Karpòs Travel n. 1 - 2016

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N. 1 - ANNO I - 2016

TRAVEL

G E R U S A L E M M E | C I P R O | C H A D | R A B A R I | S I G N I F I C AT O D E L V I A G G I O


Vai alla scoperta dei misteri che circondano Jodhpur in Rajasthan


KARPÒSTRAVEL 1-2016

PER LE FOTOGRAFIE

6 Gerusalemme Renzo Angelini

www.karposmagazine.net DIRETTORE EDITORIALE

Foto di copertina © Giuliano Casagrande (concessa dall'Archivio Earth) Da pag. 124 a pag. 142 © Maurizio Levi Da pag. 144 a pag. 160 © Giuliano Casagrande (concesse dall'Archivio Earth) Tutte le altre fotografie © Renzo Angelini

L’editore ha cercato di reperire tutte le fonti, ma alcune restano sconosciute. L’editore porrà rimedio, in caso di segnalazione, alle involontarie omissioni o errori nei riferimenti.

60 Cipro Renzo Angelini

Renzo Angelini DIRETTORE RESPONSABILE

Rocco Lettieri

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Testata in corso di registrazione presso il Tribunale di Forlì

Chad, nel cuore del Sahara

Proprietario ed editore della testata Karpòs S.r.l. Viale Zara 53 - 47042 Cesenatico (FC) P.I. - C.F. 04008690408 REA 325872 HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO

Antonella Bilotta, Laura Fafone, Walter Ubaldo Roldan AMMINISTRAZIONE

Maurizio Levi

144 In viaggio con i Rabari Pierpaolo Di Nardo

Milena Nanni

162

RACCOLTA PUBBLICITARIA

Il significato del viaggio

pubblicita@karposmagazine.net Tel. +39 335-63.55.354

Walter Pasini

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Annoiare chi legge con grafici e dati statistici, non solo credo sia un po’ fuori moda, ma produrrebbe un documento di breve periodo, nel quale la scadenza è molto più vicina di quanto la si immagini. Amo la statistica perché è forse l’unica vera scienza predittiva, per quanto le sue previsioni parlino di qualcosa di “random”. La odio per quella fredda incomunicabilità che, anche in economia, sarebbe talvolta opportuno correggere. Ma una scienza può essere corretta forse solo con il fattore umano, con quello che ad esempio i cinesi chiamano “guanxi”. L’approccio del mondo occidentale con la grande Cina, dal punto di vista economico e commerciale è alquanto antiRenzo Angelini co, ma conosce un grande solco. Una divisione segnata dal passaggio da un sistema ancora ufficialmente

It’s a land of ‘walls’. The Western, Wailing, Wall, of course, icon and site of absolute faith of Judaism, separates the holy precinct of one and the other religion but where Jews cannot enter. There’s the later wall but no less imposing and tragic that separates Bethlehem, Jericho and the Palestinian territories, from Israel. Its graffiti tell of sorrows impossible to bear, of a divide that must be closed. And only 3-4 kilometres from the heart of Jerusalem it separates the birthplace of Christ from the sites of His Calvary, death and resurrection. And how does one not feel the ‘pinch of salt’ on the shores of the Dead Sea, or not remain breathless climbing the Snake Trail as it wends and winds up 400 metres through rocks and rubble to the Masada mesa? Here Roman

GERUSALEMME


Introduzione Gerusalemme è situata sulle Colline della Giudea a circa 800 metri di altitudine ed ha una struttura topografica piuttosto complessa poiché, nel corso dei secoli, sono intervenuti mutamenti (vallate ricoperte, colline spianate) tali da renderla difficile da leggere. Gerusalemme è una antica città storica vissuta da tanti popoli, fra questi troviamo i nativi locali, gli invasori, i costruttori, i distruttori, i conquistatori e gli occupati. Hyksos, Egizi, Ammoniti, Aramidi, Canaaniti, Jebusiti, Ebrei, Assiri, Babilonesi, Persiani, Greci e Romani hanno vissuto questa terra antichissima. I romani la rasero al suolo intorno al 70 d.C., comandati da Tito distrussero il Tempio, concludendo la prima guerra giudaica (66-70 d.C.), sotto l’imperatore Adriano (117-138); nel 130 Gerusalemme fu ricostruita e chiamata Aelia Capitolina, con lo status di colonia romana, per volere dell’imperatore Adriano. Diventata una tipica città romana la sua collocazione era strategica e di importanza economica: divisa dal Cardo Maximus (la principale strada nord-sud collegava la Porta di Damasco fino al lato orientale della città) e dal Decumanus Maximus (arteria viaria secondaria con orientamento da ovest a est). Vennero erette statue a Giove e all’imperato-

re, costruito un tempio per l’adorazione degli dei pagani (dedicato a Giove) e, sul Calvario furono costruiti il foro e un tempio a Venere. Questo fu la causa della seconda guerra giudaica (132135) che portò allo sterminio degli ebrei. Da quel momento, un decreto imperiale proibì agli ebrei

l’entrata in città e questo durò fino al V secolo. L’editto di Costantino (313) avviò l’insediamento dei cristiani in quella che ormai era considerata Città Santa. Gli arabi musulmani presero la città nel 637, guidati dal califfo Omar, e dimostrarono tolleranza nei confronti degli ebrei e dei cristiani,

Panorama su Gerusalemme.

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Veduta di Gerusalemme dal Monte degli Ulivi. I grattacieli della parte moderna fanno da quinta teatrale alla cupola dorata della Cupola della Roccia.


permettendo a tutti di visitare i rispettivi luoghi sacri. Gli Omayyadi (661-750) costruirono la Cupola della Roccia, detta anche moschea di Omar, la moschea Al-Aqsa e la spianata del Tempio diventò il terzo luogo santo – Città Santa dell’Islam – per i musulmani dopo La Mecca e La Medina. Sotto gli Abbasidi (750-793) la città visse un periodo di pace; con la nuova dinastia dei califfi Fatimiti (973-1055) la iniziale tolleranza religiosa fu seguita da una forte discriminazione verso gli infedeli e tutti i luoghi santi cristiani furono distrutti. La dinastia turca dei Selgiuchidi subentrati nel 1055 aumentarono le persecuzioni. La città venne conquistata dai Crociati di Goffredo di Buglione con un bagno di sangue dove persero la vita oltre 70.000 persone, tra musulmani ed ebrei, e subito riprese la costruzione dei luoghi santi che durò fino al 1187 quando Salah ad-Din, Saladino Califfo di Egitto e Siria, sconfisse i crociati e si insediò a Gerusalemme. Nel 1229 tornò in mano cristiana e nel 1244 cadde sotto i musulmani; i Mamelucchi costruirono tanti monumenti nella città e furono sconfitti nel 1516 dai turchi Ottomani (Selim I a cui succedette Suleiman – Salomone in arabo, Solimano in italiano – “il magnifico” che fece costruire le Mura della città vecchia, nel 1542, la Porta

di Damasco e la Cittadella. Morto Solimano nel 1566 iniziò il declino dell’impero ottomano e della città. Il crollo della dominazione turca avviene nel 1917 e, nel 1920, inizia il mandato britannico in Palestina e la città prende il nome di Gerusalemme. Nel 1947 si apre il conflitto tra arabi ed ebrei

che porta alla divisione della Palestina in due stati indipendenti; la risoluzione voluta dall’ONU viene rifiutata dagli arabi. Nel 1948 gli inglesi, scaduto il mandato, lasciano Gerusalemme; gli arabi distruggono il quartiere ebraico, nella città vecchia; la guerra termina il 3 aprile 1949 e la città viene

Cardo maximus è la principale strada romana in direzione nord-sud, di Gerusalemme. Costruita da Adriano nel 135, era largo 23 metri, costeggiato da negozi e venditori.

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Epoca egizia.

Epoca israelita.

Epoca persiana.


divisa in due: la città nuova allo Stato di Israele (ovest) e la città vecchia alla Giordania (est) ed un muro divide la città. Nel 1949 Gerusalemme è capitale di Israele; nel 1967 viene bombardata dalla Giordania (Guerra dei 6 giorni); l’esercito israeliano occupa il settore giordano e, il 27 giugno Israele ne proclama l’annessione; nel 1980 la Knesset proclama l’intera Gerusalemme capitale di Israele, centro storico, spirituale e nazionale del popolo ebraico fin da quando il Re Davide ne fece la capitale del suo regno, circa 3.000 anni fa. Santificata dalla religione e dalla tradizione è venerata da Ebrei, Cristiani e Musulmani di tutto il mondo. Fin dal 1860 Gerusalemme era una città cinta di mura e costituita da 4 quartieri: ebraico, musulmano, armeno e cristiano. A quel tempo gli Ebrei, che costituivano la maggioranza della popolazione, fondarono nuovi quartieri fuori le mura, creando il nucleo della città nuova. Durante i tre decenni dell’amministrazione britannica (1918-1948) si svilupparono nuovi quartieri residenziali. Oggi Gerusalemme, con i suoi 763.000 abitanti è la prima città di Israele. Antica e moderna, mescolanza di culture e nazionalità, osservanti delle religioni e laici sono le distintività uniche della città.

Anfore bicrome di epoca ellenistica.

Afrodite.

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Palazzo di Erode e, dietro, il grande mercato.

Porta in argento - Isfhan. Epoca mamelucco-ottomana.

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Ad est della città vecchia, parallelamente alle mura orientali, troviamo la Valle del Kidron (Cidron) che si estende fino al Monte degli Ulivi, detta anche nella Bibbia Valle di Giosafat (dove Dio giudicherà); per secoli venne adibita a zona di sepoltura. Il fiume Kidron nasce dal monte Scopus e scende a sud dividendo Gerusalemme (a destra) da tre alture sulla sinistra: il Monte Scopus, dove si trova la Hebrew University, il Monte degli Ulivi, che presenta due punte (il Monte Viri Galilei a nord e il Monte dell’Ascensione a sud) e infine il Monte dello Scandalo. Come ogni luogo eccezionale, Gerusalemme va scoperta con discrezione e prudenza: la mattinata è fredda e piovviginosa e percorrendo strade tortuose e impervie lascio la città e raggiungo il Monte degli Ulivi. Da qui la vista è spettacolare e spazia dal cimitero ebraico, subito sotto il Monte degli Ulivi, al groviglio di costruzioni, moschee, chiese, sinagoghe imprigionate nella superba cerchia dei bastioni. In quel momento un raggio di sole si fa largo tra le nuvole: è una visione magica, mistica e drammatica al tempo stesso. Gerusalemme è l’unica città al mondo in cui le tre religioni monoteiste, il cristianesimo, l’ebraismo e l’islam, hanno convissuto per secoli, in un suc-

cedersi di guerre sanguinose e feroci lotte per la sopraffazione, ed ancora oggi vivono una “pace armata”. La luce del sole esalta la sua bellezza naturale, rende brillante la pietra calcarea che spunta ovunque e con la quale sono costruiti i palazzi e i monumenti.

Parco Archeologico di Gerusalemme e Davidson Center Sito archeologico situato tra la Porta del Letame e il Muro Occidentale, ci introduce alla storia del Monte del Tempio attraverso l’esposizione di strade, colonne, muri, archi e vasche, riportati alla luce durante gli scavi dal 1970 a oggi. Entrando si nota la via principale di Gerusalemme, che correva lungo il Muro Occidentale. Dalle mura erodiane sporgono i resti di un arco, di Robinson, che faceva parte di un ponte di collegamento tra il Monte del Tempio e la città.


Parco Archeologico di Gerusalemme e Davidson Center. Si possono vedere i resti di un ponte di collegamento con la zona commerciale e il mikveh, bagno rituale ebraico.


Città Vecchia La Città Vecchia è circondata dalle mura costruite da Solimano il Magnifico, dove si aprono le quattro principali Porte: di Giaffa, di Damasco, del Letame e di Santo Stefano o Porta dei Leoni. La parte occidentale della città si adagia su due colli, il Gareb con la chiesa di San Salvatore, e il Monte Sion con la chiesa della Dormizione. La parte orientale si estende su tre alture oramai indistinguibili perché colmate nei secoli: Bethesda a nord, il Monte Moria, occupato dal Monte del Tempio (Al-Haram ash-Sharif) che è il nobile recinto sacro dei musulmani, ed infine l’Ofel che è la zona più antica della città, fuori delle mura.

Città di Davide

Il Quartiere Ebraico, di Gerusalemme, visto dalla Moschea della Roccia.

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È l’antico nucleo di Gerusalemme; si trova su uno sperone roccioso posizionato a sud del Tempio e circondato da valli su entrambi i lati e vicino


alla sorgente di Gihon, che lo riforniva d’acqua. Qui sorgeva l’antica città gebusea, poi divenuta la Città di Davide; l’intera zona è oggetto di continue campagne di scavo. Sono visibili i venticinque strati di insediamenti delle varie epoche, portati alla luce recentemente, arrivando al livello della città gebusea. Da notare i resti di case bizantine e l’ospizio di Eudocia, della scala monumentale che conduceva al Tempio; vicino alla strada i quartieri di epoca adrianea dei soldati romani e molte tracce della dominazione araba. Da notare il sistema di approvvigionamento idrico con una serie di tunnel passanti sotto il Davidson Center, che permettevano di rifornirsi d’acqua anche in situazioni di emergenza, attingendola dalla sorgente di Gihon e convogliata in città, dal Pozzo di Warren come succedeva oltre 2.000 anni fa. Sulla base dei documenti Giudaici, Gerusalemme era la città di Shalem, dove al cap. XIV della Genesi ebbe luogo l’incontro fra Abramo e Re Melchizedeck di Shalem. L’ascesa al potere di David e le sue politiche fecero di Gerusalemme il centro del popolo ebraico. Dopo un breve regno ad Hebron, David conquistò Gerusalemme intorno al 1.000 a.C., ne fece la sua capitale e la trasformò in un centro di spiritualità, portandovi l’Arca dell’Alle K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6   |  13


anza. Il figlio Salomone terminò l’opera del padre, costruendo il Tempio e il Palazzo Reale. Il regno si divise dopo la morte di Salomone e Gerusalemme divenne la capitale della Giudea.

Muro Occidentale: Hait al-Buraq Lungo 243 metri e alto quasi 20, è noto come “Muro del Pianto”, secondo la tradizione cristiana, perché gli Ebrei vi piangono la distruzione del Tempio. Il Muro Occidentale o della Preghiera, realizzato 2.000 anni fa, è un muro di contenimento che sosteneva la spianata su cui sorgeva il Secondo Tempio. Il Muro è parte dei lavori di sostegno fatti eseguire da Erode il Grande nel 20 a.C., per mettere in sicurezza la spianata del Tempio; i grossi blocchi di questa epoca si riconoscono dalla scanalatura che li incornicia. Più in alto i sassi più piccoli, dell’epoca di Solimano il Magnifico. 14  |   K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6

Dopo la distruzione del Tempio nel 70 d.C., ad opera dei romani che cacciarono gli ebrei, la struttura di sostegno rimase e, secondo i testi rabbinici, non fu mai abbandonata dalla presenza divina. Al loro ritorno gli ebrei iniziarono a raccogliersi in preghiera presso questo muro esterno; anche durante il periodo ottomano fu meta di pellegrinaggio. Nel 1948 gli ebrei persero l’accesso al Muro quando la Città Vecchia passò sotto il controllo della Giordania e gli abitanti del Quartiere Ebraico vennero espulsi. Nel 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni, i paracadutisti israeliani assaltarono la Città Vecchia e la occuparono fino al Muro; nella piazza antistante sorgeva un quartiere, detto dei Magrebini, abitazioni arabe che vennero demolite per creare uno spazio maggiormente accessibile al Muro. L’area prospiciente al Muro è una sinagoga a cielo aperto, divisa in due zone; una piccola, a sud, riservata alle donne e una grande a nord per gli uomini. Qui si possono vedere gli ebrei ultraortodossi, vestiti di nero, che pregano oscillando avanti e indietro sui talloni, chinando la testa e baciando le pietre.


Muro Occidentale (Hait al-Buraq). Ăˆ detto Il muro del Pianto, in relazione al rito Ebraico di commemorazione della distruzione del Tempio di Salomone.


Uomini e donne, divisi da un parapetto, pregano di fronte al Muro Occidentale, noto anche come Muro del Pianto. Risale all'epoca del Secondo Tempio di Gerusalemme nel VI sec. a.C.

Il Muro Occidentale o Muro del Pianto. Sullo sfondo la cupola della Moschea della Roccia.


Tra i giganteschi strati inferiori di “pietre erodiane” si notano i margini scolpiti: da vicino è possibile vedere i rotoli di carta infilati nelle fessure dove sono scritte le preghiere e le richieste, che hanno maggiori probabilità di essere esauditi.

Spianata del Tempio: Al-Haram Al-Sharif Su una modesta altura, il monte Moriah, è stata ricavata una terrazza trapezoidale, costruendo una piattaforma di 12 ettari, un sesto della città vecchia.

