In questo senso potremmo affermare che Feldmann è un manierista, mentre Kiefer è il muscoloso Buonarroti dei nostri tempi. Medardo Rosso contro Rodin. Monsieur Hulot contro Schwarzenegger. E naturalmente anche una vecchia storia: Davide e Golia…
Massimo Minini
Kiefer e Feldmann Eroi e antieroi nell’arte tedesca contemporanea
Massimo Minini Kiefer e Feldmann
Massimo Minini. Nato sul lago d’Iseo nel 1944, frequenta a Lovere le medie e il ginnasio («Si andava a scuola in bici: sette chilometri con le mani in tasca»), a Brescia il liceo classico («Fra i pochi attenti alle lezioni di storia dell’arte»)
e nell’ottobre dello stesso anno apre la galleria a Brescia. Oggi ha all’attivo trentasette fiere di Basilea, dove negli
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succedendo a Lucio Amelio.
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anni novanta è stato membro della commissione,
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mancato, dal 1971 al settembre del 1973 lavora a Flash Art
isbn 978-88-6010-104-4
le gallerie d’arte che le aule universitarie»). Avvocato
€ 9,00
e a Milano la facoltà di Giurisprudenza («Ma bazzicavo più
Nella stessa collana 1. Marco Belpoliti Camera straniera. Alberto Giacometti e lo spazio 2. Clément Chéroux L’immagine come punto interrogativo o il valore estatico del documento surrealista 3. Luca Scarlini Andy Warhol superstar. Schermi e specchi di un artista-opera 4. Marco Meneguzzo Arte Programmata cinquant’anni dopo 5. Federico Ferrari L’insieme vuoto. Per una pragmatica dell’immagine 6. Roberto Dulio Un ritratto mondano. Fotografie di Ghitta Carell
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©2013 Johan & Levi Editore Progetto grafico Paola Lenarduzzi Impaginazione Studiopaola Fotolito e stampa Arti Grafiche Bianca & Volta, Truccazzano (mi) Finito di stampare nel mese di maggio 2013 isbn 978-88-6010-104-4 Johan & Levi Editore www.johanandlevi.com Il presente volume è coperto da diritto d’autore e nessuna parte di esso può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti d’autore.
Volume realizzato nel rispetto delle norme di gestione forestale responsabile, su carta certificataa Munken Lynx
Massimo Minini
Kiefer e Feldmann Eroi e antieroi nell’arte tedesca contemporanea
Sommario
Due opzioni — 7 La materia — 15 Lo studio — 19 Cento anni — 25 Un dubbio — 29 Germania, Italia, Francia — 31 La tragedia e la storia — 35 La guerra e l’eroe — 39 La commedia, le comiche, la favola — 41 Verschiedene Blumen — 48 Citazioni — 54 The End — 62 Note — 63 Crediti delle immagini — 65
Due opzioni
Per chi conosce questi argomenti credo che già dal titolo si intuisca l’intenzione dell’autore e cioè illustrare come l’arte della Germania a cavallo dei due millenni possa essere letta e presentata, attraverso ipotesi piuttosto ampie, tra le due opzioni dell’eroismo e del suo contrario. D’altronde, se un titolo non è scandalistico, se non è puramente esornativo o depistante, a questo dovrebbe servire: a evitarci di leggere il testo… Spazio italiano, ambiente fiammingo è il fulminante titolo del breve e grande scritto di Cesare Brandi,1 uno straordinario saggio che, smentendo il mio assunto, rileggo sovente. Ho visto questo piccolo libro dall’azzurra copertina comparire anni fa nella mia biblioteca e di colpo quel titolo mi spiegava le differenze sostanziali tra i due mondi, italiano e fiammingo, tra la visione del Sud e quella del Nord, tra terre calde e fredde. Da noi lo spazio domina nelle rappresentazioni dalle grandi architetture, templi, chiese: Roma grande capitale, Firenze attenta tessitrice di fortune, palazzi enormi, papi, re, regine. Non che i fiamminghi non ne abbiano avuti di re e regine (papi comunque no),
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ma forse faceva freddo lassù e le stanze erano necessariamente più piccole per poterle riscaldare, le finestre minuscole per difendersi da lunghi e rigidi inverni. Insomma, qualche dato geografico e climatico, prima dell’aria condizionata, ha dato forma ai palazzi, alle case, ai béguinages e di qui si è trasferito nei dipinti, nei disegni. Anche nella scultura si avverte questa differenza che è, appunto, nell’evidenza delle immagini. La pittura italiana ci parla di spazio con ampie vedute, quella fiamminga volge la sua attenzione all’ambiente, ai dettagli, alle decorazioni, ai particolari. Da noi un campo è un grande verde là in fondo, da loro un insieme di piccoli fiori in primo piano.
