Georgia O'Keeffe / John Loengard - Dipinti e fotografie

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Georgia O’Keeffe / John Loengard

Nella stessa collana: 1. Candida Höfer BIBLIOTECHE 2. Dominique Laugé L’OCCHIO INCANTATO www.johanandlevi.com

Georgia O’Keeffe / John Loengard Dipinti e fotografie Georgia O’Keeffe / John Loengard Dipinti e fotografie A cura di Lothar Schirmer

Dipinti e fotografie

Il fotografo John Loengard era ancora un giovane trentenne quando fu inviato dalla rivista Life nel secco deserto del New Mexico nel 1966 e nel 1967. Il suo compito era di scattare una serie di fotografie per l’ottantesimo compleanno di Georgia O’Keeffe. La magnifica signora della pittura statunitense aveva vissuto vent’anni da sola nella tenuta di Ghost Ranch nei pressi di Abiquiu. Dopo la morte del marito Alfred Stieglitz nel 1946, la O’Keeffe, già nota al mondo intero, aveva deciso di lasciare il cuore della civilizzazione che era New York per ritirarsi nell’incontaminata natura di una riserva di nativi americani. Sarebbe morta vent’anni dopo, nel 1986, a Santa Fé, poco dopo aver festeggiato il suo novantanovesimo compleanno. Questo volume offre una selezione di fotografie scattate da Loengard alla meravigliosa e solitaria signora del deserto, affiancate a dipinti della stessa O’Keeffe. Il confronto rivela in modo sorprendente come il paesaggio del deserto e la vita quotidiana dell’artista siano riflessi nei motivi che scelse di rappresentare nei suoi dipinti. E mostra in quale misura l’immaginario artistico di Georgia O’Keeffe sia stato alimentato dalla cruda realtà del suo eremitaggio ascetico nel deserto del New Mexico.

ISBN 10: 88-6010-019-4 ISBN 13: 978-88-6010-019-1 33,00

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Georgia O’Keeffe /John Loengard Dipinti e fotografie


Passeggiata mattutina, Ghost Ranch, 1966


Georgia O’Keeffe / John Loengard Dipinti & fotografie Una visita ad Abiquiu e Ghost Ranch A cura di Lothar Schirmer


Edizione italiana: Johan & Levi Editore Galleria Unione 5 20122 Milano, Italia 2007 ©Johan & Levi Editore Il presente volume è coperto da diritto d’autore e nessuna parte di esso può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti d’autore. Immagini di sovraccoperta Copertina: John Loengard, Sul tetto, Ghost Ranch, 1967. (Tavola 30, dettaglio) Georgia O’Keeffe, Cow’s Scull: Red, White and Blue, 1951. The Metropolitan Museum of Art, Collezione di Alfred Stieglitz, 1952 (52.203). (Tavola 47) Quarta di copertina: John Loengard, Abiquiu, 1966. (Tavola 28, dettaglio) Georgia O’Keeffe, Ladder to the Moon, 1958. Collezione di Emily Fisher Landau, New York. (Tavola 31) Immagini interne Dipinti di Georgia O’Keeffe ©VG Bild-Kunst, Bonn 2006 Fotografie ©John Loengard 2006 Tutti i diritti riservati ©Schirmer/Mosel, Monaco 2006 Titolo originale: Georgia O’Keeffe / John Loengard. Paintings & Photographs. A Visit to Abiquiu and Ghost Ranch Traduzioni di Margherita Alverà ISBN 10: 88-6010-019-4 ISBN 13: 978-88-6010-019-1 Una produzione Schirmer/Mosel Finito di stampare in Germania nel mese di marzo 2007


