Imaginary Economics

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«Questo saggio considera l’arte contemporanea come fonte di conoscenze sull’economia.

evidenziando come certi si pongano in modo

Certe problematiche […] che attirano spesso l’attenzione del pubblico (quali […] le somme

critico riguardo al sistema economico, mentre

astronomiche pagate all’asta per alcune opere, i redditi degli artisti o le ragioni per cui i

altri assumono una posizione del tutto affer-

governi dovrebbero o meno sovvenzionare le arti), non saranno qui oggetto della mia at-

mativa, giungendo infine a quelli che propen-

tenzione. Mi concentrerò invece sui mezzi non verbali, visivi o poetici usati dagli artisti

dono per un atteggiamento ludico. Come a sot-

contemporanei per riflettere su una varietà di questioni economiche.»

tintendere che la presunta serietà che circonda

Olav Velthuis

il mercato è tutta da ridiscutere. «L’arte suscita reazioni forti e lo fa in modo particolare […] quando si avvicina al dominio Olav Velthuis (1972), storico dell’arte ed eco-

delle convenzioni di senso che regolano la nostra idea dell’economico. I prezzi iperbolici

nomista, è docente alla facoltà di Sociologia e

delle opere d’arte dei grandi maestri ma anche di artisti con pochi anni di carriera alle

Antropologia dell’Università di Amsterdam.

spalle. Il denaro dissipato nei modi più assurdi: incollato al pavimento, mangiato, bru-

Oltre a Imaginary Economics, ha pubblicato Talk-

ciato, dato via in modo più o meno arbitrario. I protagonisti della vita economica […] mes-

ing Prices. Symbolic Meanings of Prices on the Market

si alla berlina portando all’attenzione fatti nascosti, distorcendo le loro strategie di comu-

for Contemporary Art (2005), premiato nel 2006

nicazione o semplicemente raccontando alla lettera il loro modus operandi. Che senso ha

dall’American Sociological Association con

tutto questo?»

il Viviana Zelizer Distinguished Book Award

Dalla postfazione di Pier Luigi Sacco

Olav Velthuis   Imaginary economics

lizza le varie posizioni assunte dagli artisti

Un artista britannico mette in vendita su eBay tutti i propri averi; un collega olandese analizza attraverso le proprie iniziative la business culture; un americano stampa banconote proprie e trova il modo di spenderle; un altro, svizzero, vende l’invito a partecipare a Manifesta. L’idea secondo cui arte ed economia sono incompatibili

Imaginary economics

sembra oggi totalmente superata. Molti artisti contemporanei non solo esprimono sui media opinioni riguardo al mercato e ai risvolti economici dell’arte, ma usano la propria arte per riflettere sui meccanismi economici o per farne la parodia, andando ad affiancarsi ad alcuni mo-

Quando l’arte sfida il capitalismo

stri sacri dell’arte del xx secolo quali Marcel Duchamp, Yves Klein, Marcel Broodthaers e Joseph Beuys. Nasce così la imaginary economics – termi-

Postfazione di Pier Luigi Sacco

ne che indica i paradigmi alternativi a quelli

quale miglior libro di sociologia economica. Ha

istituzionali della scienza economica – a uso di

lavorato a lungo come redattore nella sezione

chi non si accontenta delle risposte reperibili

economica di de Volkskrant e i suoi articoli sono

nelle confortevoli stanze del pensiero economi-

apparsi su autorevoli testate, tra cui Artforum e

co dominante.

Olav Velthuis

Financial Times.

All’apparenza il rapporto tra arte ed economia non sembra certo a favore della prima. Da un lato, visti i magri guadagni della maggior parte degli artisti, l’economia potrebbe essere considerata dal loro punto di vista una forza negativa: l’artista è generalmente vittima del sistema economico o, nel migliore dei casi, è costretto a sottomettervisi. Dall’altro, la comunità finanziaria si serve dell’arte come di uno strofinaccio per dare lustro e prestigio culturale a reputazioni aziendali tramite la pratica delle sponsorizzazioni o del collezionismo; la produzione simbolica delle aziende, inoltre, si nutre spesso dell’immaginario degli artisti, le cui opere però non sono protette da copyright.

