Mark Stevens – Annalyn Swan
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de Kooning
Mark Stevens – Annalyn Swan
de Kooning L’uomo, l’artista Font: Futura heavy Colori: Pantone
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Font: Futura heavy Colori: Pantone
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Mark Stevens - Annalyn Swan
de Kooning Traduzione di Irene Inserra e Marcella Mancini
Olanda
Zaagmolenstraat a Rotterdam Noord, dove nacque de Kooning.
1 Un'infanzia difficile «Mia madre era una despota e Willem un testardo.» Marie van Meurs de Kooning, sorella di de Kooning.
A Rotterdam, i ragazzini si radunavano spesso nei pressi del porto per giocare e guadagnarsi un po’ di spiccioli sbrigando qualche commissione per i portuali, seguire le combriccole di marinai forestieri e osservare i tipi strani che girovagavano per i moli. La zona di Schiedamsedijk, brulicante di bar, sale da ballo, musicisti ambulanti e prostitute, era a due passi. Vicine erano pure le botteghe del quartiere ebraico, che facevano orari inconsueti ed emanavano il fascino di un’altra cultura. Intorno ai moli c’era sempre un certo fermento. Qui si infrangeva ogni regola, almeno nella fantasia di un bambino. Willem de Kooning era uno dei ragazzini che bazzicavano il porto, uno dei più grandi e moderni del mondo. Questo microcosmo rude e pulsante di attività, che negli anni d’oro all’inizio del Novecento non si fermava neppure di notte, era il cuore di Rotterdam, un luogo di mistero e lavoro duro in cui la vita pratica di ogni giorno si mescolava di continuo all’esotico. Gru rompevano la linea dell’orizzonte, navi giungevano da posti remoti, parole incomprensibili fluttuavano nell’aria. Qui de Kooning iniziò a sviluppare un certo gusto per il dinamismo e il trambusto del mondo moderno, saldando l’immagine del mare all’idea di cambiamento e di progresso. Ma il porto era anche e soprattutto una promessa aperta. Se de Kooning traeva stimolo dall’energia vitale dei moli, il mare era e rimase a lungo la sua principale musa ispiratrice. «La vicinanza del mare mi fa stare bene» avrebbe detto in seguito al critico Harold Rosenberg. «È da lì che provengono tanti miei quadri, anche quelli fatti a New York.» Wim, come lo avevano soprannominato la madre e la sorella, passava ore a guardare i piroscafi. Gli piaceva il modo in cui «l’aria rifletteva l’acqua» e il cielo e il mare si scambiavano riverberi di luci e colori. A quattro anni, avrebbe raccontato la sorella maggiore Marie, Willem stupì tutta la famiglia disegnando sulla parete una grande toom (così il piccolo chiamava la “nave”), il primo “de Kooning” di cui
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si ha notizia. Ben presto il mare divenne sinonimo di libertà: dalla povertà e da un paese troppo ordinato e spesso opprimente che come molte culture protestanti celebrava l’individualità pur incoraggiando il conformismo, ma anche da una famiglia soffocante lacerata da liti furiose e spesso violente.
De Kooning, che in olandese significa “il re”, aveva origini tutt’altro che nobili. Era nato il 24 aprile 1904, al pianterreno di un edificio tuttora sito al numero 13 di Zaagmolenstraat, un’arteria del quartiere operaio di Rotterdam Noord. La città in cui trascorse i suoi primi anni di vita era carica di tensione e instabilità, moderna e al tempo stesso arcaica. Nei giorni di mercato i contadini venivano dalle campagne con indosso il costume tipico e gli zoccoli di legno per vendere i loro prodotti agli operai. A Rotterdam la tradizione era continuamente minacciata dall’avanzare del nuovo. Rotterdam rimase fino al 1850 un tranquillo porto a trentasette chilometri dal Mare del Nord. Nella seconda metà del secolo divenne una città 24
proiettata nel futuro, dinamica e grintosa, in cui la corrente elettrica arrivò prima che in tutto il resto dei Paesi Bassi. Del resto, Rotterdam era anche la meno chiusa delle città olandesi: al contrario dell’aristocratica Aia, capitale storica del paese, era più che disposta a rompere con il passato per adattarsi alle esigenze dell’industria. Negli anni sessanta dell’Ottocento il fiume Rotte, da cui la città prendeva il nome, venne audacemente interrato perché non abbastanza grande da consentire il transito dei piroscafi moderni e al suo posto fu costruita una strada ferrata che arrivava al mare. Nel 1874 vennero create nuove infrastrutture navali, e le industrie in rapida espansione della Renania iniziarono a spedire le proprie merci a Rotterdam lungo il Reno. Nel 1890 il Nieuwe Waterweg creò un collegamento diretto tra il porto e il mare, evitando alle navi di percorrere una serie di ardui canali. La città divenne una potenza economica. Il porto ne definiva il volto e ne scandiva i ritmi, trasformando la notte in giorno con la sua febbrile attività. Nel bene o nel male, quello che gli abitanti di Rotterdam avrebbero mangiato dipendeva dal traffico marittimo. A metà Ottocento la città contava cinquantamila abitanti, numero che triplicò nei venticinque anni successivi. A cavallo del secolo, più o meno nel periodo in cui nacque de Kooning, la popolazione superava le trecentomila unità e il suo tasso di crescita era il più alto di tutta l’Olanda. Il quartiere di Rotterdam Noord, dove de Kooning trascorse quasi tutta l’infanzia, fu costruito dagli speculatori per far fronte all’esigenza abitativa di un prole-
