Karpòs n. 1 - 2016

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KARPÒS ALIMENTAZIONE E STILI DI VITA

Anno V - Karpo`s - N° 1 - 2016

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KARPÒS MAGAZINE N. 1 - 2016

Direttore editoriale Renzo Angelini

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Direttore responsabile Lamberto Cantoni

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Iscr. trib. di Forlì n° 3/12 del 4/5/2012 Proprietario ed editore della testata Karpòs S.r.l. Via Zara 53 - 47042 Cesenatico (FC) P.I./C.F. 04008690408 REA 325872

RAJASTHAN: IL VIAGGIO NELLA TERRA DEI RE Renzo Angelini

Hanno collaborato a questo numero Antonella Bilotta antonella.bilotta@karposconsulting.net Laura Fafone laura.fafone@karposconsulting.net Amministrazione Milena Nanni milena.nanni@karposconsulting.net Raccolta pubblicitaria pubblicita@karposmagazine.net Tel. +39 335.6355354

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Fortezza di Amber, Jaipur RAJASTHAN: IL DI L’IMPORTANZA VIAGGIO CHIAMARSI NELLA GAJA TERRA DEI RE LAMBERTO RENZO ANGELINI CANTONI


RAJASTHAN: IL DI VIAGGIO NELLA TERRA DEI RE L’IMPORTANZA CHIAMARSI GAJA RENZO ANGELINI LAMBERTO CANTONI

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RAJASTHAN: IL VIAGGIO NELLA TERRA DEI RE IL SUO NOME SIGNIFICA TERRA DEI RE (RAJA), OCCUPA LA PARTE NORD-OCCIDENTALE DELL’INDIA ED OSPITA IL DESERTO DEL THAR, LA TERRA CHE DIEDE ORIGINE ALLA CORAGGIOSA RAZZA DI GUERRIERI RAJPUT. OLTRE ALLE MAGNIFICHE “CITTÀ COLORATE” DA NON PERDERE LA VITA NEI VILLAGGI DOVE PARECCHIE TRIBÙ VIVONO COME NOMADI NELL’OSTILE DESERTO

Renzo Angelini


Forte Amber Sede delle dinastie Rajput dal XII secolo fino al 1727 quando venne lasciata dal Maharaja Jai Singh II, trasferitosi a Jaipur. Nonostante non sia mai stato completamen-

A circa 11 chilometri a nord-est di Jaipur si trova l’antica capitale dello stato, il Forte Amber, posizionato su un’altura a dominio di una stretta valle dei Monti Aravalli.

Jaleb Chowk al centro del Forte di Amber

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te abbandonato oggi è quasi tutto in decadenza ma ciò non toglie il grande fascino e la bellezza del panorama che si può ammirare dalle sue mura.

La fortezza fu costruita a partire dal 1591 da Man Singh I con bastioni e mura di cinta in stile Moghul. Per visitare il forte si sale a dorso di elefante e si può vivere una auten-

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La fortezza di Jaigarh domina il Sukh Mandir (Stanza del piacere) che presenta un geniale sistema di aria condizionata sfruttando la brezza delle colline

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donne di corte seguivano le udienze pubbliche senza essere viste. Dalle mura si vede in basso il lago Maota che garantisce la principale fonte d’acqua per la fortezza di Amber e per tutti i suoi palazzi.

tica gara tra i diversi guidatori e essere continuamente spruzzati dalle proboscidi dei pachidermi, che in questo modo scacciano le fastidiose mosche che volano intorno. Gli elefanti, dopo aver superato la ripida salita, ci lasciano nella piazza Jaleb Chowk dove si trova la Singh Pol (Porta del leone) magnifica porta fortificata dalla quale si accede alle stanze delle guardie. Superata la scalinata si accede in un grande cortile della sala delle udienze pubbliche dove colonne di arenaria rossa e capitelli con elefanti, la cui proboscide termina con un fiore di loto, definiscono un ambiente in perfetto stile arabo. Di fronte sono gli appartamenti reali ai quali si accede dalla Ganesh Pol (Porta di Ganesh) considerata una delle più belle porte del mondo. Sulla parte centrale del portale si staglia la figura di Ganesh, il dio della tradizione induista con la testa di elefante che rappresenta la fortuna e la prosperità. La facciata del palazzo è arricchita dalle jali, finestre dalle griglie finemente intagliate, dalle quali le

Capitelli con elefanti nella sala delle udienze pubbliche. In basso: Ganesh Pol è la porta all’interno di Fort Amber, dalle finestre finemente intagliate attraverso le quali le donne reali assistevano alle cerimonie.

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Jaipur Attuale capitale del Rajasthan, fondata nel 1727 da Jai Singh II, con circa due milioni di abitanti si distingue per la sua vita affollata e l’incessante traffico. La città, nata con pianta quadrata per dare un senso gerarchico alla disposizione delle case con quelle più importanti al centro, ospita nel cuore il Complesso del City Palace (Palazzo di Città), la dimora del Maharaja.

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L’edificio è un magnifico connubio di stili architettonici rajput e moghul; seguendo l’impianto di Amber, dove dagli edifici pubblici si passa a quelli privati, qui è stato applicato il concetto moghul dove ogni costruzione è separata dalle altre, in base alla propria destinazione. Negli appartamenti privati vive ancora l’ex maharaja. Il simbolo di Jaipur è l’Hawa Mahal (Palazzo dei venti) stravagante edificio che si affaccia su una delle principali vie del centro; costruito nel 1799 in stile rajput è una facciata di cinque piani ornata di centinaia di finestre dipinte di rosa e disegnate in bianco, dietro le quali le donne di corte potevano vedere la vita esterna senza essere viste. Si dice che il progetto si sia ispirato all’architettura dei templi jainisti, dove il singolo motivo strutturale in ogni piano si ripete per creare una forte prospettiva verticale. Per immergersi nella vita di Jaipur è necessario perdersi nelle strade della città vecchia, lungo le quali si vende di tutto in un caotico, rumoroso e coloratissimo bazar a cielo aperto.


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Le jali, finestre a griglia in pietra scolpita, sono l’elemento architettonico dell’Hawa Mahal e dell’architettura del Rajasthan


City Palace, Jaipur

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City Palace e Chandra Mahal residenza ufficiale della famiglia regnante a Jaipur

Mabarak Mahal, residenza degli ospiti reali a Jaipur

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Jaisalmer Fondata nel 1156 da Jaisal è soprannominata la “città gialla” per le sue costruzioni in arenaria gialla ed è dominata dal Forte, un gigantesco castello che si estende su una rocca di roccia e sabbia. La posizione strategica ai margini del deserto e al centro della via carovaniera che collegava l’Afganisthan a Dehli fu causa di numerose battaglie e scontri con i regni confinanti di Jodhpur e Bikaner; secondo una leggenda vi fece tappa Marco Polo durante il suo viaggio verso la Cina. Jailsamer diventò il maggiore centro commerciale con il controllo di merci e mer-

canti che attraversavano il deserto del Thar, dalla Persia all’India centro-meridionale, e raggiunse il massimo splendore fino a quando la Compagnia delle Indie e l’apertura del porto di Bombay ne ridussero il ruolo centrale a favore di altre città del deserto come Jodhpur. Questo isolamento l’ha preservata nella sua integrità rendendola una delle maggiori attrazioni per il turismo. Il Forte, edificato nel 1156 sulla collina di Tricuta modellandone le forme, è il più antico del Rajasthan. Circondato da 5 chilometri di mura e 99 bastioni è stato completamen-

