Quaderni del collezionismo - vol. 1

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Volume 1

Dagli incontri promossi dalla Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli la voce di quattro grandi nomi del collezionismo italiano per rendere il giusto tributo al fondamentale ruolo che svolgono all’interno del mondo dell’arte.

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1. Arturo Schwarz — Paolo Levi 2. Fulvio Ferrari — Gianluigi Recuperati e Franco Noero 3. Patrizia Sandretto Re Rebaudengo — Cesare Cunaccia 4. Giuliana Setari Carusi — Marina Mojana

1. Arturo Schwarz — Paolo Levi 2. Fulvio Ferrari — Gianluigi Recuperati e Franco Noero 3. Patrizia Sandretto Re Rebaudengo — Cesare Cunaccia 4. Giuliana Setari Carusi — Marina Mojana

BN IS -1 64 001 -6 88 0 8,0 € 97

ISBN 978-88-6010-64-1

Quaderni del collezionismo

Dal ciclo di conferenze organizzate dalla Pinacoteca Agnelli le interviste sul collezionismo:

Quaderni del collezionismo 1



Quaderni del collezionismo


© 2011 Johan & Levi Editore www.johanandlevi.com Redazione Lucia Ferrantini Progetto grafico e impaginazione Silvia Gherra Per i testi © gli autori ISBN 978-88-6010-064-1 Il presente volume è coperto da diritto d’autore e nessuna parte di esso può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti d’autore.

FONDAZIONE PINACOTECA DEL LINGOTTO GIOVANNI E MARELLA AGNELLI Fondatori / Founders Giovanni Agnelli Marella Caracciolo Agnelli Margaret Agnelli De Pahlen John Elkann Lapo Elkann Ginevra Elkann Paolo Fresco Gianluigi Gabetti Francesca Gentile Camerana Franzo Grande Stevens Alessandro Nasi

Segretario / Secretary Gianluca Ferrero Collegio Sindacale / Board of Syndics Mario Pia, Presidente/President Luigi Demartini Pietro Fornier Direttrice / Director Marcella Beraudo di Pralormo Segreteria / Secretary Emma Roccato, Elena Olivero

Comitato Direttivo / Board of Directors Presidente Onorario/ Honorary President Marella Caracciolo Agnelli

Amministrazione / Administration Mara Abbà

Presidente / President Ginevra Elkann

Ufficio Stampa / Press office Silvia Macchetto

Membri / Members Gianluigi Gabetti John Elkann Lapo Elkann Filippo Beraudo di Pralormo Sergio Marchionne

Le conversazioni sono state realizzate grazie al supporto di

Assegnista di ricerca, Sala di Consultazione / Library Marta Barcaro Main Sponsor


Quaderni del collezionismo 1



Sommario

Introduzione

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Interviste:

1. Arturo Schwarz — Paolo Levi

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2. Fulvio Ferrari — Gianluigi Ricuperati e Franco Noero

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3. Patrizia Sandretto Re Rebaudengo — Cesare Cunaccia

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4. Giuliana Setari Carusi — Marina Mojana

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Profili biografici

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Introduzione

La Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli inaugura la collana “Quaderni del collezionismo” grazie a una partnership con Johan & Levi Editore, che condivide questo progetto. Il tema che abbiamo deciso di indagare e di proporre al pubblico, attraverso l’esposizione di collezioni private che normalmente non sono accessibili, è il collezionismo. Perché proprio il collezionismo? Perché se non ci fossero i collezionisti non esisterebbero i musei. Nel Rinascimento i mecenati riunivano le loro raccolte di quadri e oggetti preziosi nelle Wunderkammer e negli studioli, spazi privati destinati alla contemplazione e allo studio. Ma già a partire dalla fine del xvi secolo prende forma il concetto di museo, con l’apertura al pubblico delle collezioni private, esposte nelle “gallerie”, di cui l’esempio più significativo in Italia sono gli Uffizi. Nel xvii, xviii, xix secolo grandi “conoscitori”, non solo appartenenti alle famiglie nobiliari, ma anche alla borghesia, creano raccolte preziose che successivamente confluiscono nei musei che oggi tutti conosciamo. La Pinacoteca Agnelli è nata dal gusto personale di Giovanni e Marella Agnelli, che hanno pensato di condividere la loro passione per l’arte con tutti esponendo i capolavori della loro collezione e donandoli a una fondazione che ha sede al Lingotto. L’indagine sul tema del collezionismo, quindi, prende spunto dalla storia dei fondatori della Pinacoteca e si propone di indagare la personalità e il gusto di chi ha dedicato e dedica gran

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parte della sua vita alla raccolta di opere d’arte. Nel programma di mostre e di conferenze che si terranno in Pinacoteca non ci siamo dati limiti cronologici, né geografici né tematici, proprio perché ci interessa un’indagine ampia e approfondita che dia conto di tutte le manifestazioni del gusto personale. Studiare le collezioni ci fa capire come il gusto per il Bello possa portare a raccogliere oggetti di tipologie molto diverse fra loro. Ogni collezionista crea un microcosmo fatto di oggetti che lo rappresentano e che raffigurano una visione personale del mondo e un’idea di bellezza. Quando una nuova opera entra a far parte della collezione, quest’ultima acquista nuovi significati e nuovi confini. In fondo, la collezione è un modo attraverso cui l’uomo può ottenere l’immortalità, il calco della personalità di chi ha raccolto quegli oggetti. Essere ricordati attraverso il Bello: ecco qual è il desiderio di ogni collezionista. Con i Quaderni del collezionismo la Pinacoteca Agnelli intende raccogliere le testimonianze dei collezionisti che sono stati ospiti in occasione delle mostre e delle conversazioni tenutesi nella Sala di consultazione. Ci è sembrato necessario organizzare e diffondere il materiale raccolto in questi eventi per completare la ricerca che stiamo portando avanti attraverso la nostra biblioteca specializzata. Al secondo piano del museo, infatti, da febbraio 2010 è aperta al pubblico una biblioteca a scaffale aperto che ospita libri, cataloghi di mostre e di aste, articoli, monografie e interviste sul tema del collezionismo privato. La biblioteca si alimenta grazie a scambi e donazioni, ed è in continua crescita. Si propone di diventare un punto di riferimento per gli studiosi del collezionismo e un luogo in cui il visitatore possa approfondire le tematiche delle mostre che si tengono in Pinacoteca e del collezionismo in generale. Gli incontri con i collezionisti sono occasioni significative, in cui il pubblico può interagire, ascoltare la loro storia e capire come è nata la passione per gli

