VENETO
Territorio d’eccellenza di Alberto Campanile
Sette terre di gusto Un viaggio gastronomico in Veneto: i prodotti di eccellenza, il loro legame con il territorio e i grandi vini con cui accompagnarli. Dalle Dolomiti alla Laguna, dal lago di Garda al Delta del Po, il Veneto è un mosaico di identità forti e radici profonde. Una straordinaria varietà che ha come denominatori comuni l’attenzione alla qualità, la creatività e il legame con la tradizione. 1
Terre di
Venezia
Nella Venezia dei Dogi, per scoprire una cucina ricca di sapori legati all’Oriente, all’Europa del nord e all’entroterra generoso di primizie che raggiungevano la città lagunare grazie alle autostrade dell’epoca, fiumi, mari e canali.
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in dai tempi del Casanova, nel cuore del centro storico di Venezia, tra calli e campielli, i bacari (osterie) servono ombre (calici di vino) e cicheti. Sono stuzzichini rigorosamente stagionali, perciò “dipendono” dalle primizie dei mercati del pesce e delle verdure. Tentazioni sfiziose alle quali nessun goloso viaggiatore sa resistere: l’uovo con l’acciughetta, le seppie alla griglia condite con un filo d’olio e prezzemolo, la polpettina di carne, la polenta abbrustolita con il baccalà mantecato. Quest’ultimo si ottiene “mantecando” con olio lo stoccafisso precedentemente lessato, cotto con limone e alloro e privato della lisca. Lo si lavora a lungo con il cucchiaio di legno, fino ad ottenere una crema densa. Secondo la tradizione, lo stoccafisso (che qui in Veneto si chiama bacalà) fu importato dal nobile mercante Piero Querini. Nel 1432 la sua nave naufragò al largo di Røst, in Norvegia; con l’arrivo della bella stagione i naufraghi tornarono a Venezia con le stive piene di stokkfisk. Da allora “il merluzzo venuto dal Nord” diven-
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ne uno degli ingredienti più rinomati della cucina veneziana e veneta, largamente apprezzato dai nobili della Serenissima e dai Dogi. Sui loro deschi approdavano le più stuzzicanti golosità della laguna. Le moeche, ad esempio. Sono granchi (Carcinus manas) raccolti in primavera (aprile e maggio) e in autunno (ottobre novembre), quando sono privi del carapace. Generalmente si servono fritti, dopo averli infarinati e passati nel tuorlo d’uovo. Attualmente la loro produzione è pressoché circoscritta nella laguna nord, dove i pescatori di Burano posizionano i cogòlli (trappole) per catturare pesci e granchi di passaggio. Le moeche sono ottime, ma decisamente care. Più economico è lo scartosso de pesse, un cono di carta riempito di pesci infarinati e fritti al momento, pronti per essere consumati passeggiando. Non sempre il buono è bello: poco fotogeniche, ma eccezionali, sono le seppie con il nero. Dal sapore decisamente più delicato è il risotto di go (ghiozzo di laguna), fatto con la polpa dello spinoso pesciolino. “Il go, nella sua
Uno scorcio del Canal Grande Castrature di carciofi violetti di Sant’Erasmo Villa Foscari, detta “La Malcontenta” Baccalà mantecato
modestia, resiste ad ogni umiliazione e si riscatta sempre, per il suo sapore e per il suo colore d’ambra, come un antico marmo, inserendosi al primo posto nella fauna ittica della Serenissima” scriveva Giuseppe Maffioli. Alcuni piatti della cucina tradizionale veneziana sono legati al “calendario”: per la festa del patrono San Marco si preparano i risi e bisi (riso e piselli), per il Redentore l’anatra ripiena e le sarde in saòr, nel periodo pasquale la fugasa da abbinare al vino dolce, a Carnevale le fritoe. Nei giorni di magro si servono i bigoli in salsa: si tratta di varietà di spaghettoni mori (fatti con farina di segala o di orzo) conditi con una salsetta fatta con le sarde, dissalate e deliscate, stemperate dolcemente in un battuto di cipolla rosolata. Ottimo anche il brodeto di pesse alla ciosota con vongole, coda di rospo, capesante e gallinella di mare; si serve con i bussolà, una sorta di “anelli di pane” croccanti. La cucina di Venezia mescola spezie d’oriente a sapori mediterranei, dal pesce dell’Adriatico ai doni della terra, che dell’entroterra raggiungevano la città lagunare a bordo dei burci (barconi), lungo i fiumi. C’erano e ci sono anche gli “orti dei veneziani”. A meno di mezz’ora di vaporetto dalle Fondamenta Nuove, sui terreni argillosi dell’isola di Sant’Erasmo, prosperano i carciofi violetti di Sant’Erasmo, presidio Slow Food. Sono disponibili dalla fine di aprile con la raccolta dei primi germogli (le castraure) fino ai primi di giugno; si servono crudi con un filo d’olio, passati in padella con le cipolle o impanati e fritti. L’entroterra da secoli fornisce di ortaggi e di frutta la città lagunare: le pere e le pesche di Cavallino - Treporti, il radicchio di Chioggia IGP, gli asparagi bianchi di Bibione, i pomodori e i fagiolini di Treporti; primizie la cui bontà era nota ai Dogi.
