Karpòs 01 Febbraio 2015

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Karpos

Karpòs alimentazione e stili di vita

Anno IV - N° 1 Febbraio 2015

Poste Italiane spa Sped. in A.P.-D.L. 353/2003 (convertito in L. 27/2/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 - Cesenatico

w w w. k a r p o s m a g a z i n e . n e t

ANTINORI STYLE SE TI AMO TI IODIO DA PLINIO IL VECCHIO AL WINEBLOG GROENLANDIA TREKKING LA TERRA, IL VINO, L’ARTE IN VIAGGIO CON I RABARI Campagna “Togli l’alibi”



EDITORIALE

Carissimi lettori, siamo tutti concordi nel riconoscere che il nostro Paese sta vivendo una situazione economica e sociale paradossale, non coerente con quello che è il suo vero potenziale. La “percezione” di questo disagio ognuno di noi la tocca con mano quotidianamente. A tal riguardo ho il dovere di aggiungere che noi italiani, abbiamo la deplorevole propensione ad identificare la causa dei problemi esclusivamente in chi ci sta intorno, fino a criminalizzare intere categorie “di turno”, quelle che in quel momento, accidentalmente o scientemente, occupano la cronaca... Forse ci piace stare a questo gioco per evitare responsabilità e per sfumare o nascondere la nostra attenzione su questioni che riteniamo troppo complesse. A mio avviso dovremmo invece ragionare con maggiore cognizione sui nostri problemi, informarci meglio, partecipare con spirito critico e non cadere nella scontata trappola del capro espiatorio. Dopo questa sintetica ma necessaria premessa torno alla “promessa” fatta da Karpòs ai suoi pubblici: raccontare le eccellenze italiane “in primis”, le culture, i paesaggi, le suggestioni, per intercettare l’attenzione più ampia e riconoscere i lettori in base a quello che leggono o che apprezzano. Sfogliando i numeri pubblicati noterete che ci siamo concentrati su tutto ciò che è positivo, è bello, è utile, è suggestivo. Ma coerentemente con la nostra mission di “creare valore” non possiamo però continuare ad ignorare i gravi problemi che ci circondano. Ecco perchè inizieremo un percorso più critico partendo col mettere a fuoco i flussi dei Finanziamenti Europei che arrivano all’Italia: sono soldi pagati dai cittadini onesti attraverso le tasse e dovrebbero avere la nobile finalità di far ripartire l’economia garantendo prodotti salubri, sicuri, sostenibili, un ambiente più sano, una società più equa! Ovviamente lo faremo con lo stile di Karpòs ovvero evitando di ricercare o denunciare ciò che non va, ma ospitando gratuitamente sulle nostre pagine i “casi virtuosi” che potranno raccontarci ciò che imprenditori con la voglia di fare sono riusciti a spendere, con quale finalità e con quali indicatori misurarne il ritorno, compresi gli effetti sull’economia. Invito dunque alla collaborazione i maggiori destinatari dei Fondi Europei ( Regioni, Associazioni, O.P., Consorzi, GAL ecc.), non certo per annoiare i lettori sui dettagli ma bensì per informarli sui macrofenomeni che toccano la vita di tutti. Questa campagna informativa che scherzosamente ho definito “togli l’alibi” ha la finalità di identificare e difendere i bravi imprenditori attraverso una meritata visibilità per distinguerli da coloro che spesso sono ”percepiti migliori” solo perché si dichiarano capaci di spendere tutto il budget disponibile. Chiedo scusa per la banalità, ma ho la presunzione di pensare che i contribuenti non siano interessati solo al fatto che i

Campagna “Togli l’alibi”

Renzo Angelini Direttore editoriale loro soldi sono stati spesi ma anche: come? Perché? A favore di chi? Da editore esprimo la mia soddisfazione nel vedere che oltre 430.000 lettori hanno ricevuto il magazine digitale (dati reali 2014, non stimati) e 18.200 hanno ordinato o ricevuto la versione cartacea; dati in controtendenza rispetto a quanto si sente relativamente ai media! Merita una ulteriore riflessione il fatto che il 18,4% dei lettori del digitale (in italiano) sono stranieri per un totale di 68 Paesi, guidati da USA, UK, Francia, Germania, Spagna, Cina, Federazione Russa, India. Questo conferma l’appeal dell’Italia e del Made in Italy, come punto di forza e competitività del Paese ma anche una gravissima debolezza di noi italiani: abbiamo una scarsa propensione alla lettura, alla informazione, all’ aggiornamento! Su che base lo affermo? Abbiamo più lettori di Karpòs (in italiano) a Londra o a Los Angeles rispetto a molte regioni italiane. Per chi ci segue da poco voglio ricordare velocemente il “programma di comunicazione” di Karpos: noi intendiamo diffondere tra i vari pubblici della rivista “un ponte simbolico tra domanda e offerta”, per superare la faglia che divide il mondo della produzione, della ricerca, dei servizi con il consumatore. Consentitemi un vivo ringraziamento alle nostre FIRME, scelte per le migliori competenze del settore (oggi sono 136 come potete verificare su www.karposmagazine.net), mosse unicamente dall’incentivo di mettere a disposizione del pubblico le proprie conoscenze e i risultati del loro lavoro! La nostra offerta dal 2015 sarà “personalizzata” integrando la comunicazione trasversale “generalista” con Karpòs International, in inglese, e avviando la messa in produzione di testate “specializzate” in risposta ai desiderata dei nostri lettori. Ogni iscritto potrà prenotare, da oggi le riviste digitali che vorrà ricevere gratuitamente!

03 EDITORIALE


Karpòs Magazine FEBBRAIO 2015

Direttore editoriale Renzo Angelini Direttore responsabile Lamberto Cantoni Iscr. trib. di Forlì n° 3/12 del 4/5/2012 Proprietario ed editore della testata Karpòs S.r.l. Via Zara 53 - 47042 Cesenatico (FC) CF 04008690408 - REA 325872

05 EDITORIALE Campagna “Togli l’alibi” Renzo Angelini

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08 ANTINORI STYLE Lamberto Cantoni

SE TI AMO TI IODIO Giovanni Lercker

Editor Marketing Gabriele Vignati gabriele.vignati@karposconsulting.net Grafica Francesca Flavia Fontana francesca.fontana@karposconsulting.net Giulia Giordani giulia.giordani@karposconsulting.net Margherita Contini margherita.contini@karposconsulting.net Raccolta pubblicitaria pubblicita@karposmagazine.net Tel. +39 335 6355354 www.karposmagazine.net Stampa Centro Stampa Digitalprint Srl Via A. Novella, 15 47922 Viserba di Rimini (RN) Tel. 0541 - 742974 / 742497 e-mail: info@digitalprintrimini.com

58 DA PLINIO IL VECCHIO AL WINEBLOG Stefano Raimondi

82 GROENLANDIA, TREKKING NELLA CALOTTA POLARE Maurizio Levi e Laura Colognesi Distribuzione in abbonamento: on line tramite carta di credito, oppure abbonamenti@karposmagazine.net bonifico bancario, cartolina postale (scaricabile da www.karposmagazine.net cliccando su contatti) Abbonamento a: 5 numueri a 25€ 10 num 45€ copie arretrate 10€ cadauna (salvo disponibilità)

scrivendo a: abbonamenti@karposmagazine.net

98 LA TERRA, IL VINO, L’ARTE Lamberto Cantoni

126 IN VIAGGIO CON I RABARI Pierpaolo Di Nardo


Per le fotografie:

Karpòs Promo

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SAN BENEDETTO Philadelphia

SAN CARLO OPS

da pag. 08 a pag. 28 © MARCHESI ANTINORI S.P.A. da pag. 98 a pag. 112 Ufficio Stampa da pag. 36 a pag. 50 proprietà di Compagnia Italiana Sali Rocca delle Macie Tutte le altre fotografie: © Renzo Angelini In copertina: Marchese Piero Antinori © MARCHESI ANTINORI S.P.A.