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tariato urbano in rapida espansione. Squallido e opprimente, con una serie pressoché infinita di case a schiera, si estendeva a nord e a est della città. Come altri rioni poveri, tra cui le grandi aree di caseggiati popolari a sud, ospitava una popolazione itinerante di marinai, portuali e contadini. Questi ultimi si erano trasferiti in massa dopo che l’importazione di cereali a basso costo dall’America del Nord li aveva costretti ad abbandonare i campi. Da Rotterdam partivano le navi per il Nuovo Mondo e migliaia erano gli emigranti che arrivavano in treno dalla Germania e dall’Europa dell’Est per affrontare la traversata. Nonostante i cambiamenti incessanti, a Rotterdam regnava una certa stabilità. La città era dominata da un ristretto numero di costruttori navali e famiglie benestanti, molte delle quali originarie del luogo. Gli operai, economicamente fragili e spesso alla disperata ricerca di lavoro, erano restii a rischiare il posto per sfidare l’autorità. Benché gli olandesi si siano spesso vantati di essere meno classisti degli inglesi e dei francesi, l’Olanda in cui de Kooning trascorse l’adolescenza era, come le Midlands in via di industrializzazione e il Galles del giovane D.H. Lawrence, una società stratificata in cui l’avanzamento era difficile e le ferite di classe profonde. Gli antenati di de Kooning furono perlopiù servitori, manovali e artigiani. Il bisnonno paterno, Cornelis de Kooning, era originario di Woerden, una cittadina fluviale situata una quarantina di chilometri a nordovest di Rotterdam, e faceva il costruttore navale. Nato tra il 1810 e il 1811, Cornelis lasciò Woerden per Delfshaven, una provincia costiera a ovest di Rotterdam. Qui, nel 1838, nacque suo figlio Willem, così chiamato in onore del nonno paterno. Negli anni quaranta dell’Ottocento, Cornelis si trasferì a Rotterdam per lavorare nei fiorenti cantieri navali della città e andò ad abitare al numero 2 di Vinstraat insieme alla moglie Anna Catharina Jacoba Jurgens, al figlio Willem e alla figlia Jacoba. Cornelis morì nel 1850, all’età di trentanove o quarant’anni, lasciando soli la moglie e i due figli. Nei dieci anni successivi, Anna Catharina mantenne la famiglia facendo la cameriera. All’epoca in cui perse il padre, Willem – il nonno di de Kooning, quello da cui il futuro artista avrebbe preso il nome – aveva dodici anni e andava ancora a scuola. La sua educazione si sarebbe interrotta subito dopo (fino agli inizi del Novecento era usanza che i figli dei proletari smettessero di studiare a dodici anni per poi imparare un mestiere). Come suo padre, Willem lavorò nei cantieri navali. Nel 1865 sposò Maria van Ladenstijn, che faceva la cameriera. La coppia ebbe dieci figli, quattro dei quali maschi. Uno era il padre di de Kooning, Leendert.
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Nato a Rotterdam il 10 febbraio 1876, Leendert era un uomo ambizioso, rigido e introverso. Il suo volto impenetrabile lasciava trasparire la vena di egoismo che si diceva scorresse in tutti i de Kooning. Cominciò vendendo fiori, prima da un carretto e poi su un banco alla stazione ferroviaria. Nel 1896, a vent’anni, mise in piedi insieme al fratello maggiore una piccola ditta che imbottigliava e distribuiva birra ai bar. Poi preferì mettersi in proprio e aprì un’attività tutta sua in un modesto edificio al 26 di Vledhoekstraat, nel quartiere di Rotterdam Noord, non lontano da un grande birrificio Heineken sorto da poco. Iniziò a guadagnare qualche soldo e ad avere una certa stabilità. La sua estrema riservatezza, tutt’altro che insolita per un olandese, poteva persino apparire romantica in un ventenne di bell’aspetto. Nel 1897 o 1898 si invaghì di Cornelia Nobel, che era tutto l’opposto di lui: veemente, impetuosa, caustica e schietta. Nella Rotterdam di fine secolo, un uomo parco e ambizioso come Leendert sarebbe apparso un buon partito per una giovane di estrazione umile come Cornelia. La famiglia della ragazza risiedeva a Schiedam, appena a ovest di Rot26
terdam, almeno fin dal Settecento. Nel 1873, la madre di Cornelia – che si chiamava Cornelia a sua volta – aveva sposato Christiaan Gerardus Nobel, carpentiere e fabbricante di casse da imballaggio. La coppia si stabilì al numero 47A di Rotterdamsedijk, una stradina di Schiedam, dove Christiaan costruiva botti e casse per il gin a buon mercato che aveva reso famosa la cittadina. I Nobel ebbero nove figli, cinque dei quali morirono precocemente. Dei quattro che sopravvissero, tre erano femmine. L’unico maschio, Chris Nobel, zio di de Kooning, fu il primo della famiglia a emigrare in America. Si stabilì a Brooklyn, dove de Kooning andò qualche volta a fargli visita dopo il suo arrivo a New York. Cornelia nacque il 3 marzo 1877. Fu considerata difficile fin da quando era bambina: come dicevano diplomaticamente i suoi, aveva “un bel caratterino”. Magra e di bassa statura, Cornelia aveva capelli neri, occhi scuri e una silhouette di cui andava molto fiera. Smaniosa, con i nervi sempre tesi e la lingua tagliente, si arrabbiava facilmente e non rideva quasi mai. I conoscenti la pensavano sempre più alta e imponente di quanto non fosse in realtà. Il suo terzogenito Jacobus Koos Lassooy, avuto dal secondo marito, la descriveva come una «donna autoritaria che dominava su tutta la famiglia». Tutti i suoi parenti la trovavano difficile. Henk Hofman, un cugino di de Kooning, ha raccontato che persino sua madre – la sorella di Cornelia – non riusciva a sopportarla troppo a lungo. Sempre ansiosa di stare al centro della scena, Cornelia aveva una naturale tendenza all’istrionismo; l’interesse per
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Ritratto ufficiale di de Kooning da bambino.
