Volume 1
Dagli incontri promossi dalla Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli le voci dei grandi nomi del collezionismo italiano per rendere il giusto tributo al fondamentale ruolo che svolgono all’interno del mondo dell’arte.
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1. Arturo Schwarz — Paolo Levi 2. Fulvio Ferrari — Gianluigi Ricuperati e Franco Noero 3. Patrizia Sandretto Re Rebaudengo — Cesare Cunaccia 4. Giuliana Setari Carusi — Marina Mojana Volume 2 1. Claudia Consolandi ed Emma Zanella — Francesca Pasini 2. Alberto Bolaffi — Bruno Ventavoli 3. Francesco Micheli — Beatrice Panerai 4. Giorgio Maffei — Angela Madesani Volume 3
Dal ciclo di conferenze organizzate dalla Pinacoteca Agnelli le interviste sul collezionismo: 1. Massimo e Angela Lauro — Guido Costa 2. Claudio Palmigiano — Marcella Beccaria 3. Enea Righi — Marco Scotini 4. Lidia Berlingieri Leopardi — Guido Costa
ISBN 978-99-6010-103-7
7 310 001 0 -6 ,0 88 12 8€ 97
ISBN 978-99-6010-103-7
9 788860 101037 9 788860 101037
Quaderni del collezionismo
1. Lucio Zanon di Valgiurata — Laura Cannavò 2. Gino Viliani — Andrea Viliani 3. Il collezionista anonimo — Bernard Berthod ed Elena Geuna 4. Giuliano Gori — Guido Curto
Quaderni del collezionismo 4
Quaderni del collezionismo
© 2013 Johan & Levi Editore www.johanandlevi.com Impaginazione Cinzia Morisco Progetto grafico Silvia Gherra Per i testi © gli autori isbn
978-99-6010-103-7
Il presente volume è coperto da diritto d’autore e nessuna parte di esso può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti d’autore.
FONDAZIONE PINACOTECA DEL LINGOTTO GIOVANNI E MARELLA AGNELLI Fondatori / Founders Giovanni Agnelli Marella Caracciolo Agnelli Margaret Agnelli De Pahlen John Elkann Lapo Elkann Ginevra Elkann Paolo Fresco Gianluigi Gabetti Francesca Gentile Camerana Franzo Grande Stevens Alessandro Nasi
Segretario / Secretary Gianluca Ferrero Collegio Sindacale / Board of Syndics Mario Pia, Presidente/President Luigi Demartini Pietro Fornier Direttrice / Director Marcella Beraudo di Pralormo Segreteria / Secretary Emma Roccato, Elena Olivero
Comitato Direttivo / Board of Directors Presidente Onorario/ Honorary President Marella Caracciolo Agnelli
Amministrazione / Administration Mara Abbà
Presidente / President Ginevra Elkann
Ufficio Stampa / Press office Silvia Macchetto
Membri / Members Gianluigi Gabetti John Elkann Lapo Elkann Filippo Beraudo di Pralormo Sergio Marchionne
Assegnista di ricerca, Sala di Consultazione / Library Marta Barcaro Main Sponsor
Quaderni del collezionismo 4
Sommario
Interviste:
1. Massimo e Angela Lauro — Guido Costa
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2. Claudio Palmigiano — Marcella Beccaria
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3. Enea Righi — Marco Scotini
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4. Lidia Berlingieri Leopardi — Guido Costa
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Profili biografici
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Massimo e Angela Lauro Guido Costa
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Introduzione
1.
