Foto di copertina: Album Gabrielle Fort-Vallette,
«Nessuno più di questo cercatore di assoluto fu alla mercé dell’accidentale. […] I suoi desideri non erano che impulsi infantili: un libro composto con un carattere quasi introvabile in Francia, una barchetta, un capanno sulle rive della Senna; tutte cose che riuscì ad attuare immediatamente – o, come avrebbe detto lui, incontinentemente – senza preoccuparsi delle conseguenze per sé e per gli altri. Era affascinante, insopportabile e incantevole.» Alfred Vallette, dal necrologio di Jarry
del Collegio di ’Patafisica. Autorizzazione di Romana Brunori-Severini e Léna Weber.
«Un’eccezionale cronaca della vita e dell’ambiente di questo scrittore francese fin de siècle. Simbolisti, decadenti, anarchici ed eccentrici di varie specie: non manca nessuno. Un quadro dettagliato di uno dei periodi più appassionanti del modernismo.» John Ashbery, Times Literary Supplement (Book of the Year 2011) «Coinvolgente, rigoroso, scritto magistralmente. Jarry ne emerge come una figura di straordinario carisma.» Mark Ford, The New York Review of Books
Nella stessa collana: 1. Mark Stevens – Annalyn Swan De Kooning. L’uomo, l’artista 2. Calvin Tomkins Robert Rauschenberg. Un ritratto 3. Bernard Marcadé Marcel Duchamp. La vita a credito 4. Gail Levin Edward Hopper. Biografia intima 5. Hunter Drohojowska-Philp Georgia O’Keeffe. Pioniera della pittura americana 6. Annie Cohen-Solal Leo & C. Storia di Leo Castelli 7. Daniel Farson Francis Bacon. Una vita dorata nei bassifondi 8. James Westcott Quando Marina Abramović morirà 9. Ambroise Vollard Memorie di un mercante di quadri 10. Luca Ronchi Mario Schifano. Una biografia 11. Heiner Stachelhaus Joseph Beuys. Una vita di controimmagini
«Ad oggi la miglior biografia di Alfred Jarry. Un intenso e ineguagliabile spaccato dell’avanguardia della Belle Époque di cui Jarry fu una parte importante, e originale.» Michael Moorcock, The Guardian
Alfred Jarry. Una vita patafisica
rifotografato da Jean Weber e custodito negli archivi
Alastair Brotchie
Alastair Brotchie, reggente del Collegio di ’Patafisica di Parigi, è il fondatore della casa editrice londinese Atlas Press, nonché autore e curatore di libri e antologie su Surrealismo, Dada e OuLiPo. Di Alfred Jarry ha curato le più recenti traduzioni in lingua inglese e su di lui ha scritto numerosi saggi e articoli. Nel 2011 questa biografia è stata eletta Book of the Year dal Times Literary Supplement.
Alastair Brotchie
Alfred Jarry Una vita patafisica
isbn 978-88-6010-074-0
Alla sua morte, appena trentaquattrenne, Alfred Jarry (Laval 1873-Parigi 1907) era già una leggenda nei salotti parigini, più per l’anticonformismo, praticato con irriverenza, che per il suo genio letterario. Ci sarebbero voluti diversi decenni prima che venisse riconosciuto come uno dei padri delle avanguardie e che Ubu re diventasse l’emblema di un teatro radicalmente moderno. La sua influenza è stata così profonda e duratura che tutt’oggi una comunità di cultori mantiene un dialogo postumo con le sue idee attraverso il Collegio di ’Patafisica, dove accanto a grandi nomi della cultura internazionale figurano anche intellettuali italiani come Italo Calvino, Enrico Baj e Umberto Eco. Per molti, tuttavia, Jarry resta soltanto l’autore di una pièce assurda e grottesca e la sua vita un mero concatenarsi di stravaganti aneddoti: le spiazzanti provocazioni ai gloriosi Martedì del Mercure, la totale identificazione con Père Ubu che finì per divorarlo, il disprezzo per ogni forma di decoro, lo humour scatologico, le bravate erculee con l’alcol, gli exploit con il revolver, le prodezze ciclistiche e con la canna da pesca, fino all’ultimo desiderio espresso in letto di morte, ovvero uno stuzzicadenti. In questa prima biografia critica a tutto tondo gli aneddoti rimangono e addirittura si moltiplicano grazie a una profusione di nuove fonti finora inedite cui Alastair Brotchie attinge, però, con discernimento, riuscendo a separare il personaggio dal suo mito e a svelare oltre la maschera quel mostro stravagante e delicato che era Alfred Jarry. Si delinea così la parabola di un uomo determinato a inventare – e distruggere – se stesso e il mondo circostante per mezzo di una filosofia edificata sul principio dell’identità degli opposti, perno di tutto l’universo di Jarry e fulcro di un’opera, ancora incredibilmente attuale, che ha saputo accogliere sia le buffonerie di Ubu sia le sottigliezze della scienza della Patafisica.
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Biografie 12
©2013 Johan & Levi Editore Progetto grafico Paola Lenarduzzi Impaginazione Smalltoo Stampa Arti Grafiche Bianca & Volta, Truccazzano (mi) Finito di stampare nel mese di febbraio 2013 isbn 978-88-6010-074-0 Copyright © 2011 Massachusetts Institute of Technology Titolo originale: Alfred Jarry. A Pataphysical Life Johan & Levi Editore www.johanandlevi.com Per i crediti delle immagini si veda l’apposita sezione. L’editore è a disposizione degli aventi diritto che non è riuscito a contattare. Il presente volume è coperto da diritto d’autore e nessuna parte di esso può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti d’autore.
STAMPATO SU CARTA
Volume realizzato nel rispetto delle norme di gestione forestale responsabile, su carta certificata Arcoprint edizioni.
Alastair Brotchie
Alfred Jarry Una vita patafisica
Traduzione di Nanni Cagnone
Sommario
Prefazione 1. Félix-Frédéric Hébert
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2. 1873-1891
21
3. La nostra scienza della Patafisica
41
4. 1891-1893
51
5. Ismi degli anni novanta
73
6. 1894-1895
81
7. Misoginia e nostalgia
137
8. 1896
147
9. Chi scrisse Ubu re, e perché?
199
10. 1897-1899
209
11. La macchina per scrivere
281
12. 1900-1904
289
13. Una questione d’interpretazione
339
14. 1904-1907
347
Note
401
Bibliografia
421
Crediti delle immagini
435
Indice dei nomi
437
Prefazione
Il passaggio dall’Ottocento al Novecento, non è certo un’osservazione originale, fu segnato da grandissimi sconvolgimenti politici, scientifici e culturali, cui corrispose, in ambito artistico, l’emergere di vari movimenti che avrebbero preso il nome di modernismo. Il centro di tale rivoluzione artistica era Parigi: i messaggi delle avanguardie iniziavano a diffondersi quasi sempre da lì, per poi spargersi rapidamente in gran parte del pianeta. Per esempio Marinetti e Rubén Darío, che alla svolta del secolo stavano diventando – l’uno in Italia e l’altro in Argentina – i protagonisti del modernismo, erano tra gli assidui frequentatori dello stesso salotto parigino. A ospitare tali incontri ogni martedì pomeriggio nella sede del Mercure de France, a quel tempo la più innovativa tra le riviste letterarie francesi, era Rachilde, scrittrice e moglie del direttore della rivista, Alfred Vallette. Rachilde e Vallette, personaggi dominanti dei circoli letterari parigini, avrebbero avuto un ruolo importante nella vita di Alfred Jarry, e furono tra i suoi più fedeli amici. Eppure quando Jarry morì, appena trentaquattrenne, poco più di un secolo fa, certamente condividevano l’opinione, allora assai diffusa, che si trattasse di un autore molto oscuro ed eccentrico, le cui opere difficilmente sarebbero passate alla posterità. Opinione non del tutto irragionevole: Jarry infatti precorreva i tempi. In altre parole, sarebbe stato più facile apprezzarne l’opera leggendola nel contesto degli autori che avrebbe influenzato.