Splendidi monumenti di eco religioso diversi ed una roccia, quella sulla quale Abramo era disposto a sacrificare il figlio Isacco, fanno di questo luogo uno dei più sacri e suggestivi dell’umanità. Non potrebbe rappresentare cioè l’origine delle tre religioni abramitiche (Ebraismo, Cristianesimo, Islam); fonte di dispute, guerre, saccheggi, profanazioni, ma comunque e sempre punto di riferimento e culto di milioni di fedeli. Questa spianata punteggiata di cipressi e olivi è uno dei luoghi santi più contesi ed è posta nella estremità sud-orientale della Città Vecchia, detta dai musulmani Al-Haram Al Sharif (Nobile Santuario), e Har HaBayit (Monte del Tempio) dagli ebrei. Secondo il Talmud, qui, su una grande roccia del monte Moriah, Dio raccolse la terra per creare Abramo; Adamo, Caino, Abele e Noè compivano i sacrifici rituali. Relativamente alla storia del primo Tempio la Bibbia è l’unica fonte: intorno al 1.000 a.C., Davide, conquistata Gerusalemme, fece portare l’Arca dell’Alleanza ma gli venne impedito dal profeta Natan la costruzione del Tempio (per aver cosparso tanto sangue in guerra). Salomone in 7 anni (dal 959 a.C.) realizzò il primo Tempio poi distrutto dal re babilonese Nabuco-

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Cupola della Roccia (Qubbet al-Sakhra) è il gioiello più prezioso del Monte del Tempio. Sullo sfondo la Città Vecchia di Gerusalemme, con il quartiere ebraico, a sinistra, e musulmano.


donosor nel 586 a.C.; tornati in patria gli ebrei costruirono il secondo Tempio nel 520-515 a.C. e, nonostante saccheggi e profanazioni, resistette per 5 secoli. Erode il Grande nel 20 a.C. lo ampliò assumendo proporzioni faraoniche, e solo nel 64 d.C. venne completato; il Tempio erodiano era un gigantesco trapezio, circondato da mura ciclopiche con 8 porte, con la torre Antonia occupata da una guarnigione romana, e il Cortile dei Gentili dove l’accesso era libero mentre nel Tempio entravano solo gli ebrei purificati. I Romani, nel 70 d.C., lo rasero al suolo al termine della prima guerra giudaica; dopo la seconda guerra giudaica l’imperatore Adriano vi fece costruire un tempio a Giove. Nel 638 il luogo assume il nome di Al-Haram AlSharif, dopo la conquista da parte del califfo Omar; qui sorsero gli edifici più sacri per l’islam: la Cupola della Roccia (688-691), terzo luogo sacro dopo la Mecca e Medina, e la Moschea Al-Aqsa (705715), edificio più grande ma meno suggestivo, ed occupano quell’area oggi conosciuta come “spianata delle moschee”.

Per accedere alla spianata delle moschee bisogna varcare uno di questi antichi colonnati.

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Al-Aqsa In arabo significa “moschea più lontana” e si riferisce al viaggio notturno di Maometto prima di ascendere al cielo: è il vero luogo di culto dei musulmani, in grado di accogliere 5.000 fedeli. Questo

Moschea Al-Aqsa (moschea più lontana).

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potrebbe essere anche il luogo dove Gesù rovesciò i banchi dei mercanti e li cacciò. Residenza dei re crociati di Gerusalemme, venne lasciata ai cavalieri templari nel 1118; con la occupazione di Saladino, nel 1187, venne restaurata e migliorata, così come

con Solimano il Magnifico e per tutto il periodo ottomano. La facciata, del 1227, permette l’accesso alla moschea attraverso un grande portico a sette arcate, di epoca fatimita; a destra si apre la moschea delle donne, a due navate, che è vicina al museo.

Il cortile riservato alle donne davanti alla Moschea Al-Aqsa (la più lontana).


Museo Islamico È situato all’esterno della moschea Al-Aqsa, ospitato in due costruzioni, una mamelucca e una crociata; aperto nel 1923, dal Concilio Supremo Islamico, raccoglie materiali di diversa provenienza ed è il più vecchio museo di Gerusalemme. Un Corano del VIII sec., mosaici, decorazioni lignee e in pietra oltre a 6 porte in legno e bronzo, commissionate da Solimano, sono gli esemplari più preziosi. Cupola della Roccia: Qubbat Al-Sakhra Erroneamente chiamata moschea di Omar, è il gioiello più prezioso di Haram el-Sharif ed il più significativo e meglio conservato esempio di architettura del primo periodo arabo. Sorge su una pietra considerata sacra sia dall’islam che dall’ebraismo. Per gli ebrei è la Pietra della Fondazione, considerata il centro della terra; costruita dal califfo omayyade Abd al-Malik con motivazioni di carattere religioso e dimostrare a ebrei e cristiani la legittimità, la superiorità e la potenza dell’islam, in grado di costruire la struttura più splendida di qualsiasi chiesa nel luogo più sacro agli ebrei. K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6   |  23



Fini geometrie, versetti del Corano, ed eleganti arabeschi decorano gli spazi e le pareti delle antiche finestre della Moschea di Omar o Cupola della Roccia.

La Cupola della Roccia fu eretta non solo per motivi religiosi. Il califfo volle garantire un senso di orgoglio ai musulmani, per mantenerli fedeli all'islam, e dimostrarne la superiorità a ebrei e cristiani.

Particolare di una nicchia esterna della Moschea della Roccia, o di Omar, rivela lo splendore dei decori dell’edificio.

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La moschea venne decorata con vivaci mosaici e versetti del Corano, mentre la cupola, che poggia su un basamento trapezoidale (probabilmente il sito del Tempio erodiano al quale oggi si accede lungo le scale che presentano portici a 4 archi – silsileh, in arabo, che significa “bilance” su cui verranno pesati i peccati e i meriti degli uomini, in occasione del giudizio universale) fu ricoperta di oro massiccio per splendere come faro dell’islam. La cupola è stata ricoperta di una nuova lamina d’oro, spessa 1,3 mm, donata da re Hussein di Giordania negli anni ’50. L’intera area è dominata da quattro minareti e da madrase coraniche tra cui spicca quella di Ashrafiyya, con il tipico arco ogivale trilobato. Terminata la visita storico-archeologica mi perdo tra i fedeli che pullulano la spianata, quando il cielo si fa cupo sulla Città Vecchia e raggi di sole sinistri squarciano le nubi “drammatizzando” realisticamente questa affascinante capitale.

Cupola della Roccia, a Gerusalemme, ospita l'enorme Pietra della Fondazione della tradizione ebraica, mentre per i musulmani è il punto da cui Maometto ascese al cielo.

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Donne in una pausa, durante la visita al Monte del Tempio.

I fedeli in pausa ricreativa, sulla spianata delle moschee.

Finita la preghiera i fedeli tornano alle loro case.

Dopo la preghiera la donna porta la bisaccia con il mangiare, cinta sulla fronte.


Dopo aver attraversato un'alta spianata punteggiata di cipressi, posta alla estremità sud-orientale della Città Vecchia, si accede alla Cupola della Roccia.

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La cupola dorata si erge con il suo profilo inconfondibile nella vasta spianata.


Per accedere alla spianata delle moschee bisogna varcare uno di questi antichi colonnati.



Le Mura e le Porte Nel corso della storia Gerusalemme vanta numerose cinte murarie ad opera di Gebusiti, Ebrei, Romani, Bizantini, Crociati e Mamelucchi; la maggiore eredità sono quelle di Solimano il Magnifico, costruite tra il 1536 e il 1542. Gli studi archeologici dimostrano che gli architetti ottomani seguirono nella loro ricostruzione il tracciato delle fortificazioni romane, dell’epoca dell’imperatore Adriano. In questa colossale opera di restauro venne utilizzato ogni sorta di materiale di reimpiego di varie epoche: pietre dei manufatti del passato e nuovi blocchi. La cinta muraria attuale è lunga circa 4 chilometri e comprendeva 5 Porte principali (Giaffa, Damasco, Erode, Santo Stefano e Sion); la Porta d’Oro è una rielaborazione dell’originale omayyade, la Porta Nuova è del 1887 e la Porta del Letame è stata ampliata nel ’40. Tutte le porte sono aperte tranne la Porta d’Oro. Tutte le porte della città vecchia sono oggetto di studio per stabilirne la datazione; la prima conclusione è che, nella maggior parte dei casi, quasi tutte si aprono nel luogo in cui esistevano porte precedenti. Ogni porta si trova ad avere 7-8 nomi a seconda dei riferimenti biblici, ricostruzioni,

Particolare della cinta muraria, che circonda Gerusalemme, costruita dai turchi ottomani.

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Mura di Solimano il Magnifico.


leggende, tradizioni o per la semplice differenza linguistica; nelle segnaletiche viene riportato il nome in arabo, ebraico e inglese.

La Porta di Sion conduce nei quartieri Ebraico ed Armeno. È il collegamento tra il quartiere Armeno e il Monte Sion.

La Porta di Santo Stefano, si trova lungo il muro orientale ed è l’entrata per la Via Dolorosa. È stata costruita da Solimano il Magnifico nel 1538.

Cardo Maximus È uno dei luoghi più significativi per capire la struttura della Gerusalemme romano-bizantina e la sua evoluzione è il cardus maximus, un tratto del quale è stato riportato alla luce e parzialmente restaurato. Il Cardo è la prima strada romana, con direzione nord-sud, in città; fu costruita dall’imperatore Adriano nel 135, larga 23 metri, inizia dalla Porta di Damasco. La sua struttura definitiva risale ai bizantini: oggi è una via colonnata con i capitelli corinzi ed un porticato sotto al quale si aprivano grandi arcate, con botteghe e negozi. La nuova sistemazione, voluta da Adriano, cambiò radicalmente il volto della Aelia Capitolina adrianea; la struttura definitiva risale all’epoca bizantina, come testimoniano la via colonnata con capitelli corinzi ed il porticato sotto il quale si aprono grandi archi che accolgono botteghe ed ogni genere di negozi. Un grande murales ripropone il pullulare di persone e animali lungo questo mercato a cielo aperto, al tempo della dominazione dei romani.

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I murales, a grandezza naturale, fanno rivivere la vita a quel tempo.


Colonnato dell’antico Cardo maximus.

Cardo Romano a Gerusalemme.

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I quartieri della Città Vecchia Ai piedi del Monte del Tempio, dove vivono circa 40.000 persone, troviamo quattro quartieri: armeno, ebraico, musulmano e cristiano, che caratterizzano la città considerata la più santa nel mondo dove ogni pietra racconta una storia, una suggestione, attirando milioni di fedeli pellegrini nel corso dei secoli e milioni di turisti stranieri oggi. La sacralità di questo centro religioso è testimoniata dalla ricchezza del passato e dalle simbologie per le tre principali religioni del mondo: Città del Primo e del Secondo Tempio per gli ebrei, luogo della crocefissione di Gesù per i cristiani, la scelta di Allah di tutte le sue terre per i musulmani, scelta dagli Armeni dopo la scissione dalla Chiesa cattolica. Il Quartiere Armeno, racchiuso dietro alte mura ed imponenti porte di legno, occupa la parte sud-occidentale della città vecchia, esattamente quella dove si ritiene fosse accampata la X Legio Fretensis, nel quale vivono circa 3.000 persone appartenenti a questa antichissima comunità. L’Armenia fu il primo stato ad aderire al cristianesimo nel 301; l’arrivo a Gerusalemme, al seguito 36  |   K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6

dei Romani, risale al I sec. a.C. e nel 491 la Chiesa armena si scisse da quella cattolica. Una comunità armena stabile, fatta di pellegrini, si trasferì in Terra Santa e adottò Gerusalemme come capitale

Strade nella città Vecchia di Gerusalemme.

spirituale; all’inizio del XX sec. arrivarono anche immigrati laici, alcuni per restaurare il tetto della Cupola della Roccia, altri per fuggire dalle persecuzioni dei turchi ottomani.


Quartiere armeno, nella parte sud-occidentale di Gerusalemme. Qui vivono oltre 3.000 armeni, arrivati al seguito dei Romani nel I sec. a.C., dove si accampò la X Legio Fretensis.


Il popolo armeno mantenne intatte unità linguistica, culturale e religiosa, sopportando continue dominazioni; molte situazioni li accomunano agli Ebrei, hanno avuto la diaspora, si inserirono nelle economie di molti Paesi – essendo commercianti – spesso malvisti o addirittura perseguitati. Nel sec. XIX l’Armenia era divisa tra gli imperi ottomano e russo; nel settore ottomano ci furono molte rivolte indipendentiste costantemente soffocate, leggermente più tranquilla la situazione sotto il dominio zarista. Nel frattempo nacquero gruppi e partiti di ribellione e si accese lo scontro tra Armeni e gli eterni nemici Curdi, allineati con gli Ottomani. La prima guerra mondiale offrì all’impero ottomano l’occasione per risolvere la questione armena; con la scusa di far prestare il servizio militare iniziarono gli stermini, le deportazioni culminate nel genocidio scientifico, e la popolazione armena residente nella parte occupata dai turchi crollò da circa 2 milioni di persone a 100.000. In questo periodo le tecniche armene di produzione di ceramica avevano raggiunto l’apice nel XVII-XVIII secolo e le famiglie armene gestivano i laboratori nei più importanti centri di produzione; a seguito della confisca dei beni molti ceramisti raggiunsero Gerusalemme ed iniziaro38  |   K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6

no a produrre piastrelle per i restauri della Cupola della Roccia. Queste esperienze si riflettono nel quartiere armeno strutturato come una fortezza-labirinto finalizzato principalmente a difendere la comunità; le porte non danno sulla strada ma su un cortile interno a cui si accede da pesanti porticine seminascoste, le finestre sono poste in alto e sbarrate e nessun nome viene riportato sulla porta.

Il Quartiere Ebraico presenta un carattere decisamente residenziale, con 4.500 abitanti, moderni edifici in pietra ed una piazza centrale; situato nella zona sud-occidentale, corrisponde all’antica città alta. Abitato dall’epoca di re Ezechia (circa 700 a.C.), distrutto nel 586 a.C., riprese sotto le dinastie maccabee e asmonee (II-I sec. a.C.) ospitando il palazzo di Erode Antipa. Gravi danni subì nella guerra del 1948, diventando centro della




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resistenza ebraica in terra araba e passò, insieme a tutta la città vecchia, sotto l’amministrazione giordana. Dopo la Guerra dei sei giorni, nel 1967, e la vittoria di Moshe Dayan, artefice della guerra-lampo, è iniziata la bonifica e la ricostruzione

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del quartiere ed ha significato la riunificazione della città. Pochi sono i monumenti storici rimasti in piedi ma in compenso, sotto il livello stradale, gli scavi archeologici proseguono rinvenendo numerosi reperti archeologici, alcuni dei quali risa-

lenti all’epoca del Primo Tempio (1.000-586 a.C.). Per quasi 2.000 anni il Quartiere Ebraico, insieme al Muro Occidentale – la parete esterna di un lato del Secondo Tempio costruito da Erode quando ampliò l’area del Monte del Tempio – sono stati i simboli del legame fra gli Ebrei e Gerusalemme. Il “Cardo” della Città Vecchia, una cui sezione restaurata si trova nel quartiere ebraico, è quanto rimane della strada principale di epoca bizantina costruita ad Aelia Capitolina – nome romano di Gerusalemme – quando la città venne nominata “polis” romana e agli Ebrei fu vietato di vivervi. Qui si possono ammirare i bimillenari tunnel del Muro Occidentale, una meraviglia sotterranea che si snoda attraverso antichi acquedotti e cave che portano dal Muro Occidentale alla Via Dolorosa. Dall’altro lato del Muro Occidentale, accanto alla Porta del Letame (Dung Gate), si trova l’Esibizione e Centro di Ricostruzione Virtuale Ethan e Marla Davidson; si estende a ovest, sud e ad est delle Mura della Città Vecchia e si trova all’interno di un palazzo del periodo omayyade. Questa zona comprende anche l’originale scalinata chiamata “Scala del Sinedrio” o Porte di Hulda, per mezzo delle quali i pellegrini Ebrei e Gesù tra loro, accedevano al Monte del Tempio.



Di grande interesse è il tour della Città di Davide, che si trova sotto la Porta del Letame – dalle piscine di Siloe alla Sorgente di Gihon; questa zona ribattezzata come “Parco Nazionale delle Mura di Gerusalemme – Città di Davide, servì in templi biblici come sede del regno sotto il Re Davide, come riferito nel Vecchio Testamento. In mezzo

Vista sulle cupole delle due più grandi moschee di Gerusalemme.