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oggetti che collezionano. Nella sala si sono avvicendati collezionisti di ogni genere: Arturo Schwarz, che ha raccontato delle sue passioni che spaziano dalla letteratura all’arte; Fulvio Ferrari, noto appassionato di Carlo Mollino, ha raccontato di altre collezioni che affollano la sua casa (dal design degli oggetti comuni ai vasi di Sottsass); Patrizia Sandretto Re Rebaudengo ha presentato qui, diversi mesi prima dell’apertura della mostra a Palazzo Madama, la sua collezione di gioielli fantasia; Giuliana Setari ha spiegato come è nata la collezione di arte contemporanea che ha creato con il marito Tommaso e come si è sviluppato il progetto della Dena Foundation. I Quaderni usciranno due volte l’anno e ospiteranno sia i collezionisti che sono stati in Pinacoteca sia collezionisti italiani e stranieri incontrati in occasione di viaggi in giro per il mondo, da noi, da critici d’arte o da amici che avranno l’occasione di intervistarli. I Quaderni rappresentano quindi un’ulteriore tessera che si aggiunge al nostro progetto di indagine su questo tema ampio e ricco di suggestioni.

Ginevra Elkann presidente Marcella Pralormo direttrice

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Introduzione



Arturo Schwarz Paolo Levi

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Introduzione

1.


pl

Paolo Levi — as

Arturo Schwarz — ge

Ginevra Elkann — p

Intervento del pubblico


Arturo Schwarz dialoga con Paolo Levi Conferenza presso la Sala di consultazione, 4 febbraio 2010

— Qualche giorno fa ho telefonato ad Arturo Schwarz per due motivi: primo perché ieri era il suo compleanno e quindi gli rinnoviamo gli auguri; il secondo è che quando è arrivato l’invito per questa serata, per questa conversazione culturale, ho ritenuto doveroso chiamarlo per dirgli: «Senti, io la imposterei così». Come immaginavo, Arturo Schwarz mi ha risposto «Siamo liberi». Me l’aspettavo, ma siccome abbiamo un rapporto di colloqui e di confronti che, ahimè, dura da ben quarant’anni, ho voluto chiederglielo lo stesso. Ho avuto un attimo… non di timore, non di stupore, ma di grande entusiasmo, perché lui nel mondo intellettuale – non soltanto italiano, ma anche internazionale – è un uomo libero, e quando parla di libertà non è la libertà retorica che intendono certi contemporanei, sia sul piano culturale che politico, senza crederci minimamente. Noi sappiamo, vivendo nella città che ha dato i natali a Piero Gobetti, sappiamo bene che cosa significhi. Caro Arturo, leggendo l’articolo di Maria Giulia Minetti di questa mattina,* l’ho trovato molto bello ed esaustivo, è un pezzo che è un microcosmo, ma anche un macrocosmo. La giornalista ha fatto un bellissimo disegno storico su Arturo Schwarz e mi ha fatto venire in mente questa domanda, che in realtà era una cosa che mi ero sempre chiesto: perché non hai mai iniziato, a meno che tu non l’abbia fatto, come credo, una tua autobiografia?

pl

as

— Mah, credo che per me sia un esercizio del tutto inutile. Ho ottantasei

* Maria Giulia Minetti, Il poeta amico dei dada e dei surrealisti: «Non cerco oggetti e quadri, sono loro a venire da me». Come vivere ottantacinque anni da non-collezionista, in La Stampa, 4 febbraio 2010. Si veda anche: www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cultura/201002articoli/5 1890girata.asp.

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anni e un programma di lavoro che – se li vivo – m’impegnerà almeno per i prossimi sei o sette. Non trovo il tempo neanche per immaginare di dover scrivere una cosa simile. La mia autobiografia è nei libri che ho già scritto, punto e basta, non credo che la mia persona sia così interessante, sono convinto che i contributi che posso dare in determinati campi di studio, dalla giudaica alla Kabbalah, siano molto più importanti di qualsiasi parola io possa spendere sul mio conto personale. pl

— Posso non concordare?

as — Da anarchico quale sono fin dall’età di quattordici anni… assolutamente sì!

— Io invece, visto che apparteniamo entrambi al popolo del libro, sono obbligato a interrogarti, e siccome la parola è la cosa – e questo comporta tutta una serie di riflessioni – io ti contraddico, perché c’è un piccolo elemento che tu dimentichi e che riguarda te, Arturo Schwarz, ed è questo: quando l’altro giorno mi hai parlato di libertà, di essere libero, ti riferivi a me, e quindi a una situazione privata, ma la libertà è la forza della tua parola…

pl

as — Volevo soltanto precisare che non volevo conoscere in anticipo le domande perché avrei tolto ogni spontaneità alle mie risposte e in secondo luogo volevo dirti che sei libero di fare le domande che vuoi, per me è questo l’importante…

— Sì, però vedi, quando tu mi parli di libertà, e dici che io sono libero, secondo me è un discorso che va oltre la mia libertà individuale, ma fa parte del tuo modo di essere, di essere responsabile verso te stesso e verso gli altri, questo è tipicamente nostro, no? Ce lo iniettano da quando siamo nati! La Torah è anche questo, no?

pl

as

— Assolutamente.

