Elogio di “Funny Guy” Picabia, inventore della Pop Art

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Jean-Jacques Lebel, nato a Parigi nel 1936, è artista ma anche scrittore, organizzatore di manifestazioni politico-culturali e “agitatore ispirato” fin dal maggio del 1968. Le sue opere sono state esposte in molti musei europei, fra cui il mamco di Ginevra, il Centre Pompidou di Metz e la Maison Rouge di Parigi. Su Francis Picabia ha curato tre mostre: all’ivam di Valencia, alla Fondazione

in crisi il dogma della nascita della Pop Art.

Elogio di “Funny Guy” Picabia, inventore della Pop Art

il punto

autografi inediti mandati da Picabia a Breton che mettono

ISBN 978-88-6010-112-9

Questo volume si basa sul ritrovamento di documenti

€ 8,00

Tàpies di Barcellona e al Centre Pompidou di Parigi.

Jean-Jacques Lebel

Jean-Jacques Lebel  Elogio di “Funny Guy” Picabia, inventore della Pop Art

Un conto è appropriarsi di uno scolabottiglie e di un orinatoio, firmarli ed esporli; un altro è elevare la semplice pubblicità a statuto di opera d’arte. Nell’agosto del 1923, Francis Picabia inventa la Pop Art.

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Nella stessa collana 1. Marco Belpoliti Camera straniera. Alberto Giacometti e lo spazio 2. Clément Chéroux L’immagine come punto interrogativo o il valore estatico del documento surrealista 3. Luca Scarlini Andy Warhol superstar. Schermi e specchi di un artista-opera 4. Marco Meneguzzo Arte Programmata cinquant’anni dopo 5. Federico Ferrari L’insieme vuoto. Per una pragmatica dell’immagine 6. Roberto Dulio Un ritratto mondano. Fotografie di Ghitta Carell 7. Massimo Minini Kiefer e Feldmann. Eroi e antieroi nell’arte tedesca contemporanea 8. Marco Belpoliti Il segreto di Goya 9. Silvia Mazzucchelli Oltre lo specchio. Claude Cahun e la pulsione fotografica 10. Ando Gilardi La stupidità fotografica 11. Michele Dantini Macchina e stella. Tre studi su arte, storia dell’arte e clandestinità: Duchamp, Johns, Boetti 12. Marco Enrico Giacomelli Di tutto un pop. Un percorso fra arte e scrittura nell’opera di Mike Kelley



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STAMPATO SU CARTA

© 2014 Johan & Levi Editore Progetto grafico Paola Lenarduzzi Impaginazione Smalltoo Stampa Arti Grafiche Bianca & Volta, Truccazzano (mi) Finito di stampare nel mese di marzo 2014 isbn 978-88-6010-112-9 Johan & Levi Editore www.johanandlevi.com Testo © Jean-Jacques Lebel, 2014 Immagini © Francis Picabia, by siae 2014 Tutte le immagini e gli scritti riprodotti nel testo appartengono all’archivio personale di Jean-Jacques Lebel. Un suo grazie speciale va a Danielle Sorhaïtz. Questo testo è un riadattamento del saggio pubblicato nel catalogo della mostra “Francis Picabia. Dessins pour Littérature” che si è tenuta dal 10 gennaio al 16 febbraio 2008 presso la galleria 1900-2000 di Parigi. Il presente volume è coperto da diritto d’autore e nessuna parte di esso può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti d’autore.

Volume realizzato nel rispetto delle norme di gestione forestale responsabile, su carta certificata Munken Lynx