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ai lavori degli archeologi si può attraversare il Pozzo di Warren, utilizzato 2.000 anni fa per attingere gran parte dell’acqua necessaria alla Città Vecchia, fino alla sorgente. Il Quartiere Musulmano è situato nella sezione nord-orientale della Città Vecchia e si sviluppa su

una superficie di trenta ettari, mantenendo le sue caratteristiche storiche e ambientali; uno dei punti focali della sua vita quotidiana è il shuq, mercato in stile ottomano dove ressa e vitalità degli abitanti si contrappongono al silenzio del quartiere armeno e all’eleganza del quartiere ebraico. Perennemente affollato dai suoi mercati che attirano sciami di persone, il quartiere soffre di sovrappopolamento tanto che gli edifici più interessanti come madrase e ospizi, sono abitati e non visitabili; in diversi punti resta il miglior esempio di quartiere medievale arabo rimasto nel mondo. Conta una popolazione di 22.000 residenti e si estende dalla Porta di Damasco, perennemente congestionata dal traffico, fino al Monte del Tempio dove la spianata continua a parlare al mondo attraverso i suoi 2 gioielli: la Cupola della Roccia e la moschea Al-Aqsa. Secondo la tradizione musulmana, quando il profeta Maometto salì in cielo sul suo destriero, lasciò la sua impronta impressa su una roccia al centro della moschea; da qui deriva il suo nome ed è il terzo luogo sacro dell’Islam, dopo la Ka’ba della Mecca e la moschea del Profeta della Medina. Trattasi di uno splendido connubio tra arte islamica e bizantina, un raro equilibrio tra le forme – la pianta ottagonale e la


rotondità della cupola – e i colori: le maioliche blu e versi ne tappezzano il timpano e i muri laterali, il marmo grigio che fa loro da base. Punto di osservazione obbligato sono le colonne al vertice di una scalinata, che annunciano la moschea; dette “arche delle bilance” poiché secondo la tradizione islamica, nel Giorno del Giudizio, Dio peserà le anime di tutti. A breve distanza si trova la Moschea di Al-Aqsa situata nel punto più lontano dalla Mecca che il Profeta raggiunse. La bellezza e l’imponenza delle cupole di queste 2 moschee – quest’ultima in argento, la prima in oro – dominano l’orizzonte circostante. Scesi dalla spianata ci si perde nelle strade dove si vende di tutto, dagli oggetti in ottone ai burqa, dalle spezie ai dolciumi, dai negozi di frutta, verdura, olio d’oliva, all’abbigliamento; per sfamare i fedeli che vanno e tornano dalla moschea, i vicoli si riempiono di bancarelle di prodotti appena sfornati. Proseguendo dalla Porta di Damasco al Muro occidentale si incrocia la Via Dolorosa; l’itinerario di preghiera segue il percorso della Via Crucis così come si è venuto a formare nel corso dei secoli. La tradizione cristiana ha voluto non soltanto ricordare simbolicamente il percorso di Gesù dal

palazzo Pretorio, dove fu giudicato da Pilato, fino al sito del Golgotha (Calvaria in latino) dove si trova la Basilica del Santo Sepolcro, ma ricostruirlo passo per passo e fissarlo oggi in 14 stazioni,

anche se esistono ancora dibattiti e contrasti in particolare con la tradizione della Chiesa Ortodossa che ne prevede numeri e percorsi diversi. Di fronte la IV stazione, quella dell’incontro con

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Maria, troviamo la chiesa cattolica armena dedicata a S. Maria dello Spasimo costruita sui resti di una cappella bizantina nel 1881. Da non perdere è il vicino Museo Terra Sancta, sito archeologico con percorso multimediale dedicato alla Via Do-

lorosa. Nell’angolo nord-occidentale del Tempio ebraico, Erode il Grande, re di Giudea dal 39 al 4 a.C., edificò una fortezza che chiamò “Torre Antonia” dal nome del condottiero romano Marco Antonio, che aveva favorito la sua ascesa al trono.

Arco dell’Ecce Homo è una porzione dell’arco trionfale a tre fornici costruito da Adriano dopo il 135 d.C.

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Presso questo luogo la tradizione cristiana colloca il Lithostrothos dove Gesù comparve davanti a Ponzio Pilato e fu condannato a morte. Dopo la Prima Rivolta Ebraica (66-70 d.C.) il generale romano Tito demolì la fortezza e, dopo la seconda Rivolta (132-135 d.C.) l’imperatore Adriano rimodellò quest’area. Fu così coperta la piscina nota col nome di Struthion, con una piazza lastricata introdotta da un arco monumentale. Nel museo troviamo frammenti di capitelli, porte, volte appartenenti al Tempio o alla torre Antonia (I sec. a.C. - I sec. d.C.) oppure l’iscrizione latina dell’imperatore Adriano (128-129 d.C.) rinvenuta fuori della porta di Damasco. L’Arco dell’Ecce Homo (Ecce Homo Arch) si presenta come un semiarco che risulta essere una parte dell’arco trionfale a tre fornici fatto costruire da Adriano dopo il 135 d.C. ed era l’ingresso nord-orientale della città. L’arco fu poi inglobato da costruzioni successive: la parte che scavalca la strada appartiene al fornice centrale, mentre il fornice meridionale si trova dentro un edificio religioso islamico e, quello settentrionale, si trova nel convento di Nostra Signora di Sion. Il termine Ecce Homo si riferisce all’epoca crociata, quando qui si rappresentò l’episodio narrato dall’evangelista Giovanni.




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Vista su Gerusalemme dal M.te degli Ulivi. Si notano le cupole dorate della chiesa russo-ortodossa di S. Maria Maddalena.


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Chiesa Armena di Nostra Signora dello Spasmo, si trova sulla Via Dolorosa, dove Gesù incontra sua madre Maria (IV Stazione).

La Via Dolorosa, nella Città vecchia di Gerusalemme, inizia dal carcere dove Gesù è stato processato e condannato, nel Quartiere Musulmano, e termina al Golgota, dove fu crocifisso.

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Il Quartiere Cristiano si estende su un’area di 18 ettari e conta 4.500 residenti ed è un insieme di ostelli, istituzioni religiose, laboratori artigianali appartenenti a 20 diverse confessioni cristiane. Al centro del quartiere si trova la Basilica del Santo Sepolcro, una delle mete di pellegrinaggio più importanti al mondo. La Basilica del Santo Sepolcro (Holy Sepulchre) riunisce in un unico corpo il sito della morte, della sepoltura e della resurrezione di Gesù Cristo; è il Luogo Santo per eccellenza per i cristiani. È il risultato di continue trasformazioni che hanno snaturato l’austero interno crociato; sono indistinguibili le tre navate e le decorazioni sono composite e pesantissime ma la ressa costante testimonia la devozione mai cessata nel corso dei secoli.

Renzo Angelini Direttore Editoriale


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Annoiare chi legge con grafici e dati statistici, non solo credo sia un po’ fuori moda, ma produrrebbe un documento di breve periodo, nel quale la scadenza è molto più vicina di quanto la si immagini. Amo la statistica perché è forse l’unica vera scienza predittiva, per quanto le sue previsioni parlino di qualcosa di “random”. La odio per quella fredda incomunicabilità che, anche in economia, sarebbe talvolta opportuno correggere. Ma una scienza può essere corretta forse solo con il fattore umano, con quello che ad esempio i cinesi chiamano “guanxi”. L’approccio del mondo occidentale con la grande Cina, dal punto di vista economico e commerciale è alquanto antiRenzo Angelini co, ma conosce un grande solco. Una divisione segnata dal passaggio da un sistema ancora ufficialmente

CIPRO


Cipro è la terza isola del Mediterraneo per estensione, dopo Sicilia e Sardegna, è stato dell’Unione Europea dal 1° maggio 2004 e del Commonwealth dal 13 marzo 1961. È situata nell’estremità più orientale del bacino del Mediterraneo, a 70 km a sud della penisola anatolica, a 106 km a ovest dalle coste del vicino Oriente (Siria) e a circa 380 km a nord dell’Egitto. Cipro ha una superficie di 9.251 kmq; il suo territorio è diviso in due dalla Linea Verde che separa la Repubblica di Cipro, a sud, dalla Repubblica turca di Cipro Nord (3.355 kmq), nata dopo anni di conflitto e riconosciuta solo dalla Turchia. Le basi militari di Akrotiri e Dhekelia (circa 160 kmq pari al 2,8% del territorio) sono sotto la giurisdizione del Regno Unito, che possiede anche radar e apparecchiature militari sul monte Olimpo. La forma allungata ricorda una padella, con il manico rivolto verso l’Asia; raggiunge una larghezza di circa 240 km, da est a ovest, e circa 100 km dividono le coste settentrionali da quelle meridionali. L’etimologia della parola greca Kypros non è certa ma sembra derivare da Cupressus sempervirens (cipresso in greco), oppure dalla pianta dell’hennè (Lawsonia alba), oppure dal termine cipriota che significa rame, derivato dal lemma sumerico che

indicava il rame (zubar) o il bronzo (kubar), con riferimento agli abbondanti giacimenti di rame dell’isola. Dal punto di vista storico-culturale Cipro si può ritenere uno Stato europeo, essendo anche l’avamposto più meridionale e più orientale dell’Unione

Europea nel Mar Mediterraneo, ma dal punto di vista geografico appartiene al continente asiatico secondo la logica che un territorio fa parte di un continente in base alla sua vicinanza geografica. Anche le forme del paesaggio riprendono la porzione meridionale dell’Anatolia, da cui si stac-

Columbia Beach Resort - Limassol.

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Allevamenti di animali nei pressi di Anogyra village.



cò nel cenozoico. Due sono le catene montuose dell’isola: Karpasia, a nord, caratterizzata da falesie ripide e bianche, coperte da fitti boschi, pochissimo abitata e i monti Troodos, nel sud-ovest, dove si trova la vetta del monte Olimpo (1.952 m) la cima più alta dell’isola; questa è un’area ricca di minerali e nel corso della storia è sempre stata sfruttata per le attività estrattive. Tra le due catene si sviluppa la fertile pianura di Mesarya dove troviamo un’agricoltura molto ricca. Gli unici fiumi, a carattere torrentizio, sono Yialias (88 km) e Pedieos (100 km). Il clima è di tipo mediterraneo-subtropicale, con estati calde e secche ed inverni miti e poco piovosi. Cipro è soleggiata gran parte dell’anno e le temperature medie sono di circa 34°C in estate, mitigate dalle brezze marine soprattutto lungo le coste, e di 1620°C in inverno. La piovosità annua è di 500 mm, prevalentemente durante l’inverno. Spesso su Cipro spirano venti caldi provenienti dai deserti africani mentre sulle vette dei Troodos cade la neve e le temperature scendono sotto gli 0°C. La popolazione conta 868.000 abitanti di cui l’80% sono greco-ciprioti, discendenti dei primi colonizzatori arrivati sull’isola a partire dal 1.100 a.C.; il 10,9% turco-ciprioti, discendenti dagli ot-

tomani che si stanziarono sull’isola dopo la sua conquista, a partire dal 1.570; il resto sono residenti di nazionalità straniera. Relativamente alla

religione i greco-ciprioti sono di fede Greco-Ortodossa mentre la comunità turco-cipriota è di religione Musulmana.

Scogli davanti alle coste di Petra tou Romiou. Secondo la mitologia vennero lanciati contro le navi dei corsari saraceni dal bizantino Digenis Akritas.

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Vista panoramica sulla costa di Petra tou Romiou, il luogo dove secondo la leggenda nacque Afrodite, la dea greca dell’amore e della bellezza.


Costa nei pressi di Pissouri.

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La storia Crocevia di culture, “tutti” vi sono passati – fenici, minoici, greci, egiziani, persiani, romani, bizantini, crociati, veneziani, turchi, inglesi – che si esprime oggi in una stratificazione storica che è l’originale cultura cipriota. Il primo insediamento umano indica la presenza di raccoglitori di cereali nella costa sud, intorno al 10.000 a.C. e, intorno al 5.800 a.C., una fiorente cultura neolitica, detta di Choirokoitia, ci ha lasciato i resti di un villaggio con abitazioni a pianta circolare e strade selciate (oggi Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco). Il Neolitico culminò con l’Età del Rame e l’arrivo di colonizzatori dalla Palestina; all’inizio dell’Età del Bronzo (2.5002.000 a.C.) prosegue la penetrazione di coloni dall’Asia Minore e vengono scoperti giacimenti di rame che renderanno l’isola fiorente centro commerciale tale da garantire scambi con Creta ed Egitto di prodotti finiti, come utensili e armi. Alcuni storici ritengono che al rame sia dovuto il nome dell’isola (dal latino cuprum). In questo periodo fiorirono villaggi, lungo la costa, che avevano la funzione di empori e stazioni commerciali dove facevano scalo le navi provenienti dalle coste limitrofe. Dal Peloponneso, intorno al 1.400 a.C., 68  |   K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6

giunsero i micenei che portarono con sé il tornio e favorirono lo sviluppo della ceramica. Intorno al 1.200 a.C. l’occupazione da parte dei dori diede origine a quella che gli egizi definirono le invasioni dei “Popoli del mare” che portarono ad una rivoluzione culturale della lingua e della religione, sostanzialmente assimilabili a quella greca. Risale a questo periodo la comparsa nella mitologia greca di Afrodite, dea dell’amore e della bellezza, che, secondo la leggenda, sarebbe nata nel mare di Pafos; il litorale di questa regione è molto variegato dove incantevoli spiagge sabbiose si susseguono a baie di ciottoli o calette contornate da falesie di roccia. Con l’inizio dell’Età del Ferro (I millennio a.C.) si registrò un netto declino della civiltà dell’isola a seguito della caduta dell’impero ittita, della invasione dei dori e della crisi della civiltà egizia. Intorno all’800 a.C. sorsero le colonie fenicie, lungo la costa meridionale, che svilupparono il commercio marittimo e la navigazione e riuscirono anche a convivere e prosperare anche con i successivi dominatori dell’isola (assiri, egizi, persiani). Gli assiri, al culmine della loro potenza, occuparono Cipro tra il 708 e il 669 a.C. e furono interessati soprattutto alla raccolta di tributi dalle città-stato cipriote; seguì un breve periodo di


dominazione degli egizi e poi, dal 545 a.C., fu dominata dai persiani che nel 525 a.C. sottomisero l’Egitto ed i re ciprioti divennero vassalli dell’Impero achemenide. I ciprioti, guidati dal re di Salamina, si allearono con i greci delle città ioniche ed entrarono in guerra contro il re persiano Dario, nel 499 a.C., ma la rivolta fu subito repressa e Cipro mantenne un elevato grado di autonomia e rimase orientata verso il mondo greco, con l’introduzione dell’arte attica, delle sue consuetudini sepolcrali – dove sarcofagi e monumenti sostituirono le tombe ipogee – e l’affermarsi dell’alfabeto greco. Nel 334 a.C. Alessandro Magno, nella guerra contro i persiani, fu sostenuto dalle città cipriote che fornirono 120 navi per l’attacco macedone alla città di Tiro. Dopo la morte di Alessandro e la divisione dell’impero tra i suoi generali, Cipro entrò a far parte dell’impero dell’Egitto tolemaico; i modelli culturali e politici divennero ellenistici ed alessandrini, le città indipendenti scomparvero e la vita quotidiana continuò con le manifestazioni sociali tipiche dell’età classica, come i giochi, il teatro e la musica. Nel 58 a.C. fu annessa alla repubblica romana e l’isola fu stabilmente occupata dalle legioni a partire dal 31 a.C. e amministrata da un proconsole che risiedeva a K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6   |  69


Nea Pafos. Le infrastrutture pubbliche come ponti, acquedotti e strade sorsero ovunque ma non si sono conservate probabilmente a causa della natura sismica locale e dei terremoti; le strutture civili come teatri, terme e residenze private, spesso decorate con splendidi mosaici – come nella città di Nea Pafos – sono un patrimonio da non perdere per coloro che arrivano a Cipro. Tra gli artefici della evangelizzazione di Cipro figurano due apostoli, Paolo e Barnaba, quest’ultimo martirizzato dagli ebrei della città di Salamis che, in occasione della grande rivolta giudaica e prima che l’imperatore Adriano riportasse la normalità, come in altre città dell’isola decimarono le popolazioni locali. Un decreto dell’imperatore sancì l’espulsione degli ebrei dall’isola. Nel 395 con la divisione dell’Impero Romano in Occidentale e Orientale, Cipro entrò a far parte dell’Impero Romano d’Oriente, o Impero bizantino, e resterà parte di esso fino all’epoca delle crociate, 800 anni più tardi. A partire dal 649 numerose e devastanti furono le incursioni degli eserciti arabi del Levante, che continuarono per i successivi 300 anni durante i quali coloni musulmani e basi navali arabe si insediarono lungo le coste e l’economia cipriota prosperò grazie ai commerci che si svilupparono 70  |   K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6


tra Oriente e Occidente. Il dominio bizantino fu restaurato nel 963 quando l’imperatore di Bisanzio, Niceforo II Foca, sconfisse il califfato ottenendo vittorie per mare e su terra ed esiliò gli arabi che non volevano convertirsi. Nei due secoli successivi nacquero la maggior parte delle città moderne: Keryneia, Famagosta, Nicosia e Limassol e sulle colline e montagne iniziarono a sorgere i primi monasteri con le prime cappelle affrescate. L’inizio dell’anno mille segnò due date fondamentali per il Mediterraneo e per l’isola: nel 1054 ci fu lo scisma tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa e nel 1073, dopo la vittoria dei turchi selgiuchidi sui bizantini, ci fu la occupazione di Gerusalemme e l’Europa medievale organizzò la prima crociata, nel 1095. Le prime spedizioni cristiane in Terrasanta non toccarono Cipro ma, nel 1191 la promessa sposa di Riccardo I d’Inghilterra (Riccardo Cuor di Leone) naufragò vicino a Limassol e, per salvarla dal principe bizantino Isacco Comneno, il re conquistò l’isola e la usò come base di rifornimento principale e, un anno dopo, fu venduta all’ordine dei Cavalieri Templari che, a seguito di una rivolta sanguinosa, fu ceduta a Guido di Lusignano, ultimo re cristiano di Gerusalemme, e ne costituì un regno. La dinastia dei Lusignano an-

Mosaico della Casa di Dioniso, che rappresenta la vendemmia.