— Sulla parola “libertà” ci sono degli equivoci, delle volgarità. Ti faccio un esempio: vogliamo prendere dalla nostra biblioteca le poesie di Paul Éluard e leggere Liberté? Vogliamo ricordare che il poeta della liberté in realtà era al servizio di Maurice Thorez ed entrambi hanno applaudito il patto Molotov-Ribbentrop? Come può una persona del genere scrivere Liberté?

pl

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as — Innanzitutto non poteva farlo perché questa poesia, divenuta celebre anche se non lo meritava, è di una “piattitudine” totale, non ha assolutamente nulla di poetico, e ora io vi dirò a chi era dedicata: era dedicata al suo cane. Poi, da opportunista al cento per cento qual era Éluard, essendo un vecchio stalinista e quindi assolutamente in malafede, a un certo punto dato che il vento girava verso la libertà anziché la poesia per il cane ha scritto una poesia alla libertà. Questa è la vera storia della poesia detta Liberté, ve lo posso assicurare.

— Ginevra Elkann è presidente della fondazione Lingotto e ovviamente lei e il pubblico si aspettano che si parli di collezionisti: collezionismo di libri, di biblioteche, di dipinti e di collezioni. Ma non dimentichiamoci che con Arturo Schwarz c’è anche il problema che le parole sono le parole, non possono essere altro, non possono essere doppie, avere un doppio significato: la parola è la cosa, no? Quindi…

pl

as

— Le parole sono pietre…

pl

— Le parole sono pietre, diceva Carlo Levi…

as

— Pietre filosofali, però…

— Ah, filosofali! Arriveremo anche alla pietra filosofale! La problematica legata al tuo rifiuto nei confronti della parola “collezionista” non è una provocazione, ma il frutto di una riflessione mirata e precisa… Quando si parla di Freud tu lo pronunci in tedesco, /froid/, no?

pl

as

— Certo, Sigmund Freud…

pl

— Ed è corretto, corretto…

as — Che tra l’altro Freude in tedesco vuol dire “gioia”, credo che non ci sia un riconoscimento più bello e appropriato per colui che ci ha rivelato la profondità della nostra mente, del nostro sentire e del nostro fare.

pl

— Ecco, e come definiva Freud il “collezionista”?

as

— È la fissazione della libido allo stadio anale. Comunque io vorrei preci-

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1. Arturo Schwarz — Paolo Levi


sare una cosa: non ho assolutamente nulla contro i collezionisti, è un’attività rispettabilissima la cui struttura psichica ci è stata descritta molto bene, una volta per sempre, dal vecchio Freud, ma che non ha nulla a che vedere con la mia attività, perché io non ho accumulato opere d’arte o libri per il gusto di accumulare cose. Anzi, ora vi dico una cosa che vi fa capire fino a che punto la mia démarche, il mio fare, è totalmente disgiunto da quello del collezionismo. Ho acquistato delle opere d’arte, ho iniziato a collezionare all’età di quattordici o quindici anni le cartoline. Le opere d’arte non potevo permettermele e le cartoline mi piacevano. E così ricordo che una delle prime cartoline che ho comprato era la riproduzione di quel quadro di Henri Rousseau, detto Il Doganiere, La guerra, e un’altra era un paesaggio magico di Yves Tanguy. A me non importava che la cartolina costasse dieci lire e che il mio accumulare queste cartoline – sono arrivato ad averne circa due o trecento delle opere dei pittori che amavo – avesse un valore pecuniario. Le acquistavo perché, non potendomi permettere l’opera, almeno potevo godermi la riproduzione. Tutto quello che ho fatto acquistando opere d’arte o libri, l’ho fatto con l’unica pulsione di arricchire la mia sensibilità, di arricchirmi anche dal punto di vista intellettuale quando si trattava di libri, emotivo quando si trattava di opere d’arte. Tutto qui, io non ho mai acquistato un’opera d’arte per motivi speculativi né mai lo farò. — Per questo motivo non parleremo di collezionismo, sarebbe un errore, sia per quanto riguarda i libri e la biblioteca, sia per quanto riguarda la tua raccolta di dipinti…

pl

as

— Chiedo il permesso di interromperti…

pl

— Prego…

as — La migliore dimostrazione dell’autenticità di quello che ho appena detto sta nel fatto che dopo aver raccolto opere d’arte per circa cinquant’anni ho regalato tutto quello che avevo distribuendolo a quattro musei: al Museo di Israele e di Gerusalemme è andata tutta la raccolta dei capolavori dada e surrealisti; al Museo d’Arte Moderna di Tel Aviv ho dato tutta la raccolta di arte post-1945; alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma ho regalato un’altra importante sezione della raccolta dada e surrealista; la Biblioteca dell’Università di Beersheba ha ricevuto tutte le opere grafiche che avevo raccolto durante questi cinquant’anni, che vanno

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da Odilon Redon passando da Picasso, Brauner, fino ai giorni nostri, quindi gli autori contemporanei; all’Università di Tel Aviv, invece, ho dato l’unica raccolta completa esistente dell’opera grafica di Marcel Duchamp, che sono soltanto un centinaio di numeri. Un collezionista tutte queste cose se le terrebbe strette, io invece non ho avuto la minima remora a dare via tutto e non me ne sono mai pentito. Anzi, le opere che ho comprato dopo questa donazione che risale a circa dieci anni fa, forse otto, quando me ne vado andranno anche quelle ai musei. — Ecco perché, se mi permetti, si può dire che sei un uomo, un intellettuale irregolare.

pl

as

— Certamente!

pl

— Sei irregolare, non sei né un ex, né un post…

— Mah, sono come dovrebbe essere ogni intellettuale che si rispetti: fedele a se stesso, fedele al proprio credo, senza vendersi mai. as

— Be’, che tu non ti sia mai venduto lo dimostra la situazione dell’intellighenzia italiana… Forse in Francia ci sono ancora degli intellettuali che io salverei, tipo Bernard-Henri Lévy…

pl

as

— Io ne salverei anche altri, ma non quelli che sono più alla moda.