€ 19.00

Olav Velthuis intende qui mostrare che esiste

Nella stessa collana:

un nuovo equilibrio fra arte ed economia, dove

1. Karine Lisbonne – Bernard Zürcher

l’arte non è vittima ma diventa un’inconsueta

Arte contemporanea: costo o investimento?

fonte di sapere sull’economia di mercato. Dopo

Una prospettiva europea

una concisa panoramica storica l’autore ana-

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Olav Velthuis

Imaginary Economics Quando l’arte sfida il capitalismo

Traduzione di Marco Bertoli



1 Un’astrazione al posto di un’altra

Si può sostenere che ogni opera d’arte ammetta un’interpretazione in termini di significato economico. Se gli storici dell’arte possono fornire interpretazioni psicoanalitiche o sociologiche dell’arte che, sulle prime, non sembrano avere molto a che fare con la psiche o con i rapporti sociali, perché non dovrebbe esserne possibile anche una economica? Di simili letture esistono già molti esempi, che mirano a mostrare come il contesto economico in cui l’arte era ed è prodotta, distribuita e consumata, finisca con il diventare parte delle opere stesse. Lo storico dell’arte Michael Baxandall ha dimostrato, per esempio, come le modalità di retribuzione dei pittori del Rinascimento italiano abbiano influenzato direttamente l’esecuzione dei dipinti. I mecenati pagavano in proporzione al numero di individui raffigurati e alla quantità di pigmento adoperato. Il pigmento più costoso disponibile all’epoca, il blu di lapislazzuli, divenne pertanto un segno di distinzione. È per questo che la Madonna, nei dipinti del periodo, è sempre identificabile dal colore del manto. Oppure si consideri quanto sostenuto dall’economista americano Michael Montias, secondo il quale l’inattesa prosperità economica sopraggiunta in Olanda nel suo Secolo d’oro si può riscontrare nell’arte del periodo. Quella prosperità fu causa di un enorme e improvviso aumento della domanda di arte, che stimolò gli artisti olandesi a lavorare più velocemente. A sua volta, questo fenomeno fu accompagnato da mutamenti nello stile. La transizione osservabile nell’opera di Jan van Goyen, da paesaggi realizzati con la consueta ricchezza di dettagli a composizioni semplici, con pennellate rapide e disinvolte, è pertanto ascritta da Montias a fattori economici.4 Venendo all’arte moderna, alcuni storici dell’arte, per lo più di scuola marxista, hanno sostenuto che la si debba interpretare come critica continua e strutturale del capitalismo. Le opere futuriste o cubiste, per esempio, rappresenterebbero la frammentazione, lo smembramento, l’alienazione e l’anonimità caratteristici della società capitalistica moderna.5 Altri artisti e critici d’arte, nella prima metà del xx secolo, hanno identificato l’arte astratta con

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· Olav Velthuis ·

valori anticapitalistici e antiutilitaristici. In Lo spirituale nell’arte, per esempio, Wasily Kandinsky associò il realismo al materialismo e l’astrazione allo spirituale. Secondo Kandinsky il tono d’interiorità generato dalle forme e dai colori dell’arte astratta innalza il mondo a un livello più alto, più spirituale. Per ironia, al giorno d’oggi è proprio quell’arte astratta a evocare una risposta materialistica fra coloro che vi hanno minore dimestichezza. C’è chi si domanda come possa un quadro astratto costare tanto («sarebbe capace di farlo anche mio figlio») e così facendo mette in dubbio la qualità e la quantità del lavoro profusovi dall’artista. I prezzi astronomici raggiunti ai nostri giorni dall’arte astratta, per esempio gli ottanta milioni di fiorini per Victory Boogie Woogie di Mondrian, non fanno che incoraggiare tali reazioni materialistiche. Secondo i detrattori dell’arte contemporanea, questi prezzi simboleggiano le pose, il carattere elitario e lo scarso senso di realtà che affliggono il mondo dell’arte.6 L’economia trova modo di manifestarsi anche più esplicitamente in una

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Piero della Francesca, Natività (particolare), 1470-1475 ca. The National Gallery, London/Scala, Firenze.


