La stupidità fotografica

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La fotografia può far sembrare lo stupido un genio e il genio uno stupido: penso a quella di Einstein che mostra la lingua.

Ando Gilardi

La stupidità fotografica

Ando Gilardi (1921-2012) è stato un pioniere degli studi Ando Gilardi  La stupidità fotografica

italiani sulla fotografia e il fondatore della Fototeca Storica Nazionale. Partigiano, giornalista e fotoreporter nell’Italia degli anni cinquanta, precursore dei tempi, ricercatore e artista digitale, Gilardi è da sempre una figura controversa, provocatoria e poco in linea con l’ortodossia dei salotti della fotografia ufficiale, ma con un’ampia base di appassionati lettori che lo hanno seguito fedelmente nelle sue pubblicazioni, mostre e spiazzanti incursioni nei social network. Autore di fondamentali testi sulla storia della fotografia tra cui Storia sociale della fotografia (1976), Wanted! (1978), Storia della fotografia pornografica (2002), Meglio ladro che fotografo (2007), ha anche creato le riviste

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isbn 978-88-6010-105-1

€ 10,00

Photo 13, Phototeca, Storia Infame.

Nella stessa collana 1. Marco Belpoliti Camera straniera. Alberto Giacometti e lo spazio 2. Clément Chéroux L’immagine come punto interrogativo o il valore estatico del documento surrealista 3. Luca Scarlini Andy Warhol superstar. Schermi e specchi di un artista-opera 4. Marco Meneguzzo Arte Programmata cinquant’anni dopo 5. Federico Ferrari L’insieme vuoto. Per una pragmatica dell’immagine 6. Roberto Dulio Un ritratto mondano. Fotografie di Ghitta Carell 7. Massimo Minini Kiefer e Feldmann. Eroi e antieroi nell’arte tedesca contemporanea 8. Marco Belpoliti Il segreto di Goya 9. Silvia Mazzucchelli Oltre lo specchio. Claude Cahun e la pulsione fotografica

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©2013 Johan & Levi Editore Progetto a cura di Patrizia Piccini Iconografia a cura di Elena Piccini Progetto grafico Paola Lenarduzzi Impaginazione Studiopaola Stampa Arti Grafiche Bianca & Volta, Truccazzano (mi) Finito di stampare nel mese di settembre 2013 isbn 978-88-6010-105-1 Johan & Levi Editore www.johanandlevi.com Per tutte le immagini, salvo dove diversamente indicato: © 2013 Fototeca Storica Nazionale Ando Gilardi, Milano. Il presente volume è coperto da diritto d’autore e nessuna parte di esso può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti d’autore.

Volume realizzato nel rispetto delle norme di gestione forestale responsabile, su carta certificataa Munken Lynx


Ando Gilardi

La stupidità fotografica



Sommario

Prefazione — 9 Capitolo 1 I tre tipi di stupidità fotografica — 11 Esempio forte ma per ragioni didattiche — 13 Stupidità fotografica del terzo tipo — 15 La gente che crede a quello che vede — 19 Capitolo 2 Il ritratto della stupidità — 23 La livella — 28 Capitolo 3 L’apparecchio preferito dagli stupidi — 31 Fotografia dono divino — 36 Capitolo 4 Tassonomia tutt’altro che stupida — 41 L’istantanea divora la fotografia — 44


Capitolo 5 Il sommelier della fotografia è stupido — 48 Capitolo 6 L’idiota di cui tratta Nadar — 57 Libertà è un salto nel buio o nella luce — 60 Note — 62 Piccola antologia gilardiana — 64 Riscontri Fare gli stupidi — 87 Sembrare stupidi — 99


