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Riti e costumi
from MEDIEVAL SOCIETY
by Jaca Book
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4. La Donna, il Figlio, il Drago, particolare di un’Apocalisse ottoniana. Staatsbibliothek, Bamberga.
5. Natività della Vergine, 1313-1314, particolare dell’affresco della Chiesa del Re, Studenica, Serbia.
6. Giotto, Strage degli Innocenti, 13041306, particolare dell’affresco della cappella degli Scrovegni, Padova.
7. Gentile da Fabriano (1370-1427), San Nicola salva i tre giovani in salamoia, predella del Polittico Quaratesi, 1425 circa. Pinacoteca Vaticana.
8. Benozzo Gozzoli (1420?-1497), Sant’Agostino bambino con la madre Monica, 1465, particolare dell’affresco della cappella del Coro, chiesa di Sant’Agostino, San Gimignano. Le tesi di Ariès sono state discusse e spesso ricusate. Ma ancora oggi non esiste un accordo generalizzato su quale fosse lo status del bambino medievale; forse perché, come per altre realtà, il periodo è talmente lungo, articolato e complesso da non consentire facili generalizzazioni. Per esempio, si è notato che il Cristo, la Madonna e i santi sono spesso rappresentati durante l’infanzia, oppure alle prese con bambini oggetto di miracoli: come nel caso di san Nicola che riporta in vita alcuni fanciulli fi niti in salamoia; e il costume di rappresentare i bambini come piccoli adulti sarebbe da imputare allo scarso realismo dell’arte medievale (almeno fi no al tardo Duecento) piuttosto che al disinteresse per quella fascia d’età. Il tema delle «Età dell’Uomo», per contro, prevede che gli infanti in fasce e i bambini siano invece rappresentati ampiamente; così come si conoscono giocattoli specifi ci per bambini sopravvissuti all’oblio del tempo e non troppo dissimili da quelli d’età moderna. Il cronista Giraldus Cambrensis, vissuto a cavallo tra XII e XIII secolo, racconta nella sua autobiografi a (De rebus a se gestis) di come fosse solito, da bambino, costruire monasteri di sabbia, mentre suo fratello si dedicava a più consueti castelli e palazzi; per questo il padre aveva cominciato a chiamarlo «piccolo vescovo», decidendo di dargli un’istruzione adatta alla carriera ecclesiastica. È tuttavia anche vero che il termine stesso per indicare i bambini, ossia pueri, è oltremodo ambiguo: nel latino medievale può signifi care «fanciullo», «ragazzo», ma anche «seguace» e perfi no «teppista». Anche la fascia d’età che dovrebbe delimitare non è ben chiara. Come nel caso della cosiddetta «crociata dei fanciulli» (detti anche «innocenti» o «pastorelli»), l’età dei protagonisti è tutt’altro che ben defi nita. E questo in un’epoca in cui l’avvio alla vita adulta
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(l’educazione militare per gli aristocratici, il lavoro dei campi per i fi gli dei contadini, il matrimonio per quasi tutti) era assai precoce per i nostri standard. Nel Quattrocento si intensifi cò poi la devozione per i Martiri Bambini. Altari dedicati agli Innocenti, loro sante reliquie, pale, affreschi e miniature rappresentanti il delitto di Erode, una della scene che abitualmente facevano parte del ciclo della Natività, erano estremamente diffuse all’epoca: e accompagnavano un tempo nel quale la mortalità infantile era a sua volta un fenomeno quotidiano e comune ma dove, accanto alle cause di morte più ovvie quali i parti infelici, le malattie e la denutrizione, bisognava annoverare altre e più specifi che ragioni: le ricorrenti epidemie di peste, ma anche la scoperta della frequenza con la quale si procuravano aborti e si consumavano infanticidi, denunciata con maggiore intensità che in passato dai predicatori.