Sarde in saòr Ingredienti: 650 grammi di sarde, farina, olio, un paio di cipolle bianche medie, mezzo bicchiere di aceto di vino bianco, pepe in grani. Saòr è una parola veneziana che significa sapore; è un modo stuzzicante di preparare le sarde, particolarmente apprezzato d’estate quando mal si sopportano i cibi caldi. Innanzitutto, privare le sarde delle squame, della testa e delle viscere. Una volta lavate, asciugate e leggermente salate, infarinarle e friggerle in abbondate olio caldo per un paio di minuti per lato. A cottura ultimata asciugarle su un foglio di carta assorbente. In un’altra padella, rosolare la cipolla tagliata a fettine con olio di oliva extravergine e cuocere per circa 20 minuti; aggiungere un po’ alla volta l’aceto di vino e mescolare. Dopo circa 20 minuti, togliere dal fuoco e aggiungere il pepe nero in grani. Su un piatto da portata adagiare a strati alterni le sarde e le cipolle rosolate calde; servire freddo dopo un periodo di riposo di 24/48 ore. Vino consigliato: Lison DOGC classico. Info Unione Consorzi spiagge di Venezia e del Parco . del Delta del Po,
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Terre di
Belluno
Dal mais sponcio ai formaggi, dal pastin al miele, all’ombra delle Dolomiti, patrimonio Universale dell’Umanità Unesco, s’incontrano prodotti e colture di antica tradizione, da secoli custoditi con tenacia da contadini, montanari e malgari.
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assù, sulle montagne del bellunese, a farla da padrone sono i formaggi. A cominciare dal formaggio Piave DOP. Il suo nome è chiaramente legato all’omonimo fiume, le cui sorgenti si trovano ai piedi del monte Peralba. Questo formaggio, largamente apprezzato anche all’estero, è prodotto esclusivamente con latte vaccino del territorio, principalmente proveniente da mucche di razza bruna. Ne esistono tre tipologie: il “fresco” prevede una stagionatura compresa tra i 20 e i 60 giorni, il mezzano fino a tre mesi e il vecchio oltre i 120 giorni. Nell’area delle Dolomiti Bellunesi si possono apprezzare anche l’Agordino di malga, fatto con latte vaccino parzialmente scremato, il Fodom e la Saurnschotte, una singolare ricotta acida aromatizzata al dragoncello, prodotta in un piccolo caseificio di Sappada gestito da due giovani sorelle. Di antica tradizione montanara è lo Schiz, un formaggio a pasta semicotta di consistenza elastica, ottenuto dalla cagliatura di latte
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vaccino intero appena munto, riscaldato alla temperatura di 35°. Il suo nome è legato all’abitudine che i casari avevano di rifilare i pezzi di cagliata che “schizzavano” (fuoriuscivano) durante la pressatura nelle fascere. Poco pressato e non salato lo Schiz si adatta a molte ricette, dall’antipasto al dolce. Ha vita breve e conviene consumarlo freschissimo. I ristoranti spesso lo propongono cotto in padella con la panna, accompagnato con funghi di bosco trifolati e polenta. Meglio se di mais sponcio, un tipo di granoturco coltivato in val Belluna (soprattutto nel feltrino), caratterizzato da bei chicchi appuntiti di colore aranciato. Di recente recuperata, questa varietà è iscritta nel Registro Nazionale dei Prodotti Tradizionali; è coltivata da un gruppo di agricoltori associati che rispettano tutte le norme di un disciplinare di produzione, dalla semina all’essiccazione, dalla molitura fatta con macine a pietra al confezionamento. Per le sue caratteristiche organolettiche, la sua farina è considerata tre le
Fusine in Val Zoldana Miele delle Dolomiti Bellunesi DOP Veduta di Belluno con il fiume Piave Mais sponcio della Val Belluna
migliori d’Italia. Oltre ad essere impiegata per la preparazione della classica polenta, talvolta si usa negli impasti di alcuni dolci. Come la torta Kodinza, un dolce nato dai maestri pasticceri delle provincia di Belluno. Si usano ingredienti del territorio: uova fresche, noci del feltrino, nocciole, semi di papavero e il tradizionale kodinzon, una pasta ottenuta essiccando al sole un purè ottenuto dalla cottura della polpa di vari tipi di mele locali (Pom Prussian, Pom dela Rosetta, Renetta, Ferro Cesio). Ottimo è il miele delle Dolomiti Bellunesi DOP, le cui caratteristiche dipendono dalla flora di montagna; ecco perciò il millefiori, il miele di acacia, di tiglio, di castagno, di rododendro, di tarassaco. Tra i prodotti IGP (Indicazione geografica protetta) merita una menzione speciale il fagiolo di Lamon IGP, coltivato con metodi tradizionali, ecologici, perciò senza trattamenti chimici; quattro gli ecotipi principali (Calònega, Canalino, Spagnòl e Spagnolit), tutti diversi tra loro, ma con un comune denominatore: la buccia impercettibile e il sapore deciso. In Val Belluna si produce anche il fagiolo gialet, o fagiolo pisello, una delle varietà più pregiate del territorio, nota per il sapore delicato e per la sua la digeribilità. Per queste sue qualità è stato largamente apprezzato, anche in Vaticano. Assieme all’antico orzo delle valli bellunesi e all’agnello dell’Alpago rientra nella lista dei presidi Slow food. Chi capita nel bellunese non dovrà lasciarsi scappare i casonziei de patate ripieni di rape rosse o di ortica, oppure il pastin, un impasto di carne di maiale e di bovino, insaporito con lardo, spezie, aromi e vino. È reperibile tutto l’anno, si serve crudo o, se cotto alla griglia, con polenta calda fumante.
