Edward Hopper. Biografia intima

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Foto di copertina: ©Condé Nast Archivi/Corbis

«Resoconto impeccabile di un artista straordinario. Un libro coinvolgente e accessibile a chiunque sia attratto dall’arte moderna americana.» Michael Kammen, New York Times Book Review

Gail Levin

Gail Levin è Distinguished Professor di Storia dell’arte presso il Baruch College e il Graduate Center of the City University di New York. È autrice di importanti saggi sul lavoro di Edward Hopper e ha curato varie mostre che hanno ricostruito l’evoluzione della sua pittura. Una nota bibliografica completa si trova in calce al volume.

«Questa biografia, scrupolosa e puntuale, ponderata e definitiva, restituisce il reale senso della vita quotidiana di Hopper e di sua moglie, nel contesto sociale, politico e artistico del loro tempo.» Bryan Robertson, Modern Painters

Edward Hopper. Biografia intima

«Gail Levin ci ha regalato un’avvincente biografia di Edward Hopper, istruttiva e travolgente.» Robert Coles, Washington Post

Gail Levin

Edward Hopper Biografia intima

Nella stessa collana: 1. Mark Stevens – Annalyn Swan De Kooning. L’uomo, l’artista 2. Calvin Tomkins Rauschenberg. Un ritratto 3. Bernard Marcadé Marcel Duchamp. La vita a credito

Figure solitarie assorte in drammi silenziosi. Lo spazio, ridotto all’essenziale, è reale e allo stesso tempo metafisico, immerso in una luce tersa e implacabile. La scena è quasi sempre deserta, l’atmosfera densa di attesa. I paesaggi umani di Edward Hopper risultano laconici ed evocativi quanto quelli urbani o rurali svuotati di presenze umane e di suoni. Che uomo si nasconde dietro una così penetrante visione? In che circostanze ha generato i suoi drammi pittorici? Artista taciturno e introverso, Edward Hopper si è espresso poco sulla propria vita. È in gran parte grazie ai diari e alle lettere della moglie Jo, scritti nel corso di una simbiosi coniugale durata più di quarant’anni, che prende corpo la biografia monumentale di uno dei grandi interpreti della scena americana moderna, un pittore che ha lasciato un segno indelebile sulla posterità, tanto nelle arti visive quanto nel cinema. Gail Levin ha attinto a materiali per lo più inediti per offrirci una narrazione coinvolgente in cui la genesi dei capolavori si alterna al resoconto delle vicende quotidiane più intime condivise con Jo, in un teatro domestico carico di attrazione e conflitti violenti, di ammirazione e sostegno, di ostilità e riconciliazioni. Come modella dei suoi lavori, pungolo intellettuale, artista vissuta nell’ombra e sua prima sostenitrice, Jo Nivison Hopper ebbe un ruolo chiave per il successo del marito e un ruolo da co-protagonista le è riservato nelle pagine di questo libro.

€ 35 ,0 0



Biografie 4


©2009 Johan & Levi Editore Coordinamento editoriale Micaela Acquistapace Redazione Margherita Alverà Traduzione Irene Inserra e Marcella Mancini Progetto grafico Paola Lenarduzzi Impaginazione Martina Massaro Stampa e fotolito Arti Grafiche Bianca & Volta, Truccazzano (mi) Finito di stampare nel mese di ottobre 2009 ISBN 978 88 6010 040-5

Prima edizione pubblicata da Alfred A. Knopf Copyright ©1995 Gail Levin Titolo originale: Edward Hopper. An Intimate Biography Edizione ampliata e aggiornata pubblicata da Rizzoli International Publications Copyright ©2007 Gail Levin Johan & Levi Editore www.johanandlevi.com Tutti i diritti sono riservati, secondo la convenzione internazionale e panamericana sul copyright. Il presente volume è coperto da diritto d’autore e nessuna parte di esso può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti d’autore.


Gail Levin

Edward Hopper Biografia intima

Traduzione di Irene Inserra e Marcella Mancini



A John Babcock Van Sickle



Sommario

Ringraziamenti 11 Introduzione 15 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29.

Le origini del conflitto: 1882-1899 23 La definizione del talento: 1899-1906 45 La seduzione di Parigi: 1906-1907 67 L’americano ambivalente: 1907-1910 87 Alla ricerca di uno stile: 1911-1915 99 La parentesi dell’acquaforte: 1915-1918 117 Sete di vita: 1918-1923 137 La prima donna 159 Il primo successo: 1923-1924 177 L’affermazione: 1925-1927 197 Sulla strada per l’America: 1928-1929 219 Riconoscimenti: 1930-1933 233 La prima retrospettiva e la casa a Truro: 1933-1935 255 Un autoritratto intellettuale 275 Le conseguenze del successo: 1936-1938 285 La fatica del dipingere: 1939 307 Inizia la guerra: 1940 321 Una fallimentare odissea: 1941 333 Nighthawks: 1942 349 Messico: 1943 359 La guerra sul fronte domestico: 1944 369 Divergenze di stile: 1945 377 Ansie: 1946-1947 387 Malattia e lutti: 1948 401 Riflessioni malinconiche: 1949 409 Uno sguardo retrospettivo: 1950 421 Ancora Messico: 1951 435 La nascita di Reality: 1952 445 Reality: 1953 455


30. 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 38.

Tempo di bilanci: 1954 473 Una visione personale: 1955 481 L’articolo di copertina di Time: 1956 493 Verso la riconciliazione: 1957-1958 507 Excursion into Philosophy: 1959 519 Proteste: 1960 527 Ancora stampe: 1961-1962 539 L’ultimo spettacolo: 1963-1964 551 Cala il sipario: 1965-1968 565

Approfondimenti 625 Cancellata, ma non per sempre: la riscoperta di Jo Nivison Hopper 627 L’eredità di Hopper nelle arti visive 639 L’eredità di Hopper nel cinema 659

Nota bibliografica 671 Note al testo 673 Nota sull'autrice e sugli studi hopperiani 730 Elenco delle opere 733 Indice analitico 737


Ringraziamenti

Da quando ho cominciato a occuparmi di Edward Hopper nell’estate del 1976, le persone e gli istituti che hanno contribuito ai miei sforzi sono stati talmente numerosi che qui non è possibile citarli tutti. La Andrew W. Mellon Foundation ha finanziato i primi tre anni della mia ricerca per un catalogo ragionato e successivamente, nel 1987-1988, mi ha consentito di partecipare a un seminario sulla biografia della durata di un anno tenuto da Kenneth Silverman presso la New York University. I progressi ottenuti sono emersi nell’anno in cui sono stata titolare della Durant Chair of the Humanities al Saint Peter’s College, dove ho beneficiato della collaborazione del professor George Martin come pure delle idee e dell’entusiasmo dei partecipanti al seminario di facoltà che ho tenuto su Hopper. Il National Endowment for the Humanities mi ha sostenuto in un momento cruciale. La Rockefeller Foundation mi ha accordato il privilegio di una residenza alla Villa Serbelloni di Bellagio, dandomi un importante stimolo a portare a termine il lavoro. I membri del seminario sulla biografia in corso alla New York University mi hanno of­f erto il loro incoraggiamento.

La mia ricerca si è giovata delle incredibili risorse e dell’efficienza degli staff di molti istituti. Di particolare aiuto mi sono stati gli Archives of American Art, la biblioteca del National Mu­seum of American Art presso la Smithsonian Institution, la biblioteca della University of Virginia e la Beinecke Library di Yale. Sono grata a David Ross, direttore del Whitney Mu­seum of American Art, per aver facilitato la riproduzione di opere appartenenti al lascito di Josephine N. Hopper. Nel corso degli anni molte persone che conoscevano o avevano incontrato Edward e Jo Hopper hanno generosamente collaborato con me: tra queste, Berenice Abbott, Perry Anthony, Stella Falkner Barnette, Elizabeth Cornell Benton, Theresa Bernstein, Jean Bellows Booth, Eddy Brady, Jean e Jewett Campbell, Lois Saunier Carlson, Milton Cederquist, John Clancy, Leslie Cheek, Edward Colker, Tess Daisey, Jimmy De Lory, Joan Dye, Judith Shahn Dugan, Alexander Eliot, Etta Falkner, Lawrence e Barbara Fleischman, James Flexner, Charles Francis, Janet Thornley Francis, Edith e Lloyd Goodrich, Herman Gulack, Barbara Hale, Gertrude Wulbern Haltiwanger, Joel e Lila Harnett, Helen Hayes, Elsa Ruth Herron, William I. Homer, Jacques Howlett, Virginia Jenness, William Johnson, Dorothy Bosch Keller, Jack Kelly, Leon Kroll, John Lamb, Abe Ler-

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ner, Jack Levine, Jean Ferris Leich, Ethel Lisenby, Kenneth Lux, Yvonne Pène du Bois McKenney, Charles Neider, Roy Neuberger, Bennard B. Perlman, Malcolm Preston, Emeline Paige, Perry Rathbone, Paul Resika, Selden Rodman, John B. Root, Andrée Ruellan, Arthayer R. Sanborn, Irving Sandler, Lois Saunier, Elsie Scott, Lee Sievan, Clyde Singer, Irene Slater, Robert Slater, Helen Farr Sloan, Norma Snow, Raphael e Rebecca Soyer, Kimble Stephens, Marie Stephens, Jane Bouché Strong, John Thornley, Helen Tittle, Gladys e Paul Todd, Julia Chatterton Van de Water, Bud Waintrob, Bill e Diana Worthington e Virginia Zabriskie. Sono grata a tutti per aver condiviso con me le loro esperienze e avermi aiutato a ricostruire l’esistenza degli Hopper. Lungo il cammino mi sono state offerte innumerevoli forme di incoraggiamento e gentilezza, delle quali ringrazio sentitamente. Pur sapendo che nessun elenco potrà mai essere realmente esaustivo, vorrei ricordare in particolare Cynthia Adler, Ann J. Anderson, Matthew Baigell, Evelyn Barish, Brenda Billingsley, Suzaan Boettger, Gerald D. Bolas, Phyllis Braff, Frederick R. Brandt, Sharon Brysac, Enid M. Buhre, Mindy Cantor, Mary Ann Caws, Mary Chapin, Geoffrey Clements, Lurana Cook, Lewis M. Dabney, Alan Dugan, Betsy Fahlman, Donald Fanger, Nancy Freeman Ferguson, Jane Freeman, Linda Freeman, Marjorie Freytag, Elizabeth Fuller, Barbara Dayer Gallati, Larry Gagosian, Jeannette D. Gehrie, William Gerdts, Bernd R. Gericke, David Goodrich, Philip Greven, Helen A. Harrison, Leata Hasler, Mary C. Henderson, Lawrence Heyl, Glenn Horowitz, Janet Hutchinson, E. J. Kahn, Thomas A. Kane, Frederick R. Karl, Willa Kim, Carole Klein, Bettina L. Knapp, Janet Le Clair, David Levy, M.D., Pat Lynagh, Don Lynch, Richard Macksey, Betty Magill, Thomas P. Magill, M.D., Madeline F. Matz, Paul Mees, Dara Mitchell, Lorette Moureaux, Robert L. Mowery, Eleanor Munro, Mary Murray, Percy North, Roger Randolph North, Marlene Park, Erica Passantino, Ron Peck, Robert Pincus-Witten, Ronald Pisano, Michael Quick, Carrie Rebora, Jacqueline Risset, Julie Rizzato, William Rubin, Stephen Saffron, Catherine Schear, Howard Schuman, Charles e Lenore Seliger, Susan Sheehan, Roberta K. Tarbell, Diane Tepfer, Judith Tick, Thayer C. Tolles, Louise Traeger, Ruth O. Trovato, Joyce Tyler, Barbara Wolanin, Laurel Weintraub, Virginia Weygandt, Breene Wright, Frank Wright, Milton Wright, Chris Yang e Judith K. Zilczer. Un ringraziamento particolare va a Anton e Joan Schiffenhaus e a Laurence e Betty Schiffenhaus per la generosità, l’incoraggiamento e la fiducia che mi hanno accordato. Harriet Pilpel, Carl D. Lobell e Gloria Phares mi hanno fornito consigli generosi ed efficaci. Barbara Novak e Brian O’Doherty mi hanno dato prova del calore e dell’intelligenza che conquistò le simpatie degli Hopper. Sono grata ad Arnold Newman e Sidney Waintrob per la profonda umanità delle loro fotografie e l’autenticità con cui hanno ritratto i loro soggetti. Ellen K. Levy ha letto le prime bozze e mi ha offerto il punto di vista di una pittrice. Le mie colleghe Eloise Quinones-Keber e Virginia Smith mi hanno fornito un sostegno incrollabile. Alla Knopf ho apprezzato il continuo entusiasmo dimostratomi fin dall’inizio dal direttore editoriale Kathy Hourigan. Alla mia redattrice Susan Ralston


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devo molti suggerimenti, tanta pazienza e soprattutto una fiducia costante nel valore di questo progetto. Vorrei inoltre ringraziare Amanda Gordon per la sua alacre assistenza, Carol Devine Carson per il disegno della copertina e Iris Weinstein per il layout, nonché il direttore responsabile Susan Chun, Debra Helfand, direttore di produzione; Laura Zigman, responsabile della promozione, e Kathy Zuckerman, responsabile della pubblicità. Ringrazio inoltre Charles Miers, con cui ho pubblicato l’edizione ampliata e aggiornata. Conobbi Charles nel gennaio del 1978, quando iniziò a lavorare presso l’editore del mio primo volume, e da allora ho avuto il piacere di dare alle stampe con lui due antologie che testimoniano l’influenza di Hopper sulla poesia e sulla narrativa. Per questa seconda edizione vorrei esprimere la mia riconoscenza all’editor Ellen Cohen e al grafico Willy Wong. Questo libro è dedicato con gioia a mio marito John Babcock Van Sickle, al quale sono grata non solo per l’instancabile entusiasmo e il continuo interesse, ma anche per gli speciali contributi con cui ha collaborato alla stesura del volume. Mi ha fornito intuizioni brillanti a tutti i livelli, acume letterario, traduzioni, miglioramenti editoriali e soprattutto l’allegra disponibilità a condividere la nostra casa con gli Hopper per tanti anni.

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路 Edward Hopper 路

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Edward e Jo Hopper a South Truro, 1960. Foto Arnold Newman 漏1974.


Introduzione Verità e sofferenza

Negli ultimi anni della sua vita Jo Hopper si riprometteva di scrivere due libri: uno su Arthur, il gatto randagio che si era allontanato da casa una trentina d’anni prima, e uno su Edward, suo marito. «Prima o poi scriverò la vera storia di Edward Hopper» disse a un giornalista, per poi aggiungere con enfasi: «Nessun altro può farlo. Quelli del NewYorker volevano scrivere un profilo di Eddie, ma alla fine hanno rinunciato. Non riuscivano a trovare il materiale. Neppure lei avrà la storia completa. È puro Dostoevskij. Oh, che amarezza estenuante!».1 Jo si vantava solo per intimidire il giornalista. Non scrisse mai «la vera storia di Edward Hopper», ma dall’inizio degli anni trenta fino a quando la vista non le si indebolì troppo, non molto tempo prima di morire nel 1968, tenne regolarmente un diario. Spesso, quando Edward evitava persino di chiacchierare, scriveva per sfogarsi. Descriveva la sua frustrazione per il silenzio del marito: «A volte parlare con Eddie è come gettare un sasso in un pozzo, peccato che non si senta neppure il rumore quando tocca il fondo».2 Col passare del tempo le sue annotazioni divennero più introspettive e mirate. Iniziò a scrivere pensando a un eventuale pubblico. Sulla pagina datata mercoledì 29 marzo 1950 spicca una grossa macchia d’inchiostro simile alle enigmatiche immagini del test di Rorschach. Supponendo che un lettore potesse essere tentato di interpretarla, Jo si preoccupò subito di chiarire: «Non si tratta di una crisi emotiva, ho semplicemente rovesciato la boccetta dell’inchiostro mentre riempivo il serbatoio della penna stilografica». In una giornata come tante altre, Jo si lamentava per aver trascorso una settimana chiusa in casa per un raffreddore: Letto Reader Dig. e New Yorker… non è come leggere un buon libro. Neanche la radio prende bene. E. ha fatto alcuni schizzi durante un burlesque e sta valutando tutte le possibilità di ricavarne un quadro, ma vuole vedere le cose con più chiarezza, vuole capire bene se è davvero interessato prima di iniziare. Ed sta leggendo la traduzione di un testo di critica di Paul Valéry e ogni tanto mi legge dei brani su Baudelaire o Stendhal. E. non vuole più andare a dormire – vuole rimanere seduto e poi alzarsi alle 7 – devono essere tutte quelle vitamine che prende, Ciclobenzaprina, Cebeose e Bottalin. […] E. vuole rimanere sveglio

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a leggere, leggere, leggere. Non vuole mai parlare di niente. Cerco di inventare qualcosa per rendere la nostra vita più allegra, “più ricca” come dice D. Non che abbia bisogno di uscire per forza, ma mi piace guardare le persone o discutere delle cose, lui invece è come un cencio senza consapevolezza del passare delle ore, dei giorni, delle settimane, della vita.