gc
Guido Costa — ml
Massimo Lauro — al
Angela Lauro — p
Intervento del pubblico
Massimo e Angela Lauro dialogano con Guido Costa Conferenza presso la Sala di consultazione, 24 ottobre 2012
gc — Buonasera. Prima di iniziare la conversazione con Massimo e Angela Lauro volevo raccontare un po’ la sua storia di collezionista e gallerista cercando di ricostruire un percorso unico in Italia per molte ragioni: sia per una questione squisitamente di gusto che per una questione di capacità nel realizzare esperimenti d’arte. Ma non solo. Devo anche premettere subito una cosa: io ho un grande debito di riconoscenza nei suoi confronti perché abbiamo lavorato insieme per diversi anni e molto di quello che ho fatto lo devo proprio alla possibilità di aver dialogato con lui, soprattutto nel periodo napoletano. La storia di Massimo Lauro è una storia che s’intreccia con quella di una città, Napoli, che per tanti motivi, soprattutto dagli anni settanta in poi, ha rappresentato un punto di riferimento importante nell’arte contemporanea italiana ed è stata un crocevia internazionale di esperienze, mostre, incontri. Massimo nasce in una famiglia in cui l’arte era sempre stata presente: la madre negli anni sessanta aveva fondato una galleria che per lungo tempo è rimasta fondamentale per chi iniziava ad affacciarsi a questo mondo. Si chiamava Il Centro e, precedente all’esperienza di Gianni Amelio, fissò una serie di punti importanti all’interno della storia e della cultura locale. Francis Bacon, un nome fra tutti, arrivò a Napoli proprio grazie a questa galleria.
ml
— Anche Marcel Duchamp…
gc — Esatto. E dopo questo apprendistato familiare Massimo iniziò a collezionare molto giovane, avvicinandosi ovviamente a quelli che in quegli anni erano gli indirizzi più importanti, ovvero da un lato Lucio Amelio e dall’altro Lia Rumma. Le basi della sua collezione – una collezione ampia, molto articolata e di grande interesse – nascono all’ombra delle scelte di
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questi due galleristi così importanti non soltanto per Napoli ma per l’Italia in generale. Questo fino ai primi anni novanta. Parallelamente, Massimo si avvicina molto anche alle grandi gallerie statunitensi: del resto l’arte contemporanea americana è stata da sempre un suo interesse specifico, e la ritroviamo anche nell’ultima versione della collezione che è il Giardino dei Lauri. Agli inizi degli anni novanta, quindi, Massimo, insieme a Guido Cabib, decise di staccarsi da una sorta di sudditanza intellettuale e di mercato rispetto alle realtà locali e di fondare una propria galleria: una galleria commerciale, aperta alla vendita delle opere. Il tentativo fu quello di diffondere in Italia le sperimentazioni più interessanti e innovative dell’arte statunitense cercando di aprire una specie di territorio del gusto, capace di sviluppare cultura e interesse, che aveva a che fare soprattutto con la fotografia. Proprio in quegli anni, infatti, essa stava prepotentemente entrando a far parte dell’orizzonte dei collezionisti uscendo dalla propria nicchia di sorella minore delle arti visive per eccellenza. In sintesi, Massimo e Guido si posero due grandi obiettivi: arte americana e fotografia. La galleria, Theoretical Events, ebbe un grande successo. — Sì, però non eravamo molto bravi a vendere. Il nostro miglior cliente ero… io!! ml
— Grande nel senso che da quando fu aperta, nel 1994, alla sua chiusura, nel 1999, Theoretical Events si guadagnò un posto importante all’interno non soltanto del panorama galleristico italiano, ma di quello internazionale. Presentò in Italia una serie di artisti che probabilmente nessun’altra galleria aveva mai ospitato prima: Carsten Höller, Nan Goldin, Richard Prince, John Baldessari, Damien Hirst, Hiroshi Sugimoto… insomma, il meglio di quegli anni. gc
— Un’altra cosa che facevamo era invitare gli artisti a esporre a Napoli, e quindi a concepire progetti site-specific per la galleria. Nan Goldin, per esempio, realizzò 10 anni dopo – dall’86 al ’96. Chiedevamo loro di produrre per noi, non erano mostre preconfezionate. ml