Schiz in padella Ingredienti: 400 grammi di formaggio Schiz freschissimo, burro, mezzo litro di panna da cucina, polenta di mais sponcio. Innanzitutto occorre far sciogliere il burro in una padella antiaderente. Quindi si procede a rosolare il formaggio tagliato a fette di circa un centimetro e mezzo di spessore. Una volta ben rosolate spegnere il fuoco, lasciar raffreddare e aggiungere poco sale fino. Poi mettere le fette di formaggio in una teglia e cuocere a fuoco lento con la panna. Appena quest’ultima si sarà asciugata, servire caldo, con polenta morbida e, volendo, funghi trifolati. Variante: le fette di formaggio alte poco più di un centimetro si possono cuocere nel burro, dopo averle passate nell’uovo sbattuto e nel pane grattugiato. Vino consigliato: Raboso DOC Piave. Info Consorzio Dolomiti,
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Terre di
Padova
Dalla pianura padovana ai colli Euganei, tra campagne ville e abbazie, in una terra generosa di ricette prelibate e di golose tentazioni. Dai prosciutti alle giuggiole, dall’oca alla gallina padovana.
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on quel bizzarro ciuffo che le orna la testa e la “barba” sviluppata sotto al becco, la gallina padovana è inconfondibile; forse importata dalla Polonia nel Trecento dal marchese Giovanni Dondi dall’Orologio, negli anni Sessanta del secolo scorso ha rischiato l’estinzione. Oggi rientra nella lista dei presidi Slow food, da tutelare e valorizzare. La sua carne morata ricorda più quella del fagiano, che quella candida dei polli. Con questo gustoso pennuto, di cui esistono cinque varietà, si preparano la minestra maridà e splendidi sughi, adatti a condire paste fresche e bigoli al torchio. Due le ricette più celebri: la gallina padovana in tocio e alla canevera. Quest’ultima si prepara ponendo l’animale, opportunamente farcito con verdure e aromi, all’interno di un sacchetto per alimenti la cui imboccatura è chiusa attorno ad una canna di bambù. La “canevera” funge da sfiato ed evita il contatto della gallina con l’acqua di bollitura. Nel padovano si contano altri presidi Slow Food: il riso di Grumolo delle Abbadesse,
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comune in bilico tra Vicenza e Padova, e il mais biancoperla. Già coltivato nel Seicento, ha una pannocchia dai bei chicchi vitrei, di colore bianco perlaceo. La polenta fatta con questo granoturco è delicata, perciò ben si sposa con il pesce di fiume e di mare. In particolare con le schie, prelibata varietà di gamberetti tipici della laguna veneziana e del Delta del Po. E poi c’è l’oca in onto, preparata per la festa di San Martino, anche in altre provincie del Veneto. Secondo la tradizione, il pennuto tagliato a pezzi si cuoce con rosmarino, sale, pepe e aglio; poi si pone in un recipiente di terracotta, detto pignatto, con il grasso fuso. Così conservato, il “porcellino dei poveri” si conservava per diversi mesi, addirittura anni. Il viaggio goloso nella provincia di Padova può continuare nei Colli Euganei, dove la bellezza del paesaggio e delle ville venete si fonde con le golosità del territorio, come ebbe a sottolineare Ruzante nel Cinquecento: “Dio scaricò l’arca di Noè sul Padovano perché qui ci sono
Villa Vescovi Olio extravergine di oliva Veneto “Euganei e Berici DOP” Villa Capodilista Prosciutto Veneto Berico Euganeo DOP
le cose più belle, più buone, i migliori vini e le donne più brave a fare i figli...”. Eccellenze come l’olio extravergine di oliva Veneto “Euganei e Berici” DOP e il prosciutto Veneto Berico Euganeo DOP. La produzione di quest’ultimo ha radici antiche, e già nel Seicento si citava un prosciutto crudo “di Padova”. Per apprezzarne la fragranza e la dolcezza, una buona occasione potrebbe essere la quasi ventennale Festa del Prosciutto a Montagnana. Oltre a degustazioni abbinate a vini locali, l’evento comprende corsi di cucina, spettacoli, attività didattiche per i bambini e visite guidate ai prosciuttifici. Si possono seguire tutte le fasi di lavorazione: la rifinitura a mano delle cosce, la salatura, la stuccatura della parte magra scoperta dalla cotenna con un impasto di grasso di suino e farina di cereali. Il clima favorisce una stagionatura perfetta; dopo almeno venti mesi di riposo il prosciutto è pronto per essere consumato. Allora esprime tutta la sua dolcezza e profumo. L’ideale è consumarlo crudo con la frutta, come ebbe a scrivere Giuseppe Maffioli “... è una delizia dei desinari e delle cene estive, accoppiato di solito col melone, cosparso o meno di pepe, o ai fichi, in un matrimonio classico...”. Meno conosciute, ma tipiche del padovano sono le giuggiole, un frutto delle dimensioni di una grossa oliva, di colore marrone e con la superficie rugosa, quando raggiunge la completa maturazione e il massimo della dolcezza. Con le giuggiole si prepara un liquore delizioso, che i contadini offrivano agli ospiti più illustri: l’inimitabile “ brodo di giuggiole”.