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Ci sarebbero voluti decenni prima che si cominciasse a riconoscere in Jarry una figura decisiva di quel periodo di transizione. Attualmente non esiste storia culturale dell’ultimo secolo che possa evitare di riconoscerne l’influenza, particolarmente profonda sul teatro contemporaneo: la maggior parte dei compendi di drammaturgia del Novecento prende avvio dalla descrizione della sua pièce più famosa, Ubu re (Ubu Roi). Nell’elenco dei suoi ammiratori andrebbero inclusi anzitutto Guillaume Apollinaire, Antonin Artaud, André Breton, William Burroughs, Italo Calvino, Julio Cortázar, Guy Debord, Witold Gombrowicz, Eugène Ionesco, Stéphane Mallarmé, Alan Moore, Georges Perec, Jacques Prévert, Raymond Queneau e Tristan Tzara. Wole Soyinka è solo uno dei tanti che hanno scritto nuove versioni di Ubu, e il migliore sito dedicato alle avanguardie internazionali si chiama UbuWeb. L’elenco degli artisti, a cominciare da Pablo Picasso e Marcel Duchamp, sarebbe altrettanto lungo; inoltre, filosofi come Gilles Deleuze e Jean Baudrillard hanno definito profetica la sua “filosofia” della Patafisica. Eppure, quando ci s’imbatte in una di quelle stringate note su Jarry che compaiono nelle biografie dei suoi contemporanei o in svariate pagine Internet, si ha l’impressione che a interessare sia più la sua vita che non la sua opera. È la vita di Jarry a essere ritenuta esemplare, in quanto incarna l’idea della pura rivolta. Il suo atteggiamento è diventato un topos. La sua reputazione è quella di 10
un uomo il cui rifiuto di adattarsi alle norme che regolano l’esistenza quotidiana si tradusse in una vita di radicale anticonformismo. Questo libro non intende occuparsi dell’influenza esercitata da Jarry. Nondimeno, è opportuno osservare che essa cominciò a essere avvertita solo una volta conclusa la prima fase del modernismo, le cui manifestazioni iniziali – in particolare Cubismo e Futurismo – non erano in verità che repliche del realismo, volte a reinterpretare l’esperienza immediata. Solo quando si manifestarono interessi maggiormente metafisici e, come si vedrà in seguito, patafisici, ci si ricordò di Jarry. Allora divenne quasi inevitabile che il movimento Dada dichiarasse la sua ammirazione, ed è facile rendersi conto di come Jarry in quel contesto, per esempio, abbia avuto un impatto maggiore su Duchamp di quanto non abbia avuto su Picasso. Jarry, da parte sua, non pare aver mai messo in dubbio il valore della propria opera né, tanto meno, la sua ricezione finale. Alle domande in merito, rispondeva «decideranno i posteri», con un tono che lasciava pochi dubbi sul verdetto. Il giudizio che aveva di sé sembra ormai confermato, dal momento che lo si annovera tra i classici fuori classe, accanto ad altri autori francesi come Lautréamont, Rimbaud, Artaud, Roussel, Bousquet e Bataille. Nel mondo anglofono il ruolo di Jarry è stato rilevato, per esempio, da The Modern Movement: 100 Key Books, 1965, di Cyril Connolly, e dal Canone occidentale, 1994, di Harold Bloom. Ubu re è una delle opere teatrali più rappresentate al mondo, seconda solo a quelle di Shakespeare, e di solito a produrlo sono i giovani.1
· Prefazione ·
La rivalutazione dell’opera di Jarry prese vero slancio solo dopo che nel 1948 venne fondato a Parigi il Collegio di ’Patafisica, le cui ricerche portarono alla luce una notevole quantità di nuovi materiali relativi alla vita e all’opera. Quei precoci ammiratori del Jarry scrittore tendevano a dare un rilievo minore agli aspetti più stravaganti della sua vita, poiché si rendevano conto che il “mito” ne aveva offuscato l’opera. Tra l’altro, cercarono di ridurre l’importanza di Ubu all’interno della produzione di Jarry, mettendo in evidenza il fatto che esso occupa solo una piccola parte (circa il dieci per cento) dei suoi scritti. Eppure, senza Ubu l’opera di Jarry sarebbe assai diversa, forse non esisterebbe nemmeno. Ubu, inoltre, divenne parte essenziale della sua esistenza quotidiana. La vita e l’indole di Jarry appaiono come un susseguirsi di paradossi o, semplicemente, di contrasti. I tratti essenziali di un’œuvre che poté includere sia le buffonerie di Ubu sia le sottigliezze della scienza della Patafisica corrispondono perfettamente a tali contraddizioni. Gli aspetti conflittuali della sua vita, rappresentati dai suoi scritti più diversi, sono variamente interpretabili, e verranno brevemente esaminati nel tredicesimo capitolo. Il nostro racconto permetterà al lettore di decidere fino a che punto Jarry fu artefice della propria vita e del proprio mito, e fino a che punto, invece, ne fu vittima. La sua vita influenzò inevitabilmente le opere – non c’è biografo che possa trascurare questa relazione –, ma ogni biografia è anche una fiction, proprio come la vita, in quanto vissuta, è un work in progress. Allora, come venne scritta la vita di Jarry, e come venne “letta”, anzitutto da lui? Questo libro ha finito per essere più lungo del previsto, e ringrazio di cuore il mio editor, Roger Conover, per avermi permesso una dilatazione a là Ubu. Tuttavia, non mi sembra di aver “infarcito” granché il volume, e potrà sorprendere che esso tratti essenzialmente un periodo di soli quindici anni: dall’arrivo di Jarry a Parigi nel 1893 alla sua morte prematura nel 1907. La quantità di fonti disponibili dà la misura del fascino esercitato da Jarry sui circoli letterari parigini degli anni novanta dell’Ottocento, in cui certo non mancavano personalità di spicco. Non si può ignorare il fatto che quasi tutti coloro che lo incontrarono, durante il suo breve transito in quella società, abbiano scritto su di lui. Malgrado l’abbondanza, tale documentazione riguarda essenzialmente la sua personalità e i racconti dei suoi eccessi comportamentali. Come va affrontata una simile profusione di aneddoti? Autori provvisti di indubbia “serietà” hanno adottato un atteggiamento decisamente critico, ignorandoli o citandoli in modo casuale e con malcelato disappunto. In questa biografia, invece, tali episodi vengono raccontati per il semplice motivo che sono effettivamente accaduti. D’altra parte, essi riflettono gli stessi contrasti ed eccessi presenti nelle opere e nel carattere di Jarry. Ci furono occasioni in cui faceva letteralmente lo scemo – e tali episodi possono essere divertenti come il loro autore si riprometteva –, ma in lui c’erano altre forme di anticonformismo, ra-
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dicate più a fondo e praticate con assoluta e ostinata coerenza, le cui conseguenze furono senza dubbio più significative. La distinzione è tutt’altro che netta e, dato che spesso Jarry oltrepassò il segno, l’una tendeva a confondersi in maniera impercettibile con l’altra e lo scherzo poteva prendere una coloritura più inquietante. Nella sua vita, come nella sua opera, assurdità e tragedia erano strettamente intrecciate. Noël Arnaud, senz’altro uno dei più congeniali e perspicaci biografi di Jarry, ammise con evidente riluttanza: «Dobbiamo rassegnarci: Jarry non era innocente riguardo al proprio mito». Perché questa rassegnazione, e in che senso sarebbe colpevole? All’inizio rispondere a tale domanda, e districare la vita di Jarry dal suo mito, era uno dei miei scopi principali, ma riconoscere che aveva avuto un ruolo nella creazione di tale mito poneva questioni ben più interessanti. Mi sembrava che il Jarry uomo e il Jarry scrittore fossero davvero inseparabili, anzi legati in modo intrinseco e profondo, e che indagare la relazione tra l’uno e l’altro fosse essenziale per questa biografia più che per altre. Una volta Jarry scrisse un articolo sui “mostri” in cui analizzava il significato della parola nel contesto del bestiario mitologico. «Di solito» scrisse «la parola “mostro” denota una specie di insolita armonizzazione di elementi dissonanti […] dico “mostro” ogni originale, inesauribile bellezza.» Se si accetta questa definizione, nell’opera di 12
Jarry si troveranno molte inesauribili bellezze, eppure la sua persona assume un aspetto mostruoso proprio perché il suo carattere non è riducibile a qualcosa che non sia una combinazione di “elementi dissonanti”. Dunque, se non si considerano le sue opere o, cosa ancor più importante, ciò che esse rappresentano – cioè i veri assilli e interessi di Jarry –, il suo carattere e le sue motivazioni resteranno celati.2 Jarry sembrava intento a creare un proprio universo: dava forma alla sua logica interna e ne definiva le leggi esterne. La sua vita e le sue opere derivavano da una combinazione degli stessi impulsi interni e delle stesse influenze esterne; e queste ultime erano certamente all’origine delle difficoltà che sperimentò nel corso dell’esistenza, ma erano anche ciò che animava la sua scrittura. È questa ineluttabile congiunzione a conferire un aspetto eroico alla sua vita. Jarry non si sottrasse ai rischi e alle difficoltà che essa comportava. Di conseguenza, la sua opera migliore possiede un’autenticità già evidente alla prima lettura, ancorché difficile da spiegare. Si può rintracciarne la fonte dove la vita e l’opera di Jarry si mescolano: egli non avrebbe mai potuto essere innocente rispetto al proprio mito, dal momento che esso non è che la messinscena di questa «macchina dagli ingranaggi più o meno rigorosi». Insorgono problemi solo qualora si tenti di separare l’immaginario dal reale. Un patafisico non accorderebbe alcun valore a tale distinzione, ma un biografo non può evitarla.3 Dunque non sorprende che una delle immagini preferite di Jarry sia lo specchio, o il doppio, che la struttura di questa biografia intende riflettere (in modo
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non troppo forzato, voglio sperare). La parte principale, i capitoli contrassegnati da numeri pari, sono una biografia convenzionale, ordinata cronologicamente; nei capitoli contrassegnati da numeri dispari, invece, si vuol dare un’idea delle correnti sotterranee che collegano gli aspetti a prima vista disparati del pensiero e della personalità di Jarry. Inevitabilmente, questi capitoli più brevi si pongono al di fuori della cronologia, e lascio decidere al lettore se tale combinazione risulti armoniosa per una definizione di Jarry. Spero di aver fatto di lui una persona credibile, benché egli sembri aver dedicato gran parte della sua vita a rendere questo compito il più difficile possibile. Il Jarry che emerge qui mi sembra più “umano” che mostruoso, e questo secondo me non lo sminuisce affatto. Come conviene all’inventore della Patafisica, egli è pur sempre un essere del tutto eccezionale, tanto originale nella vita quanto nell’opera. Questa è la prima biografia completa di Jarry scritta in lingua inglese. Essa include numerose scoperte fatte dopo le più recenti biografie in francese di Bordillon e Besnier. In particolare, durante la stesura del libro sono emerse oltre trenta lettere in precedenza ignote, l’ultima delle quali scritta in letto di morte.4 Poche convenzioni testuali Il Mercure de France era sia una rivista letteraria sia una casa editrice; è in corsivo quando si allude solo alla rivista. Lo stesso accorgimento vale per gli altri periodici che pubblicavano anche libri. Per ragioni di chiarezza, tutti i titoli delle opere citate nel testo sono riportati in italiano, a prescindere dall’effettiva esistenza di una traduzione ufficiale. Fanno eccezione le opere di Jarry, le quali compaiono in italiano solo quando esista una traduzione ufficiale e condivisa dall’autore, in tutti gli altri casi rimane la versione originale francese. Dopo la prima occorrenza, con il titolo completo, talvolta vengono abbreviate: per esempio Gesta e opinioni del dottor Faustroll, patafisico viene normalmente citata come Faustroll. Non ho aggiunto l’apostrofo alla parola Patafisica, tranne nel caso del Collegio di ’Patafisica. Jarry diceva di preferire l’apostrofo, ma non ne ha mai fatto uso. Le note finali indicano le fonti, e il lettore comune può tranquillamente trascurarle. Il mio intento era quello di offrire una narrazione leggibile, che tuttavia, essendo completamente basata su fonti storiche, fosse all’altezza degli standard accademici ma ne evitasse il gergo e le note digressive a piè di pagina. Phynance Ecco qualcosa che ebbe un ruolo importante nella vita di Jarry. Il tasso di cambio tra franco francese, sterlina e dollaro americano restò abbastanza invariato tra il 1896 e il 1910; cinque franchi equivalevano a quattro scellini e a un dollaro. Ci sono vari metodi per calcolare il valore attuale. Un po’ grossolanamente, si può dire che il valore di un franco del 1896 corrisponda più o meno a quattro