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te costruito a secco, senza uso di malta, seguendo una tecnica di incastro di ogni singola pietra nell’altra. Ancora oggi un quarto della popolazione vive entro le mura mentre la restante parte vive in basso nella città che si sviluppa intorno la cinta muraria. Ciò che maggiormente sorprende è l’abilità degli intagliatori di pietra; tutti gli edifici ne offrono esempi straordinari con porte, finestre, balaustre, cornicioni, balconi finemente intagliati, tanto da rendere le facciate simili a merletti. Le haveli sono residenze costruite da ricchi mercanti nel XIX secolo e sono famose per le facciate in arenaria finemente scolpita, a testimonianza della maestria raggiunta nell’incisione della pietra. All’interno degli haveli ci sono ancora botteghe, appartenenti alle antiche famiglie di mercanti, che vendono broccati e oggetti d’arte.

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Particolare di haveli a Jaisalmer, costruite dai ricchi mercanti del XIX secolo, rinomate facciate in arenaria profondamente scolpite

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Bikaner A nord del Marvar, un territorio di arido deserto, si trova Bikaner fondata nel 1488 dal Maharaja Rao Bikaji e capitale dello stato omonimo. Qui l’acqua si trova ad una profondità di 5080 metri e divenne un punto di sosta fondamentale prima di iniziare l’attraversata del deserto del Thar; centro di commercio famoso in tutta l’India per l’allevamento dei cammelli, resi famosi dal Bikaner Camel Corps nato nel 1465 ed ancora oggi viene pubblicizzato sui pacchetti di sigarette.

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Questo passato splendore è testimoniato dalla bellezza dei palazzi, dalla ricchezza e dalla raffinatezza degli haveli dei mercanti e dalla maestosità della residenza-fortezza di Junagarh. Fin dal Medioevo la città divenne rifugio dei più ricchi mercanti che per ragioni di sicurezza si spostarono dalle città in questa area desertica e concentrarono le proprie risorse in splendidi residenze dette “haveli”, in arenaria, presentano finestre, porte, balaustre finemente lavorate che ancora oggi si possono ammirare percorrendo gli stretti vicoli della città vecchia. Nel XVI secolo i maharaja iniziarono a guerreggiare con gli imperatori moghul di Dehli e, nonostante alcune vittorie avvantaggiati dall’arido ambiente deserto, anche i guerrieri di Bikaner dovettero arrendersi ad Akbar e molti condottieri entrarono a far parte delle armate moghul. Nel frattempo la città divenne il centro carovaniero sulla rotta che collegava l’India con il Medio Oriente e la Cina. Con la fine del regno moghul Bikaner

iniziò un lento declino fino al 1818, quando sottoscrisse l’alleanza con la Corona inglese ed in breve tempo, causa anche le lotte interne, andò incontro ad una fase di depressione economica. Furono proprio i cammelli a rilanciare la ripresa: il maharaja di Bikaner offrì all’esercito inglese questo efficiente “mezzo del deserto” per rafforzarsi nella guerra contro l’Afghanistan. Nel 1960 venne aperto a Bikaner un famoso centro di selezione e allevamento di cammelli e l’attuale Camel Corps è ancora il fiore all’occhiello dell’esercito indiano. Il Forte di Junagarh fu eretto nel 1588 dal maharaja Rai Singh in posizione inusuale rispetto ad altri castelli: in piena pianura desertica, con massicci bastioni in arenaria e padiglioni con grandi balconate, con sale di inestimabile valore. Subito dopo l’entrata si notano le mani di donna che scelsero il “sati” facendosi bruciare sulla pira di legna insieme ai mariti morti in battaglia, secondo l’usanza rajput durante le guerre con i moghul.

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Gajner residenza di caccia di Ganga Singh, a 30 km da Bikaner

Palazzo di Gajnar, sala dei trofei di caccia

Nelle fortezze di Meherangarh e di Bikaner sono visibili le impronte delle mani delle donne immolate sulla pira funebre del marito guerriero, secondo tradizione rajput

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Porta di ingresso al Forte di Meherangarh a Jodhpur

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Jodhpur È la seconda città del Rajasthan ed è geograficamente posizionata al centro della regione. Fondata nel 1459 da Rao Jodha, appartenente al clan dei Rathor, detta la “città blu” per la tipica colorazione indaco che un tempo contraddistingueva le case dei brami-

ni, la casta eletta. Per gli indù questo colore indica la saggezza, il simbolo della lotta del Bene contro il Male; nella realtà i bramini dipingevano le loro abitazioni di questo colore per allontanare le zanzare. Difesa da una cinta muraria, lunga sette chilometri e con sette

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porte, la città è dominata dal Meherangarh Fort dal quale si può godere una splendida vista sulla pianura circostante e soprattutto sulla “città blu” al cui centro si trova la Jai Pol (Porta della vittoria), la grande cisterna medievale Jeta Bera per la raccolta dell’acqua, gli haveli e lo Juni Dhanmandi, il famoso mercato dei cereali. Le mura del Forte sono impressionanti, alte fino a 36 metri e larghe oltre 20 metri. Per entrarvi bisogna supera-

re sette porte e salire una strada ripidissima interrotta da strettoie, per ostacolare la salita degli elefanti; accanto all’ultima porta Laha Pol (Porta di ferro) sono le impronte di 15 mani, a testimonianza del “sati” di Jodhpur. Sul primo cortile si vedono le splendide jali, finestre traforate in arenaria rosa, e la presenza diffusa di balconi sporgenti finemente lavorati tanto da sembrare una tenda a merletto.

Particolare di haveli a Jodhpur

Prospetto del Palazzo degli appartamenti all’interno del Forte di Jodhpur

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Scendendo nella cittĂ si entra nel grande mercato diviso in settori per categorie merceologiche; dal mercato delle stoffe, autentico tripudio di colori, il mercato dei gioielli, il

mercato delle spezie e della frutta ed il mercato delle granaglie, uno dei piĂš affascinanti della regione.

Jai Pol o Porta della vittoria a Jodhpur

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Vista dal City Palace a Udaipur

Udaipur Detta la “città bianca” si trova verso il confine del Gujarat, a 600 metri di altitudine sui monti Aravalli, immersa nel verde sulle sponde di due laghi. Fondata nel 1567 sulle rive del Lago Pichola da Udai Singh. Circondata da una poderosa cinta muraria è difesa dal lago, a ovest, e a sud da un picco fortificato, ricoperto da fitta vegetazione. Il City Palace è un miscuglio di architettura militare rajput all’esterno,

con sontuoso stile moghul all’interno. Nel passato ospitava unicamente la famiglia reale mentre oggi si trova ancora la residenza dell’attuale Maharana, il raja dei raja, il più potente maharaja del Rajsthan. All’interno una sfarzosa rassegna di mosaici, specchi, maioliche e tutto quanto può gratificare i propri inquilini, compreso un ricchissimo museo con armi e armature militari.

