Karpòs Agri-Cultura n. 2 - 2017

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Anno III - Agri-Cultura N° 2 - 2017

KARPÒS

AGRI-CULTURA

MELE: CROCCANTI, SUCCOSE, AFFACCIATE ALLE ALPI PRENDONO IL SAPORE DEL SOLE

KIWI: IL SUCCESSO DI UNA COLTURA CHE VIENE DA LONTANO

I PAESAGGI DELLA MELA E LE CULTURE STORICHE

IL ROMANZO DELLA FÈRULA

I PAESAGGI DEL KIWI E LE CULTURE STORICHE


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KARPÒS AGRI-CULTURA N. 2 - 2017

Direttore editoriale Renzo Angelini

6 MELE CSO - Speciale Freshness

Direttore responsabile Lamberto Cantoni Iscr. trib. di Forlì n° 3/12 del 4/5/2012 Proprietario ed editore della testata Karpòs S.r.l. Via Zara 53 - 47042 Cesenatico (FC) P.I./C.F. 04008690408 REA 325872 Hanno collaborato a questo numero Antonella Bilotta Laura Fafone

22

Amministrazione Milena Nanni

I PAESAGGI DELLA MELA E LE CULTURE STORICHE CSO - Speciale Freshness

38 KIWI CSO - Speciale Freshness


Per le fotografie Pag. 66-67, da pag. 72 a pag. 75, da pag. 78 a pag. 84 @ Pasquale Viggiani

48

Foto di copertina © Thermoflora

I PAESAGGI DEL KIWI E LE CULTURE STORICHE CSO - Speciale Freshness

Tutte le altre fotografie © Renzo Angelini

L’editore ha cercato di reperire tutte le fonti, ma alcune restano sconosciute. L’editore porrà rimedio, in caso di segnalazione, alle involontarie omissioni o errori nei riferimenti.

https://twitter.com/KarposMagazine

https://www.facebook.com/karposmagazine1

66 IL ROMANZO DELLA FÈRULA Pasquale Viggiani

KARPOS

KARPÒS ALIMENTAZIONE E STILI DI VITA

www.karposmagazine.net

Non si restituiscono testi, immagini, supporti elettronici e materiali non espressamente richiesti. La riproduzione anche parziale di articoli e illustrazioni è vietata senza espressa autorizzazione dell’editore in mancanza della quale si procederà a termini di legge per la quantificazione dei danni subiti. L’editing dei testi, anche se curato con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali errori o inesattezze, limitandosi l’editore a scusarsene anticipatamente con gli autori e i lettori. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero di chi lo ha scritto e pertanto ne impegna la personale responsabilità. Le opinioni e, più in generale, quanto espresso dai singoli autori non comportano alcuna responsabilità da parte dell’editore anche nel caso di eventuali plagi di brani da fonti a stampa e da internet. Karpòs rimane a disposizione di altri eventuali aventi diritto che non è stato possibile identificare e contattare.


MELE

*

CROCCANTI, SUCCOSE, UNA PER OGNI GUSTO, AFFACCIATE ALLE ALPI LE MELE PRENDONO IL SAPORE DEL SOLE * da Speciale Freshness

6 MELE


7 MELE


La patria natale della mela sono i monti dell’Asia centrale, l’odierno Kazakistan. Attraverso poi il Medio Oriente, la mela giunse in Egitto, in Grecia ed in Italia dove

oggi si concentra la maggiore produzione europea. Favorita poi dalla storia e dalla posizione geografica le mele concentrate nella valle

8 MELA MELE


più a lungo presero la strada per la Russia, alla corte degli zar. La nascita del commercio moderno destinato all’esportazione della frutta è datato 1867 con l’entrata in

dell’Adige iniziarono ben presto ad essere esportate. Corrieri speciali portavano la frutta fresca e conservata alle corti austriache. Più tardi le varietà che si conservavano

Veduta aerea della valle dell’Adige

9 MELE


funzione della ferrovia del Brennero. Assieme alla canalizzazione del fiume Adige fu il più grande cambiamento nella direzione di una riorganizzazione dell’agricoltura a

favore della frutticoltura. Questa specifica condizione territoriale dell’area italiana del Trentino Alto Adige ha fatto sì che in Italia siano stati riconosciuti alla mela ben cinque

Meleti in Val Venosta

10 MELE


certificazioni di qualitĂ di cui quattro IGP e una DOP. Le mele europee di origine alpina non sono solo il frutto di una natura intatta, ma di

una parte importante della tradizione e della cultura del territorio che ha reso possibile negli anni il radicamento di una qualitĂ impareggiabile.

11 MELE


Modalità di coltivazione e unicità del prodotto Le mele alpine d’Europa sono coltivate secondo le più recenti ed avanzate tecniche agronomiche nel rispetto dell’ambiente e della salute dell’uomo e nel rispetto di una tradizione millenaria che affonda le sue radici nella storia d’Europa. Le varietà presentano peculiarità riconoscibili in termini di serbevolezza e conservabilità:

la Golden Delicious si distingue per croccantezza e succosità della polpa; la Renetta del Canada assume diversa consistenza e differenti sapori a seconda dell’epoca del consumo, passando da polpa croccante e decisamente acidula fino a polpa pastosa e dolce; la Red Delicious è caratterizzata da una polpa più pastosa e presenta un gusto prevalentemente dolciastro.

12 MELE


13 MELE


La gamma varietale delle mele presenta altre numerose cultivar adatte ad ogni gusto e ad ogni stagione. Royal Gala Gala Fuji Granny Smith Braeburn Jonagold Topaz Morgenduft Winesap

Idared Elstar Pinova Pink Lady速 Kanzi速 Rubens速 Jazz速 Modi

14 MELE


15 MELE


16 MELE


MELE

17

MELA: Coltivazione in Europa e TOP 5 Paesi (Ha) - Fonte: EUROSTAT 2012

2013

2014

Francia

1.169

1.576

1.444

Germania

972

804

1.116

Ungheria

750

585

920

Italia

1.939

2.122

2.456

Polonia

2.900

3.170

3.750

10.095

10.929

12.568

Totale UE28


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VITASEVE è un formulato speciale, risultato della tecnologia GEAPOWER (GEA 841), in grado di stimolare, nel tronco, l’attività del cambio, responsabile della produzione di legno nuovo e di vasi conduttori linfatici. Utilizzato con costanza ad ogni ciclo colturale, VITASEVE promuove la produzione di legno efficiente ed una ottimale circolazione linfatica nella vite e piante arboree. VITASEVE evita il precoce invecchiamento degli impianti che causa la riduzione della durata, capacità www.valagro.com produttiva e quindi della redditività degli impianti.