· Un’astrazione al posto di un’altra ·

certa tendenza sotterranea della storia dell’arte. I cambiavalute, per esempio, sono un tema molto diffuso nell’iconografia della pittura olandese del xvi secolo. Nel corso del xix secolo, gli artisti vittoriani produssero dipinti a esaltazione dell’onesta fatica del lavoro. I procedimenti industriali, in cui il lavoro manuale è assente, erano un soggetto comune nel modernismo dell’inizio del xx secolo; attualmente le diverse sedi in cui la vita economica si svolge (mercati finanziari, supermercati, uffici) sono oggetto di un’ampia documentazione nell’opera di fotografi/artisti quali Andreas Gursky, Roy Arden e Thomas Demand. Ma si guardi anche all’iconografia postindustriale presente nelle opere di artisti come Gunilla Klingberg, che rimodella i logotipi delle catene di supermercati (per esempio Seven-Eleven, Spar) per farne dei video caleidoscopici, ripetitivi e virtualmente psichedelici; o si consideri Andreas Pflumm, che decostruisce analoghi logotipi incorporando i loro elementi visivi in loop video astratti e monotoni. Il senso che attribuisco io all’espressione “economia immaginaria”, tuttavia, non corrisponde esattamente a queste diverse forme di iconografia economica, non fosse che per il fatto che il lavoro di molti artisti (dei concettuali, per esempio), a rigor di termini non si può dire che impieghi alcun tipo di iconografia. Il punto è questo: gli artisti che mi interessa esaminare non si limitano a produrre rappresentazioni dell’economia. Essi indagano e contestano i processi economici con una varietà di mezzi, poi li commentano. Nel farlo, producono non solo immagini dell’economia, ma anche conoscenze sull’economia. Fino a che punto questa distinzione fra iconografia economica ed economia immaginaria sia plausibile, dovrebbe apparire evidente nello svolgersi del saggio.

Oltre il kitsch Fra gli artisti interessati all’economia immaginaria troviamo nomi illustri della storia dell’arte del xx secolo: per citarne solo alcuni, Marcel Duchamp, Yves Klein, Piero Manzoni, Marcel Broodthaers e Joseph Beuys, sebbene non siano in tale ambito rappresentati dalle loro opere più note. Questi pionieri sapevano che avrebbero causato degli attriti, perché per molto tempo l’economia immaginaria è andata contro lo spirito del tempo. Consapevolmente o meno, essi fecero resistenza non solo all’arroganza degli economisti accademici, che si arrogavano il monopolio della produzione di opinioni in ambito economico. Questi artisti si trovarono opposti anche all’elitarismo dei colleghi, degli storici e dei critici d’arte, che miravano a una separazione categorica di arte ed

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· Olav Velthuis ·

economia ed erano persuasi che, a salvaguardia dell’autonomia dell’arte, qualsiasi interferenza con l’economia dovesse essere evitata. Secondo uno dei critici più insigni del xx secolo, l’americano Clement Greenberg, l’avvento del modernismo si sarebbe potuto leggere come una “migrazione” dell’arte dalla società borghese e dai “mercati del capitalismo”. Se non fosse riuscita a compiere questa migrazione, l’arte si sarebbe trovata ridotta a kitsch: questa la conclusione di Greenberg nel suo saggio “Avant-garde and Kitsch” (1939). Questa dicotomia ha dato il “la” a gran parte del xx secolo: quanto costituisce arte non può avere commercio alcuno con l’economia, e quanto costituisce economia non ha commercio alcuno con l’arte.7 L’economia immaginaria poco si cura di questa divisione categorica. Anzi, è mia opinione che Duchamp, Klein, Manzoni, Broodthaers e Beuys abbiano abbandonato con serenità il campo dell’arte a loro familiare, per avventurarsi in quello proibito dell’economia. La fioritura dell’economia immaginaria a cui assistiamo oggi indica che questa divisione categorica dei due ambiti non ha mai smesso di erodersi da allora. La responsabilità è in primo luogo del mutabile rapporto fra arte e società nel corso degli ultimi decenni. La divisione fra arte alta, d’élite, e arte 20

bassa, popolare, è stata sempre più messa in dubbio. Dal punto di vista dei consumi, si è vista emergere la figura dell’onnivoro culturale, del consumatore che va a vedere i film di Hollywood ma anche quelli d’essai, che alterna ascolti di musica pop e di musica classica e che ricava uguale godimento dalla visita a un museo e dalla visione di un video musicale. Dal punto di vista della produzione, gli artisti hanno cominciato già negli anni della Pop Art8 a incorporare nel loro linguaggio prestiti dall’arte bassa. Alla luce del fatto che la divisione fra arte alta e arte bassa è stata in passato definita in termini economici (vale a dire, l’arte bassa come forma commerciale di arte, quella alta come anticommerciale), l’affievolirsi della divisione offre agli artisti la possibilità di rapportarsi al mercato su una base diversa dai semplici rifiuto o negazione. Per usare la terminologia di Greenberg, diventa possibile agli artisti operare all’interno dei mercati del capitalismo senza rischiare che la loro arte decada a kitsch. Un secondo sviluppo, collegato al primo, vede gli artisti assumere una posizione più meditata sul loro ruolo nella società. L’autonomia assoluta, così come un discorso sull’arte indirizzato all’interiorità o l’indagine incessante delle qualità intrinseche dei loro mezzi espressivi (pittura, scultura), non li interessa più come prima. Sembrano invece sempre più numerosi gli artisti intenzionati a rivestire un ruolo significativo anche al di là del mondo dell’arte; un in-