Casa di Aion.

Casa di Teseo a Pafos.

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Chiesa della Panagia tou Araka, vicino a Lagoudera sul massiccio dei Monti Troodos. L’ampio tetto spiovente ricoperto di tegole per proteggere l'edificio dalla pioggia e dalla neve.

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Panagia Forviotissa, che conserva al suo interno affreschi del XII secolo.

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noverò una serie di monarchi da Almarico, fratello e successore di Guido e riconosciuto re di Cipro da Enrico VI di Svevia, a Giacomo II che morì nel 1473 dopo di che il controllo dell’isola passò nel 1489 alla Repubblica di Venezia. I veneziani fortificarono Nicosia, usandola come importante porto commerciale: nel 1539 gli ottomani distrussero Limassol e quindi i veneziani, per timore di ultriori attacchi, fortificarono anche Famagosta e Kyrenia. Nel 1571 venne occupata dagli Ottomani ed il generale veneziano Marcantonio Bragadin venne scorticato vivo. Il popolamento turco, composto da circa 20.000 coloni di origine cristiana e balcanica, si unì alla popolazione indigena unendosi in matrimonio con donne e vedove locali; seguirono poi gruppi di agricoltori e artigiani provenienti dall’Anatolia. La convivenza tra popolazioni di lingua turca e greca non comportò problemi, grazie al riconoscimento da parte di Istanbul della Chiesa ortodossa cipriota, spesso incaricata dai turchi a riscuotere le tasse e a confiscare le terre degli agricoltori insolventi. I quasi 300 anni della dominazione ottomana furono caratterizzati da una serie di ribellioni contro la feroce tirannia turca ed un consistente calo demografico; la forte presenza occidentale, che nel 74  |   K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6


frattempo si era stanziata sull’isola, portò ad una mediazione inglese che seguì l’accordo anglo-turco stipulato nel 1878 in funzione antirussa. Al Congresso di Berlino l’impero ottomano cedette l’amministrazione di Cipro alla Gran Bretagna, che utilizzò l’isola come base militare per le sue conquiste coloniali; in termini di sovranità rimase un territorio ottomano fino al 1914, insieme con

l’Egitto e il Sudan, in cambio della protezione inglese contro una eventuale aggressione della Russia. Nel 1906 fu completato il porto di Famagosta, permettendo a Cipro di essere l’avamposto navale sul Canale di Suez, la strada principale per l’India che era il possedimento d’oltremare più importante della Gran Bretagna. Dal punto di vista politico e sociale il periodo britannico portò

miglioramenti alla vita della popolazione, con grandi rimboschimenti ed un sistema scolastico in classi di lingua greca e turca. Lo scoppio della prima guerra mondiale e la decisione dell’impero ottomano di affiancare Austria e Prussia portò la immediata annessione di Cipro alla corona britannica, insieme a Egitto e Sudan il 5 novembre 1914, e divenne poi colonia inglese nel 1925. Durante la seconda guerra mondiale Cipro rimase fuori dal conflitto, costituendo una sorta di retrovia per gli eserciti alleati e, dal 1943, entrò in guerra a fianco degli inglesi. Nel 1950 un referendum rivelò che la quasi totalità dei greco-ciprioti era favorevole all’annessione della Grecia ma la componente turco-cipriota manifestò la sua contrarietà a questa ipotesi. La radicalizzazione della tensione tra le due etnie accelerò la repressione inglese e, nel 1956, nasce il TMT (Movimento per la Resistenza Turca) che propugnava la divisione di Cipro in due parti. Dopo gli scontri del 1958 (le vittime furono 600 ciprioti e 346 inglesi) si arrivò ad una tregua e si raggiunse il compromesso di una costituzione unitaria ed una gestione dello stato a carattere proporzionale: 70% alla comunità greco-cipriota e 30% a quella turco-cipriota.

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Il 16 agosto 1960, dopo 82 anni di controllo inglese, Cipro dichiara la sua indipendenza. Dopo numerosi scontri che portarono alla progressiva separazione della popolazione in aree abitate solo da greco-ciprioti o turco-ciprioti. Nel Natale 1963 Nicosia venne divisa da una barriera detta Linea Verde (350 kmq) e, nel 1964, sbarcarono i caschi blu e gli USA proposero una divisione dell’isola in due territori indipendenti. Nel 1974 gli estremisti filogreci attuarono un colpo di stato a cui seguì, come reazione, l’intervento turco sull’isola mentre ad Atene crollava la giunta militare dei colonnelli. Il conflitto oltre a creare migliaia di morti provocò la migrazione forzata di 165.000 greco-ciprioti verso sud e decine di migliaia di turco-ciprioti a nord; nel febbraio 1975 il nord proclamò lo Stato federale turco di Cipro e, nel 1983, la Repubblica turca di Cipro Nord, ampia 3.355 kmq e abitata da circa 300.000 persone di origine turca, priva di riconoscimenti internazionali, salvo quello della Turchia. Nell’aprile 2004, in vista dell’adesione di Cipro all’Unione Europea, si è svolto un referendum in cui i due gruppi etnici sono stati chiamati a pronunciarsi sulla riunificazione del Paese; l’esito è stato negativo e solo la parte greca dell’isola ha aderito all’Unione Europea.

La vite e il vino La coltivazione della vite per l’ottenimento di frutta da dessert e per la produzione di vino è relativamente recente, se si considera che le prime coltivazioni risalgono a circa 8.000 anni fa nell’area del Mar Nero. La vite si diffuse da qui verso sud-est in Mesopotamia, Siria ed Egitto da dove, attraversando il Mediterraneo, raggiunse la Grecia, poi l’Italia. Circa 4.000 anni fa i coloni provenienti dalle coste orientali del continente

giunsero a Cipro, portando i propri vitigni per la produzione del vino. Quando i greci giunsero a Cipro, intorno al 1200 a.C., con tutta probabilità vi trovarono già il vino, anche se diverso da quello al quale erano abituati. È ragionevole supporre che a Cipro ci sia stata una industria vinicola stabile rispetto ad altre parti del mondo. Salomone nel suo “Cantico dei Cantici” loda i vini di Cipro e, nell’800 a.C. Esiodo ne descrive il processo di produzione. Il poeta

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greco Euripide racconta di grandi pellegrinaggi verso Cipro al fine di degustarne il vino, all’epoca conosciuto con il nome di “Nama di Cipro”. La leggenda vuole che il primo mortale cui fu insegnato a fare il vino sia stato Icarios, istruito a tale scopo da Dioniso, dio del vino, in persona. La scena è riprodotta in un mosaico nella “Casa di Dioniso” presso il Parco Archeologico di Pafos, dove si possono ammirare altre scene che hanno come tema il vino. Inoltre, nei musei così come in altri luoghi sono conservati interessanti reperti archeologici, a testimonianza della cultura enologica e della produzione vinicola di Cipro. Allo scopo di proteggere il vino dall’azione ossidante dell’aria, date le numerose difficoltà incontrate nel sigillare adeguatamente i contenitori, inizialmente si producevano in prevalenza vini dolci; tale usanza nacque proprio a Cipro. I vini dolci, infatti, non soltanto si ossidano più lentamente ma possono essere trasportati meglio dei vini secchi. I visitatori dell’antica Cipro, quindi, caricavano le loro navi con i suoi vini dolci. Esistono anche testimonianze storiche sui vini ciprioti tra l’epoca greco-romana e il medioevo, periodo durante il quale l’isola soffrì la siccità, pestilenze, invasioni ed incursioni. 78  |   K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6

Nell’XI secolo, all’epoca delle prime crociate, a seguito dei soggiorni nell’isola di Riccardo “Cuor di Leone” e degli appartenenti ai vari Ordini dei Cavalieri, nacque la generica denominazione “Commandaria” per indicare i vini dolci ciprioti.

Nel 1363 almeno cinque Re incontrarono l’allora sindaco di Londra, nel palazzo che oggi ospita la “Vintner’s Society”, la Società dei Commercianti di Vino, per discutere di varie questioni, tra cui le crociate e il vino.



La vecchia pressa per il vino, nota come Linos, si trova a Omodos a breve distanza dal Monastero della Santa Croce.


I vini serviti durante tali incontri erano appunto ciprioti ed erano particolarmente apprezzati. Scrittori, sacerdoti, esploratori, soldati e uomini di governo si deliziavano con i vini dolci di Cipro, li compravano, li caricavano sulle navi, li bevevano. La loro fama si diffuse in tutto il mondo civile. Cipro, nel frattempo, subiva un’invasione dopo l’altra; a trecento anni di governo della dinastia dei Lusignano seguì la dominazione Veneziana, dal 1489 al 1571. Nel 1571 gli Ottomani invasero l’isola e vi rimasero fino al 1878, quando la cedettero alla Gran Bretagna. Durante quel periodo ben poco fu fatto per aiutare i viticoltori ed i produttori di vino, soprattutto sotto i turchi, i quali imposero loro tasse inique, arrivando addirittura a triplicarle. Fu così che i vini ciprioti scomparvero e persero la loro fama. Successivamente nel XIX secolo si assistette alla nascita della moderna industria enologica. Nel 1844 fu fondata l’azienda Haggipavlu, che ormai produceva sia vino che alcolici, costruì la prima azienda vinicola moderna in Zanatzia, nel distretto di Lemesos (Limassol), dotata di apposite presse e di contenitori in pietra per la fermentazione. EKTO, che appartiene al Gruppo Haggipavlu, è oggi una società ad azionariato diffuso. Più o

meno nello stesso periodo, la famiglia inglese dei Chaplin costruì un grande impianto per la produzione del vino a Pera Pedi, appena a sud di Platres, ed iniziò a produrre vino su larga scala. Nel 1927, fu costituita la KEO Ltd che comprò l’azienda vinicola di Pera Pedi dalla famiglia Chaplin.

La terza delle “Grandi Quattro”, la LOEL, costituita nel 1943, è una “public company”, società ad azionariato diffuso, che fu creata con l’obiettivo di sviluppare gli scambi commerciali con paesi dell’allora Blocco Orientale. La quarta azienda, la Sodap, è una cooperativa fondata nel 1947 dagli

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stessi viticoltori ciprioti. Queste quattro aziende sono in grado di soddisfare ogni tipo di bisogno – vini “arricchiti” (tecnicamente “alcolizzati”) per il Nord Europa, dagli anni quaranta in poi, vino da tavola sfuso per i festaioli degli anni sessanta ed ogni genere di prodotto vitivinicolo per mercati di tutto il mondo. Nei primi anni ottanta il governo cipriota incoraggiò la creazione di piccole aziende vinicole, con una capacità produttiva compresa tra le 50.000 e le 300.000 bottiglie per anno, nei paesini collinari delle regioni dove si coltivava la vite. La prima di queste aziende fu creata nel monastero di Chrysorrogiatissa, nella zona di Pafos. Oggi nella regione esistono oltre 50 cantine che aspettano solo di essere scoperte da intenditori o, più semplicemente, da estimatori di quello che anticamente veniva definito il nettare degli dei. Il loro contributo alla diversificazione ed allo sviluppo di nuovi vitigni è stato enorme. Ogni anno si assiste ad un miglioramento qualitativo e all’introduzione di nuovi vitigni che non mancano di suscitare grande interesse e che sono ottenuti sia da uve locali che da famose varietà internazionali. In questo periodo anche le “Grandi Quattro” hanno sviluppato nuovi vitigni autoctoni, hanno 82  |   K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6



piantato ceppi di varietà cipriote, hanno creato nuove aziende e restaurato vecchie strutture sulle colline e potenziato i loro impianti produttivi a Lemesos.

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I loro laboratori hanno effettuato ricerche su nuove tecniche di produzione, nuovi stili e nuovi marchi. La sinergia tra grandi aziende e piccole imprese locali conferisce all’industria vinicola ci-

priota brillanti prospettive per il futuro, specialmente dopo l’ingresso nell’Unione Europea. Le due principali regioni per la coltivazione della vite si trovano ai piedi dei Monti Troodos, area nota come “Krassochoria”, cioè i “villaggi del vino”, sulle pendici meridionali della catena montuosa dove si ammirano numerosi e pittoreschi villaggi collinari, nel distretto di Lemesos (Limassol), e sul declivio sud occidentale, nella zona di Pafos. In questi villaggi sono mantenute vive le tradizionali forme di viticoltura. La produzione viticola rappresenta la principale occupazione per la maggior parte degli abitanti di questa zona. I paesini dell’area ospitano vari musei locali del vino, che vale sicuramente la pena di visitare. Il visitatore può fare interessanti escursioni culturali visitando molte aziende vinicole aperte al pubblico, dove degustare e acquistare il vino, taverne, nelle quali assaggiare i piatti tipici regionali e diverse soluzioni per l’alloggio, dall’agriturismo alle case tradizionali, fino all’Hotel cinque stelle. Ovunque la vista di piccoli vigneti, dove viene eseguito ogni tipo di lavorazione, spesso con tecniche e metodi che sono rimasti immutati nel corso dei secoli.


Ovunque vi sarà riservata una calorosa accoglienza. Molti vigneti sono inaccessibili alle meccanizzazioni agricole e gli asini sono ampiamente utilizzati per portare le attrezzature nel vigneto e trasportare l’uva. In alcuni casi si possono vedere asini e buoi che arano alla base dei ceppi che si insinuano in concorrenza con il bosco naturale o le altre colture mediterranee come olivo, carrubo, albicocco, mandorlo. Cipro non ha mai subito l’invasione della fillossera, diversamente dagli altri paesi europei dove si coltiva la vite. Insieme ai vitigni tradizionali i vitigni coltivati sull’isola sono, per la maggior parte, varietà autoctone, le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Molti di questi sono stati riscoperti di recente, opportunamente recuperati e ripiantati. La maggior parte del vino bianco è prodotta con uve provenienti dalle varietà Xynisteri, autoctono che consente di ottenere un vino fresco da bersi preferibilmente giovane, vinificato in purezza o in uvaggio con il Semillon; Chardonnay, internazionale originario della francese Borgogna, emigrato in tutto il mondo viticolo trova le condizioni pedo-climatiche ottimali sull’isola; Sauvignon Blanc, francese della Valle della Loira, è coltivato in pochi posti e con produzioni limitate; Semillon, secco e liquo-

roso di Bordeaux viene messo in blend (10-20%) con Xynisteri per avere un uvaggio corposo e aromatico per vini di grande personalità; Moscato di Alessandria per vini secchi o amabili, con Xynisteri crea un gusto unico; Promara o Morokanella, varietà autoctona rara caratterizzata da grappolo e acino grosso, trova le condizioni ideali nel clima secco e nei suoli limosi; Spourtiko, grappolo spargolo con acini dorati, produce un vino dal gusto aromatico-floreale, è un efficace impollinatore di varietà come Maratheftiko. Tra le varietà rosse dell’isola abbiamo: Mavro, è la varietà autoctona di Cipro, copre il 60% della superficie vitata, bassa acidità che in rari casi viene anche consumata come uva da tavola. Si ottiene un vino fresco e giovane che va bevuto entro l’anno: ottimo uvaggio quando viene miscelato con un 20% circa di uve a più elevata acidità, come il Cabernet Sauvignon, il Cabernet Franc, il Grenache, il Carignan Noir, il Mataro oppure con varietà locali come il Maratheftiko e l’Ophthalmo; Maratheftiko, autoctono appena riscoperto interessa circa il 2% della superficie vitata dell’isola: è adatto per la produzione di rossi e rosati; Ophthalmo, autoctono è coltivato nell’area di Pitsilia e parte di Pafos. Colore rosso carico,

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gusto astringente, aromatico e tannico; Lefkada, originario dell’isola greca di Lefkada è coltivato da lungo tempo a Cipro. Colore rosso intenso, aromatico, astringente dato l’elevato contenuto di tannini; Cabernet Sauvignon, il vitigno più famoso al mondo è diffusamente coltivato sull’isola. Rosso carico, tannico, astringente, aroma piccante; Cabernet Franc, produce meno del Cabernet Sauvignon, più precoce, crea un interessante blend con Cabernet Sauvignon; Merlot, sono ancora pochi i vini dell’isola che vantano il vitigno ma si pensa ad un interessante sviluppo nei nuovi impianti; Syrah, definita varietà straniera dell’isola, ha un aroma ed un colore deciso e si avvantaggia del passaggio in barrique di rovere o trucioli: troviamo interessanti uvaggi con Grenache e Mataro; Mataro o Mourvedre, varietà spagnola garantisce vini corposi, tannici, fruttati e ideali per l’invecchiamento in botti di rovere; Carignan, nei distretti di Lemesos e Pafos interessano alcune centinaia di ettari di superficie vitata. Vino ricco di acidità, tannico, può essere bevuto entro i due anni o in uvaggio; Grenache, molto diffuso a Cipro per la produzione di vini rosati secchi o semi-secchi. I rossi sono aromatici e spesso in blend con Cabernet Sauvignon, Syrah 86  |   K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6

e Mataro; Yannoudi, autoctono recentemente riscoperto. Colore rubino, fruttato, corposo con sentori floreali e fruttati. C’è una maggiore scelta di vini rossi rispetto ai bianchi, a causa del minor numero di varietà disponibili per i tagli dei bianchi e per il fatto che tali

varietà non crescono in ogni regione. Quasi tutte le aziende di Cipro producono diverse tipologie di vini rossi, bianchi e rosati spesso ulteriormente distinti in secchi, medi e dolci. I vini ciprioti “arricchiti” in contenuto alcolico sono molto famosi ed hanno un ottimo rapporto qualità-prezzo.




