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La convivenza

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2 3 Capitolo V LA CHIESA

LA PRIMA ORGANIZZAZIONE A partire dal IV secolo, le «chiese» locali si riunirono in «diocesi», organizzazioni territoriali modellate sulle circoscrizioni civili dell’impero; a capo di ciascuna diocesi venne posto un episkopos, «sovrintendente» (il vescovo). I prelati (fra i quali si distinguevano per autorità i «patriarchi» delle quattro sedi vescovili che si dicevano fondate da apostoli: Roma, Costantinopoli, Antiochia e Alessandria) si riunivano periodicamente in grandi assemblee sia generali sia territoriali, dette concili, per deliberare insieme riguardo a tutti i problemi, sia propriamente spirituali, sia pratici, che toccassero la comunità dei credenti in Cristo. I concili potevano essere sia «ecumenici» (che riguardavano tutta la Chiesa), sia «regionali» (che riguardavano soltanto alcune diocesi, raggruppate attorno a quella che ne era la metropolitana); ai singoli sinodi (che riunivano il clero di una diocesi) era poi affi data la verifi ca della disciplina interna di ciascuna diocesi. Il primo concilio ecumenico, quello celebrato nel 325 a Nicea, si svolse alla presenza dell’imperatore Costantino. La comunità dei credenti si distingueva gradualmente, a partire da allora, in «chierici» (il «clero»: da kleros, «porzione separata», cioè i componenti dell’ordine sacerdotale che si era sviluppato dai presbyteroi) e i «laici» (dal greco laos, «società ordinata»: il cosiddetto «popolo di Dio»); mentre fra gli stessi membri del clero la distanza tra semplici preti o diaconi da una parte, e vescovi dall’altra, andava gradualmente crescendo, e le cerimonie religiose s’improntavano sempre più a un fasto liturgico prima sconosciuto. Nel mondo greco ed ellenistico, la leitourgia («opera pubblica») era l’istituzione mediante la quale s’imponeva ai cittadini più facoltosi l’impegno di fi nanziare iniziative ed eventi d’interesse comune, come spettacoli, banchetti e così via. I cristiani si trovarono a leggere nella Bibbia le descrizioni delle complesse cerimonie religiose e dei sacrifi ci celebrati dagli ebrei. Protagonisti della liturgia ebraica erano i sacerdoti: ma nella tradizione ebraica il sacerdozio era terminato con la distruzione del Tempio di Salomone. I cristiani ricostituirono il sacerdozio, prendendo come modello la funzione sacerdotale del Cristo stesso, che aveva istituito i sacramenti come segni sensibili del conferimento della Grazia divina. All’interno del clero, i chierici furono organizzati quindi secondo un sistema iniziatico di conoscenze in differenti ordini canonici, distinti in «minori» (ostiario, lettore, esorcista, accolito) e «maggiori» (suddiacono, diacono, sacerdote). I «preti», cioè originariamente «i più anziani» (presbyteroi), divennero così «sacerdoti»: e la «Santa Cena», cerimonia memoriale dell’istituzione del sacramento dell’eucarestia, si trasformò in vera e propria messa. Durante il IV secolo la struttura della messa si precisò in tre successive parti: la liturgia della parola (letture bibliche), l’offertorio (offerta dei doni), il canone (liturgia eucaristica e congedo). Il peso esercitato dalla Chiesa sulla vita culturale si rivelò subito molto importante. D’altra parte, gli spazi d’azione della vecchia aristocrazia si erano obiet-

1. Mosaico del VI secolo dell’arco trionfale della basilica romana di San Lorenzo fuori le mura raffi gurante Cristo in maestà tra i santi Pietro e Paolo e, a partire da sinistra, un vescovo, papa Pelagio II, un diacono, san Lorenzo, Pietro, Paolo, un altro diacono, santo Stefano e il presbitero Ippolito.

2. San Benedetto, affresco, fi ne del X secolo. Particolare dell’altare dell’oratorio di San Benedetto, Civate.

3. Papa Urbano II consacra nel 1095 l’altare maggiore della chiesa di Cluny. Miniatura dal Chronicon cluniacense, XII secolo. Bibliothèque Nationale de France, Parigi.

4. La struttura della chiesa si organizza attorno alla celebrazione dell’eucaristia. Abele e Melchisedek come sacerdoti nel mosaico del battistero di San Vitale a Ravenna.