· Un’astrazione al posto di un’altra ·

21 Gunilla Klingberg, Spar Loop (proiezione video), 2000-2004. Foto: Peter Geschwind. Courtesy Gunilla Klingberg e Gallery Nordenhake.

teresse accentuato per le cose dell’economia non è quindi più inconcepibile. Di conseguenza, capita che molte forme di economia immaginaria richiamino quanto Beuys una volta definì “scultura sociale”: sforzi interdisciplinari, partecipativi e, dove possibile, democratici che non tengono in gran conto dove il mondo dell’arte cominci e dove finisca. L’assurdità degli sviluppi economico/ finanziari (dalla bolla internet alle crisi dell’Asia e dell’Argentina) e il senso di disagio nel constatare come sempre più ambiti sociali siano determinati dal mercato, ha fornito una ricca messe di materiali alla scultura sociale. Un terzo sviluppo che ha condotto all’interesse per l’economia concerne lo sviluppo stesso dell’arte moderna: la fine della supremazia della pittura come medium e l’avvento, a cominciare dagli anni sessanta, di un assortimento di media nuovi, dal video alle installazioni alla internet art alle performance. Con questi media nuovi, gli artisti si sentono liberi, più in grado che in passato, di esprimersi sulla vita economica. Non deve quindi sorprendere la presenza ridotta della pittura nell’ambito dell’economia immaginaria. Un quarto


路 Olav Velthuis 路

Gunilla Klingberg, Spar Loop (still video), 2000. Courtesy Gunilla Klingberg e Gallery Nordenhake.

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Gunilla Klingberg, Sparspace (dettaglio), c-print, 1999-2000. Courtesy Gunilla Klingberg e Gallery Nordenhake.


· Un’astrazione al posto di un’altra ·

sviluppo degno di nota è l’“economicizzazione” delle arti: soprattutto nel corso degli anni ottanta, le arti si sono trasformate sempre più in un settore dell’economia. È per questo che le opere d’arte hanno finito per essere considerate come prodotti d’investimento e mercanti, speculatori e artisti come superstar, la cui reputazione si riflette nel prezzo delle loro opere. Questa economicizzazione del mondo dell’arte è stata incoraggiata dai provvedimenti neoliberisti dei governi: il thatcherismo e il reaganismo degli anni ottanta, nonché la Terza via della socialdemocrazia europea negli anni novanta. Il risultato è che termini quali efficienza, marketing artistico e raccolta di fondi si sono imposti nel mondo dell’arte, rendendo possibile che i rapporti fra artista, opera e pubblico venissero concepiti in termini economici. Un ultimo sviluppo fra quelli che hanno spianato la via dell’economia immaginaria riguarda il mutamento strutturale dell’economia stessa. Si vuole che la seconda metà del xx secolo abbia visto emergere un’economia postmoderna, di carattere fondamentalmente diverso da quello dell’economia moderna, industriale. La nuova economia baserebbe la propria crescita su processi culturali, qualitativi o creativi, sull’attenzione e sull’ispirazione, sull’immagine, sull’identità. Non è il capitale materiale, ma piuttosto il capitale intellettuale, culturale o simbolico a determinare il successo di un’impresa in questa economia postmoderna. L’economicizzazione del mondo dell’arte ha trovato la sua controparte, insomma, nella culturalizzazione dell’economia. In questa nuova economia culturale, agli artisti potrebbe toccare un ruolo importante.