— Parliamo della tua biblioteca, della tua biblioteca di quarantamila volumi, che non è una collezione, ma è una quantità e qualità di volumi che tu hai utilizzato per la tua conoscenza…

pl

as

— …anche per i miei studi, certo…

pl

— Per i tuoi studi e anche per la tua coscienza…

as — Se c’è una cosa che mi sono sempre imposto è di non acquistare mai un’antologia: se un autore mi interessa, compro l’opera completa. Così ho l’opera completa di Freud, di Reich, di Jung, di Otto Rank, di Bruno Bettelheim... Insomma, se un autore mi interessa io acquisto tutti i libri che ha scritto e me li leggo. Purtroppo i miei volumi sono tutti segnati da sotto-

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1. Arturo Schwarz — Paolo Levi


lineature – a matita, però, quindi si possono cancellare – e dagli appunti del mio indice personale. Per esempio, se leggo un qualsiasi libro e c’è un argomento che m’interessa, mettiamo, non so, il vaso di Pandora, in fondo al volume, a matita, mi scrivo: «Vaso di Pandora». Poi, ogni volta che trovo qualcosa che parla di questo, aggiungo: «pagina tal dei tali». Così attraverso i volumi che ho letto riesco a rintracciare la documentazione che mi permette di scrivere certi saggi, tutto lì. — Quello che mi fa effetto è che tu abbia ben quarantamila tomi, questo mi rende invidiosissimo. Ripensando all’articolo di stamattina – era davvero bello, io adoro il giornalismo vecchio stile con l’articolo montato in un certo modo, il cappello, tutto molto elegante – mi è venuta in mente una cosa che volevo chiederti… Ecco, anche se la cosa fortunatamente non è verosimile, insomma non avverrà mai, o almeno speriamo… Comunque, se a te capitasse di dover fuggire perché stai per essere arrestato da qualche polizia segreta e devi scappare, oppure devi andare in carcere e puoi salvare soltanto uno, due, tre volumi della tua biblioteca: cosa ti porteresti in cella o in esilio?

pl

— Dunque, mi porterei Psicopatologia della vita quotidiana di Freud, piccolo ma straordinario; poi prenderei un libro di Jung, uno degli ultimi che ha scritto, si chiama Coniunctio oppositorum, anche questo incredibile; un’opera di Marx, una delle prime, quelle della giovinezza. Il libro da cui non potrei mai separarmi, però, è l’Etica di Baruch Spinoza, uno dei più belli, più ricchi e più nobili che siano mai stati scritti. Secondo me quest’opera è la somma di ogni cosa: “insegna a essere uomini”. La sua formula Deus sive Natura, ovvero “Dio, cioè la Natura”, è la cosa più nobile che sia mai stata detta. Basta con il dualismo creatore-creatura: siamo tutti creatori e creature contemporaneamente; basta con il principio di autorità: il principio di autorità non esiste, siamo noi in quanto esseri umani – e non scimmie o altri nostri fratelli inferiori – che abbiamo questo dono meraviglioso di pensare e di poter decidere secondo la nostra coscienza. Purtroppo oggi con il massiccio lavaggio del cervello operato dai mass media e dalle televisioni… trovo scandaloso che una sola persona, intendo Silvio Berlusconi, sia proprietaria di tutti i principali canali televisivi. as

pl

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— Questo tuo intervento su Berlusconi tutt’altro che inaspettato…

Quaderni del collezionismo — 1


as

— Ma io volevo soffermarmi su…

— Non soffermarti… Ti giuro che non ho neanche sentito… Mi fa ancora pensare ad Arturo Schwarz come un irregolare, come uomo di cultura che negli anni si porta costantemente dietro delle figure che per certi intellettuali di potere, legati a certe case editrici, università eccetera… Insomma, loro seguono determinate direttive e tu invece in tutti questi anni, curiosamente, ti trovi o ti sei trovato a fare i conti con Baruch Spinoza, cacciato, emarginato e “derabbinato” dal potere comunitario ebraico di Amsterdam. Adesso non stiamo a sindacare perché è successo, tanto lo sappiamo benissimo, il punto è che tu sei legato a Baruch Spinoza come sei legato a Trotskij e poi anni dopo ti ritrovi ad avere questo interesse giustificato per André Breton che, immagino, ha trasformato la tua vita. Tu continui e continuerai ancora a essere solidale e figlio di questo mondo che non è un mondo di perdenti. Io infatti non credo che Spinoza sia stato un perdente, perché ci sono tanti Arturo Schwarz, tu non sei l’unico che parla di unità tra creatore e creatura e quindi lui non è perdente. Trotskij, forse, è un perdente e magari mi spiegherai perché non lo è. Breton non è un perdente, sei d’accordo?

pl

as — Mi correggo. Tra i libri che prenderei al primo posto ci sarebbe anche il Manifesto surrealista del 1924, non so come mai prima non mi è venuto in mente. È un piccolo testo di circa centoventi pagine o giù di lì che per me è stato veramente fondamentale. È una cosa molto strana, io ho scoperto Spinoza quando avevo quindici anni e subito dopo, quando ne avevo sedici, ho scoperto Breton, e devo dire che entrambi sono responsabili di tutta la mia evoluzione intellettuale: Spinoza mi ha rivelato un universo che non conoscevo, Breton mi ha dato una conferma delle mie più profonde convinzioni. In primo luogo che una persona deve mettersi al servizio delle sue idee e lottare per esse; ed essere coerente con se stessa, anche se questo costerà, come a me è costato la prigione e il campo di concentramento. Innanzitutto l’onestà intellettuale, e poi l’amore, il rispetto, la devozione per la donna, che è la fonte della vita e di ogni felicità. Ecco, queste sono le due cose cardinali, la lotta per la giustizia, che poi coincide con il rispetto per la donna la quale, pur non appartenendo a una minoranza perseguitata, viene spesso sottovalutata e limitata. Io non capisco perché, per esempio, nello stesso ruolo ci siano differenze di stipendio tra un uomo e una donna, non capisco perché la donna venga trattata come se

