«Manzoni attua una sorta di sottrazione fondamentale: annullare il Manzoni “privato” e calarsi totalmente, senza remore e deroghe, nell’opera. […] Manzoni vive arte, pensa arte, pratica arte, sempre, a ogni ora dei suoi giorni e delle sue notti. Tutto il resto non gli importa.»
Piero Manzoni. Vita d’artista
Foto di copertina: Piero Manzoni, 1958-59. Fotografia di Ugo Mulas. © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati.
Nella stessa collana: 1. Mark Stevens – Annalyn Swan de Kooning. L’uomo, l’artista 2. Calvin Tomkins Robert Rauschenberg. Un ritratto 3. Bernard Marcadé Marcel Duchamp. La vita a credito 4. Gail Levin Edward Hopper. Biografia intima 5. Hunter Drohojowska-Philp Georgia O’Keeffe. Pioniera della pittura americana 6. Annie Cohen-Solal Leo & C. Storia di Leo Castelli 7. Daniel Farson Francis Bacon. Una vita dorata nei bassifondi 8. James Westcott Quando Marina Abramović morirà 9. Ambroise Vollard Memorie di un mercante di quadri 10. Luca Ronchi Mario Schifano. Una biografia 11. Heiner Stachelhaus Joseph Beuys. Una vita di controimmagini 12. Alastair Brotchie Alfred Jarry. Una vita patafisica
Flaminio Gualdoni
Flaminio Gualdoni insegna Storia dell’arte all’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano. Ha diretto la Galleria Civica di Modena, i Musei Civici di Varese, la Fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano. Dal 2006 tiene la rubrica “Il criptico d’arte” sul Giornale dell’arte. Tra i suoi libri più recenti si ricordano: Arte in Italia 1943-1999, 2000; Il trucco dell’avanguardia, 2001; Arte classica, 2007; Arnaldo Pomodoro. Catalogo generale, 2007; Una storia del libro, 2008; Art, 2008; Dizionario Skira dei termini artistici, 2010; Storia generale del Nudo, 2012.
Flaminio Gualdoni
Piero Manzoni Vita d’artista ISBN978-88-6010-098-6 978-88-6010-098-6 ISBN
6 febbraio 1963: ad appena trent’anni Piero Manzoni viene trovato morto nello studio di via Fiori Chiari, stroncato da un infarto. Da quel momento in poi è la sua fama di personaggio provocatore e scapestrato ad affermarsi, insieme all’opera più dissacrante, la Merda d’artista, che entra nella leggenda e nell’immaginario collettivo. Ma cosa c’è in realtà prima, dopo e dietro quei trenta grammi di prodotto purissimo d’autore? È ciò che ricostruisce e racconta Flaminio Gualdoni in questa biografia, che traccia il filo rosso della ricerca artistica di Manzoni, mettendo ordine in una congerie di materiali finora frammentari e lasciando da parte qualsiasi ipotesi fantasiosa e non documentata. Le notti di “dolce vita milanese” e le giovanili scorribande in bicicletta, le prime prove sotto il patrocinio di Fontana alla ricerca di una voce personale, il sodalizio con giovani artisti italiani a lui contemporanei, le collaborazioni con i movimenti d’avanguardia internazionali di cui diventa un esponente ricercato e riconosciuto: tutto scorre velocemente, fino a relegare sempre più sullo sfondo il Manzoni privato e a portare in primo piano il Manzoni artista. A imporsi fortemente, pure nel continuo e incessante sperimentare attraverso ogni mezzo – dalla pittura ai progetti per ambienti immersivi –, è infatti il nocciolo duro e compatto di un’avventura estetica attorno all’essenza stessa dell’opera d’arte. Un impegno ostinato, di cui la vita, nel suo duplice connotato di banalmente quotidiana e artisticamente eccezionale, non può che essere parte integrante. «C’è solo da essere, c’è solo da vivere.»
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Biografie 13
©2013 Johan & Levi Editore Progetto grafico Paola Lenarduzzi Impaginazione Studiopaola Fotolito e stampa Arti Grafiche Bianca & Volta, Truccazzano (mi) Finito di stampare nel mese di maggio 2013 isbn 978-88-6010-098-6 Johan & Levi Editore www.johanandlevi.com Per i crediti delle immagini si veda l’apposita sezione. L’editore è a disposizione degli aventi diritto che non è riuscito a contattare. Il presente volume è coperto da diritto d’autore e nessuna parte di esso può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti d’autore.
Volume realizzato nel rispetto delle norme di gestione forestale responsabile, su carta certificata Arcoprint edizioni.
Flaminio Gualdoni
Piero Manzoni Vita d’artista
Sommario
Ragioni di una biografia
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1. Manzoni che…
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2. «A Sonzino sol Chermonese»
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3. Un diario
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4. Domani chi sa
41
5. Ricerca d’immagine
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6. Prolegomeni
73
7. Bianco
89
8. Zero
97
9. Superficie acroma
107
10. Azimuth
123
1 1. Libera dimensione
141
1 2. Corpi
155
13. Altri corpi
177
1 4. Socle du monde
191
15. «Ciao, maestro!»