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sterline, a sei dollari o a cinque euro (quotazione del 2009). Quando Jarry morì, nel 1907, il franco aveva perduto circa il dieci per cento del valore che aveva nel decennio precedente.5 Ringraziamenti Devo molto a coloro che nel corso degli anni mi hanno aiutato a realizzare questo progetto e che si sono sorbiti le parole “Alfred Jarry” più spesso di quanto avrebbero voluto. Alcuni di loro sono stati indispensabili. Ringrazio per l’assistenza alle traduzioni Ian White e specialmente Antony Melville, che le ha controllate, evitando più volte che facessi la figura dell’idiota; a Parigi, Eric Walbecq e Paul Edwards mi hanno aiutato assiduamente, sia con la loro formidabile conoscenza della letteratura francese dell’ultimo decennio dell’Ottocento sia avvisandomi dell’esistenza di materiali che altrimenti non avrei potuto trovare; ringrazio Chris Allen e Gillian Beaumont per il loro accurato editing, e Thieri Foulc per aver letto il manoscritto e suggerito molti miglioramenti; ringrazio particolarmente Tanya Peixoto per… per tante cose. Sono davvero dispiaciuto che il nostro amico Stanley Chapman non possa vedere questo libro; il suo aiuto e il suo incoraggiamento sono stati per me inestimabili. Vorrei ringraziare anche le seguenti persone, scusandomi con quelle che 14
posso aver dimenticato: Matthew Abbate (responsabile della produzione), Dawn Ades, Sally Alatalo, Timothy d’Arch-Smith, Noël Arnaud, Michel Arrivé, John Ashbery, Gillian Beaumont (redattore), Rémy Bellenger, Patrick Besnier, Johan Birgander, Christian Bodros, Romana Brunori-Severini (per l’autorizzazione a usare le fotografie tratte dall’“album” di Gabrielle Vallette), Philippe Cathé (pantagruelista), Christophe Champion (che gentilmente mi ha permesso di fotografare la sua collezione di prime edizioni di Jarry), Roger Conover, Christiane Cormerais, Adam Dant, Dennis Duncan, Mark Ford, Patrick Frechet, Laurent de Freitas (per il permesso di citare le opere di Léon-Paul Fargue), Elizabeth Garver (dell’Harry Ransom Humanities Research Center) per il suo incondizionato aiuto, Paul Gayot, Fraser Gillespie (meccanico di biciclette), Harry Gilonis, Malcolm Green, Paul Hammond, Julia Hines (consulenza medica), Magnus Irvin (consulenza in alieutica), Simon James e David Smith (esperti di H.G. Wells), Kevin Jackson, Mary Markey (della Smithsonian Institution), Harry Mathews, Olivier Michaud e Dominique Remande (della Bibliothèque municipale de Laval), Jean-Paul Morel, Michael Moorcock, Barbara Pascarel, Brian Parshall, Martin Stone (trovalibri), Joël Surcouf (degli Archives départementales de la Mayenne), e Léna Weber (per l’autorizzazione a usare le foto di Jean Weber). Alastair Brotchie Reggente del Collegio di ’Patafisica
1 Félix-Frédéric Hébert
Nacque a Cherbourg il 14 gennaio 1832. Della sua infanzia non si conosce che la carriera scolastica: un costante progredire attraverso le scuole locali, culminato con l’ammissione alla prestigiosa École normale supérieure di Parigi, dove al termine di un triennio di studi ottenne il diploma di insegnante in scienze fisiche e naturali. Fece ritorno nel nord della Francia, in Bretagna, e assunse l’incarico di assistente di fisica presso il liceo di Rennes. Tuttavia, pochi mesi dopo dovette lasciare la scuola, a quanto pare per un incidente in cui era coinvolta una “donna di malaffare”. L’anno seguente insegnò ad Angoulême, nel 1859 a Le Puy e poi a Évreux (1862), Rouen (1864) e Limoges (1868).1 I resoconti provenienti da queste sedi scolastiche sono unanimemente scoraggianti. Angoulême: «Abbastanza gradito, ma poco rispettato dagli allievi. Il suo insegnamento manca di rigore, di brio e di interesse, poiché è incapace di preparare accuratamente le lezioni». Rouen: «Incapace di imporre agli allievi la propria autorità, spesso si trova costretto a sgridarli o punirli, per evitare disordini in classe». Limoges: «Un insegnante estremamente lento, che spreca una grande quantità di tempo e non riesce comunque a completare il programma. […] Risultati assai scarsi […] lezioni mal preparate, specialmente negli esperimenti pratici, compromessi da reiterati incidenti». Nelle poche foto rimaste Hébert ha un’aria decisamente preoccupata, cosa per nulla sorprendente se si considera la scarsa stima di cui era oggetto. Sopra ogni altra cosa, Hébert cercava il rispetto e la stima dei suoi superiori, forse
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F.-F. Hébert, insegnante di fisica.
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immaginando che un atteggiamento umile e sottomesso potesse compensare i fallimenti professionali. In classe, la sua aria intimorita ne faceva un facile bersaglio della teppa studentesca, il cui passatempo preferito consisteva nel mettere allo scoperto le debolezze dei docenti. Dopo tanti anni di insegnamento la sua sola difesa era del tutto inefficace: una posa di finta superbia. Ecco come conclude un elogio alle scienze fisiche pronunciato, nel suo stile tipicamente maldestro, in occasione di una premiazione scolastica: Amate dunque la scienza che ha fatto di noi qualcosa di grande, che – più della gloria militare e dei suoi cruenti trofei – darà alla nostra patria lustro imperituro, che ha mitigato il duro lavoro dell’artigiano e migliorato enormemente le condizioni di vita di ognuno, e ancora innalza le nostre anime e volge al Cielo i nostri pensieri, rivelandoci ogni giorno di più l’ammirevole ordine stabilito dal divino Creatore dell’universo.
La boria ostentata era già sufficiente a suscitare il disprezzo degli allievi, ma Hébert aveva una sfortuna in più: l’aspetto ridicolo. La corpulenza e le gambe troppo corte ne rallentavano i movimenti, procedeva con passo penosamente strascicato o con una goffa andatura dondolante e, come se non bastasse, aveva un lieve disturbo del linguaggio: «Parlava come se avesse in bocca del porridge». Alla fine si rese conto che sarebbe stato per sempre oggetto di scherno da parte dei suoi allievi, e nel 1877 si rivolse alle autorità per chiedere un posto di ispettore scolastico. La sua istanza fu respinta. La commissione di ispettori notò che i modi ossequiosi utili a ingraziarsi i superiori non erano adatti al ruolo di chi doveva giudicarli, e che mancava di forza di carattere e di sang-froid. Tuttavia, per un po’ venne favorito dal mutamento della situazione politica: a Limoges s’insediò un’amministrazione di destra. Per anni Hébert aveva dedicato la propria oratoria a glorificare Famiglia, Chiesa e Madrepatria, perciò il nuovo consiglio municipale accolse le sue richieste. Tre mesi dopo, tuttavia, le elezioni locali videro prevalere di nuovo i repubblicani ed egli venne congedato. Le sue vane rimostranze riempirono lunghe lettere indirizzate alle autorità scolastiche, ma non ebbe altra scelta che tornare all’insegnamento.2 Così ventitré anni dopo, nel 1881, fece ritorno a Rennes, dove era cominciata la sua carriera scolastica, e le sue classi, ancora una volta, scivolarono nel caos totale. Nel giugno del 1882 un ispettore riferiva che «l’eloquio di monsieur Hébert è monotono e ampolloso. Le sue lezioni mancano di ordine e di chiarezza. La sua influenza sugli studenti è praticamente nulla. Non riesce a imporre la propria autorità né a ottenere la minima attenzione». Ben presto la classe fu affidata al vicedirettore, e Hébert si ritrovò a insegnare matematica a una classe di soli quattordici alunni. Non cambiò nulla: divenne impossibile ignorare il
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chiasso che proveniva dalla sua aula. Gli ispettori si astennero dal costringerlo al prepensionamento solo per l’età avanzata e per le responsabilità finanziarie nei confronti della sua numerosa famiglia (aveva cinque figli). Infine, nel 1892, dopo undici anni trascorsi a Rennes, alla soglia dei sessant’anni si decise a ritirarsi. Pochi anni dopo, le vicende dell’affaire Dreyfus richiesero il suo ritorno al servizio pubblico. Alfred Dreyfus era l’ufficiale ebreo più alto in grado che avesse mai servito nell’esercito francese, prima che una corte marziale lo giudicasse colpevole di aver rivelato alcuni segreti militari ai tedeschi. Dopo essere stato denigrato pubblicamente, fu deportato all’Isola del Diavolo, dove le condizioni carcerarie erano durissime. Ben presto fu evidente che era vittima di un complotto antisemita e l’affaire Dreyfus divenne la più grande controversia politica di quel tempo. Nel 1899 fu istruita proprio a Rennes la seconda corte marziale: l’aula giudiziaria era nell’edificio del liceo. Dreyfus fu giudicato colpevole ancora una volta e la sua pena aumentata di dieci anni, benché nel frattempo le prove raccolte contro di lui nel primo grado di giudizio si fossero rivelate false. Il verdetto era così palesemente ingiusto che il presidente francese gli accordò la grazia. Hébert si sentì talmente offeso da quel tentativo di «riabilitare un traditore giustamente condannato» – parole sue – da entrare in politica. Nel 1900 di18
venne consigliere comunale e, nello stesso anno, un giornale locale fece questo resoconto di una riunione del Consiglio: Monsieur Hébert, in qualità di decano, è chiamato a presiedere per qualche istante la seduta, e ne approfitta per leggere al nuovo Consiglio una specie di discorso in cui confusamente si parla di “cosmopoliti, di bande giudaicomassoniche, di governo dei venduti, della bandiera, della Francia ecc.”. D’altra parte, il Consiglio non sembra badare granché al goffo sproloquio di Ubu re.
L’allusione a Ubu re spiega come mai ci sia giunta la pur minima notizia della carriera di F.-F. Hébert. Il giovane Alfred Jarry era entrato a far parte della sua classe nel 1888, e ben presto avrebbe trasformato Hébert nell’aberrante antieroe di Ubu re. Un altro futuro autore, Henri Hertz, un compagno di scuola di Jarry più giovane di lui di due anni, descrisse così i loro rapporti: Monsieur Hébert era famoso per la violenza con cui veniva contestato e per l’enfasi con cui tentava di superare quel supplizio. Non era affatto una vittima subito prostrata, vile e tremante, che si lasciasse sopraffare senza prima tentare di difendersi con accessi di collera. O almeno, raramente. Quel che si amava in lui, che lo rendeva caro e ispirava mille ingegnose trovate per attizzarne il tormento, è che da lui ci si potevano aspettare belle lacrime, nobili singulti, cerimoniose suppliche.