Una visita a Georgia O’Keefe

Georgia O’Keeffe mi venne cordialmente incontro sulla soglia della sua casa di Abiquiu, New Mexico, nel giugno del 1966. La retrospettiva dei suoi dipinti, inaugurata quella primavera a Fort Worth, Texas, stava girando il paese. La rivista Life aveva deciso di dedicarle un servizio e mi aveva incaricato di fotografarla. O’Keeffe aveva la fama dell’eremita che mal sopportava scocciatori e giornalisti. Sebbene la mia visita fosse stata organizzata dal suo rappresentante a New York, ero comunque prudente. “Quanto tempo ti serve per scattare le foto?” mi chiese. “Un paio di giorni” risposi. “Life ha in programma soltanto una breve storia” disse. “Dipende da quanto belle sono le immagini” le dissi, era la verità. “Non lo so. Vediamo…” rispose, e mi fece fare un giro della casa, mi presentò all’uomo tuttofare e mi fece seguire la sua Lincoln Continental bianca a quattro porte, che guidò fino all’altra casa di Ghost Ranch, a mezzora di strada. Lì mi presentò il suo cuoco-maggiordomo, e mi offrì il pranzo. Cercavo qualcosa di inaspettato. Volevo attirare la sua attenzione su quello che stavo facendo e preparare così il terreno per quello che sarebbe venuto poi. Avevo tenuto le macchine fotografiche chiuse nelle loro custodie fino all’ora di pranzo. A tavola, la O’Keeffe cominciò a parlare di serpenti a sonagli uccisi nel corso delle sue passeggiate per il podere e da una credenza tirò fuori alcune scatole piene di sonagli. “Posso fare una foto?” chiesi. “Certo” rispose. Fotografai la sua mano mentre muoveva i sonagli con un fiammifero. Immaginai che a O’Keeffe piacesse l’idea che il lettore di Life la vedesse in veste di assassina. Di certo non voleva essere vista mentre dipingeva. Sarebbe stato un cliché fotografico, disse. Senza dubbio il motivo per cui decise di accogliermi in quel momento era appunto che non stava dipingendo. (La sua tela più recente mostrava le nuvole come le aveva scorte da un aereo diretto in Indonesia.) Infatti non parlammo mai di pittura e nemmeno di fotografia. Le capitò di nominare il suo ultimo marito ma solo in riferimento a problemi di carattere domestico –

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come organizzare il bucato – nella dimora estiva della famiglia Stieglitz, a Lake George, New York. Io avevo trentadue anni, lei settantanove e sembrava felice di avere un uomo giovane per casa, purché non si parlasse del suo lavoro o del mio. Parlò parecchio, spesso divertita. La O’Keeffe recitava la parte non tanto della pittrice, ma di una donna benestante che s’interessa d’arte. Prestava notevole attenzione alla tranquilla gestione della sua vita domestica. Per tutti i tre giorni che mi fermai lì per fotografarla, la O’Keeffe fece una passeggiata di mezzora all’alba e una la sera. Fra una passeggiata e l’altra faceva giardinaggio ad Abiquiu (ci teneva a mangiare cibi freschi e naturali), rispondeva alle lettere e chiacchierava con le persone che passavano di lì. Fece una breve visita un uomo che la O’Keeffe conosceva da quando era un ragazzo e che abitava in un altro lato di Ghost Ranch; il nipote del maggiordomo aveva bisogno di un consiglio su una questione personale; la sorella della O’Keeffe, Claudia, venne a trovarla da Beverly Hills. La O’Keeffe era tutt’altro che un’eremita. Fra gli appunti che presi trovo solo altri tre o quattro nomi – che non saprei associare alle facce dei visitatori – e una breve lista di oggetti: - Leonard Baskin (regge un libro di – seduta sul letto ad Abiquiu). - Pane fatto in casa. - Serpenti a sonagli collezione di sonagli. Bastone da passeggio usato per ucciderli. - Seghe (collezione di). - Fiore finto di Neiman-Marcus (in camera da letto). - Archivio di fotografie di dipinti (difficoltà di tenere un registro di tutti i suoi dipinti). In verità, tirare fuori la personalità di un soggetto è un compito esasperante. Farlo in questo modo assomiglia al gioco scozzese del curling. Scozzesi e canadesi lo giocano su un campo come quello da hockey, con un grande masso di granito e una scopa. È un gioco strano in cui cammini davanti a un sasso che scivola, spazzando il ghiaccio con una scopa. Il ghiaccio spazzato fa da guida al sasso. Confesso di non averci mai giocato, ma assomiglia a quello che provo quando fotografo. Cerco di assecondare. Non proietto la mia personalità per non dover fotografare quanto di me il mio soggetto riflette, ma al tempo stesso devo guidare – spazzare il ghiaccio e far sì che la persona segua il tracciato che ho segnato. Al minimo segnale di noia bisogna spazzare, spazzare, spazzare e poi lisciare. Può essere sfinente. Osservai la O’Keeffe con attenzione per vedere come si posava su di lei la luce, se ripeteva un gesto e aspettando che movesse la testa da un lato o dall’altro. Mi domandavo costantemente se tutto ciò bastasse a rendere bella una fotografia. In altri momenti chiesi alla O’Keeffe di posare. Lei lo fece volentieri e con molta grazia. Ero lì per scattare foto, non per prendere appunti, ma ricordo come andarono le cose:

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andarono molto bene, mi fece piacere la sua compagnia e mi sembrò che anche a lei facesse piacere la mia. Dopo aver fotografato i sonagli dei serpenti il primo giorno a pranzo, me ne andai a fare un giro in macchina nella campagna circostante per cominciare a orientarmi. Non volevo essere fra i piedi a Ghost Ranch quando non succedeva nulla di interessante da fotografare. Eravamo rimasti d’accordo che la sera mi sarei ritirato in albergo a Santa Fé, a circa settantacinque miglia di distanza, e che sarei ritornato all’alba a fotografare la sua passeggiata mattutina. La mattina seguente, dopo la passeggiata, andammo ad Abiquiu dove mi mostrò gli archivi che usava per tener traccia degli spostamenti dei suoi dipinti. Facemmo visita a un suo amico, un monaco domenicano che stava costruendo una cappella a Chams, ma non trovai spunto per delle fotografie. Tornammo a Ghost Ranch dove si mise a scrivere lettere. Quando arrivò sua sorella io me ne andai. La mattina dopo la O’Keeffe aveva una commissione da sbrigare ad Abiquiu, per questo la incontrai lì. Mi mostrò la sua collezione di sassi vantandosi di aver rubato il suo preferito al fotografo Eliot Porter. Lavorò in giardino ed io le feci dei ritratti in camera da letto. Nel pomeriggio tornammo a Ghost Ranch dove scattai alcune foto durante la sua passeggiata serale. L’ultimo giorno guidai fino ad Abiquiu per accomiatarmi. La O’Keeffe era in compagnia del direttore di un museo, il prossimo a esporre la sua retrospettiva. Non mi parve desiderosa che mi trattenessi. Così entrai soltanto un istante e me ne andai. Un impaginato con le mie foto fu pronto solo quindici mesi dopo il mio ritorno a New York. (La redazione di Life aveva tempi di lavorazione spesso molto lunghi.) Quando fu pronto, alla fine di ottobre del 1967, tornai nel New Mexico in compagnia di Dorothy Seiberling, direttore artistico della rivista: lei doveva procurarsi qualche citazione ed io scattare una foto per la copertina. Ero contento di rivedere la O’Keeffe. Il tetto di Ghost Ranch era rimasto l’unico punto da cui mi venisse in mente di poterla fotografare. Mentre sedeva davanti a un camino chiacchierando con Seiberling, scattai alcune foto. Sentii che erano buone. Capii anche che il gioco del curling era terminato e che avevo vinto. John Loengard, 1994

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Quando venni nel New Mexico nell’estate del 1929 ero così estasiata dal paesaggio che pensai: come posso portarmene via un pezzo in modo da poter continuare a lavorarci? Non c’era nulla di simile a un fiore sulla terra. Solo bianche ossa secche. Così le raccolsi. La gente era stufa che riempissi le macchine di quelle ossa. Me ne portai comunque un barile pieno a New York. Erano per me il simbolo del deserto, null’altro. Non mi viene in mente nessun altro simbolismo. I teschi erano lì e potevo usarli per dire qualcosa… Sono la cosa più bella che io conosca. Sono stranamente più vivi degli animali che scorazzano attorno, con il loro pelo, gli occhi, le code che girano e tutto il resto. Le ossa sembrano stagliarsi su qualcosa di tenacemente vivo nel deserto, per quanto vasto e vuoto e intoccabile, e di una bellezza che non conosce bontà. Georgia O’Keeffe