Spero che il mio titolo abbia uguale chiarezza e che permetta al lettore di chiudere qui la partita e occuparsi di cose più importanti. A chi invece volesse proseguire nonostante l’avvertimento dirò che poco fa ero a Vienna per l’inaugurazione alla fondazione bawag di una mostra con opere di Hans-Peter Feldmann, un curioso, ironico, a volte ridicolo signore tedesco di settantadue anni, artista concettuale della prima ora, ma meno grave dei suoi colleghi, tanto che all’epoca pochi l’avevano preso sul serio. Talmente poco che nei primi anni ottanta, constatato il fallimento, Feldmann ne prende pragmaticamente atto e per una decina d’anni non “farà più l’artista”; cambierà semplicemente mestiere. Di che cosa si occupa Feldmann in quei dieci anni in cui “non è più artista”? Avendo una passione decisa per gli
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elenchi, per le raccolte di immagini e oggetti (fig. 1), per la serialità e la ripetizione, apre un piccolo negozio dove colleziona con passione, per poi rivenderli, vecchi giocattoli di seconda mano o di modernariato, come si dice oggi. Racconta la leggenda che un giorno Kaspar König, non potendo sopportare oltre questa assenza, pensando a Feldmann come a uno sfortunato e intransigente campione del suo tempo lo cerca, bussa alla sua porta e gli offre una mostra al Portikus di Francoforte, un piccolo spazio espositivo annesso alla Städelschule, l’accademia di belle arti di cui König è direttore. Tra le varie coincidenze bisogna dire che Portikus è un museo che non esiste. Immaginate la facciata di una chiesa del Settecento con le classiche colonne e il timpano. A causa dei bombardamenti – che torneranno sovente in questo scritto – dietro la facciata non c’è più nulla. Tutta la chiesa distrutta. E cosa ha fatto Kaspar König? Ha applicato alla cava orbita della porta quattro grandi container, che sono diventati per l’appunto il mitico Portikus, un non-museo, con un’intensa attività che ha dato a Francoforte un’incredibile fama. Questo per dire che non serve spendere miliardi per l’edificio, il primato è sempre delle idee. Grazie a König e alla mostra di Portikus tutto si rimette in moto, il mondo dell’arte si ricorda di Feldmann, questo concettuale beffardo, che fa della banalità quotidiana una bandiera. Per arrivare pian piano fino alle celebrazioni degli anni recenti in cui il nostro appare come uno degli esponenti più acclamati dell’arte tedesca, non senza sorpresa, in controtendenza rispetto alla profes-
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1. Hans-Peter Feldmann, Postkarten. Cartoline.
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sionalità di Richter, allo sciamanesimo di Beuys, alla corpulenza di Immendorff, al peso di Baselitz, all’eroismo di Kiefer. Un’arte, quella di questi ultimi, radicata nell’Espressionismo, nella manifestazione di sentimenti e stati d’animo che, tra Jung e Freud, tra Wagner e Goethe, tra Baldung e Cranach, non possono non essere profondi, pesanti, seri, impegnati. In tal senso Anselm Kiefer è l’erede perfetto, ammirato e conseguente di un mondo che annovera grandi filosofi da Kant a Adorno, scrittori come Thomas Mann e Gottfried Benn, pittori da Kirchner a Gerhard Richter. Paladino della serietà, dell’impegno, della colpa recente, Kiefer sta dalla parte delle vittime, ma con un preciso riferimento alla forma greve della Grande Pittura Tedesca, almeno da Böcklin ai Die Brücke, da Friedrich a Grosz; risuscita fantasmi mai sopiti, dà corpo a una grandeur anche nei formati, temi, materiali: fili spinati (fig. 2), cavalli di frisia, campi arati in lunghe prospettive dipinti con grande presenza. Nel suo mondo tutto parla della pesantezza, del grave, della volontà, della Storia con la maiuscola, di avvenimenti mitici, anche se nella famosa conversazione (Ein Gespräch) voluta da Jean-Christophe Ammann e svoltasi a Basilea nel 1989 tra Beuys, Cucchi, Kounellis e Kiefer ad analizzarla bene quest’ultimo sembra un ragioniere, Cucchi un poeta svitato, Beuys un visionario e Kounellis un rivoluzionario utopista impegnato. Tempesta e assalto, il Romanticismo tedesco, I dolori del giovane Werther sembrano ritornare non solo nei materiali evocati da Kiefer, ma anche nei titoli - Dein goldenes Haar,
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2. Anselm Kiefer, Die Milchstrasse, 1985-1987. Emulsione, acrilico, olio e gomma su tela con applicazione di fili e fili elettrici, dittico, 563 x 381 cm.