gc — In quel periodo l’idea di una galleria che si faceva carico di un progetto specifico indipendentemente da ciò che era già stato esposto altrove era una cosa abbastanza nuova e fu una delle ragioni per cui Theoretical Events ebbe tanto successo. Non dimentichiamoci poi che si trovava in
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Quaderni del collezionismo — 4
piazza del Gesù, nel cuore antico di Napoli – uno scarto dal punto di vista urbanistico – permettendo a molti napoletani di avere per la prima volta un rapporto positivo con il centro storico. Ecco quali furono i fattori decisivi: riconquistare culturalmente una parte della città e fare in modo che artisti stranieri vivessero lì e producessero opere dedicate a Napoli o connesse a essa. Furono anni importanti, con mostre di grande rilevanza. Riguardo all’aspetto commerciale sono d’accordo con te, ma è anche vero che una galleria di solito ha bisogno di cinque o sei anni per iniziare a guadagnare, mentre in questo caso la storia di Theoretical Events dopo quel lasso di tempo finì. ml — Hai ragione, anche se noi eravamo proprio negati. Tu eri bravo, ma io ogni volta che vendevo qualcosa era come un pezzo di cuore che se ne andava. gc — Partendo proprio dalla storia di Theoretical Events volevo toccare una serie di questioni in modo che tu possa raccontare un po’ i retroscena della galleria. Proprio la Pinacoteca Agnelli fornisce un ottimo pretesto: è appena finita la mostra di papiers roulés con la collezione di Nan Goldin, e a breve inizierà quella sulla raccolta privata di Damien Hirst, entrambi esposti per la prima volta in Italia a Napoli.* Due mostre estremamente complesse e sofferte, ma fondamentali. Raccontaci qualcosa. ml — La mostra di Damien fu costruita tutta intorno a un mio desiderio. Nel 1991 ero andato a vedere da Jay Jopling – a casa, non aveva ancora il White Cube – alcune opere di Damien Hirst e rimasi colpitissimo. Facevano parte della prima mostra che Damien aveva fatto alla Saatchi Gallery. Mi convinsi che allora dovevo assolutamente comprare un animale in formalina, volevo la pecora, ma in quel periodo Damien non faceva più quel tipo di lavori perché non aveva i permessi. Così aspettammo quattro anni, e poi allestimmo l’esposizione a Napoli. Damien, però, l’ha riconosciuta solo come organizzata dal suo gallerista, Jay Jopling, con un po’ di delusione da parte nostra. Era un momento particolare, precedente alla mostra di Damien alla
* Quando ha avuto luogo questa conversazione, a fine ottobre, alla Pinacoteca era appena terminata la mostra “Meraviglie di carta. Devozioni creative dai monasteri di clausura”, a cura di E. Genua. Di lì a poco, il 10 novembre, si sarebbe inaugurata “Works from Damien Hirst’s Murderme Collection”, che si è conclusa il 10 marzo 2013.
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1. Massimo e Angela Lauro — Guido Costa
Gagosian: loro non avevano ancora i soldi per la preparazione delle opere, mentre noi riuscimmo a produrre Away from the Flock, la famosa pecora. Ma non vorrei vantarmi, voglio solo cercare di trasmettervi un po’ della mia passione: nel 1994 comprare una pecora divisa in due e metterla nel proprio salotto era veramente impegnativo... La cosa divertente fu cambiare la formalina. Era un’opera fatta in loco e al momento della vendita solo il trasporto, fatto da assistenti di Damien, da Città della Pieve a New York costò agli acquirenti circa centotrentamila dollari. Noi, invece, la curavamo teneramente con una sistola e una pompetta. Il nostro atteggiamento nei confronti dell’arte era molto più semplice. gc — Ricordo quando arrivò in galleria, avevamo l’incubo di doverla montare. Era divisa a metà dentro un enorme pacco sottovuoto: bisognava toglierla da questo vacuum e inserire una specie di lama su cui era montata una metà della pecora e fissata su due lastre di plexiglass, da inserire in altrettanti box di cristallo. Quindi, occorreva riempire il tutto con una soluzione di acqua distillata e formaldeide.