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NONNO NANNI E DORIA

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VINI DEL TRENTINO

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Non si restituiscono testi, immagini, supporti elettronici e materiali non espressamente richiesti. La riproduzione anche parziale di articoli e illustrazioni è vietata senza espressa autorizzazione dell’editore in mancanza della quale si procederà a termini di legge per la quantificazione dei danni subiti. L’editing dei testi, anche se curato con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali errori o inesattezze, limitandosi l’editore a scusarsene anticipatamente con gli autori e i lettori. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero di chi lo ha scritto e pertanto ne impegna la personale responsabilità. Le opinioni e, più in generale, quanto espresso dai singoli autori non comportano alcuna responsabilità da parte dell’editore anche nel caso di eventuali plagi di brani da fonti a stampa e da internet. Karpòs rimane a disposizione di altri eventuali aventi diritto che non è stato possibile identificare e contattare.


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ANTINORI STYLE

Antinori è oggi un marchio conosciuto in tutto il mondo per la raffinata qualitĂ dei suoi vini. Rappresenta quindi una sintesi efficace dei valori che i consumatori evoluti attribuiscono al Made in Italy. L’intervista al Marchese Piero Antinori ci fa capire come le tradizioni e la cultura materiale della terra possono dialogare con la disposizione a innovare tipica della nostra attuale forma di vita. Lamberto Cantoni


LAMBERTO CANTONI

COVER STORY

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Chianti Classico


passione e profitto i loro terreni. Non è certo per caso se nel 1385 vennero accettati nella corporazione dei Vinattieri. Secondo gli esperti del branding, gli Antinori sono tra le pochissime famiglie al mondo a perpetuare una forma di attività ben delineata, fin dagli albori del proto-capitalismo. Per gli amanti delle classifiche posso aggiungere che, nell’ambito del vino, solo le imprese familiari che si riconoscono nel brand Chateau de Goulaine, attiva sin dall’anno 1000, e i discendenti del Barone Ricasoli, per i quali i primi documenti risalgono al 1141, possono vantare una tradizione pari agli Antinori. Sono questi i pensieri che attraversavano la mia mente, mentre guardavo con piacere l’armoniosa e seria facciata del Palazzo Antinori, cinquecentesca sede direzionale degli affari di famiglia, qualche minuto prima

Durante il Rinascimento fiorentino, uno dei periodi storici più affascinanti nella lunga storia del nostro Paese, gli Antinori erano già famosi per la loro capacità di creare ricchezza, assumendosi calcolati rischi e, diremmo oggi, seguendo audaci strategie di crescita in quei tempi difficili per il commercio, straordinariamente efficaci. Questa propensione alla valorizzazione delle produzioni dei territori agricoli che controllavano e alla loro commercializzazione, nel corso del tempo è divenuta una sorta di testimone trasmesso di generazione in generazione, senza soluzioni di continuità. I documenti storici ci segnalano che fin dal 1178, le plusvalenze famigliari generate da altre attività come il commercio della seta, venivano investite in proprietà agricole. È probabile che gli Antinori curassero con

Chianti Classico

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dotto per il quale entrambe le parole sembrano essere importantissime. Ma come si fa a dare ad esse la giusta regolazione?

di impegnarmi nell’intervista programmata con il Marchese Piero Antinori. Impossibile non provare reverenza e ammirazione per un percorso esistenziale di generazioni che hanno attraversato praticamente tutta la storia che ci ha formato così come siamo. E, con il senno di poi, devo riconoscere che questi sentimenti hanno imposto all’incontro una forma colloquiale nella quale mi sono sbarazzato dell’abito dell’intervistatore, ritrovandomi con piacere ad essere prima di tutto ascoltatore attento e poi prudente conversatore. Nel redigere il testo ho aggiunto qui e là qualche domanda per simulare l’intervista che non è stata fatta, lasciando il più possibile libero l’eloquio preciso e sapiente del protagonista.

…Recentemente ho pubblicato un libro nel quale ho cercato di trasmettere al lettore, che ho immaginato interessato a conoscere lo straordinario intreccio tra le storie della mia famiglia e il vino, il fecondo dialogo che gli Antinori hanno sempre avuto con il passato, i problemi contingenti e l’ombra che il futuro promana sulle vite delle persone. Per scrivere il libro ho dovuto riflettere su ciò che possiamo considerare una sorta di eredità etica e culturale di famiglia; e sono giunto alla conclusione che il nostro tratto distintivo è il rispetto per le buone tradizioni unitamente alla capacità di sviluppare innovazioni compatibili con l’integrità dei nostri valori. Rispettare la tradizione non significa museificarla, o prenderla come un tutto immodificabile. Dobbiamo distinguere in essa gli elementi costitutivi. Il vero rispetto nasce dai nostri sforzi per mantenerne viva la luce dei suoi elementi costitutivi. Ora, lo spirito innovativo, è necessario per cercare le energie con le quali illuminiamo il meglio del nostro passato. Senza passato le parole bellezza e qualità non avrebbero senso. Senza innovazione il nostro saper-fare perderebbe di efficacia e, molto presto, ci troveremmo fuori dal tempo. I nostri vini sono il risultato dell’applicazione rigorosa di questo principio .. E devo aggiungere che, l’aspetto più divertente della mia attività è legato al fatto che non esiste una regola rigida che ti insegni una volta per tutte a fare sempre e comunque vino di qualità. Ogni anno è come se partissimo per una nuova avventura. Il vino è un prodotto molto particolare. Non esistono due vini identici. Ogni annata ha le sue peculiarità. Per usare una parola molto di moda potremmo dire che il vino ci spinge verso la complessità. In questo contesto, per rispettare