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Il supplizio di Hébert prevedeva tre fasi, a cui corrispondevano, da parte sua, tre fisionomie. L’ingresso: monsieur Hébert se ne stava, circospetto, sulla soglia. Aveva gambe così corte e ventre così grosso da sembrare seduto sul deretano. La sua comparsa sulla soglia suscitava scoppi di risa. Lui tentava di esorcizzare questo demone indirizzando sguardi angelici, occhietti smarriti in un ammasso di pallida pinguedine, verso il branco che nel giro di pochi minuti sarebbe stato in pieno tumulto. La seconda fase si inaugurava quando monsieur Hébert dava le spalle alla classe, somigliando a un enorme insetto, e si issava sulla lavagna, depositando scie di gesso. Qualcuno aveva portato dei pallini da caccia, con cui crivellava le elitre sgualcite della sua vecchia giacca. Monsieur Hébert si voltava. Non di colpo, dato che era sordo. Non si è mai capito se fosse sordo per difetto di udito o di coraggio. Fatto sta che rimandava il più possibile ogni intervento contro gli screanzati, e anche quando si decideva a farlo era visibilmente restio. Si voltava all’improvviso, e allora aveva inizio la terza fase, durante la quale appariva come un vero sovrano, malgrado lo sguardo incerto e il disperato ghigno sotto i grossi baffi, che dovevano essere stati rossi e ora erano macchiati di tabacco. Anzitutto, tirava fuori dalla tasca della giacca una scatoletta d’argento, e dopo una gran presa di tabacco dava inizio a un sermone, espresso benissimo, formalmente accurato, pieno di solennità ma del tutto inopportuno. In questo manifestava una vera vocazione. Le sue parole non si confacevano né all’espressione del viso né alle circostanze né a coloro con cui se la prendeva. Minacciava gli innocenti ed evitava i colpevoli. I suoi allievi, così offesi dalla palese ingiustizia, finivano per diventare loro stessi partigiani della giustizia. Durante queste declamazioni oratorie destinate a finire in lacrime, faceva la sua brillante apparizione Jarry. Interveniva sempre alla fine, come un matador entra nell’arena per il colpo di grazia. Silenzio assoluto. Freddo e mordace, poneva domande astruse, insidiose a Père Héb, facendolo vacillare a metà frase e ridicolizzando i suoi modi sentenziosi. Jarry lo assediava, lo stordiva con aforismi, lo demoliva. Père Héb, sconcertato, sbatteva le palpebre, balbettava, faceva il sordo, perdeva terreno. Infine cedeva, si accasciava sul tavolo, fra storte e apparecchi, inforcava gli occhiali e con la grossa mano tremante scarabocchiava un rapporto per il preside. La classe guardava con meraviglia il vittorioso Jarry. Con timore e distacco, anche, perché capivamo che il suo sarcasmo andava ben oltre la generale mancanza di disciplina, e che lui impegnava in quella battaglia qualcos’altro, che una pulsione molto forte doveva indurlo a quel comportamento. Sembrava già che Père Ubu stesse prendendo corpo, modellato sulla vittima di Jarry.3
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· Alastair Brotchie ·
L’accanimento di Jarry poteva essere dovuto semplicemente a timore e avversione. Hébert, il tragico incompetente, con i suoi seriosi appelli all’ordine, al rispetto e alla tradizione, incarnava qualcosa di estremamente minaccioso. Servile e sottomesso, per la smania di compiacere i superiori aveva perduto la dignità e il rispetto di sé. Tuttavia, senza rendersene conto era un insegnante molto efficace poiché offriva agli allievi un orribile esempio, una lezione che alcuni di loro non avrebbero mai più dimenticato. Hébert era l’anti-Narciso dell’incombente età adulta, ciò che gli studenti avevano il terrore di dover riconoscere un giorno nello specchio. Eppure Jarry vide in lui qualcosa di più di un semplice ammonimento contro il conformismo della piccola borghesia. C’era in lui un archetipo che si poteva accettare e insieme respingere, facendone la rappresentazione simbolica del «massimo di grottesco al mondo».4
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2 1873-1891
Il resoconto che Hertz fa della demolizione di Hébert è la prima delle numerose descrizioni del travolgente temperamento di Jarry. A molti suoi contemporanei appariva come un prodigioso istrione, quasi un indemoniato che a malapena riusciva a tenere a freno il suo comportamento o la sua immaginazione. Quando entrò quindicenne al liceo di Rennes e nella classe di Hébert la sua indole ribelle e la sua risolutezza nell’oltrepassare i limiti di una normale condotta erano già così evidenti da far sospettare che nascondessero qualcos’altro… ma cosa? Timidezza, insicurezza, o un proposito più radicato? Anche da studente Jarry tendeva a una specie di autoimmolazione creativa: si guadagnò ben presto una “reputazione”. Il liceo era un edificio enorme, disposto intorno a quattro cortili, dotato di corridoi interminabili, grandi cantine, soffitte e perfino una cappella. Ai tempi di Jarry era piuttosto fatiscente, specialmente nella parte vecchia in cui si trovavano le classi di Hébert. Il laboratorio di fisica dove faceva lezione ora ospita il museo della scuola, che porta il nome di Hébert: più che in suo onore, in onore di ciò che ispirò. L’aula del primo piano somiglia a una sala operatoria medievale e più o meno al centro c’è il banco da lavoro quadrato, destinato agli esperimenti, davanti al quale si ergono file di panche e lunghi banchi. È questa l’arena in cui Jarry si scontrava con Hébert. Nel 1888 Caroline Jarry aveva fatto ritorno a Rennes, la sua città natale, con i due figli, Alfred e la sorella maggiore, Charlotte. Si era separata dal marito nove an-
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· Alastair Brotchie · Alfred Jarry, ritratto di P.H., 9 x 7 cm (periodo di Rennes).
22 Alfred Jarry, disegno di P.H. strappato da un quaderno di scuola (periodo di Rennes).
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ni prima. Alfred aveva concluso la scuola elementare con tutti gli onori e la madre aveva deciso che gli serviva la migliore istruzione secondaria possibile, ovvero quella del liceo del capoluogo. Si registrò come studente esterno il 1° ottobre, poche settimane dopo il suo quindicesimo compleanno, e la famiglia si stabilì nella prima delle tre abitazioni che avrebbe occupato nei due anni successivi. Lì Alfred coltivò un turbolento anticonformismo abbastanza consueto per un giovane di quell’età. In età più avanzata Charlotte lasciò un breve ricordo “poetico” del fratello, e la mancanza di qualsiasi documento familiare fa sì che le sue Annotazioni su Alfred Jarry siano il solo resoconto di prima mano della loro vita domestica di allora. Charlotte descrive la camera da letto con i muri neri decorati da scheletri in cui Alfred faceva le ore piccole leggendo, circondato da vocabolari, bicicletta, chitarra e fucile ad aria compressa. Bombardava i passanti con una cerbottana dalle finestre di casa oppure per strada, travestito da frate con l’arma nascosta dal cappuccio, e faceva anche esperimenti chimici corrodendo con l’acido le grondaie.1 Ma era a scuola che Jarry sentiva di dover lasciare il segno. I francesi usano la parola potache per denotare lo studente adolescente e il suo mondo, un subbuglio di oscenità, insubordinazione, confusione sessuale, e spesso di creatività. Jarry interpretò questo ruolo con particolare vivacità e determinazione, e fu restio a rinunciarvi una volta adulto. La prima adolescenza si dimostrò estremamente formativa: Jarry scoprì quelle passioni letterarie e artistiche che avrebbe avuto per tutta la vita. Aveva anche trovato un modo di vivere, un comportamento intransigente piuttosto adatto ai suoi impulsi profondi, a cui rinunciava raramente, almeno in pubblico. Parecchi ex compagni di scuola di Jarry furono intervistati dai suoi primi biografi. Lo ricordavano combattivo, precoce e intelligente. Molti di loro ne rievocarono lo sguardo inquietante, la vivacità mentale, il bisogno di esagerare: dava l’impressione di non temere l’autorità e di essere indifferente al giudizio dei compagni. Gli avevano dato il soprannome di Quasimodo, a causa della bassa statura, del corpo tarchiato e dell’andatura curva, e temevano il suo sarcasmo e la sua lingua tagliente. Inoltre, sembra che Jarry avesse già acquisito quel suo particolare modo di parlare accentuando ogni sillaba. I suoi amici intimi lo trovavano divertente e leale, beffardo ma mai maligno o invidioso. Era precoce non solo per quanto riguardava le vaste e arcane letture ma anche per la “moralità” e l’interesse per il sesso. Quando arrivava a scuola, pallido per l’insonnia e senza fiato, scarpe infangate e colletto storto, spiegava di essere stato «ai bor… delli» (in effetti, a causa della vicinanza delle caserme, intorno alla scuola c’erano parecchi posti di quel tipo). Naturalmente questa millanteria poteva trarre origine dalla sua bassa statura e dalle dissimulate incertezze riguardo al suo orientamento sessuale. Tutto ciò per alcuni dei suoi compagni era un po’ troppo:2
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Non fatemi passare per pudibondo, sono sempre stato rabelaisiano. Tra noi potaches si parlava una lingua a metà strada fra Rabelais e la caserma; ma si trattava di bravate verbali, superficiali, da collegiali privi di esperienza. Jarry si distingueva per una sconcezza realistica e vissuta; ci raccontava delle sue visite alle case chiuse (a quindici anni, per giunta!) e ci sbalordiva con storie di messe nere lette chissà dove, forse in un libro di Haraucourt […]; ho ancora impressa nella memoria una di quelle storie, che mi aveva colpito: una messa il cui grande officiante, il diavolo, finiva per spruzzare l’assemblea con il f _ _ tre [lo sperma] del suo gigantesco aspersorio personale. […] La morte del padre, l’indulgenza della madre, la mancanza di qualsiasi sorveglianza hanno certamente contribuito a fare di Jarry un potache piuttosto depravato.3
Forse non è il caso di prendere alla lettera questa testimonianza di circa quarant’anni dopo. A quel tempo, infatti, il padre di Jarry non era ancora morto, ma semplicemente lontano dalla famiglia. Ecco il ricordo di un altro ex compagno di classe: «Aveva poco da imparare riguardo alle faccende di sesso […]. Affrontava l’argomento con gran piacere e dissertava con precisione medica e in modo estremamente rude. Dai sedici anni in poi il rispetto per le donne divenne un sentimento a lui del tutto sconosciuto. Considerando il suo linguaggio, di solito così crudo, mi sono sempre sempre chiesto come potesse mantenere un contegno 24
al cospetto della madre e della sorella». Jarry metteva a disagio anche gli adulti.
