede, ormai da molti anni, due classi Quinte di licei ed istituti tecnici, provenienti da tutta Italia, contendersi la migliore preparazione su un romanzo specifico, scelto dagli autori del programma stesso e fatto conoscere alle classi solo una decina di giorni prima, e sulla letteratura italiana e del mondo.
La poca fiducia in noi stessi, la coscienza di gareggiare contro un liceo (maggiormente preparato
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in letteratura), la visione delle puntate precedenti del programma, sono alcune delle componenti che ci hanno fatto partire da Treviso con l’idea di confrontarci per fare “bella figura”, più che per vincere… o, per lo meno, con la volontà di tornare a scuola portando alta “la bandiera” del nostro istituto. La mattina della partenza, nonostante l’orario mattiniero, c’era un clima tutt’altro che sonnolento o rilassato: chi ripassava i titoli delle opere più sconosciute, chi rileggeva brani del testo assegnato (“Madame Bovary” di Flaubert), chi ancora studiava poesie e sonetti: a nessuno balenava in mente qualche altro pensiero se non quello della registrazione che sarebbe avvenuta nel pomeriggio stesso.
Ore 13.45: arrivo negli studi della RAI.
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Abbiamo pranzato nella mensa RAI e, solo verso le 16.00, abbiamo incontrato gli sfidanti: un gruppo composto da due classi, una del liceo linguistico e l’altra di un Istituto Tecnico Commerciale di Sesto Fiorentino. Entrati nello studio, ci sono state ripetute le regole dei giochi: farmavamo la Squadra Blu. Alla chiamata per disporci sui palchi assegnatici, non esistevano più distinzioni tra professoresse ed alunni: ci sono stati sguardi di complicità mista a tensione ed ansia, eravamo “tutti per
uno, uno per tutti”!
La sistemazione, la regolazione delle luci, dei microfoni e delle telecamere sembravano non avere più fine, ma, allo stesso tempo, tutto si svolgeva in un’atmosfera abbastanza serena. Il gioco, all’inizio, vedeva i nostri avversari di pochi punti più avanti a noi. Grazie, però, ad una graduale rimonta negli ultimi giochi e ad una frettolosa risposta errarta dell’altra squadra, siamo riusciti a strappare onorevolmente la vittoria!
PUNTEGGIO FINALE: TREVISO 43 – SESTO FIORENTINO 22!
Si spengono le telecamere, si spengono le luci: tutto è finito!
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I ragazzi di Sesto Fiorentino se ne sono andati subito alla “chetichella”, noi ci siamo goduti la “gloria”! Abbracci, risate, sorrisi, qualche foto per immortalare l’evento, forse anche qualche lacrima di gioia… non potevamo crederci, nessuno avrebbe scommesso tanto su di noi!!! Uscendo dallo studio, l’impatto con le professoresse, rimaste a seguire la puntata “dietro le quinte”, è stato “travolgente”! L’emozione è stata grande. Fino alla fine siamo rimasti con il fiato sospeso perché tutto poteva succedere e potevamo ancora cambiare le sorti del gioco. Eravamo tutti uniti per raggiungere un unico obiettivo, parti di un gruppo che rispondeva all’unisono. Finalmente la preparazione e l’impegno sono serviti e sono stati ripagati.
Per una volta eravamo noi ad essere dietro lo schermo, abbiamo capito come funziona, come viene organizzato un programma televisivo e quante persone lavorano per ottenere un buon risultato. A volte ci si ricorda soltanto dei conduttori, di coloro che appaiono più volte nel teleschermo, ma ci si dimentica di quanto sia indispensabile anche il lavoro di preparazione, quello nascosto dietro le quinte. Prima della partenza avevamo un’idea irreale della televisione, al ritorno abbiamo maturato la consapevolezza di quanto, anch’essa, sia una realtà che, seppur apparentemente lontana, può diventare un’esperienza della nostra vita! È stata un’esperienza unica, un’esperienza che fino a qualche mese fa nessuno di noi pensava
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di poter fare e proprio per questo rimarrà nei nostri ricordi e nei nostri cuori in modo indelebile con la consapevolezza di poterlo sempre raccontare. Ricorderemo il mese di Marzo 2013 come un periodo che ci ha visto studiare, faticare, collaborare, provare sentimenti intensi come mai avevamo provato prima nellla nostra classe! Quasi un anticipo di quei sentimenti che sicuramente proveremo nei giorni dell’Esame di Stato. Ringraziamo la nostra professoressa di Italiano e Storia, prof.ssa Sandra Antonietti, e la professoressa Paola Vendramin per averci dato la possibilità di provare emozioni così forti che non tutti i ragazzi hanno l’opportunità di vivere. Siamo orgogliosi di aver potuto rappresentare la nostra scuola e la città di Treviso. M. Pellizzon - E. Pravato (Cl. 5^ Cs)
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Galleria immagini “Per un pugno di libri�
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RIFLESSIONI “COSA RESTERÀ”