Jean-Jacques Lebel

Elogio di “Funny Guy” Picabia, inventore della Pop Art

Traduzione di Maria Elena Minuto



Sommario

Elogio di “Funny Guy” Picabia, inventore della Pop Art — 7 Nota sull’autore — 51



Elogio di “Funny Guy” Picabia, inventore della Pop Art

A Emilio Villa, in memoriam

Non sarà oggi né domani che riusciremo a mettere perfettamente a fuoco Francis Picabia. Non appena si pensa di aver colto e afferrato – non oso scrivere “spiegato” – un aspetto fondamentale del suo processo mentale, un nuovo elemento interviene a scuotere, destabilizzare, compromettere e contraddire le nostre fragili certezze così difficilmente costruite. È estenuante, questo Picabia, senza dubbio, ma ineguagliabile nel modo in cui in un sol colpo sgombra radicalmente il campo artistico e filosofico da tutti i falsi dibattiti e problemi fasulli sotto i quali il mercato dell’arte e, in generale, la società del consumo cercano di seppellirlo, di schiacciarlo. Eccoci di nuovo dunque, ancora una volta, chiamati a cercare di far luce su una parte della sua dirompente attività – è il minimo che si possa dire – e a celebrare, in compagnia degli estimatori di un’opera a nessun’altra paragonabile, gli elementi poco noti, sconosciuti e/o inediti provenienti direttamente da André Breton, tramite la figlia Aube e la nipote Oona. L’8 agosto 1923, Picabia inviò a Breton una busta che conteneva:

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una lettera autografa e illustrata (figg. 1 e 2), fino a oggi inedita; dodici piccole illustrazioni disegnate e firmate a inchiostro nero su altrettanti fogli di carta, pensate per apparire come culs-de-lampe*1 nella rivista Littérature (figg. 4-15); la poesia scritta a mano, anch’essa inedita, intitolata Mio zio è morto (fig. 3). Sul retro della busta Breton ha annotato a matita la data di ricezione. La busta e il suo contenuto sono stati ritrovati da Aube Breton-Elléouët all’interno del libro in cui Breton li aveva nascosti, nel momento in cui aveva dovuto trasferire la biblioteca di suo padre, deceduto nel 1966, dall’atelier di rue Fontaine 42. Queste illustrazioni non sono mai apparse su Littérature. Riguardo alla poesia Mio zio è morto, è stata ritrovata separatamente in una vendita all’asta, presso l’Hôtel Drouot, nel 2009. È così che abbiamo potuto ricostruire il contenuto completo della spedizione di Picabia a Breton che oggi mostriamo per la prima volta nella sua interezza. L’insieme coerente qui presentato, di cui solo alcuni eletti ne supponevano l’esistenza, ci riporta agli anni 1922-23, vale a dire alla fine del movimento Dada, culmine conclusivo ma folgorante della rivolta psico-sociale, decentralizzata e transnazionale, contro l’ignobile barbarie che si era scatenata ovunque durante la Prima guerra mondiale.

* In tipografia con l’espressione francese cul-de-lampe si fa riferimento a un particolare tipo di decorazioni, linee e caratteri ornamentali collocati alla fine di un capitolo o di un libro. La loro peculiarità risiede nel fatto che la singolare disposizione sulla pagina crea una forma triangolare con la punta rivolta verso il basso. [N.d.T.]

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Sul piano internazionale, quest’ultima prende una piega pericolosa. In Cina, è la Comune di Canton a essere massacrata. In Africa, “i benefici della colonizzazione” continuano a perpetuare i loro disastri. In urss, dopo aver soffocato nel sangue la ribellione dei marinai anarchici di Kronštadt, l’Armata Rossa reprime la Machnovščina, mentre Machajski, Alexandra Kollontaj, Emma Goldman e Alexander Berkman cominciano a denunciare la nascente dittatura bolscevica. In Germania, il governo “socialista” assassino guidato da Ebert e Noske ha stroncato militarmente la rivolta dei consigli operai e del Movimento spartachista. In Italia del Nord, l’esercito fa altrettanto con le organizzazioni operaie di democrazia diretta mentre Mussolini compie la sua marcia trionfale su Roma. Negli Stati Uniti, oltre ai linciaggi dei cittadini neri nel profondo Sud, il processo vergognosamente truccato degli anarchici Sacco e Vanzetti – che porterà alla loro esecuzione – mostra agli occhi del mondo intero su quale giungla giudiziaria sia fondata l’arrogante “democrazia” razzista americana. Nessun paese ha di che rallegrarsi. Mi sembra molto importante ricordare quello che fu lo sconcertante scenario globale all’interno del quale si sciolse il Dadaismo, movimento fondato a Zurigo nel 1916, in piena guerra e contro la guerra, per opera dell’anarchico Hugo Ball, che ne prese poi rapidamente le distanze. Quanto a Picabia, da Barcellona, New York, Zurigo e Parigi soffiava con tutte le sue forze – notevoli – sulla fiammata nomade e terribilmente rizomatica rappresentata dalla sua rivista itinerante 391. Nel 1922 Breton e