— La prima cosa difficile fu costruire una pedana per distribuire meglio il peso: la galleria si trovava in un vecchio palazzo, non ci fidavamo molto della sua tenuta, in più eravamo al quarto piano. ml
gc
— Avevamo paura che la pecora precipitasse!
ml — Guido era terrorizzato, la mostra piacque molto e vennero migliaia di persone.
al
— Avete anche dovuto tagliare la ringhiera.
— Sì, abbiamo tagliato la ringhiera e tirato su la pecora con una gru. Se non ricordo male, Guido ha filmato tutto. ml
— Avere la possibilità di allestire una simile opera fu un’avventura unica e irripetibile... a parte il terrore rappresentato dalla formaldeide, una sostanza altamente volatile e cancerogena. gc
— Però era molto diluita, credo al cinque per cento. Damien, quella sera, disse a Guido che c’era anche da tenere presente una fotografia. Una ml
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Quaderni del collezionismo — 4
fotografia molto speciale. E alla fine è stato l’incontro che ti ha cambiato la vita... gc
— Proprio così.
ml — Si trattava di Nan Goldin, a lei ti sei dedicato anima e corpo. Mi ricordo che una sera a New York ci fece fare una figuraccia terribile. Eravamo tutti a cena, Nan è una donna molto vitale, rideva, scherzava, attirando su di noi l’attenzione dell’intero ristorante. All’improvviso cambiò umore e iniziò a piangere a dirotto, così tutti ci guardavano per sapere cosa le avevamo fatto e noi a scaricarci la colpa l’un l’altro. E tu Guido hai dovuto gestirla. gc — Tornando alla mostra, fu un evento molto importante perché presentò sue opere inedite, mai viste o pubblicate prima, e fu anche l’inizio di una “storia di vicinanza” di Nan all’Italia che dura tuttora. È stato un momento cruciale per la galleria perché i primi tempi fu difficile proporre fotografia al pubblico dei collezionisti italiani, sia perché l’idea di un’opera in edizione multipla è complicata da digerire per chi investe molto denaro nell’acquisto, sia perché spesso la garanzia del controllo sui numeri delle edizioni lascia un po’ a desiderare. Non dimentichiamoci che in quegli anni nel nostro paese, a differenza che in Francia o in America, l’idea del materiale fotografico come materiale di valore artistico non era ancora stata compresa appieno. È un gap che sussiste tuttora, ma in quel momento noi lo sentimmo molto. ml — I nostri amici non riuscivano a capire la macchina fotografica come
mezzo artistico, preferivano una pennellata su una tela. Secondo loro non era equiparabile all’arte, quindi mi ripetevano che era tutto bellissimo ma che non avrebbero mai comprato fotografie. Adesso però le collezionano tutti. gc — Li hai educati tu. Mi ricordo il caso di Richard Prince. Avevamo fatto una grande retrospettiva quando ancora non era considerato una star dell’arte americana contemporanea e avevamo tutta una serie di fotografie come i “Marlboro Cowboys” o i “Bikers”. I collezionisti ci chiedevano perché avrebbero dovuto spendere tanti soldi per un “poster”, e all’epoca per tanti soldi s’intendevano nove milioni di lire, mentre adesso una foto di quelle serie vale minimo trecentomila dollari.