“Anni come giorni son volati via” cantava Raf alla fine degli anni ’80. E ora è una frase che mi tormenta e mi affolla di pensieri la mente, e non solo la mia. Sembra ieri quando abbiamo iniziato la prima superiore, ma tra qualche mese sarà tutto finito, e cosa resterà di noi? Un gruppo forse fin troppo eterogeneo, unito dal caso ma senza mai esserlo davvero. Persone che se ne sono andate troppo presto oppure che sono arrivate in ritardo, non è stato un percorso completo per tutti. Eppure in quell’aula, ogni anno diversa, è nato qualcosa di dilettevole o di spiacevole, poco importa. Ho avuto la fortuna di conoscere persone meravigliose che altrimenti non avrei mai incontrato, sono riuscita ad instaurare rapporti speciali e ho affinato la mia pazienza tollerando persone che spesso mi hanno infastidita. Ma è stato piacevole pure quello, perché se fosse stato “tutto rose e fiori” sarebbe stato un po’ noioso. “L’anno scorso sapevamo dove saremmo state a quest’ora, sapevamo che avremmo dovuto studiare per qualcosa di definito, adesso chi lo sa dove saremo tra un anno?” ci siamo chieste un giorno come tanti altri. E la risposta dobbiamo ancora trovarla, perché non sappiamo se andremo all’Università o se cercheremo disperatamente un lavoro sufficientemente remunerativo da diventare indipendenti. Abbiamo progetti, obiettivi, sogni, ma chi può dire se si realizzeranno? Forse questi sono stati solo “anni sui libri di scuola e poi a cosa servirà”, però non si può nemmeno dire che siano stati inutili. Per cinque anni siamo state insieme, tra risa e litigi, ma poi svanirà tutto, quasi come se non ci fosse mai stato. Le lotte per spostare le verifiche e incastrare le interrogazioni programmate, i viaggi mai tutte insieme, i suggerimenti scolastici e i consigli umani, i segreti troppo taciuti o urlati alla classe, i problemi di ognuno che ogni anno hanno segnato la storia: la nostra. Ma davvero: cosa resterà? Ci dimenticheremo tutto di questi anni “afferrati e già scivolati via”? Forse non li abbiamo vissuti al meglio, forse li abbiamo percepiti come se non dovessero finire mai e come se non vedessimo l’ora che passassero, il più veloce possibile, non vedevamo l’ora di crescere, diplomarci e andarcene. Anche adesso è un po’ così: vogliamo liberarci dalla pres-
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sione che caratterizza gli ultimi mesi, ma vogliamo liberarci anche di tutto il resto? Certi ricordi sono assolutamente indelebili, altri inevitabilmente se ne andranno. “Anni allegri e depressi di follia e lucidità”, sento ancora. Già, le emozioni sono state le più svariate. Ricordo le risate fragorose fino a piangere, magari solo noi conoscevamo il motivo, ma non dimentico i dolori, i problemi. Quanti sentimenti abbiamo provato insieme e quante cose da ricordare: abbiamo urlato, gli uni contro gli altri, spesso per futilità, oppure abbiamo ignorato inconsapevolmente chi ci chiedeva aiuto e, ancora, abbiamo allontanato chi forse non se lo meritava poi tanto, ci siamo abbracciati calorosamente dopo mesi che non ci si vedeva, ci siamo stretti forte solo per essere più consapevoli di esserci. Sì, ora ci siamo. Tra poco, non più. Io li ricordo i vostri desideri, i sogni che mi avete confidato, i segreti che alla fine conoscevano tutti. Ma “delle nostre voglie e dei nostri jeans, che cosa resterà?” Rimane qualche fotografia a testimoniare che siamo persone concrete, magari alle feste di compleanno, dove tutte insieme – o quasi – abbiamo cantato le stesse canzoni, ci siamo prese per mano; oppure nei viaggi, quando stavamo insieme troppo tempo per poterlo contare, ma mai abbastanza per ricordare ogni attimo. Lo so, queste esperienze le vivono tutti, non voglio avere la presunzione di affermare che noi abbiamo conosciuto determinate emozioni e gli altri no, anzi, probabilmente c’è chi prova qualcosa di più significativo. Però, sinceramente, quelle risate, quegli abbracci, quelle liti e quelle confidenze con persone che non siete voi, non sarebbero state le stesse, nel bene e nel male. È stato qualcosa di unico. E per questo voglio che resti tale, anche se la domanda rimane ferma e senza risposta. Cosa resterà? Alessia Biral
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24 Ottobre 2011 22:49
Mi piaceva starti a sentire. Avevo da raccontarti le mie paure, i miei incubi di Marzo. Mi piaceva quando te ne andavi, quando tornavi. Ma abbiamo l’orgoglio a portata di mano, noi. Avevo da raccontarti il mio sogno di andarmene a Parigi. Eravamo come le lancette dell’orologio. Ci sovrapponevamo solo per un attimo e poi ognuno tornava alla sua lotta contro il tempo e di quello quanto ne abbiam perso. Mi piacevano le nostre tregue, gli arrivederci e le stazioni vuote. Potevo sopportare il veleno delle parole che mi corrodevano la pelle. Avevo da dirti che son sempre stata abituata alle mille attenzioni, volevo raccontarti di una madre che d’amore non è capace e di un capofamiglia che si fa guardare in cielo, come fosse Dio. Mi piacevano i tuoi capelli, il tuo carattere, le tue mani troppo grandi. Le munizioni pronte a darmi fuoco. Avevo tante cose da dirti, ma ti lasciavo fare, ti lasciavo sempre andare. Facevo l’indifferente. Valeria