Money Art Tutti insieme, questi sviluppi hanno contribuito negli ultimi decenni a un’emergenza graduale di artisti interessati all’economia. Non c’è dubbio che il denaro sia stato sempre un tema diffuso. Fin da quando la valuta cartacea ha cominciato a circolare su larga scala, gli artisti hanno dato dei soldi le rappresentazioni più varie. Pittori americani quali William Harnett e John Haberle sono stati, verso la fine dell’Ottocento, autori di popolarissimi trompe l’œil aventi per soggetto banconote. Harnett arrivò per questo ad avere fastidi con le autorità, che lo accusarono di contraffazione. Mezzo secolo dopo Otis Kaye, un altro pittore americano di trompe l’œil, realizzò una copia di un’incisione di Rembrandt alla quale sovrappose tre monete, due delle quali erano dipinte a trompe l’œil, con tanto di nastro adesivo che pareva incollarle alla tela; la terza era una moneta vera.

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· Olav Velthuis ·

Gli anni sessanta conobbero una nuova ondata di money art. In un articolo dal titolo “Paper money made into art you can bank on” (“La carta moneta diventa arte lucrativa”), così osservava un giornalista di Life Magazine: «Il denaro sta riscuotendo un interesse di nuovo tipo nel mondo dell’arte. Alcuni artisti ricchi d’iniziativa, sempre ben disposti far soldi con l’arte, stanno ora provando a fare arte con i soldi». Erano gli anni in cui Andy Warhol produceva le prime serigrafie con i biglietti da un dollaro, che suggerivano che il denaro potesse essere visto anche come un’opera d’arte: certo, non una in edizione limi-

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Andy Warhol, 192 One-Dollar Bills, 1962 © Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, by siae 2009.


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25 Ray Beldner, This is Definitely Not a Pipe, 2000 (tratto da René Magritte, Il tradimento delle immagini). Banconote cucite. Courtesy Ray Beldner e Catharine Clark Gallery, San Francisco.

tata. Robert Watts copiò 2500 banconote da un dollaro e costruì un baule di legno per contenerle. L’artista Dorothy Grubenak intessé un grande tappeto con biglietti da due dollari. E anche costoro, come Harnet, si trovarono alle prese con l’autorità. Il Federal Bureau of Investigation (fbi), messo in sospetto, confiscò il tappeto. Nei decenni successivi, si sono avuti artisti che hanno modificato autentici biglietti di banca per trasformarli in opere d’arte, e altri che hanno battuto moneta per conto proprio o addirittura hanno creato una loro divisa personale. Solo alcuni nomi: Stephen Barnwell crea dei poetici Dream Dollars (dollari di sogno), valuta di Nadiria, immaginaria colonia dell’Antartide; l’artista americano Ray Beldner piega dollari di carta e li compone a riprodurre opere d’arte moderne quali Fontana di Duchamp, Composizione (B) con blu, giallo e bianco di Mondrian e Questa non è una pipa di René Magritte; nel 1987 l’artista svizzero Silvan Baer ha relizzato, nell’aeroporto di Kloten in Svizzera, quella che è for-


· Olav Velthuis ·

se la banconota più grande nella tradizione della money art. Con l’ausilio di circa seimila bandierine, ha tracciato una banconota da 1000 franchi di 78 metri per 175. Secondo la definizione dell’artista, “un monumento al denaro, movente principale del pensiero e dell’azione nella società odierna”. Contributi alla money art sono giunti anche da veterani della scena artistica olandese. Aad Veldhoen, con la collaborazione del graffitista Hugo Kaagman, ha dipinto banconote sulla sua casa ad Amsterdam. Jan Wolkers ha creato una scultura di diecimila banconote da dieci fiorini su richiesta dello stampatore di valuta Joh. Enschedé, che ne ha quindi fatto dono alla De Nederlandsche Bank (la banca centrale olandese). Jan Henderikse, artista appartenente al gruppo Zero, ha realizzato delle graziose T-shirt piegando marchi tedeschi e dollari americani e ha creato un soprabito di banconote. Joep van Lieshout ha fabbricato la propria valuta, destinata a fungere da moneta ufficiale nella sua comune di Rotterdam, la avl; l’altissimo costo della stampa ha finito con l’impedire la circolazione dei biglietti. All’inizio degli anni novanta, il trio olandese di artisti conosciuto con il nome di Seymour Likely ha prodotto cinquecento biglietti da venticinque fiorini, tutti numerati e timbrati, accompagnandoli con una campagna di mistificazione secondo quello che 26