Questo libro è dedicato a Carlo M. Cipolla


1. Ando Gilardi, autoritratto dal documento d’identità . Ponzone (al), 2009.

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Prefazione

Sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione. Carlo M. Cipolla

Scriviamo subito, per prima cosa, che il titolo potrebbe essere sbagliato, e cioè che non sia vero che quando ci mettiamo davanti, consapevolmente, all’obiettivo fotografico facciamo gli stupidi, ma che, al contrario, stupidi magari lo siamo ogni giorno e ogni momento. Mentre invece quando, come si dice, “posiamo” stupidi lo siamo di meno, perché emerge la nostra migliore natura, quella infantile. Insomma, davanti alla macchina viene a galla il fanciullo che gli anni, le delusioni, le difficoltà della vita hanno sepolto in noi. Sepolto ma non ucciso del tutto, e che nel momento della palingenesi fotografica, ripetiamo se consenziente, riappare visibile per qualche momento, che poi la fotografia fissa nelle sue forme. Bisogna insistere sul fatto che questo discorso vale se la fotografia non è un furto e non viene imposta come per esempio succede con la segnaletica, che non è sempre criminale, al contrario. L’esempio di massa più comune è quello della fototessera sulla carta di identità. In quella fotografia nessuno sorride e appare felice e soddisfatto di vivere. E se sorridesse, un caso su centomila, e se il sorriso

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fosse sul limite della risata, il documento desterebbe magari sospetti. È chiaro che qui si potrebbe inventare una parabola: in automobile siete andati troppo veloci, un poliziotto in moto vi è corso dietro e vi ha fermato: apre la patente dove voi gli ridete in faccia! Vogliamo arrivare all’eccesso per meglio immaginare la scena? Incollato sul documento si trova un sembiante che mostra la lingua! (Fig. 1) Eppure pensandoci bene proprio nell’attimo di quella ripresa, in buonafede, dal vostro profondo era salito alla luce il fanciullo scherzoso sepolto da anni nel profondo dell’ego. In questo volumetto, che vuole essere il seguito di un altro che ha avuto un certo successo,1 come nella storiella che abbiamo inventato, ci siamo imposti di fare, scherzando, un discorso serio, a volte forse pesante. Speriamo di esserci riusciti: la nostra intenzione che oggi viene per prima, dopo molti anni trascorsi parlando e scrivendo di fotografia, oggi è quella di divertire il lettore. Poi di suggerirgli qualcosa che possa essergli utile per proteggersi dalla stupidità sempre in agguato. E non solo da quella fotografica. Ando Gilardi

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Capitolo 1

I tre tipi di stupidità fotografica ando — Dunque cominciamo adottando una variante del metodo Cipolla: abbiamo tre tipi diversi di stupidità fotografica; il primo si manifesta davanti all’obiettivo e si riconosce nell’immagine. Perché non si nasconde, al contrario vuole apparire. Ed è quasi sempre buona e bella e onesta, addirittura poetica e in alcuni capolavori del genere perfino geniale. patrizia — Poi abbiamo la stupidità che si trova dietro la macchina, nel fotografo stupido. E questa fa male a lui e agli altri, non sempre innocenti. a — Qui userei le parole con attenzione, non direi nel fotografo stupido ma nello stupido che fotografa. p — Vero, c’è differenza. a — Enorme differenza, ma a questo punto è necessario dare una definizione semplice e chiara dello stupido in generale. p — Quella di Cipolla è la migliore. a — Dice Cipolla: «Stupido è chi causa un danno a

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un’altra persona, o gruppo di persone, senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita». E così siamo venuti al terzo e ultimo tipo di stupidità fotografica: quella di chi pensa di arrivare alla fotografia scendendo dall’alto verso il basso. Il caso funesto è dell’esperto che conosce, o crede di conoscere la storia dell’arte. Trova naturale, e forse umiliante, insegnare quella della fotografia. Lui pensa che sia breve, facile e che presto si impari. Il tutto nasce da due grandi equivoci. Il primo: la fotografia non è nata ieri ma ha l’età della luce. p — E Dio disse: «Sia la fotografia» e la separò dalle tenebre. a — Così la Genesi sarebbe meglio tradotta. L’equivoco sta nel chiamare fotografia solo quella fissata, resa da effimera stabile, diventata un oggetto. Il secondo equivoco, che se non fosse universale sarebbe una forma di paranoia, è fra il prendere e il fare le fotografie. Da meno di due secoli, che sono un lampo nella sua eternità, la fotografia-oggetto si prende con una macchina che la fa. Come con le orecchie si prende la musica quando si ascolta da un apparecchio che la riproduce. A me piacerebbe scrivere che pure le istantanee si ascoltano da una macchina che le riproduce dal vero. p — E che semmai l’intelligenza o la stupidità stanno nella scelta del cd musicale. a — O del soggetto fotografico. Ma adesso diremo una verità sulla fotografia che non è mai enunciata: chi entra in possesso di una macchina che fotografa prende potere sugli altri. p — Come se possedesse un’arma? a — Il paragone, diciamo fra la Colt e la Coolpix, è

