T-Paper Maggio 2012

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Istituto Tecnico per il Turismo “G. Mazzotti�

T-Paper

Anno 5 - Numero 9 Maggio 2012

Everything that you think Something that we need


Indice INDICE

pag. 2 - 3

ATTUALITÀ La lista dei valori

pag. 4

John e i Beatles

pag. 5

Suicidio: piaga sociale tra gli adolescenti del XXI secolo?

pag. 9

La ragione, a volte, vince il “male oscuro”

pag. 10

Bello il mondo

pag. 15

Morbo di Alzheimer

pag. 16

NEWS DALL’ISTITUTO Saint-Germain-des-Prés : les existentialistes et leur muse Juliette Gréco

pag. 18

“Meglio prevenire che curare”

pag. 19

Il mondo e le sue malattie

pag. 21

RIFLESSIONI

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A te che...

pag. 22

Per parlare di noi

pag. 24

5LÀHVVLRQH GL 9DOHULD Colorare la faccia

SDJ pag. 27


³7L ¿di di me?�

pag. 28

L’amore è questo...

pag. 29 Percorsi della memoria pag. 31 Il guaio è quando qualcuno non ti manca solo nel cuore pag. 32

CREATIVITĂ€ Poesie di Francesca

pag. 33

Elogio dell’umanitĂ

pag. 34

Senza meta

pag. 36

Scoppiare

pag. 37

ARTE E CULTURA Mai sentito parlare di Darren Everett Criss?

pag. 38

Donnie Darko, quel capolavoro che ti lascia senza parole

pag. 41

Il gladiatore Hunger Games

pag. 43 pag. 45

In molti si chiederanno: PerchĂŠ T. Paper? 7 3DSHU VLJQLÂżFD WXWWR H QLHQWH q OD VLJOD GHOOD WLSV\ WUDLQ WUXH WRIIHH WKHRFUDWLF WHUULEOH WRXULVP WRLOHW WHHQV WHGLRXV WHDP WHD WDVWH WDUJHW WDQN WDOHQW WDNH RII WDEOH WDERR WDF DX WDF WDFLW WKLUVW\ WKULOO WLUHG WRDVWHG WRG WRII WROORO WRPDWR WRRO WRQLF WRQH WRQHOHVV WRSLF WR[LF HFF HFFÂŤÂŤÂŤÂŤÂŤ

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AT T UAL I TA’ LA LISTA DEI VALORI «Be sure to wear some flowers in your hair.» Che poi, alla fine, sono tante le persone che hanno dei validi ideali. Magari hanno anche il coraggio di esprimerli. Quello che manca è la forza, la voglia di farli valere. Quanti di voi credono nella pace? Quanti di voi vogliono che governi il mondo? Se vi chiedessi di alzare le mani, probabilmente nessuno resterebbe immobile, a braccia incrociate. E quanti di voi agiscono davvero per ottenere ciò che vogliono? Metto in mezzo anche me: dovrei smetterla di scrivere e basta, dovrei iniziare ad andare d’accordo con le persone. Dovremmo tutti cominciare a tollerarci e ad amarci. La maggior parte di noi sa amare la propria famiglia, i propri amici e magari anche il proprio fidanzato, qualcuno riesce anche ad amare se stesso. Ma che mi dite dell’amare l’intera umanità, l’uomo in sé per quello che è? Questa è una sfida. Ma forse l’amore è il massimo a cui possiamo ambire, mentre basterebbe il rispetto. Rispetto per chi è diverso da noi e per chi ci assomiglia, rispetto soprattutto per chi non ci rispetta, perché sono tutti capaci di rispettare chi il rispetto glielo dà. Cominciamo a salutare con un sorriso tutti quelli che conosciamo, piuttosto di girarci dall’altra parte e far finta di non averli visti, magari perché non c’è molta confidenza. È così triste, e agire per il meglio non ci costa niente, ma ci farebbe guadagnare tanto. Iniziamo a regalare compassione a coloro che cercano semplicemente ascolto: arricchirà anche noi qualche esperienza in più, qualche sentimento altrui confezionato con un fiocco tra le parole. La fiducia parte da qui. Risparmiamoci i giudizi, offrendo piuttosto critiche costruttive, sena superbia, perché un po’ di aiuto serve a tutti e la capacità di riconoscerlo e accettarlo si chiama umiltà. Porgiamo un fazzoletto a chi ha il volto affogato nelle lacrime e , perché no, anche il nostro cuore, che può imparare, può conoscere, può commuoversi. E la compassione crea affetto, e quando si vuole bene a qualcuno si cerca di passare del tempo insieme. E il tempo che le persone si dedicano l’un l’altra fa nascere l’amore.

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si dedicano l’un l’altra fa nascere l’amore. Abbattiamo la paura della sofferenza, perché, per quanto dolorosa, insegna sempre qualcosa e può portare a qualcosa di migliore, perché, per quanto triste, un’emozione è un’emozione e vale sempre più dell’apatia, in qualsiasi caso. E infine, ragazzi, raccontiamo della pace lungo le strade che percorriamo, per accendere i sorrisi deboli che sono sparsi per il mondo. Contagiamo tutti con una malattia da cui non si vorrà più guarire: la felicità. Vedete quanti buoni valori in un animo pulito? Impegnamoci per un mondo migliore: un mondo all’insegna della pace. Quindi indossiamo dei fiori tra i capelli e…andiamo! Alessia Biral

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JOHN E I BEATLES Al momento sto ascoltando Hey, Jude, una delle canzoni più conosciute dei Beatles. Lascio che le note mi penetrino nelle orecchie e mi conquistino il cuore, permetto alle parole di inebriarmi con il messaggio di speranza, di conforto che vogliono lanciare. And anytime you feel the pain, hey, Jude, refrain, don’t carry the world upon your shoulders. “Ogni volta che provi dolore, ehi, Jude, fermati, non portare il mondo sulle tue spalle”. Forse il problema di John Lennon è stato questo, ma era a fin di bene: si è accollato il peso del mondo, ha lottato pacificamente contro la guerra. Probabilmente soffriva a causa di tutti i dolori presenti, delle ingiustizie che affliggevano e affliggono tuttora le nostre vite. Ma non si è fermato; anzi, ha lottato per realizzare i suoi ideali e rendere migliore l’esistenza degli uomini come lui. Ecco, forse dovrebbe esserci più gente come lui, più gente che sogna e che vuole far avverare quello che è più di un semplice desiderio: la pace. E così cambio canzone. You may say I’m a dreamer, but I’m not the only one. “Puoi dire che sono un sognatore, ma non sono l’unico”. No, John, non sei l’unico. Io sto con te, e come me, anche altre persone si chiedono: Could you imagine all the people living life in peace? “Riuscite a immaginare tutte le persone vivere in pace?” Forse tu ci riuscivi, ma io non posso più immaginare un mondo in cui tutti possano vivere in pace: ci sono troppi ostacoli, che nemmeno tu sei stato capace di abbattere. Ti hanno ucciso, John, probabilmente è stato un complotto organizzato dalla CIA, che, coperta dall’FBI, ha convinto Mark Chapman a spararti. E così quattro proiettili ti hanno colpito, con la violenza contro cui tu predicavi. A trent’anni dalla tua morte e a dispetto delle persone che mi giudicano psicologicamente ed emotivamente instabile, piango. Piango perché non ci sei più, perché sei uno tra i tanti innocenti che sono morti per un ideale, perché non te lo meritavi, perché avrei voluto poter assistere ad un tuo possibile seguito. Invece mi rimangono solo ricordi che non ho mai realmente vissuto, ricordi di qualcuno che se n’è andato troppo presto, troppo giovane. Eri solo quarantenne, avevi una moglie che amavi immensamente e un bimbo, Sean, di soli cinque anni. E avevi una vita, una carriera, un motivo per andare avanti. Ma hai perso tutto questo.

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E piango perché penso alla persona che eri. Magari non sei stato davvero così eccezionale, ma ai miei occhi sei la cosa migliore che potrei mai essere, e quando mi sfioro il fianco, sul punto dove ho tatuata la tua iniziale, che intrecciata ad una O forma un simbolo della pace, non posso fare a meno di pensare che hai saputo andare oltre la pelle, le costole, gli organi e incastonarti nel cuore, come una pietra preziosa che spero di non perdere mai. I never meant to cause you sorrow or pain. “Non ho mai avuto intenzione di causarti dispiaceri o dolori”. Tu eri questo: bontà. Eri un canto d’amore regalato a Yoko, una speranza per tutte le persone che qualcuno ha fatto soffrire: non era sua intenzione. Una speranza per chi crede esista ancora la gente umana, a questo mondo. Una speranza per quelli come me. Ma eri anche molto di più: eri un nido di rancori repressi, di sofferenze nascoste perché fin troppo evidenti. Nella canzone Mother racconti l’assenza di un padre che non hai mai avuto e la perdita di una madre che ha avuto te, sebbene tu non sia mai riuscito ad avere lei. Eri anche una ninna nanna canticchiata ad un figlio piccolo, che gli intimava di portare pazienza, di non aver paura, perché è un Beautiful boy e le cose gli andranno sempre meglio. Eri, con Working class hero, la voce di una società sottomessa, che in te vedeva un’occasione di immedesimarsi e si sentiva capita, abbracciata da un testo duro e vero, che bruciava fino nelle ossa, e brucia ancora oggi nei cuori di chi crede in te, crede a te. Ed eri una canzone natalizia ripetuta da troppe generazioni, forse proprio perché tu, affermando che la guerra fosse finita, riuscivi ad augurare a tutti un felice Natale: vicini e lontani, vecchi e giovani, deboli e forti, ricchi e poveri, bianchi, neri, gialli o rossi. The world is so wrong, cantavi, ma let’s stop all the fight, perchè c’è un anno nuovo e let’s hope it’s a good one. Dopotutto, John, tu hai sempre saputo che all you need is love, e sai coinvolgere tutti i tuoi fan, tutti coloro che hanno un sogno di pace, un ideale di fratellanza, con una delle canzoni più euforiche che tu abbia scritto, sempre deridendo una società che fa di ogni cosa che succede una tendenza o un partito. All we are saying is give peace a chance, ripeti più volte, con una folla che ti circonda e ti sostiene. In Stand by me racconti che ci sono momenti bui in cui la luna diventa l’unica luce che vediamo,