LA MORTE Più che la paura della morte, quel che sembra presente nelle culture tradizionali è lo stupore dinanzi ad essa, la coscienza profonda ch’essa sia qualcosa d’innaturale e d’inconcepibile, quindi la volontà di «addomesticarla» e in un certo senso annullarla, preparando il corpo alla resurrezione o l’anima all’eternità. Ciò, in un modo o nell’altro, è presente in tutti i riti funerari del mondo. Altra cosa è la «paura del morire», cioè l’angoscia dinanzi a un passaggio diffi cile, che diviene necessario affrontare iniziaticamente. Da qui infi nite precauzioni rituali, simboliche, per «abituare» il morto all’idea di esser tale, e in quanto tale separato dalla comunità dei viventi. Da qui le infi nite leggende sui révenants, i morti che tornano, e le non meno infi nite precauzioni per evitare o per dominare e regolare tale ritorno. Da qui gli insegnamenti relativi al vivere come più
9. La morte bendata a cavallo, particolare della strombatura della lunetta del portale centrale della facciata della cattedrale di Notre-Dame a Parigi.
10. Coro visto da nord-est e cimitero della chiesa di Saint-Nicolas, Caen.
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o meno lunga fase di preparazione al passaggio fi nale: è il nucleo del magistero di Platone. Ma è nel mondo medievale, alla fi ne del periodo che convenzionalmente chiamiamo medioevo, che avviene appunto la grande rivoluzione che inaugura la modernità. La scoperta della paura della morte fa parte di essa. In effetti, fra IV e XIV secolo non c’è traccia di terrore dinanzi alla morte. I morti, nel mondo cristiano, non stanno isolati in città pensate e ideate e costruite per loro, «necropoli»: vengono riuniti in «dormitori» (questo il signifi cato dei termini d’origine greca «catacomba» e «cimitero»), dal momento che la morte è solo un temporaneo letargo che si concluderà con la resurrezione di tutti secondo la promessa del Cristo Salvatore. Quindi, i cimiteri stanno negli abitati: i morti si seppelliscono nelle chiese o attorno ad esse: ed è questo un costume tanto profondamente radicato che la pratica igienica d’origine illuminista che darà luogo di nuovo a neopagane «necropoli» venne in un primo momento avversata nell’Europa dell’inizio dell’Ottocento. Nel pensiero e nell’iconica del medioevo la morte è bensì presente, ma in quanto fi gura dell’Apocalisse. Non la si teme, per quanto si sappia che i suoi strali sono dolorosi: non solo perché si è convinti ch’essa sia uno stato transitorio, ma anche e forse soprattutto perché da un lato le condizioni del vivere sono talmente dure (la guerra, la fame, le malattie…) da farla apparire semmai un sollievo, dall’altro perché esistono e sono radicati i rituali di «addomesticamento» di essa: si è abituati a vivere nella sua ombra, ad attenderla, a non temerla. È, come dice Francesco d’Assisi, «sora nostra morte corporale». Ma le cose cambiarono nel corso del XIV secolo. La vita, allora, era qualitativamente migliorata in modo radicale: il vivere era divenuto più dolce e comodo, e l’abbandonare questa terra quindi proporzionalmente più duro. Giunse poi non proprio inattesa, ma comunque sconvolgente, la grande epidemia di peste del 1347-1350, la «Morte Nera». Lo spettro terribile d’una morte crudele, che non lasciava il tempo di prepararsi, che mieteva senza pietà giovani e vecchi, che non consentiva neppure le pratiche di pietà perché i decessi erano troppi e i cadaveri venivano seppelliti in fretta o abbandonati, si abbatté sull’Occidente. In questo clima si proposero anche dei veri e propri manuali di ars moriendi, consigli sull’«arte del ben morire», che divennero diffuso oggetto di lettura devota anche nel mondo laico, tra XIV e XVII secolo.