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L’inviato del New Yorker non fu l’unico a tentare di scoprire i segreti della vita di casa Hopper. Man mano che la fama di Edward cresceva, gli aspiranti cronisti si moltiplicavano. I curiosi si scontravano non solo con la leggendaria reticenza del pittore ma anche con Jo, tristemente nota per ostacolare in tutti i modi chi sperava di scrivere qualcosa sul marito. Risoluta, energica e con il pieno appoggio di Edward, Jo contribuì a costruire la leggenda del pittore recluso. Nel frattempo, continuava a riempire le pagine dei diari con quelle annotazioni personali e dettagliate da cui poteva nascere il tipo di biografia che entrambi avrebbero approvato. Per lo meno sui requisiti di una biografia la coppia era d’accordo. Jo attaccò un estraneo dichiarando che lei era l’unica a poter scrivere la «vera storia». Anche Edward sembrava pensarla allo stesso modo quando affermò che la vita di un artista doveva essere «scritta da chi gli è molto vicino». Aver indotto Hopper a esprimere comunque la sua opinione fu merito di Katharine Kuh. Nel corso di un’intervista realizzata nel 1960, lei provocò il pittore dichiarando che era stato lui stesso a suggerire «che un libro dedicato esclusivamente alla vita di un artista potesse essere molto utile». Evidentemente la Kuh aveva toccato un nervo scoperto. Edward la corresse prontamente e insistette per spiegare con insolita franchezza uno dei princìpi su cui si basava la sua fede nell’arte: «Non intendevo dire quello. Parlavo di un libro sul carattere – debole o forte, passionale o freddo – scritto da chi gli è molto vicino. L’opera è l’uomo. Le cose non nascono dal nulla».3 L’importanza dell’uomo nell’arte era un tema su cui Hopper tornava spesso. Una volta spiegò a Selden Rodman: «L’originalità non è una questione di inventiva o di tecnica, in particolare di una tecnica alla moda. È qualcosa di molto più profondo ed è l’essenza della personalità».4 Hopper aveva già espresso quest’idea anni prima, in un momento di trionfo personale. Nel 1933, in occasione della prima retrospettiva al Museum of Modern Art, aveva scritto per il catalogo: «Credo che i grandi pittori, seguendo il loro intelletto, abbiano tentato di costringere la tela e un medium riluttante come il colore a registrare le loro emozioni. Qualsiasi deviazione da questo grande obiettivo suscita in me solo noia».5 Hopper ribadì il concetto quando gli fu chiesto di spiegare perché sceglieva certi soggetti e non altri: «Non lo so con precisione, semplicemente sono convinto che rappresentino il miglior modo per arrivare a una sintesi dell’esperienza interiore».6 La fede nell’essenza personale dell’arte collega Hopper allo stile confessionale di alcuni scrittori suoi contemporanei, iscrivendolo nella tradizione dell’autobiografia spirituale.7 La sua ricerca dell’espressione personale attra-


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verso il lavoro presenta analogie con quella di alcuni autori della letteratura moderna, in particolare Marcel Proust, Thomas Mann e André Gide, di cui conosceva i testi. Anche Hopper era un insoddisfatto. Le sue figure solitarie e inquiete, ritratte in situazioni quotidiane e ambienti comuni suggeriscono “la crisi spirituale che attraversa personaggi realistici e luoghi reali” nello stile tipico del modernismo.8 Credendo nell’arte come mezzo per esprimere l’esperienza interiore, Hopper naturalmente evitava di commentare il contenuto delle proprie opere. Parlare significava mettere a nudo le emozioni più segrete. Più di un giornalista fu liquidato in malo modo. Persino Lloyd Goodrich, che lo sostenne sin dagli inizi della sua carriera e organizzò due sue retrospettive, era tenuto a debita distanza. Le difese di Hopper erano più deboli nel caso della “cronista” di casa. Il pittore sapeva perfettamente che Jo teneva un diario. La donna non ne faceva un segreto. Quei quaderni erano un tale punto fermo nella vita della moglie da indurlo a punzecchiarla sull’argomento. Un attacco ironico ai diaristi si trova proprio in quei brani su “Baudelaire e Stendhal” tratti dai saggi di Valéry che lui le leggeva. Probabilmente Edward provava una certa sardonica soddisfazione quando comunicava alla diarista di casa osservazioni come questa: Gli autori di confessioni o memorie o diari sono invariabilmente mossi dal desiderio di stupire; e noi siamo i creduloni di quei creduloni. Non è mai il proprio io che si vuole presentare: sappiamo perfettamente che una persona reale ha molto poco da insegnarci a proposito di se stessa. Si scrivono quindi le confessioni di qualcun altro che è più interessante, più puro, più pessimista, più vivace, più sensibile e persino più se stesso di quanto sia possibile, perché anche il sé ha diversi gradi. Chiunque confessi è un bugiardo e fugge da ciò che è vero, che è privo di valore o di forma e, in genere, confuso. Ma ogni confessione è dettata da un’altra ragione: la fama, lo scandalo, un pretesto o la propaganda.9

Perfido Edward e povera Jo! Eppure nei diari della donna non si trova traccia degli ulteriori motivi citati da Valéry. Molto di ciò che scriveva non impressionava neppure lei. Non era solita rileggere e riordinare, mettere a fuoco e costruire. Neppure alla fine pensò di organizzare, conservare o pubblicare i suoi scritti. I diari furono ritrovati in una vecchia scatola di metallo. La scrittura le serviva da sfogo per il desiderio di «guardare le persone e discutere delle cose» che non poteva condividere con quel «cencio senza consapevolezza» di marito. Giorno dopo giorno, le sue chiacchiere riempivano il vuoto della sua esistenza e talvolta esprimevano amarezza e dolore. Così come voleva proteggere la sua vita privata, Hopper era scettico sulla possibilità che gli artisti potessero ottenere la fama in tarda età: «Nel novantanove per cento dei casi vengono dimenticati dieci minuti dopo la morte».10 Ma la sua considerazione ironica dei diari di Jo va oltre la mera diffidenza.

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Edward non riusciva a immaginare che una qualsiasi cosa prodotta dalla moglie potesse avere un impatto significativo. Eppure nella mente di Jo i diari acquisivano un’importanza sempre maggiore. Durante un viaggio, arrivò persino a chiedere al marito di scrivere una prefazione e annotò la sua risposta: «Diario della mente errante di una donna e del suo girovagare attraverso gli Stati Uniti e il Messico. Non ci sono scuse o giustificazioni per una tale effusione, solo a Dio sarà concesso di vedere cosa è stato scritto e non penso che ne rimarrà contento». Irremovibile nel proprio sarcasmo, Edward dava per scontato che i diari non fossero interessanti e non avrebbero avuto un vero pubblico. Non essendo l’unico uomo a sottovalutare Jo, non sentiva nessun bisogno di conoscere, né tantomeno censurare, ciò che la moglie decideva di scrivere. Lasciò la strada aperta e Jo fornì gli strumenti per far capire a qualcuno cosa comportasse raccontare «la vera storia di Edward Hopper» tenendo conto del punto di vista di chi gli era effettivamente «molto vicino». Sotto forma di materiale per un racconto, i diari offrono brani lunghi e spesso noiosamente ripetitivi sulle attività o sull’inerzia quotidiane, inframmezzati però da fatti unici come la progettazione o l’esecuzione di un dipinto e i momenti che lei definiva «crisi emotive», cioè le esplosioni di un dolore pieno di risentimento. Sovente gli avvenimenti narrati possono essere verificati e confermati, talvolta attraverso le lettere di amici che parlavano della coppia. Le passioni e i conflitti trapelavano fin troppo spesso davanti ai giornalisti e agli amici. Con il passare degli anni, Jo si fermava sempre più di frequente per guardarsi indietro e fare un bilancio. Nel complesso i suoi ricordi sono risultati attendibili, anche se di tanto in tanto confondeva le date o raggruppava gli avvenimenti. Questa affidabilità, confortata dai ripetuti controlli, dà credibilità al resto. La complessiva affidabilità dei diari risulta particolarmente gradita considerata l’assenza di molte altre fonti, in alcuni casi deliberatamente distrutte. Quando Hopper morì nel 1967, a quasi ottantacinque anni, non c’erano molti suoi coetanei da intervistare. La coppia non aveva avuto figli. Gli unici fratelli da entrambe le parti erano già morti e neanche loro avevano avuto figli. Eppure questi sono problemi minori se si pensa a ciò che accadde in seguito. Alla morte di Edward, Jo ereditò tutto. Quasi cieca, malata e prossima lei stessa alla fine, non era in condizione di opporsi al testamento del marito che aveva voluto lasciare le proprie opere al Whitney Museum of Modern Art. In mancanza di un’alternativa percorribile, Jo incluse nella donazione anche i suoi dipinti, benché l’istituzione prescelta non le piacesse e non le ispirasse fiducia. A Lloyd Goodrich personalmente lasciò i registri delle opere di Edward, compilati con meticolosità per anni. Il lascito, che comprendeva più di tremila fra dipinti, disegni, acquerelli e stampe del solo Edward, senza contare i lavori di Jo, prese il museo alla sprovvista. Trascorsero quasi tre anni dalla morte di Jo fino a quando, il 19 marzo 1971, un comunicato stampa del Whitney annunciò la donazione «dell’intero patrimonio artistico del compianto Edward Hopper» senza fare menzione del-


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le opere di sua moglie. Il direttore del museo, John H. Baur, definì la collezione «un patrimonio inestimabile». Ben presto si cominciò a parlare di progetti per il futuro della donazione. Goodrich, consulente del Whitney, dichiarò al New York Times: «Vogliamo che collezionisti e altri musei possano avervi accesso, per questo potremmo anche metterla sul mercato».11 Denunciando lo scandalo di questa «meditata vendita del lascito di Hopper» Hilton Kramer, critico del quotidiano newyorkese, descrisse il museo come «un’importante istituzione affetta da […] un debole senso della propria identità e del proprio scopo». Secondo Kramer il museo stava tentando di distruggere il valore di archivio permanente del lascito.12 Baur replicò che il Whitney non aveva ancora deciso quale parte della donazione conservare.13 Alcune opere, tra cui diversi acquerelli e acqueforti, furono effettivamente vendute. Un elenco stilato da Lloyd Goodrich non più tardi del 6 giugno 1974 dimostra come questi avesse raccomandato la vendita di venticinque disegni, anche se Hopper li aveva realizzati negli anni venti proprio al Whitney Studio Club, precursore del museo. Alla fine, sotto la pressione dell’opinione pubblica e della crescente indignazione, il museo mise fine alla cessione delle opere. La controversia sulle vendite è solo un aspetto del più complessivo disprezzo per la natura e il valore della collezione come archivio permanente. Ancora oggi i documenti pubblici non consentono di valutare appieno l’entità della perdita. Io cominciai a rendermene conto quando, nel 1976, iniziai a preparare un catalogo ragionato di Hopper. Per definizione, un catalogo ragionato è il risultato di una ricerca metodica per raccogliere e riordinare in maniera sistematica tutto ciò che si può conoscere dell’opera e della vita di un artista. Avendo deciso di cominciare dal Whitney, mi aspettavo di trovarvi i documenti di Hopper incluse le lettere, le fotografie, i libri e le registrazioni fonografiche appartenuti al pittore e alla moglie: in breve le testimonianze sulla sua attività culturale e intellettuale. La mia ricerca fu vana. Ben presto venni a sapere che né Goodrich né nessun altro funzionario del museo aveva tentato di ottenere questo materiale, sia direttamente da Jo, dopo la morte di Edward, sia successivamente dal suo esecutore testamentario. In questo modo era andata perduta la possibilità di custodire documenti fondamentali per ricostruire una storia dell’artista e della sua produzione. E ciò malgrado il fatto che nel 1964, nel periodo in cui il museo stava preparando il catalogo dell’ultima retrospettiva allestita quando Hopper era ancora vivo, Jo avesse scritto a Margaret McKellar del Whitney: «Naturalmente conservo tutto del passato, persino le lettere mandate a sua madre dalle persone che ospitarono E. a Parigi nel 1906 per dire che era un gran bravo ragazzo. Me le ha date sua madre. Anche lei era una che non buttava mai nulla».14 Alla penuria di materiale si è aggiunta purtroppo un altro tipo di mancanza. Analizzando la collezione Hopper mi aspettavo di vedere anche le opere di Jo. Avevo letto l’articolo di James Mellow pubblicato sul New York Times in cui le sue tele incluse nel lascito erano descritte come «lavori generalmente gradevoli e leggeri: fiori, teneri bambini, paesaggi dai colori vivaci».15 Non

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trovai nulla. Quando dovette occuparsi del lascito, Baur ovviamente chiese consiglio a Goodrich, suo immediato predecessore come direttore del museo oltre che amico ed esegeta riconosciuto di Hopper. Insieme i due stabilirono che le opere di Jo non fossero degne dell’istituzione; donarono alcune tele e si limitarono a scartare tutto il resto. Non videro neppure la ragione di investire denaro nella realizzazione di fotografie d’archivio. Paradossalmente gli unici dipinti che sono stati rintracciati sono le quattro tele che andarono alla New York University, le stesse di cui gli Hopper avevano tentato di disfarsi per anni. Nel complesso solo tre lavori di Jo furono aggiunti alla collezione permanente del Whitney senza peraltro essere mai esposti. Quando iniziai la mia ricerca nel 1976 erano tutti scomparsi. Nessuno è mai stato ritrovato. Alcuni riuscirono a sfuggire alla distruzione perché furono attribuiti a Edward: tra questi pochi disegni, piccoli dipinti a olio realizzati in età giovanile e diversi acquerelli, tutti erroneamente scambiati come suoi. In qualità di curatore della collezione Hopper convinsi il gallerista del pittore, il compianto John Clancy, a donare al museo un ritratto di Edward dipinto da Jo. L’opera, l’unico olio di Jo Hopper risalente alla fase più matura della sua carriera di cui il museo disponga, non è stata mai registrata tra le accessioni della collezione permanente. Oggi conosciamo la maggior parte dei dipinti e dei disegni di Jo solo grazie alle fotografie che lei stessa scattò. Gli unici lavori sopravvissuti sono i pochi che vendette o regalò. Gli uomini del Whitney diedero per scontato che le opere di Jo non avessero valore, ma non tutti furono così miopi nel giudicarle. Le sue doti non erano sfuggite a Brian O’Doherty, l’unico giornalista che divenne suo amico negli ultimi anni della sua vita, il quale scrisse: «Josephine Verstille Nivison Hopper è stata una delle donne più straordinarie mai sposate da un artista».16 O’Doherty non esitò a parlare delle tensioni della coppia: «Avevano caratteri così opposti da essere una continua fonte di vitalità e sconforto l’uno per l’altra. I giudizi sul ruolo avuto dalla signora Hopper sono molto discordi. Secondo alcuni perseguitava il marito. Secondo altri lo spronava alla vita».17 Un’immagine ancora più incisiva di Jo comparve nella recensione della prima mostra allestita con il lascito di Hopper nel 1971, nella quale O’Doherty scrisse: Nei prossimi studi su Hopper maggiore considerazione dovrà essere riservata alla moglie. La collezione dimostra come i muscolosi corpi femminili dei dipinti appartengano alla donna che dedicò tutta se stessa a fare in modo che l’esposizione del marito all’umanità in generale (della quale lei non aveva una buona opinione) fosse sempre sotto il suo controllo. Poiché Josephine Hopper era arguta ma priva di senso dell’umorismo, fino a oggi è stata trattata con quella sorta di ridicola indulgenza che lei stessa sollecitava. Ma aveva un talento autentico, seppure frustrato, era colta e nei suoi momenti migliori aveva una conversazione brillante ed eccentricamente originale.18


· Introduzione ·

La raccomandazione di O’Doherty riguardo agli studi su Hopper si è rivelata profetica. La mia ricerca è proseguita per dimostrare come l’attività artistica di Jo si sia intrecciata con quella di Edward. Non solo la donna insisteva per posare per i nudi, quello era il minimo. Jo, al pari di Edward, aveva studiato pittura con Robert Henri alla New York School of Art. A partire dal periodo del corteggiamento, i due si occuparono di arte insieme. Spesso utilizzavano lo stesso studio o lavoravano nelle stesse località. Quando lui soffriva del blocco del pittore, come accadeva spesso, lei lo incitava all’azione iniziando a dipingere per prima. Condividevano la routine quotidiana e i viaggi faticosi al Nord, all’Ovest o al Sud alla ricerca di nuovi soggetti. Assorbivano e commentavano gli stessi libri, spettacoli e film, scambiandosi billets doux in francese. Fu grazie all’aiuto di Jo che la carriera di Edward prese slancio. Quella di lei, invece, languì ignorata, quando non scoraggiata da lui. Come Jo scriveva sul diario, il suo risentimento esplodeva spesso. È giunto il momento, allora, di riconoscere il ruolo di Jo Hopper non solo come moglie e modella ma anche come partner intellettuale e pittrice che stimolò e nello stesso tempo mise alla prova il più dotato collega. «L’intera storia» vede protagonisti entrambi. Ci sono i racconti di Jo sui dipinti, sulle liti e sui tè pomeridiani accompagnati da un’amara sofferenza. C’è la provocatoria dichiarazione di Jo che la verità era degna di un narratore tragico. Ma c’è anche la convinzione di Edward sull’essenza personale delle sue opere e il suo conseguente atteggiamento evasivo. Considerate entrambe, le loro testimonianze raccontano una vita privata tormentata che si tradusse in opere d’arte di grande fascino. Il dolore e la maestria artistica sono alla base della straordinaria tensione espressa nei dipinti di Hopper. Il suo linguaggio pittorico, familiare ed estraneo a un tempo, dà voce ai nostri ricordi, alle nostre speranze e incertezze, allo struggimento e all’inquietudine della vita moderna.