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ma in quei momenti, ci inviti a stare con te. L’ho sempre fatto, ogni volta che sono stata sconfortata o triste o delusa, mi sono cacciata le cuffiette nelle orecchie per ascoltare quella voce così ben conosciuta che ormai accompagna le mie giornate e sa darmi sempre nuova speranza. Hai saputo lasciarmi sospesa tra realtà e dubbio, sogni e allucinazioni in Strawberry fields e in Lucy in the Sky with Diamonds, lasciandomi scegliere a cosa credere, cosa pensare, lasciandomi piacevolmente fraintendere ogni cosa. Dicono che Lucy in the Sky with Diamonds sia un’allusione inconfondibile all’LSD, ma tu hai sempre ripetuto che, per scriverla, ti sei ispirato ad un disegno di tuo figlio Julian, dove ritrae una sua compagna, Lucy, appunto, nel cielo, con dei diamanti. Con i Beatles hai saputo scrivere un grande numero di canzoni per bambini, così allegre, così coinvolgenti che è impossibile non lasciarsi prendere dalla musica. Un esempio sono Yellow submarine e All together now, che sembra quasi una filastrocca. E tante, tantissime altre canzoni che urlano la tua capacità d’amare, assolutamente sopra la norma e così speciale da commuovere. Jelous guy, Oh! Darling, Love. Non tutte solo tue, come tutti sanno. La prima parte della tua carriera artistica, l’hai vissuta con i Beatles, al ritmo di una chitarra, che con la sua compagna, un basso e una batteria ha saputo produrre canzoni che resteranno nella storia, perché l’hanno cambiata. Il mio è ovviamente un parere personale, perché non posso sapere cosa piace a tutti, ma considero Obladi Oblada una canzone eccezionale, una canzone che dà speranza, perché La vita va avanti, fratello. Take this broken wings and learn to fly. Prendi queste ali spezzate e impara a volare. A urlarti che puoi ricominciare, nonostante il dolore, nonostante la rabbia, il fallimento la delusione. E Yesterday spiega come possano cambiare le cose da un giorno all’altro, tanto radicalmente da restare esterrefatti, così tanto da diventare la metà della persona che si era, da vedere l’amore sotto un’altra prospettiva. Ma oltre ai messaggi, le canzone dei Beatles danno allegria: Twist and shout, Please please me, Love me do, Helter Skelter. E quante altre ancora! Insomma, non voglio far cambiare i vostri gusti musicali, non m’interessa. Vorrei solo che ci faceste un pensierino, perché ne vale la pena. Perché John è riuscito a migliorare la mia vita, perché i Beatles mi fanno compagnia in ogni circostanza. Magari avrete altri artisti nel cuore, comprensibile. Se non volete ascoltarli, non fatelo. Io continuerò ad ascoltarli comunque. E sono fiera di farlo. Elisa Spigariol

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Suicidio: piaga sociale tra gli adolescenti del XXI secolo? Il suicidio è la terza causa di morte tra gli adolescenti del XXI secolo. La società sa essere cattiva, sa spingere una persona al limite e non tutti sono in grado di guardare oltre quel limite e vedervi una via d’uscita. La depressione e la tendenza al suicidio sono trattati come malattie psicologiche da curare: non si può non essere d’accordo. Ma perché vi sono dei casi in cui un adolescente deve arrivare a pensare di togliersi la vita come unica soluzione a ciò che sembra irreparabile? Sono sufficienti poche parole: bastano delle offese gratuite, basta la voglia di ferire una persona, basta non pensare a ciò che esce dalla propria bocca, basta fare dei commenti pesanti, basta screditare una persona o mettere in giro delle voci false su di lei. Basta lasciarla sola, isolarla, trattarla come una disadattata semplicemente perché diversa, basta “affibbiarle” nomignoli volgari o, peggio, offensivi… basta tormentarla come se fosse un semplice gioco, basta fare di lei il proprio piccolo strumento di divertimento giornaliero, basta non avere tatto e non dare peso al risultato che un gioco del genere potrebbe avere su di lei. Basta offendere ripetutamente… ancora e ancora, basta metterla nella condizione di restare sola, basta non ascoltare i suoi problemi, non conoscerla per quello che è in realtà, basta coalizzarsi e metterla all’angolo. Basta darle mille ragioni per detestare se stessa. Basta poco per portare un uomo al suo limite: siamo creature infinitamente fragili. Alla gente piace fare finta che questo genere di cose non avvenga, che non sia colpa sua. Come si potrebbe convivere con se stessi essendo consapevoli di essere stati la causa della morte prematura di una persona? Ma pensiamo a familiari ed amici, parenti e conoscenti che dovranno vivere una situazione come quella della perdita di una persona cara. Non si possono far crollare al suolo i sogni, le aspettative, i progetti di un giovane, consapevole di poter essere in un suo prossimo futuro utile alla società, lasciandolo privo di speranze e portandolo a fare quel passo dal quale non si torna indietro. Quanto dolore, quanta frustrazione può esserci nella mente di una persona che decide di non avere più nessuna ragione per vivere? Tanta, forse troppa e, a volte, sminuirla non fa che peggiorare il problema. La realtà è che la situazione può sfuggire di mano, può diventare troppo pesante, può sembrare assurda dall’esterno, ma essere logorante se vissuta in prima persona. Come deve essere sentirsi detestati da tutti? Per cosa? Da persone che, magari, nemmeno si conoscono. Com’è triste camminare e sentire i commenti alle proprie spalle.

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È allora che s’inizia a pensare. Allora puoi pensare che, se tutti ti odiano, forse dovresti farlo anche tu e cominci a coltivare questo odio, a dargli una forma ed un nome, quindi ogni aspetto che prima apprezzavi di te stesso scompare, rimpiazzato da un incubo che si è creato nella tua mente. E la morte è la fine, la fine di tutto, ciò che mette un punto definitivo a una storia e non dice mai come andrà a finire. Un qualcosa che dice “addio” non ci sarò mai per realizzare i miei sogni, per avere dei figli, per sposarmi e sentirmi amato. Non ci sarò più per nulla, lascerò un’immensa voragine e, chissà, probabilmente non mancherò a nessuno, anzi probabilmente molti saranno felici perché non ha senso che io resti qui. Così non ce la faccio, non riesco ad andare avanti ancora, è come vivere un inferno, forse quello vero è meglio di questo. Ed è a quel punto che si arriva alla fine. A quella fine tragica che nessuno si aspetta e per la quale tutti s’incolperanno a vicenda, lasciando che il tempo faccia il suo corso, portando via con sé una vita preziosa che non potrà mai più sorridere o parlare. Elisa Spigariol

LA RAGIONE A VOLTE VINCE IL “MALE OSCURO” Ho parlato con alcune ragazze che hanno pensato al suicidio e ho riportato la loro testimonianza.

Cosa ti ha spinto a contemplare il pensiero di un suicidio? Ragazza1 Non giudicarmi, per favore, ma quello che sto per dire risale a quando avevo tra i quattordici ed i quindici anni. A volte pensi ad una “soluzione drastica” anche per delle stupidaggini, però accade anche che una ragazzina, a quell’età, non riesce a gestire le proprie sofferenze e il proprio disagio, quindi non riesce a veder altro che il baratro. Mi è passato per la testa perché in quel periodo litigavo sempre con mia madre, SEMPRE, ero piuttosto ribelle, aveva scoperto ciò che facevo… e poi stavo in una classe del biennio in cui mi trovavo malissimo, in cui c’erano i solito gruppetti, persone che ti escludono, inventano “stronzate” alle tue spalle e poi le spacciano per vere, i due anni più brutti della mia vita. Meno male ho aperto gli occhi. Ora non lo farei mai. Ragazza2 Vero e proprio dolore psicologico (derivato dall’incompatibilità che senti con il mondo). E’ troppo il dolore da sopportare ed è facile pensare di farla finita. Stavo male, non riuscivo a respirare e allo stesso tempo mi odiavo perché il motivo era futile. Ho guardato la finestra e ci ho pensato... Ragazza3 (il suo ex fidanzato si è suicidato) Stava male, aveva dei disturbi che lo portavano ad avere momenti di lucidità e momenti di buio, ma era una persona indipendente e odiava essere debole, odiava dover pesare su qualcuno. Quindi, in un momento di lucidità, l’ha fatta finita. Gli era stata diagnosticata la schizofrenia paranoica: era ai primi stadi. Tuttavia gli effetti già si cominciavano a vedere e, a volte, si perdeva in se stesso. Poi quando “rinsaviva” era sempre più sconvolto e triste, perché capiva che sarebbe stato un peso per tutti, e questo non riusciva proprio a sopportarlo.

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Ragazza4 Una serie di condizioni che, prese singolarmente, ad occhi esterni, potevano sembrare insignificanti, mi facevano star male perché insicura,. La sera in cui avevo preso la mia decisione era un sabato, avevo litigato con i miei. Mi avevano chiesto perché non fossi uscita, continuavano a chiedermi cos’è che avevo di diverso dalle altre ragazze che uscivano a divertirsi. Prendevano il mio malessere interiore per pigrizia e penso che ne siano convinti tuttora. Fatto sta che, quella sera, mi chiusi in camera ad ascoltare musica come ormai facevo tutti i giorni, solo che quella sera diventarono più insistenti del solito ed io non riuscivo a spiegare loro che la mia solitudine era causata semplicemente dall’incapacità di relazionarmi con gli altri. Quando mio padre uscì dalla mia stanza, lo sentii urlare: “Ma che ho fatto di male? Mi spacco la schiena dalla mattina alla sera e vengo ringraziato da una figlia che se ne frega?” Iniziò a rinfacciarmi tutto come se la mia depressione fosse voluta per farlo arrabbiare e, quella sera, pensai che senza di me sarebbe stato non dico più felice, ma meno esasperato, che fosse mia la colpa del suo essere sempre arrabbiato quando tornava dal lavoro. Quando andai a mettere il pigiama prima di coricarmi ci pensai: quello con le pillole era l’unico modo, ero troppo vigliacca per pensare di poterlo fare con lamette. Ma, dopo aver ingoiato la terza pillola, non riuscii più ad ingerirne altre perché stavo singhiozzando. Pensai di calmarmi un po’ per poi provarci di nuovo, ma non ho mai avuto il coraggio di farlo sul serio anche se ci ho pensato ancora. Ragazza5 Sentirmi rifiutata da tutti, anzi, incompresa: si rifiutavano di capire, di ascoltare. I genitori dicevano “ora ne parliamo” e poi facevano una “luna di miele” privata di flash-back, gli amici se ne andavano e poi tornavano: mi guardavano come se fossi pazza. Ma non lo ero… ero solo sola, e chi mi era vicino non poteva immaginare come ci si possa sentire. Ragazza6 Non ho più problemi a parlarne perché ho quasi 22 anni. Vivo con i nonni materni dal primo anno di età perché mia madre è rimasta incinta a 25 anni e mio padre era il suo spacciatore. Non so se lui sappia della mia esistenza: i miei nonni non me ne hanno mai parlato. Dovrebbero farlo... è un mio diritto, ma sono convinti di fare il mio bene e non dicono nulla. Comunque a me importa fino ad un certo punto. Il primo anno l’ho passato in un orfanotrofio di suore a Milano, non so se per motivi burocratici o altro, poi mi hanno preso in custodia i miei nonni e a 5 anni

