XVIII. NASCITA E MORTE
XVIII. NASCITA E MORTE
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Le tesi di Ariès sono state discusse e spesso ricusate. Ma ancora oggi non esiste un accordo generalizzato su quale fosse lo status del bambino medievale; forse perché, come per altre realtà, il periodo è talmente lungo, articolato e complesso da non consentire facili generalizzazioni. Per esempio, si è notato che il Cristo, la Madonna e i santi sono spesso rappresentati durante l’infanzia, oppure alle prese con bambini oggetto di miracoli: come nel caso di san Nicola che riporta in vita alcuni fanciulli finiti in salamoia; e il costume di rappresentare i bambini come piccoli adulti sarebbe da imputare allo scarso realismo dell’arte medievale (almeno fino al tardo Duecento) piuttosto che al disinteresse per quella fascia d’età. Il tema delle «Età dell’Uomo», per contro, prevede che gli infanti in fasce e i bambini siano invece rappresentati ampiamente; così come si conoscono giocattoli specifici per bambini sopravvissuti all’oblio del tempo e non troppo dissimili da quelli d’età moderna. Il cronista Giraldus Cambrensis, vissuto a cavallo tra XII e XIII secolo, racconta nella sua autobiografia (De rebus a se gestis) di come fosse solito, da bambino, costruire monasteri di sabbia, mentre suo fratello si dedicava a più consueti castelli e palazzi; per questo il padre aveva cominciato a chiamarlo «piccolo vescovo», decidendo di dargli un’istruzione adatta alla carriera ecclesiastica. È tuttavia anche vero che il termine stesso per indicare i bambini, ossia pueri, è oltremodo ambiguo: nel latino medievale può significare «fanciullo», «ragazzo», ma anche «seguace» e perfino «teppista». Anche la fascia d’età che dovrebbe delimitare non è ben chiara. Come nel caso della cosiddetta «crociata dei fanciulli» (detti anche «innocenti» o «pastorelli»), l’età dei protagonisti è tutt’altro che ben definita. E questo in un’epoca in cui l’avvio alla vita adulta
(l’educazione militare per gli aristocratici, il lavoro dei campi per i figli dei contadini, il matrimonio per quasi tutti) era assai precoce per i nostri standard. Nel Quattrocento si intensificò poi la devozione per i Martiri Bambini. Altari dedicati agli Innocenti, loro sante reliquie, pale, affreschi e miniature rappresentanti il delitto di Erode, una della scene che abitualmente facevano parte del ciclo della Natività, erano estremamente diffuse all’epoca: e accompagnavano un tempo nel quale la mortalità infantile era a sua volta un fenomeno quotidiano e comune ma dove, accanto alle cause di morte più ovvie quali i parti infelici, le malattie e la denutrizione, bisognava annoverare altre e più specifiche ragioni: le ricorrenti epidemie di peste, ma anche la scoperta della frequenza con la quale si procuravano aborti e si consumavano infanticidi, denunciata con maggiore intensità che in passato dai predicatori.
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4. La Donna, il Figlio, il Drago, particolare di un’Apocalisse ottoniana. Staatsbibliothek, Bamberga. 5. Natività della Vergine, 1313-1314, particolare dell’affresco della Chiesa del Re, Studenica, Serbia. 6. Giotto, Strage degli Innocenti, 13041306, particolare dell’affresco della cappella degli Scrovegni, Padova. 7. Gentile da Fabriano (1370-1427), San Nicola salva i tre giovani in salamoia, predella del Polittico Quaratesi, 1425 circa. Pinacoteca Vaticana. 8. Benozzo Gozzoli (1420?-1497), Sant’Agostino bambino con la madre Monica, 1465, particolare dell’affresco della cappella del Coro, chiesa di Sant’Agostino, San Gimignano.
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LA MORTE Più che la paura della morte, quel che sembra presente nelle culture tradizionali è lo stupore dinanzi ad essa, la coscienza profonda ch’essa sia qualcosa d’innaturale e d’inconcepibile, quindi la volontà di «addomesticarla» e in un certo senso annullarla, preparando il corpo alla resurrezione o l’anima all’eternità. Ciò, in un modo o nell’altro, è presente in tutti i riti funerari del mondo. Altra cosa è la «paura del morire», cioè l’angoscia dinanzi a un passaggio difficile, che diviene necessario affrontare iniziaticamente. Da qui infinite precauzioni rituali, simboliche, per «abituare» il morto all’idea di esser tale, e in quanto tale separato dalla comunità dei viventi. Da qui le infinite leggende sui révenants, i morti che tornano, e le non meno infinite precauzioni per evitare o per dominare e regolare tale ritorno. Da qui gli insegnamenti relativi al vivere come più
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