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1. Massimo e Angela Lauro — Guido Costa
— Un nostro amico aveva regalato alla figlia un’opera di Richard Prince, poi venne da me e mi chiese di spiegarle che cosa fosse perché lei si rifiutava di appenderlo in casa. Era un’opera d’arte pazzesca, oltre tutto un pezzo unico, non un multiplo. L’ha apprezzata solo più avanti, quando l’ha rivenduta. Era più sensibile agli affari che alla qualità estetica. ml
— Un altro nome molto importante nella tua storia di collezionista e gallerista, che ci porta al secondo step della tua vita, al dopo Napoli, è Jeff Koons. Ti sei interessato a lui da sempre, fin da quando era poco conosciuto, e lo sei tuttora, vero? gc
ml — Assolutamente. L’ho conosciuto quando aveva litigato con Cicciolina, che all’epoca era sua moglie. Aveva appena iniziato la produzione di “Celebration” ma era talmente perfezionista che non riusciva a dare l’okay alle opere. Aveva uno studio pazzesco a Broadway e quando ci andai vidi ventisette persone lavorare su enormi tele bianche con pennelli minuscoli. Qui alla Pinacoteca nella collezione Murderme di Damien Hirst ho visto un suo quadro, ma quelli che vidi realizzare io in quell’occasione sono precedenti. Jeff è una persona affascinante, ti riceveva nel suo studio e si metteva a spiegarti tutto quello che faceva. Io e mia moglie pendevamo dalle sue labbra, ma dopo un’ora di conversazione vedevi un’ombra scendere sui suoi occhi e lui ci chiedeva di andar via, anche se noi avremmo fatto di tutto per restare. Era come se un sole si spegnesse. Fu un periodo divertente, certo non per il gallerista di Jeff, Jeffrey Deitch, che patì moltissimo.
gc
— Di Jeff Koons hai fatto anche una mostra.
— Sì, dopo i quattro anni da Sonnabend di cui vi parlavo prima Koons non ebbe un successo immediato, e noi riuscimmo ad approfittarne. Quando lo incontrammo a New York non aveva ancora finito i suoi quadri. Mia moglie il giorno dopo mi svegliò e mi disse che se non li avessi comprati me ne sarei pentito per tutta la vita. Così chiamammo Jeff alle 8.30 di mattina per comunicargli che volevamo prenderli. ml
— Altre due persone importanti nella tua storia sono Ileana e Antonio. Raccontaci qualcosa di loro. gc
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Quaderni del collezionismo — 4
ml — Ileana Sonnabend e Antonio Homem erano come una famiglia. Passa-
vamo insieme una settimana all’anno, ad agosto, a Venezia, dove Ileana possedeva una casa. Si cenava presto, verso le 18.30, ma casa loro era sempre piena di artisti come Sugimoto, Baldessari, Bernd e Hilla Becher. Ileana è stata determinante per la mia carriera di collezionista perché mi ha insegnato a essere curioso e ad andare avanti. Sia i galleristi sia i collezionisti sono molto legati alla loro storia, a ciò con cui hanno avuto successo, e così continuano a fare le stesse cose. Sono pochi quelli che ce la fanno. Mi ricordo che durante una di queste cene le parlai di una coppia di artisti che lei non conosceva, Noble & Webster. Ci rimase malissimo, si chiese come mai non ne sapesse nulla e mi disse che il giorno dopo si sarebbe documentata per sapere tutto di loro. All’epoca aveva novantuno anni, era molto curiosa, sempre aperta al nuovo. Per la sua galleria, infatti, ha voluto grandi personaggi come Jasper Johns, Robert Rauschenberg e Andy Warhol, fino ad arrivare a Jeff Koons, Peter Halley, Sugimoto, Baldessari. Era una grandissima collezionista. gc — Mi ricordo una cerimonia del tè con lei, officiata da una giovanissima Mariko Mori.
ml
— Sì, Mariko Mori fece una performance alla mostra di Sugimoto.
— Ormai siamo arrivati al secondo capitolo della vita di Massimo come gallerista. Nel 1999 l’avventura napoletana finisce e la galleria di piazza del Gesù viene chiusa. gc
— In sostanza, venne venduto l’appartamento, e poi Guido voleva ritornare a Torino. I due capisaldi della galleria non c’erano più, spostarla in un altro spazio non sarebbe stata la stessa cosa. ml
gc — Inizia quindi la fase milanese, durata all’incirca tre anni. A Milano hai
aperto una nuova galleria, No Limits, dove sono state allestite grandi mostre. — Sì, abbiamo ospitato Ashley Bickerton, Jeff Koons e parecchie altre cose interessanti. ml
gc — Nel frattempo la tua collezione cresceva, perché di ogni piccolo passo della storia della galleria napoletana ti rimaneva qualcosa. Anzi, di solito le più importanti.