Marchese Antinori come ci si sente sapendo di avere sulle spalle 24 generazioni che hanno dato lustro al nome che porta? Mi è stato insegnato a concepirlo meno come un privilegio e nello stesso tempo molto di più come una responsabilità da accettare senza ansie o inutili presunzioni. Noi Antinori amiamo la nostra lunga storia, ma non abbiamo mai concepito la tradizione come una sorta di giardino da proteggere dagli assalti della modernità. Ciascuno di noi vive nel proprio tempo e deve affrontare le sfide che nascono dai cambiamenti che impone l’evoluzione dei processi economici e sociali. Alle mie figlie, Albiera, Alessia, Allegra, con le quali guido la mia azienda, ho cercato di trasmettere una filosofia di vita centrata sull’idea che le radici sono certamente importanti, ma se vogliamo preservare ciò che abbiamo creato nel tempo non possiamo perdere lo spirito innovativo... ....Possiamo generalizzare la dialettica tra tradizione e innovazione un po’ a tutto il settore nel quale Lei opera. Il vino è un pro-

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Albiera, Allegra, Piero e Alessia

tà del terreno collinoso una fisiognomica espressiva veramente coinvolgente. Forse esagero, ma non avevo mai visto nulla del genere... Mi considero un fan di Renzo Piano. Ma la Sua cantina mi è apparsa come progetto molto più interessante di quella progettata dal grande architetto genovese a Rocca di Frassinello, nel grossetano...

la regola della qualità bisogna saper gestire condizioni sottoposte a piccole o grandi modificazioni. Produrre vino di qualità è una affascinante sfida intellettuale nella quale esperienza pratica e ricerca si trovano sempre in prima linea... ... Le sue parole sul dialogo tra tradizione e innovazione mi fanno pensare anche al “contrasto convergente” tra questo meraviglioso Palazzo, e la sorprendente cantina in Chianti classico, a mio avviso tra le più belle al mondo. Quando la vidi per la prima volta, ero lontano e sembrava quasi che la collina che l’accoglieva mi sorridesse. Voglio dire che il taglio alla Fontana del paesaggio voluto dall’architetto Casamonti non solo si integrava perfettamente al paesaggio, ma aggiungeva alla sinuosi-

La realizzazione della nuova cantina ci ha occupato per quasi 7 anni. Volevamo qualcosa che sembrasse appartenere da sempre al territorio che l’avrebbe ospitata. Desideravamo inoltre evitare eccessi di visibilità, oggi di moda nell’architettura. Al tempo stesso ci sembravano importanti la scelta dei materiali, la bellezza, la polifunzionalità. In breve, volevamo un progetto che attraverso l’articolazione degli spazi suggerisse ai nostri clienti

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la filosofia della famiglia. Il lavoro creativo di Archea ci sembrò subito in sintonia con i nostri obiettivi. Era uno studio fiorentino di architetti giovani e molto attenti ai nostri valori. Avevamo la sensazione che potevamo comunicare meglio le nostre priorità lavorando con menti sensibili, del territorio, portate ad innovare nel senso che noi diamo a questa parola. E con il senno di poi, posso aggiungere che la nostra scelta si è rivelata corretta. La nuova cantina esprime quel legame con la terra al quale tenevamo moltissimo. Ha l’eleganza che auspicavamo, ha un bassissimo impatto ambientale e un alto risparmio energetico... ...nel suo libro Lei descrive in modo estremamente efficace ciò che definisce “la filosofia della famiglia” e soprattutto lo stile Antinori. A tal riguardo propone un sug-

Castello della Sala

Castello della Sala

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gestivo modello basato su 5 parole che cominciano con la P del suo nome... ...All’inizio ero poco convinto del progetto del libro. Poi compresi che l’insistenza delle mie figlie era fondamentalmente giusta. Molte persone, clienti, amici, manifestavano il desiderio di conoscere meglio l’avventura di una famiglia che si presentava alla contemporaneità con una striscia lunga 26 generazioni

Tenuta Tignanello

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Fattoria Aldobrandesca

Fattoria Aldobrandesca

Fattoria Aldobrandesca

Tenuta Badia a Passignano

do conto che possono apparire una specie di trucco letterario. In realtà queste parole descrivono meglio di altre il modo di porsi di fronte all’economia, al commercio e alla vita degli Antinori che mi hanno preceduto. Personalmente non amo la gloria dell’azione temeraria e il pressappochismo implicito in essa. L’azione prudente, previdente, precisa è certamente, dal mio punto di vista, la strada stretta che alla fine porta più lontano. Aggiungerei l’importanza della passione. Senza di essa l’azione chiuderebbe le porte all’innovazione, alla ricerca, alla qualità. Io credo che queste 5 parole possono far capire bene anche come deve essere un vino Antinori. Io desidero la qualità intesa come eleganza, armonia. Ho già parlato della variabilità a livello dei fattori di produzione. Per fare un vino di qualità non bisogna mai

che con rara coerenza si erano dedicate con successo al mondo del vino. Non solo questo ovviamente. La mia famiglia è ricca di personaggi che hanno saputo ben destreggiarsi in tutti i campi, dalla cultura all’arte della guerra. Ma non c’è dubbio sul fatto che sia il vino l’elemento che meglio ci connota. Ora, una coerenza lunga 26 generazioni tra le altre cose, presentava ai nostri occhi qualcosa che trovo giusto definire lo stile Antinori. Il mio problema era come raccontarlo. Da qui l’idea di trovare un numero limitato di parole che consentissero di trasformare il concetto di stile in evocazione di esperienze pratiche capaci di suggerirne i valori, sia in termini di contenuti che di etica aziendale. Le parole che ho ritenuto congruenti con lo spirito di famiglia sono: Pazienza, Previdenza, Precisione, Profitto, Passione. Mi ren-

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altri produttori che come me, pensavano a rinnovare i loro vini avendo come obiettivo la qualità e non più solo le quantità. Tuttavia è vero che la maggioranza guardava da un’altra parte, e che indubbiamente io e qualche altro collega abbiamo interpretato inconsapevolmente il ruolo di avanguardia produttiva. Tutto iniziò quando dopo la metà degli anni sessanta le nostre imprese cominciarono ad attraversare una crisi che sembrava irreversibile. Le difficoltà di mercato divennero drammatiche quando il Governo abolì la conduzione a mezzadria. Fino a quel momento e da secoli i proprietari davano in uso i loro terreni a mezzadri che con le loro famiglie conducevano con ampie libertà tutte le attività necessarie per mettere a profitto la terra. A fine anno una parte delle produzioni veniva attribuita ai proprietari, il resto serviva alle famiglie dei mezzadri per vivere e mettere da parte guadagni, legati alla loro capacità di lavorare con dovizia. L’abolizione della mezzadria costrinse i pro-

smettere di ricominciare ogni anno come se fosse un muovo inizio. La precisione gioca un ruolo importante. La passione ci dona determinazione e slancio. Il profitto io lo intendo come una misura dell’efficacia importante che ci conforta o allarma sulle scelte che abbiamo intrapreso… …Ho spesso sentito parlare di un vino Antinori rivoluzionario. Qualcuno dice che il Tignanello è il vino che ha cambiato il volto al modo di intendere questo prodotto in Italia... Per non parlare di come veniva vissuto il vino italiano sui mercati Esteri: secondo discorsi che ho a più riprese intercettato, pare che solo dopo il Tignanello il vino italiano abbia intrapreso la via della qualità necessaria per scalare le posizioni a livello internazionale... ....Io direi che il Tignanello è stato tra i vini più importanti negli anni settanta. Ma per fortuna era in buona compagnia. Esistevano