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1 Marzo 2013
Sei una di quelle persone che hanno tante cose da dire ma che finiscono per non dirle mai, per paura di dirle male, o per paura di dirle e basta. Dovresti mettere nero su bianco le cose che ti scorrono ciò che ti scorre nella mente, dovresti far conoscere al mondo ciò che pensi. Perché nel momento stesso in cui lo scrivi, scegli. Scegli da che parte stare, scegli come pensarla. Scegli se vedere bianco o nero, o se chiudere gli occhi e lasciare che scelgano altri al posto tuo. Ma se tu scegli di scrivere è perché qualcosa da dire ce l’hai, per quanto banale, per quanto contorta. E non c’è soddisfazione più grande nel vedere che altri la pensano come te, ma semplicemente tu l’hai detto meglio Perché se c’è una cosa in cui credo fermamente e che forse non ho mai detto è che tu le cose le sai dire meglio di chiunque altro, è sempre stato così. Valeria
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8 Febbraio 2013
Siamo tutte facce, senza identitĂ . Siamo come alberi senza radici. Fiori, cresciuti nella ghiaia, bruciati ancora prima di sbocciare. Cervelli in fumo, senza stimoli. Siamo numeri anzichĂŠ nomi da ricordare. Siamo come la salsedine che resta sulla pelle, cerchiamo di lasciare tracce nello stesso istante in cui le cancelliamo. Siamo bombe inesplose. Proiettili vaganti. Autodistruttivi, alla ricerca della nostra identitĂ . Valeria
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Il passato resterà per sempre tale. First day of love never comes back A passionate hour`s never a wasted one The violin, the poet`s hand, Every thawing heart plays your theme with care [While Your Lips Are Still Red – Nightwish] Sarà che la vita bisogna prenderla come viene, sarà che bisogna accettarla. Sarà. Ma sarà anche che le cose, a cui vale davvero la pena di prestare attenzione, sono le più belle. Tutto il resto non è vita. Non è la propria vita ciò che pensano gli altri. Non è vita soffrire. Non è vita piangere e nemmeno maledirsi e pentirsi. Non è vita nulla di tutto ciò. Un anziano, arrivato alla fine della sua vita, può dire che ha vissuto per davvero ricordando i momenti migliori, i momenti felici che lo hanno fatto sentire vivo. Egli ricorda, con un sorriso malinconico, ma non rimpiange mai. E’ quello che dovremmo imparare tutti noi. Dovremmo imparare a goderci tutto, a far entrare dentro le nostre testoline ciò che di più bello l’esistenza ci offre. Anche le sofferenze offrono qualcosa di bello. Le sofferenze fortificano. E quando arriva il momento di ricordare, ricordate quello che le sofferenze vi hanno insegnato, non ciò che vi hanno strappato via. Perché è molto più ampio l’ambito di ciò che esse ci portano, che quello di ciò che esse ci cancellano. La morte, le delusioni, le ferite fanno sì che le nostre personalità migliorino, fanno sì che alcuni sbagli non si ripetano. E’ questo il bello di tutto quello che ci accade. “Ama te stesso” significa “Ama la tua vita”. Se tutti fossero in grado di farlo, al mondo non esisterebbero guerre, suicidi, omicidi…dolore. Il modo in cui sentiamo la nostra esistenza è unicamente frutto delle nostre scelte e di nessuno e nient’altro. Ciò che senti sono tutte chiacchiere e ciò che vedi sono tutti fatti. Sono profondamente convinta che ogni persona che incrocia il nostro cammino sia in grado di arricchirci e trasmetterci qualcosa di buono. Ecco un altro modo per rendere la vita una meraviglia. Imparare. Imparare da tutto e tutti. Prendere qualcosa da tutto ciò che ci sta intorno e farlo diventare il nostro tesoro più grande, perché possiamo, non abbiamo limiti o divieti. Ognuno di noi ha la libera facoltà di fare della propria vita ciò che meglio gli pare. Bisogna piano piano rendersi conto di questa grande libertà, la più preziosa. E sorridere.
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Sorridete sempre. Qualsiasi giornata, anche la più brutta, prende una piega migliore con un sorriso, uno di quelli che allungano la vita. Diciamo che i sorrisi sono il condimento perfetto per rendere la vita una gioia che non finisce mai. In questi diciannove anni, ho imparato molto dalla vita e per essa. Ho imparato quanto sia importante vivere l’attimo, prenderlo e farlo proprio, perché è un attimo che non si ripeterà più. Questi cinque anni di scuola non avrò più l’opportunità di rifarli. Le esperienze passate non si sono più ripetute; la vita stessa, quindi, è irripetibile. Noi siamo unici e irripetibili. Dobbiamo davvero buttarci via? No! Perché, per quanto ci sentiamo inutili e inadatti, facciamo parte del mondo e di ciò che questo diventerà. Siamo indispensabili perché tutto funzioni, indispensabili per il futuro, che ci appartiene da sempre. Ciò che ognuno dovrebbe fare è prendersi il proprio futuro e contorcerlo come meglio gli pare, per non avere rimpianti, per non arrivare alla fine e inginocchiarsi mettendosi a piangere. Perché una vita non vissuta come desideriamo è una vita sprecata.