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Fig. 1. ÂŤCaro amico, conto di venire a farvi visita martedĂŹ sera dopo cena alle nove. Affettuosamente vostro, Francis Picabia.Âť

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Fig. 2. Lettera di Picabia a Breton, 8 agosto 1923.

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Picabia si avvicinano e condivideranno fianco a fianco – non sempre in perfetta armonia ma, in fin dei conti, in profonda amicizia – due esperienze essenziali, cruciali: la rivista Littérature (la nuova serie) e il viaggio in automobile (condotto freneticamente da Funny Guy) da Parigi a Barcellona per l’esposizione di Picabia alla galleria Dalmau, presentata da Breton e preceduta dalla sua famosa conferenza presso l’Ateneu Barcelonès, dove per la prima volta comincia a prender forma, dalle ceneri ancora ardenti e diabolicamente fertili di Dada, qualcosa che ancora non si chiama Surrealismo. Didier Schulmann ha giustamente sottolineato con precisione (nel catalogo dell’esposizione “Dada”, Centre Pompidou, 2005) che «resta ancora da capire la grande questione del progressivo slittamento dal proto-dadaismo al Dadaismo, dal Dadaismo all’espressione del Dada parigino e, da lì, al Surrealismo». Questo passaggio a sbalzi ha fatto versare molto inchiostro, causando sangue amaro, versamenti di bile e anche qualche lacrima di coccodrillo a testimoni non sempre affidabili, immaginari storici paladini della giustizia e ispettori del lavoro mai appagati. Troppi regolamenti di conti personali sono stati mischiati a fatti certi perché possa emergere, a posteriori, un racconto unanime. I conflitti fra Soupault e Picabia, fra Breton e Tzara, tra l’altro, continuano a essere d’ostacolo a una visione d’insieme più o meno condivisa. I sostenitori degli uni e degli altri si troveranno nondimeno d’accordo sul fatto che uno dei principali oggetti di litigio e terreni di scontro è stato la rivista Littérature.

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Nel 1922, estromesso Soupault, Breton ne assumerà da solo la direzione e Picabia diventerà l’illustratore “ufficiale” delle copertine della nuova serie. Non è quindi improprio pensare che i numeri della rivista, dal 4 al 12, apparsi nel 1922 e nel 1923, possano essere letti come una sorta di testimonianza al contempo visiva e testuale del passaggio poc’anzi citato. Il primo manifesto del Surrealismo apparve nel 1924. Da qui la cruciale importanza delle copertine di Picabia, di quelle che sono state pubblicate come delle altre che restano tuttora inedite, che oggi scopriamo con malcelata soddisfazione. William Camfield ne ha dato un commento come sempre di notevole pertinenza. L’insieme di questi disegni di copertina – sia gli inediti sia quelli utilizzati da Breton – testimonia un fervore particolarmente intenso in Picabia, che contribuisce in maniera significativa all’euforia collettiva vissuta, con registri espressivi molto diversi ma con analogo clamore, da tutti i protagonisti del cambiamento. Periodo di transizione, se lo fu, periodo di decomposizione e di ricomposizione generale: il gruppo dada si spacca e quello surrealista si costituisce accogliendo tutto l’essenziale dell’insurrezione dadaista, molto più di quanto Breton aveva previsto e di quanto gli storici, spesso in malafede, si sono degnati di riconoscere. Con i suoi disegni di copertina Picabia ribalta le basi tematiche e stilistiche di numerose opere pittoriche importanti del periodo definite – a torto o a ragione – “dei mostri” e ben oltre, come Foglia di vite, Addestratore di animali o Caraibico. Nonostante ciò, se consideriamo l’insieme