L’ALDILÀ E LA NASCITA DEL PURGATORIO Nel mondo antico, l’aldilà era immaginato come un luogo oscuro e terribile. Per questo motivo la discesa agli Inferi degli eroi – in cerca di rivelazioni – era la prova suprema da affrontare, mentre si conoscevano festività e rituali che avevano lo scopo di tenere lontane le ombre dei defunti che potevano tornare. L’avvento dei culti misterici nel mondo greco e poi a Roma ribaltarono questa concezione, confi gurando un’immagine meno tetra dell’oltretomba. Una rivoluzione che arrivò a compimento con il cristianesimo, nel quale l’aldilà è il luogo in cui si realizza la giustizia divina, mentre il mondo nel quale viviamo non è che l’immagine offuscata della verità. Per quanto è dato sapere, i primi secoli di diffusione del cristianesimo conoscevano soprattutto l’attesa del giorno del Giudizio Universale e della resurrezione dei corpi; si immaginava che le anime dei defunti conoscessero una sorta di stato di sonno prolungato fi no a quel momento. Tuttavia, diversi segni sembrano contraddire questa idea. I primi cristiani avevano tratto dal mondo pagano la pratica del refrigerium, ricordata negli epitaffi e nelle catacombe; il termine poteva indicare di volta in volta il banchetto funerario, il ricordo gioioso dei martiri, le celebrazioni in onore dei defunti, ma anche la possibilità di pregare per le anime al fi ne di procurar loro la pace. Tra i Padri della Chiesa, inoltre, alcuni, come Agostino e Gregorio Magno, am-
11 11. Combattimento tra angeli e demoni per accaparrarsi l’anima di una defunta. Particolare di una miniatura del Rupertsberger Codex dello Scivias di Ildegarda di Bingen. Landesbibliothek, Wiesbaden.
12. Processione di fl agellanti all’epoca della peste nera in una miniatura del 1360. Bibliothèque Royale Albert Ier, Bruxelles.
13. Rilievi, con la parabola di Lazzaro e del ricco malvagio, della parete sinistra del portale meridionale della chiesa di Saint-Pierre a Moissac. In alto il festino e, a fi anco, Lazzaro accolto nel seno di Abramo. Al centro la morte del ricco e l’Inferno, i cui tormenti sono descritti nella parte in basso.
14. Resurrezione dei morti, particolare della lunetta del portale sinistro, fi anco sinistro, della cattedrale di Reims.
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mettevano che, anche se non accedono all’Inferno o al Regno celeste propriamente detti, le anime ricevono, fi n dal momento della morte, ricompense o castighi. Di qui la necessità di pregare per loro. È tuttavia a partire dal X secolo che si assiste alla comparsa di una prima iconografi a raffi gurante il giudizio dell’anima al momento della morte, non della resurrezione; il tema diverrà poi ben noto a partire dal XII secolo, quando i teologi lo prenderanno in considerazione attribuendogli il nome di iudicium. Poiché ormai l’attenzione dei vivi si focalizzava sempre più sulla sorte dell’anima dopo la morte, l’aldilà non era più soltanto una prospettiva ultima, rinviata alla fi ne dei tempi: il mondo dei vivi e quello dei morti potevano comunicare attraverso suffragi, dei vivi per i morti, come pure intercessione dei morti – e in particolare dei santi – in favore dei vivi, oppure (dato più inquietante, ma ben presente nella letteratura bassomedievale) apparizioni dei morti per comunicare con i vivi. Fu soprattutto nella celebre abbazia di Cluny che il sistema della capitalizzazione della preghiera, in particolare di quella in suffragio dei defunti, giunse al suo più alto grado d’organizzazione e di spiritualità. Cluny era pensata come una vera e propria centrale energetica funzionale alla preghiera: con messe di suffragio si può dire continue, celebrate anche contemporaneamente ai molti altari presenti nella basilica, e con una continuità nella preghiera comunitaria assicurata, nel coro, dall’avvicendarsi dei monaci. Spetta ancora ai benedettini riformati della congregazione cluniacense l’aver avviato a partire dal 1030 la pratica liturgica della festività d’Ognissanti e della celebrazione memoriale dei defunti, nei giorni 1 e 2 novembre, collegando la solennità celto-pagana dell’inizio dell’autunno, che già in quella tradizione era consacrata agli antenati e che veniva folkloricamente rispettata ancora nell’XI secolo nell’ambito di una società contadina peraltro ormai già profondamente cristianizzata, al culto dei santi e al suffragio dedicato alle anime del Purgatorio. È nel contesto di quest’audace e originale proposta acculturativa che l’abbazia di Cluny ha fornito un contri-
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15. Monaci durante l’uffi cio dei defunti, miniatura delle Ore di re Renato, Digione, 1437. British Library, Londra.