Gallina Padovana in tecia Ingredienti: una gallina padovana (o in alternativa un pollo ruspante), una cipolla, una costa di sedano, mezzo spicchio di aglio, un etto di pancetta tagliata a cubetti, vino bianco secco, tre cucchiaiate di salsa di pomodoro, olio extravergine di oliva, burro, brodo vegetale. Si inizia col pulire e fiammeggiare la gallina per eliminare con cautela eventuali resti di penne. Si fanno poi rosolare con olio e burro, in una padella piuttosto ampia, la carota, il sedano, la cipolla e l’aglio, quindi aggiungere la pancetta a dadini e gli aromi (rosmarino e salvia) posti all’interno di una garza per alimenti chiusa con lo spago. Dopo poco aggiungere la gallina tagliata in otto/dieci pezzi; dopo averla ben rosolata su tutti i lati, bagnare con vino bianco secco. Una volta evaporato, aggiungere tre cucchiaiate di salsa di pomodoro, quindi abbassare il fuoco e cuocere per circa 40 minuti, eventualmente bagnando con un po’ di brodo vegetale. Se l’animale è ruspante calcolare un tempo di cottura maggiore. Infine, aggiungere pepe nero appena macinato e addensare il sugo a fuoco vivace. Servire con abbondante tocio (sugo) e polenta tagliata a fette e abbrustolita. Vini consigliati: Friularo di Bagnoli DOCG. Info Consorzio di Promozione Turistica di Padova, . Consorzio Terme Euganee, .
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Terre di
Rovigo
Dove i grandi fiumi incontrano il mare, il paesaggio cambia con maree e stagioni. Le sue eccellenze? Le cozze di Scardovari DOP, le vongole veraci, le anguille, il radicchio di Chioggia IGP, l’aglio bianco polesano DOP e il riso del Delta del Po IGP.
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opo una corsa di centinaia di chilometri, il Po e l’Adige raggiungono l’Adriatico, regalando al Polesine scenari da cartolina e una delle aree umide più importanti del Mediterraneo. Questa terra in bilico tra acqua salata e dolce, ricca di bellezze naturali è prodiga di ortaggi pregiati; come l’insalata di Lusia IGP, nelle varietà Cappuccia e Gentile, coltivate a Lusia e in altre località della provincia di Rovigo, principalmente su terreni coperti da uno strato di sabbia, depositatosi a seguito dell’esondazione dell’Adige. Come tutte le lattughe si serve cruda, ma ben si presta anche alla preparazione di pasticci e di risotti. Per questi si predilige il Riso del Delta del Po IGP, che a differenza di altre varietà ha la caratteristica di “reggere” bene la cottura e di avere una particolare sapidità, perché prodotto in aree salmastre. Le ricette abbondano; una delle più legate alla tradizione sono i risi e fasoi duri, noto anche come riso alla canarola. È un piatto unico,
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nutriente, fatto con ingredienti semplici e poveri: riso, fagioli secchi, sedano, carota, cipolla, aglio, erbe aromatiche e talvolta grana grattugiato. Generalmente preparato la domenica, era il pranzo dei contadini e dei pescatori per tutta la settimana; veniva riscaldato al fuoco di canna palustre, la canarola. Chi ama i gusti delicati dovrà assaggiare il risotto ai gamberi con zafferano, al profumo del melone del Delta del Po, altro fiore all’occhiello della produzione contadina del rodigino. Sono dolci, ma hanno un retrogusto salino che li rende unici. Speciale è il radicchio di Chioggia IGP, in due varietà: precoce, commercializzato tra il primo aprile e il 15 luglio, o tardivo disponibile, dal primo settembre al 31 marzo dell’anno successivo. Coltivato nelle province di Venezia, Padova e Rovigo questo prodotto IGP, di forma tondeggiante e compatta, ha la particolarità di nascere esclusivamente da semi prodotti dai singoli contadini.
La laguna di Caleri Radicchio rosso di Chioggia IGP Mitilicoltura nella Sacca degli Scardovari Le pregiate cozze di Scardovari IGP
E poi c’è l’Aglio Bianco Polesano DOP, una coltura molto diffusa, di antica tradizione, risalente addirittura al Cinquecento. Il bulbo è di colore bianco lucente, sano, privo di muffe e di germogli visibili. È indispensabile per bruschette, per soffritti e per la classica supa de ajo. I buongustai apprezzano anche la bondola, un insaccato dall’aspetto rigonfio, fatto con carne di maiale, pancetta, spezie e vino; ne esistono varie versioni: alcune prevedono l’aggiunta di carni di vitello e di vitellone, altre cotenna e musetto. Chi ama i mitili, deve assaggiare la cozza di Scardovari DOP, primo mollusco italiano ad aver ottenuto il riconoscimento DOP, nel 2013. Si coltiva da più di 40 anni, in un’insenatura del Delta del Po, la Sacca di Scardovari, che ha un grado ottimale di salinità. Le istallazioni occupano circa 12 ettari all’interno della sopra citata Sacca e circa 16.000 ettari di impianti, sempre galleggianti, posizionati in mare aperto. Il periodo migliore per apprezzare i peoci, così si chiamano i mitili in Veneto, va da aprile a settembre. I ristoratori locali li propongono cotti alla polesana con vino e limone, gratinati, saltati o abbinati a pesci dell’Adriatico al cartoccio. Forse meno conosciuta, ma non per questo meno saporita, è la vongola verace del Polesine, un mollusco disponibile tutto l’anno, largamente usato nella preparazione di sughi e insalate di pasta. Il Delta del Po è generoso di specie ittiche: si spazia dall’anguilla del Po ai fasolari al cefalo del Polesine. Per rendersene conto basta andare al mercato di Scardovari, dove da quasi settant’anni la contrattazione della merce avviene sussurrando il prezzo all’orecchio del conduttore dell’asta.