205
16. Solo da essere
219
Ringraziamenti
223
Bibliografia
225
Crediti fotografici
229
Indice dei nomi
231
Ragioni di una biografia
Piero Manzoni è un artista del quale, per un’atipica circostanza storica, la codificazione del personaggio in icona dell’“ultima bohème” ha preceduto largamente la conoscenza effettiva dell’opera. Ciò ha fatto sì che, nei decenni, mentre sempre più nettamente si delineava l’importanza cruciale degli achromes, delle Linee, delle plurime pratiche di espansione dell’artistico che egli ci ha lasciato in eredità, le sue invenzioni proliferanti venissero proiettate più sullo schermo limitato e limitante del milieu artistico milanese che gravitava intorno al bar Jamaica che su quello, assai più pertinente, della grande avanguardia internazionale. Come dire, mutatis mutandis, raccontare l’importanza di Picasso a partire dalle sue serate al Lapin agile… Scegliendo di ricostruire una biografia organica e completa di Manzoni ho deciso di muovere proprio da un’inversione di prospettiva in verità non più eludibile. Manzoni è un personaggio dalle elaborazioni intellettuali profonde e dalle intuizioni fulminanti che comprende, sin da subito, come la pratica artistica nuova non possa che avere per scenario l’Europa cosmopolita della cultura, alla cui edificazione sceglie di contribuire in modo lucido e determinato. Egli comprende inoltre, sulla scorta di ragionamenti allora non consueti su Duchamp, che cruciale è la figura dell’artista in quanto tale, e ogni opera è un segno funzionale all’edificazione della sua identità insieme unitaria e radiante. In conseguenza di ciò, Manzoni attua una sorta di sottrazione fondamentale: annullare il Manzoni “privato” e calarsi totalmente, senza remore e deroghe, nell’opera. Non esiste per lui, in altri termini, una figura pubblica da recitare mondanamente e un’altra, diversa, che abiti il suo vivere ordinario. Manzoni vive arte, pensa arte, pratica arte, sempre, a ogni ora dei suoi giorni e delle sue notti. Tutto il resto non gli importa, o è minimamente interessante. A ben vedere, la sua solitudine irrevocabile è il frutto necessario di una dimensione di radicale estraneità mondana che, egli sa bene, è l’unica possibile per farsi – e farsi riconoscere, prima o poi – figura compiutamente artistica: per “essere Manzoni”, infine.
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· Flaminio Gualdoni ·
Perché, e come, Manzoni è diventato Manzoni? Questa è la domanda che, dopo oltre due decenni di studi sull’artista, continua a sembrarmi la più pertinente. A cinquant’anni dalla sua scomparsa precoce ciò su cui si può realmente contare è, fortunatamente, la messe di documenti che egli e i suoi compagni di strada ci hanno lasciato, e che generazioni di studiosi e ricercatori hanno contribuito ad accumulare. Una messe cospicua ma, inevitabilmente, non priva di lacune, di confusioni, talora di fraintendimenti. E soprattutto quasi tutta centrata sul suo fare arte, senza che nulla ci illumini direttamente su altri aspetti esistenziali che sarebbero pure interessanti. Ciò che mancava, sino a ora, era una sistemazione organica del tutto, una rilettura complessiva e unitaria, una ricerca ulteriore che colmasse, il più possibile, le carenze documentarie evidenti, che si interrogasse in maniera corretta sul senso di una vita vissuta totalmente en artiste, ma in lucida assenza di retorica. È quanto ho ritenuto di fare in questo lavoro. Che alla notorietà stereotipa, e troppo spesso aneddotica e fantasiosa, di Manzoni facesse da specchio una conoscenza partita dei fatti e delle vicende, mi è sembrato il vero dovere da adempiere. 10
Questo racconto biografico ha la pretesa di essere una ricostruzione compiuta, in ogni suo punto verificata e verificabile, della storia di un individuo che si riconosce artista e artista geniale diventa, cervello e corpo, restituita nel quadro dell’ambiente internazionale in cui egli agisce lungo i suoi brevi anni di attività. Magari chi si attenda coloriture di “genio e sregolatezza” e di vie de bohème attardata proverà una qualche delusione. Ma uno dei segni tipicissimi della modernità nevrotica di Manzoni è la perfetta congruenza tra la straordinarietà della sua esistenza artistica e la banale, indifferente normalità del suo vivere quotidiano. Egli è un giovanotto di buona famiglia che veste correttamente e si comporta educatamente, che vive dai suoi sino alla fine, che va al cinema e a teatro come ogni altro, che tira tardi al bar con gli amici e che come troppi allora è facile alla sbronza: ma che su questo galleggiare apparentemente senza storia edifica una delle personalità artistiche più geniali del secolo. È, a ben vedere, l’unica cosa che conta.
1 Manzoni che…
Il sottoscritto chiede di interrogare il ministro della Pubblica Istruzione, per conoscere il suo pensiero in ordine alla iniziativa della signora Palma Bucarelli, direttrice della Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, di esporre alla commossa attenzione del pubblico italiano barattoli etichettati Merda d’artista del signor Piero Manzoni nella mostra del suddetto artista organizzata presso la stessa Galleria di arte moderna dal 6 febbraio al 7 marzo 1971. L’interrogante non avrebbe nulla da eccepire circa i criteri selettivi – indubbiamente artistici – che hanno guidato la signora Bucarelli se le opere esposte fossero frutto della libertà creativa del suddetto Piero Manzoni. Ma poiché la materia esposta – anche se inscatolata a tutela dell’igiene pubblica – è frutto obbligato di una normale digestione, l’interrogante chiede al ministro: 1. quali garanzie il pubblico abbia circa l’autenticità dell’opera dell’artista; 2. poiché l’interrogante ha ritenuto finora, anche se erroneamente, che una simile creazione artistica tanto valorizzata dal signor Piero Manzoni e così autorevolmente avallata dalla signora Bucarelli, fosse quotidianamente prodotta da tutta l’umanità, chiede se non sia il caso di dare la massima divulgazione a questa forma d’arte in modo che le masse popolari, finora ignare portatrici di tanto valore artistico sempre avviato verso le fogne cittadine, prendano rapida coscienza degli sconfinati orizzonti che i su lodati Manzoni e Bucarelli hanno loro aperto. L’interrogante ritiene che oltre alla promozione artistica delle masse, si raggiungerebbe in questo modo uno sviluppo notevole nell’industria dei barattoli le cui dimensioni sarebbero naturalmente proporzionate alla validità artistica del soggetto. Si risparmierebbero anche notevoli stanziamenti sulle opere fognanti sempre carenti in Italia; 3. l’interrogante chiede ancora che in deroga alle vigenti disposizioni di legge che vietano di innalzare monumenti ai viventi, il signor ministro della Pubblica Istruzione voglia dare le opportune disposizioni perché un monumento venga subito eretto in onore della predetta signora Palma Bucarelli per le sue benemerenze culturali. L’interrogante si permette sommessamente di suggerire il progetto: potrebbe essere esso costituito da una piramide di
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· Flaminio Gualdoni ·
barattoli contenenti la produzione artistica del signor Piero Manzoni su cui far troneggiare la più volte celebrata signora Bucarelli. Gli elementi decorativi potrebbero essere costituiti da apparecchiature igienico-sanitarie per la celebrazione dell’arte Pop; 4. l’interrogante chiede infine al ministro interessato come giudica l’uso che la signora Palma Bucarelli, direttrice della Galleria nazionale d’arte moderna, fa da troppi anni del denaro del contribuente italiano e se non sia il caso di tirare finalmente la catena. Bernardi.