Macrina
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Vita – insieme di persone, frutto di scelte “Qualsiasi cosa tu faccia sarà insignificante, ma è molto importante che tu la faccia.” – Gandhi Arriva un momento, nella vita di ognuno di noi, quando ti rendi conto che le scelte che fai sono sempre più difficili, che le vite che tocchi ti restano dentro e si intrecciano con la tua in modo continuo e infinito; ti rendi conto che la semplice cotta è amore e che la tua vita non dipende
solo da te, ma anche dagli altri. Ti rendi conto che vivi per gioire, ma che la gioia non è raggiungibile come nelle favole e che nonostante l’amore, che metti nelle scelte che fai, non sei sempre ripagato. Arriva. Arriva quel momento in cui pensi che non ce la fai più, che la semplice routine non fa per te, che vuoi qualcosa di più, ma che non sempre quel qualcosa ti è destinato. Ci sono cose, persone, che sai di volere accanto per sempre, sai che non le puoi perdere per nulla al mondo perché sono quelle che ti fanno andare avanti. A dodici anni, di persone speciali è pieno il mondo. Man mano che ti avvicini ai venti queste diventano sempre di meno e più avanti le puoi contare sulle dita di una mano.
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I sentimenti diventano veri, ti distruggono, ti creano e queste persone ti risucchiano nella loro anima. E sai che ti hanno cambiato nel profondo e che, ovunque esse poi vadano, le terrai nel tuo essere più profondo fino alla fine. Sia quelle che non ci sono più, sia quelle che sceglieranno di dimenticarti, sia quelle che sceglieranno di restarti vicine. Non puoi staccarti da loro nemmeno se ti feriscono. Non puoi, perché sai che senza la loro presenza o il loro ricordo saresti un semplice guscio vuoto. Sono i sentimenti più profondi che rendono una persona viva. Sentimenti che partono dall’amore, passano per la disperazione e arrivano alla rabbia. Nessun essere umano è capace di vivere senza emozioni. Nessun essere umano vivrebbe senza ricordi e quelle poche persone speciali che conosce durante la sua vita. Penso di aver capito come funziona. La vita va avanti e ha un senso se hai intorno e dentro di te quelle presenze essenziali, uniche, eterne. E quando ti capita una di quelle persone, non lasciartela scappare. Aprile il tuo cuore, non temere le conseguenze tremende o no. Perché, tremende o no, quelle conseguenze sono tutto. Sono l’essere in sé. Non temere di dire “ti amo”, non temere di dire “sei tutto per me”, non temere di dire “non lasciarmi”, “ti voglio bene”, “ho paura di perderti”. Aprire il cuore alle persone speciali è una delle cose più belle che si possano fare nella vita. Le scelte impossibili e faticose ci saranno, da parte tua, da parte loro, ma sono scelte di vita. Scelte che sono necessarie affinché le vere emozioni, quelle forti, vengano fuori. Scrivo pensando a chi mi ha sconvolto la vita. Scrivo pensando a chi amo e desidero sempre presente nella mia insignificante esistenza. Non so se mi staranno sempre accanto, non so se starò male o bene, ma so che a loro ho aperto l’anima e la lascerò così fino alla fine di tutto. Forse è
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una delle scelte più sagge che abbia mai fatto, perché è quello il mio scopo: vivere per e accanto a qualcuno. Nella vita non ci si può lasciar sfuggire tutto e tutti, non si può passare accanto e, con finta indifferenza, guardare i sassolini per terra.
Nella vita si fanno scelte, e non esistono quelle sbagliate o giuste. Esistono solo scelte che ci portano su sentieri diversi e in mondi diversi. Scelte di cui non bisogna pentirsi se fatte con il cuore e l’anima, perché le hai fatte in un momento particolare, il momento perfetto. Poco importa se i sentieri saranno in salita o in discesa. Quello che conta è averli intrapresi. Macrina
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CR EAT I V I TA’ POESIE E’ dolce l’alba, lieve sulla pelle. Silenzioso, il forte vento che soffia da nord. Dolci i passi che mi accompagnano alla vita, ma pieni di rovinose cadute.
I nostri sogni profumano di stelle, corpi pulsanti compagni di viaggio. I nostri sogni profumano di belle giornate. I nostri sogni profumano di noi.
Mentre soffia il vento il fruscio è appena percepibile. Prima che cominci a piovere siamo solo io e te.
È turbinio, vortice, tempesta. Scuote tutto e tutto desta. L’animo ti colma quasi con affanno e, ad esser franco, provoca danno.
Infiniti tipi di inferno e un solo irraggiungibile paradiso.
È’ l’ispirazione, amica di vecchia data calpesta cuore, viscere e stomaco, non mantiene mai la parola data.
Le giornate di sole sono illusorie, superficiali. Mettono di buon umore ma non danno ispirazione
Arriva fulmine in una placida giornata e in un angolo rimane acquattata.
I nostri sogni profumano di sole. Di mattine di maggio dove il freddo sembra non volersene andare . I nostri sogni profumano di cieli azzurri che, ridendo, pare riuscire a toccare anche da sdraiati. I nostri sogni profumano di ciliegie rosse non ancora mature, raccolte da un ramo lassù, in alto.
Ispirazione
Forte nella sua potenza non puoi far altro che darle accoglienza.