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Margarethe - (I tuoi capelli d’oro, Margarethe, fig. 10). La paglia vera nei campi arati, i semi di girasole sparsi come puntini neri, i fiori di Mao Zedong, la rivoluzione dei fiori («che mille fiori fioriscano»). Tutto ci parla, in fondo, di una grande nostalgia per un mondo perduto, un mondo di natura dove la Morte è l’approdo finale e naturale. L’Ade si apre davanti a noi, ma non è là in fondo, no, è qui vicino, è il nostro dirimpettaio che ci aspetta, che ci chiama, che gioca a scacchi con noi. E anche se vinciamo qualche partita, come fa il cavaliere di Ingmar Bergman, sappiamo che perderemo sicuramente l’ultima, quella decisiva, lo spareggio finale. Ecco, nell’opera di Anselm si avverte ‒ anzi è sua precisa volontà farcelo sentire ‒ il sapore della Storia, con il suo inevitabile carico di morti e feriti, di guerre e battaglie, di citazioni e rimandi.
Anche Hans-Peter Feldmann probabilmente sa che quella partita a scacchi la perderà, ma per il momento la prende alla leggera, preferisce il sorriso, evita il confronto e pensa ad altro. L’essere vivente, ci racconta Feldmann con i suoi calembours, rifiuta l’idea della morte, non può nemmeno contemplarla e se per caso questa idea si affaccia l’essere la scaccia come un’incongrua contraddizione. Forse per allontanarla bisogna ingigantire il presente. Ma da cosa è costituito questo presente? Da nient’altro che oggetti che lo occupano, lo fondano, che tolgono spazio alle paure, consolano i timorosi, rafforzano le certezze, non rimandano a un altrove, a rivoluzioni dei mille fiori, e con
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mille morti, a cavalli di frisia, a stanze con grandi travature, a situazioni da dramma se non da melodramma. Che cosa c’è di più adatto per ammobiliare la propria esistenza che fare elenchi di cose, meglio ancora se inutili, o almeno non immediatamente utili, come l’arte? E per alleggerire l’avvicinarsi dell’appuntamento anche i materiali effimeri che Feldmann usa servono alla causa.
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La materia
Le tecniche adoperate dai nostri artisti sono un altro indizio delle rispettive finalità. Kiefer sceglie grandi tele, molta materia, spessore di terre per rendere il senso del dramma, della Storia, della serietà di temi e racconti (fig. 4). I lavori in questione sono costruiti con il proposito di offrire un risultato matericamente vicino all’affresco. Muri solidi ci porgono il suo messaggio, così come muri hanno ospitato per secoli la pittura destinata a durare, a essere esempio. Ci siamo abituati a entrare in chiese e palazzi interamente affrescati. Quei luoghi dalla pittura opaca e didattica, storie dell’Antico e del Nuovo Testamento, racconti del Divino, del Mistero, del Sublime. Tutto, compresa l’austerità dei materiali utilizzati, tende in quei lavori a un risultato di persuasione. E se osserviamo bene anche la gamma cromatica dei nostri indica le rispettive intenzioni: le terre, i neri, una tavolozza seria per l’uno, colori da scuola primaria per l’altro, che infatti sceglie la carta come luogo del suo esercizio. Fotocopie, fotografie di altri o proprie (fig. 3), ritagli di giornale, raccolte di figurine, cartoline con i
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3. Hans-Peter Feldmann, All the Clothes of a Woman (dettaglio). 70 fotografie in bianco e nero, 120 x 80 cm.
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4. Anselm Kiefer, Die Argonauten, 1990. Tecnica mista su tela, 500 x 280 cm.
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fiori: un alfabeto per bambini, come alle elementari quando imparavamo a riconoscere gli animali, i fiumi, le nazioni, le Alpi Marittime, Cozie, Graie‌ Feldmann è un maestro gentile che ci prende per mano e ci avvolge nelle sue carte da parati, nelle fotografie di frigoriferi aperti, nelle lenzuola di letti disfatti dove il nipotino gioca con il nonno al mattino. Un mondo leggero e sognante, realizzato con materiali non violenti, l’opposto della costruzione che Kiefer attua per rendere le colpe del passato, la solennità del Mito.
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