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la recitazione, a quanto pare, era presente in tutta la famiglia. Da ragazza cantava, e quando i figli furono cresciuti fece un po’ di teatro a livello amatoriale. I parenti le riconoscevano un certo gusto, ma forse intendevano dire che voleva elevarsi socialmente e si dava delle arie. Era anche “molto svelta” e parlava olandese a raffica con un “marcato” accento di Rotterdam. Cornelia se ne andò di casa nell’agosto del 1894, quando era ancora un’adolescente, per trasferirsi ad Haarlem, dove probabilmente trovò lavoro come domestica. Fu un passo coraggioso: la cittadina si trovava a un’ottantina di chilometri da Rotterdam, una distanza all’epoca non trascurabile. Alla fine dell’ottobre 1895, tuttavia, Cornelia fece ritorno a Schiedam, forse perché si sentiva inadatta al ruolo di cameriera. Due erano le possibilità che si aprivano a una ragazza nella sua condizione: sposarsi oppure andare a svolgere lavori umili. Cornelia era graziosa e gli uomini trovavano senz’altro affascinanti i suoi modi e la sua teatralità. Nel settembre 1898 rimase incinta di Leendert. Eventi di questo tipo non erano rari né per l’epoca né per l’estrazione sociale della coppia. La gravidanza fuori dal vincolo matrimoniale non era tollerata, ma neppure risolutamente condannata. Pochi erano i ragazzi che potevano permettersi di mantenere una famiglia e spesso i proletari olandesi si sposavano tardi. Nessuno si meravigliava, quindi,
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che le giovani coppie avessero rapporti sessuali al di fuori del matrimonio o che, non esistendo la contraccezione, spesso le ragazze rimanessero incinte. A Rotterdam, dove tante erano le persone senza un’occupazione fissa, la morale in materia sessuale era senz’altro predicata ma non altrettanto osservata. Se una donna rimaneva incinta, ci si aspettava però che l’uomo se ne assumesse la responsabilità. La coppia si sposò dunque a Schiedam il 22 dicembre 1898. Leendert aveva ventidue anni, Cornelia ventuno. Nessuno sa se quell’unione fu realmente voluta o se corrispose invece a una scelta obbligata. Quel che è certo, è che i due giovani furono sottoposti fin da subito a forti tensioni emotive. Nel 1899, sei mesi dopo il matrimonio, nacque Marie, la sorella maggiore di de Kooning. Nel 1901 Cornelia partorì due gemelle, Adriana e Cornelia, che morirono pochi giorni dopo; nel 1902 fu la volta di un’altra bambina, Cornelia, che sopravvisse fino a otto mesi; il 24 aprile 1904 venne alla luce Willem de Kooning, il secondo di quei cinque figli che rimase in vita. Da quando si era sposata, insomma, Cornelia non aveva fat28
to altro che accudire o seppellire neonati passando da una gravidanza all’altra. Nel quartiere in cui la famiglia abitava la vita era una continua lotta: i de Kooning rientravano in quella massa di persone che viveva alla giornata cercando di farsi strada in una società in trasformazione. Suo marito aveva poche energie da dedicare alla famiglia. Ancora ventenne, lavorava sodo per avviare la propria attività. Imbottigliava la birra per la Heineken e altri birrifici con l’aiuto di alcuni dipendenti e poi consegnava le bottiglie da Vledhoekstraat ai pub del quartiere trasportandole su carretti trainati da pony o da cani. Ben presto allargò l’attività e oltre alla birra si mise a imbottigliare e distribuire la limonata Elko. Quando nacque Willem, i de Kooning vivevano in Zaagmolenstraat. Lì le case erano leggermente più grandi rispetto alle vie adiacenti – un segno discreto dell’avanzamento sociale di Leendert – benché la loro fosse tutt’altro che bella. Nel quartiere di de Kooning eri considerato ricco se avevi una bicicletta (nella Rotterdam del 1910 non era raro che la gente si facesse ogni giorno due ore di strada a piedi per recarsi al lavoro). La maggior parte dei soldi se ne andava per i generi di prima necessità, anche se spesso e volentieri gli operai spendevano tutto il salario nei bar, gli unici luoghi in cui trovare un po’ di luce e di calore nell’inverno cupo e umido di Rotterdam, sferzato dal vento del Mare del Nord. Di solito si mangiava carne una volta a settimana, la domenica. L’alimento principale erano le patate insaporite con il lardo. Gli alloggi destinati agli operai, compresa la casa in cui vivevano i de
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Kooning, avevano tutti la stessa struttura. Ogni appartamento era composto di due stanzette: una fungeva da salotto, l’altra da cucina e luogo di riunione della famiglia. Tra questi due ambienti ve n’era un altro ancora più stretto e senza finestre, una sorta di corridoio che veniva usato come camera da letto comune. Sui lati c’erano due alcove, una per i genitori e l’altra destinata ai figli. Uno stesso letto poteva contenere fino a tre o quattro bambini. Sul pianerottolo c’era un rubinetto da cui le due famiglie che vivevano al piano prendevano l’acqua. In comune era pure il gabinetto, anch’esso sul pianerottolo, nel quale era contenuto un secchio che veniva svuotato a mano. Poiché scaldarsi costava, la gente pativa spesso il freddo. È probabile che i de Kooning avessero una stufa a carbone, mentre i più poveri accendevano piccoli fornelli da cucina a gas che funzionavano a moneta. Il bagno si faceva al massimo una volta a settimana, ai bagni pubblici oppure a casa, dove la stessa tinozza serviva per tutta la famiglia. L’acqua calda veniva acquistava alla drogheria locale e poi trasportata su per le scale del palazzo fino all’appartamento. Fare il bucato era complicato e costoso perché bisognava procurarsi l’acqua calda oppure rivolgersi a una lavandaia, perciò di rado si portavano abiti puliti. Lenzuola e coperte, voluminose e difficili da asciugare, non venivano lavate quasi mai. A Rotterdam Noord le famiglie traslocavano continuamente. In genere si affittava metà piano di un immobile pagando un canone settimanale, ma se l’appartamento diventava sudicio o si trovava un affare migliore ci si trasferiva altrove. Pareti tinte di fresco, per esempio, potevano invogliare una famiglia a cambiare casa. Per attrarre gli inquilini, a volte i proprietari offrivano un paio di settimane o magari un mese di affitto gratis. Il trasloco non era un problema perché quasi nessuno possedeva mobili o beni che valesse la pena portarsi dietro. La gente caricava le poche cose che aveva su un carretto a mano e le trasportava al nuovo alloggio. Dal 1899 al 1904, anno in cui nacque Willem, Leendert e Cornelia cambiarono sette case. Le difficoltà della vita quotidiana creavano ovviamente tensioni in molte famiglie della classe operaia. Leendert e Cornelia non facevano eccezione, tranne forse per il grado di ostilità che regnava tra loro. Sei anni di matrimonio avevano spazzato via tutto il fascino della vita coniugale. La giovane coppia aveva perso tre figli e viveva in uno squallido alloggio con un neonato e una bambina di cinque anni. I soldi erano pochi per un piccolo imprenditore intenzionato ad allargare la propria attività. Già sotto enorme pressione per mandare avanti la ditta di imbottigliamento, Leendert sopportava male gli oneri della vita familiare e non sopportava di tornare a casa da una mo-