Variano dal “molto secco” al “secco”, dal “mediamente dolce” al “molto dolce” e sono eccellenti prima o dopo i pasti o come rinfrescante aperitivo. Da non dimenticare inoltre la Commandaria (Koumandaria), ritenuto il più antico del mondo, ed è citato da Esiodo fin dal 735 a.C.; vino dolce e fruttato di uve passite cresciute al sole nei villaggi montani che si trovano sui pendii meridionali dei Monti Troodos. La Regione della Commandaria è una porzione di territorio comprendente 14 villaggi situati nella parte sud-ovest dell’isola di Cipro, ad un’altitudine di 500 - 900 metri e a 30 chilometri da Lemesos (Limassol). Questi i loro nomi: Ayios Yeorgios, Ayios Constantinos, Ayios Mamas , Ayios Pavlos, Apsiou, Yerasa, Doros, Zoopiyi, Kalo Chorio, Kapilio, Lania, Louvaras, Monagri e Sylikou. Le uve sono vendemmiate tardivamente e lasciate seccare al sole prima della torchiatura e della fermentazione, in modo da accrescerne il contenuto zuccherino e conferire al vino il caratteristico gusto maturo, quasi bruciato, che gode ormai di una popolarità secolare. Prese il nome dalla “Grand Commandarie”, un edificio a Kolossi, di proprietà dei Cavalieri Ospitalieri. Si narra che Marco Antonio corteggiasse Cleopatra offrendole coppe del K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6   |  89


Omodos, villaggio dedito alla produzione di vini, sui declivi dei Monti Troodos.


liquoroso nettare e Riccardo Cuor di Leone l’apprezzasse così tanto che lo ribattezzò “Il Vino dei Re e il Re dei Vini”. L’industria cipriota dell’uva oltre che sul vino si basa sulla produzione di altri prodotti che vanno dal succo d’uva al mosto d’uva concentrato, esportati in grandi quantità, passando per ogni genere di vini, liquori e distillati, tra cui la famosa “Zivania”, grappa bianca o rossa distillata ancora artigianalmente anche in alcuni monasteri.

tipici ed il ricco sapere tramandato per intere generazioni. Vini bianchi, rossi e rosati di produzione locale, la Commandaria – il liquoroso nettare locale, la grappa Zivania distillata artigianalmente, il pane a forma di anello (arketana) cotto nei tipici forni chiusi, inventati dai briganti che occupavano que-

ste montagne e vi cuocevano i cibi evitando di fare uscire il fumo, per non essere scoperti. Nella parte bassa della piazza si trova l’ingresso al monastero, fondato nel 327 d.C. dall’imperatrice Elena di ritorno dalla Terrasanta. Della struttura antica si notano le forme del cortile e gli archi tipici del periodo delle crociate. I monaci

Omodos Il villaggio di Omodos è una tipica meta turistica sulla strada che conduce dal litorale di Limassol verso le più alte cime del massiccio dei Monti Troodos. È il paese più noto della Krassochoria, la zona collinare che dai piedi della fascia montuosa scende verso la costa. Il villaggio si è sviluppato intorno al complesso del Monastero di Timios Stavros o di Santa Croce, davanti al quale una grande piazza selciata che risale al tempo dei Lusignano, oggi gremita di bar e negozi di artigianato, dove abbiamo la conferma della grande ospitalità dei ciprioti sempre disponibili nei confronti dei turisti e non perdono l’opportunità di far conoscere i prodotti K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6   |  91


“Kleftes” è il forno tradizionale sigillato in cui vengono cotte le specialità dell'isola cipriota. Il nome indicava i partigiani delle montagne che combattevano gli invasori Ottomani; cucinavano i cibi in forni sigillati con argilla per impedire la fuoriuscita del fumo, che ne avrebbe rivelato la posizione. 92  |   K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6

Il pane a forma di anello è una specialità di Omodos, villaggio sui Monti Troodos.


Monastero della Santa Croce a Omodos.

Monastero di Timios Stavros, detto della Santa Croce.

Cortile del Monastero.

Archi del Monastero della Santa Croce.

Piazza selciata nel centro di Omodos. Risale all’epoca dei Lusignano ed è caratterizzata dalla presenza di bar e negozi di artigiani.


Vista sul Mediterraneo dal Palm Beach Hotel a Larnaka.


hanno abbandonato il monastero dove rimangono importanti reliquie legate alla Santa Croce, come alcuni brandelli di corde con cui fu legato Cristo. Da non perdere una vecchia pressa per il vino, nota come “Linos” che si trova a breve distanza dal Monastero. Lungo le pareti si possono ammirare molti oggetti legati alla produzione del vino e soprattutto i “pitharia” grandi anfore di terracotta, a forma di cipolla, dove fino a non molto tempo fa venivano conservati vino, olio e frumento; oggi sono ormai diventati parte integrante del paesaggio di campagna. Da Larnaka a Lefkara ad Agros La cordiale conversazione con Antonis Papakyriakou, General Manager del Palm Beach Hotel di Larnaka, mi ha permesso di capire le distintività per le quali un viaggiatore deve visitare Cipro. La gente dei villaggi persone semplici, ospitali, simpatiche, innamorate del loro Paese, che non perdono occasione per farti entrare nella loro cultura attraverso suggestioni basate sul sapere quotidiano, una straordinaria cucina influenzata dalle civiltà provenienti da Grecia, Turchia, Libano, Siria, Armenia, Italia, Francia e Gran Breta K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6   |  95


gna. La popolazione è 965.900 abitanti (2012) di cui 688.000 (71,9%) Greco-ciprioti, 90.600 (9,5%) Turco-ciprioti e 177.800 (18,6%) stranieri. Una posizione geografica strategica crocevia di 3 continenti: Africa, Asia ed Europa. Con i suoi 9.251 kmq è la terza isola del Mediterraneo e misura 240 km di lunghezza e 96 di larghezza. Ciò spiega perché, nel corso dei secoli, diversi imperi, invasori, coloni stranieri e commercianti abbiano conquistato l’isola, lasciando una traccia indelebile del loro passaggio. Un itinerario storico culturale completo e articolato che interessa 10.000 anni di storia: Era Preistorica (8200-1050 a.C.) dagli insediamenti rurali neolitici all’arrivo dei Greci, che introdussero la lingua greca, la loro religione e i loro costumi; Periodo Geometrico ed Arcaico (1050-480 a.C.) con la nascita delle città-stato e l’arrivo di Fenici, Assiri ed Egizi; Periodo Classico, Ellenistico e Romano (480 a.C.-330 d.C.) dove si susseguono Persiani, Tolemaici d’Egitto e Romani. L’isola conosce un grande sviluppo artistico e commerciale ed inizia la cristianizzazione di Cipro: il proconsole romano Sergius 96  |   K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6

Paulus, convertitosi al cristianesimo, fu il primo re cristiano della storia; Periodo Bizantino (3301191) Costantinopoli (Bisanzio) divenne capitale dell’Impero Romano d’Oriente. Viene riconosciuta l’autonomia alla chiesa Ortodossa e si sviluppa l’architettura ecclesiastica con monasteri e chiese bizantine affrescate e arricchite di mosaici e icone; Periodo dei Franchi (1192-1489) quando Riccardo Cuor di Leone sposa Berengaria di Navarra a Lemesos. Da questo momento l’isola è il più importante nodo commerciale nel Mediterraneo orientale; Periodo Veneziano (1489-1571) Caterina Cornaro, ultima regina di Cipro e della famiglia franca dei Lusignano, che regnò per circa 300 anni, cede l’isola a Venezia ed entra a far parte della Repubblica della Serenissima; Periodo Ottomano (1571-1878). Dopo la morte del comandante veneziano Marco Antonio Bragadin, l’isola cade in mano agli Ottomani per un periodo di trecento anni; Dominio Britannico (1878-1960) nel 1878 la Gran Bretagna assume l’amministrazione, con il trattato di Losanna la Turchia rinuncia ad ogni diritto su Cipro, che diventa colonia britannica; Indipendenza e Repubblica di Cipro (1960 a oggi) viene proclamata la Repubblica di Cipro nel 1960. Nel 1974 la Turchia invade mi-


Vista sui Monti Troodos.


litarmente l’isola ed occupa il 37% del territorio. Nel 2004, con la parte nord ancora sotto occupazione militare turca, Cipro entra nell’Unione Europea e nell’euro. La natura selvaggia che permette al visitatore, che giunge sull’isola di Afrodite, di respirare la particolare atmosfera dei suoi paesaggi, dove il tempo sembra essersi fermato e la bellezza della natura regna incontrastata. Dalle acque cristalline del mare, alle suggestive grotte di Capo Greco, alle spiagge dorate di Agia Napa e Protaras, alla splendida costa rocciosa di Petra tou Romiou si possono scoprire piccole cale che permettono di riflettere sul perché la mitologia greca abbia scelto di far emergere Afrodite dalle onde del mare che lambiscono la costa occidentale di Cipro. Lasciandoci alle spalle le città della costa imbocchiamo pittoresche stradine che si inerpicano sulle montagne dove ci aspetta un mondo ricco di biodiversità e tradizioni. La catena montuosa dei Troodos, che con le sue fitte pinete domina la pianura centrale, è ricca di bellezze naturali, mestieri e arte. Disseminati lungo i pendii del paesaggio mon98  |   K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6

tano vi sono numerose pittoresche aree rurali e paesaggi dai pacati ritmi di questi luoghi, dove gli abitanti seduti su sedie di vimini vi accolgono con un caloroso saluto e vi invitano ad accettare un caffè, un ouzo, noccioline, semi di zucca, un bicchier di vino o di Commandaria. Intanto respiriamo l’aria dell’isola per restare inebriati

dall’odore genuino del pane appena sfornato, dei salumi affumicati, dei formaggi, dal profumo dei limoni e dei delicati fiori di agrume o dall’uva lasciata fermentare dopo la vendemmia. Il sapere contadino e l’artigianato. Il passato turbolento ha spinto Cipro a rendersi autosuf-




ficiente e le famigli cipriote che vivono in zone rurali ancora oggi producono il cibo di cui hanno bisogno. Fino a non molto tempo fa il frumento, l’olio e il vino venivano conservati nelle “Pitharia”, enormi anfore di terracotta a forma di cipolla che sono ormai diventate parte integrante del paesaggio di campagna. L’isola ha sempre prodotto un’enorme varietà di generi alimentari, grazie al suo clima mite. La coltivazione, infatti, di prodotti di consumo quotidiano come fichi, fagioli, ceci, erbette, olive, datteri, mandorle e frutta a guscio ha origini antichissime. Per conoscere la cucina di Cipro ed i suoi abitanti è importante fare un bel giro nei mercati locali. La maggior parte della merce esposta sui banchi inizia dalla frutta e dalla verdura, appena raccolte nei campi la mattina presto e sempre freschissime! Pomodori, peperoni, zucchine, melanzane, anguria, meloni, prugne, albicocche, pesche, uva, avocados… poi erbette aromatiche, legate in mazzetto, ancora con tracce di terra. Ci sono poi anche prodotti più esotici come okra (conosciuta anche come “dita di donna”), fagioli freschi, carciofi, fragole e tuberi simili a patate dolci. Al mercato dei pescatori le cassette sono colme di K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6   |  101


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pesce fresco, dal colore argenteo, triglie o “barbouni”, acciughe o “marida”, spigola o branzino o “lavraki”, pesce spada o “xifias” e poi i preferiti dai ciprioti: calamari e seppie. Tra i banchi delle “delicatessen” esiste una ampia offerta di prodotti, molti dei quali arrivano dai villaggi montani, spiccano il miele, le olive e la frutta conservata nello sciroppo detta “glyko”. Relativamente all’artigianato spicca l’abilità nella lavorazione dei metalli, soprattutto il rame, una delle principali ricchezze dell’isola fin dall’antichità. Nell’Illiade Omero fa riferimento alla corazza offerta da Cipro al re Agamennone e pare che anche Alessandro Magno si facesse forgiare le spade esclusivamente sull’isola. Ancora oggi gli artigiani realizzano oggetti in ceramica e in legno intagliato, manufatti in rame e argento, canestri e ceste. Tra gli antichi mestieri la gioielleria ha antiche tradizioni. Già all’epoca Neolitica e Calcolitica esistevano gioielli fatti in pietra e ossa, nell’epoca ellenistica e romana diventano di piccole dimensioni ma straordinariamente dettagliati. Le tecniche della filigrana e dei maestri orefici, sono arrivate inalterate fino ai nostri giorni.

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La cultura del visitatore. Il turismo è una risorsa strategica per Cipro e il senso di ospitalità è un carattere distintivo della popolazione. Questo viene regolamentato anche a livello istituzionale: una delle eredità più evidenti della dominazione britannica a Cipro è la guida a sinistra e questo

crea già una ulteriore situazione di disagio per chi non fa parte di questa cultura. Non preoccupatevi, se prendete un’auto a noleggio sarà contraddistinta da una “targa rossa” in modo tale che lo straniero possa essere immediatamente identificato e “protetto” quando incontra, anche a tor-

La targa rossa contraddistingue il visitatore che va rispettato e facilitato nei trasferimenti.

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to, qualche difficoltà nella guida; i locali hanno l’obbligo di dare la precedenza al visitatore! Ecco, questa è una cosa che mi ha favorevolmente colpito: non costa nulla ma offre un valore culturale distintivo a chi la mette in atto (un’idea che passo ai tecnocrati europei che si occupano di viabilità e turismo). Partiti da Larnaka, proseguiamo attraverso una serie di località molto varie attraverso le colline dell’interno dove possiamo godere dei panorama, dove agricoltura estrema e natura selvaggia si contendono i territori più fertili, creando iconemi che rappresentano l’equilibrio dinamico del rapporto uomo-natura e si respira l’anima tradizionale delle colline cipriote. Arriviamo a Lefkara (700 m s.l.m.) incantevole borgo, a 70 km da Larnaka, dalle stradine ripide e tortuose e dalle pittoresche case in pietra bianca. Il villaggio è noto per i suoi raffinati ricami, ancora oggi artigianalmente eseguiti dalle donne del luogo, fuori dalle case o botteghe, secondo una antica tradizione medievale; non lontano gli uomini del paese si dedicano alla famosa argenteria locale oppure alle attività agricole, nei campi fuori dal paese. Larnaka è famosa per i suoi merletti conosciuti come “Lefkaritika” e per la sua lavorazione


dell’argento. La produzione dei merletti risale al XIX secolo, periodo nel quale i primi mercanti iniziarono a viaggiare fuori dall’isola proponendo e vendendo il loro “lefkaritika”. Andarono in Europa poi in America e Australia e la loro avventura ebbe un grande successo. Nel merletto di Lefkara vengono usati una complessità di punti e disegni: ci sono delle caratteristiche comuni con i vecchi ricami italiani del XVI secolo (reticello antico) e questa caratteristica tra la civiltà veneziana e cipriota è avvenuta durante la dominazione della Serenissima a Cipro. A Lefkara si pensa che i veneziani abbiano visto e copiato il loro ricamo per poi modificarlo e adattarlo con il nome di reticello. Un dipinto che si trova nella chiesa dell’arcangelo Michele testimonia l’esistenza di questo tipo di ricamo fin dai tempi remoti. I vecchi merletti si facevano su tessuto di cotone locale; in seguito e anche oggi si lavora su tessuto di lino proveniente dal Nord dell’Irlanda. Le caratteristiche peculiari sono: il colore del filo (bianco, marrone o ecrù), la quantità del filo, la reversibilità del lavoro (dritto e rovescio devono essere uguali) e i disegni (sempre gli stessi che si tramandano di generazione in generazione). Molti di questi portano i nomi che descrivono oggetti

di vita quotidiana come lanterne, croci, forchette, lumache e margherite. Una importante distintività del “lefkara” è il fiume vale dire un disegno a zig-zag che scorre seguendo la trama del tessuto e contorna i vari quadrati o triangoli. I disegni vengono fatti lungo il bordo del tessuto e sono chiamati: tsimbi, closi

e tsimbocloso. Negli ultimi tempi è stato inserito un nuovo tipo di merletto: il merletto a fuselli, una tecnica molto diffusa in Europa. Il merletto di Lefkara si è evoluto nel tempo subendo cambiamenti nella tecnica, nei disegni, nei nomi locali, nei motivi parallelamente all’evoluzione storica dell’isola. La leggenda narra che Leonardo da

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Michalakis Christou argenteria di Lefkara.