GARANTIRE LA PRODUZIONE ANCHE IN PRESENZA DI MALATTIE DEL LEGNO Il problema: l’invecchiamento e l’efficienza del legno nella vite e nelle colture arboree da reddito. Le problematiche legate all’invecchiamento e all’efficienza del legno nella vite e nelle colture arboree si stanno diffondendo da anni in diversi Paesi, tanto da comportare un importante impatto economico. A livello mondiale le perdite economiche per la sostituzione delle piante morte a causa delle malattie del legno sono state stimate in 1,5 bilioni di dollari (Hofstetter et al., 2012). Il mondo scientifico sta indagando sulle cause delle malattie del legno, ma attualmente sembrano confermarsi le ipotesi che mettono in relazione la manifestazione dei sintomi con la perturbazione dei flussi di linfa causata dalla presenza dei funghi nei vasi, dalle ferite di potatura e da alcuni stress climatici. In un quadro così complesso non è facile individuare una cura specifica ed efficace. I sintomi di deperimento sono determinati oltre che dai funghi presenti anche in

maniera significativa dai fattori esterni che condizionano la fisiologia della pianta. A oggi non esiste un trattamento efficace contro le malattie del legno, vista la complessità del problema e la diversità delle comunità fungine. Si può soltanto prevenirle puntando all’equilibrio vegeto-produttivo e potando nel rispetto dei flussi di linfa con tagli piccoli, per limitare le superfici di ingresso dei patogeni e l’entità del legno che si dissecca. L’unico modo per ridurre l’impatto delle malattie del legno è, oltre a evitare le condizioni di disequilibrio della pianta, quello di prevenirle con potature rispettose dei flussi di linfa. Allo stato attuale delle conoscenze, sembrano confermarsi le ipotesi che mettono in relazione la manifestazione dei sintomi con la perturbazione dei flussi di linfa causata dalla presenza dei funghi nei vasi, dalle ferite di potatura e da alcuni stress climatici.

La soluzione: stimolare i diversi processi fisiologici alla base di un buon funzionamento del cambio per la sintesi di nuovi vasi xilematici e floematici. In un quadro del genere, la soluzione del problema non può essere trovata in un singolo prodotto od intervento ma va ricercata attraverso la conoscenza dei meccanismi utili ad instaurare una convivenza tra la coltura e la carica dei patogeni presenti nella pianta, in maniera da poter avere un livello produttivo compatibile con le aspettative dell’agricoltore. In pratica, si tratta di integrare le pratiche agronomiche con le soluzioni disponibili

mettendo al centro la pianta e non i patogeni e come sconfiggerli. Si tratta di un cambiamento d’approccio che ha lo scopo di capire quali siano i meccanismi utili che la pianta mette in moto quando il legno è attaccato da agenti patogeni e/o danni meccanici in grado di salvaguardare la buona attività vegeto-produttiva, la vitalità e la durata della pianta e quindi la produzione.


Con questo obiettivo preciso, il dipartimento R&D di Valagro ha utilizzato l’analisi genomica e la tecnologia GeaPower per individuare il pool di sostanze attive naturali in grado di stimolare la circolazione linfatica e migliorare la funzionalità del legno nella vite e nelle colture arboree. Al risultato di questa ricerca è stato dato il nome di VITASÈVE, una miscela di microelementi arricchita dal pool di sostanze attive GEA841.

L’analisi genomica ha messo in evidenza come VITASÈVE agisca sulla divisione cellulare, il metabolismo energetico, la risposta allo stimolo delle auxine e la sintesi di cellulosa, processi fisiologici alla base di un buon funzionamento del cambio per la sintesi di vasi xilematici e vasi floematici.

miglioramento della circolazione della linfa e promuovendo una ottimale lignificazione nella vite e nelle piante arboree.

PERCENTUALE DI PIANTE COLPITE 14,7

13,7

• Efficiente circolazione linfatica

12,6

12,3

Una buona attività del cambio nella pianta significa: 8,8

• Efficiente produzione di legno (sano)

5,7

• Efficiente produzione di corteccia (fondamentale in caso di stress meccanici)

Anche le evidenze di campo pluriennali hanno confermato come VITASÈVE sia in grado di tutelare la vitalità delle piante attraverso il

Trattato con VITASÈVE 2014

Non Trattato 2015

2016


A oggi non esiste un trattamento efficace contro le malattie del legno, vista la complessità del problema. L’unico modo per ridurne l’impatto è quello di: • Evitare le condizioni di disequilibrio vegetoproduttivo della pianta • Migliorare la circolazione della linfa grezza ed elaborata

In conclusione, possiamo affermare che l’applicazione di VITASÈVE consente di sostenere la risposta positiva della pianta senza avere alcun effetto diretto sui patogeni, non evita totalmente lo sviluppo dei sintomi, le piante trattate sono meno sensibili ed anno dopo anno si osserva una riduzione dell’evoluzione rispetto al testimone non trattato.

• Ottimizzare la produzione di legno e prevenire i danni da invecchiamento

5 l/h

5 l/h

Interventi a partire da apertura gemme sino a 2-4 foglie

In pre-raccolta

In seguito a questi trattamenti, la pianta è in grado di avere un livello produttivo compatibile con le aspettative dell’agricoltore a prescindere dalla carica di patogeni presenti al suo interno.

nell’individuare la soluzione più efficace alle diverse esigenze. Solo in questo modo possiamo assicurare agli agricoltori un maggior ritorno degli investimenti per creare e condividere valore.

Il valore aggiunto delle soluzioni di Valagro è nell’approccio scientifico e innovativo della tecnologia GeaPower e nella collaborazione tra mondo agricolo e tecnici di campo

La soluzione VITASÈVE va in questa direzione, preoccupandosi, infatti, di salvaguardare la produzione delle colture e migliorare il reddito dell’agricoltore.