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1 Le origini del conflitto: 1882-1899

Le origini di Edward Hopper risalgono ai vecchi insediamenti olandesi disseminati tra le scogliere e i promontori boscosi lungo il basso corso del fiume Hudson. Il conflitto insito nel suo carattere è un riflesso della tensione che animava quelle comunità, in cui i valori locali e tradizionali si scontravano con gli orizzonti aperti dalla tecnologia e dalla scienza e dalle nuove ondate migratorie. L’infanzia di Hopper abbracciò la fine dell’epoca vittoriana e l’alba del nuovo secolo con i suoi gravi sconvolgimenti. Gli anni ottanta dell’Ottocento furono infatti teatro di grandi trasformazioni sociali e scientifiche: Hopper nacque qualche settimana dopo la comparsa della corrente elettrica a New York; a nemmeno un anno di distanza dal primo collegamento telefonico fra New York e Chicago. Quando Edward venne alla luce il 22 luglio del 1882, Nyack, la sua città natale, nello stato di New York, contava circa quattromila abitanti. La manifattura leggera produceva scarpe, carrozze e pianoforti. Le industrie di servizi erano fiorenti, in particolare quelle legate allo sviluppo delle strutture turistiche lungo il fiume.1 Fondata ufficialmente solo nel 1872, Nyack era considerata una località salubre. Le strade erano asfaltate e non c’era la minaccia di zanzare anofele. Nei pressi dell’Hudson, il promontorio di Hook Mountain offriva una veduta maestosa. Al “laghetto”, d’inverno si tagliava il ghiaccio e per tutta l’estate si potevano praticare attività ricreative come il canottaggio. Lungo il fiume sorgevano le raffinate dimore vittoriane dei ricchi capitani d’industria. Fino agli anni venti dell’Ottocento la zona era stata popolata in prevalenza da immigrati di origine olandese, cui poi si aggiunsero altri coloni, tra cui gli antenati di Hopper, arrivati dal New Jersey, dalla città di New York e da altri stati. La successiva ondata migratoria comprendeva irlandesi fuggiti dalla carestia delle patate.2 Ma il vero cambiamento per Nyack era iniziato nel 1870, quando il treno la collegò a New York. Il crescente traffico ferroviario di merci e passeggeri stimolò un ammodernamento delle strade locali e il progresso determinò anche una diversa dislocazione delle attività, portando alla graduale chiusura delle linee di imbarcazioni a vapore e delle fabbriche che le costruivano. Durante l’adolescenza di Edward, il porto rimase comunque relativamente prospero: un fiorente cantiere navale produceva yacht da regata e gli ultimi battelli sbuffanti attraversavano il fiume in tutte le direzioni. Il giovane Hopper era

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· Edward Hopper ·

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capace di trascorrere interi sabati «nei cantieri navali di Nyack, osservando il modo in cui venivano costruiti e armati i panfili con l’attenzione per i particolari tipica di un ragazzo», come riferiva Alfred Barr, che intervistò l’artista nel 1933.3 A cinque o sei anni Edward imparò a vogare sul Rockland Lake, il “laghetto” locale, e in seguito attirò l’attenzione della sua comunità con un incidente sull’Hackensack Creek. Mentre remava insieme a un compagno, Ralph Bedell, cercò di sfilarsi il cappotto e cadde in acqua rovesciando l’imbarcazione. Una volta tanto la sua altezza gli tornò utile: «Per Edward non è stato un problema tenersi in piedi con la testa fuori dall’acqua e dare una mano a Ralph» riferiva il giornale locale. «I ragazzi erano bagnati fino all’osso ma non ci sono stati altri danni.»4 Edward era comunque un ottimo nuotatore e amò praticare quello sport per tutta la vita.5 Hopper e i suoi amici Harold Green, Louis Blauvelt e Harry MacArthur trascorrevano gran parte del tempo libero vicino ai moli o sul fiume, ma soprattutto al cantiere di John P. Smith, alla fine di 4th Avenue.6 La figlia del ministro battista, Lois Saunier, si ricordava del ragazzo ƒallampanato che veniva con i compagni a prendere in prestito la barca del padre.7 Raggiungevano il Tappan Zee, dove l’Hudson si allarga, navigando da Irvington, a sud di Nyack, fino a Croton Point, sedici chilometri più a nord.8 I quattro ragazzi formarono il Boys’ Yacht Club, per il quale Edward disegnò le targhe con i nomi delle barche dei soci: una versione sfoggiava gli appellativi Glorianna, Mary M. e Bubble, tradizionalmente femminili ma allegri e inoffensivi.9 La scelta di Edward, Water Witch, rivelava il suo amore per i libri. L’omonimo romanzo di James Fenimore Cooper uscito nel 1830 raccontava come […] le imprese, il carattere misterioso e l’audacia della Water-Witch, nonché di colui che la conduceva, erano, in quel periodo, frequente oggetto di rabbia, ammirazione e sorpresa. […] Tutti si stupivano dell’efficacia e dell’intelligenza con cui i suoi movimenti venivano controllati.10

Il protagonista di Cooper, Tom Diller, dichiarava inoltre: «Una nave è l’amante di un marinaio».11 Se il nome scelto da Edward suggeriva prodezza e maestria anche nel mistero del sesso, la barca che si fabbricò a quindici anni con il legname e gli attrezzi ricevuti in regalo dal padre «non era un granché», come ricordava il costruttore: «Aveva la deriva troppo spostata a poppa e non risaliva tanto bene il vento».12 Secondo alcuni finì per affondare, secondo altri fu venduta come rottame.13 Nella soffitta sulla North Broadway, Edward costruì anche una canoa, che in alcuni disegni raffigurò come imbarcazione degli Indiani. Durante un’intervista raccontò: «Una volta pensavo che mi sarebbe piaciuto fare l’architetto navale perché mi interessavano le barche, invece sono diventato un pittore».14 La famiglia Hopper apparteneva alla piccola borghesia benestante. Edward, secondogenito e unico maschio, aveva una sorella, Marion Louise, nata l’8 agosto 1880. Il matrimonio dei genitori fu segnato dalla supremazia femminile.


· Le origini del conflitto: 1882-1899 ·

John DeWint Smith, nonno materno di Edward. Martha Griffiths Smith, nonna materna di Edward.

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Quando il 26 marzo 1879 il ventiseienne Garret Henry Hopper prese in moglie Elizabeth Griffiths Smith, di anni ventitré, la cerimonia si svolse nella casa in cui Elizabeth era cresciuta, la stessa in cui i novelli sposi si stabilirono sotto l’ala della madre vedova della ragazza, poiché Garret non aveva i mezzi per provvedere a un alloggio indipendente. L’edificio sulla North Broadway stava a testimoniare che il matrimonio di Elizabeth non era stato vantaggioso quanto quello di sua madre: suo padre, John DeWint Smith, l’aveva costruito per la moglie nel 1852, quando la coppia si era trasferita a Nyack sei anni dopo le nozze. Smith aveva poi acquistato altri due immobili nella cittadina e la famiglia di sua madre – i DeWint discendevano da un ricco proprietario di piantagioni di zucchero emigrato dall’isola caraibica di St. Thomas – possedeva alcune dimore storiche a Tappan. L’autorità di cui godeva Martha Griffiths Smith non le derivava solo dall’ospitalità concessa al genero Garret e al nipotino Edward, ma anche dall’essere figlia di un pilastro morale della comunità. Suo padre, il reverendo Joseph W. Griffiths (1782-1860), aveva organizzato la congregazione battista di Nyack nel 1854. La sua vita divenne parte della leggenda familiare e si impresse vividamente nella memoria del pronipote: a settantadue anni, Edward Hopper parlava ancora del bisavolo che in America sposò una ragazza francese, Lozier. In effetti, Griffiths lasciò l’Inghilterra quando aveva una ventina d’anni e si trasferì a New York, dove trovò lavoro in una fonderia. Nel Nuovo Mondo abbandonò


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Elizabeth Lozier Griffiths, bisnonna materna di Edward. Reverendo Joseph W. Griffiths, bisnonno materno di Edward.

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le sue radici anglicane per aderire a una setta evangelica. Si convertì alla religione battista, fondò una scuola di catechismo e poco dopo fu chiamato al ministero di pastore. Quando collaborò a diffondere la sua dottrina a Nyack, era ormai giunto al termine di una lunga carriera. Elizabeth Lozier, sua moglie, discendeva dai Le Sueur, ugonotti approdati in America da Dieppe nel 1657 che abbracciarono la Chiesa riformata olandese e presto semplificarono il loro cognome fino a renderlo irriconoscibile.15 Quando Edward raccontava la vicenda, tuttavia, definiva la bisnonna “francese”, enfatizzando la traccia della cultura che più amava nel suo albero genealogico. Una volta disse a Katharine Kuh: «Come molti americani, sono un miscuglio di tante razze: olandese, francese, anche un po’ gallese. Forse mi hanno influenzato tutte. Io discendo dagli olandesi dell’Hudson, non da quelli di Amsterdam».16 La madre di Edward, che portava lo stesso nome della nonna Elizabeth Lozier Griffiths, era nata da Martha Griffiths e John Smith a Blauvelt, nello stato di New York, prima che i genitori si trasferissero a Nyack e costruissero la casa dove Edward sarebbe cresciuto. Elizabeth ebbe il privilegio di frequentare un istituto privato, la Rockland Female Academy. Era ricordata come una ragazza «incantevole e molto espansiva, generosa, arguta, bella e allegra di spirito, ospitale di natura e sempre piena di attenzioni per gli amici».17 Incline a esternare i propri sentimenti, si diceva che «sragionasse» quando era arrabbiata.18 Elegante e femminile nonostante un’aria minacciosa, portava i lunghi capelli


· Le origini del conflitto: 1882-1899 ·

raccolti in uno chignon. Una foto mostra lineamenti marcati come quelli che facevano del figlio un ottimo soggetto per ritratti. Quando questi dipinse l’effigie della madre, ne mise in evidenza lo sguardo deciso. Dal lato paterno, gli antenati di Edward erano stati prosperi commercianti e agricoltori, in prevalenza olandesi. Nel Quattrocento ad Amsterdam ci furono Hoppen sindaci e consiglieri comunali. Andries Hoppen arrivò a New Amsterdam nel 1625 e fece fortuna nel commercio e nelle spedizioni. Quando morì prematuramente, a soli trentatré anni, la moglie e i cinque figli si trasferirono nel New Jersey, dove prosperarono attorno a Hackensack e Ho-ko-kus, un tempo conosciuta come Hopper Town. Il bisnonno di Edward, Christian, nato nel 1826, sposò Charity Blauvelt a Paramus il 17 aprile 1851. Benché i genitori di Charity, i cugini Abraham (1789-1864) e Marie Blauvelt (1793-1882), discendessero da una famiglia olandese, battezzarono la figlia nella chiesa metodista di Waldwick, nel New Jersey, aderendo alla setta evangelica affermatasi tra il proletariato inglese.19 Fu così che le sollecitazioni di un protestantesimo rigoroso rimpiazzarono tradizioni religiose più radicate in entrambe le coppie dei bisnonni di Edward. Gli effetti si avvertirono fino alla terza generazione. L’austerità evangelica si sostituì allo stile di vita più goliardico dei primi coloni olandesi giunti nel Nuovo Mondo, quello delle taverne dove si beveva birra e si praticavano giochi grossolani raffigurati da pittori di genere come Jan Steen. Per questo Hopper precisava di discendere «dagli olandesi dell’Hudson, non da quelli di Amsterdam». Battezzata nella sobrietà della chiesa metodista, Charity Blauvelt Hopper rimase per tutta la vita una figura severa verso cui il figlio manifestava spesso disapporvazione (dalla relativa libertà di Parigi una volta le scrisse di non voler ricevere altre lettere da «vecchie signore antipatiche»). Bisogna riconoscere che Charity ebbe un’esistenza sfortunata e difficile. Il marito morì il 20 aprile 1854 travolto da un cavallo lasciandola con un figlio di appena due anni. A differenza dell’antenato Andries Hoppen, Christian non lasciò la famiglia in una situazione finanziaria rosea. Charity dovette portare il piccolo Garret a New York per affidarlo ai suoi genitori, Abraham e Marie.20 Nonno Blauvelt venne a mancare quando il bambino aveva appena dodici anni, costringendolo a interrompere la scuola e a trovarsi un lavoro per mantenere la madre vedova. Impossibilitato a seguire la sua inclinazione per lo studio, privo del fiuto commerciale degli avi e senza una guida paterna, Garret Hopper sopravvisse alla meno peggio finché il destino non lo portò a legarsi saldamente a Elizabeth Griffiths Smith. Nel 1878 Garret si mise in affari a Nyack; quattro anni dopo si identificava come “venditore” sul certificato di nascita di Edward.21 Nel 1890 acquistò Morris and Minnerly, una bottega di tessuti poco distante dalla dimora di famiglia. Il negozio, che divenne noto come G.H. Hopper, vendeva biancheria da tavola di lino, asciugamani, stoffe, articoli per il cucito, guanti per bambini, calzetteria, indumenti intimi e altri capi di abbigliamento. Elizabeth Hopper confezionava abiti per sé e la figlia con i tessuti che le procurava il marito. Il fatto che G.H. Hopper tenesse biancheria da uomo e da bambino può forse giustificare i

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Christian Hopper, nonno paterno di Edward. Charity Blauvelt Hopper, nonna paterna di Edward.

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resoconti dettagliati – altrimenti inspiegabili – che il giovane Edward forniva sullo stato dei suoi indumenti personali nelle lettere spedite a casa. Garry – così veniva chiamato – svolgeva un ruolo attivo nella comunità. Portava baffi e una barbetta appuntita alla Van Dyck; secondo il figlio, somigliava a Thomas G. Masaryk, il primo presidente della Cecoslovacchia. Alla fine, fu ricordato come un uomo «affabile e di buon cuore, pieno di amici»22 una persona «estremamente cortese e educata».23 Garret ce la mise tutta per sfondare. Pubblicizzava regolarmente il negozio sull’Evening Journal e sul Fair Journal di Nyack, edito dalle ausiliarie della ymca. Promuoveva le vendite con saldi periodici, dichiarando di offrire «i prezzi più bassi di tutta New York» (la metropoli all’altro capo della linea ferroviaria stava già insidiando l’autonomia della cittadina) e nell’aprile del 1892 si ingrandì rilevando l’attività del concorrente locale, William O. Blauvelt. Ma il suo cuore non era nel commercio. Garret chiuse il negozio intorno al 1901, ad appena quarantanove anni, quando suo figlio già studiava in città. L’insuccesso di Garret Hopper nell’eguagliare il talento commerciale dei suoi avi non intaccò il tenore di vita della famiglia grazie all’eredità della moglie, che possedeva due case da cui percepiva un affitto e beneficiava di varie ipoteche su altri immobili. Alla nascita di Edward, nel 1882, gli Hopper ampliarono il versante nord della casa con una nuova ala, alla quale un paio d’anni dopo aggiunsero un altro piano e una veranda. Ritinteggiavano di frequente, ordina-


· Le origini del conflitto: 1882-1899 ·

Elizabeth Griffiths Smith, madre di Edward. Garret Henry Hopper, padre di Edward.

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vano riparazioni e lavori di giardinaggio e mandavano il bucato in lavanderia. Avevano anche un conto aperto dal droghiere, dal macellaio, dal panettiere e dal pasticcere e prendevano a nolo cavalli e carrozze dalla Blauvelt’s Livery Stable. In linea con questo tenore di vita, inoltre, assunsero una domestica irlandese, immigrata di nuova generazione. Le condizioni agiate della famiglia consentirono a Edward e Marion di frequentare una scuola privata come la madre prima di loro.24 In seguito andarono alla scuola pubblica di Liberty Street. Eddie era un burlone. Intingeva le trecce delle bambine nei calamai, il classico tormento all’epoca in cui ogni banco di scuola aveva una riserva di inchiostro. Marion, la maggiore, ricordava che da ragazzino il fratello era una «vera peste».25 La vivacità di Edward si traduceva in buoni risultati scolastici, come attesta una pagella ricevuta nel gennaio 1890, quando aveva solo sette anni: ebbe nove in matematica, ma prese dieci in geografia, lettura, ortografia, puntualità e condotta. Quando passò alla Nyack High School non mantenne gli stessi voti. Alle New York State Regents Examinations ricevette la lode solo in disegno e in geometria piana. Benché all’epoca gli istituti di Nyack non offrissero corsi d’arte, l’abilità del giovane nel disegno tornò utile almeno una volta, ricordava la sorella, quando, non trovando le parole per rispondere a una domanda d’esame, la illustrò sorprendendo l’insegnante.26 Nessun professore, tuttavia, ebbe mai il merito di incoraggiarlo. I quaderni di francese dimostrano la sua diligenza


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Eddie alla Liberty Street School, Nyack (seduto in seconda fila, a sinistra).