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ci siamo trasferiti in Sicilia. Penso che volessero allontanarmi da mia madre e da chi frequentava perché non finissi come lei o come suo fratello, morto quando avevo un anno. Non so nemmeno come e perché nessuno parli... ed io non chiedo. Fino ai 13 anni scambiavo con mia madre delle lettere e ci sentivamo per telefono, ma ero quasi costretta. Verso i 14 anni, non ricordo bene, è venuta a trovarci. Ovviamente hanno pagato tutto i miei nonni, sono loro che le mandano dei soldi perché non ho idea di come viva… non la sopportavo: odiavo qualsiasi cosa facesse o dicesse. Ricordo una stupida lite su chi doveva apparecchiare la tavola: lei in casa non alzava un dito… così le ho detto se poteva mettere i bicchieri a tavola, e lei mi ha replicato che non mi dovevo rivolgere così con lei; la nonna cercava di riappacificare ricordandomi che lei era mia madre. Non ricordo la mia reazione, penso di averlo rimosso. Il giorno dopo, non ricordo nemmeno per cosa, io lei e la nonna abbiamo litigato di nuovo, ma questa volta molto pesantemente. Ricordo solo essermi chiusa in bagno a chiave con mia nonna che urlava e bussava alla porta. Piangendo ho preso un paio di forbici che mio nonno aveva nel mobile e ho cominciato a farmi dei tagli. Avevo intenzione di tagliarmi le vene, ma per fortuna le forbici non erano taglienti e non ci sono riuscita. Mi sono calmata e, dopo un po’, sono uscita… e poi nulla. Ricordo solo che a tavola mia nonna ha visto i tagli sul braccio da sotto la manica e mi ha chiesto come me li ero procurati; le ho risposto che avevo strisciato il braccio sul muro. Per me, non ci ha creduto, ma non ha detto niente. Comunque da quel momento non ho più parlato con mia madre, a parte tre volte, per telefono, perché ho preso la cornetta in mano per sbaglio. Sto bene così. Non ho più pensato al suicidio perché lo trovo un atto di codardia. Ragazza7 Era un periodo molto buio per me, avevo dei grandi problemi con la scuola e di conseguenza i rapporti con i miei genitori erano diventati ingestibili: loro erano delusi, io ero delusa e arrabbiata con me stessa e più volte mi sono ritrovata a chiedermi se valesse la pena continuare per me e continuare a deludere e far male a chi mi stava vicino. Le litigate quotidiane non aiutavano, sentirmi il fiato addosso non mi aiutava di certo! Mi sentivo sempre più una nullità. Così più volte ci ho pensato seriamente e più e più volte, per sfogare tutta la rabbia che era in me, mi sono chiusa in bagno e mi sono fatta male: sembra contraddittoria, ma mi sembrava di stare meglio!

Non vedevi altre vie d’uscita? Ragazza1 Mi ero allontanata da tutti, non avevo l’appoggio di amici quindi... no, non ne vedevo altre. Ragazza2 Non in quel momento. Ragazza3 Ci sono delle situazioni che non si possono correggere, o meglio, non si ha la forza necessaria per farlo. E’ vero, quando si parla di suicidio viene sempre detto di ricordarci cosa si perde, che è un gesto orribile, ecc. Però è vero anche che la morte dell’animo è difficile da combattere e soprattutto devi essere tu, in prima persona, a decidere di reagire. Perché se tu decidi di morire nessuna

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bella parola e nessun aiuto da parte di chi ti conosce potrà mai rincuorarti, almeno finché tu non ti metti nell’ottica di continuare a respirare. E lui di certo non ci si era mai messo. Ragazza4 Non riuscivo a vederle in quanto i miei non sapevano nemmeno che stessi male, quindi continuavano a colpevolizzarmi sempre, ogni giorno. Se avessi dovuto parlargliene avrei anche dovuto dire loro della mia bisessualità, e non avevo intenzione di fare coming-out con loro. Ragazza5 No, ma probabilmente perché, nonostante qualcuna l’avessi già sperimentata, ho sempre avuto un atteggiamento vittimistico nei confronti dei dolori, delle sconfitte. Come se non potessi rialzarmi. Forse non volevo, perché rialzarsi implica la possibilità di cadere di nuovo ed essendo a terra, sofferente, sapevo che non avrei voluto scivolare giù di nuovo. Ragazza6 In quel momento pensavo di non aver nulla da perdere. Ragazza7 No, era un periodo davvero brutto, stavo lasciando la scuola, non riuscivo ad alzarmi dal letto senza avere crisi, mi sentivo una nullità.

Avevi paura della morte? Ragazza1 Sì, mi ha trattenuto quello.

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Ragazza2 E’ un po’ il motivo principale per il quale non l’ho fatto. E sono felice di essere ancora qui, mi sarei persa tante cose belle della vita. Ragazza3 Quando vuoi suicidarti non temi la morte perché sei in uno stato molto simile all’ebbrezza. Ragazza4 No, mai avuta. Ho solo paura del dolore che si potrebbe provare prima di morire, solo quello. Ragazza5 No, non ho mai temuto la morte. Sapevo che era la fine di tutto: sofferenze, battaglie perse, offese, prese in giro, insomma, dello sentirsi inadatta in ogni circostanza. Quello che ho capito più avanti è che rappresenta la fine anche delle cose belle, quindi non ne vale la pena. Ragazza6 No, fino da piccola non l’ho mai avuta. Non so perché. Anzi, ad un certo punto ne ero affascinata. Ragazza7 Sì, infatti credo di essermi fermata proprio per paura: non ne ho mai avuto il coraggio. Queste testimonianze ci fanno capire che “l’atto estremo” non è poi troppo lontano da noi, per capire che le situazioni ci sono, e a volte restano nascoste. Tutto questo per renderci conto che tutti possono avere un momento di grande crisi, ma sta in noi e in chi ci circonda uscirne senza arrivare a prendere scelte di cui, poi, non ci si può neppure pentire. È terribilmente bello però, alla fine di una serie di domande come questa, vedere come queste ragazze ora sorridano e possano dire: “Sono stata fortunata a non essere andata fino in fondo, altrimenti mi sarei persa tantissime cose.” E guardare sul loro viso che sì, è davvero così. Elisa Spigariol

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BELLO IL MONDO Bello il mondo, che posto fantastico. Noi ve l’abbiamo distrutto, vi abbiamo lasciato crisi da miliardi di euro e un buco dell’ozono che non sembra abbia intenzione di chiudersi. Ma voi giovani non fate nulla, siete “scansafatiche”. La mia generazione sì che era una generazione seria. Noi non avevamo computer, cellulari o questi aggeggi infernali che sembra vi stacchino sempre più dalla realtà eppure siamo stati in grado di distruggervelo lo stesso questo mondo. Siamo stati bravi ma ora tocca a voi riparare ai danni. Tocca a voi vivere in un mondo in cui si vive alla giornata, in cui il sogno di un bambino o un ragazzo non è più quello di diventare pompiere o astronauta, ma avere un lavoro che sia un posto fisso. Pazzo mondo il vostro, nostro non lo dico, perché per quelli come me oramai lo è ancora per poco. Riassestate i terreni che franano per il disboscamento, ripulite i mari dal petrolio e se vi avanza del tempo, trovate delle fonti di energia rinnovabile. Risolvete le questioni di guerra e sfamate tutti i bambini che sono denutriti. Questo sarà il compito di voi ragazzi, ragazzi in cui la società non crede perché considerati perdigiorno, ma da cui ci si aspetta risolvano ogni problema. Così mentre io ho la pensione a vita e un auto blu che mi aspetta giù per fare una gita fuori porta, trovo il tempo di due minuti per scrivervi una lettera. Fate del vostro meglio, perché le sorti del mondo sono nelle vostre mani. Se il sistema fallisce la colpa sarà vostra. Non di chi risparmia soldi per l’educazione, ma vostra. Colpa vostra che non avete voglia di fare niente, che dovete sapere tutto quello che c’è da sapere. Colpa vostra che passerete un quarto della vita a studiare spendendo montagne di soldi per l’università e sgobbando per potervela permettere e che alla fine vi vedrete passare davanti colui il cui merito è quello di essere figlio di... Perché quando qualcuno pronuncia la parola “meritocrazia” si sente qualcun’altro di fondo bisbigliare: “magari”. Quando parliamo di fiducia non ci riferiamo solo a quella che bisogna dare al governo. Per fiducia io intendo quella che ho perso. Per fiducia intendo, o forse ormai è meglio dire “intendevo”, avere dei sogni che parevano realizzabili. Elda Vasili

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Morbo di Alzheimer Immaginate di svegliarvi un giorno e non ricordarvi cosa avete fatto ieri. Immaginate di girarvi nel vostro letto e di non riconoscere la persona al vostro fianco. Provate a pensare di non avere alcuna memoria del giorno in cui vi siete sposati, della nascita de vostri figli, del vostro primo bacio e della vostra prima volta. Come ci si sente? Ebbene questo succede, e si chiama Morbo di Alzheimer. Inizia Con dimenticanze “innocue”: cosa si è fatto durante la giornata, ciò che si è mangiato a pranzo; poi si passa a non sapere più come fare cose quotidiane come guidare, andare in bicicletta, scrivere. Ci si scorda il nome di oggetti, di azioni, di concetti.. il nome dei propri cari. Si dimentica progressivamente i volti delle persone e si finisce per non riconoscerle più. Si vive in un mondo fatto di “buchi”, spezzoni in cui la memoria ancora è rimasta integra e spazi dove pare che i ricordi siano stati divorati. Dove stavano ora c’è un immenso vuoto e non si ritroveranno mai perché è come se si fossero inceneriti, bruciati, e non esisteranno mai più. Non si potranno mai più recuperare, saranno andati per sempre e, alla fine, questo Morbo si impossesserà a tal punto della persona da ucciderla. Convivere con una persona malata è degenerativo allo stesso modo: i malati, ad un certo punto, cominciano a ripetere le stesse frasi, gli stessi movimenti, a girovagare per la casa senza meta e non possono lasciare il perimetro del giardino poiché non ricorderebbero la strada di casa. Una malattia del genere porta spesso alla depressione, a crisi isteriche, alla costante sensazione di aver perso qualcosa per la strada, di aver dimenticato come si vive. L’Alzheimer porta alla confusione spazio-temporale. Non ci si ricorda più in che anno si è, dove si è, con chi si è. Spesso si finisce anche con il dimenticarsi chi si è. Una malattia del genere è distruttiva per famiglie, per coppie, per amicizie, per una vita che si ritrova ad avere la certezza che, presto o tardi, non riuscirà nemmeno a ricordarsi come si respira. Le vittime non potranno più vivere perché avranno un bisogno continuo di assistenza da parte di persone che, il giorno dopo, dimenticheranno di avere mai vissuto con un malato. La malattia farà scordare il volto dei nipoti, della persona che si è amata tutta la vita, dei figli, degli amici, dei genitori. La loro sanità mentale logorerà chi è vicino al malato fino a portarlo all’esasperazione e a strappare l’unico filo che li teneva uniti; fino a far crollare in pezzi intere