I PAESAGGI DELLA MELA E LE CULTURE STORICHE

Veduta aerea della Val Venosta

22 I PAESAGGI DELLA MELA E LE CULTURE STORICHE


23 I PAESAGGI DELLA MELA E LE CULTURE STORICHE


Stazione sperimentale di Laimburg

24 I PAESAGGI DELLA MELA E LE CULTURE STORICHE


I paesaggi melicoli più affascinanti e significativi in Europa e forse del mondo si trovano sull’Arco Alpino dove, in una sequenza di vallate a orografia molto articolata e tormentata, i frutteti sono incorniciati da vette d’alta quota, spesso presidiate da antichi castelli o roccaforti. Soprattutto in Trentino Alto Adige il paesaggio dominato dall’albero del melo esprime la sua bellezza in tutte le quattro stagioni: in primavera, tra le verdi distese di foglie inframmezzate dai fiori bianco-rosa; in estate, quando le chiome degli alberi sono

illuminate dal sole; in autunno, quando la tavolozza dei colori si orienta verso infinite sfumature del giallo e del rosso; in inverno, quando le scure fisionomie degli alberi sono raddolcite dalle candide cromie delle nebbie e della neve. Non è una esagerazione sostenere che il paesaggio tipico della melicoltura estensiva ed intensiva, sia in Valle d’Aosta che nel già citato Trentino Alto Adige, oltre ad avere un notevole valore produttivo autonomo, rappresentino una componente estetica e culturale significativa dell’offerta turistica

25 I PAESAGGI DELLA MELA E LE CULTURE STORICHE


Coltivazioni di melo in Val di Non, Trento

26 I PAESAGGI DELLA MELA E LE CULTURE STORICHE


27 I PAESAGGI DELLA MELA E LE CULTURE STORICHE


di questi territori. Infatti, da anni, stanno riscuotendo un grande successo di pubblico le cosiddette “strade del gusto”, caratterizzate dai paesaggi creati dall’albero del melo e dai

vigneti del Trentino, inframmezzati da antichi borghi e dalle belle architetture di castelli, chiese, conventi, a testimonianza di una ricchezza artistica e storica di grande valore.

Castel Thun, Trento

28 I PAESAGGI DELLA MELA E LE CULTURE STORICHE


Santuario di San Romedio a Sanzeno, Trento

29 I PAESAGGI DELLA MELA E LE CULTURE STORICHE


Piemonte La melicoltura piemontese ha una storia antica e gloriosa, iniziata nell’Alto Medioevo, quando gli ordini monastici coltivano e migliorano le varietà sopravvissute alle invasioni barbariche. Nel Settecento, grazie ai contadini che varcano le Alpi in cerca di lavoro, arrivano dalla Francia nuovi innesti e nuove tecniche colturali. Già all’inizio del Novecento il Piemonte possiede migliaia di varietà e oggi è presente sul mercato con cultivar che ricevono dal territorio di coltivazione pedemontano una straordinaria qualità. Una delle zone più caratteristiche per la produzione di mele in Piemonte si colloca tra Pinerolo e Cavour, area considerata una del-

le più belle e caratteristiche del Piemonte: una zona dedicata da secoli alla frutticoltura. Grazie alle sapienti mani di contadini ed agricoltori, che con il passare delle generazioni hanno tramandato il loro sapere, oggi questa zona vanta una delle migliori produzioni frutticole del nord Italia. La campagna qui è generosa, ed accoglie chiunque la visiti con gli inebrianti profumi degli alberi in fiore (meli, ma anche peri, albicocchi, ciliegi). Esiste in questa parte del Piemonte una suggestiva “strada delle mele” che si dipana per 63km, percorribili in bici o a cavallo, attraverso bianchi sentieri e piccoli viottoli (tutti ben segnalati), tra campagna, colline e boschi che congiungono Pinerolo a

Vista aerea di Torino

30 I PAESAGGI DELLA MELA E LE CULTURE STORICHE


Cavour, due punti fermi nella produzione delle mele. In queste zone, oltre ad una sapiente conservazione delle antiche varietà del territorio si pratica una melicoltura all’avanguardia, con varietà antiche che vengono rigorosamente conservate, ma anche con una grande attenzione alle novità varietali provenienti da tutto il mondo. La zona di raccolta delle denominate “varietà di Cavour” comprende il comune di Cavour e le zone limitrofe delle provincie di Cuneo e Torino. La loro conservazione segue il tradizionale metodo della refrigerazione, in cui però particolare attenzione è data ai valori di temperatura ed umidità, in modo da non alterare le caratteristiche peculiari di queste varietà.

Superga

Abbazia di Staffarda (CN)

31 I PAESAGGI DELLA MELA E LE CULTURE STORICHE


Gusto e salute Ideale come fine pasto in quanto apporta un buon contenuto di fibre, circa il doppio delle ciliegie e circa il triplo delle fragole, la mela è composta all’83% di acqua, è un’ottima fonte di reidratazione. Contiene dal 6 al 14% di zuccheri semplici, fruttosio e glucosio, che al contrario degli zuccheri complessi (come l’amido) sono assorbiti rapidamente dall’organismo apportando energia. Queste caratteristiche la rendono il primo cibo dei neonati dopo il latte materno. In più contiene vitamine, sali

minerali, sazia e non appesantisce. Contiene inoltre 5 antiossidanti efficaci nel combattere i radicali liberi. La mela è considerata uno tra i 10 alimenti più ricchi di vitamina C e per questo è ritenuta essenziale per la corretta funzionalità del sistema immunitario e potente antiossidante.

32 I PAESAGGI DELLA MELA E LE CULTURE STORICHE


Consigli pratici Le mele una volta acquistate si conservano a lungo in frigorifero, fino anche a 6 settimane. Vanno conservate lontano dalle verdure a foglia perché le mele, come le banane, le pere e i meloni, producono naturalmente etilene, un gas che accelera la maturazio-

ne e può accorciare la conservazione delle verdure a foglia. E’ invece ottimale la conservazione insieme ai kiwi o ai kaki perché, sempre grazie all’etilene, ne favoriscono la maturazione.

33 I PAESAGGI DELLA MELA E LE CULTURE STORICHE


v

Consigli per la degustazione Le sue caratteristiche gustative e organolettiche la rendono ideale anche per il consumo da cotte o inserita in pietanze dolci o salate.

La mela è un frutto snack, facile da mangiare anche intero, senza sbucciarla ma solo lavandola. E’ un’ottima merenda e uno spezza fame naturale.

34 I PAESAGGI DELLA MELA E LE CULTURE STORICHE


I consigli dello chef

Torta di mele e marmellata di mandarini Dosi per 6 persone 300g di farina 160g di zucchero 100g di burro 4 mele 4 uova 1 bustina di lievito 1dl di latte 1 vasetto di marmellata di mandarini

Preparazione

Sbucciare le mele e tagliarle a fettine. Meglio cospargerle con un pò di limone perchè altrimenti, come è noto, anneriscono e la torta risulterebbe esteticamente brutta. Montare le uova con lo zucchero, quindi aggiungere il burro ammorbidito in pezzetti, il latte e la farina preventivamente setacciata. Amalgamare per bene, quindi unire anche il lievito, anch’esso setacciato e continuare fino ad ottenere un bell’impasto omogeneo. Versare metà del composto in una teglia imburrata e adagiare le metà delle mele su questo primo strato. Sopra le mele spalmare la marmellata. Versare il resto del composto e terminare con un altro strato di mele disposte a raggiera. Infornare a 180° per 30 minuti. Per rendere la torta più dolce si può spolverizzare con zucchero semolato prima di infornare.