era un tempo il loro marchio di fabbrica.9 Alcuni artisti come Meschac Gaba o, più indietro nel tempo, Robert Rauschenberg, non si concentrano sulla modifica o sulla creazione del denaro ma lo usano invece come materiale da incorporare nelle loro tele o nelle loro sculture. Per altri ancora, il denaro è un veicolo comunicativo che consente di raggiungere un pubblico più ampio. Per esempio, l’artista americano David Greg Harth appone un timbro a banconote da un dollaro e le fa poi circolare: “I am not terrorized” (io non ho paura), recitava una banconota letta da centinaia di migliaia di americani dopo l’11 settembre 2001. Gli artisti olandesi Paul Steenberghe e Betty Ras, con il loro progetto Subnote, hanno tentato un riscatto della banconota dall’ambito dell’economia per adibirla, in un certo senso, a spazio pubblico. A questo scopo hanno decorato le banconote con testi poetici e con simboli, invitando altri artisti a fare la stessa cosa. Usando un inchiostro visibile solo alla luce del giorno, Steenberghe e Ras si sono sforzati, letteralmente, di attirare le banconote nello spazio pubblico. Gli artisti della mail-art, invece, usano il denaro in forme di comunicazione più private, progettando le loro personali banconote fin dagli anni sessanta. Questi piccoli collage, in netto contrasto con il denaro vero, hanno un aspetto frivolo e colorato. Raramente queste banconote vengono esposte. I loro creatori preferiscono inviarsele l’un l’altro per posta, quando a loro volta ne ricevono


· Un’astrazione al posto di un’altra ·

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Atelier van Lieshout, avl money, 2001. Courtesy Atelier van Lieshout, design Floor Houben.


· Olav Velthuis ·

delle altre. Dunque le banconote hanno un valore locale, addirittura legato direttamente al tipo di relazione, anziché un valore di scambio universale. Prendendosi gioco delle istituzioni ufficiali, e il denaro ne è una, questi artisti si pongono come continuatori su scala più modesta di una tradizione anni sessanta che può farsi risalire al gruppo Fluxus.10 L’interesse incessante dimostrato dagli artisti per il denaro, al di là delle ovvie ragioni materiali, potrebbe spiegarsi sottolineando un certo numero di analogie strutturali fra arte e denaro. L’una e l’altro sono sistemi simbolici. Il loro valore non è intrinseco ma è una costruzione sociale: la società presenta convenzioni e istituzioni di ogni sorta (rispettivamente, i musei e le banche) su cui questi sistemi basano il loro senso e che conferiscono sia all’arte che al denaro legittimità e valore. Nessuno scambio potrebbe aver luogo se non vigesse la fede in un pezzo di carta stampata. L’arte non nascerebbe senza un concetto di convenzioni artistiche. Infine, tanto l’arte quanto il denaro sono astrazioni. Come ebbe a dire l’artista Daniel Spoerri: «Sostituendo l’arte con il denaro, mettiamo un’astrazione al posto di un’altra». Questa qualità astratta serve anche a spiegare anche perché gli artisti concettuali siano così presenti entro l’economia immaginaria. Si consideri l’opera Profit Systems One (Sistemi 28

di profitto uno) di Les Levine. Il 27 marzo 1969, Levine comprò cinquecento azioni della Cassette Cartridge Corporation al prezzo di quattro dollari e settantacinque l’una. Esattamente un anno dopo, o altrimenti quando si fosse presentata la prima occasione favorevole di guadagno, Levine avrebbe rivenduto le azioni. Così scriveva in un comunicato stampa: «Il profitto o la perdita conseguenti alla transazione diventeranno l’opera d’arte». Analogamente il collettivo di artisti di Monaco Szuper Gallery investì nel 1999 una donazione di millecinquecento sterline in speculazioni di day trading online da un ufficio della galleria ica a Londra. Per intendersi, tutte le mattine gli artisti “assumevano una posizione” acquistando strumenti finanziari (azioni, opzioni o “derivati”); dovevano quindi riuscire a liberarsi di nuovo di queste posizioni (cercando di fare profitto, si capisce) prima della chiusura del mercato, a fine giornata. Questo è quanto dichiarò un loro portavoce sul progetto: «Agli operatori finanziari piace vedere il trading come un’arte; noi intendiamo indagare la verità di quest’affermazione».11 Il contributo di Maria Eichhorn a documenta xi (2002), assai discusso, ricade in questa stessa categoria. Con il budget produttivo assegnatole per la sua partecipazione alla manifestazione di Kassel, Eichhorn fondò la società Maria Eichhorn Aktiengesellschaft. L’artista stessa, nelle vesti di amministratore delegato, nominò l’organizzatore di documenta, Okwui Enwezor,


· Un’astrazione al posto di un’altra ·

David Greg Harth, I Am not a Dollar, 2000 © David Greg Harth 2004.