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nello studio della lingua che in seguito imparò bene e continuò a leggere per tutta la vita. Benché Nyack avesse un suo teatro lirico e una sala per spettacoli, gli Hopper andavano spesso a New York per assistere a eventi culturali o a partite di baseball allo stadio. Ogni agosto la famiglia trascorreva una settimana sulla costa del New Jersey, dove i campi cristiani degli anni settanta dell’Ottocento si erano trasformati in colonie estive in cui l’alcol era bandito e i momenti di preghiera in riva al mare attiravano folle di devoti. Ispirato dal cambiamento di paesaggio, come gli sarebbe accaduto spesso negli anni a venire, Edward disegnava molto durante questi viaggi. Nel resto dell’anno, gli Hopper provvedevano all’educazione religiosa del figlio mandandolo alla scuola di catechismo battista in fondo alla strada, nella tradizione dei bisnonni Griffiths. La lezione del sabato pomeriggio insegnava i vangeli, la temperanza e tutta la gamma dei princìpi morali: Edward assimilò profondamente questi valori, in particolare la parsimonia e la volontà di rimandare la gratificazione, come pure la reticenza emotiva e l’inibizione sessuale.27 Non è escluso che gli Hopper, da battisti rigorosi, ricorressero alle punizioni corporali per educare i figli alla disciplina. La loro chiesa, come generazioni di protestanti evangelici, citava princìpi biblici per giustificare l’uso del bastone.28 Sebbene nessuna prova diretta dimostri che Edward fu picchiato per le sue birichinate, in età adulta, tuttavia, sviluppò sintomi depressivi come quelli talvol-


· Le origini del conflitto: 1882-1899 · Eddie e la sorella Marion.

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ta rilevati in chi ha subito un eccesso di punizioni nell’infanzia: secondo alcuni, la depressione è spesso una «risposta ritardata alla repressione della rabbia infantile generalmente derivata dall’aver subito violenza fisica nell’atto di disciplina eseguito da adulti che il bambino ama e dai quali dipende per lo sviluppo e la vita stessa».29 Che il mite Garret ricorresse o meno all’affilarasoio e alla verga per frenare la monelleria del figlio, già da ragazzo Edward mostrava segni della natura introversa che l’avrebbe contraddistinto da adulto. Gli anni novanta dell’Ottocento, quelli della sua adolescenza, furono un vero e proprio spartiacque nella storia americana.30 Considerato a posteriori, quel decennio felice segnò il passaggio dai solidi princìpi morali dell’America contadina e provinciale all’inizio dello sviluppo urbano e industriale che comportò un’erosione degli stili di vita tradizionali e una crescente alienazione. Da una parte all’altra del paese, gli americani vedevano messe in discussione le loro convinzioni più radicate.31 Questi mutamenti ebbero scarso effetto su Garret ed Elizabeth Hopper, protetti com’erano dalla sicurezza economica e dai princìpi religiosi. In quegli anni, infatti, Garret divenne amico del ministro di culto e fu due volte amministratore della chiesa. Né i precetti né l’esempio bastarono a trasmettere a Edward una fede salda. Il sempre più forte senso di disagio e di estraneità lo spinse ad allontanarsi dalla comunità religiosa sviluppando un atteggiamento scettico. A distanza di molti anni, elogiò una coppia che, dopo aver formalizzato la propria unione con una


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cerimonia in chiesa, allevò il primo figlio nella fede cattolica, il secondo in quella protestante e il terzo in quella ebraica.32 Lo scetticismo aveva radici personali e sociali. A circa dodici anni, Edward era cresciuto di colpo superando il metro e ottanta. La statura e il fisico ossuto e sgraziato lo rendevano diverso dai suoi coetanei. A scuola lo prendevano in giro chiamandolo grasshopper.* Il disagio sociale non fece che rafforzare una struttura mentale già portata all’autonomia. Edward si rifugiò in passatempi solitari. Aveva scoperto presto l’attitudine al disegno. Nell’arte trovò una risorsa personale e straordinaria per affrontare con fiducia il mondo alle proprie condizioni. Entrambi i genitori lo incoraggiarono a sviluppare il suo talento, anche se il padre, preoccupato che il ragazzo si isolasse troppo, cercava di proporgli ugualmente attività all’aperto. Garret esercitò l’influenza più profonda e duratura tra le pareti domestiche. Il modello paterno non si prospettava granché positivo, dal momento che Garret non aveva mai avuto un padre e non era stato all’altezza delle aspettative tradizionalmente legate al ruolo maschile, un po’ per l’indole mite e lo scarso intuito commerciale, un po’ per la presenza schiacciante della moglie, con la sua autorità morale e la sua ricchezza, il carattere estroverso e deciso e il controllo dei cordoni della borsa. Eppure fu proprio questa diffidenza verso gli affari a esercitare un effetto su Edward. Il ragazzo, che di solito dava una mano in negozio dopo la scuola, si rese presto conto di quale fosse la vera inclinazione del padre. «Un potenziale intellettuale che non riuscì mai ad affermarsi», uno studioso che si sentiva più a suo agio con i Saggi di Montaigne che tra i registri contabili.33 Fu attraverso le sue letture che Garret trasmise l’esempio più significativo al figlio. Edward era un lettore vorace e ricordò sempre che la biblioteca del padre era ben fornita di «classici inglesi e molti francesi e russi in traduzione».34 Citando Montaigne per illustrare gli interessi intellettuali del padre, Hopper evocava un mondo plasmato dall’influenza di Ralph Waldo Emerson, che in uno dei sei saggi contenuti in Uomini rappresentativi elevò il filosofo francese a esempio di “scettico” (gli altri cinque modelli erano Platone, Swedenborg, Shakespeare, Goethe e Napoleone). Emerson, che in America era letto da un pubblico con le velleità di Garret, elogiava la prosa di Montaigne: «Incidete queste parole ed esse sanguineranno perché sono vive e vascolari».35 Platone, Shakespeare e Goethe sono le uniche figure della letteratura che Hopper abbia mai collegato ai propri dipinti. Il modello dello “scettico” fornì un appiglio filosofico alla sua evoluzione quando si lasciò alle spalle l’educazione religiosa ricevuta. Per quanto radicato nella cultura puritana, Emerson rifiutava la religione formale in favore di un’esperienza spirituale istintiva, delineando un rito di passaggio tipicamente americano che Hopper poteva riconoscere nella sua difficile transizione. Doveva percorrere molta strada per passare dal sistema di valori dei genitori a una vita laica e al tempo stesso profondamente dedita alla ricerca della verità interiore attraverso l’arte.36 La fiducia di Emerson nell’armonia tra *

In italiano “cavalletta”, N.d.T.


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uomo e natura era fondamentale per Hopper, poiché forniva una base alla sua meditata visione secondo cui la pittura avrebbe infine «cercato di cogliere ancora la meraviglia e la casualità della natura studiandone in maniera più intima e benevola gli umori, con rinnovato stupore e umiltà da parte di coloro che sono ancora capaci di queste reazioni primarie».37 Il saggio di Montaigne Dell’affetto dei padri verso i figli sembra ironicamente adatto alla situazione di Garret e Edward Hopper: È giusto lasciare l’amministrazione degli affari alle madri finché i figli non sono in età, secondo le leggi, di reggerne il peso; ma il padre li ha allevati molto male, se non può sperare che, raggiunta quell’età, essi avranno più saggezza e competenza di sua moglie, data la normale debolezza del sesso.38

L’affermazione della superiorità maschile era tanto diffusa nei testi più autorevoli quanto era discordante con la realtà di casa Hopper. All’epoca erano di moda anche i «francesi e i russi in traduzione» ricordati da Edward, che leggeva Turgenev e Tolstoj, i due romanzieri russi più noti in quel periodo. In America l’accoglienza di Turgenev fu incoraggiata da William Dean Howells e Henry James, che ne propagandavano il «metodo drammatico o pittorico».39 Ben presto Howells divenne un ancor più fervido sostenitore di Tolstoj per il «realismo» delle sue narrazioni che «sembrano sempre verità».40 Dal canto suo, James continuò a prediligere Turgenev, che aveva conosciuto a Parigi: «Il pessimismo di Turgenev» affermava «ci sembra essere di due tipi: una malinconia spontanea e una malinconia gratuita. In un racconto triste, certe volte è il problema, la questione o l’idea a colpirlo; certe altre semplicemente la descrizione».41 Nel delineare il processo narrativo, James pensa a un conflitto tra la «descrizione» e le idee. Hopper giunse a definire la sua arte come una lotta costante per dominare l’elemento descrittivo a favore della rappresentazione della verità interiore. L’opera di Turgenev più nota in America era il romanzo Padri e figli.42 Il racconto del conflitto e dell’amore tra generazioni poté forse dar luogo a una forma di tacito dialogo tra Edward e suo padre.43 Nelle caricature e negli schizzi talvolta derisori eseguiti dal figlio, Garret Hopper appare come un uomo che ha paura di manifestare la propria emotività. Sollecitando il figlio a leggere i libri che amava, trovò un canale alternativo. Edward fece sua la lezione. Estremamente timido, anche lui aveva difficoltà a esprimere i sentimenti. Non solo la lettura lo aiutava a isolarsi, ma spesso, da adulto, preferiva leggere ad alta voce alcuni passi significativi anziché esprimere direttamente le proprie idee ed emozioni. Lo trovava un mezzo di comunicazione meno scomodo e compromettente.44 Tra i romanzieri francesi, Hopper conosceva e amava Victor Hugo, che in seguito avrebbe illustrato e di cui apprezzava soprattutto I miserabili, con i suoi colpi di scena drammatici e le vivide descrizioni di Parigi. Altri classici francesi diffusi in traduzione nell’America del tempo erano Madame Bovary di Gustave Flaubert (con la sua osservazione realistica della vita e della natura e il suo di-

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Edward Hopper, Three Birds on a Branch, firmato e datato 23 maggio 1893. Carboncino su carta, 32,4 × 24,1 cm.

sprezzo per le convenzioni) e i romanzi naturalistici del ciclo dei Rougon-Macquart di Zola come Nana. Ulteriori letture e simpatie si possono dedurre dalle illustrazioni che Hopper eseguì alla scuola d’arte: alcuni romanzi di Charles Dickens, tra cui Barnaby Rudge, Oliver Twist, Casa desolata e Racconto di due città, e Le avventure di Gerard di Arthur Conan Doyle. Edward disegnò anche Mulvaney, protagonista del ciclo di storie sui soldati che rese famoso Rudyard Kipling. Le opere di quest’ultimo produssero un tale effetto sul giovane Hopper che persino nei suoi scritti dell’età adulta continuò a far riferimento alla sua poesia.45 Né poteva essergli sfuggita la misoginia di Kipling, che non avrebbe mancato di rafforzare in lui pregiudizi assimilati altrove. Se Edward ereditò dal padre l’amore per i libri, la madre gli trasmise quello per l’arte. Da bambina Elizabeth amava disegnare e alcuni suoi schizzi erano conservati tra le scartoffie di famiglia. Raccontava con orgoglio di avere degli artisti tra i suoi avi: Jacob Lozier, fratello di sua nonna, di cui sono sopravvissuti alcuni disegni degli anni trenta dell’Ottocento, ed Eustache Le Sueur (16161655), pittore di soggetti religiosi e mitologici eletto all’Académie Royale. Sia Edward sia Marion iniziarono a disegnare in tenera età ed Elizabeth conservava i loro lavori, soprattutto quelli del più dotato primogenito. La figlia con-


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centrava i suoi sforzi creativi sulla messa in scena di recite e spettacoli di burattini, in cui era spesso assistita dal fratello. Come la madre riferì in seguito a un intervistatore, «le bambole di carta con cui giocava non erano quelle che si ritagliavano dalle riviste, così diffuse all’epoca e tra le generazioni successive», bensì oggetti che suo fratello, «spesso scambiato per il gemello, disegnava e colorava».46 Una volta, dopo aver assistito a una rappresentazione, Edward costruì un modellino di teatro; in un’altra occasione, dopo una gita con la famiglia a Coney Island, riprodusse «un’immagine in miniatura di fuochi artificiali» ispirata a uno spettacolo pirotecnico ammirato durante la giornata.47 Il teatro sarebbe stato per lui una fonte costante di ispirazione. Il talento di Edward fu riconosciuto fin da quando era un «bambinetto» e la famiglia «lo incoraggiò in ogni modo», ricordava Marion.48 Cominciò a disegnare a cinque anni e quando ne aveva sette gli regalarono per Natale la lavagna che divenne il suo primo cavalletto.49 Con i ritagli di sagome di soldati decorò il coperchio della sua scatola di colori, su cui scrisse profeticamente aspirante artista. Intorno ai dieci anni Edward ricevette riviste o manuali di disegno e per tutto l’anno successivo si esercitò con diligenza a delineare e ombreggiare forme geometriche come sfere e cilindri nonché oggetti quali vasi, cesti e scatole. In questi schizzi a carboncino e gesso bianco si concentrava già sull’importanza della luce, elemento a cui per tutta la vita attribuì grande valore. Edward disegnava anche uccelli, cavalli, cani, cacciatori, soldati, pistole, atleti, treni, barche e campanili. A scuola produsse lavori eccellenti per i corsi di geografia e zoologia. Elizabeth Hopper si procurò anche giornali e libri illustrati per stimolare la fantasia dei figli. L’edizione di lusso di Masterpieces from the Works of Gustave Doré era uno dei tesori di Edward.50 Dall’illustrazione L’incantamento di Don Chisciotte, l’adolescente copiò la testa del personaggio di Cervantes. A questa fonte furono forse ispirate anche le più tarde raffigurazioni del Don Chisciotte a cavallo. A casa Hopper il materiale artistico non mancava mai grazie al credito aperto presso la cartoleria Dutcher Brothers di Nyack. Elizabeth conservava le ricevute di matite, inchiostro, gesso, colla, penne, blocchi di carta e cornici, oltre che di libri e riviste: Black Cat (narrativa), Cosmopolitan, Delineator, Harper’s (per ristampe di letteratura britannica), Ladies’ Home Journal, McClure’s, Metropolitan, Munsey’s, Quarterly Illustrator, St. Nicholas (rivista illustrata per bambini), Strand e Puck (settimanale umoristico e di critica sociale).51 Il numero di Puck del 13 novembre 1889 contiene schizzi di teste di profilo e il nome eddie in stampatello. A dieci anni, Edward firmava e datava i disegni. La grande quantità di fogli conservati attesta il suo entusiasmo e il lungimirante apprezzamento della madre, oltre a documentare un’infanzia a malapena accennata nelle interviste di Hopper e di cui esistono scarse testimonianze scritte. Alcune scene mostrano una notevole raffinatezza e preannunciano già uno stile personale. La rappresentazione realistica di una serie di facciate di negozi in mattoni lungo la North Broadway, con Callahan Brothers (la drogheria di cui gli Hopper erano clien-

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Edward Hopper, There’s trouble comin’, 1898. Inchiostro su carta, 20,3 × 25,4 cm.


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ti fissi) e il carro delle consegne, suggerisce la composizione del capolavoro del 1930, Early Sunday Morning. Con una chiara scelta compositiva, Hopper optò per un formato orizzontale allungato, preferendo lasciare in bianco il lato inferiore del foglio anziché disegnare un’immagine quadrata. L’interno di un ristorante affollato di avventori e camerieri richiama dipinti della maturità. Oltre a disegnare, Edward si cimentava nell’acquerello; a tredici anni ne eseguì uno con un’imbarcazione a vela, firmato e datato 1895. Su piccoli fogli di carta ordinaria dipinse una gamma di soggetti simili a quelli dei disegni: non solo barche a vela e navi, ma anche soldati, alberi, agrifogli, un leone che gioca, una natura morta. Nel 1899 aveva acquisito una certa padronanza della tecnica, riuscendo a dipingere un soldato aggressivo con il fucile spianato e due ballerine. In questo periodo, eseguì un ritratto a gouache di Garret. La figura paterna sembra un po’ impaurita. Sono giunte fino a noi anche alcune prove dilettantesche di pittura a olio. Inizialmente l’artista in erba intendeva dipingere paesaggi. A tredici anni raffigurò una barca a remi ancorata in un’insenatura, il suo primo olio su tela firmato e datato tuttora esistente. In un successivo schizzo a penna e inchiostro del piccolo studio nella casa di famiglia, rappresentò un suo dipinto del vecchio laghetto ghiacciato di Nyack su un cavalletto e la scatola dei colori posata sul pavimento. In un altro olio, eseguito quando era ancora alle scuole superiori, tentò una scena nautica, soggetto prediletto dei primi disegni. Hopper sperimentò anche l’inchiostro. È del 1895 un disegno del piroscafo britannico Great Eastern. Probabilmente furono le riviste illustrate a stimolarlo a provare la tecnica. Il noto illustratore Joseph Pennell affermava che il disegno a penna come «arte in sé» iniziò a fiorire in America solo intorno al 1880.52 Ciò era dovuto in parte all’elaborazione di un nuovo processo di incisione fotografica adatto alla riproduzione di disegni a penna e inchiostro. Hopper emulò la tecnica osservata in riviste quali St. Nicholas, Puck, Harper’s e Century, acquistando una tale dimestichezza che da sola avrebbe potuto convincere i genitori a fargli seguire una carriera di illustratore pubblicitario. Dai manuali di disegno e dalle popolari illustrazioni su giornali e libri, Edward assimilò il repertorio prevalente di atteggiamenti, stili e temi, oltre che i tardi valori vittoriani. I soldatini avuti in regalo dal padre per Natale lo ispirarono a disegnarne altri, spesso in azione, che poi ritagliava e dipingeva ad acquerello con dovizia di dettagli. Le uniformi storiche catturarono la sua attenzione, facendogli sviluppare un particolare interesse per la storia americana. La guerra di Secessione aveva plasmato la memoria collettiva della generazione di suo padre;53 nato nel 1852, Garret ne aveva percepito gli effetti in prima persona, scampando al terrore e al pericolo delle sommosse scoppiate nel 1863 a New York per la chiamata alle armi dei coscritti e accumulando ricordi che avrebbero aperto gli occhi al figlio.54 La guerra viveva in foto documentarie e opere d’arte, dalle illustrazioni e i dipinti di Winslow Homer alle sculture commemorative, ma anche in cerimonie pubbliche e festose ricostruzioni storiche. Già nel 1890, l’evento stava diventando un «ricordo romantico».55 Musei e monumenti dedicati alla guerra civile e le