Caddero come foglie di mille autunni, come fiocchi di neve di mille tempeste, come bambini dalle altalene, le mie difese. Anonimo
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I. Vortice di pensieri nel cervello dispersi questi attimi che ti divorano vivo‌ Mangiare mangiate tutti Fumare fumate tutti parole al vento‌
Macrina
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II. E ti ritrovi persa un oceano di desideri affascinante…. L’esistenza che vuoi ti sfugge, lei donna inafferrabile, lei tempesta incontrollabile. Lo sai, lei la passione il punto l’amore il limite l’assurdo Irraggiungibile
Macrina
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ELOGIAMO Elogiamo le nostre capacitĂ , elogiamo il nostro intelletto, elogiamo le nostre idee, elogiamo la nostra fede, elogiamo le nostre amicizie, elogiamo i nostri sentimenti, elogiamo noi stessi! Veronica Porcellato
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La sciolse. Le sciolse la volontà, la determinazione. Le liquefece il sorriso, la timidezza. L’imbarazzo le scivolò via, ma così pure la voglia di mettersi in gioco. Lui la fece lottare, col mondo e con se stessa. Lui la rese la più debole e l’invincibile. Lui la rese il tutto e il niente. Lui la sciolse. Deb
Potremmo andare avanti così: indifferenti, arresi. Scivolare tra le ore ed i giorni, fino a sorvolare gli anni. Lasciar perdere i momenti, trascorrerli con l’autoconvinzione di avere tempo. Averne ancora. Potremmo smettere di piangere e smettere di ridere, smettere di pensare ed andare solo avanti. Sopravvivere, esistere. Le persone si lamentano della crudeltà della vita, ma si lamenterebbero anche di esistere solamente per poi morire (?) Deb
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FUGGIRE
DI NUOVO AL MONDO
Mi è rimasta la voglia Agonia, voglia di scappare, di rivestire una vita spoglia, se potessi, verso l’infinito a sognare. la ricopro di perché: Lontano, via, lontano dove noi riusciamo ad essere, possiamo, mai nient’altro da me. E non ci sono risposte e fidarsi, sapere di noi. alle domande già poste, Ma non c’è il prima, né il poi. sempre più interrogativi, E spero di smettere punti di domanda ossessivi. di credere che serva credere. Ne vale la pena? Basta tenere gli occhi chiusi, Me lo chiedo ogni sera, e apprezzare quando ti scusi. dentro quella stanza Che poi sperare dove porta? Alla rivoluzione nel cuore, che importa. che risucchia la speranza. Dimentico gli errori, E fingere di non sentire ignoro i rancori, e perire e scoprire il continuo tormento che non sarò mai niente, che perpetuamente sento. un nulla tra la gente. Creo confortevoli illusioni, Sentimenti soffocati, coprono i lampi, i tuoni silenzi troppo urlati, di una vita che mente, solo rumore che fischia, è sempre troppo assente. siamo uno zero nella mischia. Rinasce quella mia, Cordoglio, sofferenza, dolore non sfugge più via, e io, che preferirei il rancore, adesso la trattengo: rimango inerme di nuovo al mondo vengo. in attesa di conferme. E io sto, e tu vai, Alessia Biral un domani che diventa un mai, tanto ormai che resta? Solo una vita ridotta in tempesta. Alessia Biral
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GUARDARSI DENTRO MEDIOCRITÀ Sei sempre sincero quando parli del vero o menti a te stesso per apparire diverso? Dalle labbra, un sussurro interrompe l’azzurro degli occhi, purezza, esiste la bellezza? Ricerchi, tosto, la perfezione, ma conosci solo insoddisfazione: la tua unica amica, la più profonda ferita. Rinuncia, non la curi e solo problemi saranno venturi. Non credere al presente: tanto è deludente. Non fidarti di che è stato: c’è un motivo se è passato. Lì davanti, tu ci stai, come sempre ci sarai. C’eri, nonostante tutto, nonostante un mondo brutto che ti ruba, ma non dà e non rivela ciò che sa.
Essere abbastanza: desiderio che con costanza emerge ogni secondo, confronto con il mondo. Il rifiuto per la mediocrità sfiora l’infinito, l’immensità, non serve la migliore, posso essere la peggiore. Detesto l’omologazione, l’identica direzione, la scelta di massa: l’identità collassa. Aspiro all’unicità, niente a che fare con la bontà, non seguo il vento, rincorro il mio talento. Alessia Biral
Alessia Biral
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ART E E CULT URA FIGHT CLUB Fight Club è un romanzo scritto e pubblicato da Chuck Palahniuk nel 1996. Fight Club ha avuto un immediato successo, è stato accolto sia da critiche che da consensi. Fight Club è stato tradotto in film nel 1999 dal regista David Fincher. Fight Club su pellicola ha aumentato
la
popolarità
dell’opera. Un fight club è un incontro clandestino in cui due uomini si picchiano finché uno dei due non cede e implora pietà, è un segreto che bisogna mantenere, è il rispetto per il capo: Tyler Durden.