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Vista sul Lake Palace e sul City Palace a Udaipur, entrambi sul lago Pichola

Lake Palace sul Lago Pichola, Udaipur

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Il Lago Pichola si estende su una superficie di circa 9 chilometri quadrati, poco profondo addirittura nei periodi più siccitosi si può attraversare con un fuoristrada per un ampio tratto. Due sono le isole, che ospitano i palazzi più belli: sull’isola più grande si erge il Jag Mandir, fatto costruire da Karan Singh nel 1615, mentre sull’isola Jag Nivas sorge il famoso Lake Palace costruito nel 1746, costruito in marmo bianco e sembra galleggiare sull’acqua. Oggi il Lake Palace è un hotel, tra i più romantici al mondo. Udaipur ha ospitato parte dell’ambientazione del film “Octopussy, operazione piovra” con un James Bond 007 interpretato da Roger Moore ed ancora oggi è un grande successo in India, per le scene girate a Udaipur.

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Entrata al Tempio di Ranakpur immerso nella foresta

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Ranakpur A circa 90 chilometri da Udaipur in un paesaggio collinare, il maestoso tempio jainista di Ranakpur risale al XV secolo ed è dedicato a Adinath; è il più grande tempio jainista dell’India con 29 sale e 1444 colonne

riccamente scolpite con decorazioni floreali e geometriche, immagini di danzatrici e guerrieri, di divinità indù e jain finemente intarsiate. Anche le cupole dei templi sono intarsiate con le scene della vita dei santoni e

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Sala con pilastri nel tempio di Ranakpur

Interno del tempio di Adinath a Ranakpur

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Soffitto del Tempio giainista di Ranakpur, dedicato ad Adinath

I pilastri non sono fatti in un unico pezzo ma con una serie di cilindri di varie altezze e diametro decrescente appoggiati l’uno sull’altro

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Placca di Parshva, del diametro di un metro, che rappresenta la figura storica dell’iconografia jainista, a Ranakpur

sormontate da sikara, le torri tipiche dell’architettura indiana. Nel cortile del tempio c’è un albero che fu piantato all’epoca della costruzione. Impressionanti le sale con i pilastri, che non sono fatti in un unico pezzo ma con una serie di cilindri sovrapposti a formare un fusto elegante e affusolato dove ogni disegno decorativo è diverso dall’altro. Il tempio fu abbandonato dopo la profanazione ad opera dei moghul; andato in rovina divenne rifugio di predoni. Alla fine del XIX secolo fu rinnovato dai discendenti di Depa,

antica famiglia specializzata nella architettura religiosa; il risultato è che gli elementi originali non si distinguono da quelli ricostruiti.

Renzo Angelini Direttore Editoriale

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Ortaggi cotti nel sale (famiglia Spadone)

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IL SUCCESSO DELLA SECONDA EDIZIONE SUPERA I CONFINI REGIONALI

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L’iniziativa, nata con l’obiettivo di favorire l’aggiornamento professionale trasferendo le migliori esperienze dai cuochi di successo al maggior numero di altri colleghi cuochi/ristoratori, per stimolare la ricerca della qualità dell’offerta gastronomica, ha suscitato notevole interesse, tanto da registrare il tutto esaurito con vari giorni di anticipo, e superare le 600 presenze della scorsa edizione, con centinaia di cuochi che non si sono fatti spaventare neanche dalla neve e sono giunti dall’Abruzzo, ma anche da numerose altre regioni italiane come Puglia, Marche, Molise, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Piemonte, Campania, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia.

Scende il sipario – almeno per il momento – sull’edizione 2016 di MEET in CUCINA, fortunato format ideato dal giornalista Massimo Di Cintio e promosso dall’Unione Cuochi Abruzzesi (UCA), dal Comune di Chieti e dalla Camera di Commercio di Chieti, e svoltosi lunedì 18 gennaio negli spazi del centro espositivo della Camera di Commercio di Chieti. Numerose le aziende che hanno voluto affiancare il proprio marchio al congresso: Electrolux per le cucine (main sponsor); Quartiglia per la distribuzione di prodotti alimentari e pasta De Cecco (sponsor); partner sono stati invece Acqua Panna-S. Pellegrino; Pentole Agnelli; Giblor’s per il vestiario professionale; Agape per i materiali e le attrezzature. Hospitality Partner il Villa Maria Hotel&Spa di Francavilla al Mare.

“I due punti chiave della rivoluzione della cucina abruzzese sono una nuova generazi-

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l’intervento sul palco di 7 relatori che attraverso le loro esperienze, hanno apportato significativi miglioramenti nella gestione della cucina e dell’attività di ristorazione, nella ideazione e nella realizzazione delle ricette, nella produzione e nella valorizzazione delle materie prime e dei prodotti agroalimentari locali, raggiungendo un elevato livello qualitativo riconosciuto a livello nazionale e internazionale dalle principali guide di settore.

one di cuochi che vuole contaminarsi, raccontarsi a partire dalla tradizione, confrontarsi con chi sta sperimentando cose nuove e la riscoperta di un patrimonio di prodotti grandissimo, che sta portando a valorizzare anche molte piccole aziende che collaborano con la ristorazione” spiega Massimo Di Cintio, ideatore di Meet in Cucina. “Meet in Cucina è un progetto unico nella storia abruzzese, condiviso anche dalla Fic abruzzese – spiega Andrea De Felice, presidente dell’Unione Cuochi Abruzzesi – un incontro di esperienze che si è realizzato grazie ad una forte necessità di cambiamento e di condivisione”.

L’apertura è stata affidata ad Arcangelo e Peppino Tinari (Villa Maiella, Guardiagrele*) che hanno parlato di marinature e infusioni, con la preparazione in diretta di “Come un carpaccio” (di vitello, salato e marinato al caffè e cumino montano, accompagnato da maionese allo zenzero). Il testimone

La formula, ispirata ai grandi congressi nazionali e internazionali di cucina, ha visto

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è poi passato a Cristian Di Tillio (Il Ritrovo d’Abruzzo, Civitella Casanova) che con i suoi “Maialino con pane croccante alle sarde e maionese alla senape” e “Tutto coniglio” ha portato la sua personale esperienza di ricerca sulle temperature in cottura. A seguire, Nicola Fossaceca (Al Metrò, San Salvo Marina*), ha incentrato il suo intervento sull’applicazione delle tecniche di affumicatura, illustrata durante la preparazione del “Raviolo di ricotta affumicata con sautè di vongole e ricci di mare”. Unica relatrice donna di questa edizione, Nadia Moscardi, (Elodia nel Parco, L’Aquila) si è cimentata nella preparazione dei piatti “Consistenze dell’orto” e “Cremoso di liquirizia di Atri con frutti rossi ed erbe di montagna”, nati dalla sua analisi sul recupero in cucina di erbe ed ortaggi dimenticati. Matteo Iannaccone (Cafè Les Paillotes, Pescara*) ha invece condiviso la sua idea di come trattare ed esaltare il crudo di pesce, contaminando con avoca-

do, zenzero, soia e topinambur i tre piatti preparati sul palco: “Tonno marinato allo zenzero con finta maionese di wasabi”, “Millefoglie di manioca con tartare di branzino e burrata” e “Pasta con crudità”. Giocando sapientemente con le diverse cotture ed essiccazioni degli ingredienti, Mattia e Marcello Spadone (La Bandiera, Civitella Casanova*) hanno lavorato su colori, profumi e sapori dell’orto con il piatto “Ortaggi cotti in sale”. C’è stato spazio anche per un intervento tecnico, a cura del Prof. Leonardo Seghetti, che ha suscitato grande interesse con la sua personale ricerca sulle varietà di grani e di farine locali, sui lieviti e sulla preparazione del pane per la ristorazione. A dare ancor più lustro a questa seconda edizione, l’intervento di Massimo Bottura, chef titolare dell’Osteria Francescana di Modena, al secondo posto nella speciale classifica “The World’s 50 Best Restaurants”