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famiglie. Questo è l’Alzheimer. Non c’è cura. Solo farmaci temporanei non troppo efficaci. Immedesimatevi e, ora, ditemi: come ci si sente? Come si sta con una condanna di morte sulla testa? Con un futuro già scritto? Con un’orrenda strada a senso unico da percorrere obbligatoriamente dalla quale non esiste via d’uscita? Eh, come si sta? Ricordiamoci che, per quanto lontano da noi, tutto questo esiste. Ricordiamoci che le cose a questo mondo non vanno sempre come vogliamo. Ricordiamoci che c’è chi soffre, e non bisogna andare molto lontano. Smettiamola di essere superficiali. Elisa Spigariol

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N EWS DA LL’IST ITU TO Saint-Germain-des-Prés : les existentialistes et leur muse Juliette Gréco Le 16 décembre les classes de cinquième et quelques classes de quatrième du lycée « Giuseppe Mazzotti » de Trévise ont participé à une conférence très intéressante organisée par le département de langue française, sous le patronage de l’Alliance Française de Trévise, qui s’est tenue dans l’Aula Magna. Le conférencier, Christian Lagorce, a présenté le quartier parisien de Saint Germain-des-Prés et le rôle qu’il a joué après la guerre grâce aussi à des images et à des chansons. Il a ainsi été possible de découvrir Saint-Germain-des-Prés tout en restant assis sur une chaise. La conférence qui a eu lieu dans notre école nous a permis de voyager à Paris, dans le sixième arrondissement sur la rive gauche de la Seine, la partie la plus anticonformiste de Paris. Nous avons voyagé sur les notes de Juliette Greco, un mythe fondateur de l’esprit de l’après-guerre. Femme rebelle, libre malgré les restrictions et les souffrances. Ses chansons nous ont aidés à comprendre l’atmosphère d’une ville où la guerre avait changé la mentalité des jeunes français. Nous avons été plongés dans la réalité de l’après-guerre grâce à des photos qui nous montraient les cafés les plus importants de cette époque : « les deux Magots » et « le Café de Flore » notamment. Nous avons découvert un monde où les jeunes avaient envie de liberté, ils dansaient sans chaussures toute la nuit dans les caves. Saint-Germain-des-Prés était le lieu où les intellectuels se rencontraient, où Albert Camus et Jacques Prévert développaient leurs pensées et Jean-Paul Sartre y devenait le Pape de l’existentialisme. Saint-Germain-des-Prés est le lieu où l’amour entre Jean-Paul Sartre et Simone de Beauvoir trouva sa sublimation. Une conférence très bien organisée, l’argument était intéressant et présenté avec sagesse par le conférencier. Ce n’était pas facile de parler devant des jeunes qui ne suivaient pas toujours, mais le conférencier a su le faire, sans limiter la possibilité d’écoute des élèves qui voulaient suivre la conférence. Dal Poz Marina 5^Ls

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“Meglio prevenire che curare” Come viaggiare sicuri Abbiamo ricevuto due contributi che ci sembrano entrambi interessanti, per cui abbiamo deciso di pubblicarli tutti e due perché uno integra l’altro.

1^ TESTIMONIANZA Negli ultimi anni si è osservato un continuo e costante incremento di viaggi internazionali, specie in aree tropicali, per motivi di lavoro o di turismo. Ogni anno sono più di 500 milioni le persone che si spostano, di cui 50 milioni si dirigono verso Paesi in via di sviluppo con carenti condizioni igienico - sanitarie e quindi a rischio di contrarre malattie infettive. Per questo motivo assumono sempre maggiore importanza i problemi sanitari che possono interessare i viaggiatori: da qui la necessità di fornire informazioni corrette, complete e il più possibile personalizzate sulla base delle caratteristiche del viaggio, del periodo di permanenza, della stagione nonché dello stato di salute del viaggiatore. Pertanto, vista la natura degli indirizzi scolastici offerti dall’Istituto Tecnico “Giuseppe Mazzotti”, mediante l’organizzazione di un incontro con due collaboratrici dell’azienda ULSS 9 di Treviso, si è pensato di introdurre la quasi sconosciuta questione dei rischi che si possono contrarre durante un viaggio e della loro prevenzione. Vista la necessità di informazione in merito, l’incontro ha riscosso un forte interesse da parte dei giovani studenti che vi hanno partecipato. L’asserzione contenuta nel titolo dell’incontro “Un viaggiatore senza conoscenze è come un uccello senza ali”, derivante da un proverbio persiano del XIII secolo, esplicita il fatto che la miglior prevenzione è costituita dalla sensibilizzazione attraverso il canale dell’informazione e dalla profilassi. La fase introduttiva concerneva una breve descrizione dei servizi erogati dall’ambulatorio di competenza per i Viaggiatori Internazionali, istituito dall’ ULSS 9 di Treviso, attraverso un’analisi sull’affidabilità delle fonti di informazione medica e sull’identifi cazione degli obiettivi della medicina dei viaggiatori. Risultato di questa prima parte è stato il comprendere quanto sia importante una corretta informazione, testimoniata da studi di ricerca che hanno portato ad adottare comportamenti preventivi, quali l’informazione sulle ripercussioni nella comunità causate anche da un singolo indivi-

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duo infetto: la prevenzione di uno stato di pericolo produce, di conseguenza, un effetto economica positivo rilevante per lo Stato stesso. I relatori hanno parlato della nascita del turismo di massa, il 5 luglio 1841, mettendo in risalto l’evoluzione delle forme di viaggio nel tempo con le relative differenti e nuove categorie di viaggiatori (turisti, operatori sanitari e volontari, missionari, lavoratori, sportivi, tossico-dipendenti e migranti). In previsione di un viaggio è, dunque, consigliabile non sottovalutare la carenza di adeguate strutture sanitarie e la sicurezza alimentare; per quest’ultima è necessario avere le accortezze con il trattamento di bollitura dell’acqua e di buona cottura dei cibi. Oltre alle migrazioni, in conseguenza all’aumento dei flussi migratori che si stanno verificando soprattutto negli ultimi anni provenienti in particolare dall’Africa e dall’Asia, l’ambulatorio dei Viaggiatori internazionali si occupa anche degli spostamenti di persone in questi continenti. A dispetto dei dati delle numerose indagini condotte che hanno del tutto fugato il timore che il flusso migratorio possa introdurre e diffondere nel nostro Paese malattie infettive, gli immigrati sono ad elevato rischio di contrarre la malaria durante i periodici rientri in patria, soprattutto i figli nati in Italia, poiché soggiornano spesso in zone rurali o in villaggi e i loro genitori non richiedono informazioni prima della partenza. Sebbene sempre più persone scelgano viaggi last-minute a costi più bassi, “a portata di mouse” e viaggiare possa sembrare più semplice, in realtà il viaggio in sé ha una serie complessa di cambiamenti sconvolgenti che sono sia fisici, sia psicologici: per quelli fisici è bene proteggersi, quindi, dai rischi biologici, ossia da quelle sostanze non visibili e sconosciute che si insidiano nel nostro corpo, mediante un counselling prima della partenza. Il counselling sanitario viene effettuato dall’ambulatorio prima citato avente sede La Madonnina, via Castellana 2; esso valuta il rischio individuale, informando, consigliando, somministrando e prescrivendo cosa fare, come vaccini o altre analisi. Obbligatorie sono le vaccinazioni antimeningite e contro la febbre gialla. Perciò se volete trascorrere un soggiorno all’estero senza rientrare tra quei 50 mila viaggiatori che manifestando disturbi e vivere al meglio la vostra esperienza, informatevi anche voi sulle nuove forme di prevenzione! Delogu Trevisan Victoria Clara, Baseggio Giulia, Sartor Nicolò, Saugo Luca - Classe 4AS

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Il mondo e le sue malattie Sottotitolo: Come viaggiare sicuri 2^ TESTIMONIANZA Il 10 Gennaio, presso l’aula magna dell’istituto tecnico per il turismo “Giuseppe Mazzotti” di Treviso, si è svolto un incontro, tenuto da due operatrici dell’ULSS 9 di Treviso, riguardante le malattie che si possono contrarre durante i viaggi all’estero. L’argomento trattato ha suscitato molto interesse nei ragazzi in quanto ha reso noto loro una realtà poco conosciuta ai più: com’è facile contrarre malattie nei paesi al di fuori dell’Italia. Tra queste, le più diffuse sono la febbre gialla, l’AIDS, ma soprattutto la malaria in Africa, Sud America e nella maggior parte dell’Asia. Il rischio risulta maggiore in questi paesi poiché in Africa gli istituti igienico-sanitari sono poco presenti nel territorio e quelli esistenti non sono all’avanguardia come le strutture dei paesi più sviluppati, come l’Italia. In Africa si può, inoltre, contrarre la dissenteria a causa delle diverse condizioni climatiche; a questo si aggiungono problemi legati al cibo e alla sua conservazione e, più genericamente, alle condizioni igieniche. Analoghi i problemi che si possono riscontrare in certi paesi del Sud America. Per quanto riguarda l’Asia, le malattie sono legate al fenomeno della prostituzione molto diffusa: coloro che praticano sesso, spesso lo fanno in modo non protetto contribuendo alla diffusione di molti tipi di malattie contagiose. Durante l’incontro è stata mostrata una diapositiva riguardante un sondaggio relativo alle probabili condizioni fisiche dei viaggiatori durante i loro viaggi; su 100.000 viaggiatori è probabile che la maggior parte manifesti lievi disturbi nel corso del viaggio, altri si sentano gravemente limitati nelle attività lavorative, 300 siano ricoverati e uno possa morire. Questo sondaggio è stato possibile grazie alla collaborazione tra agenzie di viaggi e le operatrici dell’ULSS. Queste malattie si sono diffuse nel nostro paese principalmente perché c’è stato un aumento di immigrati che avendo contratto le malattie nei loro paesi poco sviluppati, le hanno involontariamente portate in Italia. Tale incontro ha dato la possibilità ai giovani di avvicinarsi a questo problema con informazioni teoriche, ma soprattutto pratiche sulla prevenzione di tali patologie richiamando l’attenzione su quanto sia importante conoscere l’ambiente in cui si vuole andare a trascorrere un periodo (anche se breve) della propria vita senza incorrere a rischi che possono mettere in pericolo la nostra vita. Pertanto essere viaggiatori, ma viaggiatori consapevoli. Beatrice Rizzo, Roberta Sartorato