Niki Agathocleous LTD, industria dolciaria tradizionale - Agros. K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6   |  111


Vinci, visitando Cipro per supervisionare le fortificazioni dell’isola, acquistò una tovaglia ricamata che sarebbe stata poi donata al Duomo di Milano. In suo onore si realizzano ancora le tovaglie con il “punto Leonardo”. A Lefkara si trova il Museo del merletto e dell’argento: Lace and Silverware Museum of Lefkara. I salumi Agros è un piccolo villaggio sui Monti Troodos ed uno dei centri più famosi per la produzione di salumi. Le “Loukanika” sono le tipiche salsicce cipriote che hanno un sapore variabile secondo il luogo in cui sono state prodotte; ottenute da carni suine marinate nel vino e speziate con lentisco, alloro e coriandolo di cui si aggiungono all’impasto i semi schiacciati e altre spezie. Ricordano la lucanica veneta e sono da cucinare in padella o alla griglia. “Chiromeri” è il prosciutto locale a base di carne di maiale, che viene marinato e aromatizzato come le Loukanika. Lountza è un insaccato fatto con filetto di maiale, messo due giorni sotto sale per togliere l’umidità e poi fatto marinare, per una settimana, nel vino con spezie come il coriandolo. Si procede quindi all’affumicatura per una durata di due settimane su fumi di legno 112  |   K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6

non resinoso, preferibilmente mandorlo e carrubo. Tsamarella è un prodotto che ha rischiato di scomparire: è ottenuto da carne di capra essiccata al sole per circa dieci settimane, dopo essere stata coperta di sale e origano. Si utilizza la coscia, la

parte più magra, tagliata a strisce. Un prodotto particolarmente apprezzato dai ciprioti è il “pastourma”, una salsiccia piena di peperoncino e fieno greco che conferisce il tipico piccante alla grigliata.

Kafkalia Ltd. Prodotti tradizionali affumicati - Agros village, nel cuore di Pitsilia area vicina ai Monti Troodos.


Columbia Beach Resort di Pissouri, vicino a Limassol.


Da Lemesos ad Anogyra a Petra tou Romiou Il soggiorno al Colombia Beach Resort di Pissouri, vicino a Limassol, è una esperienza da non perdere per la scenografia mozzafiato che offre sulla costa di Afrodite, per la cordialità e professionalità del personale, e soprattutto la possibilità di un percorso culturale nell’enogastronomia cipriota degustata dalle splendide terrazze con atmosfera tipicamente esotica. Di buon mattino iniziamo la scoperta della parte sud-ovest dell’isola. Lungo le strade tortuose la vita nelle campagne sta riprendendo il suo ritmo: sulle cime delle colline si scorgono gli allevamenti di capre e pecore, gli opifici dove i prodotti agro-pastorali e ortofrutticoli allieteranno la nostra tavola. La vite, il carrubo e soprattutto olivo e olivastro colorano le aride zone dove le proprietà sono delimitate dai caratteristici muretti a secco, recuperando i sassi dello spietramento dei campi coltivati. L’olivo, pianta millenaria del paesaggio agricolo mediterraneo, è stato sempre apprezzato per i suoi frutti e l’olio che da essi si ricava per semplice pressione. Simbolo di pace e prosperità, l’olivo inizia il suo percorso dalle regioni caucasiche coltivato, circa 6.000 anni fa dai popoli ad ovest 114  |   K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6




dell’altopiano iraniano. Da qui si spostò poi nel Mediterraneo, giungendo prima in Grecia la cui colonizzazione portò la coltivazione, a partire dall’VIII sec. a.C. in quella che verrà chiamata la Magna Grecia. Apprezzato prima per il suo legno fu l’olio a diventarne il prodotto principe. Fonte di luce e alimento con elevato potere energetico, divenne elemento simbolico delle grandi religioni monoteiste, unguento per gli atleti olimpici, cosmetico per la bellezza e poi centro della Dieta Mediterranea, appena si conobbero le proprietà nutrizionali e benefiche per la salute umana. Le famiglie contadine cipriote si sono dotate di frantoio ed eseguono in loco tutte le operazioni dal campo al prodotto finito e mettono a disposizione il pregiato “oro giallo” in taniche economiche o in pregiate confezioni regalo. Colpisce favorevolmente, come nelle zone del vino, l’attenzione alla “cultura” del prodotto attraverso l’organizzazione di interessanti musei che testimoniano il percorso storico e sociale dell’olio e la possibilità, da parte dei visitatori, di conoscere il trascorso del prodotto attraverso il sapere contadino. Questa, a mio avviso, è la via sostenibile per ridare dignità e reddito all’agricoltore: guadagnare la fiducia del consumatore facendo conoscere le qualità distin-

Museo del carrubo ad Anogyras.

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tive delle produzioni e quello che si deve fare, o è stato fatto, per raggiungere quella qualità. Per molte zone rurali di Cipro le carrube rappresentano la principale fonte di reddito e vengono dette “l’oro nero di Cipro” per la loro importanza. Il carrubo è una pianta rustica amante del caldo e non soffre la sete. Si sviluppa nei terreni aridi e pietrosi dove riesce, con le forti ed estese radici, a raggiungere acqua e nutrimenti in profondità. È un albero longevo a crescita lenta che caratterizza, con la sua ampia chioma semisferica e sempreverde, i paesaggi aridi e serve da rifugio per gli animali, contro il caldo. Le origini antichissime risalgono alla fine dell’ultima era glaciale, ben 12.000 anni fa; Siria, Israele e Yemen sono ritenuti i Paesi originari, dove le calde e aride pianure rappresentano l’habitat ideale per la specie, diffuso poi in tutto il bacino del Mediterraneo. Le carrube servivano per produrre succhi di frutta e dolci, il loro succo veniva impiegato anche come medicinale. Già conosciuto e apprezzato dalle civiltà mesopotamiche che abitavano le zone del Medio Oriente, oggi Iraq; dagli antichi Egizi, dove semi e baccelli sono stati trovati nelle antiche 118  |   K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6


Alberi di carrubo.


Lavoratori di carrube, si possono notare le dita macchiate durante la lavorazione.

Despo Michael trasformatore di carrubo.

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tombe, dai Greci che iniziarono a coltivarlo, circa 4.000 anni fa, e lo diffusero nel Mediterraneo. In tutti i territori occupati dagli Arabi, dall’Africa al Medio Oriente, il carrubo e i suoi frutti venivano tenuti in grande considerazione sia come medicinale che come alimento. A quel tempo era difficile conservare il cibo e l’importanza di questo alimento era legata al fatto che le carrube essiccate si conservavano per mesi fornendo un importante apporto di zuccheri, proteine e vitamine; indispensabile per le persone povere che non potevano disporre, per la conservazione, di spezie, olio e sale. I frutti sono chiamati carrube, grandi baccelli di 10-20 cm di lunghezza, buccia spessa dura, cuoiosa, di colore marrone scuro quando il baccello è maturo. Nel baccello sono racchiusi i semi, singolarmente in una serie di fori ovali. Ogni baccello può contenere fino a 15 semi; un tempo erano presi come unità di peso per le pietre preziose e per l’oro. Furono i mercanti arabi a coniare il termine “carato”, dall’arabo “qerat”: il motivo era il loro peso, pari a circa 0,20 grammi e, con l’andar del tempo diedero il nome al carato, l’unità di misura mondiale per stabilire il peso delle gemme. Le carrube venivano inoltre, in alcuni territori

ancora oggi, usate per l’alimentazione del bestiame mentre polpa e farina sono ingredienti fondamentali per alcuni dolci tipici o come stabilizzante di molti prodotti alimentari, dalle salse ai condimenti, dai dolci ai gelati. L’infuso serviva, inoltre, per calmare la tosse, contro il mal di gola, per schiarire la voce e curare numerose malattie. Di questo succo zuccherino ne fanno uso gli arabi per dissetarsi e rinforzarsi dopo il digiuno rituale del Ramadan. La raccolta delle carrube avviene in autunno, quando l’albero è in fioritura, per prepararsi alla fruttificazione dell’anno dopo; i raccoglitori devono essere esperti nel maneggiare le lunghe pertiche e far cadere i frutti sui teli, evitando di danneggiare la fioritura. Messe poi in un luogo asciutto, coperto e ventilato per far scendere l’umidità dal 10-20% all’8%; la polpa viene poi separata dai semi ai quali si toglie buccia e germoglio. Dalla lavorazione dei semi si ottiene la gomma di carruba. Questo frutto ha contribuito a sfamare le popolazioni più indigenti sin dall’alba delle civiltà, specialmente durante i periodi di carestie e di guerre; ancora oggi è un alimento prezioso. Le carrube sono ricche di vitamina A, D e gruppo B, e di minerali fra i quali calcio, fosforo, potassio, manganese


e rame; ottime nella prevenzione della osteoporosi. Ricca di fibre è indicata nelle diete dimagranti perché sazia ed è importante per regolare le funzioni intestinali; contiene i polifenoli, potenti antiossidanti noti per contrastare i radicali liberi e ridurre il rischio di patologie cardiovascolari. Non contengono glutine e quindi possono essere tranquillamente consumate da chi soffre di celiachia. Ritornati a Pissouri proseguiamo in direzione Pafos attraverso un paesaggio ricco di colline brulle e ci avviciniamo alla regione giustamente famosa per le sue coste, ricca di piccole baie dove l’acqua turchese contrasta con la roccia chiara delle scogliere. Finalmente arriviamo su un’altura dove possiamo ammirare l’eccezionale panorama sugli scogli di Petra tou Romiou, il luogo dove, secondo la leggenda, la dea Afrodite nacque sorgendo dalle acque.

Renzo Angelini Direttore Editoriale Le rocce bianche incorniciano Petra tou Romiou. K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6   |  121




CHAD, NEL CUORE DEL SAHARA Maurizio Levi


Localizzato nella parte centrale del Sahara, il Chad è il Paese più sconosciuto e isolato del grande deserto africano. Punto di incontro tra due culture: quella africana nella parte sud con i mercati vocianti e colorati, e quella sahariana con i nomadi e i loro animali che affollano i pozzi. Geologicamente interessantissimo è caratterizzato da gruppi montagnosi come l’Ennedi, con le sue bizzarre e imponenti formazioni tassiliane di arenaria color ocra che danno vita ad un dedalo di canyon, gole e cattedrali di roccia dove, nascosti in ripari naturali, si trovano siti con stupende pitture rupestri. A Nord i laghi di Ounianga che appaiono all’improvviso inaspettati tra le dune arancioni che cadono a picco nell’acqua, circondati da rigogliosi palmeti e colline rocciose. Il viaggio sorprende anche per gli attraversamenti di vaste distese di dune che sembrano non finire mai dove si ha l’impressione di essere i primi esseri umani a passare.

milioni di anni fa. Si inizia il viaggio con uno bel percorso di circa 500 km verso Est che dalla capitale N’Djamena, attraversando una regione

predesertica saheliana caratterizzata da isolati baobab, villaggi e mercati, porta alla cittadina di Abechè, capoluogo della regione del Ouaddai

Focus di un viaggio in Chad è la regione dell’Ennedi, un altopiano di arenarie esteso per circa 60.000 kmq (quanto la Svizzera), con un’altitudine media di 1000 m, formatosi tra i 500 e i 300 K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6   |  125



Le gole di Archei, nel massiccio dell’Ennedi, sono un importante punto d’incontro dei nomadi Tebu che portano i cammelli all’abbeverata.

nei pressi del confine con il Sudan. Poi si procede verso nord, inoltrandosi nel grande Sahara. Il paesaggio diventa sempre più desertico e appaiono i primi assembramenti di uomini e animali attorno agli isolati pozzi. Dalla sabbia del grande deserto africano, tutto ad un tratto appaiono formazioni rocciose irregolari di arenaria modellate nei millenni dal vento, che ha scolpito forme di torrioni singoli e multipli simili a castelli medioevali (tipiche dei plateau tassilini), intervallate da canyons e gole. Sicuramente la più nota per la sua bellezza è la gola di Archei, dove spettacolari pareti di arenaria rossa delimitano delle “guelte”, bacini d’acqua permanenti. Qui, ogni giorno, nel silenzio assordante del deserto, carovane di cammelli si addentrano per l’abbeverata. Uno scenario “preistorico” che si ripete immutato da centinaia d’anni. Dopo altri 100 km verso nord si raggiunge Fada, una piccola oasi con 5000 abitanti. Una caratteristica oasi sahariana dove il piccolo villaggio e il povero mercato, costituiti da case d’argilla riunite attorno al vecchio forte coloniale, furono occupati per sette anni dall’esercito libico (dal 1980 al 1987) durante l’invasione del Chad settentrionale. L’intervento militare della

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Francia risultò determinante e l’esercito libico, nella ritirata, abbandonò il valore di circa un miliardo di dollari in attrezzature militari, lasciando fra le dune del deserto lamiere contorte e carbonizzate di carri armati e veicoli lanciamissili, granate di artiglieria, elmetti dei soldati, tettucci di auto e camion, mentre migliaia e migliaia di bossoli di mitragliatori sbucano ancora adesso fra le sabbie. Di questa sanguinosa guerra rimasero anche 70.000 mine antiuomo (soprattutto lungo le piste che collegano Fada con le oasi di Ounianga), ora completamente bonificate, rendendo così inaccessibile per decenni agli stranieri questa remota zona del Sahara. Da Fada si inizia la traversata della Depressione del Murdi, un’area totalmente disabitata caratterizzata da grandi cordoni dunari. Il percorso in auto è impegnativo per i frequenti insabbiamenti; si segue la traccia dell’antica pista carovaniera che collegava le saline delle regioni di Ounianga e Teguedei ai villaggi ciadiani del Sud. Qui, in una delle regioni più isolate del Sahara, nell’enorme vastità dello spazio e nel silenzio più assoluto, è facile incontrare giacimenti neolitici e paleolitici con resti di vasellame di ceramica e altri manufatti preistorici. K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6   |  129


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I laghi Ounianga sono una vera “curiosità geologica” in pieno Sahara, circondati da dune e falesie rocciose si trovano una quindicina di bacini d’acqua dei quali alcuni veramente estesi.


Questi luoghi così inospitali furono abitati dall’uomo preistorico, come testimoniano i numerosi ripari incisi con pitture rupestri di raffinata qualità risalenti ad oltre 5000 anni fa e raffiguranti animali e scene di vita perdute. Nella parte sahariana del Chad oggi vivono diverse etnie (tebou, in lingua kanouri “gli uomini che vivono sulla montagna”, a nord; kanembou, daza, kanouri, kereda, boulala, fulbe, hausa, hadjerai, kotoko, baguirmi e arabi al centro; moundang, moussei a sud) che parlano diverse lingue e professano tre confessioni principali, sullo sfondo di una storia, ricca e complessa, che affonda le radici nell’antichità. Bisogna essere esperti come gli autisti tebou per guidare nel deserto del Chad. Non ci si orienta con la cartina, ma con l’istinto e l’esperienza, “leggendo la sabbia” per individuare i passaggi migliori, fra dune, rocce, sassi e imprevisti. Bisogna riconoscere i colori e le ondulazioni della sabbia per scegliere, di volta in volta, i passaggi più sicuri ed evitare faticosi insabbiamenti o pendenze laterali improvvise; se necessario anche con una ricognizione a piedi. Naturalmente le vetture, Toyota Land Cruiser, le migliori auto 4x4 per queste spedizioni sahariane, devono essere perfettamente equipaggiate con piastre da sabbia, cavi di traino,

taniche per carburante extra, compressore per pneumatici, almeno 2 pneumatici di scorta, casse in alluminio per immagazzinare cibo e attrezzatu-

re, un GPS, un telefono satellitare tipo Thuraya per emergenza. Quasi tutto il percorso si svolge su piste per la maggior parte sabbiose, ma anche

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Il pozzo di Toukou, tra le montagne dell’Ennedi, è frequentato tutto i giorni da migliaia di animali che i nomadi portano all’abbeverata. Tutta l’acqua è estratta a mano dal pozzo profondo oltre 10 metri.


lunghi tratti fuoripista attraversando un deserto di dune e pianure di sabbia; è quindi necessario ridurre la pressione delle gomme per “galleggiare” sulla sabbia e procedere più speditamente.