Mattia Spadone

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Nicola Fossaceca

Matteo Iannaccone

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Massimo Bottura, Massimo Di Cintio, Davide Di Fabio

Massimo Bottura ordinato Cavaliere dei maccheroni alla chitarra

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Massimo Bottura

(www.theworlds50best.com) e premiato con i massimi punteggi dalle guide italiane e internazionali. Lo chef emiliano, accompagnato dal fidato e storico “secondo”, l’abruzzese Davide Di Fabio, ha ipnotizzato la platea con il racconto della sua visione di cucina, portata in tutto il mondo da ambasciatore del “Made in Italy”: un intervento coinvolgente e di grande stimolo per tutti i presenti, concluso con il conferimento ad honorem del titolo di “Cavaliere dei maccheroni alla chitarra”. “Il cibo in Italia è sempre un rito, è la celebrazione della vita. C’è qualcosa di più amato in questo Paese che non sia la tavola”? è la riflessione da cui si è sviluppata l’analisi di Bottura, che ha sottolineato anche il valore del patrimonio enogastronomico italiano: “L’Italia ha dei prodotti così straordinari che ai cuochi italiani basta toccarli con sa-

pienza per esprimere un sapore eccellente. Al contrario in Francia, è necessaria una tecnica davvero elevata, per poter estrarre il sapore dalle materie prime “. Tre i piatti che hanno preso vita sotto gli occhi del pubblico di MEETinCUCINA: “La parte croccante della lasagna” ovvero una cialda croccante ricavata da spaghetti cotti, frullati, uniti in diversi impasti; “Oops mi è caduta la crostata al limone” – creazione presto diventata uno dei piatti più celebri de l’“Osteria Francescana” – e il personale omaggio all’Abruzzo dello chef tristellato: l’“Osvaldo Bun”, panino al vapore di ispirazione orientale farcito dalla succulenta carne di pecora dell’arrosticino, mostarda di mele campanine, ceci e zafferano fermentati, una crema di pomodoro e pickles di finocchio. Nel corso della giornata i partecipanti han-

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no potuto assaggiare le creazioni degli chef ed incontrare, oltre ai relatori, anche le 24 aziende di produzione e distribuzione di

prodotti alimentari, attrezzature e servizi per la ristorazione presenti all’interno dell’area espositiva.

Osvaldo Bun (M. Bottura)

Raviolo di ricotta affumicata con-sauté di vongole e ricci di mare (N. Fossaceca)

Tonno marinato allo zenzero con finta maionese di wasabi (M. Iannaccone)

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* estratto dell’atto costitutivo del 1883


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L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI GAJA LAMBERTO CANTONI

PORTOFINO E DINTORNI UNO DEI TRATTI PIÙ AFFASCINANTI DELLA RIVIERA DI LEVANTE, IN LIGURIA, SI ESTENDE TRA GLI AMBIENTI SELVAGGI APPENNINICI ED I PROFUMI DELLA MACCHIA MEDITERRANEA, CREANDO UNA CONFLUENZA TRA LA CIVILTÀ CONTADINA DELL’ULIVO E QUELLA MARINARA DELLA PESCA

Renzo Angelini

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PORTOFINO E DINTORNI RENZO ANGELINI

L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI GAJA LAMBERTO CANTONI


Attraverso un itinerario di pochi chilometri di strade tortuose, che attraversano il Parco regionale di Portofino, o navigando vicino la splendida costa di questo tratto della Riviera di Levante, lasciamo alle immagini fotografiche la capacità di descrivere la bellezza e il fascino dei luoghi. Il promontorio di Portofino sporge massiccio sul mare, delimitato da due golfi: il Ti-

gullio a levante e il Paradiso a ponente. Un triangolo ai cui vertici troviamo Santa Margherita Ligure, con le case dai vivaci colori a testimonianza dell’ originario borgo di pescatori, Portofino incantevole porticciolo incastonato tra le case alte e strette, dai colori pastello, famoso nel mondo come “salotto della Dolce Vita”, e San Fruttuoso dove lo storico complesso abbaziale di S. Fruttuo-

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so di Capodimonte si adagia su una piccola spiaggia, chiusa da scoscesi pendii coperti dalla fitta macchia mediterranea, e dominato dalla cinquecentesca torre Doria. Il monte di Portofino (610 m.) costituisce la linea di demarcazione tra le differenti formazioni geologiche e paesaggistiche che risultano più uniformi e meno aspri nell’area dei calcari rispetto alla zona dove l’erosione

genera vere e proprie pareti a picco. Le diverse zone climatiche dei due versanti sono date dall’incontro delle correnti calde provenienti dal mare e quelle fredde settentrionali, provocando una forte umidità e diversi habitat naturali che vanno dalla macchia mediterraneo, dove l’olivo è dominante, ai castagneti, alle pinete. Il processo di antropizzazione, in un territo-

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rio così disomogeneo, ha privilegiato le insenature riparate dai venti, con piccoli borghi sui fianchi dei versanti marittimi dove si è sviluppata la pesca e le attività mercantili ed oggi il turismo; all’interno le attività agricole dove a prendere il sopravvento è stato l’olivo, che trova sui versanti collinari le condizioni microclimatiche ideali, oppure il bosco da taglio sui versanti esposti a nord. Il paesaggio agrario si caratterizza per i campi a fasce sostenuti dai caratteristici muretti a secco, dalle strade lastricate di ciottoli, dalle case rurali sparse sui gradoni, intervallate dalle ville borghesi con i giardini intorno o da prestigiose palazzine in stile liberty in posizioni strategiche per la loro vista sulla riviera.

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Santa Margherita Ligure È situata nella Riviera ligure di Levante, in una conca chiusa tra il promontorio di Portofino e il Golfo del Tigullio e si sviluppa lungo le due principali insenature. È circondata da colline coperte dalla vegetazione mediterranea, in particolare uli-

veti, ricca di ville e giardini con vista sulla “Costa dei Delfini”, che unisce la città a Portofino. Probabile insediamento in epoca romana, abitata principalmente da pescatori, venne distrutta da Rotari nel 641 e subì successi-

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vamente le incursioni delle piraterie saracene. Saccheggiata dalla Repubblica di Venezia nel 1432 e dai turchi nel 1549 ha sempre mantenuto, fin dal Medioevo, una netta distinzione tra le due principali borgate di Pescino e Corte e i loro abitanti, i “margheriti-

ni” e i “giacomini” mantennero spesso aspri rapporti. Ricca di locali affacciati sul lungomare e di eleganti alberghi in stile liberty, durante l’estate si traforma in uno dei poli turistici più frequentati della riviera ligure.