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David Greg Harth, I Am not Terrorized, 2001 © David Greg Harth 2004.

presidente del consiglio d’amministrazione. Nell’atto di fondazione della società, l’artista aveva inserito una clausola che escludeva ogni possibilità di profitto. Non che ce ne fosse pericolo, dato che la società esisteva solo sulla carta e non produceva assolutamente nulla. Un altro motivo dell’attrazione che il denaro esercita e ha sempre esercitato sulla fantasia degli artisti è la costante mutevolezza del suo carattere sociale. Fino al xix secolo, e in certi paesi ancora all’inizio del xx, si poteva trovare in circolazione una farragine di monete e banconote diverse. Negli Stati Uniti, per esempio, il dollaro come lo conosciamo oggi non fu standardizzato prima del 1928; in precedenza, praticamente qualsiasi banca aveva facoltà emettere banconote proprie. Le banche centrali furono fondate in molti paesi du-


路 Olav Velthuis 路

30 Maria Eichhorn, Aktiengesellschaft, 2002, dettaglio (cassaforte). Foto: Werner Maschmann 漏 Maria Eichhorn, VG-Bild-Kunst Bonn, 2009.

Maria Eichhorn, Aktiengesellschaft, 2002, dettaglio (atto costitutivo). Foto: Werner Maschmann 漏 Maria Eichhorn, VG-Bild-Kunst Bonn, 2009.


· Un’astrazione al posto di un’altra ·

rante l’Ottocento; loro compito era la supervisione del denaro circolante e il mettere ordine nel confuso traffico monetario di quell’epoca. L’uniformità del denaro come mezzo di scambio cominciò ad aumentare rapidamente verso la fine del secolo, quando la stampa ne fu monopolizzata dallo stato. In un certo senso, alcuni recenti sviluppi non hanno fatto che rinforzare quell’uniformità del denaro. L’introduzione dell’euro, per esempio, ha portato alla scomparsa improvvisa di almeno undici divise nazionali. L’uso crescente di carte di credito e di pagamenti tramite codice pin significa che il denaro appare sempre meno frequentemente nella sua forma materiale di carta e di moneta: con le migliaia di miliardi che quotidianamente passano di mano sui mercati finanziari internazionali, il denaro può essere percepito solo come un avvicendarsi di numeri sugli schermi dei computer. In un altro senso, comincia a profilarsi una diffusa e diversificata resistenza a questa crescente standardizzazione del traffico monetario. Basta fare attenzione a quanto avviene nelle repubbliche emerse dalla disintegrazione dell’Unione Sovietica e dalla crisi dei Balcani, dove si è tentato di introdurre appena possibile una valuta locale, che potesse simboleggiare l’unità della nazione. Danesi e britannici continuano a mantenere la loro moneta pur essendo membri dell’Unione Europea. Per di più, qua e là nel mondo si sono affermate diverse valute locali e alternative: il sistema lets (Local Exchange and Trading Schemes) in Gran Bretagna, l’Ithaca Money nell’omonimo centro universitario, e i Noppes di Amsterdam, iniziativa del gruppo di attivisti Strohalm. Simili progetti fanno capire come sussista quantomeno una minoranza mal disposta ad arrendersi all’universalità del denaro nella società postmoderna. Gli artisti hanno partecipato a questa resistenza contro l’effetto universalizzante del denaro modificando oppure creando il proprio denaro. L’artista scozzese Chris Byrne, per esempio, ha invitato dei colleghi a creare progetti alternativi per l’euro. Undici sono stati selezionati e presentati al pubblico di un festival di nuovi media in Francia; nella maggior parte dei casi, gli artisti vi esprimevano posizioni ostili alla globalizzazione e alla “McDonaldizzazione”, di cui il denaro “normale”, secondo loro, è complice. Nel 1993, a Berlino, cinquantacinque artisti, fra i quali AR Penck, hanno fabbricato del denaro sotto il nome di Knochengeld (soldi d’osso). Questo denaro poteva essere usato come mezzo di pagamento nel quartiere berlinese di Prenzlauer Berg, entro limiti prescritti.12 L’artista americano jsg Boggs si dedica fin dalla metà degli anni ottanta al proprio sistema monetario alternativo. Con un pennino sottile ricopia meticolosamente delle banconote che cerca poi di usare negli scambi economici di