La prima regola del fight club è che non si parla del fight club. Infrango la regola e ne parlo, più per dovere che per diletto, dopo aver letto il libro e visto il film. In quest’ordine, in pochi giorni: sono, quindi, carica di fight club, carica di ingiustizie e di frustrazione che prima non percepivo a tale livello. Sono carica di cose da dire, informazioni da svelare, consigli da dare. Fight Club è la storia di un anonimo narratore – chiamato Jack nel film e dagli stessi fan – che,
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nonostante sia consapevole del fallimento che è la sua vita, dirige un’esistenza normale, divisa tra un lavoro normale e una casa normale. Il protagonista, interpretato da Edward Norton, soffre di insonnia e, su consiglio del medico, inizia a recarsi a diversi gruppi di sostegno, a ogni sera della settimana corrisponde un incontro con chi sta per morire: malati di cancro, affetti da tubercolosi. A contatto con la vera sofferenza, l’insonnia cessa, almeno fino a quando l’uomo non incontra Marla Singer, l’affascinante Helena Bonham Carter. Anche Marla simula diverse malattie per poter partecipare alle riunioni dei gruppi di sostegno, ma la sua presenza impedisce a Jack di lasciarsi andare, di piangere liberamente tra le braccia di Bob, conosciuto al gruppo di sostegno per i malati di cancro ai testicoli. Marla e Jack decidono, dunque, allo scopo di non
incontrarsi e di restituire a Jack il diritto di piangere, di dividersi i gruppi a seconda delle serate. In seguito, tornando in aereo da un viaggio di lavoro, il protagonista incontra Tyler Durden, interpretato da un dannato Brad Pitt. Tyler è l’opposto di Jack: Tyler vive, Jack sopravvive, Tyler sperimenta, Jack si adatta. Tyler lavora come cameriere e inquina i piatti che serve, lavora come proiezionista e inserisce scene di film porno in proiezioni per famiglie, fabbrica saponette utilizzando il grasso che le donne ricche si fanno esportare con la liposuzione. Tyler fa sì che un’esplosione distrugga l’appartamento di Jack; da qui inizierà una lunga convivenza nella catapecchia di Tyler, che in cambio chiede all’amico di colpirlo più forte che può. Da questo episodio nasce il fight club, che presto coinvolge decine e decine di seguaci che si incontrano per lottare, facendo poi finta di niente durante l’arco della giornata, l’arco della settimana. Ma il fight club è più di tutto questo: è ribellione, è picchiare ciò che odi, ciò che ti rovina e ti consuma dentro, è sfogo. Fight Club è una risposta anticonformistica al consumismo che infetta la società odierna, è l’al ternativa oltre alla droga, all’alcol, al fumo, ai tatuaggi, a chi cerca di distinguersi
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emergendo. Fight Club è cercare l’autodistruzione perché solo toccando il fondo si può risalire, inseguire la vita vera che fa sentire davvero vivi, è mettersi in pericolo per provare emozioni forti. Fight Club è il rapporto morboso e parassitario tra i due personaggi, è la relazione di dipendenza tra i membri che ren dono legge la paro la di Tyler Durden, è l’ob bedienza cieca degli adep-
è
ti che chiamano “signore” il protagonista.
Mentre i due uomini sviluppano questo circolo, arricchendolo con associati in tantissime città americane, anche Marla cerca di intrattenere un rapporto col protagonista, che sembra respingerla, sapendo che ha rapporti sessuali con Tyler da quando lui è andato a farle compagnia dopo un accidentale tentato suicidio della ragazza. Durante tutta la lettura del libro o la visione del film, si percepisce la caduta libera della vita di Jack, che precipita verso il fondo senza mai riuscire a raggiungerlo completamente, in una lotta costante contro il conformismo e un rifiuto radicale per tutto ciò che è materiale. L’anarchia caratterizza il romanzo e il film e si incarna nell’anticonsumismo, “le cose che una volta possedevi, ora possiedono te”, espresso chiaramente nel momento in cui si afferma che la pubblicità spinge l’uomo ad avere automobili e vestiti acquistabili col salario di un lavoro odiato. Emerge, inoltre, un forte anticlassismo esplicitato dalla contaminazione delle pietanze che Tyler serve ai ricchi, e un utopico anarco-primitivismo che mira alla distruzione della società contemporanea. Altra particolarità rintracciabile tra le pagine o durante le scene è il nichilismo: il disfattismo di Tyler contagia presto il protagonista, che si fa influenzare fino a credere che toccare il fondo sia l’unica soluzione, perché ogni cosa è precaria, priva di senso. La violenza privata del fight club si trasferisce in poco tempo al Progetto Caos (chiamato Progetto Mayhem nel film), che ha lo scopo primario di distruggere l’intera città. La situazione sfugge rapidamente dalle mani del protagonista, che pian piano riscopre un nemico nella figura di Tyler, da cui ormai dipende la sorte del gruppo, della città e di Jack stesso. Ma non è così semplice liberarsi dell’onnipresente e assente signor Durden, perché un finale a sorpresa
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sconvolge il lettore e lo spettatore tanto quanto il protagonista, che non sa più come reagire. Fight Club appare come la descrizione della società di oggi che cela il suo marciume sotto un’ap parenza intatta che solo in pochi hanno il coraggio o la noncuranza di scalfire. Fight Club è l’urlo delle persone che non possono più tacere la fame di denaro del mondo, che supera i valori. E allora perché non superare questo difetto con l’apice dell’immoralità? Perché non ricercare la vita distruggendola? Perché curarsi se poi si è tutti destinati al nulla? Fight Club non è una lettura semplice, è una lettura che ti trascina dentro se solo le dai la mano, che dà emozioni combattendo l’indifferenza. Ed è un film che tramuta in visioni, in realtà queste emozioni, che trasmette ogni pugno, che fa sentire ogni schiaffo come se fosse sul proprio viso. Fight Club non dà risposte, è, bensì, la fonte delle domande. Stimola la curiosità, l’attività cerebrale di coloro che hanno ancora il coraggio di interrogarsi e di reagire, è la pala che permette, a chi ne ha la forza e la capacità, di scavarsi dentro e di scoprire nuovi segreti, nuove idee. Fight Club è denuncia di ciò che è troppo legale per apparire inusuale e ingiusto. Alessia Biral
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DIARIO DI UNA MOTOCICLETTA
Lascia che il mondo ti cambi, e portai cambiare il mondo
Il titolo di questo film è alquanto insolito e a mio parere con un significato che ispira già ciò che il film racconta. Il tema principale, infatti, è il viaggio come nessuno oggi riuscirebbe a viverlo. In questo capolavoro, due amici, Alberto ed Ernesto, decidono di intraprendere un viaggio attraverso l’America Latina fra Cile, Perù, Bolivia, Colombia e Venezuela toccando con mano la situazione dell’America Latina rendendosi conto di una realtà così lontana dalla loro ma così vicina dall’ambiente in cui vivevano. Durante questo percorso avviene in Ernesto un cambiamento interiore, ha inizio in lui una riflessione sulla povertà dei popoli Sudamericani. Lui stesso, verso la fin del film dice: “ Io, non
sono più io, per lo meno non sono lo stesso io interiore.”