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Castello di Santa Margherita Ligure: venne eretto nel 1550 dalla Repubblica di Genova per difendersi dalle incursioni dei saraceni

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Portofino Situato nella parte occidentale del Golfo del Tigullio, è una baia ai piedi dell’omonimo promontorio che segna di fatto il confine geografico tra il Golfo del Paradiso e il golfo del Tigullio. Bagnata dal Mar Ligure confina a nord con il comune di Santa Margherita Ligure. L’intero territorio è compreso nel Parco naturale regionale di Portofino. Come riportato da Plinio il Vecchio, il bor-

go fu fondato dai Romani con il nome di Portus Delphini, nel Golfo del Tigullio. Fin dal tempo dei Longobardi qui operavano i monaci dell’abbazia di San Colombano di Bobbio e presenti anche nella abbazia di San Fruttuoso di Capodimonte. Dal 1229 fece parte della Repubblica di Genova ospitando nel suo porto la sua marina mercantile. Dal 1815 fece parte del Regno di Sardegna

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tique, negozi e ristoranti, mantengono i colori e le forme di un tempo, con decorazioni policrome originali. Intorno al promontorio di Portofino si estende l’omonima area marina protetta. In alto sul promontorio castello Brown è un edificio difensivo e dimora nobiliare situato in posizione strategica che permette un’ampia visuale sul Borgo di Portofino e sul Golfo del Tigullio. Occupato nel 1425 da Tomaso Fregoso, doge della Repubblica di Genova, venne ampliato tra il 1554 e il 1557 per rafforzare la barriera difensiva contro gli attacchi dei saraceni. Passò, nel 1797, sotto il dominio di Napoleone Bonaparte e venne poi dismesso e disarmato nel 1867. Nello stesso anno fu acquistato dal console inglese Sir Montague Yeats Brown e, dal 1961, diventa proprietà del Comune di Portofino ed utilizzato come sede di esposizioni.

e poi del Regno d’Italia dal 1861. Portofino si distingue per l’equilibrio nel rapporto con il paesaggio circostante da renderlo un pregevole esempio di borgo costiero, anche se oggi le attività marinare e agricole sono state sostituite dalla sofisticata atmosfera turistico elitaria rendendolo famoso nel mondo. La Marina di Portofino è il piccolo porticciolo che sorge in mezzo ad un promontorio naturale formato dall’insenatura della baia di Portofino e lambisce la celebre Piazzetta del Borgo. Cantato negli anni Cinquanta da Fred Buscaglione, fu consacrato punto di riferimento della Dolce Vita. Le vecchie botteghe sono state sostituite dalle grandi firme della moda e, nei periodi di punta, i suoi abitanti passano da poche centinaia di residenti a migliaia di turisti. Le case affacciate sul porto e sugli stretti caruggi, con i portici gremiti di bou-

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San Fruttuoso di Capodimonte Collocato nel cuore del Parco naturale e della Riserva marina di Portofino il complesso monumentale comprende l’Abbazia (sec. XXIII) con le splendide tombe medievali dei Doria, le aree archeologiche, il chiostro, i sa-

loni abbaziali che si affacciano sul mare attraverso le trifore gotiche e la Torre di difesa voluta da Andrea Doria. È uno dei luoghi più incantevoli della Liguria, dove l’opera dell’uomo si integra perfet-

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tamente all’incontaminato e lussureggiante ambiente naturale. Su questa spiaggia nel 711 Prospero, vescovo di Tarragona, costruÏ la chiesa ed il monastero per nascondervi le reliquie di San

Fruttuoso e dei suoi diaconi Augurio ed Eulogio, martiri spagnoli del III secolo, e sottrarli ai saraceni. La chiesa fu ricostruita dai Benedettini nel 984 e completata da una torre campanaria ottagonale, ed elevata al

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titolo di abbazia. Nel 1275 passa nelle mani della famiglia Doria che fa costruire un edificio a due piani, fronte mare, ed il sepolcreto con sette tombe di famiglia dei membri morti tra il 1275 e il 1306. Nel 1552 Andrea Doria fa costruire la torre di avvistamento quadrangolare, per difendersi dalle frequenti escursioni dei predoni. Nel 1912 uno spaventoso temporale fece crollare la facciata, il campanile della chiesa ed alcune case di pescatori. L’intero complesso fu restaurato negli anni Trenta e donato, nel 1983, dalla famiglia Doria Pamphili al FAI (Fondo Ambiente

Italiano). Il complesso oggi è sede di eventi culturali o di spettacoli; l’abbazia e la torre cinquecentesca ospitano mostre temporanee, mentre nel periodo estivo nel chiostro si svolgono rassegne di musica classica - I Concerti dell’Abbazia.

Renzo Angelini Direttore Editoriale

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Antonio Rallo nella barriccaia

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ANTONIO RALLO Lamberto Cantoni Antonio Rallo, oltre ad essere il titolare di Donnafugata, è anche il Presidente di Assovini Sicilia. Ci è sembrato dunque, il personaggio giusto col quale fare il punto sul vino siciliano, divenuto da alcuni decenni sinonimo di qualità e cura dei territori ad esso dedicati.

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Quali sono i valori centrali di Donnafugata? La nostra è un’azienda familiare, io e mia sorella José rappresentiamo la quinta generazione. Abbiamo quindi una visione appassionata e di lungo periodo, orientata a produrre vini di qualità, espressione dello straordinario potenziale offerto da un territorio unico quale è la Sicilia. Unico perché abbiamo un ampissimo caleidoscopio

ANTONIO RALLO LAMBERTO CANTONI

Pannelli fotovoltaici, Contessa Entellina

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di vitigni soprattutto autoctoni e condizioni pedo-climatiche naturalmente vocate alla viticoltura di qualità. In Sicilia, si possono produrre davvero grandi vini. Poi a noi piace produrli con una particolare attenzione alla sostenibilità ambientale e alla promozione del territorio; Carlin Petrini parla di “buono, pulito e giusto”…. una bella sintesi dei valori ai quali tendiamo.


Giacomo e Antonio Rallo

Gabriella e José Rallo

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Può parlarci della filosofia che ha seguito per far diventare Donnafugata un brand e un vino conosciuto in tutto il mondo (che apprezza la qualità)?

scere, abbattere pregiudizi e colmare profonde lacune conoscitive. Molto ha aiutato la capacità di fare squadra; mio padre Giacomo, insieme a Diego Planeta e Lucio Tasca hanno fondato Assovini Sicilia. Un’associazione che oggi è guidata da Francesco Ferreri e dai giovani del vino siciliano e che mette insieme 70 produttori che rappresentano in modo magnifico la “Sicilia, continente vitivinicolo”. Poche settimane fa si è tenuta la dodicesima edizione di Sicilia En Primeur, la classica anteprima e non solo dei vini siciliani, organizzata da Assovini. La presenza di oltre 90 giornalisti provenienti da tutto il mondo è la migliore dimostrazione di come la Sicilia del vino di qualità sa fare sistema, ottenere consenso e avere tutte le carte in regola per la sfida del mercato globale.