Rennes, il liceo.
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I compagni di scuola ricordavano che in città come a scuola era oggetto di commenti sommessi fra i genitori e gli insegnanti. Era intelligente, dicevano, ma poco malleabile. E precoce, in grado di arraffare tutti i premi scolastici, se solo avesse voluto. In realtà era un allievo brillante, ma anche il peggior piantagrane.4 Le ritualizzate umiliazioni inflitte a Hébert andavano oltre quelle normalmente previste dal conflitto tra allievi e insegnanti. L’intero liceo ne era al corrente, e gli allievi più giovani già pregustavano il divertimento. Aspettavano impazienti di essere ammessi nelle «leggendarie classi di monsieur Hébert».5 Nel 1881, poco tempo dopo il ritorno di Hébert all’insegnamento, presero a circolare nella scuola i drammatici resoconti di varie prodezze a lui attribuite, sotto i nomi di P.H. (Père Hébert), Heb, Éb, Ébé ecc. Ogni nuova generazione di allievi contribuiva a quella letteratura epica che portava fuori dall’aula i tormenti di Hébert. Dapprima si trattava soltanto di una tradizione orale, ma in seguito vennero prodotti, e tramandati di anno in anno, degli scritti che finirono per far raggiungere alla saga di Hébert dimensioni omeriche. Abbiamo notizia di questa letteratura perduta da un libro di Charles Chassé pubblicato nel 1921, quattordici anni dopo la morte di Jarry. Benché sia stato scritto per screditare Jarry (vedi infra, il nono capitolo), quel volume ha un certo valore poiché raccoglie una serie di testimonianze di suoi contemporanei. La letteratura hébertiana comprendeva decine di poesie – alcune di oltre centocinquanta versi –, commedie e, per un breve periodo, bollettini e giornali a cadenza settimanale. All’inizio si trattava di descrizioni abbastanza realistiche del martirio hébertiano, ma ben presto l’immaginazione di decine di studenti che gareggiavano tra loro sottrasse P.H. alla realtà. Episodi ispirati a opere di Rabelais, Lesage, Byron, Shakespeare, alle Vite dei santi, al Conte di Montecristo e a libri di testo, perfino a Euclide, a poco a poco trasformarono P.H. in qualcosa di assolutamente originale. Nel libro di Chassé ci sono alcuni frammenti di poesie andate perdute e una ricostruzione della “tradizione orale”, un testo che merita di essere citato per intero:6 Ancor oggi si possono vedere, nel deserto del Turkestan, le rovine di un’immensa città che, migliaia di anni prima della nostra era, fu la capitale di un grande impero, i cui ultimi sovrani storicamente accertati furono monsieur Dromberg i, monsieur Dromberg ii e monsieur Dromberg iii. La popolazione di tale impero era costituita dagli Hommes-Zénormes. Sotto il regno di monsieur Dromberg iii sulle rive dell’Oxus nacque P.H., il risultato del connubio di un Homme-Zénorme e di una fattucchiera tartara o mongola che viveva tra i canneti sulle rive del mare di Aral. Tratti somatici di P.H. Egli nacque con un cappello a bombetta, una redingote di lana e pantaloni a quadri. Sulla sommità della testa ha un solo orecchio esten-
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sibile, normalmente coperto dal cappello; entrambe le braccia si trovano dallo stesso lato (come gli occhi) e i piedi, anziché essere uno accanto all’altro come negli umani, sono l’uno il prolungamento dell’altro, cosicché quando gli capita di cadere non può rialzarsi da solo e resta lì a strillare finché non lo si tira su. Non ha che tre denti: uno di pietra, uno di ferro e uno di legno. Quando i denti della mascella superiore cominciano a spuntare, li ricaccia indietro a pedate. nb: Si chiama ombelico uno dei punti in cui una superficie viene tagliata dal piano tangenziale a un cerchio. Si dimostra che: 1. tutti i punti della superficie di P.H. sono degli ombelichi; 2. ogni corpo la cui superficie è unicamente composta di punti ombelicali è un P.H. P.H. fu battezzato con essenza di Patafisica da un vecchio Homme-Zénorme che abitava in una baracca alle falde dei monti della Cina e lo prese con sé perché badasse ai suoi polochons (si tratta di animali simili a grossi maiali, privi di testa ma in compenso provvisti di due sederi, uno davanti e l’altro dietro). Ogni anno, quando si scioglieva la neve, P.H. conduceva il suo branco, composto di 3 miliardi 333 milioni 333 mila 333 polochons, a pascolare nelle steppe tra il mar Caspio, il mare di Aral e il lago Balqaš; portava con sé il proprio nutrimento in un sacco enorme che si trascinava dietro mediante una bretella. Al suo
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ritorno, alla prima neve, il padrone contava accuratamente i polochons, e questo lo teneva occupato per tutto l’inverno. Ma il padrone era assai tirchio riguardo al nutrimento, e ci fu un anno, a fine stagione, in cui P.H. trovandosi a corto di cibo divorò un polochon. Volle far credere al padrone che fosse stato sbranato da una pantera, se non fosse che la coda del polochon gli era rimasta fra i denti, e questo lo tradì. Il padrone inviò subito il suo velocissimo polochon viaggiatore da Dromberg iii per chiedergli di mobilitare gli Hommes-Zénormes affinché venissero a catturare P.H., che se l’era svignata durante la notte e aveva attraversato i monti della Cina, oltre i quali si credeva al sicuro. Ma il giorno dopo all’orizzonte scorse le sagome degli Hommes-Zénormes; tagliò la corda tanto velocemente che mentre passava in una gola troppo stretta dei monti Altaj gli si lacerò la redingote di lana, cosicché ne perse due pezzi e, come se non bastasse, la sua gidouille [il pancione] si schiacciò ai lati, a tal punto da formare due prominenze piatte ancora visibili alla fine del xix secolo. Però era riuscito a passare. L’immensa folla degli Hommes-Zénormes giunse allo stesso passo; nella ressa furibonda si schiacciarono a vicenda, dato che quelli dietro continuavano a spingere, senza sapere perché quelli davanti si fossero fermati. Se si presta fede a Erodoto (libro iii, capitolo xii), il rumore dell’esplosione degli HommesZénormes si sentì perfino nell’isola di Ceylon.
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Mentre P.H. continuava a fuggire attraverso la Mongolia, la Manciuria e la Siberia, i superstiti dell’armata degli Hommes-Zénormes avevano preso una scorciatoia e ritrovato facilmente le sue tracce grazie alle orme lasciate dai piedi allineati sul medesimo asse. Arrivato alla sorgente del fiume Anadyr, P.H. incontrò il Diavolo e per salvarsi gli vendette l’anima. Stipulato il patto, mentre stava per essere raggiunto dagli Hommes-Zénormes si lanciò a capofitto nella voragine in fondo alla quale si trovano le sorgenti dell’Anadyr e di colpo si trasformò in un pesciolino rosso. Scese il fiume, superò il mare e lo stretto di Bering, entrò nell’oceano Glaciale Artico e rimase intrappolato nella banchisa a nord della Siberia. Conservato dal ghiaccio, restò lì per mille anni. In seguito a un inverno eccezionalmente mite, poté liberarsi e proseguire la sua rotta verso ovest. Nei pressi di Capo Nord cominciò a sentire il calore della corrente del Golfo, attirato dalla quale scese lungo le coste della Norvegia, giunse a Calais e poi alla foce della Senna. A quel punto, per disgrazia dell’umanità, decise di risalire il fiume e infine venne catturato da un brav’uomo intento a pescare con la lenza presso il ponte del Louvre. Ma, a mano a mano che usciva dall’acqua, P.H. riprendeva la sua forma originale e il brav’uomo, vedendo affiorare l’orrendo cappello, il muso di porco e l’enorme gidouille, terrorizzato se la diede a gambe. P.H. si sbarazzò a fatica dell’amo che l’aveva preso e senza alcun ritegno diede inizio ai propri misfatti. Tutto ciò accadeva nel xiv secolo, sotto il regno di Carlo v. Poco tempo dopo P.H. ottenne il baccalauréat, con pessimi voti, dopo aver terrorizzato i suoi professori. Il suo unico bagaglio scientifico consisteva in due o tre caratteri cuneiformi che tentava di riprodurre alla meno peggio. In seguito, alla testa di una banda di farabutti comandata dal capitano Rolando […] s’impadronì del castello di Mondragon e ne fece la sua dimora. Poi ci fu il viaggio in Spagna, l’usurpazione del regno di Aragona, la partenza per la Polonia in qualità di capitano dei dragoni ecc. ecc.