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R I F L E SSI ON I A te che... A te, che ti chiudi a chiave in stanza e gridi premendoti il cuscino sulla faccia; A te, che manderesti tutto a quel paese perché non sopporti più la tua vita; A te, che ti fai del male e vorresti smetterla; A te, che ti sembra che ai tuoi genitori non importi nulla di quello che provi, ma dovresti solamente essere perfetto; A te, che soffri come un cane, perché trattenere le lacrime sta iniziando a divorarti da dentro; A te, che sei solo e che daresti l’anima per un sorriso; A te, che hai smesso di credere, perché l’illusione iniziava a fare più male della realtà; A te, che la scuola è un incubo che non finisce mai, un’ansia costante che ti consuma; A te, che hai dato tutto e non hai ricevuto niente solo perché le persone sono capaci di essere terribilmente egoiste ed egocentriche; A te, che sorridi a tutti e piangi non appena ti trovi un attimo solo; A te, che non hai ancora imparato il significato della parola felicità; A te, che ti calchi il cappello sugli occhi per non mostrare alla gente, in autobus, che stai piangendo; A te, che il freddo congela le mani ma che non è niente rispetto al ghiaccio che sembra circondarti e dal vuoto perenne della tua solitudine; A te, che dici che stai bene e neghi anche di fronte all’evidenza; A te, che ti senti solo anche se circondato da milioni di persone; A te, che qualcuno ti manca più di quanto tu possa sopportare; A te, che vorresti solo scappare via da tutto questo perché fa atrocemente male subire passivamente; A te, che daresti un braccio per incrociare lo sguardo di quella persona; A te, che hai pensato troppo spesso di non valere abbastanza; A te, che ti auto commiseri e non ti fai mai un complimento; A te, che la musica a volte sembra essere la tua unica e migliore compagna; A te, che tiri avanti ogni giorno dicendoti che domani andrà meglio anche se non ci credi; A te, che speri, ogni notte, di svegliarti nella vita di qualcun altro; A te, che ormai il cuore quasi non lo senti più, per convenienza o come conseguenza; A te, che hai un futuro davanti ma che a volte non riesci a vederlo; A te, che hai perso tutto eppure è tutto dinanzi a te; A te, che ti lasci distruggere da delle parole poco pensate; A te, che non sei forte come pensi ed arrivi ogni volta al pericoloso punto che potresti definitivamente spezzarti; A te, che nella tua vita non c’è più spazio per te stessa;

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A te, che tutti vengono a svuotarti addosso i loro problemi e nessuno ascolta i tuoi; A te, che ti sembra di non ricevere nessuna soddisfazione nonostante tu stia dando il massimo; A te, che credi che questo nuovo giorno non valga la pena di essere vissuto; A te, che stai male, male da morire e non vedi soluzioni; A te, che la mattina, a volte, non vorresti alzarti dal letto perché sai che finché dormi le cose non possono andare male; A te, che ti commuovi di fronte a una poesia; A te, che invidi la felicità degli altri eppure non puoi fare a meno di essere contento per loro; A te, che respiri a fatica, arrancando nel nulla che ti gravita attorno; A te, che continui a rileggere vecchi messaggi senza significato solo per ricordare cose che temi di dimenticare; A te, che non ti accetti e ti odi più di quanto potessi mai arrivare a credere; A te, che ti rivedi in troppe di queste frasi; ce la farai. Andrà tutto bene, il tempo è l’unica cura che inizia a funzionare, lentamente, quando tu decidi che può iniziare a farlo. Guarirai. Non sei solo, non lo sarai mai. Prendi un respiro. Conta fino a dieci. Andrà tutto bene. Elisa Spigariol

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PER PARLARE DI NOI

Mi piacciono le persone lunatiche, sono quelle vive. Mi piacciono perché quando respirano pensano che si stanno nutrendo di vita, ma anche che stanno incorporando il male del mondo. Mi piacciono perché sanno vedere i vantaggi e gli svantaggi di ogni cosa e poi sanno scegliere in cosa credere. Sanno essere ragionevoli ed istintivi, sanno qual è il momento giusto. Mi piacciono perché sanno che si può piangere per la lotta che le emozioni provocano nel cuore, perché, nello stesso tempo, ci si può sentire depressi ed entusiasti. Loro possono, ci riescono perché hanno il coraggio di sentire davvero, magari di rinunciare, di rinnegare il dolore che li soffoca, e poi di ripartire daccapo, con la speranza che le cose possano sul serio migliorare. Sono persone che prendono un niente, come una città sconosciuta che sembra abbia qualcosa da offrire, e di questo “niente” sanno fare un punto di partenza. E così ricominciano a condurre la propria vita, cercando di guidarsi, di spingere per farsi strada verso il futuro. Sono persone che prendono un niente, come una città sconosciuta che sembra abbia qualcosa da offrire, e di questo niente sanno fare un punto di partenza. E così ricominciano a condurre... Combattono battaglie contro il mondo, contro la vita stessa proprio per essere ciò che vogliono, per poter continuare a cambiare emozioni, sentimenti. Per sentire qualcosa di diverso in ogni momento... Ecco, mi piace la gente così: quella che rischia, che si mette in gioco, che dimostra i propri sentimenti e dice “sono qui… se hai fegato, prendili”, a costo di farsi male e poi ripartire.

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Mi piacciono quelle persone che con un sorriso sanno donare allegria e malinconia, perché dietro un’espressione nascondono sempre qualcosa di profondo. Mi piacciono perché vogliono vivere, nonostante tutti i pericoli che questo comporta, vogliono sentire le budella aggrovigliarsi e strozzarsi l’una con l’altra, vogliono sentire i brividi tangibili lungo la pelle, vogliono andare oltre la semplice esistenza e sentirsi vivi davvero. E la cosa migliore sono i rapporti che si instaurano tra queste persone. Sono rapporti che non puoi definire, non puoi chiamare “amore” né “amicizia”, perché cesserebbero di esistere. Sono rapporti di cui non parli, che esistono a prescindere, senza un’apparente ragione, ma in realtà con un significato talmente profondo da essere incomprensibile. È un rapporto per la vita, un legame che ti fa andare avanti, per mano, sfidando chi non crede in voi. Una relazione che ti fa sentire parte almeno un po’ di questo mondo che ti sembra così estraneo. È la voglia di assaporare la vita, di abbracciarla, rischiando di essere ferito, magari da una pugnalata, magari da un bacio che ti dà di più. Credo che questi rapporti… Siamo proprio noi. Grazie, Elio. Alessia Biral

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Come quei manifesti che stanno appesi quasi per miracolo, che lottano contro la pioggia e il freddo. Come le luci della vigilia di Natale che aspettano con noi la mezzanotte. Come quei ricordi sparati in vena che ci teniamo stretti solo per non dover ributtarci nella mischia. Come ‘sti pezzi di cuore che se ne stanno immobili ad aspettare qualcosa, anche se un qualcosa da aspettare proprio non c’è. Valeria

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COLORARE LA FACCIA…

Colorarsi la faccia serve a ben poco se poi c’abbiamo il cuore come una vecchia pellicola del dopoguerra bombardata dalle lotte frenetiche pronte a far tremare tutto. Coloriamoci la faccia per la pace e per la guerra, per i diritti dei gay e per la lotta contro i politici. Scendiamo in piazza per urlare che ci siamo pure noi, con i colori dentro ‘sti cuori pieni d’amore e ‘sti occhi pieni di speranze. Che il mondo c’accoglie a braccia aperte, oggi. Valeria

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“Ti fidi di me?” Cassie: “Sai cosa fa più male quando ti spezzano il cuore?” Chris: “No…” Cassie: “Aver dimenticato come stavi prima… devi mantenere quelle sensazioni. Se le lasci andare, non le riavrai mai più…” Chris: “E come resterò?” Cassie: “Sarai insensibile al mondo e a tutto ciò che ti circonda.” [Skins]

Non puoi mai sapere se è giusto o sbagliato “fidarsi”. Le persone deludono. Le persone sorprendono. Ma come capire chi ci vuole fregare e chi, invece, tiene a noi? Avere questo dono, è il sogno di molti. Gli umani sono imprevedibili, di un’imprevedibilità che fa paura e non ci lascia liberi di decidere, di seguire l’istinto. Molto spesso ci si accorge che seguendo l’istinto si conseguono risultati positivi. E’ tutto merito del subconscio. Il più delle volte il nostro subconscio ha ragione, conosce, lui è l’istinto. Ma quando nemmeno lui sa, iniziano i guai, perché la persona che abbiamo di fronte è totalmente diversa da noi, con un subconscio tutto suo, idee e ideali tutti suoi. E’ affascinante quando si è compatibili, e per “compatibili” intendo due persone che si completano a vicenda, non che si copiano o sono identiche, ma è raro. Essere compatibili è la cosa migliore: non sorgono problemi, ci si capisce, si vive in armonia e serenità. L’incompatibilità fa male, invece. Sorgono disguidi, incomprensioni, litigi, delusioni, tradimenti, schifo, come una reazione a catena destinata a non fermarsi se non con la ritirata di uno dei due. Se uno cede, l’altro è libero. Ci troviamo così di fronte a due persone apparentemente affini, ma totalmente differenti: una è libera, l’altra è oppressa. Una situazione di disparità e disagio totale per la persona oppressa, che inizia a soffrire e a stare male, perché delusa, con delle aspettative non soddisfatte, con il rancore di essersi fidata. Questa è una situazione di sconforto che possiamo vedere in tantissime persone: tra amici, tra famigliari, tra coppie. Ora, dopo la situazione di disagio, la persona oppressa è incapace di continuare a lungo e reagisce. Quindi, nonostante la delusione e il malessere interiore insopportabile, rompe il legame. Nel momento in cui lo fa, cresce, perché inizia a rispettare se stessa e ciò che per lei è importante. Inizia a tirare fuori la propria personalità. A questo punto, per evitare le delusioni future, non si fiderà. Si creerà una corazza forte, impenetrabile e avrà imparato una delle lezioni più importanti della vita. Macrina

