Cinema&experience

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«Dov’è, oggi, nella mutevole cultura dell’immagine, trasformata dai nuovi media, il bello dell’esperienza cinematografica? Adesso che la proliferazione di film su piattaforme grandi e piccole e l’ibridazione delle forme cinematografiche in una gran quantità di videogame e di installazioni di arte digitale hanno reso i confini di questo dispositif poroso e precario?» «Miriam B. Hansen ha coltivato le tradizioni della Teoria Critica, la storia del cinema moderno e le proprie curiosità diventando nei cinema studies un trait d’union transatlantico, teoretico e pratico, fondamentale.» Alexander Kluge, Berlin Journal

Miriam Bratu Hansen

Miriam Bratu Hansen (1949-2011) è stata una delle fondatrici dei cinema studies. Nata in Germania, ha studiato a Francoforte con Habermas e Adorno per poi trasferirsi negli Stati Uniti. Nel 1990 è approdata alla Chicago University, dove ha aperto il dipartimento di Cinema e Studi sui Media insegnando fino alla sua scomparsa. Oltre alle importanti collaborazioni con Alexander Kluge, ha scritto innumerevoli saggi sulla storia del cinema e sulla teoria del film.

Cinema & Experience

Nella stessa collana: 1. Annie Cohen-Solal Americani per sempre. I pittori di un mondo nuovo: Parigi 1867 – New York 1948 2. Clement Greenberg L’avventura del modernismo. Antologia critica 3. Ai Weiwei Il blog. Scritti, interviste, invettive 2006-2009 4. Brian O’Doherty Inside the White Cube. L’ideologia dello spazio espositivo 5. Marco Meneguzzo Breve storia della globalizzazione in arte (e delle sue conseguenze) 6. Frederic Spotts Hitler e il potere dell’estetica 7. Pierre Schneider Louvre mon amour. Undici grandi artisti in visita al museo più famoso del mondo

Miriam Bratu Hansen

Cinema & Experience Le teorie di Kracauer, Benjamin e Adorno

A partire dagli anni novanta i cosiddetti cinema studies hanno subito una tale proliferazione da diventare una vera e propria disciplina accademica. Attualmente, però, il loro oggetto d’indagine sembra dissolversi sempre di più in un flusso di mutevole, globale e globalizzante, cultura dell’immagine: audiovisiva, elettronica, digitale e web. Miriam Bratu Hansen ricomincia dal principio, ovvero dalla perspicace critica della modernità operata da tre pilastri dell’estetica del Novecento – Kracauer, Benjamin e Adorno – incentrata proprio su questo media: non su ciò che il cinema è, ma su quello che fa, ovvero la particolare esperienza sensoriale e mimetica che esso rende possibile negli spettatori. A cominciare, per esempio, dai cartoni animati di Mickey Mouse, così popolari, diceva Benjamin, per il «semplice fatto che il pubblico riconosce in essi la propria vita». Non un’ontologia del cinema, dunque, ma un tentativo di comprensione, sebbene con prospettive e modalità differenti, del suo ruolo all’interno della modernità in evoluzione. I film, infatti, contribuiscono in maniera sostanziale alla riconfigurazione dell’esperienza intesa nel suo senso più pieno di Erfahrung, ovvero come vita quotidiana, rapporti sociali e lavorativi, economia e politica. Nonostante il competitivo ambiente mediatico in cui è inserito, il cinema è comunque sopravvissuto, si è adattato e trasformato. La recente apertura della frontiera del digitale e il necessario ripensamento di dispositivi e categorie filmiche fondamentali come il movimento e l’animazione lanciano una nuova sfida, che però non è una minaccia: dopo aver fatto «saltare con la dinamite dei decimi di secondo questo mondo simile a un carcere», il cinema potrebbe riaprire capitoli dell’estetica apparentemente chiusi e riattualizzarli.

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