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glie arrabbiata e due bambini urlanti. I coniugi scoprivano a poco a poco di avere un carattere incompatibile: il marito era rigido e taciturno, la moglie caparbia e capricciosa. Che i due cominciassero a litigare furiosamente era normale; che decidessero di porre legalmente fine al loro matrimonio era invece ben più insolito, dal momento che nell’Olanda del primo Novecento il divorzio era piuttosto raro (di solito le coppie che non andavano d’accordo vivevano separate pur restando sposate). Cosa ancora più atipica, non fu Cornelia ma Leendert che avviò le procedure legali. Di solito accadeva che l’istanza di divorzio fosse presentata dalla moglie, generalmente abbandonata o picchiata dal marito. Il 20 febbraio 1906, quando Willem stava per compiere due anni, fu invece Leendert a iniziare le pratiche di separazione, accusando ufficialmente la moglie di maltrattamenti e crudeltà. Un uomo nella posizione di Leendert non avrebbe chiesto il divorzio a cuor leggero. La sua decisione ci lascia dunque supporre che il rapporto matrimoniale fosse particolarmente difficoltoso e forse anche violento. Cornelia aveva un temperamento collerico e veniva spesso colta da accessi di rab30
bia, tanto che anni dopo Leendert la definì “isterica”. Tendeva anche a essere manesca: oltre a schiaffeggiare i figli, forse picchiava anche il marito affettivamente distante, e magari questi reagiva a sua volta. Ad ogni modo, è probabile che le scenate, le urla e forse anche le percosse, in un appartamento piccolo e di fronte ai bambini, fossero più di quanto un uomo riservato e desideroso di farsi strada nel mondo potesse sopportare. Ad aumentare la tensione contribuì anche un episodio specifico. Non disponendo della licenza per uno dei carri adibiti alle consegne, Leendert venne rinchiuso per un breve periodo in prigione. Tornato a casa dopo il rilascio, scoprì che Cornelia aveva venduto diversi mobili della ditta. La donna spiegò di averlo fatto per sfamare i bambini, ma quel gesto equivaleva a mettere in discussione l’autorità di un marito. Il 21 aprile, tre giorni prima che de Kooning compisse due anni e due mesi dopo che Leendert aveva esposto le sue denunce, Cornelia presentò a sua volta istanza di divorzio per adulterio, maltrattamenti, insulti e sperpero di denaro. Quest’ultima accusa, con tutta probabilità infondata nel caso di Leendert, rifletteva senz’altro la convinzione che il marito trascurasse la famiglia e spendesse tutto per sé e la ditta. Avviata la pratica, Cornelia lasciò la casa in Zaagmolenstraat e si trasferì insieme alla figlia di sette anni e al figlio di due in un appartamento in Josephstraat, nella zona ovest di Rotterdam. Poco tempo dopo, tornò con i bambini a Rotterdam Noord, stavolta per abitare al numero 17 di Ooievaarstraat, in una casetta a due piani di categoria leggermente inferiore a quel-
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la in Zaagmolenstraat. Durante il processo, Leendert fu obbligato a versare alla moglie dieci fiorini a settimana per gli alimenti e il mantenimento dei figli, ma una volta emessa la sentenza finale – il 7 gennaio, quasi un anno dopo che Leendert aveva avviato la procedura – la somma gli venne dimezzata. Il tenore di vita di Cornelia precipitò drasticamente: la donna cominciò ad accettare lavori di lavanderia e a traslocare in case sempre più anguste e squallide. A febbraio, il tribunale affrontò la questione della custodia dei bambini. Secondo una nota leggenda sull’infanzia di de Kooning, spesso citata nelle succinte biografie contenute nei cataloghi dei musei, la corte avrebbe affidato la custodia di Willem al padre e quella di Marie alla madre. Cornelia avrebbe allora iniziato a lottare per avere Willem fino al punto di rapirlo e ne avrebbe poi ottenuto la custodia al termine di un’accanita battaglia legale. I documenti ufficiali del divorzio smentiscono questa versione, indicando che Cornelia ottenne fin dall’inizio la custodia di entrambi i figli, mentre suo padre, Christiaan Gerardus Nobel, ne ebbe la tutela. Dopo il divorzio, la donna e i due bambini si stabilirono al 34 di Rietvankstraat, in un’altra zona di Rotterdam Noord. In seguito Cornelia mandò il piccolo dal padre, non perché le fosse stato tolto ma perché aveva deciso di risposarsi. Stando agli archivi olandesi, de Kooning si trasferì a casa di Leendert cinque giorni prima che Cornelia si unisse in matrimonio a Jacobus Lassooy, l’8 aprile 1908. Il bambino trascorse quasi tutto il suo quarto anno di vita con il padre, mentre la sorella rimase con Cornelia e il nuovo marito. Sul punto di convolare a seconde nozze, la donna dovette forse pensare che una piccola peste di quattro anni avrebbe potuto creare tensioni nella nuova famiglia, cosa che la bambina, più grande e più docile, non avrebbe fatto. Nel periodo in cui de Kooning visse con il padre, tuttavia, accadeva spesso che Cornelia andasse a trovarlo nei posti in cui giocava e di tanto in tanto lo prendesse per portarlo a casa con sé. Quelle visite inattese dovevano creare tensione tra le due famiglie e grande imbarazzo al bambino, come lui stesso avrebbe poi ricordato. È comunque possibile che all’origine del falso aneddoto sull’assegnazione della custodia di Willem al padre ci fosse proprio il senso di colpa di Cornelia. Incapace di spiegare ai figli il motivo per cui vivevano in case diverse, la donna accusava l’ex marito e il tribunale, recitando il ruolo della madre eroica che aveva “rapito” Willem e si era battuta per riottenerne la custodia. Neanche de Kooning avrebbe saputo spiegare in seguito come erano andate esattamente le cose, anche se forse, come la maggior parte dei bambini coinvolti in divorzi burrascosi, non voleva neppure saperlo.
