Louvre, mon amour
«È nei momenti di smarrimento, di contestazione, di innovazione che i pittori tornano al Louvre, allo stesso modo in cui i marinai in piena tempesta sognano il porto.»
Pierre Schneider
Pierre Schneider (Anversa, 1925), dopo una laurea a Berkeley e un dottorato a Harvard, si trasferisce a Parigi, dove risiede dagli anni cinquanta. Collaboratore dei Temps Modernes diretti da Jean-Paul Sartre e Maurice Merleau-Ponty, di Critique, diretto da Georges Bataille, dei Cahiers du Sud e di varie altre testate fra cui Artnews e The New York Times, ha dedicato quattordici anni di lavoro a uno studio magistrale su Henri Matisse (Flammarion, 1984), artista di cui è considerato uno dei massimi esperti al mondo e di cui ha curato importanti retrospettive.
Marc Chagall Sam Francis Alberto Giacometti Joan Miró Barnett Newman Jean-Paul Riopelle Pierre Soulages Saul Steinberg Bram van Velde Maria Elena Vieira da Silva Zao Wou-ki
Pierre Schneider Nella stessa collana: 1. Annie Cohen-Solal Americani per sempre. I pittori di un mondo nuovo: Parigi 1867 – New York 1948 2. Clement Greenberg L’avventura del modernismo. Antologia critica 3. Ai Weiwei Il blog. Scritti, interviste, invettive 2006-2009 4. Brian O’Doherty Inside the White Cube. L’ideologia dello spazio espositivo 5. Marco Meneguzzo Breve storia della globalizzazione in arte (e delle sue conseguenze) 6. Frederic Spotts Hitler e il potere dell’estetica
Louvre, mon amour Undici grandi artisti in visita al museo più famoso del mondo
È indispensabile dare fuoco al Louvre per affermarsi tra i maestri del proprio tempo? Per rispondere a questa domanda provocatoria, negli anni sessanta il critico d’arte Pierre Schneider invitò undici celebri artisti dell’epoca – fra cui Giacometti, Miró, Chagall, Steinberg – ad accompagnarlo, uno per volta, attraverso le sontuose sale del museo parigino. Nessuno degli invitati si tirò indietro e la verità che ne emerse è valida tutt’oggi: ben lungi dal rappresentare una tortura, il Louvre esercita sull’artista un richiamo inesauribile nel tempo. Né scoraggiato né sollevato – semmai sedotto – dall’abisso che lo separa dai giganti che vi dimorano, solo l’artista sa interrogarli e intrattenere con loro un dialogo fra pari. Schneider registra ogni commento, ogni gesto, perfino i silenzi e gli umori altalenanti dei suoi interlocutori, dei quali tratteggia in poche battute l’itinerario del pensiero. Poi, al momento giusto, la domanda insidiosa. Le cui risposte – a volte feroci, a volte ammirate, mai deferenti – rivelano un acume raro e una grande intimità con artisti anche molto distanti. Assistiamo, così, all’imprevedibile commozione di Chagall davanti a Courbet («un grande poeta»), alla sua stizza di fronte a Ingres («troppo leccato»), alla predilezione di Giacometti per l’autoritratto di Tintoretto («la testa più magnifica del Louvre»), allo stupore onomatopeico di Miró, che lancia fischi di ammirazione ai mosaici africani. Lo sguardo di ciascuno scivola sulle opere per scandagliarne la materia, commentarne la “chimica” e decretarne, infine, la tenuta nel tempo. In queste trascinanti passeggiate soffia uno spirito di riconciliazione fra vecchio e nuovo che mette in crisi l’idea del museo quale deposito di oggetti obsoleti, incapaci di parlare ai contemporanei. Ai suoi undici ospiti d’eccezione il Louvre appare, di volta in volta, come il libro da cui imparare a leggere, la palestra in cui irrobustirsi, una scuola per affinare la visione, il cimitero ideale, una macchina del tempo che azzera scarti millenari, un ponte fra passato e presente, ma soprattutto il luogo in cui è possibile misurarsi con quanto di più grande è stato creato dall’inizio dei tempi.
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