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fotografie di Matthew Brady avrebbero destato l’interesse di Hopper negli anni successivi. Un soldato della Rivoluzione americana che se ne sta con la baionetta di fronte al fuoco di un accampamento appare in At Valley Forge, un disegno di particolare pregio eseguito da Edward nel 1895, all’età di tredici anni, in cui ebbe cura di rendere con precisione le pieghe nel cappotto del combattente e le grinze nei gambali. Nel febbraio 1898, il quindicenne Hopper fu trascinato dall’ondata di fervore collettivo suscitato dall’affondamento della nave da guerra Maine, che si inabissò al porto dell’Havana causando la morte di duecentosessantasei uomini. Divorando articoli di giornale e illustrazioni, Edward utilizzò penna e inchiostro per creare le sue personali versioni degli eventi che portarono alla guerra ispano-americana: Destruction of the Maine; February 15, 1989; Havana Harbour; e un’immagine dello Zio Sam recante la scritta theres [sic] trouble comin’. Elettrizzato dalla retorica patriottica del presidente William McKinley e dalle vivaci parate navali, Hopper raffigurò anche la Shelling Havana. Seppur con minore intensità, Edward assorbì altri pregiudizi e ansie contemporanei. Negli anni novanta dell’Ottocento, il dibattito sulla capacità di assimilare il crescente flusso di immigrati divise nettamente il paese e spaccò anche i battisti.56 Proliferarono gli stereotipi che paventavano una minaccia allo status quo rappresentato dalla “vera” America, quella anglosassone e protestante, da parte di forze estranee e radicali. Questa ideologia nativista è alla base dello schizzo con la didascalia Anarchism in cui Hopper ritrasse un uomo dall’aspetto grottesco con barba e capelli lunghi, somigliante al cliché popolare dell’immigrato arrivato di recente dall’Europa orientale.57 Un’ideologia affine permea altri disegni di questo periodo. In uno appaiono otto figure maschili rappresentate con abiti, occupazioni e attributi anatomici enfatizzati a indicare altrettanti tipi etnici. Altri ritraggono un cinese in una giunca, africani che ballano intorno a un bianco legato a un palo vicino a un calderone e scene convenzionali di vita afroamericana. Gli stereotipi culturali affiorano anche nella prima poesia burlesca di Edward giunta fino a noi, scritta in un linguaggio che riecheggia inni ecclesiastici e lezioni di catechismo: Sull’ultima guerra cinese La razza pagana precipita all’inferno Mentre dalle sue molteplici gole prorompe L’ultimo selvaggio inno in lode A idoli di ottone e pietra. Ma la razza cristiana armata di fuoco e spada Può conficcare in quelle gole il vangelo di nostro Signore. La collera di Dio si abbatterà su questi presuntuosi fantocci Che sprecano i loro sforzi incoerenti per le orde di pagani. [sotto compaiono schizzi di tre volti con tratti cinesi]58


· Le origini del conflitto: 1882-1899 · Edward Hopper, Anarchism, 1899. Inchiostro su carta (particolare), 19,7 × 25,1 cm.

Alludendo alla resistenza cinese nei confronti della dominazione straniera culminata nella rivolta dei Boxer del 1900, Edward mette in versi il gergo religioso, utilizzando lo sciovinismo per avvicinarsi in maniera maldestra e sovversiva a uno scetticismo ironico.59 Ironia e satira diventarono un suo tratto caratteristico, evidente in numerosi disegni. La nuova moda della bicicletta attirò ben presto l’attenzione di Hopper, ispirandogli immagini satiriche come quella di una donna che ha perso il controllo del mezzo e sfreccia a tutta velocità verso l’osservatore (per Hopper il pericolo assume tipicamente sembianze femminili). In un disegno ritrasse una coppia che amoreggia con la didascalia landscape after hopper, alludendo ironicamente a se stesso con la formula riservata ai grandi maestri. In un’altra scena di corteggiamento, utilizzò la scritta «A snapshot», mostrando una precoce e tempestiva conoscenza della fotografia: il termine snapshot, cioè istantanea, si riferiva infatti alle immagini realizzate con macchine portatili ed entrò in uso intorno al 1890. In un altro disegno satirico un uomo posava per una foto nello studio del «Prof. Myron Clark Hypo Durkee Esq.». L’umorismo burlone di Hopper emerge di frequente, stimolato dal suo amore per le vignette del popolare caricaturista britannico Philip May. La scena di un giocatore di baseball alla battuta reca la didascalia this is a comic picture e un’altra, raffigurante un ricevitore con la maschera, ripete la frase intimando «Bisogna ridere». Hopper abbina comicamente sapere scientifico e pregiudizio etnico in uno schizzo del 1899: un uomo con tratti scimmieschi, che indossa un completo e un cappello a cilindro, osserva una scimmia in gabbia

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Edward Hopper, Eight Male Figures of Different Nationalities and Occupations, 1897 ca. Matita su carta, 20,3 × 25,4 cm.


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allo zoo. La didascalia recita: «Pat. E poi dicono che discendiamo da quegli animali. In fede mia, io non ci vedo nessuna rassomiglianza». Il nome Pat evoca lo stereotipo dei cattolici irlandesi, gli immigrati più recenti di Nyack. La battuta mordace fa riferimento a Darwin e al conflitto tra il fondamentalismo religioso delle scuole di catechismo e il crescente fervore scientifico per le teorie evoluzioniste, schierandosi argutamente dalla parte del sapere laico. Esseri umani con tratti scimmieschi appaiono anche in altri schizzi umoristici dello stesso periodo. La conoscenza delle teorie di Darwin contribuì forse a rafforzare nel giovane artista gli stereotipi negativi sulle donne. I lettori dell’Origine dell’uomo60 si imbattono in affermazioni quali «l’uomo è più potente nel corpo e nella mente che non la donna, e nello stato selvaggio egli la tiene in uno stato di schiavitù molto più abietto che non faccia il maschio di qualsiasi altro animale». Darwin asseriva anche che gli uomini hanno un «vigore intellettuale e una capacità inventiva» maggiori della donna.61 L’idea della superiorità maschile era tutt’altro che scontata in casa Hopper. Non era il padre di Edward a comandare. Molto spesso trovava un pretesto per starsene in negozio o in chiesa, lasciando il figlio da solo in una casa in cui era sopraffatto dalle donne: la madre, la sorella, la nonna e la domestica. Quando la presenza di tutte queste donne diventava troppo minacciosa, Edward si rifugiava nella solitudine della sua stanza o della soffitta per leggere o disegnare. I bersagli dei suoi scherzi insensibili erano spesso femminili, a indicare che era equamente diviso tra l’insofferenza della dominazione e il desiderio di farsi notare. Di queste dinamiche non si sarebbe mai liberato. La disparità tra i ruoli maschili e femminili in casa Hopper produsse notevoli esempi della vena umoristica di Edward. Schizzi satirici, eseguiti a quattordici anni, mostrano un uomo barbuto, debole e magrolino, che dapprima allontana una donna corpulenta, poi si sottomette con evidente riluttanza al suo abbraccio soffocante e infine si dà alla fuga, inseguito dalla donna con le braccia protese. Le immagini – che recano in basso le didascalie act i, act ii neck, the escape – traducono in caricatura i genitori di Hopper e danno voce alla sua percezione adolescenziale di un rapporto sbilanciato e minaccioso tra maschio e femmina. La madre rappresentava l’attrazione e insieme la paura verso la donna estroversa e dominante, mentre il padre lasciava presagire il maschio insicuro e ritroso che Hopper sarebbe diventato. In un’altra sequenza di vignette, A Misinterpreted Command, Mrs. Henpeck avverte il marito: «John, io ora esco e lascio il fuoco nelle tue mani». Il marito, identificato con Mr. Henpeck, risponde timidamente: «No, meglio che lo lasci nella stufa». Ancora una volta, le immagini documentano stereotipi contemporanei e al tempo stesso suggeriscono in maniera specifica la capacità d’osservazione e l’esperienza familiare di Edward. In uno spirito affine, Hopper disegnò un biglietto d’auguri per il padre con la scritta merry christmas pop utilizzando un disegno a penna e inchiostro in cui Garret si mostra pieno di sorpresa di fronte alla penna d’oca appena ricevuta

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Edward Hopper, Act i, Act ii Neck, The Escape, 1896 ca. Matita su carta.

in regalo. La figura paterna, con le pantofole da casa sotto il completo e i capelli ispidi e scompigliati sulla testa mezza calva, appare impacciata, debole e persino patetica. Queste caricature attestano che il modello maschile di Hopper era privo dell’autorità richiesta dalla cultura dominante e dal figlio stesso. L’inversione dei ruoli psicologici messa in atto dai genitori dovette provocare in lui una sorta di risentimento nei confronti delle figure femminili forti. Al pari del padre, tuttavia, si sentiva attratto da donne espansive come la madre, la cui vivacità contrastava con la sua personale introversione. Negli anni del liceo Hopper si raffigurò ripetutamente in dipinti e schizzi. Questi autoritratti, spesso nella forma di caricature informali, rivelano molto della sua personalità, dell’immagine che aveva di sé, delle sue ansie. In un disegno, che appare sul foglio insieme a due schizzi di pugili, si rappresenta con espressione cupa, maldestramente piantato sui grandi piedi sgraziati, piegato in avanti e con un paio di mutande da bambino, quasi non fosse cresciuto. In un altro, il suo corpo smilzo e allampanato somiglia a un palo che sostiene un collo cilindrico al quale è attaccata la testa, con grandi orecchie che sporgono in maniera goffa e il braccio allungato in un angolo. Questa caricatura è posta al centro di un foglio zeppo di altre immagini maschili, tra cui un pastore con il


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bastone, un uomo con una spada, un indigeno con la lancia, un poliziotto con una pistola spianata. Solo la goffa e scheletrica figura nel mezzo appare inerme, senza un’arma a difenderla dal mondo. Per tutta la sua giovinezza Hopper si raffigurò con tratti distorti e poco attraenti, che indicavano l’avversione per le proprie labbra carnose e per le orecchie grandi. Si ritrasse inoltre nudo, ossuto e sgraziato, seduto sul bordo di una vasca con le spalle curve. Una volta si disegnò, scheletrico e affaticato, in sella a una bicicletta. Tornò poi sul tema con un’immagine in cui acquistava velocità e si premiava per l’impegno con un’aureola, simbolo convenzionale di virtuosità che avrebbe utilizzato come elemento chiave nel rappresentare se stesso in situazioni di conflitto. Quando prese il diploma, nel 1899, si ritrasse in uno schizzo a penna e inchiostro con il tocco, la toga e il diploma in mano, nell’atto di uscire dalla porta che rappresenta la sicurezza di casa per dirigersi verso una montagna lontana chiamata fama. Una didascalia recita out in the cold world. Ancora una volta Hopper ricorre alla caricatura e agli stereotipi per tentare di esprimere le sue complesse emozioni. La fiducia nelle proprie capacità lo spinge a usare mezzi pittorici per dar voce al conflitto interiore. Lo schizzo rivela come, nel momento di passaggio, la mente del giovane sia rivolta all’ambizione legittimamente alimentata dalla sua esperienza artistica, mentre l’insicurezza impone il riferimento al rischio. Il suo talento, scoperto e coltivato tra le pareti domestiche, si era già dimostrato un rifugio e una risorsa. Adesso lo spingeva al di fuori della comunità così familiare e rassicurante ma anche angusta e castrante. I sentimenti di Hopper emergono ancora in un altro schizzo eseguito sullo stesso foglio, un autoritratto che lascia intravedere una fronte corrugata e ansiosa sotto il tocco da diplomato. Edward desiderava ardentemente dedicarsi all’arte ma doveva lottare contro i genitori che temevano per la sua sicurezza futura. Il fallimento del padre negli affari non lasciava spazio alla fiducia. Sua madre, ancorché colta e consapevole del talento del figlio, era apprensiva e iperprotettiva. Sapeva bene quanto il tenore di vita della famiglia dipendesse dalle sue risorse e temeva che il ragazzo potesse aver ereditato l’inettitudine del marito. Entrambi i genitori implorarono Edward di seguire un corso per illustratori. Consci del rischio economico, dimentichi della fiduciosa missione condotta dal nonno di Elizabeth nella sua terra di adozione, suggerirono la strada indicata da un’infinità di libri e riviste. Le virtù improntate alla prudenza e subordinate alla mediocrità ebbero la meglio. Edward fu vittima delle stesse considerazioni: assillato dall’esempio paterno, non riusciva a credere con assoluta certezza nelle proprie potenzialità. Il dubbio e gli insuccessi del passato scrissero fin da subito una storia di frustrazione e depressione.

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Nell’autunno del 1899 Edward iniziò a frequentare i corsi di formazione della New York School of Illustrating. Fatta eccezione per gli annunci pubblicitari ancora visibili sulle pagine quasi sgretolate di vecchie riviste, la scuola ha lasciato poche tracce negli annali dell’arte americana. Gli annunci pubblicitari sopravvissuti fino a oggi ci forniscono un’indicazione su ciò che gli Hopper speravano di ottenere iscrivendo Edward a una scuola di grafica. Le prospettive sottintese e la competenza professata rientravano nel classico repertorio di lusinghe delle scuole commerciali, anche quando attestavano la vivacità del mercato dell’immagine nell’America tardovittoriana. Proprio nel periodo in cui Edward concludeva i suoi studi superiori, sul numero di Brush and Pencil del giugno 1899 compariva la pubblicità di un ragazzo con tanto di cravattino, album da disegno e penne: scuola d’illustrazione per corrispondenza impara a disegnare per posta Come imparare a disegnare per quotidiani e riviste a casa e nel tempo libero con i consigli di illustratori di successo. Corsi aperti a giovani e adulti, uomini e donne, principianti e studenti di livello avanzato. Un’opportunità per accedere a una professione molto redditizia. Grazie alla formazione pratica garantita dai nostri metodi gli studenti sono diventati illustratori famosi. Informazioni gratuite.1

Durante l’estate la scuola cambiò sede e si ingrandì fino a offrire corsi interni.2 A settembre pubblicò un altro annuncio su International Studio presentandosi con un nome nuovo e un discorso d’imbonimento diverso: n.y. school of illustrating offre corsi di disegno per quotidiani, riviste, libri. Esercitazioni pratiche in tutti i metodi moderni. Docenti: chas. hope provost (celebre collaboratore di Life, Truth, Scribner’s, N.Y. Herald, St. Nicholas, ecc); m. de lipman (ex redattore artistico del N.Y. Journal, collaboratore del N.Y. Herald); r.l. curran (collaboratore fotografico di Cosmo-

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politan, Truth, Illustrated American, ecc.); janie zimmer (allieva di W.L. Metcalf, Douglas Volk e Francis C. Jones). Lezioni giornaliere e serali. Nessun’altra scuola garantisce una formazione pratica di questo livello. Telefonate o scrivete per avere tutte le informazioni. n.y. school of illustrating 114 West 34th Street, New York3

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Sulle ricevute rilasciate a Hopper comparivano il vecchio nome della scuola e il nuovo indirizzo. Edward scelse il corso con lezioni quotidiane e iscrizione mensile e ogni sera tornava a casa sulla North Broadway, prendendo il traghetto fino a Hoboken e poi il treno per Nyack.4 I genitori valutarono la scuola in base alle apparenze; i corsi sembravano la giusta via per entrare nel mondo che conoscevano dalla stampa. Niente a Nyack li aveva preparati all’eventualità che non si trattasse di una scuola di prima qualità. Una pubblicità sul numero di ottobre 1899 di Scribner’s Magazine dichiarava che «la scuola è il risultato dei corsi d’illustrazione fondati da Chas. Hope Provost sette anni fa».5 Testi quali A Treatise on How to Illustrate for Newspapers, Books, Magazines, etc. (1903) e Simplified Illustrating (1911),6 descrivevano i metodi usati da Provost che Hopper avrebbe scoperto a scuola: «I fogli d’esercitazione simili a quelli che accompagnano questo manuale sono stati da me inventati nel 1893 e utilizzati per la prima volta nei corsi che allora si tenevano al 9 di West 14th Street a New York. […] Una parte del mio programma prevede che ogni studente si eserciti ripetutamente con questo materiale».7 Provost suggeriva all’aspirante grafico di copiare attentamente un certo numero di tavole illustrate e si vantava di aver «disegnato migliaia di illustrazioni» per molte riviste, tra cui Harper’s Monthly, Harper’s Weekly, Vogue, Ainslee’s e Ladies World.8 Il volume del 1903 prendeva in considerazione il «lato commerciale dell’illustrazione», tornando a uno dei temi preferiti del suo autore: «L’arte commerciale è estremamente redditizia quando viene considerata come un’attività economica».9 Il profitto era un argomento vincente, era utile ribadirlo. Nell’annuncio del 1899 Provost pubblicizzava: “Una professione estremamente redditizia”. Eppure la motivazione economica non convinceva tutti, come lo stesso Provost era costretto ad ammettere: «Molti studenti dotati di un forte temperamento artistico considerano con disprezzo tutto il lavoro commerciale. Potrebbero tentare con l’editoria». Un’affermazione del genere non poteva soddisfare Edward Hopper e quelli come lui. Quale che fosse l’utilità tecnica dei fogli d’esercitazione e delle tavole illustrate, la lezione più valida appresa a scuola fu una maggiore comprensione della natura e delle implicazioni del proprio talento. La scuola d’illustrazione gli fece capire che il lavoro commerciale era estraneo alle sue inclinazioni, così come gli affari lo erano a quelle del padre. La crescente consapevolezza si accompagnava al risentimento, destinato a durare e a riemergere dopo molto tempo. Negli anni trenta Hopper raccontò con rara sincerità la storia della sua partenza da casa e dell’iniziale delusione a un suo sostenitore, Homer Saint-Gaudens, direttore del dipartimento di Bel-