Tra il 1885 e il 1886, stando a quel che dice Chassé, i fratelli Charles e Henri Morin affidarono alla carta le più recenti imprese di P.H. Probabilmente con l’aiuto di altri allievi scrissero e illustrarono una serie di brevi commedie che raccontavano minuziosamente le disavventure di P.H. compendiate negli ultimi due paragrafi del resoconto precedente. Tali commedie, tutte perdute, avevano titoli come Les Héritiers (Gli eredi), La Bastringue (L’armamentario), La Prise de Ismaïl (La presa di Ismaele, che si rifaceva al Don Giovanni di Byron), Le Voyage en Espagne, Don Fernand d’Aragon (ispirata a Gil Blas). Infine, i Morin scrissero I polacchi. Per lo più, le avventure di Heb venivano scarabocchiate su pezzi di carta nell’aula di Hébert o in quelle dei suoi colleghi. Charles Morin dice che a volte, in tali occasioni, gli allievi facevano in modo di farseli confiscare apposta, nella speranza di divertire tanto i colleghi di Hébert quanto i giovani autori.7
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Charles Morin, il fratello maggiore, lasciò il liceo alla fine dell’anno scolastico 1888 per proseguire gli studi a Parigi, rinunciando a questi divertimenti puerili perché, come disse in seguito a Charles Chassé, «avevo qualcosa di meglio da fare che trastullarmi con simili sciocchezze». Affidò il manoscritto dei Polacchi al fratello ma, una volta a Parigi, continuò a far ridere i suoi nuovi amici del Politecnico con le imprese di Heb, perciò la sua abiura non poteva essere così irrevocabile come avrebbe sostenuto più tardi.8 Henri Morin era più vecchio di Jarry di un solo mese e il primo anno si ritrovarono nella stessa classe. Presto divennero amici intimi, e non ci volle molto perché Jarry leggesse il manoscritto dei Polacchi. Il suo entusiasmo fu immediato, un po’ perché I polacchi aveva una certa somiglianza con qualcuna delle sue commedie scritte alle elementari, e un po’ per il fascino esercitato su di lui dall’intestino e dai suoi prodotti. Sebbene molte delle disavventure di Hébert avessero preso la forma di commedie, non tutti i loro autori sentivano il bisogno di metterle in scena. Il primo a proporre questa idea fu Jarry: nel dicembre del 1888, o forse all’inizio di gennaio dell’anno seguente, nacque il Théâtre des Phynances. Si chiamava così in onore della brama di Heb per il denaro, che sottraeva con violenza ai più deboli con l’aiuto dei suoi scagnozzi, i salopins. Henri e Alfred requisirono il grande attico del28
la casa dei Morin e allestirono la prima delle numerose messinscene dei Polacchi «a scapito degli studi di latino e greco», come mestamente osservò in seguito Morin.9 Ci sono scarse notizie su questi spettacoli. Henri ne era il protagonista, il suo costume era un pesante cappotto imbottito di cuscini, mentre Jarry dipingeva le scene. I compagni di scuola interpretavano gli altri ruoli e formavano anche il pubblico. I testi superstiti di queste commedie abbondano di humour scatologico e, poi, di allusioni sessuali. È ragionevole pensare che quelle riunioni nell’attico dei Morin fossero segrete, cerimonie del culto di Hébert a cui gli adulti non erano ammessi.10 Nell’estate del 1889 i Morin traslocarono e il Théâtre des Phynances si trasferì in casa di Jarry, nella quale non c’era una stanza abbastanza grande, o abbastanza appartata, da destinare alle recite. Perciò le messinscene successive furono adattate al teatro dei burattini e più tardi al teatro d’ombre. Era la sorella di Jarry, una brava scultrice, a fare gran parte dei burattini. Charles Morin la ricorda mentre realizza un «meraviglioso busto» di P.H., e aggiunge che Hébert, essendo un vicino di casa dei Jarry, per andare a scuola passava ogni giorno davanti alle loro finestre, dando a Charlotte la possibilità di perfezionare le sue riproduzioni.11 Il Théâtre des Phynances fu attivo probabilmente per altre due stagioni, ma non si sa con certezza quali commedie vennero rappresentate durante gli anni scolastici 1889-1890 e 1890-1891. Senz’altro I polacchi, ma anche altri testi scritti da Jarry e da Henri Morin, due dei quali sono sopravvissuti in forma frammentaria: Onesimo, o i tormenti di Priou (Onésime, ou les tribulations de Priou) di Jarry, e La
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Chasse aux polyèdres (La caccia ai poliedri) di Morin. Onesimo introduce per la prima volta nella saga di Hébert temi più “adulti”, tra cui l’alcol e il sesso: la commedia racconta di un Hébert cornificato da Barbapoux, personaggio basato su uno degli ispettori della classe di Jarry. Jarry avrebbe continuato a riscrivere questa pièce nei quindici anni successivi, producendo svariate versioni di Ubu cornuto (Ubu cocu), che venne pubblicato infine nel 1944.12 Onesimo è molto diverso dalle opere di Morin. La commedia di Jarry è un pastiche che ha momenti di puro divertimento, tra giochi di parole e humour studentesco. Le commedie di Morin erano molto più dilettantesche: l’intreccio era un guazzabuglio ripetitivo e incoerente che asfissiava il pubblico con le esclamazioni e imprecazioni di Hébert, e avrebbe annoiato tutti tranne i compagni di scuola che partecipavano alla burla. Probabilmente questi testi venivano scritti pensando ai burattini (per esempio in Onesimo un’indicazione di regia dice che la testa del personaggio dev’essere illuminata).13 È possibile che I polacchi fosse ancora in cartellone nell’inverno del 1890, dato che Henri Morin si ricorda di aver dato a Jarry il manoscritto per adattarlo al teatro d’ombre. Si tratta di una delle ultime rappresentazioni del Théâtre des Phynances. Morin dice che Jarry fece ricorso al teatro d’ombre dopo aver constatato che era troppo difficile manovrare i burattini.14 Questa descrizione del Théâtre des Phynances, però, non è che una congettura. L’unico resoconto diretto di cui disponiamo è quello di Henri Morin, che peraltro si contraddice più volte. In una lettera del 1894, che appare nell’introduzione a Ubu intime (Ubu intimo), Morin scrive che una versione per il teatro d’ombre aveva preceduto le rappresentazioni con attori. Afferma inoltre di aver dato a Jarry il manoscritto dei Polacchi sia nel 1888 sia nel 1889 e di averlo inviato anche al fratello, allora a Parigi, che a sua volta l’aveva affidato a un certo Boris: il mistero del manoscritto originale dei Polacchi è davvero labirintico. Infine, non sappiamo se Jarry e Morin usarono il nome “Théâtre des Phynances” per tutte le varie messinscene fatte a Rennes o soltanto per il teatro dei burattini. Se la versione con attori fu davvero preceduta da una per il teatro d’ombre, si spiegherebbe perché nella versione pubblicata di Ubu re appaia il sottotitolo «come è stato rappresentato dalle marionette del Théâtre des Phynances nel 1888», dato che anche il teatro d’ombre fa uso di marionette.15 Dopo tutte queste rappresentazioni I polacchi era ancora la stessa commedia scritta dai fratelli Morin? Data la sua genesi all’interno del condiviso mito hébertiano, sembra inverosimile che Jarry e Henri Morin si siano attenuti al testo originario come se si trattasse del copione di riferimento. Inoltre, considerando il fatto che Alfred e Henri allestirono gli spettacoli senza la collaborazione di Charles, è possibile che la pièce abbia subito dei mutamenti nel corso delle rappresentazioni? Sono questioni che assumeranno una certa importanza dopo la prima di Ubu re.16
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Laval, quai de la Mayenne negli anni novanta. La casa in cui nacque Jarry è quella con tre abbaini dietro al cartello bordeau-duchemin. Il secondo edificio da sinistra, lungo il fiume, anch’esso con tre abbaini, dovrebbe essere la futura sede di monsieur Trochon, fornitore di biciclette.
Nel periodo in cui visse a Rennes, Jarry scrisse altre due pièce, una delle qua30
li è Le Futur malgré lui (Il futuro suo malgrado), una specie di satira convenzionale dei costumi coniugali della borghesia. La sua produzione, rispetto a quella dei primi anni delle elementari, si era ridotta notevolmente. Le rappresentazioni del Théâtre des Phynances dovevano prendergli molto tempo, o forse si dedicò di più agli studi. Alla fine dell’anno scolastico 1891 Jarry e la madre lasciarono Rennes per Parigi. Ancora una volta lei traslocò per favorire l’educazione di Alfred, e la paziente Charlotte li seguì. Tra gli effetti personali che Jarry portò con sé c’erano vari documenti hébertiani, alcuni burattini e un quaderno verde di circa trenta pagine sul quale era impresso il marchio di Lafond, il cartolaio di Rennes dal quale era stato acquistato. Era pieno di ditate e conteneva due testi di diversa natura. Tempo addietro i Morin l’avevano usato per catalogare la loro collezione di fossili. Dopo la registrazione delle voci del catalogo c’era il testo della loro versione originale dei Polacchi, scritta intorno alle cancellature, e anche illustrata.17 Ma, prima di occuparci di Parigi, parliamo dell’infanzia di Jarry. Alfred-Henri Jarry venne alla luce l’8 settembre 1873, giorno in cui si festeggia la nascita della Vergine Maria, a Laval, una cittadina di venticinquemila abitanti del dipartimento della Mayenne. Laval si trova al di fuori dei confini della Bretagna, ma Jarry avrebbe sempre rivendicato origini bretoni. Nacque nella residenza di famiglia, quai de la Mayenne 8, situata nel centro della città. Malgrado le modeste dimensioni, la casa era ben arredata e posta in un quartiere
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di un certo prestigio, sulla riva del fiume, sotto al palazzo di Giustizia. A detta di Charlotte, che allora aveva otto anni, poteva vantare una voliera con molti uccelli e di un giardino ornamentale con fontana, piante e rocce. Charlotte fornisce altri dettagli, banali e insieme fantasiosi. Dice che il fratello venne al mondo ridendo e che fu svezzato grazie a una minestrina di riso e farina e vaccinato dal medico condotto, il quale dichiarò che «era il bambino più bello e robusto della regione», se si eccettuava il figlio della contessa di Monbron. Alfred fu battezzato l’8 giugno 1874; Charlotte doveva essere la madrina, ma dato che i genitori non l’avevano battezzata venne accolta a sua volta nella Chiesa lo stesso giorno. La famiglia non era particolarmente devota.18 Più avanti negli anni, quando ormai aveva adottato il plurale maiestatis di Ubu, e in circostanze poco adatte, Jarry disse poche cose riguardo ai genitori: «Nostro padre era un individuo di nessuna importanza, insomma un brav’uomo. Lui e nostra madre morirono a distanza di otto giorni l’uno dall’altra, giusto in tempo per lasciarci i loro soldi». Era questa la risposta di Jarry a una domanda cortese, rivoltagli durante un pranzo con l’attrice Marguerite Moreno, moglie di Marcel Schwob, e con la madre di lei. La Moreno riferì che sua madre rimase così sconcertata che in seguito Jarry non avrebbe più fatto onore alla loro tavola. In realtà, i genitori di Jarry morirono a distanza di due anni l’uno dall’altra, ma lui non avrebbe mai permesso alla verità di guastare provocazioni di questo tipo. Più tardi, quando la sua intima amica Rachilde gli pose la stessa domanda riguardo ai genitori, rispose cominciando nello stesso modo:19 Nostro padre era un individuo di nessuna importanza, insomma un brav’uomo. Non c’è dubbio che fu lui a fare di nostra sorella una ragazza stile anni trenta che andava matta per i nastri nei capelli, ma non può aver avuto molto a che fare con la creazione della nostra preziosa persona! Nostra madre era una giovane nobildonna che discendeva dai Coutouly, piccola e tracagnotta, volitiva e capricciosa, che fummo costretti ad approvare ancor prima di aver voce in capitolo. Aveva un debole per i travestimenti. Abbiamo una foto in cui appare vestita da torero, pantaloni corti, corpetto dai ricami dorati con sonagli e berretto di velluto calato sulla tempia. Come ogni donna, era la disperazione del marito, che forse ebbe il torto di non servirsi del randello.20
Se queste dichiarazioni mostrano uno scarso rispetto filiale, ci fanno però intuire i sentimenti di Jarry per entrambi i genitori. Per il padre, che dopo l’infanzia ebbe scarsi contatti con lui, mostrò sistematica indifferenza. In compenso, provava un affetto sincero per la madre, la cui indole capricciosa, per non dire stravagante, dev’essere andata a genio al figlio. Dei genitori non è rimasto alcun ritratto e non ci sono neppure foto di famiglia (non abbiamo fotografie di Jarry prima dei diciannove anni).