Risotto de pesse alla polesana Ingredienti: un chilo di pesce (orata, rombo, branzino e l’immancabile anguilla) 320/350 g di riso, una carota, una cipolla, una costa di sedano, due cucchiai di conserva di pomodoro, olio extravergine di oliva, aglio bianco polesano DOP, prezzemolo, 2 cucchiai di grana, una noce di burro. Molti, oltre al brodo e al sugo di pesce, aggiungono anche le cozze saltate prive del guscio con la loro acqua di cottura. In una pentola versare circa 2,5 litri di acqua, una carota, la cipolla, una costa di sedano e il pesce pulito. Dopo alcuni minuti di cottura togliere il pesce. Dopo aver rosolato l’aglio in una teglia, aggiungere il pesce spolpato e poi la conserva di pomodoro. Salare e portare a cottura, versando poco brodo caldo se necessario. In una pentola aggiungere un filo d’olio e tostare il riso, poi versare poco alla volta il brodo di pesce caldo prima preparato. A cottura ultimata aggiungere il ragù di pesce e, poco dopo, a fuoco spento, il formaggio grana e il burro. Dopo aver mescolato il tutto il piatto è pronto.Vini consigliati: Lessini Durello DOC. Info Unione Consorzi spiagge di Venezia e del Parco . del Delta del Po,
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Terre di
Treviso
Nella gioiosa Marca, terra ricca di saperi e di sapori. La campagna e le colline offrono dolci paesaggi e primizie “belle e buone”, come il Radicchio Rosso di Treviso IGP. E poi ci sono le ricette tradizionali, la sopa coada, la pasta e fasoi e il tiramisù, inventato a due passi da Piazza dei Signori.
È
una cicoria, ma assomiglia ad un fiore, ed è delizioso. Con le foglie lanceolate bianche e i bordi di color rosso vivo, il Radicchio Rosso di Treviso IGP Tardivo è il più illustre e pregiato delle varietà prodotte nel Veneto, terra dei radicchi (Rosso di Treviso IGP Precoce, Variegato di Castelfranco IGP, Rosso di Chioggia IGP, Rosso di Verona IGP). La sua storia è antica: la prima mostra dedicata al Radicchio di Treviso risale all’inizio del secolo scorso, ma di sicuro questa cicoria era nota ai contadini locali, e probabilmente anche a quelli belgi, già nell’Ottocento. La particolarità di questo prodotto squisitamente invernale è che, dopo le prime gelate, viene raccolto, riunito in mazzi e sistemato con le radici a mollo in acqua di risorgiva. Dopo 15/20 giorni le piante vengono private delle foglie guaste e delle radici. Resta solo il cuore, croccante, unico. Come sottolineò all’inizio del secolo scorso Aldo Van den Borre “Treviso va altera di questo magnifico ortaggio, che è opera della sua terra, del suo clima
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e della sua gente illustre e paziente. Di cicorie ve n’è dappertutto.... non hanno nulla a che fare con il radicchio trevisano. Se lo guardi è un sorriso. Se lo mangi è un paradiso...”. La nobile cicoria si presta ad essere consumata cruda e ad un’infinità di gustose ricette, dall’antipasto al dolce. Alcuni ristoratori talvolta lo aggiungono crudo alla pasta e fasoi (pasta e fagioli), più di frequente lo abbinano al pesce o alla carne; c’è anche chi e riuscito a trasformarlo in un insolito, inedito, sorbetto di colore rosa. Anche il Radicchio Variegato di Castelfranco IGP può fregiarsi del marchio, e quasi sicuramente deriva da un incrocio del Radicchio Rosso di Treviso con la scarola. Con le foglie arricciate di colore giallo, qua e là screziate di rosso, è una “rosa che si mangia”, dal sapore fresco, leggermente amarognolo. Si consuma preferibilmente crudo; per la ricchezza di principi attivi, di sali minerali e di vitamine è consigliato dai medici a chi ha problemi di anoressia o di artrite.