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· Olav Velthuis ·

jsg Boggs, Boggs Bill, 10 dollars, 1994 © jsg Boggs, 2002. Courtesy Szilage Gallery.

tutti i giorni. Dall’inizio di questo esperimento è arrivato a effettuare transazioni per un valore di più di un milione di euro. Fra gli oggetti da lui acquistati con quel suo denaro ci sono una Harley Davidson, biglietti aerei, abiti, opere d’arte e banconote rare; se ne è servito anche per pagare molti conti di ristoran32

te e d’albergo. Queste transazioni sono tutte collocabili a mezza via fra l’uso ordinario e quotidiano del denaro, uno scambio diretto di un’opera d’arte originale in cambio di un bene di consumo e una performance artistica non connessa con l’economia se non indirettamente. Ogni volta che Boggs compra un oggetto con il suo denaro, e che i collezionisti si adoperano per acquistare queste sue opere, i valori che queste transazioni pongono in essere risultano difficili da definire. Di sicuro non si può parlare di contraffazione: qualunque banconota di Boggs è distinguibile a prima vista da una genuina. Boggs, per esempio, lascia vuoto il verso della banconota, inserendo nel recto le più varie spiritosaggini. In una, invece della firma del presidente di una banca c’è la sua firma, sopra la qualifica “secretary of measury” o “treasurer of art”. Un biglietto svizzero da cento franchi si fregia del suo autoritratto in guisa di “giovane arrabbiato”, mentre su una banconota da dieci dollari americani Boggs ha sostituito il palazzo del Tesoro degli Stati Uniti con quello della Corte Suprema. Le transazioni di Boggs gli hanno procurato cause giudiziarie per contraffazione in Gran Bretagna, Australia e Stati Uniti; per questo, da dieci anni a questa parte, l’artista va intentando a sua volta cause conto i servizi segreti americani, colpevoli di aver sequestrato milletrecento oggetti nel suo atelier. La stretta sorveglianza tenuta dalle autorità su chi pratica la money art è un


· Un’astrazione al posto di un’altra ·

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jsg Boggs, Boggs Bill, 100 Swiss francs, 1988 © jsg Boggs, 2002. Courtesy Szilage Gallery.


chiaro indice della natura fragile del denaro: la funzione di mezzo di scambio delle banconote, in ultima analisi, non si basa su altro che sulla fiducia. Per mantenere quella fiducia e per proteggere il monopolio governativo sulla stampa del denaro, è necessario che qualunque alterazione del denaro sia proibita (così va il ragionamento), anche se l’alterazione è opera di artisti. Ma su molti artisti è proprio quella fiducia a esercitare un fascino irresistibile. Mediante la loro money art essi scuotono la solida fede nel valore della carta stampata (oppure nel valore di altre merci: perle, coperte per cavalli, perline, riso, sale, oro, carte da gioco o sigarette, cose che in un momento o in un altro sono servite tutte come mezzi di scambio). Gli esperimenti più radicali in questo senso sono venuti da quei pochi artisti che hanno effettivamente preso la risoluzione di distruggere del denaro. Negli anni sessanta, Yves Klein, di cui mi occuperò più avanti, gettò dell’oro nella Senna come parte di un rituale per celebrare la vendita di quanto chiamava “zone di sensibilità pittorica immateriale”. Nel 1979 il gruppo di artisti tedesco Palazzo (Heinz Zolper, Berd Ackfeld e Michaela Gensmann) incollarono quattromila biglietti da dieci marchi al pavimento della Künstlerhaus di Stoccarda; la colla impiegata rese impossibile, finita la mostra, rimuovere le banconote senza ridurle a brandelli. Jimmy Cauty e Bill Drummond, due artisti britannici che insieme costituiscono la K Art Foundation, diedero fuoco nel 1994 a un milione di sterline sull’isola di Jura, al largo della Scozia. Quel denaro l’avevano guadagnato nei tre anni precedenti con la loro lucrosa attività di compositori di musica da ballo sotto il nome di klf. Alcuni testimoni dell’evento ricordano come di lì a poco fosse sopraggiunta la noia. Gli artisti stessi non hanno mai voluto rilasciare dichiarazioni su quella massiccia distruzione di denaro.13


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