L’autore di questa amena interrogazione parlamentare, del 23 febbraio 1971, è il deputato democristiano e pittore en amateur Guido Bernardi. Il destinatario è Riccardo Misasi, anch’egli esponente della Democrazia cristiana, ministro della Pubblica istruzione tra il 1970 e il 1972 nel governo presieduto da Emilio Colombo. Il dibattito che ne segue, animatissimo, ha luogo nella seduta del 22 aprile 1971. A rispondere all’interrogante è il sottosegretario Pier Luigi Romita, il quale si trova a difendere con qualche imbarazzo la figura di Manzoni sostenendo che si richiama «a forme forse discutibili, ma comunque storicamente e artisticamente affermate e valide, del Cubismo e poi del Dadaismo, partendo dal vecchio Duchamps (sic) fino al Klein», e indicando il senso dell’opera in una 12
«protesta che si è appuntata contro la degradazione dei valori artistici spesso verificatasi attraverso il mercato dell’arte». Niente di nuovo sotto il sole, da un certo punto di vista. Compreso lo sguazzare di quotidiani e settimanali nella baraonda delle polemiche, tra fautori inflessibili del nuovo e tradizionalisti a oltranza, e nella mediana una schiera vasta di ironie di ogni ordine e grado, da bonarie a livide. È un capitolo ulteriore della vicenda storicissima dell’avanguardia e del suo rigetto, di una nuova frontiera artistica intorno a cui, scriveva già Carlo Emilio Gadda negli anni trenta in Un fulmine sul 220, a proposito della musica di Stravinskij, «potersi chi crede indignare e sul sedile contorcere. Oppure compiacere, rammaricare della idiozia passatista; da poter comunque bofonchiare, protestare, zittire, sibilare, muggire, aborrire l’orrore. O rabbiosamente plaudire». Certo il deputato-pittore non sa di essere l’erede ideologico del collega francese Jules-Louis Breton, il quale nel lontano 1912 denunciava al parlamento parigino come «da alcuni anni, con il pretesto di un rinnovamento dell’arte, alcuni sfruttatori della pubblica credulità si sono abbandonati alle più folli realizzazioni di stravaganze e di eccentricità»: tali esseri abietti erano i cubisti che esponevano al Salon d’Automne. È in quel 1971 e in quel clima, a fronte di uno scandalo pubblico che mette sotto accusa la massima istituzione italiana dedicata all’arte contemporanea, che si compie la definitiva consacrazione mitica di Manzoni: essa da un canto
· Manzoni che... ·
ne fa una figura familiare anche presso la cerchia più vasta del pubblico midcult, e dall’altro tende a imprigionare il protagonista in una sorta di stereotipo il cui impatto pop è direttamente proporzionale all’elementarità dell’enunciato. Manzoni e la merda. C’est tout. In realtà, per certi versi la vicenda può anche essere letta in un altro modo. L’indignazione pubblica e ufficiale di un rappresentante del popolo italiano si può considerare il compimento postumo di un intento che Manzoni coltiva sin dall’avvio della sua carriera d’artista, o almeno dalla breve stagione della sua adesione al movimento dell’Arte nucleare: il riconoscimento della sua identificazione totale, intellettuale e fisica con le proprie opere. Si pensa a Manzoni, e forse prima ancora che il fatidico barattolo sorge alla memoria quel suo volto tondo e vagamente pacioso da bravo ragazzo borghese, destinato a calvizie precoce e da sempre sovrappeso, tradito però da occhi acuminati e ironici, occhi che ridono e che guardano intenti sempre un po’ più lontano di dove credi. Manzoni che firma le modelle, Manzoni che fa bollire le uova, Manzoni che si appoggia a un grande achrome, Manzoni che fuma davanti a una pila di barattoli di Merda d’artista, Manzoni che gonfia i Corpi d’aria, Manzoni davanti alla rotativa con cui esegue la Linea lunga 7200 metri. Manzoni che…: le foto si affollano alla memoria, la cronologia non è importante. Talora è in posa, talora no, e anche questo non è così essenziale. Conta quella sua centralità rispetto al proprio lavoro che è un modo d’intendere che non l’opera è il cardine della questione, ma l’energia intellettuale e creativa dell’autore del quale essa è emanazione. E l’autore rimane, in tutto ciò, comunque persona, mai facendosi personaggio, mai atteggiandosi, in ogni caso, a profeta o missionario o professore o a qualsiasi titolo o figura esemplare. Nulla a che fare con il gioco della teatralizzazione mondana dell’artista, con la recita tra l’eccentrico e il bohémien in cui eccellevano Picasso e Duchamp e lo stucchevole Dalí, e che Warhol porterà a perfezione in senso mediatico negli stessi anni in cui un Beuys si erge per converso a santone, quasi a predicatore biblico. Manzoni ha sempre la giacca e il pullover, la camicia bianca e la cravatta. Non si veste, non si comporta, “da pittore”. È, in tutto, antiesemplare. Ma sa da subito che il suo stesso vivere è vivere arte, sempre e comunque, con pienezza totale, tra i propri pensieri, il proprio corpo e le cose che da pensieri e corpo nascono. Questo intende comunicare. La Merda d’artista è una sorta di precipitato del suo essere dell’arte e nell’arte, a un grado di estremismo intellettuale che costringe lo spettatore a rimettere in gioco ben più che i propri convincimenti estetici. Proprio come Fountain, 1917, dell’amato Duchamp, anch’essa è per altro verso nulla più che un innesco che pone domande anziché dar risposte, che costringe il fruitore a interrogare più se stesso che l’opera, in una sorta di scacco