Abbiamo lavorato su tutti i fronti: innanzitutto in vigna, selezionando i vitigni più adatti per ciascun territorio; in cantina si è cercato di rispettare al massimo l’integrità del frutto, mirando ad esprimere al meglio le sue caratteristiche in termini di aromaticità, freschezza, complessità e longevità. Oltre che per la qualità dei vini – che alla fine degli anni ’90 ha raggiunto livelli tali da far giustamente parlare di “rinascimento del vino siciliano”, ci siamo dovuti impegnare molto anche per la comunicazione; soprattutto all’estero, abbiamo dovuto suscitare curiosità, farci conoLa Cantina a Marsala

La barriccaia sotterranea, l’affinamento in legno

94 ANTONIO RALLO LAMBERTO CANTONI


Che visione ha del futuro di Donnafugata e del vino siciliano? Certamente positiva. Donnafugata può contare sulla tenuta di Contessa Entellina e su Pantelleria dove nascono vini dalla personalità unica, vini che enoteche, ristoranti e wine bar in Italia così come in 65 mercati esteri, propongono come esempio della Sicilia alla quale tantissimi wine-lover sono ormai molto affezionati. Sono altrettanto ottimista per il vino siciliano nel suo complesso; nel 2012 è nata la Doc Sicilia, del cui Consorzio oggi sono il Presidente; con la Doc regionale, da un lato si tutela e controlla ancora meglio la qualità del vino che porta il nome dell’isola; dall’altro si dà forza al brand Sicilia che in modo compatto come non mai, può fare squadra e massa critica, per campagne di promozione soprattutto all’estero; proprio in questi giorni, nel mercato più ricco e competitivo del mondo che sono gli USA, sta partendo una grande campagna di comunicazione per far conoscere le peculiarità della vini della Doc Sicilia, sui media tradizionali e sui social. Un progetto ambizioso che andrà proseguito nel tempo e - siamo fiduciosi - porterà ottimi frutti. Non secondario è un altro obiettivo che l’istituzione della Doc Sicilia ha inteso perseguire: dare l’opportunità alle Doc già esistenti, in particolare alle più piccole, di accostare al proprio nome, la denominazione aggiuntiva “Sicilia” in etichetta, in modo da aiutare il consumatore – soprattutto quello straniero - a collocare geograficamente i piccoli territori all’interno di una cornice più ampia e più nota.

Antonio Rallo, Pantelleria

Antonio Rallo nella Tenuta di Contessa Entellina

95 ANTONIO RALLO LAMBERTO CANTONI


Quali sono gli ostacoli che il mondo del vino deve affrontare e superare in tempi brevi? Al di là delle tante questioni che hanno a che fare con normative comunitarie e nazionali sulle quali le organizzazioni di categoria sono sempre impegnate, vorrei citare un aspetto che è invece di tipo culturale: il calo dei consumi di vino che in particolare in Italia non accenna ad arrestarsi. Ecco, noi produttori dobbiamo impegnarci ancora di più per avvicinare i giovani al bere di qualità; uno semplice ma non banale: bere con moderazione ma bere meglio.

Antonio Rallo, degustazione

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José Rallo,prima madrina del Cluster Bio-Mediterraneo, insieme ai commissari dei Paesi che compongono il Cluster

Cosa rappresenta il grande evento Expo per il vino siciliano?

sciuta patrimonio dell’umanità Unesco. Saremo inoltre presenti al Cluster Bio-Mediterraneo, un padiglione tematico che insieme ad alcuni Paesi che si affacciano sul mare nostrum, vede presente la Sicilia, la cui centralità anche simbolica le ha assegnato il ruolo di capo-fila. Qui, da maggio a settembre, insieme ai diversi territori dell’isola, parteciperemo ad eventi di presentazione delle produzioni di eccellenza made in Sicily, di cui il vino è una delle espressioni più attraenti anche per il pubblico internazionale di Expo 2015. Storia, arte, agricoltura, alimentazione, paesaggio: nel Mediterraneo costituiscono fortissime radici comuni di straordinaria ricchezza che il Cluster ha l’obiettivo di far conoscere.

Un’opportunità davvero rilevante, perché gli occhi del mondo saranno puntati anche su di noi: l’assessorato regionale agricoltura ha organizzato la presenza dei principali produttori all’interno del padiglione vino “A Taste of Italy”, nello spazio al 1° piano che è definito la biblioteca del vino. Qui, di Donnafugata, gli appassionati potranno “sfogliare” alcune delle nostre “pagine” migliori tra i quali il Mille e una Notte, elegante e complessa versione di Nero d’Avola, ed il Ben Ryé Passito di Pantelleria, icona dell’enologia italiana nel mondo, frutto di quella viticoltura eroica la cui pratica della coltivazione della vite ad alberello è stata da poco ricono-

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La Tenuta a Contessa Entellina

DONNAFUGATA VINI DA LEGGENDA Lamberto Cantoni

Storie, miti e qualità di prestigiosi vini siciliani prodotti con somma cura dalla famiglia Rallo “La viticoltura e l’enologia non sono solo delle attività economiche, ma rivestono un importante ruolo etico. Il loro obiettivo non si esaurisce nella produzione di un vino buono e genuino, bevanda ideale per l’uomo moderno, ma deve tenere in conto della salvaguardia di ambienti di particolare valore storico e culturale, di vitigni forse fuori moda, ma testimoni di altri periodi della storia viticola…” Attilio Scienza

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Invertiamo la freccia del tempo e posizioniamola nei primi anni dell’800, nei dintorni della vasta area dell’Italia meridionale, allora conosciuta come il Regno delle due Sicilie. La leadership di Ferdinando IV di Borbone sta crollando sotto le mazzate delle truppe di Napoleone. Il Re è trincerato a Napoli e attende il suo destino. Preoccupato per le sorti della famiglia suggerisce a sua moglie, Maria Carolina, di allontanarsi dalla corte. La Regina per amore dei figli si lascia convincere e si rifugia in Sicilia Occidentale, nei territori che Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo capolavoro scritto verso la metà del novecento, Il Gattopardo, chiamerà Donnafugata, stabilendo una fatale connessione tra la “donna in fuga”, la regina appunto, e i possedimenti di campagna del Principe di Salina, personaggio centrale del suo famoso romanzo. Oggi, in questa parte di una bellissima Sicilia si trovano i vigneti aziendali di una delle marche di vino più famose al mondo, sulle cui etichette appare in effigie l’immagine di un volto femminile con i capelli sconvolti dal vento: anche senza la scritta Donnafugata potrebbe veramente simbo-

lizzare una donna in processo, ovvero una donna del fare, dell’agire, della passione. Una marca quindi che riunisce in una sacra alleanza una terra, i suoi prodotti, la sua storia e i miti che appassionano la gente. Ma la profondità significante dei territori della tenuta di Contessa Entellina, si chiamano così i luoghi incapsulati nel cuore della Sicilia Occidentale nei quali si perdono a vista d’occhio i vigneti che daranno le uve per i vini di Donnafugata, non si limita certo alle vicissitudini di una ottocentesca regina in momentaneo esilio. In Tucidide, il primo grande storico dell’antichità e per certi versi in Plutarco troviamo tracce della leggenda di Elimo, figlio illegittimo di Anchise, il leggendario re di Troia, in fuga con Enea dopo la distruzione della città da parte dei greci. Il principe troiano dopo estenuanti vicissitudini arrivò in Sicilia e nei territori sui quali oggi troneggiano moderni vigneti fondò le città di Elima e Egeste (l’attuale Segesta). I nuovi coloni, portarono in dote la coltivazione della vite che divenne in seguito uno dei prodotti più rinomati dell’isola.