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Il 25 novembre 1908, sette mesi dopo che Willem aveva lasciato casa della madre, il padre si risposò con Neeltje Johanna Been, dieci anni più giovane di lui. Stando ai racconti familiari, la donna viveva per il marito e ignorava i figli (il fratellastro di de Kooning, Leendert, ha definito il suo rapporto con la madre “inesistente” e ha affermato che i genitori «non ci dimostravano amore»). Sia Willem sia Marie detestavano la matrigna e la accusavano di allontanarli ancora di più dal padre. Un mese dopo il matrimonio, la donna rimase incinta. Due mesi più tardi, Leendert rimandò Willem da sua madre, forse per proteggere a sua volta la nuova unione. Il bambino non aveva neppure cinque anni e nella sua breve vita non aveva fatto altro che cambiare case e genitori, vivendo all’insegna dell’instabilità in fredde camerette illuminate da lampi di rabbia. De Kooning parlava raramente della propria infanzia. Come molti altri emigrati, in America si lasciò risolutamente alle spalle la sua vita precedente. Quando gli chiedevano degli anni trascorsi a Rotterdam Noord, diventava improvvisamente reticente e sviava la domanda, oppure rispondeva che 32
non gli piaceva «rivangare il passato». Diceva: «Cerco di non pensare a questo aspetto della mia vita [l’Olanda]. È un modo per proteggermi dai miei stessi sentimenti». Ma la tensione emotiva di quegli anni emerge comunque dai documenti olandesi e da descrizioni indirette dei suoi genitori, oltre che dai pochi ricordi citati dall’artista. De Kooning rammentava di aver trascorso un’infanzia molto solitaria. Ancora prima di parlare, aveva imparato a conoscere le voci adirate e i silenzi glaciali di due genitori che si detestavano. Percepiva l’energia nervosa della madre, la fredda indifferenza del padre, la malinconia dell’adorata sorella maggiore. A neanche due anni vide il padre che se ne andava di casa, e a quattro si sentì crudelmente abbandonato dalla madre che lo mandava a vivere in un posto sconosciuto senza la sorella maggiore (salvo poi comparire all’improvviso di fronte a lui commossa, seduttiva e agguerrita); visse qualche mese con un padre distante finché non apparve un’altra donna che non lo voleva, dopodiché fu rispedito dalla madre e da un patrigno sconosciuto. Cornelia picchiava spesso i figli. De Kooning raccontava agli amici che veniva presa da attacchi isterici e che li malmenava con gli zoccoli di legno. Il fratellastro Koos ha affermato che non passava giorno senza che lei lo coprisse di lividi e, come dicono gli olandesi con un’espressione tipica, gli facesse “vedere i quattro angoli della stanza”. Cornelia non si limitava alle percosse, ma infliggeva ai figli pesanti punizioni psicologiche. Ogni tanto chiudeva Willem in un armadio e una volta vi si nascose lei stessa, per
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De Kooning e il fratellastro minore, Koos.
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poi balzare fuori all’improvviso brandendo un coltello. Per tutta la vita de Kooning ebbe paura della costrizione e amò l’idea di “liberarsi” dalle gabbie dell’abitudine o dello stile: avrebbe sempre difeso la prorompente verità dell’espressione incontrollata e liberatoria. Allo stesso tempo, imparò a essere sfuggente, a “guardare di sottecchi” una realtà intensa anziché affrontarla a viso aperto, come un bambino che è abituato ad aver paura. L’episodio più significativo che de Kooning raccontò sulla sua infanzia non riguarda i genitori, ma esprime ugualmente tutta la paura e il disperato senso di claustrofobia che provava da piccolo. Un giorno, giocando a biglie nella strada di fronte casa, gli cadde una pallina nella fogna. Un ragazzino più grande rimosse gentilmente la grata affinché Willem potesse scendere a recuperare la bilia, ma prima che il piccolo fosse risalito quello rimise la grata al suo posto e se ne andò, lasciandolo intrappolato lì dentro. Il piccolo Willem fu preso dal panico: non sapeva nuotare e pensò che sarebbe stato trascinato nel labirinto sotterraneo. Fu infine liberato da una vecchia signora, ma non avrebbe mai dimenticato l’orrore di quella prigione né l’umiliazione del salvataggio. Malgrado tutte le sue colpe, Cornelia “interpretava” magistralmente i
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suoi drammi privati. Il secondo marito, un uomo estremamente passivo, evitava qualsiasi scontro, così la donna riversò tutta la sua aggressività sul figlioletto ribelle, con il quale sperimentava regolarmente il piacere perverso delle lunghe battaglie senza esclusione di colpi. Marie raccontava ammirata che il fratello era “testardo” e riusciva a tener testa alla madre. Il conflitto vissuto in modo appassionato sarebbe diventato un tratto fondamentale delle opere di de Kooning, al pari del gusto per il gesto plateale. Willem non aveva altra scelta: doveva combattere la madre o lei lo avrebbe annientato come fece con la figlia e il secondo marito. Una nipote di Cornelia ha ricordato una volta che la nonna era del tutto priva di senso materno e «non si lasciava mai baciare per non farsi sfiorare neppure la pelle. Era come se dicesse “non accetto baci da nessuno, nemmeno da mio figlio”». Se Cornelia era una presenza dominante, il padre di Willem rimase sempre inesorabilmente distante, cosa non meno dolorosa per un bambino. Anche nell’anno in cui vissero sotto lo stesso tetto, Leendert ebbe pochi contatti col figlio. Era un padre burbero e autoritario. Una volta Willem gli chiese 34
