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La polemica sul medioevo

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9. Solido con l’effi gie di Odoacre.

10. Veduta esterna del mausoleo di Teodorico, Ravenna.

10 fi ne dei tempi, nel Ragnarök, in una battaglia fi nale in cui gli dei Asi sarebbero caduti e il cosmo sarebbe stato inghiottito dal lupo Fenrir. Anche quest’analogia con l’Apocalisse cristiana fu sfruttata dai missionari. Dal punto di vista sociale, il nucleo base delle popolazioni germaniche era quello che riuniva più famiglie collegate da rapporti di parentela (Sippe); non esisteva in genere la proprietà privata, e i beni immobili erano gestiti comunitariamente. Ogni gruppo di Sippen, identifi catosi con un’area territoriale (gau, o pagus), si riconosceva in una superiore entità che i romani chiamavamo civitas e si potrebbe defi nire «popolo». Ciascun popolo aveva i suoi uomini liberi, contraddistinti dal diritto di portare le armi e detti arimanni. Erano essi (e segnatamente, fra loro, la nobiltà di sangue, gli adelingi) che in caso di guerra eleggevano un re. Al di sotto degli arimanni stavano i semiliberi o aldii, e infi ne gli schiavi.

LA CONVIVENZA Fu ancora un barbaro ch’era al tempo stesso capo mercenario nell’armata romana, l’erulo Odoacre, che nel 476 pose fi ne all’impero d’Occidente deponendo ed esiliando il giovanissimo imperatore Romolo, ultimo imperatore della pars Occidentis. Odoacre, rompendo la consuetudine della nomina di sovrani-fantoccio, inviò le insegne imperiali all’augusto della pars Orientis, Zenone (426 ca.-491), accompagnandole con il messaggio che un solo imperatore bastava per tutto l’impero. Il sovrano rispose conferendo a Odoacre il titolo di patricius, grazie al quale egli poté governare come un funzionario pubblico l’Italia fi no al 493, allorché venne battuto e ucciso da un altro capo barbarico, l’ostrogoto Teodorico. I goti avevano fatto in un certo senso da battistrada a ulteriori migrazioni di popoli. Alla metà del V secolo, essi erano subordinati agli unni e insediati nella pianura pannonica (grosso modo l’odierna Ungheria). In seguito divennero foederati dell’impero d’Oriente e come tali si insediarono in Macedonia; ma il governo di Costantinopoli, che preferiva non averli ai suoi confi ni, li incoraggiò a indirizzarsi sull’Italia conferendo al loro re Teodorico (454 ca.-526) il titolo di patricius. Vinto e ucciso Odoacre, Teodorico, risiedendo nella capitale Ravenna, inaugurò una politica sotto molti aspetti originale di convivenza tra goti e romani, basata sulla distinzione dei compiti, ma attenta a evitare soperchierie e quindi attriti. Teodorico era, istituzionalmente parlando, l’unico goto ad avere, come patricius, la cittadinanza romana; per il resto, goti e romani convivevano in un regime di separazione giuridica. I primi, che istituzionalmente erano foederati dell’impero, si occupavano solo delle cose militari; i secondi solo di quelle civili. Il fatto che i goti fossero ariani mentre i «latini» (come sempre più spesso venivano defi niti dalla loro lingua uffi ciale) seguaci della Chiesa che aveva accettato il concilio di Nicea favorì lo sviluppo della vita parallela delle comunità, ciascuna delle quali aveva i suoi edifi ci di culto, il suo clero e la sua liturgia. A questa saggia ed equilibrata politica interna, Teodorico accompagnava un estremo dinamismo nei rapporti con gli altri regni romano-barbarici: si alleò, anche con una costante politica matrimoniale, con visigoti di Spagna, franchi di Gallia, burgundi. Insomma, la sua azione prese gradualmente a confi gurare una sorta di soluzione federativa germanica dell’Occidente. Ma egli non dimenticava la veneranda tradizione di Roma, dalla quale si sentiva affascinato. E da funzionario e alleato di Roma si comportava: rivide la legislazione, abbellì la

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sua capitale Ravenna di sontuosi monumenti, affi dò la cancelleria a una serie di brillanti intellettuali romani quali Cassiodoro, Boezio, Simmaco. La politica teodoriciana, comunque, fallì a causa sia degli intrighi del governo imperiale romano, che negli anni Venti del VI secolo aveva cominciato a guardare con rinnovato interesse alla pars Occidentis e a seminare quindi discordia fra goti e latini, sia dell’intransigenza di molti capi goti, che avrebbero preferito ridurre i latini in schiavitù piuttosto che rispettarne le proprietà e le consuetudini. Alla morte di Teodorico (526) si scatenarono le lotte per la successione dinastica e non ci fu quindi nessuno in grado di opporsi a una riconquista romano-orientale dell’Italia. Al termine di una lunga guerra detta Greco-gotica (535-553), che segnò uno dei momenti più tragici nella vita della penisola, l’Italia cadde sotto il controllo di Costantinopoli. Vi sarebbe rimasta (almeno nella sua maggioranza) ben poco, visto che nel 568 i longobardi ne avviarono la conquista.