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1. Arturo Schwarz — Paolo Levi


fosse… Non mi spiego come oggi, nel xxi secolo, possa essere tollerata – non dico esistere – la clitoridectomia, l’infibulazione, è una cosa mostruosa. A livello molto meno drastico, ma altrettanto riprovevole, è la discriminazione in tutti i campi verso la donna, dal punto di vista maschilista si pensa che sia naturale che lei, se è sposata e lavora, debba anche dedicare quattro o cinque ore al giorno alla cura della casa… e perché l’uomo no? Perché l’uomo ci si dedica sì e no mezz’ora? Tutte cose abitudinarie che ormai sono entrate nell’inconscio collettivo. È giusto che la donna soffra quando deve partorire, mentre potrebbe benissimo farlo senza dolore? È giusto che la donna lavori sedici ore al giorno, mentre l’uomo soltanto sei, al massimo otto? Per non parlare poi delle società islamiche, dove addirittura c’è questo barbarismo della mutilazione vaginale e sessuale, e l’obbligo di portare il velo più o meno integrale: sono delle mostruosità veramente inconcepibili. pl

— Forse tu non conosci bene che cos’è una yiddish mame…

as — No, no, no, non confondiamo. Vi faccio un esempio di yiddish mame, per sdrammatizzare: per il suo compleanno la mamma regala al figlio due cravatte, il giorno dopo la yiddish mame lo vede – scusatemi, non sono bravo a raccontare barzellette – che porta una delle due cravatte e gli dice: «Ah, vedo che l’altra cravatta non ti è piaciuta, eh?». Ecco, questa è la yiddish mame, un po’ ossessiva, caricaturale…

— Ecco, abbiamo sdrammatizzato un attimo, però adesso vorrei passare al discorso della donna e del rapporto con il Surrealismo...

pl

— È un rapporto bellissimo perché nel Surrealismo – in tutte le sue forme, dalla poesia alla prosa, basta pensare a romanzi come Nadja o l’Amour Fou di André Breton oppure alle poesie De derrière les fagots di Benjamin Péret e tante altre – la donna è giustamente divinizzata. Se io riconosco una divinità, è la donna: è terrestre, non celeste. as

— Certo. Vorrei soltanto tornare un po’ indietro negli anni, abbiamo parlato del tuo legame con intellettuali attivi non perdenti…

pl

as — Tra questi metterei al primissimo posto, appunto, André Breton e Benjamin Péret…

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pl

— E Spinoza?

as

— Ma lui non è un contemporaneo…

— No, no, io intendevo proprio in senso cronologico… quindi: Spinoza, Trotskij e Breton…

pl

as

— Allora sì, per primo assolutamente Baruch Spinoza.

— Ora però, come dicevo, vorrei tornare un po’ indietro, anche perché esiste un Arturo Schwarz – di cui non avremo mai l’autobiografia, ma nemmeno una biografia, ne prendiamo atto – che non è così conosciuto. Per esempio, tu da giovane sei stato in prigione in Egitto, se ricordo bene torturato dalla polizia di Faruq, e poi anni dopo, nel 1948 – correggimi se sbaglio – ti ritroviamo che combatti in Israele per la sua indipendenza…

pl

as

— Era nel 1944, prima ancora che nascesse lo Stato di Israele.

pl

— Ecco, vedi, questo è inedito, assolutamente inedito…

as — Diciamo subito che il combattimento non era contro gli arabi, ma contro gli inglesi, che all’epoca avevano pubblicato il cosiddetto Libro Bianco. Il Libro Bianco di Churchill limitava, nel peggior momento della storia del mio popolo, l’immigrazione degli ebrei verso l’unico haven, l’unico possibile rifugio che era la terra di Palestina. In quegli anni, nel 1944, c’era stata anche la tragedia dello Struma, una nave partita dalla Romania carica di rifugiati scampati ai campi di concentramento che, arrivata di fronte alle coste dell’allora Palestina, venne respinta dagli inglesi e costretta a tornare indietro e, nel Mar Nero, una tempesta neanche tanto terribile la fece affondare con tutti i rifugiati. Dopo quest’evento ho deciso di partire per la Palestina in modo illegale. Così, attraverso il canale di Suez e poi con il treno sono riuscito ad arrivare in Palestina, l’attuale Israele, dove andai in un kibbutz dell’allora Hashomer Hatzair, un movimento giovanile di sinistra. Il nostro compito era quello di far atterrare i profughi che arrivavano con le navi un po’ dappertutto e nel corso di una di queste azioni su una spiaggia a nord di Haifa, dove eravamo andati ad accoglierli, abbiamo avuto il solito scontro a fuoco con una guarnigione inglese e io sono rimasto ferito abbastanza malamente al piede destro, per cui zoppico ancora oggi. Comunque,

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1. Arturo Schwarz — Paolo Levi


gli inglesi si battevano senza entusiasmo, dopo i primi colpi si ritiravano nelle loro caserme, allora noi potevamo sparare un razzo verde, ovvero il segnale che la nave poteva mandare a terra i profughi con le scialuppe. Quando arrivavano li facevamo spogliare e buttavamo tutti gli abiti in mare in modo che gli inglesi potessero vederli; poi li rivestivamo con abiti da kibbutznik – allora short e camicia, generalmente cachi – e li distribuivamo fra i kibbutzim della zona. Tutto questo è durato circa un anno, dal 1944 al 1945. Ricordo che quando seppi, insieme ai miei compagni, della fine della guerra e della bomba atomica sganciata su Hiroshima e Nagasaki ero ancora in Israele. Poi venni incaricato di tornare in Egitto per un certo lavoro, e così ci tornai, e lì… — Ho fatto questa domanda ad Arturo Schwarz perché lui, lo ripeto, è un personaggio irregolare, forse questa definizione ti dà fastidio ma è proprio così, e meno male. Essere un irregolare significa anche essere soli, dover fare attenzione a quello che uno dice, dover essere sempre politicamente corretto…

pl

as — No, io non faccio né attenzione a quello che dico, né cerco di essere… Ho sempre detto chiaramente qual è il mio punto di vista, in politica come in qualsiasi altro settore. Non ho mai taciuto le mie convinzioni, anzi, ho lottato per difenderle.