una monetina e lui gliela negò. «Che cosa gli costava darmela?» si sarebbe domandato in seguito. Leendert trattava con freddezza anche i figli di secondo letto e si rifiutava di fare colazione con Leendert junior nonostante lavorassero insieme nella ditta di imbottigliamento. Negli anni successivi non dimostrò il minimo desiderio di mantenere rapporti con la primogenita Marie. Padre e figlia si allontanarono al punto tale che quando, negli anni quaranta, si incontrarono durante una distribuzione di soccorsi alimentari, Leendert stentò a riconoscerla. De Kooning continuò a sentirsi distante dal padre anche da adulto. In una lettera alla sorella, scrisse che Leendert li aveva praticamente abbandonati: «Era di nuovo un estraneo [...] si era dimenticato che i figli devono ricevere qualcosa sia dal padre che dalla madre». Nonostante ciò, Leendert fu una presenza tutt’altro che irrilevante nella vita del figlio. De Kooning conservava due ricordi molto vividi della sua infanzia, ciascuno dei quali comunicava una virilità palpabile: non avrebbe mai dimenticato le impronte lasciate dagli zoccoli dei cavalli che tiravano i carri con cui il padre trasportava le bottiglie di birra e limonata e i suoi colletti inamidati minacciosamente alti, che volle rendere in alcuni quadri. In quegli anni difficili, Willem conobbe anche momenti di evasione e spensieratezza. I primi li visse con la sorella. Benché avessero cinque anni di differenza, i due bambini si consolavano a vicenda. Marie riusciva a dare a Willem la tenerezza che la madre gli negava e contribuì ad alleviare il malessere del fratellino (anni dopo, de Kooning le avrebbe scritto ringraziandola
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per la sua dolcezza: «Non dimenticherò mai quanto sei stata protettiva con me quando ero piccolo»). I due bambini dormivano con tutta probabilità nello stesso letto e potevano confortarsi nei momenti di solitudine. Per de Kooning, che ebbe sempre difficoltà ad alzarsi la mattina, il letto era una sorta di rifugio sicuro. Ricordava quando la madre lo apostrofava ripetutamente con uno dei soprannomi che gli aveva affibbiato, «Svègliati, pappamolle!», e non vedeva l’ora che arrivasse il giorno in cui avrebbe potuto restarsene a letto quanto voleva. Marie e Willem ebbero comunque una fortuna: l’uomo che la madre sposò in seconde nozze era esattamente quello che ci voleva per lei, una persona semplice e mite. Jacobus Lassooy si faceva voler bene e non chiedeva grandi cose dalla vita. La sua presenza apportò pace e tranquillità alla famiglia, attenuando una tensione altrimenti esplosiva. Pur non essendo molto vicino al patrigno, de Kooning avrebbe parlato con più affetto di lui che non dei propri genitori. Lassooy era alto, molto più alto di Cornelia, e aveva i capelli bruni e riccioluti. «Attraente ma non molto interessante»: così lo ha descritto la moglie di Henk Hofman, cugino di de Kooning. Aveva fatto il marinaio sulle navi a vapore e nel 1908, quando sposò Cornelia, era koffiehuishouder (gestore di un caffè). Cambiava lavoro praticamente a ogni stagione: nei sei anni successivi al matrimonio aprì un caffè, fece l’agente assicurativo e l’ispettore portuale, aprì un altro caffè e finì come scaricatore di porto. La famiglia traslocava con altrettanta frequenza: tra i quattro e i tredici anni, de Kooning cambiò casa ben dodici volte. L’unico lato positivo fu che i vari spostamenti lo avvicinarono al porto che tanto amava. Crescendo, Willem iniziò a esplorare la città insieme agli amici. Uno dei suoi ricordi più lieti fa pensare a una scena tipicamente olandese: l’inverno andava sui canali insieme a una banda di ragazzini e si lanciava a tutta velocità sul ghiaccio, spensierato e felice, utilizzando come perno un arboscello tagliato nelle vicinanze. Willem poteva essere anche spericolato. Hofman ricordava di come eseguisse audaci acrobazie davanti a casa di sua zia quando la famiglia vi si recava in visita. Una volta si lasciò penzolare pericolosamente dall’alto muro di una chiesa, godendosela un mondo a spaventare gli altri bambini. All’inizio del secolo i parchi erano pochi e i ragazzini si radunavano soprattutto sui canali o per le strade, facendo giochi – per esempio la cavallina – con regole ben precise e definite. Willem iniziò anche a sviluppare una passione sfrenata per il disegno. Il fratellastro Koos ricordava i suoi schizzi di navi e carretti trainati da cavalli da soma, forse quelli che usava suo padre.
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Willem si dava appuntamento con gli amici al mercato del bestiame vicino Zaagmolenstraat, dove i contadini con il costume tradizionale portavano gli animali a macellare. Da lì correvano tutti insieme al porto. Una volta – poteva avere sette o otto anni – si ritrovò da solo a guardare il mare: in quel momento, avrebbe ricordato in seguito, ebbe il chiaro presentimento che nella vita avrebbe compiuto qualcosa di grande.