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le Arti del Carnegie Institute. Secondo Saint-Gaudens, Hopper: «era talmente preso dal disegno che dopo il diploma i genitori lo iscrissero a una scuola d’arte commerciale a New York, da cui trasse pochissime soddisfazioni».10 Il ricordo di quel malcontento deve essere valutato in relazione a ciò che affascinava Hopper a quel tempo. Era il momento d’oro dell’illustrazione, l’epoca in cui i professionisti più famosi esigevano compensi esorbitanti. L’esempio degli illustratori colpì la sua fantasia: in uno schizzo a penna e inchiostro ritrasse Charles Dana Gibson elegantemente vestito e con la tavolozza in mano.11 Nei suoi primi lavori predominavano i soggetti che potevano interessare gli editori. In passato aveva copiato un’illustrazione di Doré per La ballata del vecchio marinaio di Coleridge; adesso disegnava altri personaggi letterari a penna e inchiostro: da Dickens il giovane ingenuo di Barnaby Rudge, Fagin e Oliver di Oliver Twist, l’imperscrutabile avvocato Tulkinghorn di Casa desolata e Sydney Carton di Racconto di due città; da Conan Doyle, il protagonista delle Avventure di Gerard e da Hawthorne l’adultera Hester Prynne della Lettera scarlatta. In un disegno a matita si ispirò alla poesia The Bridge of Sighs di Thomas Hood per ritrarre il suicidio di una giovane donna. Eseguì diversi schizzi anche da Kipling e Hugo, gli scrittori preferiti della sua adolescenza, così come da Ibsen e Cervantes. Altri disegni, che probabilmente non furono eseguiti per la scuola, rappresentano la testa del diavolo con la didascalia «Studi per il Diavolo nell’Avaro», anche se Satana non è un personaggio della commedia di Molière. Hopper approfondì il tema in una piccola tavola a olio dai colori vivaci firmata e datata 1900: una figura pensierosa, con il mento appoggiato a una mano nel tipico gesto di chi riflette, e vestita tutta di rosso come esigeva la tradizione tedesca, con un mantello di seta rigida, una piuma sul cappello e una lunga spada appuntita appena visibile nell’altra mano. Circondata da un accenno di fiamme, questa immagine di Mefistofele fa pensare piuttosto a un disegno per il teatro, forse per il Faust di Goethe, considerato emblematico della sensibilità romantica tedesca. Anni dopo Hopper avrebbe incluso Goethe (uno degli esempi citati da Emerson) tra gli scrittori che avevano influenzato la sua estetica. Se a scuola perfezionava le varie tecniche, a casa Hopper continuava a disegnare scene comuni: usando la grafite o l’inchiostro ritrasse una donna su una sedia a dondolo, la casa di North Broadway, il cantiere di Smith, una lapide coloniale, una piccola barca a vela con un solo albero che aveva visto nella vicina Piermont; eseguì altri studi di barche, rocce e case nel paesaggio e alcuni schizzi dei suoi familiari e degli amici. Nella primavera del 1900 sperimentò l’inchiostro acquerellato, un medium nuovo per lui che in quel periodo andava diffondendosi tra gli illustratori e verosimilmente rientrava tra le tecniche insegnate in una scuola aggiornata. L’inchiostro acquerellato poteva essere riprodotto con il nuovo processo di stampa a mezzatinta e secondo alcuni rappresentava un’alternativa più facile all’impegnativa disciplina del tratteggio. Benché Hopper non avesse problemi con il tratteggio, usò l’inchiostro acquerellato per disegnare un carillon, una rivoltella, una cartella e un ragazzo. In un disegno che intitolò Ship of the Great White Fleet raffigurò una nave militare americana con

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Edward Hopper, Camp Nyack, Greenwood Lake, 1900. Inchiostro su carta, 34,9 × 24,1 cm.

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quell’amore per i particolari tipico di chi è cresciuto in mezzo alle barche, già evidente negli schizzi della Maine. Hopper era ammirato dalla nuova flotta, che fu modernizzata sotto la presidenza espansionista di McKinley e dipinta tutta di bianco in uno sfoggio di potenza. Considerata l’inclinazione per la caricatura, Hopper probabilmente seguiva con interesse le lezioni sull’«umorismo nell’arte» del direttore della scuola, Provost, il quale successivamente scrisse: Parlando in generale, tutta l’arte umoristica sta nell’esagerazione della natura. Una linea più lunga qui, un’altra più breve lì, una curva accentuata in maniera quasi impercettibile, questi e altri accorgimenti compongono quella che viene chiamata caricatura. Tuttavia, queste deliberate modifiche alla natura devono essere guidate da una mente che ha un reale senso dell’umorismo; e la mano che disegna una caricatura deve prima imparare a disegnare un oggetto così com’è. Copiare i lavori di bravi artisti comici può servire per scoprire i metodi più diffusi di fare caricature.12

Con o senza questi consigli, Hopper scoprì un bravo artista satirico e iniziò a copiarlo. Nel Natale del 1899 la rivista Century pubblicò East End Loafers del brillante illustratore inglese Phil May.13 Subito dopo, Edward copiò uno dei tre uomini squattrinati davanti alla vetrina di un negozio e acquistò il Phil


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May’s Sketchbook con cinquanta vignette.14 Realizzò anche due schizzi a penna e inchiostro intitolati Phil May’s Singer che ritraevano un musicista di strada trasandato. Tornato a casa per l’estate, Hopper scelse e raffigurò alcune vedute locali in disegni accurati che risentivano della ripetuta pratica con i fogli d’esercitazione: The Creek at Hogencamps, Old Church on New City Road, Deserted House on Mountain e Camp Nyack, Greenwood Lake. Si cimentò anche in un acquerello naturalistico del più celebre e grandioso elemento paesaggistico locale, Hook Mountain, Nyack. Nel 1866 il promontorio che incombe sul Tappan Zee aveva ispirato un olio ambizioso di Sanford Robinson Gifford. Altre vedute imponenti dei paraggi furono dipinte con stile altrettanto romantico durante la seconda metà del secolo da Albert Bierstadt, che viveva e lavorava a Irvington-on-Hudson, proprio dall’altra parte del fiume. Diffusamente riprodotti sulla stampa illustrata, i pittori dell’Hudson River School facevano parte di quella cultura visiva che permeò casa Hopper. Quando Edward guardava quei luoghi, di certo aveva in mente le loro opere. Nella sua pacata rappresentazione della Harverstrow Bay, con le due cime che si riflettono nell’acqua, Gifford diede particolare risalto agli effetti di luce e all’atmosfera. Hopper, invece, guardò a nord da Nyack, ponendo al centro della composizione non le montagne ma una desolata parete rocciosa di colore chiaro, contro cui si staglia la ciminiera scura di una fabbrica con le finestre nere. In basso, tralicci, moli e tracce di attività umane invadono i pendii verdi e si spingono fino al fiume. Com’era sua caratteristica, Edward diede poco spazio al romanticismo. Hopper si accampò a Greenwood Lake con gli amici e registrò l’esperienza in alcuni disegni: due mostravano il campeggio e la tenda nei minimi particolari, compresa la ruota della bicicletta appesa all’interno, le scatolette di cibo disseminate sul prato in primo piano, le panchine improvvisate con le cassette di latte e la biancheria stesa ad asciugare. Un terzo schizzo (eseguito alla fine di una lettera scritta ai familiari) raffigurava non solo il campeggio ma anche la strada per tornare a casa. Sotto la scritta on the watch Hopper ritraeva il padre seduto sul tetto della casa intento a spiare il figlio attraverso un telescopio. I ragazzi si trattennero fuori per una settimana o più. Tra gli amici che quell’estate campeggiarono con lui a Greenwood Lake c’era Wallace Temper, un ragazzo che a suo modo si sarebbe adeguato più prontamente di Hopper ai progressi dei primi del Novecento, diventando fabbro, poi idraulico e infine benzinaio a Nyack.15 Edward ritrasse l’amico e se stesso impegnati in un combattimento di boxe ispirandosi chiaramente a Phil May e al suo ironico Record of the Famous Fight between Phil May and Fatty Coleman, in cui l’artista inglese aveva messo a contrasto la propria figura ossuta e goffa con la possente forza fisica di Coleman.15 Hopper eseguì un disegno simile, ritraendo se stesso mentre sta per essere colpito da un pugno del più muscoloso Temper. Hopper alto e magrissimo ha una posizione impacciata e sgraziata, il volto delicato ma alterato da una smorfia di paura. Lo stomaco di Temper sporge dai calzoncini; Edward ne indossa un paio a righe e per di più decorati con un fiocco a forma

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50 Edward Hopper, Edward Hopper Boxing with Wallace Tremper, 1900. Inchiostro su carta.

di fiore a suggerire qualità quasi femminili. Una variante del disegno mostra il virile Temper che sferra un knockout con il braccio destro mentre Hopper sta per cadere al suolo. Ancora una volta, il registro comico svela una profonda verità sulla vita emotiva dell’artista e, in questo caso, sulla sua mancanza di sicurezza. Nell’anno trascorso in città, Edward acquisì maggiore consapevolezza della propria inclinazione e della scena artistica. Nell’autunno del 1900 convinse i genitori a iscriverlo a una scuola molto più illustre, che offriva un insegnamento più ampio, non limitato al settore dell’arte commerciale. Gli Hopper accettarono di pagare i quindici dollari mensili della retta, più alta della precedente. Edward, per parte sua, avrebbe continuato a studiare illustrazione. La New York School of Art si trovava al secondo piano di un fatiscente edificio di laterizi al 57 di West 57th Street, all’angolo di 6th Avenue. Fondata con il nome di Chase School dal pittore William Merritt Chase, nel 1900 apparteneva ed era diretta da Douglas John Connah, un artista il cui stile era stato molto influenzato da Chase. Contrariamente alla norma, l’ammissione alla scuola non


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prevedeva il superamento di un esame. Gli studenti principianti lavoravano subito dal vero anziché copiare le riproduzioni delle opere classiche. Disegno e uso del colore venivano insegnati insieme. Nel complesso vi si respirava un clima antiaccademico. Rispetto ad altre scuole più all’antica, l’istituto era chiassoso, persino caotico. Quando gli insegnanti erano assenti, i ragazzi facevano a pugni con i modelli, si rincorrevano per la stanza saltellando seduti sulle sedie o si appendevano all’architrave, sollevandosi fino a toccarla con il mento.17 I nuovi allievi potevano iscriversi in qualsiasi periodo dell’anno, a condizione che nelle aule fatiscenti ci fosse spazio e, ignari di tutto, venivano accolti da compagni di classe che fischiavano, cantavano, fumavano e li prendevano in giro. Un ex studente ricordava: Una delle caratteristiche della Chase School è il modo bohémien in cui, alla fine della giornata, si raschia via il colore dalle tavolozze per poi strofinarlo sulle pareti e talvolta sulle sedie. Dal pavimento al punto più alto raggiungibile il colore è spesso cinque centimetri, per la maggior parte è secco, ma non si sa mai. Con il coltello pieno di colore si creano grossi grumi morbidi, davvero strani agli occhi di un estraneo; tutti gli studenti della Chase hanno i pantaloni macchiati di rosso.18

Vivacità e burle andavano di pari passo con la serietà dell’insegnamento. La scuola teneva regolarmente concorsi pubblici e allestiva mostre degli studenti. Ogni anno venivano assegnate dieci borse di studio per la frequenza gratuita, divise equamente fra uomini e donne; ogni mese venivano consegnati premi in denaro per i migliori lavori delle varie classi. Molti dei compagni di corso di Hopper avrebbero lasciato un segno più o meno profondo nella storia dell’arte americana del Novecento: Guy Pène du Bois, George Bellows, Rockwell Kent, Glenn O. Coleman, Gifford Beal, Homer Boss, Arnold Friedman, Walter Pach, C.K. Chatterton, Carl Sprinchorn, Edmund William Graecen, Randall Davey, Walter Tittle, Patrick Henry Bruce, Clarence Coles Phillips ed Eugene Speicher. Uno studente molto più giovane, Webb P. Hollenbeck, all’epoca chiamato Robin o talvolta Robin Red Nose, sarebbe diventato un attore famoso con il nome d’arte di Clifton Webb.19 Un altro, Vachel Lindsay, seguì il consiglio del popolare insegnante Robert Henri e abbandonò la pittura per la poesia, anche se poi continuò a illustrare le proprie liriche.20 L’insegnante d’illustrazione era Arthur Ignatius Keller, i cui disegni figurativi improntati al realismo ponevano l’accento sul carattere del soggetto ed erano quindi molto diversi da quanto Hopper aveva fatto fino a quel momento. Keller, famoso per la brillante agilità della tecnica, aveva studiato alla National Academy of Design di New York e all’Alte Akademie di Monaco di Baviera. Grazie all’uso sapiente dei passaggi di luce e alla finezza dei toni, i suoi lavori esprimevano una notevole spontaneità. Un’illustrazione di Keller, inoltre, compariva sul numero di Century da cui Hopper aveva copiato Phil May.21 I dise-

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gni di Edward di questo periodo dimostrano che gli allievi di Keller si concentravano sulla figura, ritraendo modelli in costume per stimolare la fantasia e migliorare la tecnica. Hopper aveva già iniziato a studiare l’anatomia seriamente, concentrandosi su una sola parte del corpo, una mano o un piede. E aveva anche cominciato a esaminare con attenzione le tavole di Andrea Vesalio. Secondo la descrizione di un altro studente, Hopper era «alto, con l’ossatura forte e i modi solenni, ma aveva gradevoli guizzi di sarcasmo».22 Clarence K. Chatterton, noto come Chat, seguiva lo stesso corso d’illustrazione, aveva due anni in più di Edward ed era un ragazzo «slanciato e di bell’aspetto»,23 come lui originario di una città sull’Hudson, Newburgh. Chatterton raccontava che Hopper lo considerava una sorta di fratello maggiore e si sedeva sempre vicino a lui durante le lezioni. Passò un altro anno prima che in Edward maturassero la fiducia e la consapevolezza necessarie per passare dall’illustrazione alla pittura. La rilevanza della decisione appena presa emerge da un aneddoto riferito da Chatterton, che seguiva ancora i corsi d’illustrazione. Un giorno, sul finire dell’autunno del 1901, Hopper entrò nella classe in cui Chatterton stava disegnando e gli diede una tavolozza e dei pennelli dicendo: «È ora che inizi a dipingere».24 Considerate la timidezza e la riservatezza di Hopper, si trattò di una rivelazione e di una presa di coscienza di enorme portata. Edward non poteva fare a meno di condividere il suo nuovo e più alto proposito con il ragazzo che tra i suoi affetti aveva occupato il posto del fratello mai avuto. La sua determinazione impressionò talmente Chatterton che questi accettò la sfida. Divenne anch’egli un pittore e rimase amico di Hopper per tutta la vita. In quel periodo gli studenti della scuola potevano scegliere tra diversi professori, i quali facevano riferimento a Chase come fondatore e insegnante principale. Il corpo docente era formato da J. Carroll Beckwith e F. Luis Mora, entrambi maestri di disegno e pittura, e Frank Vincent du Mond, titolare della cattedra di pittura e composizione. Il nome di Beckwith compare su uno dei primi disegni di nudo femminile di Hopper, probabilmente perché era un assistente di Chase e lo aveva sostituito in alcune lezioni. Il preferito di Hopper era Kenneth Hayes Miller, con cui studiava disegno. Chase fu il primo insegnante di pittura di Edward. Nato nell’Indiana, ma formatosi all’Alte Akademie di Monaco di Baviera, suscitava molta ammirazione in quanto «anima e istruttore principale» della scuola, nella quale aveva portato la sua eleganza europea.25 Nel febbraio del 1901 Chase, che all’epoca aveva cinquantadue anni, dichiarava di avere trecento studenti, il sessanta percento dei quali erano donne. Metteva sempre in guardia i suoi allievi: «Liberatevi al più presto dell’influenza della scuola. Coltivate l’individualità. Sforzatevi di descrivere il vostro ambiente con le vostre luci, nel vostro modo».26 Spiegava: «Molti giovani rimangono troppo a lungo nelle scuole d’arte […] Il periodo di studi medio è di circa tre anni. […] Non più di un decimo degli studenti d’arte segue una carriera artistica e questo, forse, è giusto».27 Era convinto che un giovane avesse bisogno della scuola solo per acquisire la tecnica e gli automatismi. Hop-


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per, incoraggiato da premi e borse di studio, la frequentò per sei anni, il doppio di quanto raccomandato da Chase. Stando ai ricordi di Chatterton, il grand’uomo «era sempre vestito in maniera impeccabile: garofano bianco all’occhiello, panciotto grigio perla, cravatta fermata da un anello, ghette».28 Ogni lunedì Chase valutava pubblicamente il lavoro di tutti gli allievi in una grande aula, e una volta al mese dipingeva uno studio dal vero davanti agli studenti per dare «una dimostrazione pratica del suo metodo».29 Chatterton definiva «trionfi teatrali» le critiche di Chase: Sottolineava le sue osservazioni lisciandosi i grandi baffi con le dita e fissando lo studente di cui stava esaminando il lavoro attraverso gli occhiali o il monocolo che teneva appeso al collo con un grande nastro nero. Era un vero uomo di spettacolo e aveva un grande seguito. Le donne in particolare pendevano dalle sue labbra.30