— Questo è un gran bene e tu sai quali sono i miei rapporti con te, insomma, proprio per questa tua capacità di essere un maestro…

pl

as

— No, assolutamente no…

— Va bene, non un maestro, però un esempio sì, e bisogna tenerne conto. L’unica cosa in cui personalmente non riesco a seguirti, perché è una materia troppo difficile, è la Kabbalah, l’alchimia. E allora mi sono sempre chiesto Mi sono sempre chiesto che ruolo abbia all’interno del mondo di Arturo Schwarz l’elemento alchemico, lo studio dell’alchimia… ecco, questo per me è veramente un mistero.

pl

as — È un mistero perché quello che va sotto il nome di alchimia oggi non è affatto quello che era in origine. Lo scopo dell’alchimia si riassume in due parole greche: gnotis autón, cioè “conosci te stesso”. Quello che la gente

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Quaderni del collezionismo — 1


pensa, ovvero che gli alchimisti cercassero l’oro, è una metafora: gli alchimisti hanno sempre parlato di oro filosofale, che per loro era l’aurea apprehensio, cioè la conoscenza aurea. L’alchimista non è nient’altro che una specie di Freud ante litteram, colui che vuole conoscere se stesso. La cosa importante è che l’alchimista – come il kabbalista, perché si tratta di due avventure spirituali molto simili – vogliono conoscere se stessi per cambiare se stessi, perché capiscono che non si può cambiare il mondo – che ha enorme bisogno di essere cambiato – senza prima cambiare se stessi. Ecco che cosa sono l’alchimia e la Kabbalah: due strumenti di conoscenza che non hanno nulla a che fare – né l’una né l’altra – con l’acquisizione di beni o di soddisfazioni materiali. Tutt’e due vogliono conoscere se stessi per uno scopo molto nobile: trasformare se stessi per trasformare il mondo. — Prendiamo a esempio, nell’arte, alcune composizioni di certi lavori in cui ci sono dei segni, dei simboli…, a me personalmente risultano del tutto indecifrabili, proprio per motivi di radici culturali, di conoscenza. Invece per quanto riguarda le opere che tu conosci di artisti che lavorano pittoricamente su questa tipologia dei simboli, su questa simbologia e sul messaggio: Arturo Schwarz che cosa pensa, come li decodifica… li decodifica?

pl

as — Allora, ci sono tre atteggiamenti totalmente diversi. Il primo è un atteggiamento di carattere didattico e che cerca di riprodurre in maniera più o meno felice alcuni simboli, alcuni elementi dell’iconologia alchemica che sono del tutto privi di ogni carattere estetico, anche se sono estremamente ben riprodotti. Poi c’è l’artista che ha una sensibilità particolare e che nella sua opera riflette alcuni archetipi che sono comuni sia alla tradizione alchemica sia alla vita quotidiana e questi artisti, per riprendere una parola di Duchamp, sono gli alchimisti di oggi, perché fanno dell’alchimia senza saperlo. Non appena uno vuole ispirarsi coscientemente a dei motivi iconologici alchemici, se si copia qualcosa che esiste già l’interesse è minore, diventa un’esperienza didattica anziché iniziatica, come dovrebbe essere ogni opera d’arte. Ma non tutti gli artisti possono accogliere questi stimoli interiori. Spesso si tratta di artisti conosciuti, di cui a volte vediamo opere bellissime. Picasso, per esempio, è un grandissimo artista che io rispetto e amo molto, come tanti altri del Novecento, in cui non hanno operato questi archetipi alchemici, se non in certi lavori giovanili in cui veniva esaltato l’eterno femminile. Altre opere a livello estetico costituiscono degli immensi

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progressi nell’arte pittorica ed è per questo che amo molto Picasso e anche altri artisti surrealisti, dadaisti o né surrealisti, né dadaisti, come per esempio Matisse, del quale poco fa, di sopra nella raccolta Agnelli, ho visto dei capolavori assoluti. Quello che mi ha fatto molto, molto piacere è vedere tre opere che risalgono agli anni venti e trenta che, invece, appartengono alla piena maturità. Non ho mai capito perché alcune persone pensano che di un determinato artista valgano solamente le opere di un certo periodo, per esempio, quelle del periodo cubista o astratto eccetera. Un grande artista come lo sono stati Matisse – che non è mai stato surrealista – o Picasso – che lo è stato per un certo periodo – resta tale anche alla fine della sua vita. Basta ricordare un esempio molto banale: Verdi ha scritto alcune delle sue opere più belle negli anni più avanzati; io credo di aver scritto alcuni dei miei libri migliori proprio in questi ultimi anni: per esempio un’opera sul rapporto fra la Kabbalah e l’alchimia e un’altra che s’intitola Sono ebreo, anche, sottotitolato Riflessioni di un ateo anarchico, che nonostante il titolo ha avuto una prefazione dell’allora gran rabbino di Milano Giuseppe Laras, che oggi è presidente del collegio rabbinico d’Italia. Questo per dimostrare che l’etica non ha religione; l’etica è l’etica, punto e basta; e l’etica ebraica, che io sviscero nei sette capitoli di questo libro, è tra le più antiche e più nobili che io conosca. Questi lavori sono arrivati dopo settant’anni, quasi, di vita, sono stati scritti l’uno quattro anni fa e l’altro due anni fa e io li ritengo tra i migliori che abbia realizzato, anche se prima ci sono state la monografia su Marcel Duchamp, quella su Man Ray e altre. Oltre a questi due piccoli libri ce n’è un terzo, uscito un anno e mezzo fa che ritengo il mio testamento spirituale. È l’ultimo e s’intitola: La donna e l’amore al tempo dei miti, pubblicato da Garzanti… Questi tre libri secondo me sono i migliori che abbia scritto e li ho realizzati quando avevo ottant’anni, e adesso ne ho ottantasei. Quindi l’età non vuol dir niente, né per un pittore, né per un artista, né per uno scrittore. — Ah, bellissimo, bellissimo. Ecco, prima di parlare di Arturo Schwarz poeta – e non dobbiamo assolutamente dimenticarcene – devo farti un’altra domanda sempre sui quadri, sulla pittura, sull’approccio all’opera d’arte: quanto ti condiziona, se ti condiziona, questa posizione etica spinoziana, che non esiste il creatore, non esiste la creatura ma esiste l’unità di creatore e creatura, quanto ti condiziona nell’approccio, nell’esame di un’opera d’arte?