Tenuta Badia a Passignano

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Tenuta Peppoli

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Fichimori

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Prunotto

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Tenuta Le Mortelle

...Il discorso sulla bassa qualità era estendibile anche all’azienda Antinori?

prietari dei terreni a divenire imprenditori e ad assumere il personale necessario per le attività agricole. Ma una logica di impresa non può essere improvvisata da chiunque. In pochi anni molti terreni, vigneti ed altro vennero trascurati. Per quanto riguarda il vino la crisi dipendeva anche da un’altra criticità. Fino a quel momento i produttori facevano riferimento ad una domanda interna in grado di assorbire quasi tutto il vino del nostro Paese. Il consumatore medio percepiva il vino come un alimento. Il nostro mercato dunque metteva in circolazione grandi quantità di vino a basso prezzo e di scarsa qualità. Questo significa che i produttori non potevano reagire all’aumento dei costi di produzione dovuti alla riforma agraria scaricandoli sul prezzo del vino...

...Grazie alla lungimiranza di mio padre, avevamo previsto e reagito nei confronti del processo evolutivo che ho descritto. Ma seppur in gradi diversi, la crisi ci preoccupava e non ci lasciava presagire nulla buono per il futuro. Proprio in questi anni ereditai le responsabilità di condurre la nostra azienda. Quasi subito presi la decisione di dare una svolta qualitativa alle nostre produzioni. Ed è in questo contesto di cambiamento che nacque il vino del quale vado fiero, ovvero il Tignanello. All’analisi economico-sociale che ho brevemente affrescato sopra, aggiunsi alcune considerazioni di carattere antropologico che ai miei occhi rivestivano una grande impor-

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di supporto all’agricoltura delle nostre Università. Viaggiando per il mondo e visitando aziende moderne e competitive mi rendevo conto dei nostri ritardi. In pratica eravamo carenti di conoscenze specialistiche. Quando presi il controllo delle operazioni, ebbi la fortuna di avere in azienda il miglior enologo in circolazione. Giacomo Tachis, stimava mio padre Niccolò, che lo aveva scelto per la sua intelligenza e passione. Nacque tra noi un rapporto di amicizia e stima che mi stimolò a capire quanto le pratiche del passato potessero beneficiare della sinergia con le conoscenze che arrivavano dalla scienza applicata alla viticoltura e alla vinificazione. Eravamo d’accordo sul bisogno di inventare un nuovo vino che valorizzasse i nostri magnifici vigneti. E quindi ci mettemmo subito al lavoro per realizzare un progetto che nessuno aveva mai tentato. Grazie al supporto di Peynaud, senza dubbio in quegli anni una delle massime eminenze mondiali nello studio delle uve, elaborammo una nuova filosofia produttiva basata su ciò che non dovevamo più fare: per fare un

tanza. Oltre alla crisi, il nostro Paese era attraversato da una radicale trasformazione sociale. La cosiddetta classe media stava diventando sempre più importante. Mi era chiaro che entro poco i modi del consumo del vino sarebbero cambiati. Da alimento si sarebbe trasformato in un prodotto life style. Sulla scorta di questi ragionamenti decisi di investire pesantemente in nuovi vigneti, nella qualità dei nostri vini e di inventarne di nuovi... ... Mi perdoni l’irriverenza ma analisi economiche e antropologiche azzeccate sono una cosa; l’invenzione della qualità e addirittura la creazione di un nuovo vino sembrano un’altra cosa... ...Certamente è così. Infatti fui molto fortunato ad incontrare persone di eccezionale preparazione ed esperienza con i quali creammo i presupposti per una nuova visione della cultura del vino. Un’altra criticità che ben presto individuai era la mancanza di ricerca e Tenuta Le Mortelle

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Antica Napa Valley

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Stag’s Leap Wine Cellars

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Devo ammettere che furono anni non solo di grande impegno, ma anche di divertimento e di una certa spensieratezza. In pratica non mi curavo affatto di ciò che pensavano i colleghi produttori. La mia visione e le piccole filosofie pratiche che insieme ai miei competenti amici stavamo configurando, mi convincevano. La serietà scientifica delle persone che apprezzavo era fuori discussione. Devo dire che l’accoglienza entusiasta dei critici, Veronelli in prima fila, ci liberò presto da ogni discorso polemico. Firenze accolse benissimo il nuovo Chianti. I consumatori sembravano attendere un vino come il Tignanello. Avevamo dato il via ad un processo di trasformazione di un vino che da popolare era divenuto distintivo e percepito come un lusso accessibile. Durante gli anni ottanta, nel mondo si utilizzerà l’espressione Super Tuscan per denotare l’eccellenza dei vino prodotti seguendo la nostra filosofia...

vino rosso di alta qualità non si debbono più usare, come in passato, grosse percentuali di vino bianco; non si deve rinchiudere per 4/5 anni il vino in grosse botti di castagno; non si possono usare sempre le stesse botti... In pratica stavamo mettendo in discussione i modi di produzione tipici del Chianti classico. Ma eravamo certi che l’unico modo di uscire dalla crisi era dare vita ad un nuovo Chianti. La “base” doveva provenire rigorosamente dai migliori vigneti del Chianti, collaudati per l’alta qualità delle uve. Ma le “regole” dovevano cambiare. Da questa nuova filosofia sono nate nel 1970 le 20 mila bottiglie del primo Tignanello, un Chianti classico di uva Sangiovese con piccole dosi di uve bianche, barricato per un anno in piccole botti... ...Immagino che all’inizio i suoi colleghi produttori fossero un po’ scettici, forse polemici, nei confronti delle sue idee innovative...

...E’ a questo punto che l’azienda Antinori diviene un vero Brand? Voglio dire: una impresa che aggiunge al saper fare (ottimo vino) una visione marketing?...

...Tutte le vere innovazioni all’inizio sembrano provenire da idee poco realistiche. I miei colleghi tradizionalisti pensavano che noi “giovani” fossimo un po’ troppo stravaganti.

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quali operiamo, restauriamo e rendiamo fruibili edifici storici favorendo un turismo del vino rispettoso dell’ambiente, lavoriamo ogni giorno sulla qualità dei nostri prodotti. Se per marketing si intende l’imitazione di modelli astratti, posso dire che non ci ha mai interessato. Se si vuole dire invece che le dimensioni in crescita della nostra azienda e del nostro mercato hanno avuto bisogno di innesti di razionalità, allora, penso che nel corso del tempo abbiamo affinato il nostro modo di gestire l’espansione e i problemi ad essa connessi...