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1. Massimo e Angela Lauro — Guido Costa
— Esatto. Poi nel 2005-2006 ho deciso di cambiare vita. Era ora di smetterla con il lavoro di broker assicurativo a Napoli e di incrementare le mie attività in campagna. Avevo accumulato tante opere perché, come Ileana, ho cercato di proseguire, sebbene con gli artisti della generazione successiva alla mia sia stato molto più difficile. Così è nato il Giardino dei Lauri, un progetto molto sentito e molto complicato, inoltre le opere erano quasi tutte installazioni e non sapendo dove metterle ho utilizzato un capannone, quello in cui mio padre produceva il vino. Ho iniziato allestendo la prima stanza, montando la casetta di pane di Urs Fischer, comprata nel 2004. Avevo tentato di prestarla a qualche museo ma non l’aveva voluta nessuno per via della scarsa notorietà di Urs. Una volta montata la casetta, il resto è venuto da solo. Ora il Giardino del Lauri è aperto al pubblico, gratuitamente, ed è stato inserito nel circuito museale dell’Umbria. Anche questo è stato un episodio divertente perché alla Regione non riuscivano a capire che cosa volessi da loro visto che non chiedevo soldi. L’assessore spedì la direttrice dei musei umbri a vedere e così capirono che non volevo fare una galleria commerciale, infatti organizziamo laboratori didattici per i ragazzini delle scuole elementari. ml
gc
— Raccontaci brevemente quali opere ospita il Giardino dei Lauri.
ml — Ci sono artisti come Davide Rivalta, Ugo Rondinone, Urs Fischer,
Maurizio Cattelan, Brigitte Nahon, Takashi Murakami, Kristin Baker... Poi abbiamo un’installazione di Noble & Webster molto particolare: una specie di gabbia di vetro che contiene dollari. Inserendo un gettone nella fessura i dollari iniziano a volare, si chiama Instant Gratification. Il pezzo forte del Giardino dei Lauri, però, è il video di Banks Violette: un cavallo che galoppa nella prateria proiettato su un muro di vapore che scende dall’alto, cosa che lo rende un’opera molto eterea. Un’altra opera significativa è quella di Ugo Rondinone, perché rappresenta un momento della mia vita in cui non sapevo bene cosa fare. — Hai detto che a un certo punto hai guardato oltre la tua generazione, collezionando artisti più giovani, non dico esordienti ma comunque agli inizi. Un tempo avevi come riferimento Sonnabend e una serie di altre gallerie di New York ancora in attività, ma ora immagino che ti interessino meno. gc
ml
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— Sì, mi concentro su altro.
Quaderni del collezionismo — 4
— Per moltissimi anni hai anche collaborato con un advisor che ha segnato molte delle tue scelte. Adesso quali sono i tuoi riferimenti dal punto di vista galleristico per le nuove acquisizioni? gc
ml — Ora ho la fortuna di avere una figlia che vive in America, quindi riesco ad andare a New York più spesso, mentre prima avevo bisogno di persone che mi segnalassero i nuovi artisti da vedere. Adesso alle mostre dei giovani ci vado di persona. A parte la galleria Massimo De Carlo, che ha cambiato molto la sua prospettiva nel corso degli anni, frequento nuove gallerie come la Team Gallery o Bortolani a New York. gc — Ripensando al primo lavoro che hai acquistato per tuo figlio, Entire Roll, di Leigh Ledare, mi sono venute in mente le parole di Ileana Sonnabend: «In realtà i soldi li ho guadagnati grazie alle opere che nessuno voleva». In un certo senso anche tu secondo me hai sempre scelto e comprato opere che nessuno voleva, quelle più complicate, più dure, più ambiziose. Pensi che sia una logica interessante da seguire per un collezionista?