pl

as

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— Io da anni ho un approccio un po’ diverso: per me i fattori importanti

Quaderni del collezionismo — 1


sono due, al massimo tre. Il primo è la fedeltà a se stessi; ricordo il consiglio che Polonius dava a suo figlio nell’Amleto di Shakespeare. Lo dico prima in inglese, poi lo traduco in italiano: This above all, to thine own self be true, and it follows, as the night follows the day, thou canst then not be false to any man, «Questo anzitutto: con te stesso sii sincero e ne conseguirà che, come la notte segue il giorno, non potrai essere falso con nessuno». È qui che subentra il secondo fattore, che per me è di uguale importanza, e cioè: un’opera d’arte autentica deve allargare il nostro orizzonte visivo o mentale. Se si limita a ripetere cose che già conosciamo, se non è “iniziatica”, non m’interessa. E poi c’è un terzo elemento che è inafferrabile, come è giusto che lo sia: che l’opera possa emanare un’aura poetica. Ecco, per me sono questi i tre angoli che denotano il triangolo di un’opera d’arte che possa commuovere. Se non riunisci queste tre condizioni mi lasci indifferente oppure, peggio ancora, non la reputo un’opera d’arte, ma il frutto di un abilissimo artigiano. — Non ci sono commenti, credo. Allora, a mio avviso – rispondimi per favore – l’arte contemporanea oggi è una denuncia. E se non lo è…

pl

— Damien Hirst, tanto per fare un nome di quelli i cui prezzi alle aste vanno alle stelle… Ecco, quella per me non è arte, ma, scusate la parola, quella è m…! as

— Non ho capito… Cioè, a livello di critica d’arte è assolutamente giustificata, anzi, se non ti dispiace ti rubo la riflessione per i miei prossimi pezzi, ma… volevo dire questo: noi siamo sicuri che è giusto e corretto che degli organizzatori di cultura – tipo Arte Fiera, tanto per farti un esempio – decidano che a un evento simile possano partecipare solo artisti tra i venti e i quarant’anni, insomma che a quarant’anni e mezzo non si possa più partecipare? Ti pare corretto che in un museo d’arte contemporanea, in un’istituzione acquistino opere intorno ai trecentomila euro di giovani non emersi ma emergenti, mentre ai nostri tempi si entrava in un museo perché c’era una ricognizione storica? Che cosa sta succedendo?

pl

— Sta capitando quello che accade in tanti altri campi, ovvero un’estrema volgarizzazione e banalizzazione. Siamo tutti vittime del massiccio lavaggio del cervello di cui parlavo prima, che nel campo dell’arte risponde a un’insana coalizione tra certi critici, certi mercanti e certe case d’asta che as

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spingono a prezzi inverosimili opere che tra dieci anni nessuno vorrà più neanche guardare. Io ricordo un caso classico, quello di Bouguereau, un classico pittore pompier della fine dell’Ottocento le cui opere costavano l’ira di Dio e di cui oggi nessuno neanche ricorda più il nome. Succederà la stessa cosa per tanti degli artisti che oggi nelle aste raggiungono prezzi assolutamente scandalosi. Pensate a quanto dovrebbero costare, allora, un Marcel Duchamp, un Picabia o tanti altri artisti veramente profetici delle avanguardie storiche che aspettano ancora di essere riconosciuti. È incredibile: giovincelli di trenta o quarant’anni senza alcuna storia alle spalle, né come pittori, né come esseri umani, che vendono a prezzi veramente strabilianti, è una cosa che non riesco a capire… È la vita… — Dopo questa panoramica, che ben conosciamo e che un conformismo generale accetta per motivi molto, molto pesanti, ti racconto una cosa che mi è capitata. Io, come ti dicevo poc’anzi, sono stato censurato perché parlando di certi oggetti di arte contemporanea ho detto: «Alcuni di questi pezzi potrebbero interessare Cesare Lombroso». E sono stato censurato. Mi hanno detto: «Tagliamo questa frase perché altrimenti fai brutta figura».

pl

— Ti devo dire una cosa: Cesare Lombroso, al di là di ogni altra considerazione, si è messo il dito nell’occhio fino al gomito perché non è assolutamente vero che la fisionomia di una persona riflette il suo Sé interiore. Esistono persone bruttissime fisicamente che di animo sono bellissime. Cesare Lombroso non mi piace, capisco perché l’hai citato, ma ci tenevo a fare questa precisazione! as

— Ecco senti, adesso parliamo di qualcosa di altrettanto serio, tutto è serio…

pl

as — Ma io ho paura che sia tardi e che stiamo abusando della pazienza del nostro pubblico…

pl

— È tardi? È molto tardi? Una sola domanda…

as

— Io sono disponibile fino a quando volete…

— Chiudiamo in poesia: Arturo Schwarz è un poeta – non so se accetti quello che diceva Montale del poeta laureato –, ma sei un poeta e un poeta

pl

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è un poeta sempre, però è sempre legato a uno spazio, alla metrica… Perdonami questo termine, ma visto che ti considero un poeta “globale”, nel momento in cui ti applichi alla poesia, versifichi… as

— No!

pl

— Non sono versi?