....preferisco pensare che Antinori sia da sempre ciò che oggi viene definito un brand ovvero un prodotto con una identità ben delineata, con una storia e con valori riconoscibili. Abbiamo cominciato ad esportare vini, specialmente in Inghilterra verso la metà del settecento; verso la fine dell’800 siamo stati tra i primi a portare i nostri prodotti a New York e negli Stati Uniti. In giro per il mondo abbiamo ottenuto riconoscimenti significativi. Per quanto riguarda il marketing devo fare una precisazione. Tra il senso comune questa parola significa non solo una organizzazione aziendale pensata per dominare i mercati; significa anche velocizzazione dei processi, manipolazione del pubblico... Ora, in viticoltura la velocità conta assai poco. Per mettere in produzione una nuova vigna occorrono circa 10 anni. Chi lavora un vino qualitativo deve pensarlo come un prodotto distintivo, raro a volte unico. Come ho già detto, ogni stagione ha la sua storia e lascia la sua impronta sul prodotto. Io non so dire se abbiamo fatto branding. Posso dire ciò che concretamente abbiamo realizzato: acquisizioni di vigneti di grande qualità in Toscana e nel mondo, abbiamo curato e dato bellezza ai territori sui

... Come vede l’attuale momento del vino italiano e il futuro del Made in Italy? ...Non possiamo nasconderci le difficoltà del settore. Anche noi, in misura diversa da altri forse, un po’ risentiamo delle difficoltà della domanda interna del nostro Paese. Tuttavia la ricchezza nel mondo aumenta, e con essa aumentano i soggetti che reclamano qualità e autenticità. Non dobbiamo dimenticare che nel vino siamo la prima o seconda potenza del mondo. Spesso sono per lavoro in altri Paesi e posso dire che c’è una enorme attenzione per il vero Made in Italy. Se saremo bravi penso

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Chianti Classico

conoscenza approfondita delle specificità del nostro settore. I Paesi che producono vino dovrebbero vigilare e pretendere decisioni sensate per un prodotto che integra benissimo la dieta mediterranea e appartiene da tempo immemorabile alla nostra cultura europea.

che abbiamo buone carte da giocare. Bisogna però evitare eccessi di individualismo. Come diciamo da tempo, le nostre imprese devono imparare a fare gioco di squadra. E soprattutto devono migliorare le sinergie con i responsabili delle “regole del gioco”. Grazie alla mia esperienza internazionale posso senz’altro dire che fare impresa in Italia è molto più difficile rispetto altri Paesi concorrenti. Possiamo certamente migliorare questa situazione. L’incertezza della nostra legislazione e diritto pesa moltissimo. Vedo con preoccupazione anche la tendenza all’eccesso di dirigismo della burocrazia europea. Ho la sensazione che spesso vengano prese decisioni senza una

Lamberto Cantoni Direttore Responsabile

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Karpòs promo ACQUA MINERALE SAN BENEDETTO E MASTERCHEF ITALIA: L’AVVENTURA CONTINUA La grande Acqua Minerale italiana è partner del Cooking Show più amato della TV . Dopo il successo delle scorse edizioni, Acqua Minerale San Benedetto si riconferma Partner Ufficiale di MasterChef Italia, il talent culinario più famoso al mondo giunto alla sua quarta edizione e che andrà in onda in prima serata su SkyUno HD a partire dal prossimo 18 Dicembre alle ore 21.10. L’unicità dell’acqua oligominerale, pura, equilibrata e 100% italiana accompagnerà i 3 giudici, Carlo Cracco, Bruno Barbieri, Joe Bastianich e gli aspiranti MasterChef in questa nuova avventura con Prestige, la linea di Acqua Minerale San Benedetto in vetro dedicata alla ristorazione. Nuove forme essenziali e raffinate, studiate secondo precisi canoni di qualità, esclusività e ricercatezza estetica che esaltano, grazie alla trasparenza del vetro, la purezza dell’acqua minerale.

“Siamo orgogliosi di poter essere sponsor di un programma televisivo che si fregia della guida delle tre icone della gastronomia stellata, – ha dichiarato Vincenzo Tundo, Direttore Marketing Acqua Minerale San Benedetto – La partnership con MasterChef Italia – aggiunge Tundo - conferma ancora una volta la centralità che il segmento dell’alta ristorazione ha all’interno dell’offerta San Benedetto: un canale storico verso il quale riponiamo una particolare attenzione, che rendiamo esplicita proprio attraverso questa prestigiosa collaborazione con il cooking show più amato della televisione italiana. La linea Prestige di Acqua Minerale San Benedetto è disponibile nei formati da 25cl, 50cl, 75cl e 1L.

www.sanbenedetto.it

Il segreto del successo della linea Prestige si percepisce già nell’etichetta caratterizzata dall’ormai celebre “finestra con vista” che si presenta stilizzata, quindi più “pulita”e moderna; il colore argentato rievoca lo skyline di montagne alpine, interrotte da un deciso taglio trasversale che lascia intravedere, attraverso il vetro, la fonte San Benedetto, affondata in un panorama montano innevato. L’aggiunta della bandiera tricolore, con il suo potere evocativo, testimonia la qualità e il piacere di un prodotto tipicamente italiano, rendendo San Benedetto ambasciatore in tutto il mondo di eleganza e di valore della tradizione. L’uso del colore nella retro etichetta differenzia i tre gusti della gamma Prestige nei suoi 4 formati: la Naturale è caratterizzata dal rosa; la Frizzante, con la sua vivacità, dedicata a chi ama le sensazioni più decise, è contraddistinta dal colore blu; la Leggermente Frizzante, più delicata, per chi cerca un piacere più gentile, viene valorizzata dal verde.

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NONNO NANNI E DORIA INSIEME NEI PUNTI VENDITA DI TUTTA ITALIA Dal prossimo fine settimana prendono il via le attività di comarketing per far conoscere ai consumatori il nuovo formaggio Fresco Spalmabile e i crackers Doriano. Presto i consumatori potranno assaporare insieme la bontà del nuovo formaggio Fresco Spalmabile Nonno Nanni e la fragranza dei crackers Doriano. Dal secondo fine settimana di novembre, infatti, prenderanno il via nuove attività di comarketing tra Nonno Nanni, il marchio di formaggi freschi prodotti da Latteria Montello, e il brand Doria (Gruppo Bauli). Durante le attività di in store promotions organizzate da Latteria Montello per far conoscere il nuovo Fresco Spalmabile Nonno Nanni, le hostess utilizzeranno per le degustazioni i crackers Doriano, su cui spalmeranno il formaggio al posto della consueta fetta di pane. Ai consumatori sarà regalata anche una confezione omaggio di crackers. Le attività di comarketing si svolgeranno su tutto il territorio nazionale, in punti vendita appositamente selezionati. Ne sono previste un centinaio fino alla fine di dicembre, ma la collaborazione potrà essere ulteriormente prolungata. Il progetto è stato ideato e coordinato da In Action Srl, agenzia specializzata nelle iniziative di co-marketing con sede a Colognola ai Colli (Verona). Per garantire la visibilità dell’iniziativa sarà impiegato dello specifico materiale promozionale. “Il sapore e la qualità dei prodotti realizzati secondo la tradizione artigianale di una volta accomunano