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· Flaminio Gualdoni ·
mentale perpetuo. L’opera, in fondo, da un certo punto di vista non c’è neppure; comunque ha un peso relativo. Ma l’esistere dell’autore diventa per tutti una coscienza inevitabile, criticamente acuminata. Ciò che si ufficializza in quell’aprile 1971 è “Manzoni che…”
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2 «A Sonzino sol Chermonese»
Soncino è terra confinaria per eccellenza. Bagnata dall’Oglio, si trova nella Bassa cremonese non lontano dalle provincie di Brescia e Bergamo. Città prima celtica poi romana, roccaforte viscontea e sforzesca contro Venezia, è toccata dalle peregrinazioni di Leonardo da Vinci, che in un rapido appunto annota in un taccuino: «A Sonzino sol Chermonese». È celebre soprattutto per aver dato il suo nome alla grande famiglia di editori ebrei originari della tedesca Spira, una delle culle dell’arte a stampa, che vi si insediarono assumendo il cognome di Soncino: qui, a partire da un Masseket Berakot, 1483, uscirono molti libri straordinari, tra cui la leggendaria Bibbia ebraica del 1488. Centro nobile, dunque. Quando Piero Manzoni vi nasce, il 13 luglio 1933, la cittadina non conserva più nulla dei fasti antichi: è un borgo agricolo, ordinato, tranquillo, di sobria ma solida ricchezza. Tra i luoghi della vita del futuro artista – gli altri sono Milano, Soprazocco, Albisola – Soncino è davvero quello delle radici, dell’identità familiare più profonda. In realtà le origini del padre, il conte Egisto Manzoni di Chiosca e Poggiolo, si situano altrove. Nato nel 1901 a Lugo di Romagna, dopo gli studi all’Università di Bologna si era trasferito a Milano, dove il suo istinto imprenditoriale ne aveva fatto uno dei soci della Rinaldo Rossi, società alimentare rinomata con sede in via Temperanza 7-9, nella periferia tra viale Monza e via Padova. L’azienda è celebre soprattutto per due motivi. Il primo è un brevetto che consente di produrre i grissini in modo innovativo, cosicché all’impresa alimentare può affiancarsi un’officina di fabbricazione della richiestissima “Grissinatrice Rinaldo Rossi”. Il secondo è la scelta pionieristica di produrre alimenti per diabetici e, in genere, dietetici. Per qualche decennio i prodotti a marchio Katobesol, che entrano di diritto anche nella storia dell’advertising italiano per la loro grafica innovativa, esercitano una sorta di monopolio nel settore. A Soncino vive la famiglia della madre di Piero, Valeria Meroni, nata nel 1907, titolare della storica Filanda Meroni. Edificata nel 1898 nei pressi della Rocca sforzesca, la vecchia sede dell’azienda, documento importante di archeologia
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· Flaminio Gualdoni · Attestato di battesimo di Piero Manzoni, Soncino, 13 luglio 1933.
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Piero neonato in braccio alla madre Valeria Meroni, 1933.
· «A Sonzino sol Chermonese» ·
industriale, è stata oggi restaurata e adibita a centro espositivo e a sede del Museo della seta. I Meroni sono per eccellenza la famiglia eminente di Soncino, per patrimonio ma soprattutto per piglio culturale e civile. Dino Rosselli, zio di Valeria (pare che un paio di generazioni prima il cognome, entrato in famiglia per via matrimoniale, fosse Rossello, di un ceppo originario di Ellera, frazione di Albisola Superiore in Liguria, e sia stato poi mutato per qualche bizzarria anagrafica), è un cospicuo collezionista d’arte antica, e dopo la sua morte l’adolescente Piero seguirà per antiquari e gallerie milanesi il fratello Giuseppe Rosselli, detto zio Pinotto, incaricato della dispersione delle opere. Cattolici e liberali secondo l’impronta comune alla famiglia, i fratelli Giuseppe (detto zio Beppe) e Luigi (detto zio Gigi) Meroni sono a fianco di Paolo Tesini, che diverrà sindaco dopo la Liberazione, figure attivissime dell’antifascismo militante: anche se, per una tipica beffa della storia, proprio la villa Meroni di via iv Novembre (la casa dove cresce Piero, in via Matteotti, è un’altra delle proprietà della famiglia) verrà requisita per farne il quartier generale delle autorità militari e repubblichine, e zio Gigi e zio Beppe trascorreranno un periodo di carcerazione a Bergamo in compagnia di Angelo Zuterni, autista della Rinaldo Rossi. 17
Azione pubblicitaria alla Fiera Campionaria del 1934 dei prodotti alimentari dietetici e per diabetici Katobesol Rossi, di cui è socio il padre Egisto Manzoni.