11. Veduta interna di Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna.

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Capitolo III LA CRISTIANIZZAZIONE

I PRIMI PASSI Le comunità dei credenti nel Cristo (le ekklesiai: le «Chiese») si erano formate liberamente, luogo per luogo, man mano che l’evangelizzazione procedeva. La loro struttura iniziale era molto semplice: i fedeli si riunivano attorno ai presbyteroi (letteralmente, in greco, «i più anziani») ai quali spettava l’insegnamento delle Sacre Scritture, in particolare dei Vangeli, e la celebrazione memoriale della «Santa Cena» in ricordo di quanto Gesù aveva fatto insieme con gli apostoli. La traduzione in latino della Bibbia, essenziale nell’opera di diffusione della nuova fede, fu avviata varie volte: ci restano frammenti di una redazione «africana» (II secolo d.C.) e di una «italica» (II-III secolo). Infi ne san Gerolamo (347-420 ca.), recatosi appositamente in Terrasanta, redasse fra 385 e 405 una traduzione originale, dall’ebraico per l’Antico Testamento e dal greco per il Nuovo: essa è nota con l’aggettivo di Vulgata. Al II-III secolo sono datate anche le prime esperienze archeologicamente sicure di domus ecclesiae, cioè in genere di case private adattate alle riunioni e al culto. A partire dai primi del IV secolo, com’è testimoniato da Eusebio di Cesarea, 265 ca.-339 ca.), si cominciò ad adattare al culto cristiano il tipo di edifi cio pubblico romano denominato «basilica». Già nel corso del III secolo, man mano che le Chiese cristiane si affermavano e si diffondevano, oltre alle polemiche con le comunità ebraiche, ne nascevano anche alcune con i pensatori pagani, soprattutto neoplatonici. Pur nelle polemiche, la nuova fede andava del resto accogliendo molte istanze fi losofi che ed etiche specie dal neoplatonismo e dallo stoicismo; conosciamo una folta letteratura pagana anticristiana (Porfi rio, Celso, Giuliano) e una cristiana antipagana detta «apologetica» (fra i principali apologisti vanno ricordati Origene, Clemente Alessandrino, Minucio Felice, Lattanzio, san Gerolamo), ma in entrambe i motivi di dialogo e le constatazioni di affi nità sono comuni e costanti: il fi losofo Giustino, che pure fu martirizzato nel 165, aveva avviato un discorso rigoroso sulla possibilità di conciliazione fra cristianesimo e neoplatonismo. Origene e più tardi Gerolamo elaborarono anzi un originale sistema di pensiero, secondo

2 1. Veduta della navatella sinistra verso est della chiesa di Santa Sabina, Roma.

2. Immagine di basilica con l’iscrizione ECCLESIAMATER, «la Madre Chiesa», dal mosaico di una tomba cristiana del V secolo di Tabarka, Tunisia.

Pagina precedente: 3. Antonello da Messina, Penitenza di san Gerolamo. Museo della Magna Grecia, Reggio Calabria.

4. Eusebio di Cesarea, particolare di una miniatura di una Vita di santi del XII secolo. Bibliothèque Municipale, Troyes.

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5. L’imperatore Costantino e sua madre Elena, mosaico dell’XI secolo. Monastero di Hosios Loukas, Focide, Grecia. il quale era giusto accettare l’eredità culturale dei pagani e arricchirne il nuovo mondo cristiano, così come nell’Esodo sta scritto come gli ebrei del tempo di Mosè, uscendo dall’Egitto dei faraoni, si fossero appropriati per volontà divina dei suoi tesori: queste tesi avrebbero aperto nel V secolo la strada a Cassiodoro e ad Agostino, difensori infl essibili della cultura greca e latina.