35 I PAESAGGI DELLA MELA E LE CULTURE STORICHE


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KIWI

*

GUSTO E FRESCHEZZA DA NOVEMBRE A MAGGIO. IL SUCCESSO DI UNA COLTURA CHE VIENE DA LONTANO * da Speciale Freshness

38 KIWI


39 KIWI


La storia del kiwi ha inizio in Cina, nella valle del fiume Yang-tse, dove tutt’ora cresce spontaneo. Il suo nome cinese è “yang tao” e alla corte dei grandi Khan era una moda degustarlo per il suo sapore fresco e aromatico ed il suo colore verde smeraldo.

Lo yangtao cresceva selvatico con la forma di una vite attorcigliata agli alberi. Il resto del mondo cominciò a conoscere il kiwi solo nel 1800, grazie ad un collezionista della Società Britannica Reale di Orticoltura che inviò in patria alcuni frutti e i loro semi. Dall’Inghilterra i semi del frutto arrivarono

40 KIWI


in Nuova Zelanda, poi negli Stati Uniti per la prima volta nel 1962, dove fu chiamata kiwi, in onore dell’uccello che è simbolo nazionale della Nuova Zelanda.

principalmente in Italia concentrandosi nelle regioni Emilia Romagna, Lazio, Piemonte e Veneto. Oggi l’Italia, grazie al suo clima ed alla passione dei suoi agricoltori, è il secondo produttore mondiale di kiwi dopo la Cina, ed il primo esportatore del pianeta.

La pianta della varietà di kiwi Hayward arriva in Europa negli anni ’70 e viene coltivata

41 KIWI


KIWI

42

Le varietà di kiwi coltivate in Europa Negli ultimi anni la gamma varietale del kiwi coltivato in Europa è sempre più ampia e completa e riguarda frutti a polpa verde e gialla, appartenenti alle specie A. deliciosa

e A. chinensis che hanno affiancato la tradizionale varietà Hayward sul mercato, ampliando così le occasioni di consumo ed il calendario di maturazione.


KIWI

43

KIWI: Coltivazione in Europa e TOP 5 Paesi (Ha) - Fonte: EUROSTAT 2012

2013

2014

23.900

23.800

23.000

Grecia

7.300

7.600

7.800

Francia

4.000

3.800

3.800

Portogallo

1.700

2.100

2.300

Spagna

1.400

1.400

1.500

38.300

38.700

38.400

Italia

Totale UE28


Modalità di coltivazione e unicità del prodotto Il kiwi in Europa, e nello specifico nel territorio maggiormente vocato che è il Nord ed il Centro Italia, viene coltivato mettendo a frutto l’esperienza frutticola millenaria di queste regioni che determinano una capacità unica dei produttori. La coltivazione viene realizzata seguendo specifici disciplinari di produzione volti ad ottenere la massima qualità e la massima salubrità. La massima qualità viene ottenuta attraverso l’applicazione delle più avanzate tecniche di produzione, concimazione, lavorazione dei terreni e potatura delle piante in modo che i frutti siano accompagnati nella loro crescita uniforme ed armonica. Dal punto di vista della salubrità l’Europa applica sul kiwi le più evolute tecniche di produzione integrata che limitano l’utilizzo

dei fitofarmaci facendone uso solo quando strettamente necessario.

Allegagione

Fioritura

44 KIWI


Accrescimento frutti

45 KIWI




I PAESAGGI DEL KIWI E LE CULTURE STORICHE

Veduta aerea su Verona

48 I PAESAGGI DEL KIWI E LE CULTURE STORICHE


49 I PAESAGGI DEL KIWI E LE CULTURE STORICHE


Terre di kiwi: da vedere e da assaggiare Verona E’ difficile selezionare un percorso culturale e d’arte in una grandissima scelta di meraviglie ma il Progetto Freshness vuole offrire ai propri contatti nel mondo una piccola ma significativa indicazione per cogliere appieno il valore del legame tra un prodotto e il suo territorio d’origine.

Verona è una delle aree principali di produzione del kiwi, in Europa, è un territorio ricco di storia e tradizioni, dove le coltivazioni di kiwi si intersecano con i vigneti regalando uno spettacolo di natura straordinario che incornicia il Lago di Garda la pianura veronese e la Valpolicella.

Il fiume Adige lambisce il centro storico di Verona

50 I PAESAGGI DEL KIWI E LE CULTURE STORICHE


51 I PAESAGGI DEL KIWI E LE CULTURE STORICHE


Balcone di Giulietta Tra gli altri monumenti dell’epoca di Giulietta e Romeo vi sono il Cortile Mercato Vecchio, i Portoni della Brà e la Casa di Romeo, per finire con la Tomba di Giulietta; essi rappresentano le testimonianzi più importanti della storia dei due Innamorati.

Verona descritta da Shakespeare in Giulietta e Romeo, è ancora visitabile tra la Torre dei Lamberti, situata in Piazza delle Erbe. La Casa di Giulietta, con il famoso balcone, è da sempre la meta di tutti gli innamorati del mondo.

La casa di Giulietta

52 I PAESAGGI DEL KIWI E LE CULTURE STORICHE


53 I PAESAGGI DEL KIWI E LE CULTURE STORICHE


Arena di Verona L’Arena è un anfiteatro romano situato nel centro storico di Verona, icona della città veneta assieme alle figure di Romeo e Giulietta. L’Arena, edificata per divertire i ve-

ronesi con spettacoli tra gladiatori, era un luogo per ammirare animali e belve di ogni tipo. Nei secoli seguenti divenne sempre più il simbolo della città.

54 I PAESAGGI DEL KIWI E LE CULTURE STORICHE


Grazie allo sforzo e all’amore per la lirica del tenore veronese Giovanni Zenatello, nel 1913 l’Arena venne utilizzata come il più grande anfiteatro all’aperto, e ancor oggi,

durante il periodo estivo, ospita il celebre festival lirico e vi fanno tappa numerosi cantanti e band per concerti.

55 I PAESAGGI DEL KIWI E LE CULTURE STORICHE


Lago di Garda Il Garda è il principale lago italiano, con una superficie di 350 kmq. Dominato dal monte Baldo ha un affluente principale, il fiume Sarca che entra a nord, e un emissario, il Mincio che esce a sud. Si specchiano nel lago bellezze celebri del tempo dei Romani, come le Grotte di Catullo - villa romana edificata tra la fine del

I sec. a.C. ed il I sec. d.C. a Sirmione, i castelli e i borghi medioevali degli Scaligeri e, intorno, i territori che furono teatro delle grandi battaglie del 1800. Il microclima molto favorevole alle colture mediterranee come la vite e l’olivo ha creato le condizioni favorevoli alla diffusione del kiwi.

v

56 I PAESAGGI DEL KIWI E LE CULTURE STORICHE


Grotte di Catullo

Sirmione

57 I PAESAGGI DEL KIWI E LE CULTURE STORICHE


Faenza (RA) Nell’area della pianura padana intorno a Faenza è partita la coltivazione di kiwi europea negli anni ’70.