· Flaminio Gualdoni ·
Gli anni della guerra di Liberazione suggestionano notevolmente Piero. La brutale perquisizione della casa, il padre che brucia di nascosto fasci di pubblicazioni partigiane, il tentativo di fuga di Angelo Zuterni, l’arresto degli zii, sono puntualmente annotati nel Diario del 1954-1955 – di cui si dirà – come episodi vividi di un possibile racconto di formazione. Vi si legge tra l’altro: «Ho ripensato ai giorni della Liberazione; mio padre con il fucile alla finestra e io accanto a lui piccolo allora e tutto eccitato incosciente com’ero». L’ambiente in cui Piero cresce è profondamente cattolico, anche se non bigotto. Contano i valori, soprattutto, conta l’etica dell’impegno che si traduce in comportamenti, in azioni. L’eminenza sociale non si manifesta in orgoglio ed esibizione di ciò che si possiede, in compiacimento per il plotone di cameriere, cuochi, autisti, collaboratori su cui si può contare, ma nel sentirsi partecipi di una comunità, e con essa solidali, in un ruolo che comporta responsabilità delle quali si avverte l’obbligo. Conta la cultura. Non è un caso che Egisto Manzoni apra e finanzi a Milano anche una libreria antiquaria, l’Antiquitas, gestita da Giorgio Capucci, luogo di incursioni golose da parte di un lettore avido come Piero adolescente, e che sarà attiva sino a tutti gli anni sessanta. E conta l’istruzione, alla quale la famiglia avvia i piccoli fratelli Manzoni, alternando la formazione privata, impartita da 18
istitutori, alla frequentazione di scuole scelte con attenzione. In un quadro familiare come questo si spiega facilmente come Piero viva una sorta di mitizzazione del padre, il quale scompare improvvisamente per un infarto nel 1948, e parimenti un amore complice nei confronti degli zii soncinesi. Anche se, per vero, nel tempo dell’infanzia lo zio prediletto non può essere che Boris Vujovic, cognato di Egisto, il quale agli occhi di Piero e dei suoi fratelli ha il merito incomparabile di produrre caramelle in quel di San Marino, e di dispensarne a piene mani durante le sue visite parentali. Se Soncino è l’epicentro dell’infanzia e dell’adolescenza di Manzoni, il luogo delle fantasticherie e delle scorribande è Soprazocco, dove nel 1903 il nonno Piero Meroni aveva acquistato una casa con fattoria, tuttora di proprietà della famiglia, da dove muovere per le sue amate battute di caccia. Frazione del comune di Gavardo, cui è stato aggregato nel 1928, Soprazocco è in provincia di Brescia, all’imboccatura della valle Sabbia, non lontano dal lago di Garda e da quello d’Idro, cui è collegata dal fiume Chiese. Insieme ai fratelli minori Mariuccia, nata nel 1937, Elena, 1939, Giacomo, 1940, e Giuseppe, 1946, Piero vi trascorre gran parte delle vacanze estive. Nella memoria dei fratelli sono vivissimi i ricordi dei giochi, alcuni spericolati altri ingegnosi, in cui Piero, maggiore per età e leader naturale, li coinvolge, tra Soncino e Soprazocco. Piero e i suoi più fidati “scudieri”, Elena e Giacomo, danno vita alle avventurose vicende dell’inafferrabile bandito Cacopino, personaggio nato dalla fan-
· «A Sonzino sol Chermonese» ·
tasia fervida del fratello maggiore, tra corse e arrampicate sugli alberi, oppure tendono agguati all’anziana domestica, che sopporta con pazienza e qualche spavento. Accade anche che, con una certa dose d’incoscienza, Piero cali Giacomo da una finestra del primo piano in un cesto legato a una fune, seminando il panico tra i familiari. Compagni di gioco a Soprazocco sono i tre figli di Giuseppe Baldo, che con il cognato Antonio Delai si occupa della fattoria. A Soncino come a Soprazocco i fratelli Manzoni utilizzano solo l’italiano per rivolgersi a tutti, nonostante in quegli anni il dialetto – e chi conosce quei luoghi sa bene quanto ispidi siano i loro vernacoli – sia largamente la parlata più diffusa. D’altronde il dialetto in famiglia non si usa, viste le provenienze diverse dei genitori; e poi in quegli anni quaranta e cinquanta la borghesia agiata va adeguandosi rapidamente all’uso esclusivo dell’italiano e le nuove generazioni di allora, soprattutto cittadine, si formano a un italiano finalmente fatto lingua corrente. Prima di trasferirsi a Soprazocco, in agosto, la famiglia Manzoni trascorre sempre un periodo di vacanza nell’altro luogo d’elezione, Albisola Capo, nei pressi di Savona, terra d’origine di un ramo della famiglia di Valeria Meroni. Qui il riferimento sono i Pescetto, ristoratori legati da consuetudine antica ai Manzoni, che mettono a disposizione anche un appartamento in affitto. Se, in questi anni, per Piero è solo un luogo di villeggiatura e di divertimento, in seguito Albisola rappresenterà uno degli snodi fondamentali della consapevo-
Piero Manzoni vestito da cavaliere a Soprazocco, agosto 1939. A lato con i fratelli Mariuccia, Elena e Giacomo a Soncino, settembre 1944.
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· Flaminio Gualdoni ·
Piero in barca con il padre sul lago di Ledro, agosto 1940.
lezza della sua vocazione per l’arte. Infine, Milano. Che è a tutti gli effetti la sua città, per humus, clima e vicende. 20
Appena sposati, i coniugi Manzoni avevano preso casa in via Saffi. In seguito, nel 1938, l’espandersi della famiglia porta all’affitto di un grande appartamento in via Cernaia 4. Quattordici locali, collocata in una via aristocratica e silenziosa a ridosso della straordinaria chiesa di San Marco – dunque, a un passo da via Brera – la casa è quella in cui Piero trascorrerà tutti i suoi anni, e la madre Valeria vi abiterà sino ai suoi ultimi giorni, nel 1994. Il suo percorso scolastico è impeccabile, anche se reso disagiato dai tempi difficili che l’Italia e il mondo vanno vivendo. Piero frequenta sia le scuole medie sia il liceo classico all’Istituto Leone xiii, la scuola della Compagnia di Gesù che, dall’apertura nel 1893, rappresenta il non plus ultra in fatto di educazione dei rampolli della migliore borghesia. Dapprima al civico 7 di corso di Porta Nuova, poi tra il 1945 e il 1950 “ospite” delle suore Orsoline in via Parini a causa del bombardamento della vecchia sede, infine dal 1° novembre 1950 nel nuovo edificio di via Leone xiii, la scuola non perde mai il suo smalto di istituto confessionale, sì, ma capace di un elevato livello d’insegnamento e di creare un vero spirito d’appartenenza tra i suoi allievi. Salvo la parentesi 1943-1945 presso il collegio dei padri Barnabiti di Lodi, nel tempo dello sfollamento a Soncino, gli anni formativi del giovane Manzoni trascorrono tutti al Leone xiii. È uno studente serio e brillante, molto partecipe e disciplinato, capace di guadagnarsi tra il 1939 e il 1942, come testimoniano i documenti di quel tempo
· «A Sonzino sol Chermonese» ·
Valeria Meroni ad Albisola, ai Bagni Pescetto, con Piero, Mariuccia ed Elena, agosto 1941.