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L’AMORE E’ QUESTO... Il guaio è quando qualcuno non ti manca più solo nel cuore. Inizia a invaderti i polmoni; e non importa quante volte espiri perché non riuscirai a scaraventarlo fuori; e non importa quante sigarette fumi, perché non ti inquinerai mai abbastanza da non sentire più lui che non c’è; e non importa se trattieni il fiato sperando di esplodere, perché gonfierai solo il vuoto che ha lasciato. Inizia a scorrerti nelle vene; bloccarti la circolazione servirà solo ad accumulare la sua assenza nelle mani, nelle braccia, nel collo, ma graffiarti o tagliarti la pelle per espellerti il sangue rosso come il suo ti ricorderà quanto eravate simili e quante siete lontani e diversi ora. Lo senti mentre ti occupa lo stomaco con prepotenza, ma non mangiare serve a percepirlo di più: ingozzarti per cercare di cacciarlo ti fa star male, male da fare schifo, da vomitare. Ti fa così male che vorresti essere presa a pugni per cercare di distruggerlo, ma sai che non se ne andrebbe perché è come un Dio onnipresente che è in te. E’ nelle gambe, nei muscoli e corri e balli, ma ti fermi… e lo senti ancora presente. E’ nei tuoi occhi perché vedi i suoi dettagli ovunque: il neo sulla punta del suo naso, la cicatrice sulla sua mano, vedi lo sguardo triste che ti aveva fatto innamorare; ma sai che quel sorriso che riservava solo a te, non lo troverai in nessun altro. Gli occhi: una lente che la gente sfrutta per capire che ce l’hai in testa e che lì ti sta distruggendo. E’ nelle orecchie perché tutti parlano di lui, di quello che fa e di quello che dice, così non puoi

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fare a meno di pensare che certe parole prima le diceva a te, certe cose le faceva con te. E’ nella penna che tieni in mano quando scrivi di lui, nella macchina fotografica con cui scatti sperando di immortalare un frammento di ciò che avevate, nel suo film preferito perché il protagonista avrà sempre qualcosa che te lo ricorda, nell’aria che respiri perché sai che la sta respirando anche lui, nel letto perché vorresti che ti stringesse forte in queste notti fredde e insonni. Ce l’hai nel sorriso che si è spento, nelle lacrime calde che ti rigano il volto e contrastano il freddo che hai nell’anima, ce l’hai nel silenzio che ti sei imposta, sulle labbra serrate che vorrebbero urlargli che lo ami: la vita senza di lui fa troppo male, è più amara da quando non ci sono più i suoi baci ad addolcirla. Comunque taci perché sai che la situazione non cambierebbe, continuerebbe a fare schifo come ora. Le tue parole gli provocherebbero solo dolore, dolore per quello che è… del resto ha perso anche lui… dolore per quello che potrebbe darti… ma troppe cose lo trattengono dal farlo. Allora taci mentre continui ad ingoiare bocconi acidi che vorresti sputargli in faccia, mentre mandi giù ingiustizie che vorresti vomitare davanti a lui. Prima o poi soffocherai perché ti stai riempiendo di schifo che non puoi evitare. Taci, patisci in silenzio e lascia che viva felice la sua vita perfetta perché eri tu a rovinargliela, visto che non eri perfetta. Lascia che faccia quello che vuole mentre tu cerchi di pensare a ciò che non lo riguarda. Lascia che stia senza di te anche se soffri tanto. Lascia che ti distrugga, ignaro di farlo, mentre provi ad ignorare il mondo intero che allude a lui.

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PERCORSI DELLA MEMORIA Camminai finché queste stanche gambe me lo permisero. Tentai di riprendere il cammino mille e mille volte ancora, fui però schiavo della beatitudine dei miei sogni. Ripercorsi con la mente la via di casa ma la danza delle foglie in aria attirò la mia attenzione. Sfortuna volle che mai fui attento alle cose importanti e quasi sempre mi feci cogliere a osservare piccoli insignificanti particolari. Particolari che solo il mio occhio coglieva, giravolte a mezz’aria di fiocchi di neve civettuoli. Forse avevo perduto la strada apposta. Mi apprestavo a rincorrere farfalle e mai nulla di concreto. Il mettere la testa a posto era per me una frase come un’altra, un consiglio che mi si avvicinava, mi sfiorava ma poi accortosi del mio disinteresse scivolava via. Nacqui guardando ciò che le nuvole celavano, andando oltre il fondale del mare, chiedendomi cosa avrei trovato se mi fossi messa a scavare. Un altro mare? Il centro del mondo? Talvolta immaginavo il mare al contrario. Pesci che nuotavano dalla parte opposta. Altre volte invece sentivo caldo, un caldo soffocante provocato dai fiumi di lava che si trovavano sotto i miei scavi. Ogni qualvolta mi avvicinavo ad una costruzione opera dell’uomo mi allontanavo scappando. Mi ritrassi come un gatto quando mette la zampetta nell’acqua. Non ero fatto per questo mondo ne forse per nessun altro. Vivevo, guardavo e questo era tutto ciò che occupava il mio tempo e tutta la mia attenzione. Elda Vasili

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Il guaio è quando qualcuno non ti manca solo nel cuore Il guaio è quando qualcuno non ti manca solo nel cuore. Inizia a invaderti i polmoni; e non importa quante volte espiri perché non riuscirai a scaraventarlo fuori; non importa quante sigarette fumi perché non ti inquinerai mai abbastanza da non sentire più la sua presenza; non importa se trattieni il fiato sperando di esplodere perché gonfierai solo il vuoto che ha lasciato. Inizia scorrerti nelle vene: bloccarti la circolazione servirà solo ad accumulare la sua assenza nelle mani, nelle braccia, nel collo; gonfiarti o tagliarti la pelle per espellere il sangue, rosso come il suo, ti ricorderà quanto eravate simili e quanto ora siete diversi e lontani. Lo senti mentre ti occupa lo stomaco con prepotenza; e non mangiare serve solo a percepirlo di più; e ingozzarti per cercare di cacciarlo ti fa stare male, male da fare schifo, da vomitare. Ti fa così male che vorresti prendere pugni sullo stomaco per cercare di distruggerlo, ma sai che comunque non se ne andrebbe perché è come un dio onnipresente che sta in te. Ce l’hai nel cervello e, anche se pensi ad altro, alla minima distrazione, sai che torna con più forza di prima. Ce l’hai nelle gambe, nei muscoli: corri e balli per sfogarti; ti fermi e lo senti ancora presente...

Ce l’hai negli occhi perché vedi i suoi dettagli ovunque: vedi il neo sulla punta del naso, la cicatrice sulla mano, lo sguardo triste che ti ha fatto innamorare… ma sai che quel sorriso, che riservava solo a te, non lo troverai in nessun altro. Gli occhi: lenti che la gente sfrutta per capire che ce l’hai in testa e che ti sta distruggendo. Ce l’hai nelle orecchie perché tutti parlano di lui e di quello che fa e che dice, e non puoi fare a meno di pensare che certe cose una volta le diceva a te ad altre le facevate insieme. Ce l’hai nella penna che tieni in mano quando scrive di lui, nella macchina fotografica che scatta sperando di immortalare un frammento di ciò che avevate, nel tuo film preferito perché il protagonista ha qualcosa di suo, nell’aria che respiri perché sai che sta respirando anche lui, nel letto perché vorresti che ti stringesse forte in queste notti fredde e insonni. È nel sorriso che si è spento, nelle lacrime calde che ti rigano il volto e contrastano il freddo che senti nell’anima, ce l’hai nel silenzio che ti sei imposta, nelle labbra serrate che vorrebbero urlargli che lo ami, che la vita senza di lui fa troppo male, è più amara ora che non ci sono i suoi baci ad addolcirla, che la tua fragilità era fatta per farsi forza con la sua.

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CR E AT I VI TA’ Mi arrendo a te

Dal grembo

Respiro sulle tue labbra, tra sguardi delicati. Brividi in ogni millimetro di me, aprendo il mio “io”, più nascosto e innocente. Mani gelate e umide percorrono il mio corpo, come l’acqua nel tuo viso. Baciami ancora. Non porre fine.

Uno nove nove sei. Comparsa nella folla, triste folla. Non ho ammirato guerre, ne sofferenze da un angolo innocua. Ho subito i cambiamenti, inutili e ignoranti, dall’alto di gente stolta, Francesca Piovesan che li rappresenta. La caduta morale, Nella pace gli ideali sprecati e le sofferenze imposte. Ho molti sogni, Due zero uno uno. una lista di sogni. Incompleta ed infinita. Pace; il mio sogno immenso. Sorrisi in ogni viso, pace nei loro animi. Lacrime di gioia, non più sangue di dolore. Pura Pace.

Francesca Piovesan

Francesca Piovesan

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Elogio dell’umanità Siamo fantasmi. Anime che viaggiano in un pianeta che non comprendono appieno e cercano di riempire quell’orrendo vuoto che abbiamo dentro con scadenti conversazioni, con storie che ci piace raccontarci, con sentimenti che non sopportiamo e non siamo in grado di controllare. Accettare la nostra mortalità, il pensiero di non essere altro che effimere creature sulla terra che s’incontrano, si scontrano, creano reazioni chimiche tra loro e poi si lasciano come se niente fosse, incapaci davvero di vedere la nostra completezza accanto ad un’altra persona. Quante paure abbiamo? Quanto siamo vittime accondiscendenti di noi stessi? Quante volte ci siamo chiesti cosa ci facciamo qui? Quanto tempo dovremo stare ancora a pensare cosa valiamo? A domandarci se vale la pena accettare la vita per come arriva o lottare per cambiarla? Se possiamo realizzare i nostri sogni o se siamo solo burattini? Se il mondo finirà e noi non avremo affatto un futuro? La realtà è che le nostre esistenze non sono altro che fili che si intrecciano e creano melodie intrecciandosi tra loro. Le melodie a volte finiscono, se si tira troppo la corda si finisce bruciati, e i fili non sono affatto infiniti. Hanno un inizio e una fine. La differenza dipende da quali decidono di intrecciarsi e come. La verità è che siamo creature di affetto, forgiati da amori fuggevoli, da sguardi celati in malo modo, fatte di abbracci infiniti ai quali, da sempre, veniamo strappati, da baci dati quasi come morsi nel tentativo di non disperderci, ma non siamo altro che granelli di polvere destinati, prima o poi, a scontrarci e distruggerci. Come il big bang, siamo esseri che esplodono e creano nuovi universi destinati ad esplodere anch’essi, allo stesso modo di una catena distruttiva senza fine che non trova rimedio. D’altra parte creiamo e diamo alle fiamme ciò che da noi è nato, incapaci di un amore puro e semplice che sembra farci fin troppa paura. È troppo divertente giocare con ciò che ci sta in mano, troppo facile distruggerlo e pensare “possiamo ricominciare da capo”… è troppo facile. Ci giochiamo un’intera esistenza sul semplice concetto dello “stayin’ alive”, ci focalizziamo sullo “staying”, sul semplice effetto del restare, come una linea piatta senza alcuno scopo. Come se già sopravvivere fosse fin troppo faticoso per pensare di poter far altro. Sospesi e tenuti su da un filo logoro. Lottiamo per noi stessi, lottiamo per ciò che vogliamo, ci arrendiamo e ci rialziamo in piedi. Come formiche brulichiamo su un suolo consumato che non ha nulla da offrirci, ma siamo ancora qui.