Il film dà un’importante lezione di vita, quella di imparare a vedere con occhi diversi ciò che si è soliti sentire, e rendersi conto di quanto diversa sia la realtà rispetto al mondo in cui viviamo. Nel film si può cogliere il vero significato che dovrebbe avere il verbo “viaggiare”, parola che oggi ha perso la sua vera essenza. Il viaggio di Alberto ed Ernesto è la “scoperta”; la bellezza di quest’esperienza è il cambiamento della percezione del mondo e l’invito a viaggiare senza “paraocchi” per poter comprendere la propria identità e aprire i propri orizzonti. Questo dovrebbe essere lo scopo di qualunque viaggio si decida di iniziare, ma che purtroppo, oggi, la maggioranza non riesce a percepire. Basta andare agli anni ’60: l’idea di “viaggiare” era
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molto diversa da quella consumistica di oggi. Gli uomini partivano per un viaggio sperando di perdersi in un mondo fantastico e sperando di non poter tornare mai più. Oggi, invece, si pensa che viaggiare significhi avere una mappa in mano, scegliere dei luoghi, segnare con una croce quelli visitati e pretendere di ritornare avendo arricchito le proprie conoscenze. Questi sono “i viaggiatori di massa”, coloro che lo fanno unicamente per dire “ci sono stato anch’io”, guardano i monumenti e le meraviglie del posto solo dalla parte illuminata dal sole, senza interessarsi dei segreti nascosti nell’ombra. E come diceva Edgar Allan Poe:
“ viaggiare è come sognare, la differenza è che non tutti al risveglio, ricordano qualcosa”. La stessa vita è un viaggio: il passare del tempo, la trasformazione interiore; ma il viaggio più suggestivo che ciascuno di noi può compiere è quello “dentro se stessi”, alla ricerca della propria personalità, identità: tutto ciò può avvenire solo interrogandosi e riflettendo sul senso profondo della vita. Viaggiare ci muove in due direzioni: ci mostra le meraviglie, i valori e i problemi che normalmente potremmo ignorare, ma allo stesso tempo, e più profondamente, ci mostra tutte le sfacciettature di noi stessi che altrimenti rischierebbero di arrugginirsi.
Viaggio è, quindi, scoperta; viaggio è quel colore che non brilla mai sulla tua terra, è quel profumo che non bagna la tua
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aria, è quel suono che non carezza la tua musica, è quel sapore che non risalta sul tuo piatto: il viaggio è l’accarezzare la diversità, capire quanta ricchezza esiste in ogni persona e quanto diversi, ma allo stesso tempo uguali, possiamo essere. Un viaggiatore che non osserva è come un uccello senza ali. Consiglio questo film a tutti coloro che hanno intenzione di compiere un viaggio, da soli o con amici: 13.000 chilometri percorsi da questi due amici che vivono nella pura scoperta e libertà. Elisa Savietto
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S P ORT ZUMBA – PIÙ CHE UNO SPORT
La Zumba è un particolare tipo di danza che in Italia si è affermata da pochi anni, sebbene sia stato creato dal ballerino colombiano Alberto “Beto” Perez negli anni Novanta, in America, a Miami. Con vari generi musicali, si creano balli altrettanto divertenti, trasferendosi dalla baciata al reggaeton, dal merengue al mambo, dalla salsa all’hip-hop unendo passi base dell’aerobica. La base è generalmente una musica latinoamericana unita all’afro-caraibica, a cui, ultimamente, si associano canzoni pop-commerciali, creando un effetto strepitoso. Chiunque pratichi questo sport con passione può confermare la carica straordinaria che riesce a dare, ti fa sentire vivo, felice. Ti sfoghi sfruttando una forma d’arte. Gli esperti dicono che uno degli scopi della Zumba è far divertire le persone senza far loro avvertire la fatica, dando la possibilità di riscontrare un elevato consumo calorico (cosa che evidentemente con me non funziona, ma non si può avere tutto). Inoltre, fa bene al cuore e contribuisce a tonificare i muscoli, soprattutto gambe e glutei. Per esperienza personale, posso affermare che la Zumba aiuta a sconfiggere la timidezza, a rapportarsi in modo migliore col proprio corpo e a sapersi muovere percependo ogni fibra muscolare, a sentire la musica. Da allieva, vedo questo sport (che per me è molto di più) come un inno alla vita, non per niente la maggior parte delle canzoni presentano testi che incitano alla felicità (hay que buscar la vida siempre, hay que soñar despierto) oppure hanno ritmi coinvolgenti e particolari che ti catturano, provare per credere. L’omonima marca di abbigliamento, per di più, abbina capi particolari a colori sgargianti e fantasie giocose e solari, dando la possibilità di creare abbinamenti comodi e piacevoli. Per avere un’opinione diversa, ho deciso di intervistare brevemente la mia istruttrice, Antonella Biral, che mi ha fornito le seguenti informazioni.