Pionieri della produzione e della esportazione questa zona è la culla della frutticoltura d’Europa e il kiwi è leader indiscusso.

58 I PAESAGGI DEL KIWI E LE CULTURE STORICHE


Museo Internazionale della Ceramica. La più grande raccolta al mondo dedicata alla Ceramica

59 I PAESAGGI DEL KIWI E LE CULTURE STORICHE


Duomo di Faenza Il duomo di Faenza, principale edificio di culto della città, è dedicato a San Pietro Apostolo e si trova lungo il lato orientale di Piazza della Libertà nel cuore della città medievale.

Duomo

v

60 I PAESAGGI DEL KIWI E LE CULTURE STORICHE


Gusto e salute Il kiwi è un frutto rinfrescante dissetante e diuretico. E’ uno tra i 10 alimenti che contengono più vitamina C considerata essenziale per la corretta funzionalità del sistema immunitario e potente antiossidante.

Il kiwi inoltre possiede un buon contenuto in fibre considerate fondamentali per combattere la stipsi.

61 I PAESAGGI DEL KIWI E LE CULTURE STORICHE


Consigli pratici Il kiwi è un frutto che matura dopo la raccolta conservandolo a temperatura ambiente ed eventualmente vicino a frutti come le mele o le pere che lo aiutano a maturare.

Quando ha raggiunto la maturazione ottimale può essere un ottimo snack naturale, tagliato a metà e gustato con un cucchiaino.

62 I PAESAGGI DEL KIWI E LE CULTURE STORICHE


I consigli dello chef Il kiwi è un frutto facilmente utilizzabile in cucina sia per i piatti salati che dolci. E’ ottimo nelle insalate di frutta dove dona un magnifico colore all’insieme. Perfetto anche nelle preparazioni dolci come la semplice crostata di kiwi.

Crostata di kiwi Dosi per 8 persone 300 gr di farina 4 kiwi 1 uovo 1 tuorlo 150 gr di burro 150 gr di zucchero semolato 1 barattolo di marmellata di pesche o albicocche

Preparazione

Disponete la farina a fontana e aggiungete al centro lo zucchero, il burro ammorbidito a pezzetti e le uova. Lavorate gli ingredienti velocemente ottenendo un impasto omogeneo. Formateci una palla, avvolgetela nella pellicola trasparente e lasciatela riposare in frigo almeno 30 minuti. Stendete l’impasto in un contenitore di circa 24 cm per crostate imburrato e infarinato. Ricoprite con un foglio di carta forno, poneteci sopra dei legumi secchi come peso per non farla gonfiare e mettete in forno preriscaldato a 180° C per circa 20 minuti. Una volta sfornata la base, lasciatela raffreddare quindi spalmateci uniformemente la marmellata di pesche e completate coprendo tutta la superficie con i kiwi tagliati a fettine.

63 I PAESAGGI DEL KIWI E LE CULTURE STORICHE



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IL ROMANZO DELLA FÈRULA PASQUALE VIGGIANI

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IL ROMANZO DELLA FÈRULA

DA PROMETEO A HARRY POTTER Pasquale Viggiani


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Ecce femĭna: addio tranquillità

spontanea nelle sue manifestazioni. (Anche ai giorni nostri, dopo milioni di anni da quei fatti, siamo, noi uomini, ammaliati dalle ataviche virtù della donna, che ci rendono suoi schiavi consapevoli, e ce ne rendiamo conto ogni giorno in ogni sua manifestazione. Basta, per esempio, seguirne una alla guida di un’auto, nel traffico cittadino della mattina presto, per godere della sua personale interpretazione dei concetti appresi durante la scuola guida per ottenere la patente e addirittura andiamo in estasi nell’assistere al suo personale modo di parcheggiare quando, rapiti dalle convulse evoluzioni del volante, ci rendiamo conto che la nostra esistenza di uomini (razionali) ben triste sarebbe senza il conforto della donna!). Ma, torniamo al nostro racconto. Pandora, cedendo alla sua indole curiosa, aprì il vaso e ogni sciagura si riversò sugli uomini: la fame, la fatica, le malattie, i dolori e ogni genere di sofferenza, fino a quel momento sconosciuti, da allora affliggono il genere umano consapevole di doverle sopportare per sempre perché la Speranza, l’unica consolazione che potesse ostacolare il propagarsi dei mali, rimase nel vaso, incagliata sotto il coperchio. Prometeo sentendosi l’involontaria causa delle nuove sciagure dell’uomo, incapace di liberarlo della donna, decise di ridargli almeno il fuoco. Ma depositari del fuoco erano Zeus, al quale certamente non poteva chiederlo, e Efesto. Un tipo eccezionale Efesto, figlio di Zeus e di Era sua moglie, talmente brutto che appena nato la madre lo scaraventò giù dall’Olimpo ma fortunatamente per lui finì nel mare che ne attutì la caduta. In compenso la sua arte era mirabile, eccelleva come fabbro e scultore, ma pieno di debolezze fra le quali aspirante rubacuori e devoto del vino che lo faceva cadere in un sonno profondo, tanto da lasciare incustodito il fuoco della sua fucina, a quei tempi nel cuore dell’Etna, con il quale forgiava il metallo e del quale era geloso

Anche il dolore all’alluce del mio piede destro, che spesso mi affligge, era chiuso in quel vaso! Ovviamente mi riferisco al vaso di Pandora. Ma chi era Pandora e cosa ha a che fare con la storia che voglio raccontare e che ha per protagonista la ferula? Presto detto. Come raccontano le cronache dell’Olimpo e da me un poco adattate ai tempi nostri, Pandora fu la prima donna apparsa sulla Terra secondo la mitologia greca. Irruppe in un mondo abitato da soli uomini che, a loro volta, furono creati dal titano Prometeo e a quei tempi erano liberi e felici visto che tutte le atrocità del mondo erano state chiuse in un vaso che lo stesso Prometeo aveva affidato al fratello Epimeteo. Talmente considerati erano gli uomini, prima dell’apparizione della donna nel mondo, che persino Zeus, re dell’Olimpo e di tutto il creato, li ammetteva alla sua mensa. Ed è proprio durante una cena fatta nell’Olimpo a cui partecipavano uomini e dei che il fattaccio si compì. Successe che durante la cena Zeus diede l’incarico a Prometeo di spartire le carni di un bue in due parti uguali da destinarne una agli uomini e una allo stesso Zeus. Prometeo con l’inganno indusse Zeus a scegliere la parte peggiore delle carni destinando quella migliore alle sue creature: gli uomini. Scoperto l’inganno, il Re degli dei decise di punire, secondo il rito della vendetta trasversale, non Prometeo ma le sue creature privandole del fuoco e infliggendo loro la più grande delle catastrofi che potesse capitare: la creazione della donna! Pandora era il suo nome, nata da un soffio di Zeus su una statuetta di argilla forgiata da Efesto, suo figlio custode del fuoco e fabbro degli dei. Andò in moglie Pandora a Epimeteo che le raccomandò di non aprire mai il vaso che Prometeo gli aveva affidato. Ma Epimeteo non poteva sapere che la donna era, sin dalla prima, uno spirito libero e meraviglioso, così candida e