Di tanto in tanto Chase accompagnava gli studenti al Metropolitan Museum of Art, sperando che vi trovassero ispirazione. Secondo i racconti di Vachel Lindsay, il maestro raccomandava ai ragazzi di visitare le gallerie d’arte almeno una volta al mese.31 Gli studenti andavano anche alle mostre allestite nella vicina Lenox Library, che nell’autunno del 1903 riguardarono le stampe giapponesi e le incisioni di Whistler.32 Queste visite sono documentate dagli schizzi di Hopper raffiguranti tre uomini intenti a studiare con attenzione i dipinti di un museo. Hopper era attratto anche dalla scultura. La maggior parte delle statue che disegnò si trovava nella gipsoteca, all’epoca una delle gallerie permanenti del Metropolitan. In particolare, Edward fu colpito dall’Eracle del frontone orientale del Partenone, dal Laocoonte, dall’Apoxyomenos di Lisippo, dal Bambino che strozza un’oca di Boethos di Calcedonia, dalla Venere di Milo, dall’Apollo Belvedere, dal David e dal Mosè di Michelangelo, dall’Arianna di Johann Dannecker, dalla Venere di Thorvaldsen e dall’Inverno di Rodin. Il giovane, inoltre, copiava le riproduzioni dei libri d’arte che acquistava, in particolare Masters of Art, collana economica molto popolare all’epoca. Arrivò persino a riprodurne l’intestazione in uno dei disegni. Chase sosteneva la necessità di assimilare i progressi compiuti da altri: L’originalità assoluta nell’arte si può trovare solo in un uomo che è rimasto chiuso sin da bambino in una stanza buia. […] Visto che dipendiamo dagli altri, perché non prendere sinceramente e apertamente tutto ciò che si può. […] L’uomo che lo fa con giudizio produrrà un’immagine originale che avrà un suo valore.33

E incoraggiava i suoi studenti a sintetizzare e adattare i motivi delle opere d’arte famose, consigliando loro: «Studiate un gruppo di dipinti alla volta e

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cercate di comprenderli. Non mi rincrescerà se imiterete il maestro che preferite per scoprire cosa vi piace nelle sue opere e tentare di riprodurlo a vostra volta».34 Seguendo l’insegnamento di Chase, Hopper realizzò alcuni disegni ispirati ad altri artisti, rivelando un’ampia gamma di interessi e una notevole curiosità. Il più delle volte riproduceva i particolari piuttosto che l’opera intera, tentando di capire meglio quali elementi suscitassero maggiormente il suo interesse. Le sue fonti erano grandi maestri quali Hals, Rubens e Velázquez, ma trovava affascinanti anche gli artisti dell’Ottocento. I suoi gusti comprendevano sia gli accademici quali sir Edwin Landseer, Henri Alexandre Georges Regnault, Mariano Fortuny y Carbo e Frederick Lord Leighton, sia artisti più d’avanguardia come Édouard Manet. Hopper si cimentò anche con i colori a olio per copiare Donna con pappagallo di Manet anziché usare come al solito la penna o la matita, di cui invece si servì per riprodurre Il pifferaio e Olympia. Disegnò anche l’Uomo con la zappa di Jean-François Millet, opera allora molto popolare. Con l’arguzia che lo caratterizzava, Hopper combinò alcuni elementi della Contessa d’Haussonville (Ingres) con altri del Bar alle Folies-Bergère di Manet per realizzare un ritratto di miss Flora McFlimsey, protagonista di un poema popolare del periodo precedente alla guerra di Secessione. Che Chase influenzasse Hopper anche con il suo esempio risulta evidente dai primi dipinti del ragazzo. Chase dipingeva in un elegante stile realista, caratterizzato da ampie pennellate applicate con il pennello carico di colore, che gli consentivano virtuosismi sulla superficie pittorica. Teneva lezioni separate per maschi e femmine, durante le quali gli allievi disegnavano e dipingevano dal vero con modelli nudi, anche se gli uomini che posavano per le ragazze portavano sempre un drappo sui fianchi. Nelle lezioni di ritratto e natura morta gli allievi lavoravano con modelli in costume o ambienti ricostruiti. Chase si divertiva a dimostrare che era in grado di dipingere un pesce così rapidamente da poterlo riportare ancora fresco al mercato dietro l’angolo. Gli studenti lavoravano con oggetti meno deperibili come vasi di rame e caraffe di ceramica, mettendo a contrasto le consistenze e i diversi riflessi sulle superfici. Nel 1903 Hopper dipinse una serie di nature morte per il maestro, il quale era solito ricordare ai suoi allievi che «non è il soggetto ma ciò che il pittore fa del soggetto a rendere grande un dipinto».35 La ragazza protagonista del ritratto a olio senza titolo risalente a questo periodo era probabilmente Dorothy, la figlia di Chase, che fu ritratta anche dal padre in una posa simile intorno al 1902. Non sappiamo se Dorothy posò in classe oppure se Hopper copiò il lavoro dell’insegnante. Edward dipinse anche un collega davanti al cavalletto, probabilmente durante una lezione di ritratto e natura morta di Chase. Osservato da dietro senza che se ne rendesse conto, questo giovane biondo è reso con un’eleganza degna delle donne ritratte in interni da Chase. Durante gli anni di studio con Chase e Miller, Hopper eseguì molti disegni. Nel 1901 ritrasse frequentemente modelli in costume: indiani d’America, un


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cuoco e altre figure in abiti d’epoca. Disegnava più e più volte i nudi delle lezioni dal vero. Uno dei modelli preferiti, Jimmy Corsi, si vantava di aver posato per John Singer Sargent alla Boston Public Library.36 Hopper lo ritrasse nudo, vestito da pescatore o nei panni di altri personaggi storici in disegni e dipinti a olio piuttosto cupi. Il lavoro sui particolari anatomici e sulle figure in movimento rivela l’attenzione scrupolosa per gli esercizi specifici svolti in aula. Fu a scuola, nel 1902, che Hopper realizzò le prime stampe – gli unici monotipi della sua carriera – probabilmente dopo aver visto alcuni ritratti eseguiti da Chase, che spinse i suoi studenti a cimentarsi con questo medium in classe. Chase credeva molto nella comunione di mente e mano e sottolineava come per questa tecnica fosse necessaria la spontaneità. Il monotipo, che consiste nel dipingere un’immagine strofinando o stendendo l’inchiostro o un colore a olio ad asciugatura lenta direttamente su una lastra di metallo o vetro, stampandola prima che si asciughi, era un procedimento incompatibile con il modo di lavorare lento e ponderato di Hopper. I cinque monotipi ancora esistenti, ritratti stampati su piccoli fogli di carta o buste già usate, paiono esperimenti presto dimenticati. Col tempo le mode dell’arte cambiarono e il lavoro di Chase fu considerato antiquato, al punto che spesso l’Hopper ormai maturo preferiva non dichiarare di aver studiato con lui. Una delle rare volte in cui ne parlò, l’allievo allampanato, diffidente, laconico e misogino liquidò seccamente il maestro: «Gli uomini non imparavano granché da Chase. Nella sua classe c’erano soprattutto donne».37 Il passaggio di Hopper alla pittura segnò una rottura decisa con il passato, e l’esperienza di vita in un ambiente libero incoraggiò anche altri sviluppi. Appena due anni dopo essersi trasferito alla New York School, si ritrovò nella posizione di poter prendere in giro qualcuno più provinciale di lui. Walter Tittle aveva un anno meno di Edward, veniva da una città più lontana e da un contesto ancora più angusto. Suo padre, che viveva a Springfield, in Ohio, avanzò una pretesa che il garbato Garret Hopper non avrebbe mai osato formulare: il giovane Walter fu costretto a chiedere a Douglas Connah, direttore della scuola, il permesso di disertare le lezioni dal vero quando i soggetti ritratti erano di sesso femminile.38 Gli schizzi di donne nude, simili a quelli che finirono conservati a Nyack insieme alle ricevute e ai disegni dell’infanzia di Edward, non erano ben visti in Ohio. La condotta di Edward in questa circostanza gli valse la sua prima citazione in un diario. Il 28 ottobre 1902 Walter annotò: Oggi pomeriggio a scuola Hopper ha scritto dei versi su di me. Quel giovane che Tittle si chiamava Nelle lezioni dal vero poco lavorava Quando una donna posava Lui in fretta si allontanava. Torna, torna nei tuoi boschi, signor Tittle.39

Nel giovane compagno di classe, Hopper riconosceva e ridicolizzava i valori che lui stesso era sul punto di rifiutare, non senza conflitti. Nel clima di generale

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esuberanza della scuola, il verso trascritto da Tittle rivela tutta l’intensità della reazione di Hopper. Il limerick sta alla poesia come la caricatura sta all’arte. Ancora una volta Hopper ricorreva alla forma riduttiva quando si sentiva toccato nel vivo. Probabilmente neppure per lui era stato facile abituarsi alle lezioni dal vero. Concentrarsi sull’anatomia maschile era già piuttosto impegnativo, ma le modelle furono le prime donne senza veli che avesse mai visto. Possiamo farci un’idea dello stato d’animo e delle conversazioni dei ragazzi grazie a Guy Pène du Bois, collega, confidente e amico di Hopper, descrisse lo choc provato dal compagno nel disegnare per la prima volta un nudo femminile: «Aveva il volto in fiamme ed era disperatamente consapevole di non essere mai stato più rosso in vita sua. Avrebbe potuto sopportare meglio tutto questo, pensava, se ci fossero stati meno uomini nella stanza, ma se non ci fosse stato nessun altro non sarebbe potuto rimanere affatto». Tornando a casa in subbuglio, du Bois borbottò a sua madre: «So come sei fatta quando sei svestita».40 Nell’autunno del 1902, all’inizio del terzo anno di scuola, Hopper incontrò un altro insegnante che avrebbe contribuito ad alimentare le sue idee sull’arte e, indirettamente, lo avrebbe indotto a prolungare gli studi. A novembre Frank Vincent du Mond si trasferì all’Art Students League, dall’altra parte di 57th Street. Il suo posto fu preso da Robert Henri, allora trentasettenne, che dopo essersi diplomato alla Pennsylvania Academy of Fine Arts di Philadelphia con Thomas Anshutz, allievo di Thomas Eakins, aveva studiato e lavorato anche in Europa. Alto, con le spalle larghe e vestito in abiti informali, Henri insegnava pittura dal vero, ritratto e composizione ed era straordinariamente popolare tra gli studenti. Uomo affabile, consigliava ai ragazzi di studiare la vita che li circondava e di esprimere francamente le loro idee. Sottolineando il valore dell’arte come veicolo del carattere e delle emozioni, Henri dava più rilievo alla filosofia dell’estetica che non alla perizia tecnica. «Mandato tutto all’aria: l’arte sostituita dalla vita, abbandonata la tecnica, gli dei principali andati in pezzi come fragile porcellana» scrisse du Bois, descrivendo la sfida lanciata da Henri alla filosofia dominante e ai suoi maestri con metafore di rivoluzione.41 L’aula di Henri era «il centro dell’incitamento alla rivolta tra i giovani. Chase […] predicava l’arte per l’arte; Henri l’arte per la vita. La differenza era enorme».42 Quando il nuovo insegnante tenne la sua prima lezione di critica il 7 novembre, Walter Tittle scrisse: «Praticamente arde dalla passione per l’arte ed è l’insegnante più originale che abbia mai avuto. Parla in modo energico e vivace e lo si può sentire in tutta la stanza».43 Sin dall’inizio, Henri tenne le sue «lezioni speciali di composizione», fondate su «un’analisi critica dei princìpi della composizione pittorica e decorativa, allo scopo di studiare la loro applicazione pratica in pittura, illustrazione e disegno». Il corso comprendeva anche «la teoria e la storia dell’arte».44 Secondo Vachel Lindsay, durante le lezioni di ritratto Henri dipingeva «un volto in mezz’ora, ma lo rifà altre dieci o trenta volte fino a quando non ha colto tutte le espressioni di chi posa. Poi all’ultimo momento sceglie e dipinge rapidamente


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quella che secondo lui rappresenta in maniera più profonda la personalità del modello».45 Henri voleva che i ritratti eseguiti dagli allievi mostrassero «forza, somiglianza e vita».46 A dispetto dei tratti rivoluzionari percepiti dagli studenti, Henri aveva molto in comune con Chase. Entrambi ammiravano Manet. Henri incoraggiò gli allievi a studiare la Donna con pappagallo e il Ragazzo con spada esposti al Metropolitan Museum, dove spesso li portava a gruppi, sottolineando inoltre che il pittore francese era stato un ammiratore di Velázquez, Goya e Hals. Hopper ricordava: «Alla Chase School dipingevamo nello stile di Manet. Lui era stato influenzato dalle tonalità piatte e profonde e dalle atmosfere oscure degli spagnoli e Henri lo ammirava molto».47 L’affinità con Chase includeva anche l’uso dei colori cupi applicati con grandi pennellate poco definite alla maniera di Manet, che Henri elogiava: «La pennellata di Manet era ampia, piena e scorreva con delicata continuità, mai scattante o pretenziosa. La sua Olimpya ha un’eleganza suprema».48 Inoltre, Henri concordava con Chase sull’importanza della spontaneità nell’applicazione del colore. Du Bois ricordava che l’insegnante «proibiva ai suoi studenti l’uso dei pennelli piccoli».49 Questo divieto alla fine aiutò Hopper a sviluppare uno stile caratterizzato dal raggruppamento di ampie masse di forme che mettevano in risalto il rapporto tra figura e piano pittorico. Ben presto la presenza di Henri influenzò l’orientamento di Hopper. Pur senza cambiare radicalmente i soggetti, Edward non ritornò più alle nature morte a cui Chase attribuiva tanta importanza. Continuò a dipingere ritratti di modelli e amici, tra cui du Bois, raffigurando spesso i suoi colleghi al cavalletto, e realizzò altri nudi a olio in cui comparivano modelle sedute o in piedi sulla predella dell’aula. Henri spiegava ai ragazzi che lavorare con un modello serviva «principalmente per fare esperienza» e aggiungeva: «La composizione è l’espressione dei vostri interessi e nel crearla voi mettete in pratica ciò che imparate quando lavorate dal vero».50 Anche dopo l’arrivo di Henri, Hopper continuò a dipingere nelle tonalità cupe sviluppate per effetto dell’influenza di Chase pur scegliendo soggetti diversi da quelli suggeriti a scuola, come nel caso degli uomini nella buca dell’orchestra (la cui composizione, ma non la tavolozza, è chiaramente mutuata da Edgar Degas). Ritrasse anche la sua camera da letto a Nyack, una figura solitaria in una sala teatrale fiocamente illuminata, così come vedute scialbe di un imbarcadero e di barche a vela. Henri aveva raccomandato agli studenti di sperimentare «il modellato in bianco e nero», spiegando che quella tecnica era «molto praticata dai grandi maestri che si liberavano di una doppia difficoltà costruendo i loro quadri in monocromia per poi applicare strati leggeri di colore trasparente. La forma dipendeva quasi del tutto dalla sottostruttura monocroma».51 L’atmosfera delle lezioni di Henri, comunque, era tutt’altro che cupa. A quanto pare, il professore non si preoccupava degli scherzi fatti dai ragazzi purché tutto accadesse quando lui non era in classe. Durante le lezioni dal vero riservate ai maschi si era consolidata l’abitudine di obbligare i nuovi iscritti a offrire birra e

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Edward Hopper durante una lezione di disegno dal vero di Robert Henri, alla New York School of Art, ca 1903-04 (seduto in primo piano, a destra).