conservati alla Fondazione Piero Manzoni, numerosi attestati di «lode di primo grado per pietà e buona condotta in camerata». È quel che si suol dire “un bravo ragazzo”, studioso e educato ma allo stesso tempo vivace, con aspetti di evidente brillantezza. Ricordano Corrado Sellaroli e Lorenzo Usellini, compagni di classe cui Manzoni è allora molto legato, che Piero era cordiale e molto informale nei comportamenti, con punte di anticonformismo che andavano dalle barzellette al gusto per la battuta fulminante e per una blanda stravaganza di pensieri e parole. Il sopravvissuto articolino “La congregazione Mariana a Pila (Aosta)”, che Manzoni pubblica nel febbraio 1951 su Giovinezza nostra, bollettino del Leone xiii al quale collaborano anche Sellaroli e Vanni Scheiwiller, poi grande e raffinato editore che negli anni dell’arte sarà uno dei primi a dar credito ai progetti di Manzoni, è eloquente del tono scanzonato di quest’ultimo: Se volete sapere come è fatta Pila, andate a vederla. Non chiedetemi indicazioni di carattere geografico, perché per quanto sia rinomata, io sulle carte non son riuscito a trovarla. Quel che so è che è sopra Le Fleur, paese che a sua volta si trova dalle parti di Aosta e che anzi, sembra sia a 12 km da questa città. Per percorrerli in pullman ci vogliono sei ore (se i passeggeri spingon bene), in macchina bisogna seguire i pullman; forse il modo migliore è andarci a piedi: così almeno non sarete costretti a passare come noi la notte a Le Fleur, perché era troppo tardi per arrivare a Pila. A Le Fleur si prende la seggiovia: quando si è in cima, si è mezzi congelati, pure si resta
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· Flaminio Gualdoni ·
Piero Manzoni in prima elementare: è il terzo da destra della seconda fila dal basso.
22 fermi a guardare il panorama e ci si sente il cuore pieno e l’animo prorompe in magnifici versi, colori stupendi, musiche sublimi. […] Volete mettere quei tuguri nei quali abitavamo cos’eran di pittoresco? Che vita divertente e interessante! […] Noi nella nostra stanza avevamo la fortuna di avere una stufa funzionante o quasi; in grazia dell’intensa aerazione dell’ambiente, invano combattuta tappando i fori più grossi con del fieno, non faceva fumo, o quasi, e ci scaldava deliziosamente; la sera vi mettevamo sopra i catini pieni d’acqua (gentilmente offerti, senza l’acqua naturalmente, dai fratelli Roncari) e la mattina, se qualcuno non li aveva ancora rovesciati, o se non erano caduti assieme alla stufa sui miei scarponi, li liberavamo dal ghiaccio mettendoli sotto la fontana. […]
Nulla, beninteso, che possa far intuire il Manzoni che verrà. Ma nella tipologia media dello studente liceale egli appartiene alla categoria di coloro che non focalizzano la propria esistenza sullo studio, e che vivono pienamente la propria condizione di adolescenti. Affettuoso e protettivo con i fratelli minori, sulle pareti della stanza dei giochi di via Cernaia realizza disegni a imitazione di Jacovitti, s’intrattiene con loro in interminabili partite di Monopoli, e tra Soprazocco e Soncino costruisce aquiloni e aeromodelli di balsa mettendo a frutto una manualità meticolosa e precisa.
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Diploma di ammissione alla scuola media per l’anno scolastico 1942-1943.
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Con i compagni di classe, Sellaroli, Usellini, Ettore Gambigliani (l’unico che frequenterà tutta la vita), Gianluigi Turconi, Antonio Bianchi, si appassiona alla lettura, scoprendosi amante di fantascienza e libri gialli, e al jazz, che ascolta su dischi d’importazione statunitensi, allora acquistabili grazie ai Buoni Unesco, molto in uso presso le librerie. Altra curiosità comune è quella per i cocktail, per cui gli amici si sottopongono a vere e proprie sessioni di sperimentazione alcolica attingendo al fornito bar di casa Manzoni, dove i ragazzi periodicamente fanno le ore piccole giocando a sentirsi già adulti. La casa d’altronde è vasta e accogliente, i fratelli sono troppo piccoli per interferire in queste serate di gruppo, e mamma Valeria, nonostante il distacco aristocratico, è cordiale e molto ospitale: d’altronde, come molte madri stravede per il suo primogenito, e lo aiuta anche quando compie scelte che non condivide. Nulla di speciale, dunque. Soggiorni comuni nella casa di Arona degli Usellini – qui viene scattata la fotografia memorabile in cui Piero e Lorenzo si fingono antichi duellanti, vecchi cilindri in testa e scacciacani esibite come revolver – e a Soprazocco, dove si affronteranno anche i giorni di studio intenso per l’esame di maturità. Lunghe discussioni accompagnandosi vicendevolmente a casa nella notte. I primi filarini innocenti, in cui Manzoni rivela i modi del tipo intellettualmente fascinoso, ma senza pose ed esibizionismi. 24
Fuori del comune, va detto, è l’amore sfrenato per la bicicletta, dal quale nascono le due imprese più memorabili della storia liceale di Manzoni.
A sinistra: con i compagni Sellaroli e Usellini ad Arona; a destra: con Usellini in un finto duello, 1950.