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Una saga famigliare che continuamente si rinnova Giacomo Rallo, quarta generazione di una famiglia che è nel vino dal 1851, ha perpetuato nel modo migliore la tradizione unica che arricchisce le sue proprietà, conferendo a Donnafugata che dirige insieme alla moglie Gabriella, alla figlia José e il figlio Antonio, un assetto moderno, innovativo, efficiente. Vista con lo sguardo disincantato dell’abitatore della post modernità, Donnafugata rappresenta una sintesi ideale tra la vocazione storica di un territorio e la technè da sempre necessaria per difenderlo dal suo stesso mito. La fusione tra l’approccio umanistico e l’attenzione al sapere scientifico/tecnico ha conferito ai pro-

dotti dell’azienda un’unità di valore efficace sui mercati di tutto il mondo, per perpetuare ancora un poco più in là nel tempo l’eredità storica di un modo di produrre che è da sempre anche un atto di cultura e scelta etica. Non ci sono dubbi sul fatto che la natura del suolo, l’altitudine, l’esposizione al sole, il clima, la qualità dei vitigni di Donnafugata siano in sé portatori di una identità sensoriale che conferisce ai vini prodotti un fisico e contenuti di base eccezionali. Ma dobbiamo aggiungere che il processo di vinificazione regolato ad arte da enologi competenti e professionali hanno trasformato questa dote naturale in prodotti dal carattere e dalla personalità fortemente stilizzati, riconoscibili per l’eccellenza della resa qualitativa.

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A ciò si aggiunge l’ossatura etica fortemente voluta da Giacomo Rallo e dai figli, imprenditori consapevoli del fatto che il come si produce ha delle implicazioni sul valore che accumula ogni unità di prodotto. Non è per caso se Donnafugata è una delle aziende siciliane all’avanguardia per quanto riguarda la sostenibilità e l’attenzione all’ecologia del produrre. L’attenzione agli equilibri produttivi e il rispetto della perfetta integrazione delle coltivazioni con la tutela del territorio sono impeccabili e certificati a livello internazionale. A testimonianza di ciò si possono citare i paesaggi della campagna nella quale vengono prodotte le uve: anche all’occhio più esigente appare una armonia all’altezza delle emozioni che suscitano le tanto osannate colline toscane nei din-

torni di Siena e le vigne del Monferrato… Paesaggi che lasciano percepire l’efficienza del fare coniugata al rispetto per la bellezza. A mio avviso l’amore e l’eccezionale rispetto della famiglia Rallo per l’uva e il vino, emergono in modo da generare una sincera reverenza, soprattutto nel progetto che rappresenta il fiore all’occhiello dell’azienda ovvero il campo sperimentale, nel quale vengono coltivate con i crismi della ricerca scientifica avanzata, 19 differenti varietà di vite autoctone in rappresentanza di 30 biotipi tra i quali anche delle varietà-reliquie come il Nocera, e l’Alzano che rischiavano di scomparire. Mi piace pensare che chi è illuminato da tanto rispetto e amore per la propria attività non possa che creare prodotti di qualità eccezionali.

La Famiglia Rallo. Da sinistra: Giacomo R. Gabriella R. José R. Antonio R.

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DONNAFUGATA VINI DA LEGGENDA LAMBERTO CANTONI

Vini di qualità superiore

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La sintesi di tutte le attività implicate dalla coltivazione delle 14 varietà di uva nei poderi di Contessa Entellina e nell’isola di Pantelleria (dal 1989 Giacomo Rallo produce uno dei passiti più quotati dai veri intenditori), sono 14 etichette considerate l’elite dei vini siciliani e italiani. Tutti meriterebbero un encomio, comprese le grappe Mille e una Notte e Ben Ryé, ottenute dalle vinacce delle uve utilizzate per produrre i rispettivi vini. Mi limiterò a segnalare le star tra le etichette dell’azienda. Mille e una notte e Tancredi sono due rossi di statura internazionale. Il primo rappresenta la versione nobile del Nero d’Avola ( con lievissime aggiunte di altre uve) materializzata in un vino di grande struttura e complessità. Intenso, elegante, provvisto di un bouquet avvolgente in cui è facile riconoscere sensazioni fruttate, dolci e mature, su note balsamiche e floreali; possiamo senz’altro considerarlo come l’etichetta di prestigio dell’azienda. Tancredi lo segue a ruota. Si tratta di un Nero d’Avola sposato con il Cabernet Sauvignon, invecchiato come il Mille e una notte, per 14/16 mesi in barrique. Il suo spettro olfattivo è di tutto rispetto; sorprendono la chiarezza dei sentori di liquirizia, cacao e amarena. I più attenti intercetteranno sul liminare della processo senziente di una degustazione, il lieve battito di note mentolate. Rispetto al Mille e una notte, è forse di un’eleganza più sfrontata, giovanile. Il suo nome non è a caso ispirato a Tancredi, personaggio del Gattopardo, così come lo traduce nei codici visuali del cinema un ispirato Visconti, attraverso il fascino e l’eleganza coinvolgente di Alain Delon. Un’altra etichetta hors categorie di Donnafugata è il rinomatissimo Ben Ryé, un passito di straordinaria personalità ottenuto da uve Zibibbo (detto anche Moscato d’Alessandria), provenienti da 11 contrade di Pantelleria caratterizzate da microclimi differenti e unici; un uvaggio che ben lavorato ci dona un vino armonicamente dolce, morbido, fresco. All’olfatto regala note intense di albicocca e pesca e sensazioni gustative che rimandano ai fichi secchi e alle erbe mediche. Un sublime vino da meditazione, dicono gli esperti, da accompagnare a formaggi, foie gras e cioccolato fondente di qualità.