Radicchio Rosso di Treviso IGP tardivo sul canale dei Buranelli Vino Tai DOC Piave Vigneti di Valdobbiadene Formajo imbriago
La terra della Marca Trevigiana è generosa: si spazia dagli asparagi di Cimadolmo IGP e Badoere IGP alle ciliegie, dai marroni di Combai IGP ai dolci peperoni di Zero Branco, dai bisi (piselli) di Borso del Grappa ai funghi del Montello. Le tentazioni golose continuano tra i salumi: il salame, la sopressa e la porchetta trevigiana. Questo salume dal sapore delicato fu “tenuto a battesimo”, quasi cent’anni fa da un tal Ermete Beltrame, titolare di una rinomata birreria nel cuore di Treviso. Nel capoluogo della Marca si possono riscoprire piatti di grande tradizione e gusto, come la sopa coada, una sorta di pasticcio fatto con pane raffermo, brodo, formaggio grana e piccione novello disossato. Come suggerisce il nome, letteralmente significa zuppa covata, questa pietanza richiede una cottura in forno di diverse ore; era perciò riservata ai giorni di festa dei mesi freddi. Ne esistono varie versioni, con pollo o anatra al posto del piccione. Gli amanti dei formaggi dovranno assaggiare la Casatella trevigiana DOP. Un tempo era fatta quasi esclusivamente d’inverno dalle donne contadine; oggi, grazie a tecniche casearie più evolute si produce tutto l’anno. Di colore bianco o tendente al paglierino, la formajela è un formaggio fresco, morbido e cremoso, adatto ad essere spalmato o utilizzato per la mantecatura dei risotti. Chi ama i sapori più decisi può optare per il Bastardo del Grappa, il Morlacco (presidio Slow Food) e per il Formajo imbriago, che secondo la tradizione sarebbe nato durante la Prima Guerra Mondiale, quando i contadini della sinistra Piave posero le forme nelle vinacce, per nasconderle alle truppe austriache. Nella Marca si produce anche il mascarpone, ingrediente
fondamentale di uno dei dolci più celebri d’Italia: il tiramisù. La paternità di questo dolce fatto con savoiardi, tuorli, zucchero, mascarpone, caffè e cacao, è attribuita al Ristorante Beccherie di Treviso.
Risotto al radicchio tardivo e salamella Ingredienti: 350 g di Riso Vialone nano Veronese IGP, 3 cespi di radicchio rosso di Treviso IGP tardivo, 150/200 grammi di salsiccia, una cipolla, aglio, 50 g di burro, olio extravergine di oliva, 50/60 grammi di Grana Padano DOP, un bicchiere di vino bianco secco, brodo di carne. Preparato un soffritto di aglio e cipolla, aggiungere il riso, tostare e poi bagnare con vino bianco secco. Una volta sfumato aggiungere il radicchio tardivo tagliato a pezzetti e la salsiccia a cubetti. Continuare la cottura aggiungendo brodo caldo; a tre quarti di cottura salare e pepare. Quando il riso è cotto, spegnere il fuoco e aggiungere dei cuoricini di radicchio tagliati sottili, un po’ di burro e il formaggio grana grattugiato per mantecare. Vino consigliato: Malanotte del Piave DOCG. Info Consorzio “Marca Treviso”,
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Terre di
Verona
Dalle pianure coltivate a riso Vialone nano veronese IGP ai formaggi di malga della Lessinia e del Baldo, dagli uliveti del Garda ai ciliegi della Val d’Illasi, la provincia di Verona è un crogiolo di golosità, maturate su una terra fertile sapientemente coltivata.
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nord di Verona, i monti Lessini sono dolci e selvaggi, attraversati da valli impervie o coperti da bucoliche praterie, in estate punteggiate da mucche al pascolo. Qui malghe e caseifici producono formaggi eccellenti, come il Monte Veronese DOP, di secolare tradizione. È fatto con latte vaccino crudo, intero o parzialmente scremato per affioramento, di mucche di razza Pezzata Rossa Italiana, Frisona e Bruna. Tra le versioni stagionate, ne esiste una di malga (Presidio Slow Food) fatta esclusivamente con latte munto da animali in alpeggio; queste forme, riconoscibili da un marchio (una “M”), devono avere una stagionatura minima di novanta giorni, ma talvolta il loro invecchiamento supera i 24 mesi. Con il Monte Veronese grattugiato o a scaglie si insaporiscono in diversi piatti tradizionali, come gli gnocchi sbatui, preparati “sbattendo” energicamente un impasto di farina e acqua. Fiore all’occhiello della pianura è il Riso Vialone Nano Veronese
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IGP, simbolo delle campagne della bassa veronese, dove cresce in aree irrigate con acqua di risorgiva. I chicchi, tondi e candidi, sono l’ideale per i risotti, perché hanno la caratteristica di assorbire il condimento senza scuocere. Per rendersene conto si può partecipare alla storica Fiera del riso a Isola della Scala; l’evento, inizia la domenica successiva al primo venerdì di ottobre, accoglie le principali riserie del territorio e oltre 500.000 visitatori golosi. Piatto principe della manifestazione è il risotto all’isolana; ha la particolarità di essere cotto nel brodo vegetale a pentola coperta, senza mai mescolare. Solo a cottura ultimata si aggiungono la carne macinata (di maiale e di vitello) rosolata nel burro e aromatizzata con il rosmarino, la cannella e il Grana Padano DOP grattugiato. Un altro piatto largamente diffuso in tutta la provincia è il bollito con la pearà. Un tempo prevedeva tagli di seconda scelta, oggi comprende cotechino, gallina, manzo, lingua e testina di vitello. Il tutto
Villa Mosconi Bertani a Novare di Negrar in Valpolicella Riso Vialone Nano IGP Risaie a Sorgà Separazione della cagliata dal siero