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La prima è un lungo viaggio sino a Roma e ritorno, nel 1950, di cui ha redatto un rendiconto vivido, sinora inedito, Lorenzo Usellini: “Eravamo tre amici al bar…” Meglio: eravamo tre amici a scuola e stavamo per finire la seconda liceo classico al Leone xiii: Corrado Sellaroli, Piero Manzoni e il sottoscritto. L’idea è venuta a Corrado che era il più “avventuroso” di noi e senz’altro il più “scafato”. “Perché non approfittiamo della ricorrenza dell’Anno Santo per andare a Roma in bicicletta?” Allora era viva l’immagine che per l’Anno Santo si dovesse andare a Roma non da turisti, come adesso, ma come pellegrini. I vari conventi, parrocchie e istituzioni religiose erano attrezzati per offrire ospitalità ai pellegrini che con vari mezzi si recavano, in spirito religioso, a guadagnarsi l’“indulgenza plenaria” e alleggerirsi così il fardello delle pene previste nell’aldilà per i propri peccati. Per dotarci dell’attrezzatura necessaria abbiamo cominciato a frequentare la Fiera di Sinigallia che allora era invasa dal materiale che l’esercito americano aveva abbandonato in Italia dopo la fine della guerra. Abbiamo subito pensato alla tenda e ne abbiamo trovata una (usata s’intende) abbastanza ampia tanto da starci anche in quattro, allineati come salami avvolti in una semplice coperta su un telo impermeabile messo sulla nuda terra. Si montava con dei tubi di ferro che si innestavano uno nell’altro per dare alla tenda un’altezza almeno sufficiente non dico per stare in piedi, ma quasi. Poi abbiamo adattato dei borsoni militari da mettere a cavalcioni sulla ruota posteriore della bici per contenere la tenda e i nostri effetti personali. Nulla per ripararsi dalla pioggia. […] Per farci qualcosa da mangiare durante il viaggio, abbiamo trovato un fornelletto (sempre residuato bellico) che funzionava a benzina. Quando incontravamo uno dei pochi distributori esistenti si chiedeva mezzo litro di benzina e alla sera, al termine dei nostri circa 100 km quotidiani, si azionava una pompa del fornello con cui si mandava in pressione la benzina, e sulla bella fiamma azzurrina, si metteva la pentola con l’acqua e ci cuocevano gli immancabili spaghetti che compravamo giorno per giorno “sfusi” (perché allora non era ancora stata inventata la pasta confezionata) e che rappresentavano il piatto forte della giornata. Questo fornelletto lo trasportavo io, fissato con dei legacci al manubrio della bicicletta. […] A questo punto si è aggiunto al nostro trio un altro nostro compagno: Ettore Gambigliani che (beato lui) era in possesso di una fiammante Vespa e con quella voleva andare a trovare dei parenti a Roma. Così ci ha chiesto di poter fare il viaggio di andata con noi. […] A questo punto abbiamo dovuto prendere una decisione: partire da Milano e farci tutta la via Emilia fino a Bologna in bicicletta abbiamo ritenuto che
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fosse uno spreco di energie. Eravamo più attirati dall’Italia centrale e quindi all’unanimità abbiamo deciso di caricare le bici sul treno e di iniziare il nostro viaggio da Bologna. […] Che cosa diavolo mangiassimo a mezzogiorno non lo ricordo proprio, ma non dovevano essere dei pasti dispendiosi perché tutto il viaggio, andata e ritorno, ci è costato in tutto 10.500 lire a testa… […] Piero Manzoni, discendente dei conti Manzoni di Soncino, non aveva ancora manifestato alcun indizio di quel grande, anche se discusso, artista che poi è diventato. Era un buon compagno, la sua casa era sempre aperta per noi. Era il maggiore di cinque tra fratelli e sorelle e suo padre era morto quando facevamo la quinta ginnasio. Anche Corrado è stato un grande amico. Quando noi siamo andati all’università lui è andato a lavorare al giornale economico 24 ore (che poi si è fuso con il Sole). […] A Roma siamo arrivati per la via Flaminia e ci siamo recati al campo di San Giorgio che era stato allestito appositamente per ricevere i pellegrini e quella notte anch’io ho dormito con Corrado e Piero, mentre l’Ettore ci ha salutato ed è andato subito dai suoi parenti. […] Finalmente siamo arrivati a Genova! Qui abbiamo salutato il Piero che ci ha “mollato” tutte le vettovaglie che trasportava sulla sua bicicletta perché proseguiva da solo per Albisola dove c’erano i suoi in vacanza, mentre noi, un po’
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malinconicamente, ci siamo recati in stazione per spedire le bici come “bagaglio appresso” e prendere un treno per Milano. […]
Il viaggio ha inizio il 20 giugno e Roma viene raggiunta passando per Pistoia, Firenze, Arezzo, Perugia, Assisi, Spoleto, Terni, Narni. Dopo un paio di giorni di sosta, il 29 il trio dei ciclisti riparte verso il nord toccando Tarquinia, Grosseto, Siena, Pisa, Viareggio, traversando la Liguria e approdando ad Albisola. Niente male, per dei diciassettenni. L’anno successivo, racconta Sellaroli, è la volta di un’impresa a due che ha per meta Six-Fours-les-Plages, in Costa Azzurra, a quasi cinquecento chilometri da Milano, dove Piero raggiunge un gruppo di amici in vacanza. Tarchiato e non particolarmente premiato dalla statura, tendente a ingrassare e precocemente a dieta, Manzoni è tuttavia in gioventù uno sportivo attivissimo. Oltre a essere un cultore della bicicletta, è anche un nuotatore valente. Di un anno più giovane, Scheiwiller ricorda un giovane «timido» e «educato», anche se «dentro era un po’ ribelle», lontanissimo dallo stereotipo del maudit che gli verrà cucito addosso dopo la morte. Scheiwiller nota a questo proposito come la scuola milanese dei Gesuiti sia stata la culla di un notevole nucleo generazionale d’avanguardia, se si pensa che negli stessi anni frequentano il Leone xiii futuri scrittori di vaglia come Nanni Balestrini e Leo Paolazzi, dive-
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A St. Moritz nel 1948 e ad Albisola, ai Bagni Pescetto, con la cugina Clementina Rosselli e il piccolo Giuseppe, 1950.