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Siamo qui e siamo lo spettacolo più bello che esista. Siamo vivi e non siamo capaci di mettere un punto fermo alle nostre esistenze. Corriamo e sbattiamo su muri che noi stessi abbiamo costruito ma, presto o tardi, a testate se necessario, li abbattiamo. Facciamo guerre e poi combattiamo per terminarle, come idioti, come perdenti, come ingenui. Come un’umanità senza scopo, convinta da sempre che, prima o poi, riuscirà a capire la sua necessità ed il valore della sua vita scialba. C’è tutto questo, ma siamo ancora qui. C’è solo da dire che possiamo farci i complimenti, perché siamo ancora qui. Elisa Spigariol

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Senza meta Quanto è immensa la differenza tra il piacere e il dolore che può provocarti una persona. Una linea invisibile che ti fa cadere nel baratro. La felicità è così magica e delicata quando ti entra con fatica nell’anima. Sciupa ogni forza per conoscere il tuo essere e per arrivarti al cuore. Sudore e fatica. Ma così straziante e pesante è lo struggente dolore che ti infligge andandosene e abbandonando facilmente il tuo cuore trasformandolo in una meta di passaggio, un hotel temporaneo di qualche notte di vacanza per poi andarsene alla ricerca della sua vera meta, lasciando qualche soldo e un letto sfatto. Immensa la differenza tra dolore e amore...

Francesca Piovesan

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Scoppiare È tardi, molto tardi credo. Non lo so, non ho un orologio vicino. Mi sto mangiando le unghie, quel poco che ne rimane almeno. Fa freddo, ma non ho voglia di entrare. Sto affogando nei pensieri, ma quelli negativi, quelli che fanno crollare ogni tua sicurezza e convinzione. Io sto facendo crollare me stessa. Io dico sempre: “lei è l’unica che mi capisce davvero, lei mi capisce”. Capisce? Cosa? Se nemmeno noi capiamo noi stessi, come puoi tu, lei, voi capire me? Qui sta l’inghippo. Mi affido a persone che credo mi capiscono, ma allo stesso tempo credo che sia impossibile capire se stessi o qualcun altro. Sono un incoerente, un incoerente nata. Nemmeno io riesco a vedere sotto la maschera, ad essere sincera con me stessa e tutte quelle cazzate che si dicono, come posso pretendere di essere capita da tutti? Che stupida, riesco solo a farmi complessi interiori fino ad affondare da sola… è come spararsi. Ma è una necessità! Pensare, pensare, pensare fino a scoppiare. Mi riesce bene. Scoppiare. Si, ormai sto facendo esperienza. Va bene così, in fondo, mi piace scavarmi per trovare una scatola piena di bigliettini, come quelli che passavi sotto il banco da bambina. Bigliettini che formano un grande puzzle e forse, quel puzzle sono io. Francesca Piovesan

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ART E E CU LT U R A

Mai sentito parlare di Darren Everett Criss? Bè, non mi sorprende, purtroppo nella maggior parte d’Italia non ha avuto il successo che si merita. Darren è nato il 5 febbraio del 1987 a San Francisco ed è un attore, musicista, cantante, compositore americano. Questo ragazzo è un vero talento della musica poiché a soli 24 anni è in grado di suonare molteplici strumenti tra i quali chitarra, pianoforte, batteria, violino, violoncello e ukulele. Fin da subito aveva mostrato un grande interesse per la musica, ma chi avrebbe mai pensato che avrebbe raggiunto questi livelli? Darren è un membro fondatore della compagnia teatrale Starkid ed uno dei compositori di “A Very Potter Musical”, “A Very Potter Sequel”, “Me and My Dick” e “Starship”, spettacoli da tutto esaurito che la compagnia ha proposto in un tour che sta terminando proprio in questi giorni,. Darren ha avuto l’opportunità di fare parte del cast del telefilm trasmesso sulla Fox “Glee” come Blaine Anderson dal sesto episodio della seconda stagione fino alla fine di questa come Guest Star ed è stato infine scritturato definitivamente per la terza. Criss sta emergendo come uno dei più talentuosi attori e musicisti della sua generazione. Per arrivare dov’è ora, questo ragazzo ha lavorato sodo, ha studiato, ed ha cominciato come studente dell’Università del Michigan. La sua popolarità è partita da YouTube grazie a “A Very Potter Musical” che fu pubblicato sul web e divenne subito un video di culto che esplose nella rete. Darren ha anche avuto la fortuna di poter incidere un EP chiamato “Human” dove si possono trovare le canzoni che ha composto e scelto di cantare, come ad esemprio: “Not Alone”, “Don’t you” e “Sami”. Ha vinto i Dorian Awards come “We’re about you rising star award”, I Teen Choice Awards come “Breakout Star”, I NewNowNext Awards come “Brink of Fame: Actor” e i Variety Magazine Awards come “Power of Youth Philanthropy”. Proprio ultimamente è stato confermato come sostituto di Daniel Radcliffe nello show di Broadway “How to succeed in business without really trying”. Chiunque lo conosca è incredibilmente fie-

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ro di aver avuto l’opportunità di brillare in uno spettacolo di così alto calibro. Insomma Darren è un ragazzo appassionato di quello che fa, con competenze ed un’umiltà pari a pochi. Egli è, inoltre, un grande sostenitore della comunità LGBT e da sempre cerca di promuovere l’uguaglianza tra omosessuali, transessuali e bisessuali. A tal proposito, “I don’t care if you’re gay, straight, purple, dinosaur… I love you. No matter what.” è una delle sue frasi più celebri e significa “Non mi importa se sei gay, etero, viola o un dinosauro… Ti voglio bene in ogni caso.” È quel genere di persone che, nonostante l’improvviso successo che gli è caduto addosso in questo ultimo periodo, è rimasto incredibilmente umile, gentile con i fan e perfettamente alla portata di tutti. È rimasto il ragazzo che tutti conoscevano tanto che, pur di partecipare allo SPACE TOUR con i suoi compagni Starkid, in questi giorni ha bloccato tutti i suoi impegni che, considerata la sua popolarità attuale, non sono pochi, ed è riuscito a fare una tappa con loro a Boston, sentendosi, per modo di dire, quasi di nuovo a casa. E’ un giovane talentuoso e spontaneo, divertente, che sembra così simile a noi da farci sperare che magari, un giorno, riusciremo ad arrivare, con il sudore della fronte e la costanza, dov’è lui adesso. È una di quelle persone che ti fa continuare a credere, che ti fa venire voglia di vivere perché è talmente genuino che è come avere davanti un amico pur non conoscendolo nemmeno. Questo ragazzo mi ha fatto troppe volte tornare il sorriso con quelle performance di cui si dimentica le parole perfino delle canzoni che ha composto lui, con tutte le volte che ha fatto saltare le corde alla sua chitarra, con tutti i suoi balletti, con tutte le sue facce buffe, con la sua atroce bassezza, con quel suo essere buffo in maniera adorabile e con il modo umile e discreto di suonare e cantare qualsiasi canzone, comprese quelle della Disney. Ci terrei a concludere citando alcune delle sue frasi più celebri.

“There’s nothing more badass than being yourself ” “There’s not a damn thing that i do on my own that’s not for my fans or for people that have supported me. So i don’t really care about my agenda, I wanna be on yours.” “I’m just as goofy and crazy as I was before if not more insane.” “What makes you different is what makes you strong.”

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“You guys don’t know this, but there is 1000 people behind you right now... behind the camera... that are all like, pointing spears at me making sure I do everything correctly... I’m actually chained to this chair right now.. I can’t leave and if i don’t do this correctly they won’t feed me!” “All my aunts in the Phillipines, they look at me and say ‘Darreeeeeen! You so thin! Eat!’” “My biggest fear? My biggest fear would be turning into an inanimate object.” “What can you expect from me in the next five years? Well... I’ll get older” “I’d be the worst president in the United States... unless you want the apocalypse to happen really soon... then I’ll run for president.” “Wars would stop if we just had every world conflict sit down and have popcorn and have a sleepover and watch the entire thing of that show... we’d all get along and it would be beautiful.” “The cool thing about music is no one can take music away from you” Elisa Spigariol

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Donnie Darko, quel capolavoro che ti lascia senza parole « Ogni creatura vivente sulla terra quando muore è sola. » (“Donnie Darko”) Uno dei film capolavoro più belli e discussi di sempre: “Donnie Darko”. Forse in molti ne hanno sentito parlare, ma in pochi hanno avuto la possibilità di guardarlo con attenzione e godersi appieno la guerra psicologica in cui ti lascia al termine della scena finale, accompagnati dalle note di “Mad World” di Gary Jules. Protagonista della storia è Donnie, un giovane molto intelligente, ma con idee troppo distaccate dalla massa bigotta rappresentata nella pellicola, proprio per questo non viene considerato “normale”. Infatti non lo è. Donnie è in cura psichiatrica, dovrebbe prendere delle medicine che detesta ed è vittima di pesanti conflitti con i familiari dai quali non è compreso né considerato come vorrebbe. Nella scena iniziale si sveglia chissà dove, sonnambulo, senza essere in grado di ricordare come può essere arrivato fino in quel posto. La notte seguente, sulla casa della sua famiglia, precipita il motore di un aereo. E non cade in una stanza qualsiasi, ma proprio in quella di Donnie che, se fosse stato a letto come in quel momento erano tutti, sarebbe morto. Lui, però, era fuori, sempre vittima del sonnambulismo. Sarà in seguito a questo incidente che Donnie conoscerà Frank, il suo nuovo amico immaginario, cioè un ragazzo vestito da un enorme ed inquietante coniglio grigio e scheletrico. Frank gli spiega che, dopo averlo salvato dalla morte a cui era destinato se non fosse uscito di casa quella notte, Donnie è tenuto a fare tutto ciò che il suo amico gli dice,