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Back of Marie´s N° IV, 1931

Georgia O’Keeffe Museum, Santa Fé/Art Resource/Scala, Firenze 40,6 x 76,2 cm



2 Passeggiata mattutina, a Ghost Ranch, 1966


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Dead Tree with Pink Hill, 1945.

The Cleveland Museum of Art, lascito di Georgia O’Keeffe 1987.138 76,5 x 101,6 cm


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Passeggiata mattutina, 1966


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Dead Cottonwood Tree, 1943

Santa Barbara Museum of Art, dono della Signora Gary Cooper 91,4 x 76,2 cm


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Passeggiata mattutina, Ghost Ranch, 1966


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Untitled (Red and Yellow Cliffs), 1940

Georgia O’Keeffe Museum, Santa Fé/Art Resource/Scala, Firenze 61 x 91,4 cm


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Mentre legge una lettera, Ghost Ranch, 1966


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Ghost Ranch, 1966


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Ghost Ranch, 1966


Sono una nuova venuta ad Abiquiu, una delle forme di vita più basse. Gli spagnoli sono qui dal diciottesimo secolo. La casa era un porcile quando la comprai nel 1946. Il tetto stava venendo giù, le porte si stavano staccando, ma la vista era bellissima. Volevo farne la mia casa, ma vi dico che lo sporco è tenace. È difficile fare tua la terra. Il ranch invece mi appartiene davvero. Ho fatto molti meno sforzi per sentirlo mio. Ci accomuna un senso di libertà. Ciononostante è difficile vivere al ranch. Quando vi arrivai per la prima volta dovetti percorrere chilometri e chilometri su una strada sterrata per fare provviste. Per due settimane non passò anima viva. Pensai che la fattoria mi avrebbe giovato perché, dal momento che nulla cresce su questa terra, non avrei perso tempo con il giardinaggio. Ma mi stufai delle verdure in scatola, così adesso coltivo ad Abiquiu tutto ciò che mi occorre durante l’anno. Mi piace alzarmi quando arriva l’alba. I cani cominciano a parlarmi e mi piace accendere il fuoco e magari preparare il tè, per poi sedermi a letto e guardare il sole che sorge. Il mattino è il momento migliore. Non c’è gente attorno. La mia tranquillità vuole un mondo senza persone. Per anni, nelle campagne, le ossa del bacino degli animali sono rimaste lì dove si trovano, viste e non viste, come può accadere con tali cose. […] Non ricordo quando raccolsi il mio primo osso del bacino, ma ricordo che ebbi la chiara consapevolezza che un giorno l’avrei dipinto. […] Quando ho cominciato a dipingere le ossa del bacino mi interessavano soprattutto le loro aperture, per ciò che lasciavano intravedere quando vi guardavo attraverso. Mi interessava soprattutto l’azzurro che diventava visibile quando alzavo le ossa verso il sole, contro il cielo, come si tende a fare in un mondo in cui sembra esserci più cielo che terra. […] Non ho una grande voglia di muovermi. Eppure giro lo stesso il mondo per vedere che cosa trovo e per capire se sono nel posto giusto. Dall’aereo diretto in Giappone la prima cosa che vidi fu un campo di neve su cui potevi camminare, poi un cielo lastricato di nuvole. […] Ovunque vada ho un occhio attento per i sassi. Fuori del mio albergo a Phnom Penh raccolsi un sasso che mi portai appresso, chiuso in borsa, nei miei giri per il mondo. […] Sassi, ossa, nuvole – l’esperienza mi fornisce le forme ma spesso le forme che dipingo finiscono per non avere alcuna somiglianza con l’esperienza stessa. Georgia O’Keeffe


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