servito con abbondante pearà, una salsa robusta, fatta cuocendo per diverse ore a fuoco bassissimo in una pentola di coccio il burro, il midollo di bue e il brodo bollente. Ne risulta una crema densa, di colore bianco bruno, che, secondo la leggenda fu servita per la prima volta da un cuoco veronese alla regina Rosamunda per stimolarle l’appetito. La sventurata lo avrebbe perso dopo essere stata costretta dal re longobardo Alboino a bere nel teschio del padre. Anche la pastisada de caval affonda le sue radici nella storia: è un robusto brasato di cavallo cotto per circa 4 ore, dopo aver marinato la carne nel vino rosso per almeno un’intera giornata. Secondo la tradizione l’origine di questo piatto risalirebbe al 30 settembre del 489 dopo Cristo. Allora gli Ostrogoti guidati da Teodorico sconfissero l’esercito di Odoacre; nella battaglia trovarono la morte anche numerosi cavalli, che i soldati e i civili provvidero a cucinare. Alla pastisada de caval e al bollito con la pearà si può abbinare un grande vino del territorio: il Valpolicella DOP. Oltre che per i vini il veronese è celebre per gli oli; due hanno ottenuto la DOP: l’Olio extravergine di oliva del Garda DOP e l’Olio extravergine di oliva Veneto Valpolicella DOP, generalmente fatto con olive Grignano o Favarol. La provincia di Verona è generosa di ortaggi, come il radicchio di Verona IGP, e di frutta, fra cui citiamo le ciliegie, la pesca di Verona IGP e i marroni di San Zeno DOP, prodotti da castagneti secolari sulle pendici del monte Baldo. Dulcis in fundo, il pandoro, uno dei dolci natalizi più rinomati d’Italia. Secondo alcuni le sue origini sarebbero legate al pan de oro, un dolce ricoperto di sottili foglie d’oro servito sulle tavole di ricchi veneziani.
Bigoli co l’anara Ingredienti: 300 grammi di farina scura, 3 uova d’anatra, un’anatra, olio, una cipolla media, uno spicchio d’aglio, 200 cc di vino bianco secco, 2 foglie di salvia, rosmarino, timo, 3 cucchiai di salsa di pomodoro, brodo. I bigoli, grossi e lunghi spaghetti di farina di grano integrale, vengono preparati con un bigolaro, un torchio che rende la superficie della pasta ruvida e adatta ad assorbire i condimenti. Disporre sulla spianatoia la farina, aggiungere le uova, il burro e poco latte; lavorare il tutto fino ad ottenere un impasto piuttosto sodo. Se non si dispone del tradizionale bigolaro, si può usare la macchina per la pasta con una trafila a buchi larghi. In una casseruola, riscaldare un po’ d’olio, quindi la cipolla e l’aglio ben tritati. A rosolatura ultimata aggiungere l’anatra pulita e fiammeggiata, la salvia e il rosmarino. Appena avrà preso colore, aggiungere il vino bianco; quando sarà evaporato continuare la cottura a fuoco lento per almeno 1.30/2 ore. Tolta l’anatra dal fuoco, disossarla e tagliare finemente la carne. Una volta filtrato il sugo, aggiungere l’anatra, la salsa di pomodoro, il sale e il pepe; terminare la cottura bagnando con brodo caldo poco alla volta. Cotti i bigoli in abbondante acqua salata, scolarli e spadellarli con il ragoût d’anatra. Vino consigliato: Valpolicella Superiore DOCG. Info Consorzio
Veronatuttintorno, . Consorzio “Lago di Garda è”, .
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Terre di
Vicenza
Specchio di un territorio eterogeneo, compreso tra la pianura, le colline dei Berici e le montagne di Asiago e del Monte Grappa, il vicentino è terra di salumi e di formaggi rinomati, di ortaggi e frutta, ma anche di oli delicati e ricette antiche.
“E
l mas’-cio xe na musina”, il maiale è un salvadanaio si diceva nelle campagne del vicentino. Non c’è da meravigliarsi se in quest’angolo del Veneto punteggiato dalle ville del Palladio si producono alcuni tra i più gustosi e rinomati salumi della regione: il Prosciutto crudo Berico - Euganeo DOP e la Sopressa vicentina DOP. È una sorta di grosso salame fatto con parti pregiate (coscia, coppa, spalla, lonza, pancetta) di animali selezionati delle razze Large White, Landrace o Duroc. Con la carne macinata salata, arricchita di spezie (cannella, chiodi di garofano, rosmarino e a volte aglio), si formano degli insaccati che arrivano a pesare da 1,5 ad 8 chili. Questo salume, già presente in un inventario del Settecento, appare anche in un dipinto di Jacopo da Ponte del 1577, Cristo in casa di Marta Maria e Lazzaro. La Sopressa è ottima con la polenta brustolà di fa-
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rina di mais di Marano o con il pan biscotto, meglio se accompagnata da un buon calice di Tai Rosso Colli Berici DOC. Tra le eccellenze della provincia di Vicenza ci sono splendidi formaggi DOP: il classico Provolone Valpadana DOP e il Grana Padano DOP. Questo formaggio, già prodotto nell’area padana dai monaci Cistercensi e Benedettini più di un millennio fa, è fatto con il latte di due mungiture. È il formaggio a denominazione d’origine protetta più consumato; si producono varie versioni, più o meno invecchiate: il Grana Padano DOP Riserva prevede una stagionatura di oltre 20 mesi. Un altro formaggio conosciuto a livello internazionale è l’Asiago DOP. Prodotto con latte vaccino sull’altopiano da cui trae il nome, da oltre mille anni si può assaporare nelle tipologie pressato, d’allevo e d’alpeggio; la versione “stravecchio di malga” è presidio Slow Food. Na-
Uno scorcio dei Colli Berici Asparago Bianco di Bassano DOP Stagionatura di Asiago DOP Soppressa Vicentina DOP.