nuto celebre come Antonio Porta, e che in passato alle scuole gesuitiche si erano formati personaggi come Marinetti e Joyce. Il 1950 è anche l’anno in cui Piero decide di esplorare un’altra delle sue molte curiosità. Trova in casa una scatola di colori a olio e inizia a prendere lezioni regolari di pittura da una signora, tale Galimberti, la quale gli fornisce i primi rudimenti tecnici: talvolta a fare da modella è la sorella Elena, della quale esiste un ritratto, datato 23 maggio 1953, eseguito da una delle compagne di corso. Si tratta di un approccio dilettantesco, allora, com’è naturale. Quasi fosse un complemento all’educazione del giovane “bene”, che vive in una casa in cui troneggiano alcuni dei grandi quadri antichi della collezione di Dino Rosselli. Nessuno può immaginare, allora, quanto quel piccolo seme di pittura sia destinato a fermentare nell’animo di Manzoni. Nessuno potrebbe dedurre da quelle prime prove volenterose e stentate – sono soprattutto paesaggi e figure asciugati in una sorta di acerbo primitivismo – una vocazione: il giovane stesso, d’altronde, pur impegnandosi molto in questa nuova esperienza di pittore in erba, ancora per qualche anno non manifesterà veri segni di un’inclinazione specifica. Il 1951 vede il compimento degli studi liceali e l’iscrizione alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica milanese. La scelta è probabilmente da ascrivere all’orientamento circolante nel giro degli amici, dal momento che sia Usellini sia Turconi decidono per gli studi di Legge, entrambi alla Cattolica. Il legame con il mondo liceale rimane inten-
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so. Ancora per qualche tempo Manzoni partecipa alle attività dell’Istituto, comprese le mostre di pittura cui continua a mandare le sue prove fino al 1954, nel momento in cui cominciano a maturare le sue decisioni definitive in merito all’arte. I corsi e gli esami universitari lo impegnano, ma senza appassionarlo veramente. Ciò che va scemando è l’interesse, la curiosità, la passione per studi di questo genere. Inizia ad avvertire, sa, che il tempo dei vagheggiamenti giovanili volge al termine, e che viene quello delle scelte ultimative. L’estate 1952 porta un’altra avventura di viaggio, quasi figlia della tensione a muoversi e conoscere che sempre lo caratterizzerà. Complice Sellaroli, questa volta la meta è la Scandinavia, e il mezzo scelto è l’autostop. La Svezia è, in quegli anni di precoci fermenti di mutamento dei costumi, una sorta di Eden vagheggiato da tutti i giovani italiani. La scelta dell’autostop è invece piuttosto un’eco precoce di mode americane, un sentirsi liberi e arbitri del proprio itinerario che appartiene alla dimensione del viaggio di coscienza. «“Per andare dove, amico?” “Non lo so, ma dobbiamo andare”» ha scritto proprio nel 1951 Jack Kerouac nel testo che diverrà On the Road. È una scelta atipica, assai poco praticata in Italia: ma perfettamente speculare all’ansia, che in Manzoni cresce potente, di mutare orizzonti, soprattutto di sottrarsi all’ac28
cerchiamento da parte di un mondo fatto di famiglia e di amicizie confortevoli certo, ma perfettamente prevedibili. È, per certi versi, l’evoluzione matura e conseguente delle avventure adolescenziali in bicicletta. Manzoni sente di non avere una direzione e un destino. Non si è mai sentito, e mai si sentirà, estraneo alla famiglia, al suo status aristocratico, ai suoi usi e costumi, e men che meno ostile. Semmai in questo tempo è distaccato, sicuramente insoddisfatto. Proprio il sistema severo di valori in cui è cresciuto gli indica dei doveri, che non sono quelli di adeguarsi a una biografia facilmente pronosticabile, ma di auscultarsi e riconoscere dentro di sé i propri talenti, mettendoli a frutto come la sua educazione da sempre gli indica. È qui che Manzoni traccia i confini insuperabili della sua solitudine irrevocabile, del suo essere nitidamente ed esclusivamente individuo, quel distacco mondano che gli consente di essere estroverso, amicale, aperto all’altro, curioso, brillante addirittura, come ricordano tutti coloro che l’hanno frequentato, ma ben sapendo che la sua partita è ben altra, e che il suo rovello intellettuale ed esistenziale non prevede, né ora né mai, accettazioni e riconoscimenti da parte di nessuno: è e sa di essere «un uomo estremamente solo», testimonierà anni dopo il fotografo Uliano Lucas, uno dei rari grandi amici. L’estate del 1953 porta a una prima svolta. Mentre gli studi universitari proseguono senza grandi scosse ma con sempre minor convinzione, Manzoni trascorre una lunga vacanza a Santa Margherita Ligure presso l’amico Beppe Molinari, abile ceramista che lavora presso il Fondaco d’arte, negozio e galleria della
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Il viaggio in autostop del 1952 e, in basso, in sella a una motocicletta.
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cittadina ligure. Si sono conosciuti casualmente, in treno, ma l’età più matura di Molinari e il fascino della sua esperienza di professionista ne fanno subito un modello per il giovane, il quale comincia a rendersi pienamente conto che l’arte può essere un’attività “vera” e non solo un diletto. Manzoni si impegna in modo più assiduo nella pittura, avvertendo che questa forse può essere la sua strada, chiedendosi se sia la sua vera vocazione. Si tratta, ancora, di quadri tecnicamente immaturi e stilisticamente ovvii, per lo più paesaggi, ma servono a convincere il giovane che occorre un impegno assiduo e continuo per approfondire e chiarire i termini del suo interesse. Si colloca probabilmente in questo periodo una breve frequentazione della Scuola libera del nudo dell’Accademia di Brera: l’amico Gambigliani ricorda alcuni studi di nudo femminile degni di nota nati in quest’epoca. Naturalmente la madre è molto perplessa rispetto a questo soprassalto di passione artistica. Un conto è l’amatorialità in un contesto socialmente codificato, un altro è l’ambiente dell’accademia e degli artisti, sui quali aleggia la retorica sulfurea della bohème. In un’epoca in cui solo pronunciare la parola “nudo” è considerato sconveniente, e anche un castigato bikini farebbe accorrere la forza pubblica in spiaggia, che un giovane dabbene voglia farsi praticante in tale studio è semplicemente inammissibile. 30
Anche questo primo vero disaccordo con la madre contribuisce ad alimentare in Manzoni una crisi esistenziale profonda, la sua autentica crisi di crescita.