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Il padre di Jarry, Anselme, era nato a Laval nel 1837. Nei due secoli precedenti gli uomini della famiglia erano stati muratori, tessitori, falegnami, ma, grazie alla parsimonia e determinazione di generazioni di donne, gradualmente si erano trasformati da artigiani in possidenti. Erano dei rentiers, perciò appartenevano alla stessa classe di quelli a cui P.H., o Ubu, estorceva phynance. Molte delle loro proprietà erano situate a Laval, in rue de Bootz. La famiglia era particolarmente affezionata a questa strada. Nel 1830 la bisnonna di Jarry aveva acquistato la casa di famiglia ai numeri 13 e 15, e i nonni, nel 1842, le case corrispondenti ai numeri 21 e 23. Poco tempo dopo Anselme e il fratello comprarono le case ai civici 10 e 12. Da questi affari immobiliari si deduce che la famiglia di Jarry fosse diventata discretamente facoltosa, e che questo avesse consentito al ventiseienne Anselme di avviare con un socio un’impresa tessile. Per un po’ gli affari andarono bene ed essi affittarono altre proprietà a Laval, fra cui la casa in cui nacque Alfred, sotto o accanto alla quale c’era il negozio destinato alla vendita dei loro prodotti. La casa, trovandosi in una bella posizione, è visibile in molte fotografie e cartoline di Laval.21 La madre di Jarry, Caroline, nata Quernest, aveva cinque anni meno di Anselme ed era una bretone di cultura più elevata. Il padre, Charles Jean-Baptiste Quernest, era magistrato nella città di Hédé, che si trova circa trentadue chilometri a 32
nord di Rennes. Era una donna colta e determinata ma, come nota il figlio, anche capricciosa. A quanto pare vestiva in modo poco convenzionale, o per lo meno così pensavano i cittadini conservatori di Laval. I suoi antenati erano nobili, ma non quanto le sarebbe piaciuto. Secondo una tradizione di famiglia, da parte materna discendevano da Erbrand Sacqueville, uno dei seguaci di Guglielmo che avevano conquistato l’Inghilterra, e quindi dai Sackville, duchi del Dorset. Le scrupolose ricerche genealogiche compiute da Arnaud, Bordillon e Lassalle non sono bastate ad accertare questi dati, ma l’ipotesi sembra poco verosimile.22 Tuttavia, la famiglia di Caroline era abbastanza aristocratica da accogliere il tradizionale complemento di una pecora nera. La sorella era alcolizzata e vagava per le vie vestita da barbona e anche il fratello, Charles, aveva un debole per la bottiglia. Più seriamente, la madre soffriva di accessi di follia abbastanza gravi da impedirle di dare il suo consenso al matrimonio di Caroline e morì nel manicomio di Rennes all’inizio del 1883.23 I genitori di Alfred si sposarono il 16 luglio 1863 e andarono a vivere al numero 13 di rue de Bootz. I dettagli del loro contratto matrimoniale erano più vincolanti del solito, un po’ come negli accordi prematrimoniali di oggi. La loro primogenita, Charlotte, nacque nel 1865, seguita nel 1870 da un figlio, morto due settimane dopo la nascita. Alfred-Henri nacque tre anni dopo, quando la famiglia si era già trasferita in quai de la Mayenne. La casa era addossata a un edificio situato nella via retrostante, rue du Val de Mayenne, dove si trovava il negozio del padre di Jarry.24
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Laval, rue du Val de Mayenne negli anni novanta. L’edificio sulla destra è il negozio di Bordeau-Duchemin che era stato di Anselme Jarry. Questa foto risale ad alcuni anni dopo, quando Anselme aveva già ceduto la sua quota dell’attività. Sulla sinistra, la strada che porta alla scuola elementare di Jarry.
Le Annotazioni di Charlotte rievocano alcuni anni felici di Alfred in quella casa accanto al fiume, ma probabilmente la memoria la tradisce, dato che la notizia non è confermata dal censimento di Laval. Quello del 1872 attesta che i Jarry risiedevano al numero 8 di quai de la Mayenne e che si trattava di un edificio diverso da quello del negozio, benché confinante. Si tratta dello stesso stabile in cui risiedevano monsieur Bordeau e la moglie (nata Duchemin), la cui insegna è visibile nella cartolina qui sopra e in quella a pagina 30. Ma il numero 8 di quai de la Mayenne non si trova nel censimento del 1876 (quando Jarry aveva tre anni): i Jarry erano tornati a vivere in rue de Bootz. In seguito devono aver fatto ritorno al quai, forse alloggiando sopra al negozio (Duchemin viene indicato da Charlotte come socio di Anselme), dato che Jarry nel romanzo L’amore assoluto (L’Amour absolu) dice che partiva da lì per andare a scuola. Ogni giorno lui e la madre salivano su per lo stretto passaggio accanto al castello e poi scendevano per le ripide vie della parte medievale della città. Cominciò a frequentare la scuola elementare nel maggio del 1878; a quel tempo in provincia c’era ancora la consuetudine di vestire gli scolari da bambine. A casa Charlotte ricorda “Fredo” che costruisce un
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Saint-Brieuc, il paese in cui è cresciuto Jarry. In alto, boulevard Charner. La casa d’infanzia di Jarry si trova sulla sinistra verso la metà della strada, nell’edificio che espone un’insegna sul muro. Il percorso sotto gli alberi visibile sulla destra, che in fondo è rialzato di circa quindici metri rispetto alla strada, attualmente si chiama esplanade Alfred Jarry. In basso, il porto in cui pescava.
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piccolo teatro ritagliando le pagine del Magasin pittoresque: birilli vestiti da attori affrontavano coraggiosamente una tormenta di pezzetti di carta.25 Gli affari di Anselme, che da qualche tempo non andavano più molto bene, si conclusero nel 1879 con il fallimento ed egli fu costretto a fare il commesso viaggiatore per vari stabilimenti tessili fuori città. Tutte le sue proprietà furono ipotecate e dovette rinunciare alla casa in affitto sulla Mayenne. La famiglia fu costretta a tornare ancora una volta in rue de Bootz, in una casa recentemente costruita da Anselme, ma Caroline si rifiutò, obiettando che l’intonaco ancora fresco li faceva tossire. Secondo il primo biografo di Jarry, Paul Chauveau, aveva anche altre rimostranze: il marito non faceva che lavorare, lei si sentiva trascurata e via dicendo. Fatto sta che Caroline prese i bambini e lo lasciò. In seguito lo sventurato Anselme continuò a fare il rappresentante e in famiglia si guadagnò la reputazione, probabilmente immeritata, di uno per il quale «l’ora dell’aperitivo è sacra». Le sue prospettive migliorarono un po’ nel 1888, allorché, alla morte della madre, ereditò una parte dei beni di famiglia. Dopo che ebbe pagato i debiti non gli restò granché, eppure continuò a provvedere al sostentamento di Caroline e dei figli.26 Caroline andò a vivere con i figli a Saint-Brieuc, a circa centosessanta chilometri da Laval, sulla costa settentrionale della Bretagna, dove il padre, Charles Quernest, si era trasferito di recente. Mentre Laval e Mayenne erano luoghi tranquilli e noiosi, la Bretagna era del tutto diversa: un altro mondo, con lingua, tradizioni, miti e costumi tutti suoi, anche se a Saint-Brieuc non si parlava bretone. La famiglia di Caroline era sparpagliata nelle città e nei villaggi vicini: zie, cugini e due zii a Lamballe, che distava circa dieci chilometri. Jarry avrebbe ricordato i suoi anni in Bretagna come idilliaci. In casa non si doveva competere tra maschi per l’affetto della madre e fuori, specialmente quando si era ospiti dei parenti, c’era il paesaggio bretone. Alfred era libero di girovagare nei vecchi boschi a sud di Lamballe, famosi per essere celebrati dalla leggenda di re Artù, e lungo la linea costiera delle Côtes-d’Armor intorno a Saint-Brieuc e vicino a Erquy. Quella parte della Francia era rimasta essenzialmente immutata dal Medioevo in poi, non c’era quasi traffico, gli edifici moderni erano ben pochi, tranne nelle città più grandi, e il turismo non era ancora stato inventato. Questo scenario viene rievocato nell’Amore assoluto, ambientato nei dintorni di Laval (Lampaul, nel romanzo). Vi sono molte, intense evocazioni della campagna, e ricordi di una vedetta della guardia costiera, una baracca sulla cima di una scogliera, che divenne il rifugio preferito del giovane Alfred. Ricordi della felicità, forse solitaria, di quegli anni avrebbero sempre continuato a permeare la sua vita. Al tempo in cui Alfred cominciò a frequentare la scuola locale, nell’autunno del 1879, la sua famiglia viveva al numero 12 di boulevard Charner: una via cu-
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pa, anonima, che portava alla stazione ferroviaria. Il lato della strada è ancora dominato da un grande terrapieno circondato da muri, che presumibilmente fungeva da sostegno a uno scalo di smistamento. Attualmente si chiama esplanade Alfred Jarry. La famiglia rimase lì per nove anni. Sappiamo poco della vita di Jarry in quel luogo e dei suoi rapporti con la famiglia materna, benché sia ragionevole supporre che vedesse spesso il nonno. Charles Quernest aveva ereditato dai genitori una grande ed eclettica biblioteca, e nel suo studio, circondato dai libri, si dedicava all’esplorazione dei rami più nobili dell’albero genealogico di famiglia, una mania che trasmise alla figlia e a entrambi i nipoti. Ancora una volta, la nostra fonte principale sono le Annotazioni di Charlotte. Vi si dice che oltre alla lettura Jarry aveva altre due passioni: l’entomologia e la pesca. Nel 1908, Charlotte spedì a Rachilde una cartolina (vedi figura pagina 34, in basso) che ritraeva il posto in cui Jarry amava pescare da bambino. Ricorda che andava a caccia di farfalle, «con la serietà di un naturalista», e pescava gamberetti dagli scogli sulla spiaggia di Val-André, con un grande cappello di paglia calcato in testa.27 Nonostante il suo tenace amore per il paesaggio, la mitologia e le tradizioni della Bretagna, Jarry non trovò niente di ammirevole negli abitanti di SaintBrieuc, un centro a vocazione commerciale sviluppatosi intorno al porto. Una 36