Fu a scuola che Willem si sentì rivolgere per la prima volta parole di incoraggiamento da un adulto e incontrò persone che gli fecero intravedere la possibilità di un futuro migliore. Molti insegnanti di Rotterdam erano socialdemocratici idealisti che credevano fermamente nell’istruzione come strumento di avanzamento sociale e cercavano di trasmettere la loro etica agli alunni. La maggior parte dei bambini frequentava la scuola dell’obbligo per sei anni e a dodici molti interrompevano gli studi per imparare un mestiere, come era successo al nonno di Willem sessant’anni prima. De Kooning 36
iniziò le scuole tardi, probabilmente a otto anni, e vista l’assiduità con cui la famiglia traslocava dovette cambiare spesso istituto. Non si hanno molte notizie sulla sua formazione elementare: il blitz compiuto nel 1940 dai nazisti distrusse quasi tutto il centro di Rotterdam e la zona del porto e, con essi, gli archivi delle scuole in cui studiò. De Kooning mostrò sempre una sorta di deferenza per chi era andato all’università; a volte, indicando studenti di quattordici o quindici anni, osservava con una punta di rammarico che lui non era arrivato neppure fin lì. Prediligeva i filosofi e gli scrittori con una vena intellettuale e aveva una particolare ammirazione per Kierkegaard, Wittgenstein e Dostoevskij. Le scuole di Rotterdam erano organizzate per classi sociali. Le famiglie più povere mandavano i figli negli istituti pubblici di quartiere, ciascuno dei quali era contrassegnato da un numero. I più abbienti optavano per scuole private in cui si pagava una piccola retta, mentre i figli dei ricchi frequentavano scuole ancora più costose. Le differenze tra i vari istituti erano soprattutto di carattere sociale poiché l’insegnamento impartito restava grosso modo lo stesso. La scuola di de Kooning comprendeva sei classi, ciascuna con 100-150 alunni. Le lezioni iniziavano alle nove del mattino. I banchi erano di legno e in ognuno sedevano due scolari. Il programma, rigido e antiquato, comprendeva lettura, scrittura, aritmetica, storia e geografia. A metà mattinata si faceva una piccola ricreazione, mentre a ora di pranzo c’era una pausa di un’ora e mezza durante la quale molti bambini tornavano a casa a mangia-
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re. Il pomeriggio si riprendevano le lezioni. Si dava grande importanza alla ripetizione di brani a memoria e al canto, che veniva fatto all’unisono, come nell’esercito, per abituare i ragazzi alla disciplina e al lavoro di gruppo. Questo ambiente ben strutturato favorì lo sviluppo di de Kooning. «A dodici anni ero un ottimo allievo» rivelò alla giornalista Gaby Rodgers nel 1978. «Io e i miei due amichetti eravamo sempre i migliori della classe.» Il commento era significativo. Esso suggeriva come, nonostante le difficoltà con i genitori, de Kooning avesse spirito di competizione e cercasse già di farsi largo nel mondo esterno, in questo caso nella scuola. Fu un maestro di storia, in particolare, a fargli intuire le immense possibilità della vita e dell’arte. Costui entrava in classe e dopo essere rimasto un minuto intero in assoluto silenzio annunciava: «Cinquemila anni fa...». Secondo Conrad Fried, cognato di de Kooning, Bill trovava esaltante scoprire come si viveva cinquemila anni fa in quella che sarebbe diventata l’Olanda. Quello stesso maestro lo incoraggiò molto a disegnare. Da bambino lui si divertiva a infilare le dita nei colori, soprattutto il pollice, e poi a tracciare una linea di cui calcava la parte finale, creando uno di quegli sbaffi che avrebbe continuato a fare fino a novant’anni. Una volta il maestro gli disse: «Vedi quel bambino seduto lì? Va’ a vedere cosa sta facendo». Bill obbedì. I disegni del compagno riempivano tutto il foglio, mentre quelli di Bill erano piccoli piccoli. Dopo un po’ che chiacchieravano, venne fuori che il maestro aveva detto anche all’altro di andare a vedere cosa faceva Bill.
I conoscenti di de Kooning sottolineavano spesso – per la gioia di quelli a cui piace l’idea che Einstein dimenticava sempre i calzini – il suo spirito affabile e i suoi modi semplici e spontanei. Quello non era un atteggiamento falso. De Kooning poteva anche essere così, ma non lo si poteva di certo ritenere un ingenuo. Chi lo conosceva meglio era altrettanto colpito dalla sua acuta comprensione del mondo, dalla forza della sua ambizione e dalla raffinata abilità con cui la nascondeva agli altri. Bello, con una massa di capelli tra il castano e il rossastro e una luce da folletto negli occhi, Willem imparò precocemente a placare la rabbia, smorzare le minacce e sviare la competizione. Non fu mai un chiacchierone, né da ragazzo né da adulto, ma sapeva essere gioviale e risultava cordiale pur senza concedersi troppo. Era bravissimo ad alleggerire la tensione, dote che aveva sviluppato in famiglia (gli amici ricordavano che era capace di intromettersi in una lite al bar e far finire tutto in una gran risata). «De Kooning aveva la spigliatezza di chi gestisce un
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locale o un ristorante» ha detto l’amico e artista Joop Sanders, anche lui di origine olandese. «Aveva la mentalità dell’albergatore: uno a cui piacciono tutti e va d’accordo con tutti.» Negli anni della scuola, la situazione a casa continuò a essere tesa. L’8 maggio 1912, quando Willem aveva otto anni, nacque il fratellastro Koos (Jacobus Johannes Lassooy). Divenne presto evidente che il patrigno era bello quanto sfortunato. Poco dopo il matrimonio iniziò ad avere problemi polmonari e nel tempo divenne sempre più malandato. «Non era un tipo molto allegro, forse perché non stava bene» ha detto Antonie Breedveld, nipote di Cornelia. «Da quanto ne so, era sempre sofferente.» Quando il marito non lavorava, Cornelia prendeva lavori di lavanderia e andava a fare le pulizie nelle case. Durante la Prima guerra mondiale, le difficoltà economiche e personali della famiglia peggiorarono. Nel corso del 1914 o del 1915, il patrigno di de Kooning decise di tornare a gestire un pub anziché pagare ad altri la licenza per la vendita di alcolici. Rotterdam era una città di bevitori – la capitale dell’Olanda per il consumo di alcol – e le licenze disponibili erano 38