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Nonno Nanni e i crackers Doriano”, commenta Silvia Lazzarin, responsabile marketing e comunicazione di Latteria Montello, “Quest’iniziativa sarà un’ottima occasione per consigliare ai consumatori due prodotti gustosi e genuini. Il buon sapore di pane dei crackers Doriano esalterà la qualità dei formaggi Nonno Nanni, mentre con le sue attività di in store promotions Nonno Nanni contribuirà a far conoscere ai consumatori i crackers Doriano”. “Anche a noi è sembrato da subito che il connubio tra i prodotti Nonno Nanni e Doriano partisse da ottime prospettive”, conferma Daniela Avesani, responsabile marketing Doria, “I formaggi Latteria Montello portano in sé un altissimo contenuto di qualità e naturalità, mentre Doriano ha un patrimonio valoriale che spazia dalla semplicità all’unicità gustativa, insieme ad una grande versatilità di consumo. In sostanza, in questa operazione in store Nonno Nanni e Doriano si faranno entrambi portavoce della bontà alimentare italiana, congiunta a quella tradizionale artigianalità che risponde alle esigenze di un bacino sempre più ampio di consumatori.”

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alle mamme, che possono infilare nella borsa termica piattino, cucchiaino e 2 omogeneizzati e dare la pappa fuori casa. Inoltre, dal 1 Dicembre e sino alla fine dell’anno, a fronte di 15 euro di spesa di prodotti Plasmon negli store specialist – tra cui le catene Io Bimbo, Bimbo Store, Toys Center e Prénatal – si potrà creare comodamente da casa il Fotolibro Attimi di 24 pagine con i propri scatti preferiti, ritirabile dopo pochi giorni nel punto vendita selezionato.

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Lo Iodio, in quantità molto modeste, è indispensabile al buon funzionamento della tiroide. I nostri alimenti base, ad eccezione del pesce, ne contengono quantità esigue; è pertanto necessario assumerlo per ridurre i rischi di carenza. Oggi è disponibile sale arricchito di iodio ma, in questo caso, si deve tener conto della presenza di Sodio, problematico per chi soffre di ipertensione. Giovanni Lercker


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GIOVANNI LERcKER


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Il titolo si rifà ad un efficace slogan che contribuisce alla diffusione della consapevolezza che dobbiamo acquisire per ridurre il più possibile i danni da carenza di questo importante elemento nella nostra dieta. Lo Iodio, infatti, in quantità molto modeste è indispensabile al buon funzionamento della tiroide e, di conseguenza, principalmente al fine di evitare la formazione del “gozzo” o addirittura del cosiddetto “cretinismo” dell’individuo. L’Italia, prevalentemente circondata dal mare, in qualità di lunga penisola, non dovrebbe presentare questo genere di problema in quanto gli alimenti locali sono già sufficientemente dotati di Iodio (Tabella 1), ma nelle zone interne al Paese e in presenza di abitudini alimentari poco variate e innovate, la carenza di Iodio e lo sviluppo del gozzo sono ancora esistenti. Il Ministero della Salute, attualmente così denominato, consapevole dell’importanza di questo problema con la legge 55 del 21 marzo 2005 ha indotto alla commercializzazione di sale Iodato da parte di aziende private. Tuttavia, questa soluzione non è utilizzata da tutti i consumatori, per cui sarebbe necessario riproporre una campagna di sensibilizzazione a riguardo (www.iss.it/osnami), ad esempio con il meccanismo dello spot “Pubblicità Progresso” sufficientemente penetrante.

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Contenuto di Iodio* in μg/100 g (o ppb) (da S. Giammarioli et al., 2008)** Alimento

FAO (WHO) (www.whqlipdoc.int)

UK Wenlok 1982

Finlandia Varo 1982

USA Pennongton 1982

NORVEGIA Dahl 2003

SVIZZERA Haldimann 2005

Pesce di mare

83 (16-318)

75 (32-144)

46

116 (20-264)

63 (4-716)

49 (9-159)

Pesce acqua dolce

3 (2-4)

-

17

-

-

10 (0,3-41)

Crostacei

80 (31-130)

-

-

-

-

-

Uova

9

53

17

48 (9-87)

45 (39-52)

32 (25-43)

Latte

5 (4-6)

23 (5-55)

17

20 (12-28)

15 (2-37)

12 (6-20)

Carne

5 (3-10)

5 (2-9)

<5

18 (0-36)

2 (< 1-7)

2 (0,2 - 16)

Cereali

3 (2-7)

-

<1

-

3(<1-9)

-

Vegetali

3 (1-20)

-

-

<3

2(<1-5)

0,5 (0,1-2)

Frutta

2 (1-3)

-

<1

2 (<1-4)

0,3 (0-1)

*Fra parentesi gli estremi dei contenuti di Iodio **Stefania Giammarioli, Emanuela Medda, Paolo Stacchini e Antonella Olivieri, Ruolo dell’Istituto Superiore di Sanità nel programma di iodoprofilassi in Italia, Not Ist Sper Sanità, 2008, 21(7-8), 8-12.

ben noto è un veicolo per l’introduzione di Iodio che potrebbe non essere adatto a tutti i consumatori, in quanto portatore di elevate quantità di Sodio, elemento problematico per la patologia dell’ipertensione. Alcune aziende alimentari hanno posto in commercio alimenti arricchiti di Iodio e il loro numero aumenta di giorno in giorno. Non solo, esiste in commercio a disposizione delle Aziende alimentari interessate un sale che può essere Iodato in concentrazione controllata e variabile, in modo da poter ridurre la presenza di Sodio nell’alimento. La quantità di Iodio che può essere introdotta attraverso il sale iodato rientra in un intervallo abbastanza ampio: si va dal minimo introdotto per vantarne la presenza di poche decine di microgrammi a 150 μg, quantità generalmente consigliata di assunzione giornaliera. Tuttavia, esistono quantità più elevate consigliate per le gestanti (175

Sul sito del Ministero della Salute si trovano queste importanti indicazioni: “In tutti i soggetti normali, e quindi nella grande maggioranza degli individui, dosi di iodio anche largamente superiori a quelle assunte con l’uso di sale arricchito con iodio sono del tutto prive di rischi. La tiroide possiede infatti un meccanismo naturale di adattamento. In ogni caso, particolare cautela si deve avere nell’utilizzo di alcuni integratori alimentari contenenti quantità elevate di iodio (solitamente a base di alghe), perché potrebbero portare ad una assunzione eccessiva. Tutti possono far uso di sale arricchito di iodio perché, con un consumo moderato di sale, le quantità di iodio assunte sono sempre molto inferiori ai valori al disopra dei quali possono manifestarsi effetti negativi.” Tuttavia, il sale da cucina (Cloruro di Sodio) opportunamente Iodato come è oggi