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delle attività proteiformi, inclassificabili, a più di uno sguardo contraddittorie e problematiche di Picabia, è fondamentale riconoscere che, in lui, i concetti di continuità/discontinuità, di crisi/calma, di periodi di gestazione e di episodi parossistici non presentano il loro significato abituale, poiché si confondono costantemente con il ritmo e la sostanza stessa dell’esperienza quotidiana. Su tutte le fasi della sua vita possiamo fare la stessa considerazione: l’unidimensionalità, la monosemia, il continuum lineare gli sono totalmente estranei. Il suo principale sostenitore e fedele alleato, Marcel Duchamp, ha saputo riassumere, con la concisione che gli è propria, il “proposito” effettivamente realizzato da Picabia: «…una caleidoscopica serie d’esperienze appena apparentate fra loro…» (l’affermazione apparve nel catalogo della Société Anonyme). Il motivo è evidente, e tuttavia vi è ragione di dubitare che sia stato realmente compreso e accettato dagli storici dell’arte. Chiunque cercherà di riportare la dinamica mentale di Picabia su una logica lineare, per scomporla e negarla con la scusa di interpretarla, si imbatterà inevitabilmente in un vicolo cieco, poiché questa dinamica è, per definizione, irriducibile a qualsiasi logica normativa esterna. Per Picabia come per Duchamp non esiste altra soluzione che lasciare loro la parola e liberarsi da ogni pregiudizio iniziale, da ogni pretesa d’inquadramento estetico o ideologico. Questo aspetto ha posto, e continua a porre, problemi praticamente insolubili in ambiti che si basano sulla rigida linearità e sulla sottomissione, più severa ancora, a

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norme estetiche e ideologiche come, per esempio, il mercato dell’arte. Da questo punto di vista, resta ancora da scrivere la storia della famosa vendita all’asta, presso l’Hôtel Drouot, nel 1926, di una presunta “collezione Marcel Duchamp” costituita in realtà da dipinti di Picabia e appartenenti a quest’ultimo, tra cui numerosi capolavori, con l’intervento grafico e la prefazione del catalogo firmati da Rrose Sélavy. Ma, per il momento, ritorniamo a Littérature e all’implosione del movimento Dada. Mi piacerebbe, a questo punto decisivo di svolta, attirare la vostra attenzione – cari sostenitori e amici di Funny Guy alias Pharamousse (fra i molto soprannomi che usava) – sul contenuto della busta inviata per posta da Picabia a Breton l’8 agosto del 1923. Che cosa conteneva? La poesia intitolata Mio zio è morto, innanzitutto, e una lettera illustrata di due pagine con qualche notizia riguardante la propria salute fisica e mentale: «Sono le tre del mattino, impossibile dormire, tutte le oscenità della vita che sto subendo… la poesia vi riferirà perfettamente e vi spiegherà, non m’arrabbio né più né meno di prima, ma ho un po’ più male al cuore, simile al mal di mare…». Di quale male si tratta? Molto probabilmente delle conseguenze della sua oppiomania cronica – numerose cure di disintossicazione si sono rivelate inefficaci – dopo l’esperienza umiliante e ansiogena, da lui vissuta come una sorta di disastro, della magnifica mostra alla galleria Dalmau che, dal punto di vista umano e commerciale, fu un completo fallimento. La lettera prosegue: «…Allego anche i disegni che mi avete chiesto per Littérature. Se non vi dovessero piacere non

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Mio zio è morto L’anima guarda il corpo a pochi passi da un camino meno gelido della morte; dietro i muri le spalle del Signore assomigliano alle notti d’inverno. La carne respira sino allo sfinimento… Ah! ecco. Qualche firma richiesta da un notaio, notaio di putridume camuffato da Madonna. E comunque c’è un che di buffo in questi burattini, questi ecclesiastici con un pulpito senza lacrime. In uno spasmo un’eredità balza ai piedi del letto. Atmosfera in cui il posto vuoto assume i tratti degli avidi raggiri, la scala nell’oscurità rischiara la purezza del luogo. Alla Madeleine, la pietosa immagine guarda il cielo, sullo sfondo l’ignominia con Gesù. Te lucis ante Terminum Ma non ci capisco niente. Francis Picabia, 8 agosto 1923

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