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creandogli non pochi problemi con il resto del paese. Inoltre Frank gli scrive sul braccio una data precisissima che, a suo dire, avrebbe segnato la fine del mondo. Donnie si trova così ad affrontare il concetto di “Wormhole” e di viaggio nel tempo, mentre si innamora per la prima volta di una ragazza che sembra capire la sua stranezza e vedere oltre i suoi problemi. Il film è un profondo ed intricato viaggio nell’inconscio che porta a porsi domande di importanza rilevante. Il finale è così strano ed incomprensibile – e allo stesso tempo geniale - che sciocca, lasciandosi dietro un vuoto atroce che non si è in grado di gestire. La magnifica interpretazione di Jake Gyllenhall ci fa immedesimare facilmente in quel Donnie disturbato che si trova a compiere le scelte sbagliate e a scoprire cose che non avrebbe mai pensato. Donnie Darko è una magia creata da Richard Kelly, una pellicola atrocemente particolare, dolorosamente forte, uno di quei film talmente “anormali” da risultare incomprensibili e che si ha bisogno di vedere più e più volte per capire appieno. Accompagna durante la visione come un fantasma allo stesso tempo bramato ed inquietante. Lascia da pensare così tanto che si fa fatica a dormire la notte e, alla fine, pare quasi impossibile parlare. Consiglio la visione di questo must nella storia del cinema a tutti coloro che sentono il bisogno di scoprire qualcosa di nuovo, di sorprendersi e porsi delle domande, che vogliono affrontare un viaggio del quale siamo noi a mettere la parola fine. Un viaggio lungo 113 minuti (senza i director’s cut) che ci si porterà appresso tutta la vita. Elisa Spigariol

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IL GLADIATORE Anno 180 d.C.: il generale Massimo Decimo Meridio (interpretato da Russel Crow) guida l’esercito romano in battaglia contro i Marcomanni in Germania; i soldati vengono disposti in file mentre le scene sono accompagnate da un sottofondo sonoro mozzafiato che va crescendo. Il generale Massimo, amato dai suoi sottoposti, passa tra le file salutato con rispetto; i Marcomanni si rifiutano di trattare un accordo di pace e lo dimostrano mostrando la testa mozzata di un messaggero romano. Allora il generale sale a cavallo gridando: “Al mio segnale, scatenate l’inferno”. Inizia, così, uno dei film che colpisce il pubblico non solo per gli effetti speciali ben studiati, ma soprattutto per la storia, le scene d’azione e per le colonne sonore che hanno avuto un grande successo perché capaci di suscitare grandi emozioni. Il grande generale Massimo è fedele a Roma e al suo imperatore Marco Aurelio che, ammalato e prossimo alla morte, decide di nominarlo come suo successore con il compito di far tornare Roma allo splendore dell’antica Repubblica dando nuovamente il potere al Senato. Marco Aurelio, infatti, considera Massimo come un figlio e ritiene che dare il comando a lui piuttosto che al suo figlio naturale Commodo (Joaquin Phoenix), inadatto al ruolo, sia la scelta migliore. Massimo è indeciso e si ritira nella sua tenda a pregare mentre Marco comunica la sua decisione a Commodo che intanto era giunto in Germania insieme alla sorella Lucilla. Il figlio in disaccordo con il padre lo uccide soffocandolo ordinando che Massimo venga ucciso insieme alla sua famiglia e rientra a Roma come imperatore. Massimo viene, così, condotto da due guardie nel bosco con il comando di giustiziarlo, ma riesce a liberarsi, uccide le guardie, monta su un cavallo e corre verso casa anche se ferito al braccio. Al suo arrivo scopre i corpi crocefissi e bruciati della moglie e del figlio e li seppellisce piangendo. Infine esausto e distrutto nell’animo si addormenta; al suo risveglio si ritrova legato a una corda con altri uomini: era stato catturato e reso schiavo; viene venduto a Proximo, un ex gladiatore diventato mercante. Massimo sarà costretto a combattere nell’arena e darà spettacolo delle sue eccellenti qualità di combattente tanto da essere soprannominato “l’ispanico” dai suoi “fans”. Ecco, quindi, la rappresentazione di una Roma dal potere antico vista da un uomo dalla personalità forte e solida, Massimo è buono, stanco della guerra, desidera solo poter vivere con la sua famiglia, un uomo a cui viene strappato questo bene prezioso e che combatterà fino alla fine per ottenere la sua vendetta e liberare il popolo dal suo nemico, Commodo, uomo ambizioso ed egoista che desiderava solo esser amato dal padre e che odia Massimo proprio

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perché lui aveva ricevuto questo affetto. Insomma, consiglio a tutti questo film che parla di temi vissuti molto intensamente, come amore, odio, gioia e vendetta e dove viene ben rappresentata l’imponenza di Roma antica anche se “americanizzata”. A chi cerca intrighi e personaggi approfonditi, tuttavia, può risultare noioso poiché non vengono ben delineati i loro caratteri ad eccezione di Massimo e di Commodo, quest’ultimo interpretato magistralmente superando l’interpretazione di Massimo. Pertanto, nonostante ormai datato, il film merita di essere visto soprattutto da coloro a cui cui piace il genere storico e d’azione dove si evidenziano personaggi dalla forte personalità. Valeria

“Nel mare ci sono i coccodrilli” di Fabio Geda Il libro tratta argomenti delicati quali le guerre che, purtroppo, ancora oggi si combattono in quei luoghi, il degrado, l’emarginazione sociale, i traffici clandestini che quelle popolazioni devono affrontare per cercare un futuro migliore per se stessi e per le loro famiglie. F. Geda cerca, per quanto possibile, di affrontare tutte queste tematiche con leggerezza in modo da far arrivare al lettore ciò che il protagonista, Enaiatollah, ha vissuto in prima persona così da far capire cosa significhi “essere clandestino” e ciò che questo “stato” induca l’uomo a fare. Il coraggio che accompagna, per l’intera vicenda, Enaiatollah e la sua forza nel tener fede alle promesse fatte alla madre è il messaggio più forte dell’autore. Ai giorni nostri risulta sempre più difficile riflettere riguardo a queste tematiche che, purtroppo, fanno parte della nostra realtà. Con la storia di Enaiatollah, Fabio Geda, ci porta, innanzitutto, a mettere in discussione noi stessi e le considerazioni più diffuse riguardo alla clandestinità. “Assaporando” le pagine di questo romanzo, man mano che si prosegue con la lettura, si è coinvolti, in prima persona, nelle vicende che vedono Enaiatollah come protagonista. Geda riesce, pertanto, a conquistare i lettori di qualsiasi età proprio per la sua grande dote di narrare con semplicità fatti di cronaca che arrivano tutti i giorni nelle nostre case da ogni parte del mondo. Valeria

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Hunger Games “Se bruciamo, tu bruci con noi.” Hunger Games, i giochi della fame, è il capolavoro dell’autrice statunitense Lily Collins, pubblicato per la prima volta in America il 14 settembre del 2008. Questo libro si basa sull’idea di un futuro post-apocalittico dove l’intero mondo è andato distrutto, fatta eccezione per un “pezzo” di Nord America dove vi sono tredici distretti dipendenti da una “Capitol City”. I suddetti distretti nel passato avevano deciso di ribellarsi alla città principale, perdendo miseramente la loro battaglia. Capitol City decide di distruggere il tredicesimo come monito per gli altri, lasciando intendere di poterli distruggere tutti, come e quando avesse voluto. Da quel giorno, come punizione per la loro tendenza alla ribellione e mancanza di rispetto, ogni distretto, ogni anno, doveva scegliere due tributi, un maschio e una femmina dai dodici ai diciotto anni, per mandarli a Capitol City a combattere nel gioco degli Hunger Games. Essi, per gli abitanti di Capitol, non sono altro che un reality show attorno al quale si basa quasi tutta la loro vita, ma in realtà, per il popolo dei distretti, i loro ragazzi vengono buttati in un’arena dove devono uccidersi a vicenda e solo uno ne uscirà vincitore. Katniss è una giovane del dodicesimo distretto e si offre volontaria quando, dalla boccia con tutti i nomi dei possibili tributi, viene pescato quello di Primrose, sua sorella minore. Per lei inizia allora l’incubo degli Hunger Games, la finzione e la creazione di un personaggio che la gente potrebbe apprezzare e che potrebbe voler aiutare dall’esterno con regali che potrebbero facilitarle la sopravvivenza. La conoscenza con l’altro tributo, Peeta, il ragazzo che le ha dato del pane quando da piccola moriva di fame per le strade del suo distretto, si rivelerà più utile di quanto non avrebbe mai pensato. Scritto al presente ed in prima persona questa saga, composta da tre libri del quale l’ultimo ancora non è disponibile in italiano, impedisce di staccare gli occhi dalle sue pagine. Ogni rumore, ogni respiro, ogni novità è come se colpisse il lettore direttamente, come se anch’egli si trovasse

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nel mezzo di un’arena sconosciuta circondato da 23 altri tributi che sanno benissimo di doverlo uccidere per poter uscire da quell’incubo. Cadenzato da suspance e colpi di scena questa saga non lascia mai il lettore insoddisfatto, porta con sé temi e valori come l’amicizia, l’integrità, la lotta per ciò in cui si crede, il non arrendersi nemmeno di fronte alle peggiori difficoltà, lo sfruttare al massimo le proprie capacità, la speranza, l’ingegno, la pietà, la sofferenza, l’idea del dover conoscere bene una persona prima di giudicarla e quanto l’uomo sia capace di essere falso e crudele. Un romanzo da divorare, da assimilare e che, terminato, lascia addosso un’angoscia forte, un pensiero fisso, una paura atroce ed un sospetto costante nei confronti di un’umanità non poi tanto differente. Nemmeno il grande schermo ha potuto ignorare il potenziale di Hunger Games che è già stato trasformato in un film che uscirà nelle sale italiane il 13 aprile. La rielaborazione del mito di Teseo e il Minotauro ha fatto molto successo, tanto che l’adattamento cinematografico del romanzo è uno dei lungometraggi più attesi del 2012. E, d’altra parte, non poteva essere altrimenti. Elisa Spigariol

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LA REDAZIONE ATTOMBRI CLARISSA BARRETI XHILDA BIRAL ALESSIA CERAP MACRINA CICATIELLO VALERIA FORNITO SERENA NASOTTO ANTONALLA PIOVESAN FRANCESCA SPIGARIOL ELISA SCARSO ALESSANDRO ELDA VASILI

COLLABORATORI ESTERNI: RIZZO B., SARTORATO R. DELOGU TREVISAN V. CLARA, BASEGGIO G., SARTOR N., SAUGO L. - CLASSE 4AS DAL POZ MARINA - 5^LS

FOTOGRAFIE ATTOMBRI CLARISSA CERAD MACRINA PROF.SSA SANDRA ANTONIETTI

GRAFICA PROF.SSA SANDRA ANTONIETTI SPIGARIOL ELISA

CAPOREDATTORI PROF.SSA SANDRA ANTONIETTI PROF.SSA PAOLA BRUNETTA

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