5. Immagine di sant’Antonio, monaco del deserto. Museo di Arte, Copta, Il Cairo Vecchio.

6. Grotta di sant’Antonio alle spalle dell’omonimo attuale monastero in Egitto.

7. Veduta del monastero di Sant’Antonio in Egitto.

8. Veduta attuale del monastero cenobita della regione del Fayyum, Egitto.

tivamente ristretti, dal momento che i ruoli chiave nei settori amministrativi erano ormai ricoperti da uomini provenienti dall’esercito o dal censo equestre. Cresceva invece l’importanza degli ecclesiastici, che sempre più spesso accoglievano tra le loro fi la persone di grande cultura.

CLERO SECOLARE, CLERO REGOLARE Accanto alla capillare organizzazione in province, diocesi e parrocchie, che affi ancava quella territoriale dello Stato, il cristianesimo seppe esprimere un altro modo di vivere e di confi gurare le proprie esperienze comunitarie: il monachesimo. Il «clero» era difatti distinto in secolare (destinato a restare nel saeculum, cioè nel «mondo», a contatto con i fedeli) e regolare (destinato a organizzarsi in Ordini monastici, che vivevano ciascuno secondo un suo specifi co insieme di norme accuratamente prescritte, detto Regola). Per comprendere il movimento monastico, bisogna tener presente che la religione cristiana si era sviluppata nella continua dialettica fra due aspirazioni: da una parte quella alla fuga dal mondo per rifugiarsi nel pensiero d’una parola divina che insegnava a disprezzare i beni terreni e soprattutto il potere e la ricchezza; dall’altra quella all’amore del prossimo, alla carità, che invece induceva a impegnarsi nella vita di quaggiù. Monaco è parola derivante dal greco monos, «solo», cioè «solitario». Il fenomeno della ricerca della solitudine non è nuovo nella storia di parecchie comunità religiose o sette fi losofi che: induismo e buddhismo hanno, ad esempio, entrambi una lunga e illustre tradizione monastica. Anche per i cristiani, il monachesimo è venuto dall’Oriente. Esso si era sviluppato anzitutto nell’Egitto del III secolo, dal quale si diffuse in Siria e in Palestina: si trattava di monachesimo «anacoretico», cioè eremitico, fatto di individui isolati che vivevano nel deserto dandosi alla preghiera, al digiuno e a pratiche ascetiche. La Chiesa non vedeva tuttavia di buon occhio queste esperienze, che davano spesso luogo a incontrollabili deviazioni dottrinali. Essa favorì per contro il monachesimo sotto la forma detta «cenobitica», cioè comunitaria, il primo grande

9. Sant’Efrem, cui è legata la tradizione anacoretica siriaca. Miniatura del XII secolo conservata nella Biblioteca del Patriarcato siro-ortodosso, Damasco.

10. San Basilio il Grande, riformatore del monachesimo delle origini in senso comunitario, il cui pensiero infl uenzò anche il nascente monachesimo occidentale. Icona del XVIII secolo, chiesa di San Nicola, Tripoli, Libano.

11. Interno di una chiesa rupestre monastica della Cappadocia.

modello della quale si può considerare quello di san Pacomio (292-346), che raccolse nel deserto della Tebaide (Alto Egitto) una comunità di discepoli dei quali organizzò la vita in comune attraverso una Regola che ne stabiliva le norme di comportamento tanto per la vita spirituale quanto per le attività materiali e pratiche. Un altro importante centro monastico fu quello organizzato da san Basilio il Grande (330 ca.-370) in Cappadocia, nel centro della penisola anatolica. Il carattere pragmatico dell’esperienza cenobitica fu accolto in Occidente con maggior favore rispetto alla tensione mistica sottesa all’anacoretismo. Anche in Irlanda, evangelizzata nel V secolo da san Patrizio, si organizzava un monachesimo originale (al quale si è già accennato), che ricalcava i caratteri della civiltà celtica e si strutturava in originali comunità di villaggio ch’erano al tempo stesso monasteri. Fedeli al vecchio principio monastico secondo il quale l’eremitismo è una forma ascetica più perfetta del cenobitismo, gli irlandesi avevano elaborato un loro originale sistema di vita anacoretica basato sul pellegrinaggio. Eredi degli audaci navigatori celtici, essi s’imbarcavano su piccole fragili barche sulle quali raggiunsero, dal VI secolo, le Fær Øer, la Scozia, le Orcadi, l’Islanda; a piedi, sul continente, raggiunsero poi Francia, Fiandre, Germania, Italia.