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Pandora

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Prometeo incatenato, marmo bianco di Nicolas-Sébastien Adam

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da mane a sera ti dilanierà, senza invito rependo, del tuo fegato a banchettar l’epula negra... Millenni durò il castigo di Prometeo, fino a quando passò da quelle parti un disorientato Heracles alla ricerca del Giardino degli Esperidi, per compiere la sua undicesima fatica, senza avere cognizione della direzione da prendere per raggiungerlo. Prometeo, il preveggente (questo è il significato del suo nome), gli indica la strada da prendere ed Heracles, per sdebitarsi, scaglia una delle sue infallibili frecce contro l’aquila abbattendola. Quindi rompe le catene, come lo stesso Prometeo aveva previsto: ...da questa semenza nascerà ben audace un rampollo, illustre arciero, che me dai miei tormenti affrancherà.

custode. Approfittando di tale debolezza Prometeo rubò il fuoco dopo aver ubriacato Efesto somministrandogli vino abbondante condito con semi di papavero.

Povero Prometeo! Mai Prometeo si sarebbe aspettato la sorte che lo attendeva come conseguenza di questo nuovo sgarro fatto a Zeus che, ferito nell’orgoglio di sovrano dell’Olimpo, sentite le rimostranze di Efesto incaricò quest’ultimo, con l’aiuto di Potere e di Forza, di incatenare Prometeo ai confini del mondo sul monte Caucaso. Così la racconta Eschilo nel suo dramma Prometeo incatenato: POTERE (dice): Agli estremi confini eccoci giunti... Ed ora, Efèsto, compier tu devi gli ordini che il padre a te commise: a queste rupi eccelse entro catene adamantine stringere quest’empio, in ceppi che non mai si frangano: ch’esso il tuo fiore, il folgorio del fuoco padre d’ogni arte, t’involò, lo diede ai mortali. Ai Celesti ora la pena paghi di questa frodolenza, e apprenda a rispettar la signoria di Giove, a desister dal troppo amor degli uomini.

Qui ha fine la storia che volevo raccontare, ma non quella di Prometeo che lasciamo al suo destino, per rispondere alla lecita domanda che chi legge potrebbe fare: cosa c’entra la ferula in tutto questo? C’entra eccome! Fu proprio nel fusto d’una ferula che Prometeo nascose e trasportò fino agli uomini il fuoco dopo averlo sottratto alla fucina d’Efesto. Il perché avesse usato proprio il fusto della ferula ce lo dicono i Botanici nel paragrafo che segue.

PROMETEO (sconsolatao): ...E pur, della mia sorte né favellare né tacere io posso. Ché per un dono che ai mortali io porsi, sotto il giogo sono io di tal destino: la furtiva predai fonte del fuoco nascosta entro la fèrula, che agli uomini maestra fu d’ogni arte, ed util sommo. Di tal misfatto pago il fio, nei lacci, a cielo aperto, turpemente avvinto. Non contento, infierì Zeus contro Prometeo mandandogli di giorno un’aquila a rodergli il fegato che ricresceva durante la notte: ...l’aquila cruenta, voracemente il corpo a gran brandelli

La ferula dei botanici Il nome comune Ferula ricorre anche in quello scientifico latino per indicare un genere di piante della famiglia delle Ombrellifere, così dette per i loro fiori raccolti su infiorescenze che per la forma ricordano un ombrello. Molte sono le specie di ferula conosciute sin da tempi immemorabili in tutto il bacino del Mediterraneo e fino all’Asia minore e che, attraverso i secoli e fino ai giorni nostri, hanno accompagnato il cammino dell’uomo (e anche delle discendenti di Pandora) nella sua controversa storia.

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to diachenio, formato da due dischetti ellissoidali chiamati acheni, che si separano alla maturità (schizocarpo) e che contengono strettamente racchiuso un seme ciascuno. La radice e il fusto giovane contengono un latice giallastro tossico che si rapprende facilmente all’aria. Nel corso dell’estate le foglie avvizziscono e i semi maturano. Il fusto, all’inizio dell’autunno dell’anno successivo alla nascita delle foglie, sfuma verso il colore rosa o beige più o meno scuro, diventa legnoso esternamente, molto resistente ma estremamente leggero e perciò facilmente manovrabile e trasportabile. Il midollo centrale è simile ad una spugna indurita, è facilmente infiammabile ma arde lentamente e, come la brace sotto la cenere, cova e serba il fuoco per lungo tempo. Quest’ultima caratteristica ha ispirato la fantasia dei poeti che hanno cantato le gesta del mitico Prometeo, il quale si servì proprio del fusto d’una ferula, per portare a termine la sua impresa, nascondendo al suo interno il fuoco rubato dalla fucina di Efesto.

Tra le specie di ferula ricordate nella letteratura classica greca e latina vi sono: F. gummosa (=F. galbaniflua), F. narthex, F. assafoetida, F. jaeschkeana, F. orientalis e F. communis. Quest’ultima, la Ferula comune, è presente in tutto il bacino del Mediterraneo, con vasti popolamenti nei pascoli sardi, siciliani e pugliesi ma la specie si spinge anche in altre regioni italiane. Nel corso dell’autunno da una possente radice carnosa, spessa anche fino a 16-20 cm di diametro e che si approfondisce nel terreno fino a 150-170 cm, nasce un cespo di foglie simili a quelle del finocchio ma molto più grandi. Nel corso della primavera dalla base del cespo fogliare ha origine un fusto cilindrico, alto anche più di due metri, che porta alla sommità una serie di fiori molto piccoli, disposti in ciambelline giallastre, che formano ombrelle sottese da brattee e foglie cauline. Il fusto è cilindrico, liscio e glabro, tozzo e carnoso, con andamento leggermente zigzagante per via della presenza di nodi: inizialmente, quando è in fiore, la sua natura è erbacea e resistente, sodo e pesante, il suo colore verde sfumato di rosso. Da ogni fiore origina un frutto det-

Ferula in località San Leonardo, presso il lago di Lesina

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Ferule fiorite e vecchia stalla presso il santuario di San Nazario