Un viaggio nel nord del Chad è una vera e propria spedizione sahariana dove bisogna prevedere tutto il possibile con anticipo, ma non si devono mai escludere gli imprevisti: non esistono, ad esempio,

stazioni di servizio, ma in alcune oasi i commercianti locali possiedono un piccolo magazzino di barili di carburante. Ovviamente non si può mai sapere se sono forniti o no e quindi può capitare che non ci sia disponibilità. In caso di difficoltà di approvvigionamento si può contrattare con i camionisti locali che accettano di vendere qualche decina di litri succhiandolo dai loro enormi serbatoi, ad un prezzo decisamente più alto, ma arrotondano così il loro stipendio. Si dorme in tende ad igloo, augurandosi che non ci sia troppo vento, situazione alquanto frequente nella tarda primavera e in estate quando è sconsigliabile il viaggio per le altissime temperature che possono superare i 50°C. Ogni notte in un luogo diverso, ma sempre sotto un soffitto di stelle, fari nitidi nel cielo, mai inquinato. Ma il vero viaggio è l’attraversamento, solitario e intrepido, del grande deserto africano, una sconfinata distesa di sabbia che ricopre il mare perduto. Ogni oasi è una scoperta, Kalait, Fada, Ounianga Kebir e Faya sono le più significative. Circa 600 km separano l’una dall’altra come isole in un mare di sabbia. Faya, una delle oasi più grandi del mondo, è la capitale amministrativa del nord, localizzata a circa 1000 km a nord di N’Djamena,

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con un’economia sorprendentemente basata, nel cuore del Sahara, sull’agricoltura con le coltivazioni di grano, datteri e fichi grazie a un enorme bacino di acqua sotterranea. Il Lago Chad, situato tra Ciad e Camerun, è una fonte d’acqua dolce perenne, anche se durante i più gravi periodi di siccità (come quello del 1984) era attraversabile a piedi. L’attuale superficie è ora il 10% di quanto fosse in tempi antichi, oscilla fra 10.000, 17.000 km² con massima profondità di 7 m. Ma le sensazioni e i luoghi visitati ripagano di qualche esigua scomodità. L’Ennedi, la regione più interessante, è abitata da nomadi. Nella sabbia si seguono numerosissime impronte che provengono da tutte le direzioni per dirigersi verso i pozzi, punti di incontro dei gruppi nomadi che portano gli animali tutti i giorni all’abbeverata. I nomadi Tebu o Toubou, gli uomini (Bou) che vivono sulle montagne (Tou), parlano solo dialetti locali e sono sempre un po’ sospettosi nei confronti degli stranieri. Uomini magri dalle membra lunghe e sottili, dai capelli neri ma non crespi. Il naso è fine, dritto e aquilino, gli occhi vivi e sempre penetranti, in continuo movimento. Hanno un fisico molto adattato all’ambiente sahariano e una resistenza alla

fame, alla sete e alla fatica fuori del comune. Solo uno di loro è in grado di rintracciare, arrampicandosi tra le rocce, le grotte naturali dove si trovano

splendide pitture rupestri preistoriche non segnate su alcuna cartina. Un’arte rupestre sviluppatasi tra le antiche popolazioni del Sahara, con stili

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unici e sorprendentemente raffinati che abbiamo la fortuna di poter ammirare, grazie al perfetto stato di conservazione dovuto al clima secco e all’assenza di piogge. Si riprende il viaggio fra le dune solitarie, nessun rumore, ciascuno rimane solo con la parte più intima di se stesso. Il silenzio delle dune nasconde storie di uomini, mai tornati, alla ricerca di un passaggio o di un’oasi. Il viaggio prosegue verso nord. Inaspettati, tra le dune arancioni, appaiono improvvisi i Laghi Ounianga, avvolti da rigogliosi palmeti e colline rocciose, che si sviluppano a sud di una falesia di roccia calcarea, dai colori che vanno dal bianco al rosa al viola in contrasto con la sabbia gialla, le palme e il blu dell’acqua. Un luogo unico, e tra i più belli del Sahara, entrato nel 2012 a far parte del patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Da questa zona, non lontana dal confine con la Libia, sono necessari 3-4 giorni per ritornare nella capitale. Si attraversano le dolci dune ondulate dell’Erg Djourab, dove sono stati trovati i resti di un ominide vecchio di 6-7 milioni di anni, il primo rinvenuto in Africa centrale. È una zona quasi priva di insediamenti se non le K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6   |  139


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Tra le popolazioni dell’Africa del Nord i Tebu sono famosi per la loro resistenza fisica alle privazioni. Vivere in un ambiente così ostile come è il deserto del Sahara porta ad un adattamento fisico e mentale e ad uno stile di vita essenziale. Si dice che un Tebu può viaggiare per tre giorni con un solo dattero: il primo giorno mangia la buccia, il secondo la polpa e il terzo giorno succhia il nocciolo.

poche tende dei nomadi arabi che vivono di pastorizia. Ogni clan, microcosmo apparentemente autosufficiente, ha l’accesso a pozzi e pascoli ben definiti. Si segue l’antico letto del fiume Bahr El Ghazal, in tempi preistorici un affluente del lago Chad e si ritorna nella Capitale.

Maurizio Levi www.viaggilevi.com 142  |   K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6



IN VIAGGIO CON I RABARI Pierpaolo Di Nardo


Parto spesso per l’India senza una meta precisa dove andare. Arrivo a Delhi, che è la mia seconda casa, compro un kurta pijama bianco nuovo e un libro vecchio: “Wedding celebration in Gujarat”. Mi perdo nel traffico metropolitano di Delhi, scendo le scale di Palika Bazar per assaporare l’India, quella che vive e si dimena come tarantolata. Cammino per Chadni Chowk e mi ritrovo trasportato dalle pagine del libro che ho comprato nel cuore del Rajasthan, a Jodhpur nel mercato delle spezie che gonfia l’immaginazione di suggestioni, sapori, luci, foschia di ricordi, strade di deserto mai messe a fuoco. Il passo è breve: da Jodhpur la jeep guidata come una giostra da Arjun sfreccia rapida verso il confine con il Pakistan, quasi impazzita in una corsa folle all’inseguimento del sole basso rosso che tramonta sulle dune. Barmer è li come un miraggio da afferrare. La notte vola via come un sogno troppo bello per durare. Il giorno seguente scendiamo vertiginosamente verso sud, tagliando il deserto del Thar in una delle aree meno conosciute del Rajasthan che fra gli stati dell’India è il più conosciuto. Da Barmer la NH 15 scorre dritta nel cuore del deserto; pochi villaggi, qualche città-mercato

dove fare il pieno…di frutta. Non è che sia proprio una National Highway ma è tutto quello che c’è e va bene così. Dopo una giornata di chilometri col sole che traccia il suo arco alto in cielo entriamo in Gujarat e poi finalmente a Tharad. Dormo in un piccolo ho-

tel insieme a camionisti, pellegrini e Arjun; dopo otto ore di viaggio non ho nemmeno il tempo di pensare a dove mi trovo. Infatti, non ci penso. Sono passati quattro giorni dalla libreria di Connought Place di Delhi ma il caos della metropoli sembra essere lontano un mese.

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È mattino presto a Tharad, bisogna ripartire, il vento polveroso del Thar si alza e mi fa compagnia già da un’ora, il sole è li ad oriente… dove si va. Sto cercando di fare questo: arrivare a Unjha per raccogliere informazioni sul matrimonio dei Ka-

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dwa, uno dei riti più antichi dell’India, che sposa bambine di 5 anni con sposi di 7, una volta ogni undici anni. Una usanza nata nel IX secolo e abolita, per legge, con l’indipendenza indiana ma che ancora oggi è praticata in questa regione del nord del Gujarat.

Arriviamo a Patan: luogo di rara e inattesa bellezza. Il RanikiVav Baoli è un posto fantastico. Scendo i gradini del pozzo, mi siedo, mi rialzo, scendo ancora, gioco a nascondino con la mia ombra tra i pilastri di questa selva di statue di divinità. Più giù al fresco dell’acqua mi risiedo, continuo a leggere del matrimonio che mi ha portato qui, mi rialzo, mi risiedo. Alzo lo sguardo… ed è già il tramonto. Cerchiamo dimora per la notte nel solito albergo per autisti; un paio di secchiate d’acqua per togliermi di dosso la polvere, daal e aloo paratha i miei piatti preferiti per riprendere le forze, chai caldo. In quattro giorni di viaggio ho fatto fuori quasi un Moleskine intero. Unjha è qui, a 30 km, ci arriviamo in un attimo. Un cartello dice “Welcome to Unjha. City of Mataji and Vasant Rai”. So bene chi è Mataji, Kuldevi, la dea Madre ma ignoro chi sia questo Vasant Rai. Lo scoprirò presto… Appena in città la macchina è presa d’assedio da un gruppo di bambini vocianti. Arjun cerca di farli smettere, io scendo e istintivamente tiro fuori il mio registratore, accendo e mi metto a cantare. Loro mi seguono e ripetono ad alta voce. Spengo. Riavvolgo. Ascoltano le loro voci. Ridono. Abbiamo già fatto amicizia. Passo la mattina girando per le strade di questa cittadina,



non più deserto ma non ancora campagna, stracolma di banchi di ogni sorta di mercanzia. Vasant Rai è uno dei più grandi musicisti indiani del XX secolo, allievo del grande Allaudin Khan e maestro di Ravi Shankar; ha suonato il sarod con George Harrison, John Coltrane, e in tutti i più importanti teatri del mondo: qui è venerato come una divinità e le sue statue si sprecano. Raga e Tala, melodia e ritmo: la chiave della musica a Unjha apre mille porte. Trovo la scuola di musica che porta il nome di Vasant Rai e cerco di passarci più tempo possibile: la musica è una componente indispensabile dei matrimoni indiani. Dopo tre giorni ho fatto amicizia con Vasant, un insegnante della scuola che guarda caso porta il nome di Rai. Non è facile raccogliere informazioni sul matrimonio dei Kadwa Kanbis: i giovani ne sanno poco, gli anziani ne parlano confusamente. Qualche giorno dopo andiamo al villaggio di Chhabaliya, nei pressi di Unjha, per una festa della famiglia di Vasant. La serata è molto intensa. Passiamo la notte al villaggio tra canti, balli, samoza e chai con spezie fumanti… Mi sveglio all’alba e la mia bhunga è circondata di pecore e capre a decine, a centinaia. A stento riesco a uscire dalla porta. Incontro Vasant attorno al fuoco con 148  |   K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6


altri vestiti di bianco con turbanti bianchi che la sera prima non c’erano. Sono Rabari, pastori nomadi del Rann of Kuthch. Cugini di cugini di nipoti di zii di cugini di Vasant di una lunga discendenza (il legame di parentela è la forza dell’India). Vasant mi informa che stanno tornando al loro villaggio a poche decine di chilometri da Bhuj, circa 300 chilometri più a occidente! Sono partiti ad aprile all’inizio dell’estate del caldo violento, quando prima il Rann of Kuthch diventa un deserto salato di terra inespressiva e dopo si riempie di acqua con il monsone, e ritornano adesso, a novembre, quando il monsone è finito e la terra riluce di un verde accecante. Tre famiglie, con poche donne, pochissimi bambini, tanti uomini. In totale una carovana di 32 persone, a occhio circa 300 capre, più di 100 pecore, 5 cani, 3 carri, 30 cammelli, 22 galline, 7 galli e 30 vacche. Una tribù che si muove, macina chilometri, ingurgita villaggi e contatti umani, lontana dal proprio villaggio per sei mesi! Tutto per la sopravvivenza del bestiame: la loro fonte di vita. Occhi scuri e intensi, grandi baffi neri, orecchini d’argento, alto e maestoso, coperto bianco e turbante bianco, Sarood è il capo della spedizione. Uomo statuario che incute rispetto e attenzione quando pronun K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6   |  149


cia poche parole per farsi ascoltare bene da tutti, quando impartisce ordini precisi con la voce del leader, e a volte anche senza voce, solo con il movimento di un muscolo del viso e il dito puntato dello sguardo. Quarantaquattro anni, Rabaro da

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secoli, seguito come un’ombra da una donna snella, dallo sguardo velato, vestita di nero, avvolta in uno scialle ricamato con specchietti e perline d’argento, che immagino (posso solo immaginare) bellissima.

Tornano a casa dopo aver speso sei mesi altrove. Ho una idea… è un attimo. Vasant mi ripete che è impossibile, che è troppo pericoloso per me. Insisto, sono dodici anni che viaggio in India e sono abituato a tutto…o quasi. Vasant è perplesso. Posso dormire su una coperta lercia all’aperto? Posso bere l’acqua di un pozzo indiano? Posso mangiare piante grasse bollite? Posso bere latte appena munto senza star male? Posso stare tutto il giorno in mezzo al piscio di montone? Insisto ancora. Vasant parla con Sarood in una lingua mista di hindi, rajasthano, gujarati e altro… Sarood mi osserva silenzioso e inespressivo. Non pronuncia parola. Ascolta. Scuote il capo più volte e in questo gesto so che dice si anche se sembra dire no. Resto in attesa del verdetto. Vasant si avvicina: si, si può fare ma a una condizione: al primo malore mi scarica al villaggio più vicino, non posso certo mettere a rischio la carovana con i miei “capricci” occidentali. Domani parto con i Rabari sulla loro carovana! Saluto Vasant promettendogli di tornare a trovarlo alla scuola di Unjha e gli offrono la mia sciarpa di seta in segno di amicizia. Continuerò la mia ricerca sul matrimonio Kadwa Kunbis con i Rabari cercando di carpire i loro segreti.



1° giorno con i Rabari Le quattro del mattino. Le prime luci dell’aurora mettono in agitazione gli animali e il villaggio presso cui siamo accampati. Partiamo! Salgo

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su un carretto trainato da un cammello, mi siedo accanto a un ragazzino e mi lascio andare dal dondolio della mia carrozza. Non so quanti chilometri percorreremo oggi, venti, trenta o quaranta,

non fa differenza; non c’è tempo durante il Dang (la migrazione) se non quello scandito dal sole che si alza e tramonta e non bisogna fare altro che andare, andare dietro andare… Il muro della lingua è insormontabile: non capisco una parola di quello che dicono, cerco di seguire i gesti di Sarood, le sue smorfie, il sorriso di Chandra che mi guarda e canta in continuazione. Se non posso parlare cercherò di sviluppare un codice di segni preciso. Passano le ore. Scendo dal carro e proseguo a piedi per qualche chilometro cercando di avvicinarmi all’inviolabile silenzio di Sarood. Niente da fare. Non mi degna di uno sguardo. Un capo non da confidenza. Ci fermiamo per rifornirci d’acqua e dopo un po’ di esitazione un ragazzo del gruppo mi porge una bottiglia facendomi segno con le dita che “è ok”. Bevo mezza bottiglia. Risalgo sul carro e mi addormento nelle pagine del mio libro. Quando rinvengo è il tramonto. Ci siamo accampati. Accanto ai tre carri disposti a ferro di cavallo sono stati accesi piccoli fuochi, le donne cucinano, gli uomini mettono a punto gli ultimi preparativi per la notte, le bestie vengono stipate tra un muretto a secco e una barriera di cespugli e rovi spinosi. Il tempo vola via veloce. Mi accovaccio nella mia coperta…


2° giorno con i Rabari La sveglia è un cane stonato che urla contro al freddo del mattino. Ho l’impressione che i giorni si susseguiranno tutti uguali. Cerco di inanellare sensazioni, emozioni, sguardi; metto in fila comportamenti, rituali e gesti. Ordino nella mente e sul Moleskine (il secondo) impressioni di un viaggio tanto inatteso quanto emozionante. Ero partito per fare una cosa e ne sto facendo un’altra. L’India è così: mentre cerchi e non trovi quello che cerchi ti imbatti in qualcosa che ti rapisce e che ti porta a cercare altro che magari trovi. Nella terra degli Dei il tempo non è mai tempo perso, perché l’India ha sempre qualcosa da svelare, da nascondere e da raccontare. Sempre. Nel gruppo ci sono cinque donne oltre alla moglie di Sarood: a sera mi avvicinano curiose, mi fanno domande incomprensibili e ridono divertite coprendosi il viso. Mi mettono una biro in mano e fanno segno di scrivere. Scrivo il mio nome. Non sanno leggere ma imparo i loro nomi: Ratti, Bhegun, Jaivi, Ina… Gli uomini fumano e bevono chai, ridono e scuotono il capo. Canticchiano canzoni dalla melodia dolcissima… Aziono il registratore e spengo il cervello. La Luna è alta e illumina tutto a giorno.