poche, quindi molto preziose. Lassooy prese in affitto un pub al 120 di Linker Rottekade e si trasferì con la famiglia nell’appartamento sopra al locale. A Rotterdam si trovavano varie tipologie di bar: dagli spacci che servivano solo bicchierini di gin locale da consumare in piedi ai locali più grandi che offrivano spuntini e una maggiore scelta di alcolici. Il bar di Lassooy apparteneva alla seconda categoria: più grande e fornito di molti altri, aveva bisogno di più personale ed era più impegnativo da gestire. Gli orari erano massacranti – dalle nove del mattino all’una o le due di notte – e i clienti rissosi. Il bar tipico era di un color marrone reso ancor più squallido dalla sporcizia e puzzava di fumo. L’arredamento era ridotto al minimo. Il bancone non era grande e la maggior parte dei clienti si appoggiava contro il muro o sul davanzale della finestra. Gli operai andavano al pub di zona più o meno una volta al giorno, per pranzare o cenare con zuppa di piselli e uova sode innaffiate da un paio di bicchierini di gin. Poiché la giornata lavorativa iniziava spesso alle sei del mattino, già verso le nove si presentavano i primi avventori affamati. Cornelia si alzava regolarmente alle quattro per cucinare la zuppa, le uova e gli involtini di carne – tutti abbondantemente salati per invogliare i clienti a bere – che sarebbero stati serviti quel giorno. «La madre era sempre indaffarata al bar e non aveva molto tempo da dedicare ai figli» ha riferito Joop Sanders. Nel 1915 Marie, che aveva ormai sedici anni e non vedeva l’ora di sfuggire alle grinfie della madre, scelse la soluzione tipica per una ragazza della clas-
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se operaia: rimase incinta. Dirk Breedeveld, l’uomo che l’aveva ingravidata, non mostrò alcuna intenzione di prenderla in moglie, il che dovette senz’altro aumentare la tensione in famiglia. Solo il 26 aprile 1916, appena diciassette giorni prima di dare alla luce Antonie, Marie riuscì a sposare il padre di suo figlio. Il fatto saliente di quel matrimonio non fu che era stato organizzato in fretta o all’ultimo momento, ma che Leendert de Kooning non era fra gli invitati: unito ormai da otto anni alla seconda moglie e padre di altri tre bambini, si era quasi del tutto allontanato dai figli di primo letto. Quell’anno, mentre il dodicenne Willem finiva le elementari, la famiglia dovette affrontare nuovi problemi finanziari. La decisione di riaprire il bar si era dimostrata straordinariamente intempestiva. Se tenere un pub frequentato da operai in una città che ne contava già moltissimi era difficile in circostanze normali, negli anni della guerra lo divenne ancor di più visto che circolava poco denaro. L’Olanda, rimasta neutrale, non visse gli orrori del conflitto ma subì pesanti privazioni economiche. Rotterdam aveva stretti legami commerciali con la Germania e ciò la rendeva particolarmente vulnerabile. La mobilitazione di gran parte dei giovani olandesi durante l’avanzata tedesca del 1914 privò le famiglie di una fonte di reddito e la città di una cospicua parte dei suoi consumatori di alcol. Il massiccio afflusso di rifugiati dal Belgio che seguì quella partenza aggravò ulteriormente la carenza di generi alimentari in Olanda. La carne e i prodotti caseari venivano esportati o venduti alle forze armate, il che procurò enormi profitti agli speculatori ma portò la classe operaia a un passo dalla fame. La recessione economica si aggravò quando il porto venne chiuso per effetto del blocco navale del Mare del Nord imposto dalla Germania. Nel 1917 erano ormai pochissime le navi che attraccavano a Rotterdam. I generi alimentari erano sempre più insufficienti e quando si esaurirono le scorte di carbone la popolazione ricominciò a utilizzare la torba. Il combustibile non bastava neppure per produrre la birra. La miseria dilagante provocava tumulti e tensioni sociali. Furono aperte mense gratuite e organizzate raccolte di viveri, ma tutto ciò non bastava a placare la fame diffusa. Una volta la popolazione depredò i carri che trasportavano i prodotti del mercato nero confiscati dalle autorità di Rotterdam. In alcuni casi gli scontri diventavano così violenti che veniva chiamato l’esercito a ripristinare l’ordine. Come si può facilmente intuire, Rotterdam pullulava di radicali (durante le agitazioni della sinistra americana, negli anni trenta, de Kooning ebbe l’impressione di rivivere le manifestazioni oceaniche, le folle che scandivano «Vogliamo il pane»). Uno dei pochi che riuscirono ad arricchirsi nella
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Rotterdam del periodo bellico fu il padre di de Kooning, che si mise a distribuire limonata ai treni dei soldati. Il patrigno invece non ebbe altrettanta fortuna. A gennaio del 1916 Lassooy aveva difficoltà a pagare l’affitto del bar; i soldi erano sempre meno e i clienti non potevano più permettersi neppure il gin locale. Nel maggio 1917 dichiarò fallimento. Una volta chiusa la pratica, gli rimasero per vivere solo i dieci fiorini a settimana che prendeva affittando la licenza per gli alcolici a un amico. Con scarse prospettive di lavoro e una famiglia sulle spalle, Lassooy si iscrisse nelle liste di collocamento come “manovale”, anche se probabilmente rimase perlopiù disoccupato. Dieci anni dopo il secondo matrimonio di Cornelia, insomma, la famiglia di de Kooning non apparteneva quasi più neppure alla classe operaia e viveva ai margini della società. La povertà in cui versava era testimoniata dallo stato di quasi denutrizione di Willem (che aveva dieci anni quando scoppiarono le ostilità e quattordici quando terminarono). Per tutta la vita de Kooning fu tormentato da problemi ai denti, dovuti alla cattiva igiene orale e all’alimentazione poco sana. De Kooning ripeteva sempre che se 40
avesse mangiato meglio sarebbe stato qualche centimetro più alto. Durante la guerra, del resto, la famiglia visse essenzialmente di patate e di rape, come la maggior parte degli olandesi. Il 1916 fu un anno particolarmente duro – il bar stava per fallire, Marie era rimasta incinta – ma Willem era ancora troppo giovane per fuggire. Un’altra porta si stava tuttavia aprendo di fronte a lui: gli insegnanti, che avevano notato il suo talento per il disegno, consigliarono alla madre di farlo diventare un artigiano. Quando Willem ebbe finito le elementari, il patrigno cominciò a portarlo in giro per i vari stabilimenti che potevano essere interessati a sfruttare le sue doti. Il ragazzo venne infine preso come apprendista nella prestigiosa ditta di decorazione Gidding & Zonen. Fu una gran fortuna, sia per Willem che per la famiglia. La ditta, situata al numero 130 di Aert van Nesstraat, era molto vicina a casa. Cosa ben più importante, veniva gestita in modo illuminato da due fratelli che avevano a cuore i loro impiegati. De Kooning avrebbe finalmente iniziato a vivere tra gli artisti e a maturare il suo distacco dalla famiglia.