Fasi iniziali dell’emissione del fusto da una pianta di ferula

Pianta giovane di ferula

Fiori di ferula disposti in ombrella

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74 Infiorescenze (ombrelle) su un fusto di ferula

Frutti (schizocarpi) di ferula in via di maturazione

Sezione di fusti di ferula: non bruciata (la prima a sinistra) e (le 3 a destra) appositamente data alle fiamme per evidenziare la facilitĂ della combustione e la serbevolezza della brace


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75 Fusto di ferula dopo la caduta dei frutti maturi

Fusti di ferula lignificati


Manum ferulae subducere-ferula magistrales. Sub ferula ecclesiae

mercato: per farli sembrare più tonici e colorati venivano percossi con i fusti della ferula. Il sostantivo ferula era anche evocato nelle metafore per indicare punizioni anche se non corporali; in questo senso nelle antiche chiese orientali c’era un luogo prima dell’entrata assegnato ai penitenti che dovevano rimanervi sub ferula ecclesiae (sotto la disciplina-sferza ecclesiastica) per il tempo necessario per scontare la loro pena prima di entrare in chiesa con gli altri fedeli. I fusti della ferula, per la loro leggerezza e resistenza, erano anche utilizzati come bastoni per appoggiarsi per non perdere l’equilibrio: Senex ferula titubantes ebrius artus sustinet, cioè il vecchio sostiene le membra vacillanti con il bastone, come si apprende nelle Metamorfosi (4, 26) di Ovidio. Per quest’ultimo utilizzo del fusto si pensa anche che il nome ferula venga da ferendo, gerundio di ferre (=portare). Le caratteristiche di resistenza e leggerezza facevano del fusto di ferula ausili adatti anche per le ingessature estemporanee, come quella che si legge in uno dei libri che hanno fatto la fortuna della scrittrice J.K. Rowling e che narrano le imprese del maghetto Harry Potter il cui amico Ron nel corso di un’avventura (Harry Potter and the Prisoner of Azkaban, Chapter 19. The Servant of Lord Voldemort) si rompe una gamba e... “...He hurried over to Ron, bent down, tapped Ron’s leg with his wand and muttered Ferula. Bandages spun up Ron’s leg, strapping it tightly to a splint.”, cioè, detto per chi come me non è molto addentro alla lingua inglese, “...Si avvicinò a Ron, si chinò, battè la gamba rotta con la bacchetta (magica) e mormorò Ferula. Delle bende si avvolsero attorno alla gamba di Ron legandola stretta a una stecca”...

Il nome latino della pianta (ferula=sferza) allude all’impiego dissuasivo e punitivo del suo fusto che si perde nella proverbiale notte dei tempi! Come ci ricorda Plinio (Libro XIII cap. 22) ...Non vi ha alcun legno che sia tanto lieve come quello della ferula e che per questa ragione i vecchi se ne servono per bastonare... e se lo dice lui bisogna crederci. Ma già diversi secoli prima della considerazione pliniana lo schiavo filosofo Esopo, vissuto tra il quinto e il sesto secolo a.C. e che per il modo di raccontare le sue favole è considerato il padre della lingua greca, veniva minacciato dalla moglie del suo padrone Xanto, per la sua insolenza, di venire fustigato con una ferula (da Il romanzo di EsopoVita Aesopi scritto forse nel I-II sec. d.C., di autore incerto). In questa veste il fusto della ferula è ben conosciuto dagli scolari dell’antichità che una volta adulti ricordavano gli anni della scuola anche per le punizioni che i maestri infliggevano loro percuotendo con esso le mani (...et nos ergo manum ferulae subduximus, per dirla con le Satire-1, 151, 15 di Giovenale); ne fanno cenno anche Quintiliano, vissuto nel primo secolo d.C., nella sua L’instituto oratorio e Sant’Agostino (354-430 d.C.) nelle Confessioni. L’uso di percuotere con il fusto della ferula è però ancora più antico delle testimonianze di cui sopra, infatti all’inizio dei tempi il Dio Bacco, per bocca di Diodoro Siculo (lib.  3 cap. 5, e lib. 4 cap. 1), consigliava alle Baccanti e agli ubriachi che per via del vino si percuotevano le carni con il tirso, di lasciare il tirso e battersi con fusti di ferula che sono leggeri e non provocano ferite di sorta. I colpi di ferula non feriscono le carni, al massimo provocano dei lividi arrossati (per via dell’affluenza del sangue nelle zone colpite) che, come ci informa Dioscoride, valorizzavano gli schiavi più emaciati in vendita al

Ferula, la sacra e ferula la profana Virtuosa era la ferula agli occhi del dio Bacco al quale era consacrata come ci testimo-

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La giovinezza di Bacco

(...e in pugno stretta alcuna il tirso, percotea la rupe, e polle di fredda acqua ne sgorgava: con la ferula un’altra il suol batteva, e spiccar vino ne faceva il Dio). Bacco quindi predilige la ferula al tirso, cioè al bastone rituale che accompagna la sua immagine e quella dei suoi seguaci nelle rappresentazioni pittoriche e letterarie. Dal tirso alla ferula, da Bacco il profano al sacro bastone pastorale usato sin dal secolo XI da prelati della Chiesa e dai pontefici per la loro incoronazione quale segno del potere, anche di chi ostenta lo scettro regale.

niano Plinio (lib. XXIV, cap. 1) ed altri antichi. L’amore di Bacco per la ferula si intuisce se si associa al trasporto del vino che per sua natura dà calore, proprio come il fuoco di Prometeo. Così Euripide cita spesso la ferula nella sua opera Le baccanti: dove il dio Bacco attraverso la ferula mostra la sua forza vitale sottoforma di fiamma (...Alta squassando Bacco la rutila vampa che sprizza dalla sua ferula...) o la predilezione per il vino, che scaturisce se le baccanti percuotono la terra con la ferula, rispetto alla pura e semplice acqua che invece sgorga usando il tirso

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Ferula la laboriosa: dalla ferula al ferlizzo

essere molto leggeri hanno anche proprietà isolante dal freddo. Nell’immaginario collettivo però, fino a pochi anni fa, i ferlizzi erano associati alla gente povera e alla povertà in generale come sottolinea, per esempio, il proverbio in dialetto foggiano Pat’m n’nha lasset segg, i n’lass manch f(e)rlizz! che tradotto suona “Mio padre non ha lasciato sedie...(perchè era povero)...io non lascio nemmeno ferlizzi... (perchè sono ancora più povero di mio padre). Un altro uso dei fusti di ferula risale ad epoche antichissime: incavati, togliendo facilmente il midollo centrale, servivano per custodire le pergamene o altri documenti (Alessandro il Grande vi custodiva le poesie di Omero); è forse questo il motivo per cui erano dette ferule anche le scatole che nel Medioevo si usavano come scrigni o per conservare documenti o i contenitori di spezie e di unguenti.