3° giorno con i Rabari È giorno. Provo a parlare con Chandra, il ragazzetto che canta tutto il giorno, in quelle poche parole di hindi che conosco. È andato a scuola

per tre anni e adesso accudisce gli animali con il padre. Ha dodici anni, due fratelli più grandi e tre più piccoli, e sa un sacco di cose sui Rabari: i nonni dei suoi nonni vivevano in Rajasthan come

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tutti i Rabari e poi sono venuti a vivere qui nel Rann e questo è successo un sacco di tempo fa. Una donna nel suo vestivo colmo di specchi e ricami, con una montagna di braccialetti di argento

e di cavigliere tintinnanti ci chiama per il chai. Lentamente vola via anche questa giornata, fatta di chilometri e due villaggi lasciati alle spalle. Capre che brucano l’erba, contrattazioni con i

contadini per attraversare i campi e vendere qualche tessuto ricamato, sono i pensieri che mi portano il sonno. 4° giorno con i Rabari Il chai bollente del mattino mi da una scossa elettrica. Siamo in viaggio da ore, dieci, forse venti chilometri. Per tutta la giornata ho corso dietro alle capre. Adesso capisco perché si dice “sei proprio una capra” per dire “non capisci niente”. Vanno di qua e di là senza logica e devi star sempre pronto ad addrizzare la rotta con richiami, urla, distribuendo bastonate. Il sole mi ha cotto le braccia durante il duro lavoro. È sera, sono passati quattro giorni da quando sono in viaggio con la carovana dei Rabari. Sarood mi rivolge la parola: “vai iù ir?”. Non capisco. Sarood ripete: “vai iù ir?”. Ripeto insieme a lui: “vai iù ir?” Ci sono: “why you here”. Faccio un salto sulla mia coperta: Sarood parla inglese; non proprio inglese, una specie di inglese elementare ma comprensibile. Mi si apre davanti un nuovo mondo! Posso comunicare, posso chiedere, posso rompere il muro di diffidenza che c’è fra me e lui. A gesti e con poche parole in inglese racconto del mio viaggio, del fatto che sono no-

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made anch’io ma in un altro modo, dei motivi che mi spingono a starmene qui in questo campo con loro. Non so se Sarood capisce tutto quello che dico. Anzi, sono certo che non capisce. Ma è una conversazione bellissima perché lui ciondola la testa a destra e sinistra e mi dice di si. Io sorrido e mi convinco che ha capito. 5° giorno con i Rabari …mi sveglio e mi ritrovo nella stessa posizione in cui mi ero lasciato. Tutti attorno a me sono già al lavoro. Anzi la carovana è quasi in marcia. Raccolgo le mie poche cose e salto sul carro di Chandra che mi offre il suo chai. Mi avrebbero lasciato li? Tutt’attorno è un susseguirsi di campi, di donne in saree colorati che lavorano e di bambini che giocano. Quando passa la nostra carovana gli uomini si scambiano battute: da dove venite? da quanti mesi siete lontani da casa? avete abbastanza acqua? dov’è il pozzo più vicino? Domande che immagino, risposte che non so dare. Continuiamo a macinare chilometri. Al tramonto stesso rituale di sempre: alcune donne riempiono le giare di metallo al lago d’acqua dove ci siamo accampati, altre portano sulla testa piccole fascine di sterpaglie e legna per accendere il fuoco della 156  |   K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6

sera. Come ogni sera ogni famiglia ripone gli oggetti, le selle dei cammelli, il cibo, e gli utensili sotto alle tende (due o tre per famiglia) per proteggerli dalle termiti che nella notte potrebbero divorarli e ridurli in polvere. Le donne e i bambini dormono nelle tende, quattro o cinque per “giaciglio”, coprendosi con trapunte fatte a mano; gli uomini dormono all’aperto facendo i turni per vegliare gli animali. Questa notte sono di guardia. Sono certo che Sarood ha dato ordine ai suoi di vegliare anche su di me ma lo ringrazio perché cerca di integrarmi e farmi sentire uno di loro. Nel buio luminoso dell’India cerco di riconoscere le costellazioni; poi come sempre traccio linee tra le stelle a disegnare quello che mi pare. 6° giorno con i Rabari La luce dell’alba in mezzo al niente della campagna si dirada obliqua. La bruma mista ai tizzoni fumanti dei fuochi della notte avvolge tutte le cose. Il mattino è il momento più emozionante del viaggio perché non sai cosa ti porterà il giorno e tutto è ancora da fare, tutto è ancora in piedi. Scendo al lago per riprendere vita sparandomi addosso acqua gelida; Aamir, Sunil e Shipa mi sorridono: non c’è risveglio migliore che il sor-


riso bianchissimo di un indiano. In sei giorni di viaggio avremo percorso più di 100 chilometri ma nessuno lo sa con esattezza. In India le distanze si contano in ore e in giorni e non in chilometri. La giornata fugge via veloce sotto le ruote dei carri, i cammelli masticano il tempo con quella lingua lunga lunga che non sta in bocca. I Rabari sono silenziosi, il Dang è un viaggio impegnativo. Bisogna stare attenti agli animali, alla strada, ci sono campi che si possono attraversare ed altri no, ci sono terreni a riposo ed altri appena seminati, segni lungo il percorso che fanno intendere al capo spedizione come comportarsi. Sarood comunica con gli altri uomini a gesti e piccole urla precise, tutti scattano sull’attenti e quando qualcuno sgarra lui non esita a distribuire mani grandi come badili sulla schiena. La coperta lercia tra le ruote del carro è l’agognato premio che mi spetta: roti con zuppa di verdure, burro e spezie, una tazza di chai per vincere il freddo, il silenzio attorno al fuoco, una nenia salmodiosa che mi culla e mi stordisce fino a domani.

La carovana resta fuori città con le donne e i bambini; Sarood, Vishnoy, Jaivi, Phagu, Latchi si muovono con il carro sul quale salto anch’io.

Il mercato di Lolada è un tripudio di umanità: banchi di verdure e frutta, arnesi per il lavoro dei campi, uomini che caricano carri trainati da cam-

7° giorno con i Rabari Oggi ci fermiamo al mercato di Lolada piccolo centro ormai a ridosso del Little Rann of Kuthch. K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6   |  157


melli, clacson di camion che ululano inferociti, venditori di succo di canna da zucchero con la loro macchina tritatutto, dentisti che espongono ponti e dentiere, cinghiali che ingurgitano tutto, indiani appollaiati all’indiana, imbonitori che vendono

improbabili pelapatate primordiali, biciclette gonfie come mongolfiere cariche di stoffe colorate… Sarood scende dal carro e scopre la nostra merce: centinaia di tessuti ricamati e decorati da specchi che subito richiamano l’attenzione delle donne del

paese. Un capannello di qualche decina di persone si accalca attorno al carro; contrattazioni, offerte, scambi, baratti, tutto è ammesso anche se Sarood preferisce le Rupìe. Mi accorgo che anch’io, vestito da indiano, con turbante indiano, barba incolta e pelle chiara, sono l’attrazione del carro. Mi guardano e ridono. Sarood è molto orgoglioso di poter mostrare oltre ai suoi tessuti colorati un amico occidentale sul suo carro, e la mia faccia serve anche da esca per gli avventori. È quasi sera, torniamo all’accampamento. Grandi affari oggi a Lolada, abbiamo venduto gran parte del nostro carico. Le donne sedute davanti al “forno” fatto di pietra, arrotolano, rigirano, battono, appiattiscono, roti di miglio. Alcune capre pascolano attorno al fuoco rischiando di bruciarsi il muso. Dopo cena le donne ballano per la tribù facendo tintinnare i loro gioielli d’argento, dopo poco anche gli uomini si uniscono a loro. Balliamo tutti per ringraziare gli Dei di questa giornata che ci ha dato il giusto e ci stringiamo al poco… che è tanto. 8° giorno con i Rabari Mastica e sputa. Ritmicamente. Ho imparato a lavarmi i denti con i bastoncini di Neem. Mastica e

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sputa per almeno mezz’ora. Il Neem è un albero sacro dalle indiscutibili proprietà mediche e gli indiani lo usano per disinfestare l’ambiente e per lavarsi i denti. Siamo ormai nel Rann of Kuthch. Comincia la parte più pericolosa del viaggio. La distesa infinita del deserto del Rann nasconde trappole che possono mettere a rischio la vita della carovana e tutti i mesi del Dang. Le acque salmastre del periodo monsonico si sono ritirate lasciando un terreno desertico solitamente asciutto ma a tratti ancora fangoso. La tribù da qui in avanti proseguirà a rilento per attraversare il Little Rann of Kuthch; due giorni potrebbero essere sufficienti ma tutto dipende dalle condizioni del tempo e della strada. Sarood col suo hinglish rurale, misto di hindi e inglese, mi spiega la situazione: non può mettere a repentaglio la vita della carovana, delle bestie, del suo villaggio, del Dang, mettendomi in pericolo. Ci ha pensato bene. Dovesse succedermi qualcosa le autorità sarebbero durissime e sarebbe una disgrazia per la sua famiglia e per la comunità del suo villaggio. Lo dice per il mio bene e per il bene di tutti. Devo prendermi le mie responsabilità e lasciare la caro-

vana. È un colpo al cuore. Ma non posso discutere con lui. Ho imparato che quando Sarood parla, e lo fa raramente, non è per esporre un problema ma per dettare la soluzione del problema.

Ho accettato di seguire i Rabari nel Dang e di essere totalmente dipendente da loro, devo accettare anche le loro decisioni. È una sera di nuvole in cielo, neppure una stella a farmi compagnia dentro alla tristezza di un addio.

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9° giorno Mi sveglio prestissimo per cercare di vivere ancora le poche ore che mi restano con i Rabari. È una mattina più fredda del solito. Jaivi, una delle figlie di Sarood, mi offre chai caldo. Passeggio tra le capre avvolto nella mia coperta di lana turchese, il

sole spunta dalla linea piatta in fondo all’orizzonte. Radanphur non è lontana. Al primo trattore, camion, carretto, cammello, salterò su. La carovana è pronta per ripartire. Saluto uomini enormi come statue. Namastè alle poche donne. Chandra mi abbraccia prima di salire sul nostro

carro. Gli regalo il libro che mi ha portato qui per il suo poco inglese. Sarood mi dice che “Jaivi widdin febuari” (Jaivi si sposerà a febbraio) e che la sua casa è la casa dei loro amici. Ci si incontra per fare un tratto di strada insieme, dividere roti e daal ma anche per imparare a dirsi addio serenamente; la separazione è un lutto che affranca e che rende più forti. Restano gli sguardi di notti passate insieme tra il freddo e il fuoco a cercare un brivido di umanità nelle smorfie del viso. Tutto questo basta a rendere necessario esserci stato. La carovana si muove. Urla di festa si uniscono al saluto: mai lasciarsi tristemente, il sorriso raddrizza tutto e la giornata è ancora lunga. Volto le spalle e getto lo sguardo verso la strada. Nessuno all’orizzonte. Questa sera sarò a Radhanpur. Sarà sempre un matrimonio, quello di Jaivi, a riportarmi qui.

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IL SIGNIFICATO DEL VIAGGIO Walter Pasini


Il viaggio è metafora della vita perché - come la vita - ha un inizio, un percorso ed una fine, perché ha un’andata ed un ritorno, perché è ricco di aspettative, di imprevisti, di illusioni e disillusioni, perché è fatto di tappe, è fatto di traguardi raggiunti e mancati, di territori da esplorare, di emozioni da vivere. La vita è un viaggio ed ogni viaggio rispecchia la vita. La migrazione degli ominidi ha rappresentato un fenomeno fondamentale per l’evoluzione della nostra specie, in quanto ha consentito la sopravvivenza e la vita in condizioni ambientali più favorevoli. Per ominidi si intende la famiglia zoologica dell’ordine dei primati che comprende la specie attuale, le specie estinte, note attraverso resti fossili e le grandi scimmie. Materia degli studiosi è quel complesso di processi evolutivi che per serie successive di modificazioni morfologiche e strutturali ha condotto all’uomo attuale. La conferenza internazionale di Travel Medicine, da me realizzata a Venezia presso la Fondazione Cini, dal titolo Mobility and Health: from hominid migration to mass tourism ebbe come primo relatore Donald Johanson, lo scopritore di Lucy, l’australopitecus afarenis vissuto tra 3,2 e 3,7 milioni di anni fa, a K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6   |  163


dimostrazione del fatto che chi studia il rapporto tra viaggio e malattie non può prescindere dalle origini. Il viaggio come iniziazione, alla quale non è possibile sottrarsi è una costante che ha accompagnato l’uomo sin dalla notte dei tempi. Il viaggio nell’antichità coincide con il viaggio dell’eroe. Per gli eroi mitologici il viaggio è cimento, prova, processo iniziatico al quale non è permesso sottrarsi. Il viaggio è fatica, sofferenza, sacrificio, competizione, prova o prove da superare per raggiungere l’immortalità come per Gilgamesh o la conoscenza e la saggezza, la gloria e la fama eterna come per gli Argonauti, per fondare una nuova città dopo la distruzione di Troia come per Enea o semplicemente per ritornare in patria e riconquistare gli affetti familiari come nel caso di Ulisse. Il viaggio di Ulisse è mosso dalla nostalgia, dal dolore per la lontananza dalla patria e dalla famiglia ed esprime - meglio di qualunque altra opera letteraria scritta nel corso dei secoli - l’impossibilità del ritorno. Non è possibile ritornare da dove si è partiti perché siamo cambiati, sono cambiati gli altri, perché tempo e spazio sono diversi, perché i movimenti dei pianeti non ci con164  |   K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6

sentono di ritornare dove eravamo giorni, mesi o anni fa. Ulisse, come altri eroi mitologici, è in grado di sopportare l’ostilità degli dei, le avversità degli eventi, le tempeste di mare, le seduzioni di donne affascinanti, le tentazioni e gli inganni. È dotato di astuzia e di coraggio, è capace di sfidare l’ignoto. Ulisse è animato da quell’irrequietezza che, secondo lo scrittore Bruce Chatwin contraddistingue il viaggiatore. Il viaggio in mare aperto di Ulisse simboleggia dunque il viaggio di ciascuno di noi ed ha come fine la stessa comune fine di tutti i mortali. Il viaggio come esperienza umana, come dimensione esistenziale e mezzo per aumentare il sapere è ben presente nel pensiero filosofico. In filosofia, il viaggio è conoscenza. In Eraclito, la natura è percepita come movimento ed il divenire è la forma dell’essere. Senófane fugge da Mileto, caduta in mano ai persiani, per approdare ad Elea dove fonderà la scuola da cui provengono filosofi del calibro di Parmènide e Zenone che in seguito andarono ad Atene come ricorda Platone nel Parmènide. Lo stesso Platone si recherà più volte a Siracusa per tentare di dar vita al modello di governo da lui auspicato.




Il viaggio ha rappresentato una dimensione esistenziale molto importante per Montaigne, Cartesio, Rousseau e Leibniz. Montesquieu nelle sue Lettere persiane guardò all’Europa da una prospettiva lontana attraverso l’epistolario di viaggiatori persiani. Nella filosofia di Hegel, la Fenomenologia dello Spirito di Hegel, può essere letta come viaggio della coscienza attraverso la storia. Nella religione, il viaggio è esilio, penitenza e purificazione. Nella tradizione giudaico-cristiana si deve viaggiare per espiare delle colpe, prima fra tutte, il peccato originale e la cacciata dall’Eden. Nell’Antico Testamento, il viaggio rappresenta la ricerca della Terra promessa, nel Nuovo Testamento il viaggio è l’adesione agli insegnamenti di Cristo (“Io sono la via”). Il viaggio come espiazione divenne molto diffuso nel Medioevo nel pellegrinaggio a Santiago de Compostela, Roma e Gerusalemme dove il pellegrino si metteva in cammino per mesi, vestito solo del necessario per sopravvivere e raggiungere la destinazione. Ai pellegrinaggi seguirono le spedizioni militari delle crociate per la riconquista del santo Sepolcro e del sacro Graal. Nel basso Medioevo, furono rappresentati altri tipi di viaggio come quello dei K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6   |  167


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cavalieri erranti in ricerca di gloria, giustizia e riconoscimento sociale. Sono viaggi compiuti spesso per amore di una donna che è fonte ispiratrice delle gesta del cavaliere. Appartengono a questo periodo le gesta del Re Artù e dei cavalieri della Tavola rotonda. Erano anche i mercanti a viaggiare per incrementare i commerci ed i guadagni. La letteratura descrive uno dei più strabilianti, quello compiuto da Marco Polo tra il 1271 e il 1295 insieme al padre Niccolò e allo zio Matteo. Tre anni dopo il ritorno, fatto prigioniero dai Genovesi in una delle battaglie con i Veneziani, Marco insieme a Rustichello di Pisa, suo compagno di carcere, racconterà ne “Il Milione” la sua affascinante avventura nel Catai alla corte del Gran Khan. Il Milione rappresenta un modello di letteratura di viaggio, racconto, narrazione di viaggi effettuati come sarà per quelli di Montaigne, Montesquieu, Goethe, Stendhal e tanti altri scrittori o artisti europei.

dare ai giovani dell’aristocrazia e della borghesia europea la possibilità di occupare ruoli dirigenti nella politica, nella letteratura e in tanti altri campi. Nel Grand Tour, il viaggio è più cimento, sofferenza o espiazione, ma è frutto della libera scelta, è arricchimento culturale. In questo senso esso può essere interpretato come anticipatore del fenomeno del turismo, del viaggio per piacere che assumerà nel Novecento dimensioni di fenomeno di massa. Nell’Ottocento il viaggio fu fondamentale per lo sviluppo scientifico. Può esser preso per esempio la spedizione di Darwin. Fu lui a fornire la teoria più innovativa e convincente sulla storia naturale nel suo libro “L’origine della specie” (1859). Fondamentale per le sue scoperte e per la formulazione delle sue teorie sull’evoluzione fu il suo viaggio sul brigantino della Royal Navy britannica che iniziò nel porto di Plymouth il 27 dicembre 1831 e terminò a Falmouth in Cornovaglia il 2 ottobre 1836.

Nel Grand Tour, il viaggio è ancora iniziazione - come lo era per gli antichi - ma è soprattutto istruzione, incontro con il mondo classico, per portare a compimento quella formazione atta a

Si può viaggiare per fuggire da conflitti bellici e da situazioni politiche pericolose come nel caso dei rifugiati politici o dalla miseria, dalla fame e dalla disoccupazione come nel caso degli emigra-


ti, fenomeno che interessò il nostro Paese tra Ottocento e Novecento e come interessa oggi gran parte di paesi del Nord Africa e del Medio Oriente con gli sconvolgimenti politici, antropologici ed economici che purtroppo conosciamo. Il viaggio è dunque componente fondamentale dell’esistenza umana ed in quanto tale va studiato ed analizzato in tutti i suoi aspetti. Cercare i significati del viaggio e dei viaggi che si fanno equivale ad approfondire le dimensioni ed i significati della nostra stessa esistenza. Analizzare i diversi viaggi in questa prospettiva significa dunque risalire alle radici dell’uomo per esplorare la grandezza ed il mistero della vita.

Walter Pasini Direttore Centro Travel Medicine and Global Health K A R P Ò S T R A V E L 1 - 2 0 1 6   |  169


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