La cantina e i vigneti, Pantelleria

La Tenuta di Donnafugata

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Contessa Entellina Casale Bianco

DONNAFUGATA ANTONIO RALLOVINI DA LEGGENDA LAMBERTO CANTONI

Terreno Calcareo a Casale Bianco

104 104 Contrada Duchessa

I vigneti di Ansonica

Vista su Contrada Mazzaporro

Contrada Pandolfina

Il vigneto de “La Fuga”

Vigna di Gabri, particolare


Pantelleria

I vigneti di Punta Karace

Vigneti di Gibbiuna

DONNAFUGATA VINI DA LEGGENDA LAMBERTO CANTONI

Vigneti di Martingana

105 Vigneti di Contrada Barone

Vista sui vigenti di Contrada Monasterot

I vigneti di Contrada Favarotta

Vigne Centenarie


Pulizia pre-appassimento

La pulizia del grappolo

Sgrappolatura post appassimento

Appassimento dei grappoli

Vasche d’acciaio

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Da sinistra: Damarino, Anthilia, Bottiglia Prio, Polena, SurSur, Lighea, La Fuga, Vigna di Gabri, Chiarandà

Da sinistra: Lumera, Sherazade, Sedara, Angheli, Tancredi, Mille e una Notte, Kabir, Ben Ryé

Da sinistra: Brut Donnafugata, Grappa di Ben Ryé, Grappa di Mille e una Notte, Olio Milleanni

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DONNAFUGATA ANTONIO VINIRALLO DA LEGGENDA LAMBERTO CANTONI


Uno stile di comunicazione innovativo La passione della famiglia Rallo di Donnafugata per la cultura del vino, emerge con evidenza anche nello stile di comunicazione che caratterizzano le celebri degustazioni/evento, organizzate dall’azienda nel corso delle attività promozionali. Donnafugata, grazie soprattutto alla sensibilità e al talento di José Rallo, da anni propone a tutti gli appassionati del vino, degustazioni/ evento di raffinata spettacolarità. Se è vero che i consumatori consapevoli di vini di qualità, cercano aromi, sapori, odori, colori capaci di connettere un vino alla sua terra, al-

lora, non c’è niente di meglio della musica per trasformare questa esperienza in un fascio di emozioni attraversate dal piacere di condividere un momento di intensità individuale che al tempo stesso sfuma nella socialità. Sulla scorta di questa intuizione, Josè Rallo, accompagnata da strumentisti di valore, da anni accompagna la ritualità del bere con narrazioni musicate di notevole valore culturale. Per esempio, i grandi rossi Donnafugata, sono stati recentemente narrati attraverso l’interpretazione vocale di alcune pagine del “Gattopardo”, accompagnate dalla musica jazz. Per il Ben Ryè, Josè Rallo ha scelto invece musiche tipicamente sudamericane.

Wine tasting path

Jose Rallo e Vincenzo Favara, Vinitaly 2005, auditorium Verona

Cantine aperte

Evento San Martin

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In breve, con degustazioni/evento che sviluppano il tema della multisensorialità dell’esperienza conviviale mediata dal bere vino, Donnafugata coinvolge i suoi pubblici partendo dalle sottili sinestesie prodotte dal convivio tra musica e sapori allo scopo di rafforzare un messaggio di raffinato profilo culturale. Qual’è la semantica profonda che Josè Rallo con le sue performance riesce a trasdurre (da transducere: tradurre lo stesso messaggio di fondo con sistemi di segni eterogenei) in un fascio di sofisticate emozioni?

Il vino deve essere utile a migliorare la qualità della vita e il benessere delle persone; il suo compito è trasmettere sensazioni positive e deve essere un lusso accessibile a tutti.

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Lamberto Cantoni Direttore Responsabile


KARPÒS promo LOVOL ARBOS GROUP SPA ACQUISISCE IL CONTROLLO DI GOLDONI SPA In data 24 Dicembre 2015 il Tribunale di Modena ha ammesso la Goldoni Spa alla Procedura di Concordato preventivo in continuità ai sensi degli articoli 161 e 186 bis della Legge Fallimentare.

Il Piano di Risanamento presentato è fondato sull’entrata nella compagine sociale della Goldoni Spa di Lovol Arbos Group Spa, Holding Industriale e di Partecipazioni, controllata al 100% da Lovol Heavy Industry Ltd con sede a Weifang, provincia dello Shandong nella Repubblica Popolare Cinese. Si tratta di un passo fondamentale per il salvataggio e il rilancio industriale della storica Azienda di Migliarina di Carpi (Modena), focalizzata sulla produzione di trattori specialistici per frutteto e vigneto nonché di motoagricole e motocoltivatori. Grazie anche a un finanziamento interinale autorizzato a metà Novembre dal Tribunale di Modena e tempestivamente reso disponibile da Lovol Arbos Group Spa, le iniziative propedeutiche alla ripresa produttiva sono in pieno corso con il previsto riavvio delle linee di montaggio già dalla seconda metà del corrente mese di Gennaio.

Andrea Bedosti, Consigliere Delegato di Lovol Arbos Group Spa

Come ha spiegato Andrea Bedosti, Consigliere Delegato di Lovol Arbos Group Spa, “Il piano di salvataggio di Goldoni Spa si articola su tre punti fondamentali”: - Iniezione preliminare di risorse finanziarie finalizzate alla immediata ripresa produttiva per rassicurare allo stesso tempo dipendenti, fornitori e clienti sul futuro industriale della Società; - Ricapitalizzazione significativa della Società volta a dare la necessaria solidità patrimoniale in grado anche di soddisfare i creditori al momento dell’Omologazione del Piano e con il chiaro fine di confermare e salvaguardare i rapporti di collaborazione per il futuro; - Sviluppo di un Business Plan triennale che prevede il pieno rilancio della Società attraverso l’ammodernamento e l’allargamento della Gamma dei prodotti, il radicale cambiamento dell’organizzazione e delle tecniche produttive oltre all’espansione ed internazionalizzazione della rete di distribuzione. Fondamentali si riveleranno le sinergie con le competenze sia della Casa Madre Lovol, sia della Lovol Arbos Group Spa che ha recentemente presentato una gamma nuovissima di trattori da campo aperto fra 100 e 260 HP in occasione della Esposizione internazionale “Agritechnica” di Hannover.

Cerimonia inaugurazione nuova sede Lovol Arbos

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“L’ammissione del nostro Piano di salvataggio della Goldoni Spa – conclude Shen Yang, Presidente di Lovol Arbos Group Spa e neo Amministratore Delegato di Goldoni Spa – è un’altra importante tappa nella strategia di internazionalizzazione perseguita con determinazione da Lovol che ha iniziato a investire in Italia a partire dal 2011. In questi ultimi intensi 5 anni abbiamo saputo realizzare in Italia un Centro di Ricerca e Sviluppo all’avanguardia tecnologica dove hanno visto la luce ben tre piattaforme di trattori da campo aperto. Alla fine del 2014 abbiamo acquisito Matermacc Spa, localizzata in Friuli Venezia Giulia, azienda specializzata nel campo delle seminatrici. Il piano di salvataggio e di rilancio di Goldoni Spa è in linea con la strategia di internazionalizzazione del Gruppo Lovol e va visto e apprezzato in questa ottica macroeconomica”.

Lovol Arbos Group

Sede Goldoni

Shen Yang, Presidente Lovol Arbos Group e neo Amministratore Delegato Goldoni

Note su Lovol Heavy Industry LTD Lovol Heavy Industry Ltd ha sede a Weifang nella Provincia dello Shandong, una delle aree di maggior sviluppo tanto industriale che agricolo della Repubblica Popolare Cinese. Lovol nel 2015 ha raggiunto una cifra di Affari di circa 3,3 miliardi di Euro con circa 16.000 dipendenti ed è attiva sia nel campo delle macchine agricole, che delle macchine da cantiere che del trasporto. Anche per il 2015 Lovol si è confermato il leader assoluto di mercato in Cina nel campo sia dei trattori agricoli (40% di quota di mercato) che delle mietitrebbie (32% di quota di mercato).

www.lovolarbos.com

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