— Da un punto di vista collezionistico sì, da un punto di vista commerciale no, perché se nessuno le vuole è difficile venderle. Adesso c’è una visione completamente distorta dell’opera d’arte: per esempio le pillole nello scaffale di Damien Hirst valgono più della pecorella, cosa che trovo davvero raccapricciante. La pecora rimane il pezzo forte nella storia di Damien, ma il rapporto è di 1 a 6. ml
gc
— Intendi dal punto di vista delle quotazioni…
ml — Sì. Ormai l’arte se non è piacevole, se non è bella, non funziona nelle vendite. Si è rivoluzionato il gusto. gc — Vorrei farti un’altra domanda riguardo al mercato. So che tu non sei un collezionista che ama comprare in fiera e in asta, ma cosa ne pensi della situazione attuale dove invece proprio le aste e le fiere sembrano essere diventate il punto di passaggio obbligato mettendo così in ombra il lavoro delle gallerie?
— Credo sia giusto così perché le case d’asta raggiungono molte più persone di una galleria. A me personalmente piace acquistare gli artisti ml
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1. Massimo e Angela Lauro — Guido Costa
prima che arrivino a essere quotati in un’asta. Comprare alle fiere per me è un problema perché vedo solo un paio di pezzi dell’artista e non una mostra completa, quindi non capisco se sto comprando una cosa eccezionale, soprattutto se non seguo già quella determinata persona. In fiera sei bombardato, vedi migliaia di opere ed è difficile fare una scoperta. La funzione del Giardino dei Lauri è anche questa, conoscere e avere un contatto diretto con gli artisti. Quando ho iniziato negli anni novanta c’erano diverse categorie di collezionisti. C’era quello che comprava, per esempio, arte americana fino a millecinquecento dollari, scopriva artisti nuovi e quando diventavano famosi li rivendeva per dieci, quindicimila dollari. Invece adesso quando i grandi collezionisti comprano un’opera, per esempio un Dan Colen, l’aumento dei prezzi è immediato. Se, mettiamo, François Pinault si muove e compra cinque quadri, il prezzo sale subito. Bisogna arrivare prima di loro ed è molto più rischioso, oltretutto la crisi non ha fatto che peggiorare la situazione. gc
— Hai qualche rimpianto?
— Parlare dei miei rimpianti è la cosa che mi diverte di più, ne ho a decine. ml
gc
— Il rimpianto più rimpianto?
ml — Félix Gonzáles-Torres. Avrei potuto comprarlo in due occasioni per cifre importanti ma comunque fattibili, però all’epoca non ero un collezionista che potesse aspirare a grandi capolavori. Mi avevano proposto un manifesto: rappresentava il letto di Félix con l’impronta della testa del suo amante sul cuscino. Il problema erano le dimensioni, tre metri per sei, e Félix voleva che fosse esposto in città, quindi avrei dovuto comprare anche uno spazio espositivo. Sinceramente non ho avuto il coraggio di farlo. È un grande rimpianto perché era un pezzo iconico.
gc
— E invece per quanto riguarda il futuro?
ml — Al Giardino dei Lauri allestiamo due mostre l’anno di arte giovane in una chiesa sconsacrata di Città della Pieve. È una chiesa barocca ma completamente bianca, quindi si presta molto bene alle installazioni contemporanee. Un’idea in cantiere è costruire un grande museo progettato da un
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Quaderni del collezionismo — 4
architetto italiano. È difficile, ma l’intenzione sarebbe di organizzare le due mostre in quella sede oppure di fare un accordo con un museo americano per la gestione. gc — Riguardando tutta la tua storia, in che modo l’arte ti ha cambiato la vita?
— L’ha cambiata completamente. È stata, ed è tuttora, una passione ossessiva. Mia moglie capiva sempre quando stavo per comprare un’opera perché non dormivo la notte. Mio figlio una volta da piccolino mi chiese di comprargli un paio di scarpe da ginnastica invece che altre opere. Tutta la famiglia era devota. Non facevamo altro che comprare opere. ml
gc
p
— Bene, se qualcuno ha delle domande, Massimo è qui per rispondere.