LO SVILUPPO DEL MONACHESIMO OCCIDENTALE Nei duri anni del V-IX secolo, che hanno coinciso con una vasta e generale depressione continentale, i monasteri benedettini hanno tessuto sull’Europa intera la loro tela organizzativa, culturale, riqualifi cando l’agricoltura e la produzione, salvaguardando i monumenti del pensiero antico, fornendo sicurezza e nei limiti del possibile pace alle plebi disorientate del tempo. Non è certo casuale che Benedetto abbia avuto un biografo d’eccezione come papa Gregorio Magno, organizzatore fermo d’una Chiesa che egli voleva non solo vigile nel campo spirituale, ma anche attenta alle necessità materiali dei credenti. È difatti ai Dialoghi di Gregorio che dobbiamo il ritratto di Benedetto: un uomo pio senza

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dubbio, un taumaturgo dai portentosi miracoli, ma soprattutto un padre amoroso del suo gregge di monaci e un organizzatore energico e sollecito. È stato detto, e non certo a torto, che quello di Benedetto è un monachesimo tipicamente «romano», in quanto dell’esperienza monastica non esalta – come accade in quello orientale – il lato mistico, bensì l’equilibrio fra vita dello spirito e vita quotidiana e il sereno, fermo impegno nel risolvere una quantità di problemi concreti. Come lo spirito romano si caratterizza per l’adesione alla realtà, allo stesso modo il monachesimo benedettino costituisce una risposta severa, disciplinata, quasi militare alle necessità d’un momento di crisi e d’una compagine sociale di disgregamento. Centrale nella Regula di Benedetto, redatta a Montecassino intorno al 540, è l’opus Dei, la celebrazione corale dell’uffi zio; ma importanti sono inoltre la messa in comune e, poi, la lettura sacra – soprattutto la Bibbia, ma anche i testi agiografi ci – e la preghiera privata. Ma accanto a tutto ciò Benedetto, per vincere il «nemico dell’anima», l’ozio, ch’è padre della superbia e dell’accidia, prescrive il lavoro manuale: l’agricoltura, l’artigianato, la trascrizione dei codici manoscritti, lo studio stesso inteso come applicazione delle energie intellettuali. Alcune norme fondamentali presiedono alla vita monastica benedettina: anzitutto la

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stabilitas loci, l’obbligo di risiedere per tutta la vita in un medesimo monastero, contro un certo vagabondaggio che era a quei tempi diffuso presso strani tipi di monaci dalla vocazione sospetta; poi la conversatio, cioè la buona condotta morale, la pietà reciproca, l’obbedienza all’abate considerato l’abba, quindi il «padre» della famiglia del cenobio. Il monastero benedettino, isolato in ambiente rurale anche se legato da rapporti di subordinazione al vescovo della diocesi sul cui territorio sorgeva, era destinato a divenire, in quei tempi di sconvolgimenti e d’insicurezza, una sorta di oasi di pace attorno alla quale anche le genti vicine si organizzavano cercando di riannodare le fi la del viver civile. Si dissodavano i campi, si facevano risorgere colture specializzate quali la vite e l’olivo, si creavano nuovi insediamenti. Nelle biblioteche si custodivano i testi dell’antichità, mentre negli annessi scriptoria i manoscritti venivano copiati per essere poi diffusi alle abbazie sorelle, sparse in tutta l’Europa. In questo modo il monachesimo cristiano ha, fra i molti suoi meriti, quello di aver salvato e tramandato la cultura classica. A partire dal IX secolo, in tutti i territori che erano stati annessi dai carolingi, il monachesimo conobbe una crescita importante. Il merito di questo rilancio del fenomeno monastico va attribuito soprattutto alla fi gura dell’imperatore Ludo-

12. Veduta del Sacro Speco di Subiaco, dove san Benedetto visse da eremita prima della fondazione di Montecassino.

13. Gregorio Magno raccoglie testimonianze sulla vita di san Benedetto, particolare di una miniatura del 1437. Musée Condé, Chantilly.

14. Scene della vendemmia da una miniatura dei Dialoghi di Gregorio Magno, abbazia di San Lorenzo di Liegi, XII secolo. Bibliothèque Royale Albert Ier, Bruxelles.

15. Piero della Francesca, San Benedetto, particolare del polittico della Vergine della Misericordia, 1450-1460. Museo Civico, Sansepolcro.

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