LE ERESIE Nel 313 l’imperatore Costantino pose fi ne alle persecuzioni anticristiane e nei decenni successivi sembrò intenzionato ad appoggiare la nuova fede, sebbene il signifi cato della sua conversione personale rimanga controverso. Nel 380 l’Editto di Tessalonica sancì l’adozione del cristianesimo quale religione di Stato. In esso l’imperatore Teodosio dichiarava: «Vogliamo che tutti i popoli a noi soggetti seguano la religione che l’apostolo Pietro ha insegnato ai romani». Quello che era stato l’unico culto che lo Stato romano avesse sistematicamente perseguitato diveniva così il solo consentito: e, data la sua natura monoteistica, non poteva permettere la sopravvivenza di altre religioni. Bisognava dunque precisare l’organizzazione della Chiesa, concepita come universale, ma ripartita in una quantità di Chiese diocesane, e fi ssare bene la sostanza della fede nonché le verità ritenute «rivelate» (oggetto della Rivelazione) e perciò sottratte alla discussione ma affi date alla fede (i dogmi). Il dissentire da tali defi nizioni diveniva ormai «eresia», cioè opinione ch’era ritenuta minare l’unità e la pace dei cristiani e quindi considerata grave colpa. Lo Stato, a sua volta, giudicava l’eresia come un delitto: il che è logico nella misura in cui la Chiesa veniva considerata organo statale. Le prime e principali eresie furono «cristologiche»: riguardarono cioè la persona e la natura del Cristo, la Sua umanità, il Suo rapporto con la divinità. Ma alcune erano ben più profonde e generali, ed erano relative piuttosto al fatto che il cristianesimo aveva dovuto approfondire, ma anche problematizzare, le sue originarie credenze entrando fi n dal I secolo in contatto con la fi losofi a ellenistica e con infl uenze provenienti da tradizioni differenti (siriache, indopersiane, egizie). Alla base di questo complesso movimento di pensiero si pone la «gnosi» (in greco gnosis, «conoscenza»). La gnosi insegnava che la conoscenza acquisita iniziaticamente era condizione unica e indispensabile alla salvezza: quindi, in linea di principio, gli gnostici svalutavano qualunque tipo di fede in quanto cammino diverso dalla conoscenza e indipendente da essa. Elementi della cultura mistica e fi losofi ca gnostica si diffusero tuttavia anche in ambienti cristiani a partire dall’Egitto del II secolo, com’è testimoniato dalle 44 opere conservate nei papiri manoscritti scoperti nel 1946 nell’oasi di Nag Hammadi, nell’Alto Egitto. Altre tesi che le Chiese cristiane, attraverso le discussioni di quegli uomini di pensiero che furono detti «Padri della Chiesa» e i documenti conciliari, dichiararono progressivamente «eresie» furono il modalismo di Sabellio (III secolo), il quale sosteneva che i componenti della Trinità divina sono non «persone», bensì modi transitori di esprimersi della Divinità; e il docetismo, che negava la realtà materiale della sofferenza e della morte di Gesù sulla croce, ritenendole solo apparenti (da qui il suo nome, derivato dal greco dokein, «sembrare»). Nel IV secolo, la dottrina eretica di maggior rilievo fu quella predicata dal prete Ario di Alessandria, e detta pertanto «ariana». Secondo Ario, il Cristo era il Figlio prediletto del Padre dei Cieli, a Lui simile ma non identico: con ciò infi rmava la dottrina della divinità del Cristo e del sacrifi cio di Dio stesso per l’umanità. La dottrina di Ario si discusse nel concilio di Nicea, che la respinse

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e in un documento uffi ciale, il Simbolo niceno (il cui testo è poi divenuto quello di una fondamentale preghiera cristiana, il Credo), affermò la dottrina della consustanzialità del Padre e del Figlio. Pur restando tre diverse «persone» (vale a dire tre differenti aspetti di una stessa sostanza), il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo erano non tre diversi dei, ma tutti Dio in quanto compartecipi di un’unica sostanza. Con ciò si fi ssava il dogma della Trinità. Accanto a quella ariana, si andavano intanto diffondendo anche altre tesi, proposte da differenti teologi. Tra esse, quella sostenuta da Nestorio (381-451), che fu patriarca di Costantinopoli fra 428 e 431, e che sosteneva la compresenza nel Cristo di due persone distinte, una divina e una umana, era forte soprattutto

6. Icona del XVI secolo che illustra il primo concilio di Nicea e la condanna di Ario. Santa Caterina del Sinai.

7. Sant’Atanasio di Alessandria, qui in un’icona del XV secolo proveniente da Novgorod, difese strenuamente i princìpi sanciti dal concilio di Nicea anche nei confronti di Costantino, più propenso a una pace religiosa.

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