La ferula, testimone consapevole ed apprezzata in ogni epoca, non solo per le sue proprietà “caloriche” delle quali sopra si è accennato ma per l’impiego che l’uomo ne ha fatto sfruttando altre sue virtù, fra le quali la leggerezza e la sua duttilità che la rendono facilmente plasmabile e lavorabile. In passato lavorando il fusto della ferula si ricavavano diversi oggetti, genericamente chiamati ferlizzi: dai semplici giocattoli per i bambini alle elaborate sedie e panche. Si costruivano anche gli sgabelli, leggeri e resistenti, che sostituivano le sedie nei tempi in cui i poveri non potevano permettersi di acquistare. Tra i ferlizzi si possono citare anche le arnie leggere e facili da trasportare, in uso tra gli apicoltori di qualche decennio fa, costruite con tronchetti di ferula che, oltre ad Utensili costruiti con fusti e rami di ferula (disegno di Maria Viggiani)

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Ferula: chi la vuole cotta e chi non la vuole cruda!

male, scatenata da una sostanza appartenente al gruppo delle cumarine presente nel latice. Altri sintomi caratteristici della ferulosi consistono in emorragie nasali oltre a feci e urine sanguinolente. In alcuni casi si sono osservati anche comportamenti bizzarri dei capi attaccati dalla malattia, forse associati a fenomeni di locoismo, cioè a veri e propri fenomeni di tossicodipendenza. D’altro canto pare che i pastori sardi trovino saporite le estremità del fusto ancora in erba, affettato e arrostito alla brace. Tossica o non tossica, per certo non si sa. L’incertezza riguarda anche altre utilizzazioni che della ferula si facevano in passato e anche di alcuni estratti delle piante, principalmente alludendo al galbano e all’assafetida. Il galbano è una resina ricca di olio essenziale estratto per incisione della base del fusto e della parte superiore della radice di una specie di ferula mediorientale (Ferula galbaniflua o gummosa). Il galbano è impiegato in profumeria o per lenire gli affaticamen-

La ferula, dice Plinio (lib. XXIV, cap. 1) è un nutrimento delizioso per gli asini ma velenoso per animali cornuti; l’asino, si sa, è consacrato a Bacco e lo è altresì la ferula che lo nutre. Questa affermazione trova riscontro anche in una nota di Castore Durante (Erbario nuovo, 1585): “Le ferole alli asini sono graditissimo cibo, ma tutti gli altri giumenti mortifero veleno...”. Come a Plinio e al Durante anche ai contadini foggiani, ancora ai nostri giorni è nota questa caratteristica: essi dicono che la ferula è un vero e proprio ricostituente per gli asini (croschk d’ ciucc) ma non si fidano di somministrarla ai cavalli, alle mucche e alle capre perché pare (il dubitativo è appropriato in quanto non tutti sono d’accordo) provochi una malattia detta ferulosi o mal della ferula, il cui decorso sfocia in uno stato di prostrazione e di torpore che può provocare anche la morte dell’ani-

Bovini al pascolo in prati con piante di ferula

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ti muscolari, come deterrente per gli insetti e per molti altri usi. Il suo utilizzo è molto antico (rientrava forse anche tra le sostanze usate dagli antichi Egizi nel processo di mummificazione). Molto antico, ma caduto in disuso da ormai molti secoli, è l’utilizzo in cucina e in medicina dell’assafetida, una droga resinosa estratta dalla Ferula assafoetida, dal sapore di aglio ma dall’odore e sapore nauseabondi, tanto che gli antichi la chiamavano stercus diaboli ma che nella cucina indiana era talmente apprezzata, come condimento, da essere chiamata con una espressione che significa cibo degli dei.

La ferula benefattrice Spesso mi torna in mente una strada bianca sterrata che ancora oggi (ma asfaltata) si snoda, tra colli e curve, per poco più di dieci chilometri che percorrevo sul portapacchi d’una vecchia bicicletta guidata da mio padre, poco prima dell’alba, al buio, all’inizio di novembre d’uno dei primi anni cinquanta del secolo scorso. In poco meno di un’ora si copriva il tratto da Apricena al Feudo antico, dove si era diretti, lambendo per un attimo il santuario di San Nazario. Assonnato e infreddolito, mi coprivo il capo con uno di quei cappelli di plastica con visiera prominente in avanti e con sottili paraorecchi di velluto a coste sotto i quali il tagliente vento di Bora vi penetrava facilmente insinuandosi e refluendo nei capelli (che allora avevo ancora!). All’arrivo albeggiava e, scavalcando un rudimentale cancello fatto di stecchi e filo spinato dai pastori di vacche del vicino serraglio, si affrontava l’erta d’una leggera salita che dava sul colle Feudo, così chiamato perché antico possedimento di antichi signori, che ancora oggi, nelle giornate terse, si staglia contro il cielo arrossato per il sorgere del sole, a un passo da un breve filare di eucalipti che per un tratto fanno cornice al lago di Lesina.

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Strada da Apricena al colle Feudo

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Salita al colle Feudo

Vegetazione del colle Feudo con asfodeli e orchidee

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Funghi di ferula (Pleurotus eryngii var. ferulae)

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Giovani funghi di ferula in un prato del colle Feudo

La spedizione, che per mio padre era prassi ripetere quasi quotidianamente dall’autunno alla primavera, era volta alla ricerca dei funghi selvatici del genere Pleurotus che crescono sulle radici della ferula. Si tratta di Pleurotus eryngii var. ferulae, detti comunemente funghi di ferula o di carne. Ancora ai giorni nostri, in un antico e scarno oliveto, tra alberelli di perazzi selvatici e arbusti di spino-gatto (Paliurus spina-christi), tra spinosi asparagi selvatici, lustre scille marittime e funerei asfodèli, le piante di ferula, come grossi e amari finocchi con antichi fusti, delimitano aree di solito grossolanamente circolari colonizzate da basse graminacee tra le quali spuntano borragini, cespi di Cardo mariano e di ciclamini, e, in primavera, ciuffi di anemoni, orchidee e iris d’ogni tipo e colore. E in questi spazi,

palesi o celati sotto le foglie o tra i fusti dei cespugli, da soli o in cioffe (gruppi saldati tra loro), appaiono sparuti i funghi di ferula che mio padre raccoglieva per sbarcare il lunario e che spesso io rivendevo, durante il pomeriggio, nel mentre facevo i compiti da portare a scuola il giorno dopo, in una cesta appoggiata su una sedia di ferula, all’angolo fra Corso Garibaldi e Vico De Nittis, in quel di Apricena.

Pasquale Viggiani Esperto di flora spontanea

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