turalmente viene prodotto con latte di mucche di queste montagne (bruno alpine, grigio alpine e burline), alimentate al pascolo. A chi ama i sapori intensi, segnaliamo il Verde di Montegalda, un formaggio di pecora e di capra arricchito da muffe Penicillum roqueforti: Si sposa con miele d’acacia e con vini passiti. L’elenco dei prodotti e dei piatti tradizionali del vicentino è lungo: dai piselli di Lumignano alle ciliegie di Marostica IGP, dalla patata di Rotzo al broccolo fiolaro di Creazzo, una varietà probabilmente già apprezzata da Catone e da Goethe. I ristoratori del territorio hanno raccolto in un libro ricette stuzzicanti, come la sella di coniglio in salsa di broccoli e il budino di polenta e broccoli fiolari, con salsa al Verde di Montegalda e tartufo nero dei Berici. E poi c’è l’Asparago Bianco di Bassano DOP. Prodotto in 10 comuni, questa pianta cresce sotto terra, al riparo della luce e del sole; solo così riesce a mantenere il suo candido colore. Si raccoglie all’alba, da marzo a metà giugno. La ricetta classica è ancora tra le più gettonate: dopo averli lessati per una ventina di minuti in una pentola alta e stretta si servono con uova sode condite con olio, pepe e sale. Si tratta di una preparazione già nota e apprezzata nei secoli scorsi, come testimonia un dipinto di Giovan Battista Piazzetta, La cena di Emmaus. Storia e sapori della gastronomia passano per il Concilio di Trento, inizialmente programmato a Vicenza. Per i giorni di magro, i cuochi dei Berici pensarono al bacalà alla vicentina, un piatto fatto con latte, acciughe, olio e stoccafisso. A settembre, a Sandrigo, si celebra la Festa del Bacalà, dove si possono gustare piatti tradizionali a base della “mummia commestibile”, per usare un’espressione della Venerabile Confraternita del Bacalà alla Vicentina.
Bacalà alla vicentina Ingredienti per 10/12 persone: un chilo di stoccafisso, 600 cc di olio extravergine di oliva, mezzo chilo di cipolle bianche, 500 cc di latte intero, 4 sarde sotto sale, farina, 60 grammi di grana padano grattugiato, prezzemolo, sale, pepe. Mettere lo stoccafisso battuto a mollo in abbondante acqua fredda per tre giorni, cambiando l’acqua ogni 4 ore. Una volta ammollato, privarlo della spina dorsale, delle spine e della pelle. Si fanno rosolare in un tegame con un bicchiere d’olio le cipolle affettate, poi aggiungere le sarde dissalate e tagliate a pezzetti. Quando tutto è amalgamato, spegnere il fuoco e aggiungere il prezzemolo. In un tegame di cotto versate parte delle cipolle rosolate, quindi lo stoccafisso tagliato a pezzi quadrati della stessa dimensione e infarinati; una volta disposti l’uno accanto all’altro, aggiungete il resto del soffritto, il latte, il grana, il sale, il pepe e l’olio, fino a coprire completamente il pesce. Cuocere a fuoco basso per almeno 4 ore e mezza scuotendo – e non mescolando - il tegame di tanto in tanto. Si serve con polenta. Vino consigliato: Vespaiolo di Breganze DOC. Info Consorzio di Promozione Turistica Vicenza è, . Consorzio Turistico Asiago 7 . Comuni,
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ELENCO PRODOTTI DOP e IGP del VENeto Prodotti a base di carne Prosciutto Veneto Berico-Euganeo DOP Sopressa Vicentina DOP Formaggi Asiago DOP Casatella Trevigiana DOP Grana Padano DOP Montasio DOP Monte Veronese DOP Piave DOP Provolone Valpadana DOP Altri prodotti di origine animale Miele delle Dolomiti Bellunesi DOP Cozza di Scardovari DOP Oli e grassi Olio extravergine di oliva Garda DOP Olio extravergine di oliva Veneto Valpolicella, Veneto Euganei e Berici, Veneto del Grappa DOP
Ortofrutticoli e cereali, freschi o trasformati Aglio Bianco Polesano DOP Asparago Bianco di Bassano DOP Marrone di San Zeno DOP Asparago Bianco di Cimadolmo IGP Asparago Bianco di Badoere IGP Ciliegia di Marostica IGP Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese IGP Insalata di Lusia IGP Marrone di Combai IGP Marroni del Monfenera IGP Pesca di Verona IGP Radicchio di Chioggia IGP Radicchio di Verona IGP Radicchio Rosso di Treviso IGP Radicchio Variegato di Castelfranco IGP Riso del Delta del Po IGP Riso Nano Vialone Veronese IGP
Estratto dal n째 241 del periodico ITINERARI e luoghi - Fioratti editore - MI