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μg), o addirittura per le nutrici, che arrivano fino a 200 μg. Va infine ricordato che queste sono le dosi suggerite, ma il limite massimo tollerato è di gran lunga superiore, stimato in 600 μg/giorno dalla EFSA e addirittura in 1100 μg/giorno dall’Institute of Medicine of the National Academies (USA). Tale valore è pertanto estremamente ampio e questo significa che il pericolo di esagerare nelle quantità introdotte di Iodio è inesistente. La Tabella 1 raccoglie i dati di Iodio naturalmente contenuto in alcuni alimenti base dell’alimentazione umana. Ad eccezione dei pesci di mare, si può riscontrare che le quantità riportate sono esigue e, pertanto, si potrebbero ancora incrementare con l’aggiunta di sale Iodato prima del consumo. Gli esperti del settore della produzione di alimenti sono anche a conoscenza che l’addizione di Iodio in un alimento può avvenire con due differenti operazioni: la prima si rivolge all’inserimento attraverso la coltivazione dei vegetali o l’alimentazione degli animali, mentre la seconda –più sempliceutilizza il sale Iodato, sale da cucina contenente cioè un po’ di Iodato di Potassio. Coloro che operano negli ambienti scientifici sanno anche che lo Iodato di Potassio è un ossidante e, pertanto, potrebbe causare effetti di ossidazione nel suo impiego che non dovrebbero essere trascurati alla luce dell’importanza di questa modificazione in un alimento, anche se di modesta entità. Inoltre, il problema diviene molto più critico se l’alimento viene riscaldato o ancora peggio se cotto alle elevate temperature che si impiegano normalmente in cucina. In tutti i casi l’effetto ossidativo dello Iodato tende anche a produrre Iodio molecolare, che sublimando se ne andrà nell’aria e l’alimento non sarà più corredato della giusta quantità sulla quale avrebbe dovuto contare anche in impieghi a caldo. Recentemente, è nato un nuovo sale Iodato che riunisce la possibilità di dosare nel sale

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precedentemente una buona iodoprofilassi e magari anche distribuita alla popolazione la pastiglia di iodio che è stata immediatamente somministrata nel recente simile evento in Giappone (Fukushima), il numero di tumori alla tiroide degli ultimi anni in Italia sarebbe stato molto inferiore. Questo effetto molto importante dello Iodio si ottiene per il meccanismo di competizione fra Cesio radioattivo e Iodio non radioattivo, nell’assimilazione degli esseri viventi esposti: quando si assume molto Iodio si assimila molto meno Cesio che ha proprietà simili (“vicariante” dello iodio).

da cucina lo iodato di potassio, per scopo di impiego “tailor made” alle industrie alimentari, ad una interessante “protezione” dello Iodato di potassio stesso, in maniera da non permettere problemi di ossidazione nè perdite del nutraceutico durante la cottura e la conservazione dei cibi (e conseguente diminuzione della qualità nutrizionale e del contenuto di iodio introdotto e dichiarato). È necessario ancora sottolineare che produrre alimenti inserendo Iodio nelle forme oggi possibili non è sufficiente, ma la sua presenza e i possibili effetti sull’alimento sono da confermare in ciascun tipo di prodotto, prima di inserirlo, in relazione all’interazione possibile con altre molecole e con i riscaldamenti, la presenza di illuminazione sul prodotto in commercio e l’eventuale conservazione per tempi non brevi. Oggi è noto che se ai tempi del disastro nucleare di Chernobyl fosse stata effettuata

Giovanni Lercker Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Alma Mater StudiorumUniversità di Bologna.

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PER IL 20% DEGLI ITALIANI FONDAMENTALE FARE VACANZE IN UN TERRITORIO RICCO DI VINI DI QUALITÀ L’85% dei turisti italiani consuma vino del territorio in vacanza, il 37% lo acquista per sé e gli amici, il 10% acquista vino direttamente in azienda durante le vacanze. Grandi potenzialità per il Trentino, dunque, considerato dal 12% degli italiani il luogo ideale dove trascorrere le vacanze e fare escursioni. Tra i punti di forza, infatti, oltre alla natura incontaminata, l’enogastronomia, al primo posto per l’11% dei turisti. Il potenziale del vino italiano e la sua capacità di attrazione turistica sono completamente sfruttate dal nostro Paese? La risposta è no. Infatti solo il 9% dei turisti stranieri dichiara che la scelta del territorio italiano è collegata ad una prevalente motivazione enogastronomica. Percentuale che scende ulteriormente se si considerano solo i turisti italiani: solo il 4,7% di loro è infatti spinto da questa variabile (in crescita, tuttavia, rispetto al 2008, in cui si era fermi al 3,2%). Ne emerge che il vino italiano non catalizza ancora l’attrattività che è in grado di esprimere. A dirlo sono i numeri che Wine Monitor Nomisma ha raccolto, realizzando anche una survey dal titolo “Il mercato interno: consumi,

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tendenze, prospettive. L’attrattività del vino nella scelta delle mete turistiche e il ruolo degli acquisti diretti di vino durante le vacanze/escursioni”, con 1.300 interviste sulla popolazione italiana, commissionata dal Consorzio di Tutela Vini del Trentino (www.vinideltrentino.com). L’indagine, che focalizza l’attenzione sul posizionamento reputazionale del Trentino, stimola una riflessione sulle enormi potenzialità comunicative del territorio e delle sue eccellenze vitivinicole. Il 12% degli italiani lo giudica infatti il luogo ideale dove trascorrere vacanze e fare escursioni (al quinto posto, insieme al Veneto, dopo Toscana, Sicilia, Puglia e Sardegna e con una buona capacità di creare fedeltà oltre al trial) e tra i luoghi del Bel Paese


in cui i vigneti contribuiscono maggiormente a rendere unica la bellezza del paesaggio (al quarto posto, insieme alle Langhe, con l’11% di preferenze, a ridosso dei Terrazzamenti liguri, al 12%, del Franciacorta, al 13%, ma distaccato dal 29% delle colline senesi, al primo posto della classifica). Numeri confermati dall’alto tasso di Retention Rate (39 su 100), cioè il rapporto tra esperienza recente e trial-almeno una volta, che dimostra la capacità del brand Trentino di creare fedeltà dopo la prima esperienza di vacanza. Interessante rilevare come tra i punti di forza, a fianco della natura incontaminata, che vede primeggiare le Dolomiti con il 38% di preferenze, vi sia anche l’enogastronomia, considerata al primo posto per l’11% dei turisti (percentuale che raggiunge il 44% nell’insieme delle citazioni espresse sugli attributi percepiti). Infatti, all’interno della mappa valoriale, il Trentino è percepito innanzitutto come luogo amico della natura (prima risposta per il 32% della public opinion) ma anche come ricco giacimento di cibi e vini di grande qualità (28%), oltre che ospitale (25%) e salutare (24%). Che il Trentino sia un importante territorio vitivinicolo italiano è confermato dall’ampia awareness spontanea dei suoi vini: il 48% degli italiani dichiara di conoscere i vini Trentini. I più conosciuti sono i bianchi fermi: Pinot Grigio, Müller Thurgau e Chardonnay, soprattutto tra turisti ed escursionisti del Trentino, dove la notorietà raggiunge oltre il 70% del target. Tra le bollicine, primeggia il Trento DOC, la cui awareness raggiunge il 50% tra i “frequentatori” del Trentino.