— Qual è il rapporto tra lei e sua moglie nell’acquisto delle opere?
al
— Zero!
ml — Il racconto di prima su Jeff Koons è indicativo. Avevamo aspettato quella mostra per ben quattro anni e quando entrammo alla Sonnabend Gallery Jeff doveva ancora terminare alcuni quadri previsti per la mostra. Io mi ero fissato su uno specchio perché costava di meno, ma come vi ho già raccontato fu mia moglie a insistere. E quando il quadro arrivò, alla fine mi commossi. p — Ci sono state altre opere che le hanno dato le stesse emozioni della pecora? ml — Il video di Banks Violette, perché è un’altra opera molto difficile. Però tutte le opere sono emozionanti.
al
— Anche l’opera dell’artista israeliana Brigitte Nahon?
ml — Sì, anche quella. È un’installazione in acciaio inossidabile che rappresneta delle foglie di lauro, però specchianti, bucate e che ribaltano la realtà. È stata fatta in quindici giorni di lavoro grazie a un lavoro di équi-
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1. Massimo e Angela Lauro — Guido Costa
pe. Anche l’opera di Murakami, che è stata ferma due anni perché era in restauro in Giappone ed è stata completamente rifatta. Ripeto, quasi tutte le opere sono un’emozione. p
— Che rapporto ha con l’arte antica?
ml — L’arte antica mi piace, ma essendo così appassionato voglio sempre il meglio e non posso collezionare tutto. La base, però, è quella, anche perché in famiglia avevamo arazzi importantissimi. L’arte antica è essenziale.
p
— Quindi, potendo, acquisterebbe anche arte antica?
ml — Certo. Mi sono dedicato all’arte contemporanea, ma vado a vedere mostre su Raffaello e Michelangelo. Comunque abbiamo alcuni pezzi antichi a casa, ma non li collezioniamo. p — Ci sono opere antiche che secondo lei sono più contemporanee del “contemporaneo”?
ml
p
— Assolutamente sì.
— Cosa ne pensa dell’Arte Povera?
ml — L’Arte Povera la comprava mia madre. Ci sono entrato in contatto in un momento in cui io non ero ancora un collezionista. Ho iniziato negli anni novanta, e a quel tempo andava la fotografia. L’Arte Povera non me la potevo permettere. Il primo acquisto che ho fatto, cercando di copiare mia madre, è stato un’opera di Piero Dorazio. Poi, arrivato a casa, mi sono reso conto di aver fatto una sciocchezza: avevo troppi pochi soldi per comprare un buon Dorazio. È stato in quel momento che ho capito di dover seguire la mia generazione, che nel 1990 era, per esempio, Cindy Sherman. L’Arte Povera aveva già detto tutto. Collezionare è scegliere, nessuno si può permettere tutto, nemmeno Pinault. Io ho scelto di essere contemporaneo. p — Chi preferisce tra Cattelan e Hirst? A quale dei due è più affezionato e chi di loro, secondo lei, può dare di più al sistema dell’arte contemporanea attuale?
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Quaderni del collezionismo — 4
— Insieme a Jeff Koons e Richard Prince, Cattelan e Hirst rappresentano le grandi strade dell’arte contemporanea. Penso che la scelta di Cattelan di smettere di produrre sia positiva, la mostra al Guggenheim ha mostrato tutta la sua opera ed è stata fantastica. Molti artisti vivono una sorta di parabola, Hirst non è più lo stesso dello squalo. È un artista straordinario ma la mucca con le corna d’oro è una ripetizione. Il teschio di diamanti, invece, è stato un gesto eclatante e un’opera geniale, perché era esattamente quello che voleva il mercato in quel momento. Anche Cattelan è geniale, ironico e soprattutto simpatico. ml
p
— Lei ha qualche opera di Cattelan?
ml
— Sì, possiedo il bambino impiccato, che non è un’opera semplice.
— L’arte non è mai semplice. È geniale e la genialità non è mai stata semplice. p
ml — Purtroppo invece adesso funziona molto il commerciale. Ci sono pochi artisti di grande forza. Il mercato segue molto la moda e le cose facili.
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1. Massimo e Angela Lauro — Guido Costa