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sbagliato. Per la gente comune la rivoltella è uno strumento di difesa, di protezione. La Coolpix, parlo di questo apparecchio digitale facile e diffuso, non soddisfa ovviamente nessuna intenzione protettiva. p — Forse nemmeno aggressiva. a — Tranne nel caso dello stupido. Si ricordi che la stupidità è sempre centrifuga: si irradia dallo stupido e aggredisce qualcuno. Ma ora vorrei fare un esempio, molto realistico. p — Sentiamo.

Esempio forte ma per ragioni didattiche a — Quello di due impiegati che si trovano entrambi agli sportelli di una banca. Gente normale, sono, diciamo, alla pari, nessuno ha potere sull’altro. Poi uno compera una Coolpix, una scatoletta che si impara presto a usare. p — Molto buona per la ripresa automatica di istantanee in successione. a — Ora chi ha la Coolpix, attenta a non confondere, ovviamente non diventa per questo un fotografo scemo, ma nel nostro esempio è diventato uno scemo che fotografa il suo ignaro collega che ha il vizio di mettersi le dita nel naso. p — Però!… a — E poi osserva il prodotto! p — Si poteva scegliere un esempio meno disgustoso. a — Ne faccio uno forte per ragioni didattiche. La piccola Coolpix abbandonata sullo scrittoio, in una serie di

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istantanee che può durare anche un’ora, ha registrato l’evento della pulizia del naso in centinaia di immagini. p — Che lo scemo potrebbe stampare, scelte come si deve, per ottenere un fotoservizio. a — Peggio: sui tavoli degli impiegati della banca, e non solo di quella filiale, si trovano dei computer collegati. Lo scemo della Coolpix diffonde a tutti i colleghi l’immagine più eloquente del fotoservizio. Può scriverci anche un titolo… p — “Alle fonti del Kilimangiaro.” a — O farne un video su YouTube che potrebbe avere decine di migliaia di visitatori… Ma intanto l’eloquente istantanea è arrivata sulla scrivania del direttore, che non ne ride ma licenzia l’impiegato che invece di lavorare fotografa e rovina l’immagine del grande istituto di credito. p — E così abbiamo soddisfatto la definizione del professor Cipolla: «Stupido è chi causa un danno a un’altra persona, o gruppo di persone, senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita». Perfetto! a — Mi lasci continuare la parabola. p — Forse il lettore si annoia. a — Ancora poche parole: i sindacati non ritengono motivato il licenziamento del lavoratore, che ha solo fotografato un collega con le dita nel naso: è una questione di principio. Comincia la vertenza, che degenera in uno sciopero, da cui nasce una manifestazione della categoria, per cui avviene uno scontro con la polizia, durante il quale parte uno sparo non si sa bene da chi, per cui i disordini si inferociscono al punto che cade il governo…

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p — Si fermi, sta cadendo nel ridicolo. a — Lo so, ma volevo essere certo di dare chiaro il concetto che una fotografia, e non chi l’ha presa, può avere un enorme potere.

Stupidità fotografica del terzo tipo p — Torniamo alla teoria generale della stupidità fotografica. Lo stesso racconto dell’invenzione della fotografia, come si legge in tutte le sue storie, è un campionario di stupidità. a — Vero! Si legge che la fotografia è stata inventata da Niépce. p — Che è falso, addirittura ridicolo. a — Niépce cercava di ottenere con la camera oscura una matrice automatica inchiostrabile, per la stampa di immagini prese dal vero ma più ancora da altre immagini, come quadri e incisioni, per riprodurle. In altre parole cercava una matrice automatica “fotocopiatrice” o quasi, diciamo, uno “scanner” xilografico scheletrico, o addirittura di tipo litografico, cioè capace di riprodurre anche nuances, il chiaroscuro, insomma i mezzi toni. Sognava qualcosa che può far pensare al bicromato di potassio ma il bitume è molto diverso… p — Lei sa bene che quello che ha detto è difficile per i comuni lettori. a — E nessuno ne ha colpa. Ma diventa una grave colpa non conoscere quelle parole, per chi insegna storia della fotografia. A questo proposito vorrei raccontarle una cosa da ridere.