— Cioè, sono versi senza essere versi, nel senso che… La mia prima raccolta di poesie l’ho scritta a diciotto anni, incoraggiato in questo da Breton. La prima raccolta è stata pubblicata quando ne avevo venti o ventidue, non ricordo esattamente, si intitolava Avant que le coq ne chante – allora scrivevo in francese –, che vuol dire, come il titolo della raccolta di Pavese, Prima che il gallo canti. Per fortuna la mia è uscita due anni prima della sua, lui naturalmente non conosceva il mio testo, come io evidentemente non conoscevo il suo, che è uscito dopo. Poi ce n’è stata una seconda che si chiama Malgré tout e una terza, Choix de poèmes, e qui ho chiuso la mia attività di poeta in lingua francese. Mi ci sono voluti alcuni anni per ricominciare a scrivere poesie, ma questa volta in italiano. L’ultima raccolta, che è appena uscita da Moretti e Vitali, se non sbaglio s’intitola: Quattro passi con Spinoza, Breton… Scusatemi, non mi ricordo bene… Io non sono capace di recitare una mia poesia neanche due ore dopo che l’ho scritta perché già non me la ricordo più… as

— Pubblicale sempre, pubblicale tutte… Un’ultima domanda, poi chiudiamo: nella storia ci sono degli psicanalisti che hanno scritto poesie? Nessuno?

pl

as

— Può darsi, ma io non sono psicanalista, anche se…

— No, ma io non parlo di te. Che tu sappia… Per esempio, James Hillman non potrebbe mai scrivere delle poesie, no?

pl

as

— Non credo che ne abbia scritte, non ne conosco nessuna…

— Riassumendo, ci troviamo di fronte a un Arturo Schwarz, a un intellettuale assolutamente irregolare che – lo ripeto – non è un ex, né un post, che non ci darà mai una sua autobiografia perché non ha tempo…

pl

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Secondo me il fatto è che, non essendo un narciso, la cosa non gli interessa nel modo più assoluto. as — Aspetta, adesso ricordo il titolo della mia raccolta, si chiama: A spasso con Spinoza, Breton e Trotsky, mi pare, eh…

pl

— E Spinoza non c’è…

as

— No!

ge

— Grazie. Se ci sono domande dal pubblico…

as

— Sarò felicissimo di rispondere!

p — Io di mestiere faccio il giornalista, in campo tecnico, per dirla tutta nel settore automobilistico, e dopo aver sentito la definizione di collezionista, che mi ha un po’ turbato, volevo chiedervi: uno che, come me, non colleziona opere d’arte – cioè dipinti, statue –, ma oggetti meccanici, lo si può comunque definire “collezionista” senza entrare nel turpiloquio? as — In realtà no, ma ripeto, l’attività collezionistica è un’attività molto bella, comune e antichissima, e io ne ho un concetto particolare, ma sarei l’ultimo degli imbecilli se volessi applicarlo a tutti quanti. Io raccolgo per un determinato scopo, ma essendo, tra l’altro, anche anarchico, lungi da me voler imporre la mia filosofia di vita ad altri! Certo, nel caso di un filatelico… raccogliendo francobolli s‘impara una montagna di cose e devo confessarvi che io stesso ho una raccolta di francobolli israeliani che risale ai primi emessi dallo Stato di Israele nel 1948, ne possiedo anche alcuni di quando era ancora sotto il mandato britannico. Facendo questo imparo moltissimo, e poi c’è anche il piacere innato nell’individuo di esprimere se stesso attraverso le collezioni che vuole fare. Quindi, per l’amor di Dio, sarei l’ultimo degli imbecilli a voler condannare un’attività innata nell’essere umano, ma che può avere varie motivazioni.

p

— La ringrazio, vado via sollevato!

as

— Altre domande? Sì, c’è una persona là in fondo…

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p — Buonasera, mi presento, sono un giornalista. Come tale, però, faccio parte di una moltitudine di cui Spinoza aveva parlato, dicendo che il conatus è solo delle moltitudini. Quello che trovo un po’ stancante di questo tipo di discussione è che si resta sempre sulla dialettica del produttore, del soggetto che produce l’arte, del soggetto che fruisce l’arte e dei luoghi di questo rapporto tra soggetto e opera. Siccome è stato citato Spinoza e per lui le modificazioni sono solo delle moltitudini, forse parlare di soggetto è un problema: che senso ha un collezionismo privato a cui mancano dei luoghi dove i molti soli, in cerca di estetica, possano ritrovarsi? Manca un luogo pubblico della moltitudine e che questo asfittico rapporto tra collezionismo privato, mercato e opera d’arte del soggetto non riuscirà mai a oltrepassare finché non si porrà il problema dell’arte collettiva, del momento estetico come momento necessario ai molti soli e non all’individuo e alle masse… as — Io non vorrei mai approdare a una deriva utilitaristica. Credo che esistano molte attività dell’essere umano che non hanno nessun fine utilitario, se non il piacere di fare qualche cosa e quindi il piacere del collezionismo privato – che diventi o meno pubblico – è pienamente legittimo. Lei ha citato Spinoza, ma io posso citarle il punto in cui lui scrive che la felicità è la più alta espressione dell’essere umano, quindi se una cosa dà felicità non vedo perché debba avere un utile estrinseco al fatto di dare felicità ed è innegabile che il collezionista è felice quando trova qualcosa che accresca la sua raccolta. Perché condannarlo? Questa è un’etica sadomasochistica. Viva la felicità libera da ogni utilitarismo. p — Parlando dal punto di vista del collezionista, trova più intrigante partire dall’opera e scoprire tutto il mondo dell’artista oppure fare il percorso più tradizionale, ovvero conoscere meglio l’artista e poi arrivare all’opera?

— Entrambe queste attività sono giustificabili, uno può partire dalla conoscenza dell’artista per volerla approfondire e acquistare l’opera oppure acquistare un’opera e poi voler approfondire l’artista. Sono intercambiabili, valide entrambe e giustificabili entrambe. as

— Con questo credo che possiamo chiudere, non vorrei abusare del vostro tempo. Grazie ancora.

pl

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