Che cos’è per te Zumba? In primo luogo, Zumba vuole essere allegria, divertimento per tutti. È molto più di uno sport, ma, se vogliamo vederlo come tale, possiamo definirlo come un’attività fisica che non richiede attitudini particolari, infatti, è alla portata di tutti. Credo si trascinerà avanti nel tempo, nonostante in Italia sia praticata da poco, appunto perché è spensierata e accessibile a chiunque. A chi è rivolta la Zumba? A tutti, non mi vengono in mente categorie che non possano essere incluse. Ci sono vari tipi di Zumba: Zumbatomic per i bambini, Zumba Gold per gli ultrasessantenni, Aqua Zumba per ballare in piscina, Zumba Sentao cioè praticato sfruttando delle sedie, quindi possono parteciparvi anche i disabili. Abbiamo fatto un master, tempo fa, per insegnare anche a loro ed è stato un successo! Perché hai deciso di iniziare a praticare e insegnare? Ho sempre praticato aerobica e altri tipi di danza, quando ho scoperto questa novità, ho pensato di cimentarmi in qualcosa di nuovo. Penso che Zumba debba essere conosciuto, ho pensato di insegnarlo alle altre persone, e in molte l’hanno apprezzato molte l’hanno apprezzato quanto me.
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Cosa bisogna fare per diventare istruttori? C’è un breve corso da seguire, con un esame finale. Una volta superato, ricevi la certificazione e diventi ZIN, cioè Zumba Instructor Network. È relativamente semplice, ma, per riuscirci, devi avere la passione. Cosa vuoi trasmettere insegnando? La cosa più importante che cerco di trasmettere è la gioia, voglio che le persone si divertano e che percepiscano Zumba come uno sport speciale. Alcuni dei miei allievi sono diventati ZIN e ora mi danno una mano o insegnano autonomamente in altre palestre, questo significa che sono riuscita a trasmettere loro la mia passione e spero, ma credo sia così, che anche loro ne siano capaci a loro volta. Qual è una cosa bella? Oltre a quelle già dette, il mondo Zumba. È fatto di umiltà, tutti gli istruttori con cui ho avuto contatti sono persone comuni, tutti sono uguali ed ognuno è speciale, Zumba ti fa sentire così. Perché credi che le persone dovrebbero praticare Zumba? Credo che ne avrebbero solo da guadagnare. Zumba richiede poco, ma sa dare tanto, è divertimento allo stato puro. Certo, ci sono quelli a cui non piace, giustamente, ma per fortuna sono in pochi. Ballare è fantastico, farlo con queste musiche è pura adrenalina. Personalmente, non saprei come descrivere questo sport, ma so che userei solo parole positive, tranne “fatica”, forse. Anche molte star la pensano come me, tra cui Jennifer Lopez, Natalie Portman, Emma Watson, Halle Berry, Victoria Beckham e anche Jackie Chan. Infatti, Zumba non è rivolto unicamente alle donne, bensì sono molti anche degli uomini che lo praticano, alcuni dei quali dimostrano di avere doti straordinarie. Periodicamente, sono organizzati dei master a cui tutti possono partecipare e ballare insieme ai più famosi ZIN. Non solo, stando in compagnia di persone che spesso non si conoscono che, però, condividono la stessa passione e hanno lo stesso scopo di benessere. Avendo avuto la fortuna di provarlo, posso affermare che sia un’esperienza fantastica che consiglierei a chiunque. Quindi, se cercate disinvoltura, spontaneità e risate coi vostri amici e amiche, credo sia lo sport che fa per voi. Alessia Biral
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LA REDAZIONE Macrina Barea Cerap Xhilda Barreti Alessia Biral Greta Britta Valeria Cicatiello Veronica Porcellato Elisa Savietto Elda Vasili
Collaboratori esterni:
Martina Pellizzon (cl. 5^ Cs) Eva Pravato ( cl. 5^ Cs)
FOTOGRAFIE
Macrina Barea Cerap Alessia Biral Valeria Cicatiello Prof.ssa Sandra Antonietti
GRAFICA
Prof.ssa Sandra Antonietti
CAPOREDATTORI
Prof.ssa Sandra Antonietti Prof.ssa Paola Brunetta
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