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p — Le sue “cose da ridere” lo sono sempre per modo di dire… a — Una volta un docente che insegnava storia della fotografia in un famoso ateneo mi disse, e speravo scherzando, che come libro di testo suggeriva ai suoi studenti un’opera molto modesta. Gli chiesi perché non ne suggeriva una migliore. Gli diedi anche il titolo. p — E che cosa ha risposto? a — Che non lo faceva per mantenere le distanze dagli allievi, e che questa sarebbe un’antica regola accademica, fin dai tempi dei testi universitari membranacei. p — Questo mi sembra il massimo esempio della stupidità fotografica del terzo tipo, quella che scende dall’alto. a — Tutti devono vivere. p — Sì, ma c’è un rischio: il grande Cipolla insegna che come la moneta cattiva fa sparire la buona dal mercato, così il libro scemo su un tema fa sparire dalle librerie il libro sul medesimo tema che non lo è. a — Per questo sto coltivando anche la mia personale stupidità fotografica: perché bisogna ammettere che in tutti i bravi fotografi esiste almeno la parodia di uno stupido. Ho fatto degli esempi nelle illustrazioni. L’intelligenza e la caricatura della stupidità fotografica hanno bisogno l’una dell’altra per connotarsi. Ma a volte è difficile distinguere una dall’altra. p — Lei sta parlando di se stesso ovviamente. Quando non si capisce bene quello che intende sta parlando sempre di lei. a — Anche nel fotografo più intelligente, penso a

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Robert Capa che muore andando a fare la cacca in Vietnam in un campo minato, trovi uno stupido. Io sono ancora vivo forse perché soffro di stipsi. Ma allo stupido integrale, quello indagato da Cipolla, manca ovviamente la consapevolezza della propria stupidità. p — Lei dunque è uno stupido fotografo intelligente e insieme un intelligente fotografo stupido. a — Forse diciamo cose migliori di quello che pensiamo: chiamiamo a soccorso i grandi personaggi stupidi di genio della letteratura. p — Sta pensando a don Chisciotte? a — A un don Chisciotte che parla di storia della fotografia nel quale confesso di riconoscermi. Gustave Flaubert è stato uno dei più grandi studiosi della stupidità che egli chiama in francese bétise, bestialità. Si dice anche nella nostra lingua, sei una bestia. p — A me suona bene bestialità fotografica, una specie di stupidità fotografica esagerata. Lei immagina a chi sto pensando? a — Abbiamo promesso di non fare mai nomi. Bouvard e Pécuchet è un romanzo incompiuto di Flaubert del 1881: da giovane mi sono divertito a finirlo. Esso ha per oggetto di indagine quella forma di stupidità, di bestialità, che si nutre proprio di quello che dovrebbe essere il suo rimedio: il sapere contenuto nei libri. p — Secondo Cervantes don Chisciotte diventa stupido per avere letto troppi libri. Sulla cavalleria ma nel nostro caso potrebbe essere anche sulla fotografia. a — La trama del romanzo: siamo a Parigi, due uomini, Bouvard e Pécuchet si incontrano e fanno conoscenza,