poesia scritta a tredici anni comincia così: «Ogni cosa, a Saint-Brieuc, è più o meno stupida, e la gente di città è matta da legare». Questa canzonetta è tuttora familiare agli abitanti di Saint-Brieuc, e continua a offenderli (come scoprii quando feci ricerche su Jarry all’ufficio turistico locale).28 Nel 1947 negli uffici del Mercure de France, il primo importante editore di Jarry, Maurice Saillet s’imbatté casualmente in un fascicolo il cui titolo era “Ontogenesi [Ontogenèse]. Testi precedenti a Minuti [Minutes] alcuni successivi a Ubu re, che è più decoroso non pubblicare”. La cartella conteneva circa duecentosessanta pagine: tutti gli scritti giovanili a noi noti, alcuni dei quali ricopiati in data successiva. Da questo materiale si deduce che Jarry cominciò a scrivere almeno a dodici anni, all’inizio del 1885. Si tratta per lo più di poesie o di commedie in versi, influenzate in modo evidente da Victor Hugo, Théophile Gautier, Coleridge e in generale dai romantici, di cui compare l’intero repertorio: castelli in rovina, spettri, tempeste, forche, scheletri danzanti (come quelli raffigurati in un dipinto non datato di Jarry, sopravvissuto chissà come). A questa iconografia Jarry ricorse spesso, anche se nei suoi ultimi anni lo fece per lo più con intenzioni ironiche. Un altro gruppo di poesie giovanili è decisamente più oscuro, in particolare quelle scritte negli ultimi mesi passati a Saint-Brieuc, nel 1888, come Misère de l’homme (Miseria dell’uomo, il titolo dice tutto) e La Seconde vie ou Macaber (La seconda vita o Macaber). In quest’ultima la scena allestita con scheletri e forche serve
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solo a condurci in luoghi inesplorati, a introdurre il suicidio dell’eroe e il viaggio nel regno dei morti. Angoscia adolescenziale, forse. In questo caso le Annotazioni di Charlotte sono interessanti per ciò che non dicono: nessuna notizia di amicizie intime di Alfred a Saint-Brieuc. Questo rende più significativo l’incontro con Henri Morin, avvenuto in ottobre, a Rennes. Verosimilmente si tratta della prima vera amicizia di Jarry, e di una conoscenza che avrebbe avuto conseguenze letterarie. Morin fece vedere a Jarry il manoscritto dei Polacchi poco tempo dopo il suo arrivo a Rennes. È probabile che Jarry abbia contraccambiato mostrando a Henri qualcuna delle sue produzioni giovanili, in particolare le commedie e poesie che prendevano in giro i cittadini di Saint-Brieuc, laboriosamente affaccendati nella guerra della pompe à merde. Sebbene negli scritti di questo tipo non ci sia un personaggio archetipico del rango di Hébert, essi hanno molto in comune con I polacchi, specialmente l’interesse per «l’ignobile faccenda». Ispirati in origine dal recente acquisto di una pompa per le acque nere, che muoveva per le vie di Saint-Brieuc e spurgava rumorosamente le fogne, questi drammi in versi vennero scritti tra il 1886 e il gennaio del 1888. Con uno stile beffardamente eroico che evoca le tragedie classiche o shakespeariane, raccontano la lotta fra gli antliatores addetti alla pompa della merda, o Antlium (neologismo derivante dalla latinizzazione della parola greca che denota la pompa), e gli antliaclastes decisi a distruggerla. Come nelle commedie hébertiane, i personaggi sono ispirati a compagni di scuola e a insegnanti del liceo, e nei manoscritti alcune scene sono illustrate. I drammi diventarono sempre più apocalittici, anche in seguito all’associazione delle pompe al Taurobolium, la cerimonia mitraica che culmina con il sacrificio di un toro. Le pièce della saga di Antlium ricorrono già alla tecnica che caratterizzerà molte opere adulte di Jarry, Ubu compreso: accorgimenti stilistici contrastanti, erudite scempiaggini, mescolanza di eroismo e codardia, mitologia e quotidianità. Le lotte per l’Antlium, eroiche come le guerre puniche, culminano con la disastrosa esplosione della pompe à merde e con i combattenti «ricoperti di stima» (vedi immagine a pagina 38).29 A Saint-Brieuc l’attività letteraria di Jarry non interferì con la sua educazione e, a mano a mano che progrediva negli studi, le sue qualità di studente divennero sempre più evidenti. Alla fine dell’anno scolastico 1886 vinse cinque premi, classificandosi in quattro al primo posto; nel 1887 ne vinse sei, con tre primi posti; e quando nel 1888 vennero proclamati i vincitori dell’ultimo anno, ne vinse undici, sei dei quali erano primi premi. La madre intravide per il figlio un radioso futuro (la famiglia ne aveva un gran bisogno), quindi si trasferirono a Rennes. E anche lì Jarry fu capace di distinguersi negli studi; benché non abbia ricevuto encomi, fece… abbastanza. Non era, insomma, il figlio degenere che le successive battute sui genitori lasciano intendere. Subito dopo il trasferimento a Rennes, nell’ottobre del 1888,
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Alfred Jarry, manoscritto di una poesia appartenente al ciclo di pièce Antlium, datato 1° agosto 1886.
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Jarry entrò in possesso della sua prima bicicletta, acquistata a Laval da monsieur Trochon. Sembra che le attività sportive di Jarry (pesca, ciclismo e scherma) si siano svolte più a Laval che a Rennes, e che abbiano implicato frequenti o prolungati soggiorni presso il padre. A quindici anni Jarry entrò a far parte del Vélocipède Club di Laval, e partecipò al raduno annuale del marzo del 1889. Erano i tempi eroici del ciclismo. La prima bicicletta che si possa dire moderna, dotata di telaio a losanga e trasmissione a catena a trazione posteriore, fu la Rover di John Starley, prodotta a Coventry nel 1885. Ci vollero un paio di anni perché questo modello si diffondesse in Francia. La prima bicicletta di Jarry doveva essere simile a questa.30 Per la prima volta il ciclismo era alla portata delle tasche della gente comune, ed ebbe un grande impatto sulla mobilità dei meno abbienti. Però, essendo ancora una novità, c’erano spesso incidenti di ogni tipo. Molte strade erano sterrate e gli attacchi da parte dei cani, non abituati a quelle strane “bestie”, erano così frequenti che Jarry considerava il frustino un accessorio indispensabile, utile anche ad affrontare pedoni decisi a disarcionare il ciclista, dato che aggressioni di questo tipo erano a quel tempo all’ordine del giorno.31 Charlotte ricorda che il fratello pedalava da Rennes a Mont-Saint-Michel, andata e ritorno: un percorso di oltre settanta chilometri. Andare a Laval era, al paragone, poca cosa (la distanza era la metà). A Laval Jarry tirava di scherma nella salle d’armes di maître Blaviel. L’unica testimonianza di questa passione giovanile è riportata nella cronaca di un torneo fatta da un quotidiano locale, L’Avenir de la Mayenne, il 10 febbraio 1889:32 L’incontro che opponeva monsieur Jarry a monsieur Kavanagh figlio è stato oggetto di molti commenti ed entusiasticamente applaudito. Questi due giovani sono già noti per il modo in cui calcano la pedana, e il loro addestramento è da manuale. Di recente monsieur Jarry ha vinto il primo premio nell’open dei campionati regionali di Angers. Domenica ha fatto belle parate e fulminee risposte.33
Jarry si distingueva anche in classe, e la fama di indisciplinato che si era guadagnato a Rennes probabilmente è eccessiva. Il libro di Charles Chassé su Jarry è la fonte principale per questo periodo e, per motivi puramente personali, Chassé incoraggiò i vecchi compagni di scuola di Jarry a testimoniare in modo da metterlo in cattiva luce. Ne dipinse un ritratto vivace, ma deliberatamente distorto. Nonostante le sue tendenze sovversive, ormai Jarry doveva aver compreso che il successo scolastico era l’unico modo per sfuggire a quella vita provinciale ed hébertiana. La produzione letteraria di Saint-Brieuc era stata considerevole e, verso la fine del suo soggiorno lì, degna di esser presa in seria considerazione. Se aveva già ambizioni letterarie, allora doveva andare a Parigi, e questo dipendeva dai risultati scolastici.
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La pompe à merde, il non plus ultra per lo spurgo delle fogne (presente nel ciclo di pièce Antlium).
Jarry e Henri Morin presero la prima parte del baccalauréat (diploma di ma40
turità) nel 1889: affrontarono l’esame scritto il 19 luglio (traduzione dal latino, tema di francese, composizione in lingua straniera) e l’orale il 5 agosto. Jarry dovette tradurre e commentare l’Iliade (libro xviii), le Georgiche di Virgilio (libro ii) e la poesia di Goethe Hermann e Dorothea, e infine dissertare sulle opere di La Bruyère – I caratteri – e di Rabelais (che doveva aver trovato di proprio gusto); in storia gli era stato assegnato come argomento la famiglia Guise (potenti aristocratici del xvi secolo), e in geografia la regione delle Vosges e delle Ardenne. L’anno dopo il secondo baccalauréat: il 17 luglio l’esame scritto (filosofia e scienze naturali) e il 19 l’orale. Questa volta gli argomenti furono le ipotesi filosofiche, la monadologia di Leibniz e le opere aristoteliche, la divisione delle frazioni, la legge di Mariotte sui gas e la campagna napoleonica del 1799. Sia Jarry sia Morin ottennero il bac con il giudizio “buono”.34 Non si sa nulla delle attività di Jarry tra il luglio del 1890 e il giugno dell’anno seguente, tranne il fatto che al liceo era nella classe avanzata dei “veterani” che si preparavano agli studi superiori. Ma preparazione a cosa, scienze fisiche o studi classici? Morin scelse la praticità e l’École Polytechnique, mentre (secondo Henri Morin) Jarry, competente tanto nelle scienze quanto nelle arti, era indeciso, benché la famiglia premesse per il Polytechnique. Jarry esitò, poi fece la sua scelta: arti e letteratura, ma la “scienza della Patafisica” avrebbe sostenuto la sua opera letteraria e la sua vita con un metodo scientifico tutto suo.35