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formaggio a tutta la classe. I giovani, inoltre, recitavano una complicata messinscena in cui uno degli studenti più anziani fingeva di essere Henri ed esprimeva giudizi sul lavoro degli allievi, riservando gli encomi più esaustivi alle prime prove di disegno dell’ultimo arrivato.52 Il falso insegnante guardava poi il disegno dello studente più bravo, Hopper, e andava su tutte le furie tentando persino di distruggerlo. A quel punto toccava a Hopper attaccare il falso Henri, assecondato da tutti gli altri tranne che da Rockwell Kent, il quale prendeva le difese dell’insegnante. Henri usava un diverso metro di valutazione rispetto a Chase. Allineava un gruppo di disegni sulle grandi pareti sporche dell’aula, già coperte di macchie e spruzzi di colore, schizzi e caricature dei ragazzi. Dopodiché, iniziava la discussione indicando i pregi e i difetti dei lavori ed elogiando l’espressione individuale piuttosto che l’abilità tecnica. Mentre Chase scarabocchiava una grossa x sui lavori che non gli piacevano, Henri era solito dipingere un puntino rosso sui dipinti in segno di approvazione; molti quadri di Hopper di quel periodo si guadagnarono quel marchio. La curiosità intellettuale e le lunghe ore dedicate alla lettura consentivano a Hopper di ascoltare con più attenzione di tanti suoi colleghi le idee di Henri, radicalmente diverse da quelle di Chase e dei sostenitori dell’arte accademica. Henri parlava in modo ispirato di una vasta gamma di argomenti, incluso


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il teatro contemporaneo. Pur non volendo imporre ai suoi studenti un’estetica europea, citava spesso autori francesi quali Zola, Jean-Jacques Rousseau e Guy de Maupassant.53 Al pari di Walt Whitman e di Emerson, trovava interessanti i soggetti americani e voleva che i suoi allievi sviluppassero strumenti d’espressione personali e autoctoni. Tra gli altri, nutriva una profonda passione per Emerson, Tolstoj e Whitman, che considerava un modello per un artista: «Walt Whitman incarna la mia idea del vero studente d’arte. La sua opera è un racconto autobiografico, non di fatti fortunati o sfortunati, ma dei suoi pensieri più profondi, della sua vera vita insomma».54 Da parte di Hopper non ci si poteva aspettare lo stesso entusiasmo nei confronti di Henri che si evince dagli scritti degli altri allievi: non era nella sua indole. Dai suoi ricordi si ricavano giudizi equilibrati e ricchi di sfumature: «Henri non era un buon pittore, almeno non credo. Era più bravo a insegnare che a dipingere. Era sposato con una donna irlandese con i capelli rossi. Bella e forte».55 Hopper non imparò molto da Henri riguardo allo stile, ma sotto la sua influenza iniziò a sviluppare una propria filosofia artistica. Edward definì con queste parole la teoria principale del suo insegnante: «L’arte è vita, un’espressione di vita, un’espressione dell’artista e un’interpretazione della vita».56 «Henri era un buon insegnante. E spaziava molto. Non si occupava soltanto degli aspetti meticolosi della pittura, ma collegava la pittura alla vita. Sotto il profilo tecnico era un po’ debole. Era un convinto sostenitore dell’economia di mezzi in pittura, che portava a una certa pomposità della pennellata.»57 Walter Tittle trascrisse una frase profetica di Henri: «Nascerà una scuola di artisti che dipingeranno la loro personalità, e non le solite vecchie cose».58 A questo si riferiva Hopper quando sosteneva che nel lavoro un artista esprime soprattutto il suo carattere. In seguito avrebbe descritto «il coraggio e l’energia» di Henri, che aveva contribuito fortemente a «influenzare il corso dell’arte in questo paese». Di lui scrisse: «Nessuna singola voce dell’arte americana recente è stata altrettanto utile nel liberare le forze nascoste che possono trasformare l’arte di questo paese in un’espressione vivente del suo carattere e del suo popolo».59 L’esortazione di Henri a interpretare la realtà circostante coincideva con gli obiettivi dei Muckracker, i giornalisti dell’epoca che tentarono di scuotere l’opinione pubblica denunciando l’avidità, la corruzione e altri mali sociali come il degrado dei bassifondi e la prostituzione. I loro articoli sensazionalistici, pubblicati su riviste popolari come Cosmopolitan e McClure’s, ebbero un impatto anche sull’arte e sulla letteratura. Gli sforzi di quegli autori contribuivano a rafforzare l’idea di Henri che un dipinto potesse avere qualsiasi soggetto. L’interesse di Henri per il mondo reale era bilanciato dall’atteggiamento di Kenneth Hayes Miller, un altro importante insegnante di Hopper. Appena sei anni più grande di Hopper, Miller aveva iniziato a studiare all’Art Students League con un docente conservatore come Kenyon Cox, ma nel 1896 ne era stato espulso insieme ad altri ragazzi per aver fatto irruzione nell’aula femminile di lezioni dal vero che a loro era rigorosamente interdetta.60 I colpevoli si rivolsero allora a Cha-

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Edward Hopper, [Modella nuda in posa durante una lezione], The New York School of Art, 1900-03 ca.


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se, che era considerato un progressista e non insegnava più alla League, ritenendola troppo tradizionalista. Quegli studenti divennero il nucleo della Chase School of Art. A partire dal 1899, l’anno prima che Hopper si iscrivesse alla scuola, Miller tenne corsi di disegno a mano libera, composizione e disegno dal vero, oltre che di illustrazione. Nelle sue lezioni sottolineava l’importanza dell’organizzazione della superficie, della prospettiva, del modellamento delle forme a tutto tondo e del piano pittorico. Anni dopo, Hopper gli avrebbe attribuito il merito di aver esercitato «una raffinata e sobria influenza su gran parte della nostra pittura contemporanea».61 Ogni giorno, nelle lezioni dal vero Miller analizzava l’operato degli allievi, che poi Chase esaminava il lunedì successivo.62 Stando al racconto di Vachel Lindsay, l’insegnante gli aveva confidato di credere in un «disegno più all’antica di quello che la scuola gli consentiva di insegnare».63 Secondo Walter Tittle, Miller era «piuttosto conservatore nell’esigere che gli studenti imparassero a disegnare in modo accademico e pesante prima di tentare di volare con le loro ali».64 Miller non aveva la personalità dominante di Chase o Henri. Rockwell Kent mise a confronto i tre docenti, spiegando che Chase aveva insegnato agli allievi a usare gli occhi, Henri il cuore e Miller la testa. Secondo Kent il fatto che Miller sottolineasse l’importanza dello stile andava a compensare la negligenza di Henri in proposito. Del tutto incurante dei valori emotivi su cui Henri insisteva tanto e sdegnoso del realismo di superficie e del virtuosismo di Chase, Miller – artista in un senso molto più completo degli altri due – esigeva la conoscenza delle qualità tattili del colore e degli elementi della composizione, la linea e la massa, intesi non come strumenti per ricreare la vita ma come mezzi per la realizzazione di un fine, il piacere estetico.65

L’enfasi di Miller sull’estetica può aver rafforzato la riluttanza di Hopper a discutere del contenuto implicito dei suoi lavori. Il talento di Hopper era riconosciuto sia dagli insegnanti sia dagli altri studenti. Kent lo ricordava come «il John Singer Sargent della classe», sul quale si poteva sempre contare per produrre «un disegno ovviamente brillante» nelle occasioni in cui gli studenti più anziani si prendevano gioco di un nuovo arrivato.66 Non si trattava di un complimento da poco, visto che Sargent era uno dei pittori più ammirati. Il senso dell’umorismo di Hopper spesso affascinava gli amici. Nel maggio del 1903 fece parte del gruppo – che includeva Tittle, Morie Ogiwara, Tod Lindenmuth e altri – a cui Henri regalò il biglietto per la mostra di Rodin allestita al National Arts Club, nella convinzione che lo scultore avesse «un’intelligenza fuori del comune».67 La settimana successiva Tittle scrisse che Hopper e altri due studenti avevano fatto «alcune caricature di Rodin», riferendosi al già citato disegno di Hopper ispirato alla statua L’inverno.68 Walter Pach ricordava che Ogiwara, considerando Rodin più seriamente di Hopper, aveva realizzato «disegni di immensa raffinatezza, delicato sentimento e umorismo»

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e che Henri ne aveva scelto uno raffigurante un nudo di donna dichiarando che «solo un giapponese poteva farlo».69 Ogiwara si trasferì a Parigi l’autunno successivo e studiò con Rodin. Diventato a sua volta scultore, fu tra i primi a introdurre la scultura di stile occidentale in Giappone.70 Anziché lasciare la scuola, Hopper fu incoraggiato a proseguire gli studi. Al concours primaverile del 1903 vinse una borsa in disegno dal vero insieme a Patrick Henry Bruce e Hilda Belcher.71 Alla fine dello stesso anno, Bruce lasciò la scuola per trasferirsi a Parigi: in una lettera a Henri del febbraio del 1904 scrisse di aver immaginato che il premio di pittura sarebbe stato assegnato a Hopper, rispondendo evidentemente alle notizie ricevute dal docente.72 Edward aveva vinto il primo premio in pittura a olio mentre du Bois si era guadagnato una menzione speciale.73 Il suo disegno raffigurante una donna che apre un ombrello fu poi selezionato dal corpo docente per essere riprodotto in un articolo sulla scuola pubblicato su Sketch Book nell’aprile del 1904.74 In un’altra lettera inviata a Henri da Parigi, Bruce esprime il desiderio di essere a New York per vedere i lavori del concorso finale di quell’anno, «soprattutto quello di Hopper», e chiede: «Che tipo di borsa speciale ha ottenuto? Rimarrà a scuola un altro anno?».75 In realtà, Hopper continuò a frequentare la scuola per altri due anni, ottenendo non solo incoraggiamento, borse di studio e premi ma anche l’opportunità di insegnare. Esistono ulteriori testimonianze dell’affetto che Bruce nutriva per Hopper. Quando partì per Parigi lasciò all’amico una tela incompiuta con il proprio nome scritto in grande a occupare interamente il retro. Sulla tela, nel verso opposto a quello usato da Bruce, il parsimonioso Edward dipinse un autoritratto, coprendo il dipinto incompiuto del compagno.76 A partire dall’autunno del 1904, Hopper tenne le lezioni del sabato, che includevano disegno dal vero, pittura, disegno a mano libera e composizione. I colleghi insegnanti di questo corso, che durava tutto il giorno, erano Douglas Connah, il proprietario e direttore della scuola, e Wladyslaw Theodor Benda, un altro allievo di Henri e futuro illustratore, che Hopper avrebbe incontrato di nuovo al Penguin Club. Benché gli studenti del sabato fossero considerati meno motivati degli iscritti regolari, la nomina costituì per Edward un importante riconoscimento. Hopper ricordava di aver assistito ad alcuni incontri di pugilato alla palestra Brown’s insieme a un altro studente; forse si trattava di George Bellows, che dipinse la sua prima tela sulla boxe, Club Night, nel 1907.77 Benché il pugilato, espressione di forza e virilità, lo divertisse, Hopper non amava dipingere l’azione. Il suo interesse rimase limitato a qualche vignetta satirica, ma il tema non fu mai sviluppato in un dipinto. E per quanto ammettesse di aver giocato a baseball da bambino, non si unì a Bellows, du Bois, Kent e altri che avevano formato una squadra per sfidare gli acerrimi rivali dell’Art Students League o gli allievi della National Academy of Design.78 L’entusiasmo degli studenti inondava anche le discussioni sulla politica o sull’estetica che si tenevano nei corridoi o in aula. Ibsen, Tolstoj e Shaw su-


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scitavano un particolare interesse, e Rockwell Kent ricordava che «leggevamo e ammiravamo Eugène Sue, Verlaine e Baudelaire e i decadentisti francesi in generale».79 Quell’ambiente era congeniale a Hopper che amava gli scrittori russi, soprattutto Turgenev e Tolstoj.80 Intorno al 1903 eseguì alcuni disegni a penna e inchiostro ispirati al Corvo e alle Campane di Edgar Allan Poe. Considerata l’attrazione degli studenti per i simbolisti e i decadentisti francesi, non sorprende che Hopper leggesse Poe, l’autore americano più ammirato da quei poeti. Il tema dell’angoscia davanti alla morte trattato dal poeta e l’uccello tenebroso ritratto da Hopper riportano alla mente la fascinazione per la morte, già individuabile nei suoi disegni infantili, che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Né capobanda né eremita, Hopper era uno dei “compagni di classe” di cui un amico avrebbe sentito la mancanza avventurandosi all’estero per seguire le orme di Henri fino a Parigi.81 Su di lui si poteva sempre contare per un limerick o per mettere in scena una farsa ai danni di un nuovo arrivato. Eppure, a differenza di alcuni degli spiriti più indipendenti che alloggiavano all’ymca o in pensione, Edward tornava ogni sera a casa dalla mamma, almeno per i primi cinque anni. Erano rare le occasioni in cui si fermava in città per andare a teatro o ai balli studenteschi. Alla fine trovò un piccolo studio in 14th Street, che descrisse come un «posto terribile»,82 ma non era una sistemazione vera e propria. Ai balli della scuola le ragazze annotavano nel proprio carnet il nome dei pretendenti. «Ho» compare diverse volte in due carnet senza data di Emma Story.83 Le serate danzanti si tenevano nell’edificio della scuola. Per l’occasione venivano aperte le grandi porte scorrevoli che separavano gli studi dei maschi da quelli delle femmine e si servivano dolci e limonata, ma non alcolici. Hopper, Glen Coleman e forse altri disegnarono i manifesti per l’Arts and Crafts Dance, il ballo in maschera del 29 gennaio 1905. Come dimostrano dipinti e disegni, Hopper coltivò l’interesse per il teatro nutrito sin da bambino, incoraggiato adesso dall’entusiasmo di Henri. Probabilmente andò a vedere Ethel Barrymore nel ruolo di Nora in Casa di bambola di Ibsen, cui il suo amico Lindsay Vachel assisté nel maggio del 1905.84 Henri ammirava molto Ibsen per la sua capacità di descrivere «una condizione di vita e i dubbi sul futuro della razza umana».85 Hopper realizzò diverse illustrazioni riferite al drammaturgo norvegese e rimase sempre un suo ammiratore. Forse vide anche Charlie Chaplin al Colonial Vaudeville Theatre, uno spettacolo ricordato da Emma Story.86 A parte Emma, che nel 1910 avrebbe sposato George Bellows, è difficile rintracciare i nomi delle ragazze che frequentarono la New York School all’epoca di Hopper. Le donne dovevano superare molti ostacoli per avere successo nel mondo dell’arte. Nessuna delle allieve di Henri raggiunse mai una fama paragonabile a quella degli studenti maschi. Oltre a Emma e Josephine Nivison, che Henri ritrasse nei panni della studentessa d’arte e che molto più tardi avrebbe sposato Hopper, le altre allieve di cui è possibile almeno documentare la biografia erano Edith Bell, Amy Londoner,

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Ellen Ravencroft, Madge Huntington, Edith Haworth, Ethel Louise Paddock e Mary Rogers. Anche la figura di Ethel Klinck finì con l’essere sempre subordinata a quella del marito, il pittore Jerome Myers. Jo Nivison non dichiarò mai in quali anni avesse frequentato la scuola perché era solita nascondere l’età e davanti agli altri fingeva di essere molto più giovane di Edward. Di certo, però, studiò alla New York School tra il 1904 e il 1906, anno in cui Henri ne dipinse il ritratto (p. 164). Le studentesse trovavano Hopper attraente. Emma Story, originaria di Upper Montclair, nel New Jersey, ricordava di averlo incontrato per la prima volta sul traghetto che attraversava l’Hudson.87 Benché lo considerasse un giovane promettente e di talento, fu conquistata dalle attenzioni dell’elegante e atletico Bellows. Hopper conosceva anche Edith Bell, originaria come lui di Nyack e forse fu proprio lei a presentargli Jo. Più introspettivo che mai, in questo periodo Hopper rifletteva intensamente su se stesso, vagliando le proprie considerazioni con l’intelligenza sardonica che lo caratterizzava. Dai numerosi autoritratti a olio si evince una seria meditazione sulla propria immagine, benché il giovane artista si divertisse a mettere in ridicolo il proprio aspetto in alcune caricature su carta. Spiritoso com’era, si ritraeva come un allievo diligente impegnato nel lavoro, ma in un caso il suo corpo sgraziato è incatenato al pavimento per favorire la concentrazione al tavolo da disegno, seduto su uno degli scomodi sgabelli bassi della scuola. Alla fine del maggio del 1905 Hopper era sempre più insoddisfatto dei corsi e desideroso di guadagnarsi da vivere. Iniziò a lavorare part-time per la C.C. Phillips and Company, un’agenzia pubblicitaria a New York fondata da Coles Phillips. Negli uffici della nuova agenzia al 24 di East 22nd Street, Hopper disegnò le copertine di riviste aziendali come il Bulletin della New York Edison. Per mostrare i vantaggi dell’elettricità domestica, ritrasse un uomo in abbigliamento coloniale che si sforzava di leggere alla luce di una candela. L’agenzia chiuse l’anno dopo e Phillips diventò un illustratore di successo. L’ultima esperienza di Hopper con un nuovo insegnante riguardò John Sloan che nella primavera del 1906 sostituì Henri, per consentirgli di lavorare a un ritratto su commissione. Quello fu il primo incontro con Sloan, di cui ammirava il lavoro e del quale tempo dopo avrebbe anche scritto. Dal 14 marzo al 13 aprile Sloan, che al pari di Henri aveva studiato con Anshutz, tenne le lezioni dal vero mattutine e serali e quelle pomeridiane di ritratto. Scrisse nel suo diario: «Gli allievi sono il risultato della straordinaria capacità di Henri come insegnante».88 In sette anni il talento generico di Hopper si era trasformato in una vocazione per la pittura, corroborata da una pratica e da un confronto intensi, dagli elogi e dalle borse di studio assegnategli dagli insegnanti e dall’affettuosa stima dei suoi colleghi. Aveva studiato diligentemente e si era trovato a suo agio alla New York School of Art, tanto da rimanervi il doppio di quanto il suo fondatore prescrivesse. Per il momento aveva fatto propria una tavolozza; in senso più ampio, aveva arricchito e definito la filosofia della sua vocazione. Uno dei suoi insegnanti af-


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fermò: «Era il genere d’artista a cui non si poteva insegnare nulla; doveva imparare da solo».89 L’esempio di maestri come Chase e Henri e amici come Bruce, du Bois ed Edmund Graecen gli suggerì la mossa successiva. I suoi orizzonti, che prima riguardavano il mondo dell’illustrazione, si erano ampliati fino a includere Hals, Rembrandt e Velázquez e pittori moderni come Courbet, Millet, Daumier e Manet, di cui Henri e Chase parlavano continuamente. I risultati ottenuti a New York avevano convinto anche i genitori, ora più consapevoli delle prospettive che il talento del figlio implicava. Con il loro aiuto economico, nell’autunno del 1906 Edward si imbarcò per Parigi. Ma gli insegnamenti di Henri e l’intensa vita studentesca non sarebbero stati sufficienti a preparalo alle sfide di natura personale e intellettuale che lo attendevano nella capitale mondiale dell’arte.

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