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scoprendo che non solo fanno lo stesso lavoro di copisti, ma hanno gli stessi interessi. Un’eredità improvvisa consente loro di cambiare vita e vanno a vivere in una fattoria dedicandosi all’agricoltura. Si rivelano però incapaci di gestire la nuova occupazione, decidono quindi di passare ad altro e si dedicano prima alla medicina, poi alla chimica, poi alla geologia, poi alla politica con gli stessi tragici risultati. Stanchi dei tanti fallimenti, hanno finalmente un’idea luminosa: aprono una scuola per l’insegnamento della fotografia e hanno un enorme successo! p — Divertente! Ma siamo certi che non si cominci a irritare il lettore? a — Penso di no, il discorso ora diventa incandescente. In Italia, nelle università dove negli anni trenta erano circa centocinquanta, oggi si contano cinquemilacinquecento corsi di laurea; sono cifre ufficiali. Circa cinquecento sono di fotografia; la mia domanda, quanti sono tenuti da Bouvard e Pécuchet? p — Lei si rende conto che con questi discorsi si è fatto il vuoto intorno? a — Se i Bouvard e Pécuchet diventano massa, la stupidità fotografica diventa cultura di massa. In Italia esistono trecentomila centri dove si insegnano le arti grafiche che su Google sono evocati come scuole, istituti, accademie, università e altro. Per secoli si è considerata arte grafica soprattutto la creazione di una matrice per la moltiplicazione in copie, nelle “stampe”, di un’immagine. p — Adesso forse stiamo annoiando. a — Per l’arte grafica della fotografia la prima matrice per fare stampe fu il negativo, oggi è il file. Il primo

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supporto la carta, oggi il video del computer. Dal quale si può passare alla carta e viceversa, e l’oggetto fotografico effimero sul video può diventare fluido e trasformista. Sa chi era Leopoldo Fregoli? p — Un famoso fotografo? a — Non scherzi; era un attore famoso per la sua abilità nel trasformismo scenico che gli consentiva di cambiare in pochi secondi l’aspetto del personaggio da interpretare. Nella fotografia digitale il fregolismo supera l’immaginazione. Esiste e trionfa la fregolismografia. p — Arricchire la terminologia fotografica per lei è una missione. a — Esiste anche la capgrasfotografia del fotografo stupido. Il termine “Capgras” indica il disturbo mentale di uno stupido clinico il quale crede che i parenti siano stati rimpiazzati da personaggi famosi. Il capgrasfotografo nelle sue istantanee vede i capolavori famosi che si trovano al Louvre. Nelle trecentomila aule dove si insegna l’arte grafica, di tutto questo non si parla nemmeno. È una stupidità epocale che nella storia si verifica per la seconda volta. p — Mi racconti la prima volta.

La gente che crede a quello che vede a — La prima volta, quella che possiamo chiamare astronomica, fu credere che il Sole girasse attorno alla Terra. p — Aristotele è stato uno stupido astronomico? a — No, è stato un grand’uomo in una civiltà dove

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2. I due anziani signori al tavolino raffigurano i protagonisti del romanzo incompiuto di Gustave Flaubert, Bouvard e Pécuchet, alla fine della loro epopea fallimentare. Fotografia di anonimo, Italia, fine xix secolo.

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3. Qui Bouvard e Pécuchet sono giovani, sembrano ritratti in mongolfiera, ma l’immagine è un’illusione: sono appesi a pochi centimetri da terra. L’effetto è stato completato dal fotomontaggio. Photo des rêves, Parigi, 1905 ca.

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anche le grandi idee nascevano da una grande bestialità astronomica. Per darle una definizione: “la civiltà della gente che crede a quello che vede”. p — Dopo l’avvento della fotografia, la gente solo nelle sue immagini può vedere il credibile. a — E sembra un aforisma. p — Lei paragona l’avvento della fotografia a quello del sistema copernicano? a — È il punto! Il sistema della fotografia completa il sistema eliocentrico: due emisferi si sono uniti e abbiamo la sfera di Pascal: un pallone in espansione fotografica continua, che aumenta i suoi punti di contatto con le cose che ancora ignoriamo. p — Bello! a — Così con il pallone pascaliano finisce la storia della stupidità tolemaica e comincia quella della stupidità copernicana. Anatole France dice che Copernico ha spinto la Terra nell’angolo stupido dell’universo: ma lo stupido continua a credere di esserne al centro. Le immagini fatte a mano dell’arte lo hanno persuaso in questa bestialità. L’arte falsifica quello che solo in fotografia chi vuole vede con gli occhi. In fotografia il Sole non spunta come invece la Luna e nemmeno tramonta, anche se si continua stupidamente a ripeterlo. p — Chiudiamo il capitolo e passiamo al secondo? a — Cominciando da Maestro Cipolla.

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