Oltre a rappresentare occasioni per incrementare la notorietà delle principali denominazioni, le vacanze e gite in Trentino sono anche il momento perfetto per sperimentare e approcciarsi alle eccellenze del territorio: il 77% di turisti ed escursionisti ha bevuto in almeno una occasione vini trentini durante il soggiorno e ben il 24% dei turisti acquista vino del territorio in negozi/ enoteche ogni volta che trascorre una vacanza in Trentino. Anche gli acquisti diretti in azienda rappresentano un canale utilizzato da escursionisti e turisti: sono soprattutto questi ultimi che acquistano più spesso vino in cantina (11% del totale dei turisti acquista spesso quando è in vacanza, un ulteriore 9% ha avuto occasioni sporadiche). “Sono dati che ci aiutano a capire quali sono le potenziali strade da intraprendere per la promozione delle nostre eccellenze - ha dichiarato Fabio Piccoli, Responsabile della promozione del Consorzio Vini del Trentino -. Interessante notare, per esempio, che oltre il 40% degli escursionisti e turisti del Trentino potrebbe essere interessato a trascorrere un breve periodo di vacanze accolto da un’azienda vitivinicola trentina. Questo ci fa capire che forse i tempi sono maturi per sviluppare un modello ricettivo nuovo che non fa solo leva sull’originalità ma che stimola la componente enoica ancora latente nel turismo italiano e strizza l’occhio al turismo internazionale, maggiormente attento a questi aspetti.”

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Stefano Raimondi

STEFANO RAIMONDI

DA PLINIO IL VECCHIO AL WINEBLOG

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Vista aerea delle Langhe, in Piemonte

Plinio il Vecchio, Apicio e Petronio in epoche diverse hanno decantato le eccellenze della produzione vitivinicola italiana esaltando le qualità dei vini di alcune zone già famose all’epoca, una lungimiranza che l’Unesco di recente ha riconosciuto come Patrimonio dell’Umanità il valore paesaggistico e culturale della coltivazione della vite del comprensorio Langhe-Monferrato per la bellezza e armonia del paesaggio disegnato dalla vite sulle

colline piemontesi, frutto dell’interazione l’uomo e la vite. L’Italia con i settantacinque siti riconosciuti Patrimonio dell’Umanità è tra i paesi più ricchi sotto l’aspetto della tutela dei valori naturalistici e paesaggistici. La lista delle aree agricole che hanno avanzato il proprio riconoscimento alle commissioni UNESCO si allunga ogni giorno di più dimostrando come


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il valore dell’attività agricola sia percepito come un importante valore aggiunto dalle comunità locali per i positivi effetti in termini di sviluppo sostenibile, e al tempo stesso identità delle proprie radici. Negli ultimi anni gli effetti della globalizzazione sono stati molteplici sia nella diffusione delle tendenze del consumo, sia nella condivisione di tecniche di produzione, favorendo l’espansione

della coltivazione della vite nei nuovi paesi produttori, primo fra tutti la Cina. Secondo i dati pubblicati dall’OIV nell’arco degli anni 2000-2013: Francia, Spagna e Italia registrano una flessione delle superfici vitate comprese tra il -13% e -17%, mentre la Cina mostra un incremento del +127%, India +177%. Una geografia della produzione soggetta ad un rapido cambiamento ancora oggi non definitivo.


Il sovrapporsi di fenomeni globali con le realtà e le abitudini locali del consumo determinano una lettura dei mercati sempre più complessa impegnando le imprese ad un monitoraggio continuo delle tendenze dedicando sempre più attenzione e risorse nell’analisi dei mercati. La crescita complessiva dei consumi mondiali è frutto di una strana alchimia tra l’espansione registrata

nelle nuove aree o mercati emergenti; e la flessione in atto nei mercati produttori tradizionali. In questa semplicistica sintesi s’inseriscono le molteplici variabili: d’origine sociale (il consumo delle nuove generazioni), culturale (i modelli alimentari locali), economiche (costi, concorrenza, barriere doganali); senza contare la comunicazione di tutte le fasi produttive includendo gli aspetti ambientali e

Viticoltura nelle Langhe

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Paesaggio agricolo intorno a Monteriggioni (Siena)

salutistici, come dire “dalla vigna al consumer”. Il cambio di passo per il vino italiano nei confronti del consumatore internazionale si registra intono alla metà degli anni ’90 quando il binomio di successo “Nuovo Mondo - vitigno internazionale” registra una decelerazione dell’appeal nel consumatore globale.

Il vino del Nuovo Mondo pur conservando alcuni grandi meriti e significative innovazioni, offre al consumatore un prodotto di qualità con caratteristiche omogenee garantendo da un lato una certezza e un facile approccio; dall’altro una ripetitività non sempre coinvolgente e forse disattendendo la curiosità crescente del consumatore.

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Viticoltura nel Chianti

Il modello Nuovo Mondo, in auge fino ai primi anni del Nuovo Millennio, dopo aver avuto il pregio di avvicinare nuovi segmenti di consumatori, in particolare attirando l’attenzione del mondo femminile al vino, ha registrato un calo d’interesse proprio per le intrinseche caratteristiche seriali,

basate su un ristretto numero di varietà e una tecnica collaudata, forse scontata, limitando le emozioni al consumatore in un ambito troppo circoscritto. In questo cambiamento della domanda internazionale s’inserisce la proposta rivisitata del vino italiano incardinata per l’appunto sul concetto inscindibile

Export del vino italiano valore 1996 settembre 2014

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Castello di Brolio in Chianti, proprietà dei Ricasoli dal 1141

Territorio, Vitigno Autoctono. Un modello costruito a immagine e somiglianza dell’Italia e in grado di offrire al consumatore un numero infinito di scelte. Un’offerta flessibile per natura e coerente alle esigenze di una società postfordista dove l’identità del consumatore si frammenta dando luogo alla “personalizzazione” del fatto su misura, il famoso taylor-made, per ogni singolo consumatore o gruppi di consumatori. Una relazione prodotto-consumatore

basata su un rapporto stretto, confidenziale, intimo quasi one to one . Così quasi per magia gli elementi critici del vino italiano: la grande diversità, il continuo mutare di vitigni, stili e tecniche produttive cangianti lungo la penisola, la difficoltà nella comunicazione per l’uso di termini dialettali e di vitigni sconosciuti, divengono la carta vincente per conquistare il consumatore globale, i mercati internazionali.

Azienda Fontafredda, in Piemonte

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STEFANO RAIMONDI

Il grande orgoglio dei produttori alle prime positive risposte dei mercati, l’accelerazione impressa da internet nel passaparola e la possibilità di creare relazioni personalizzate, hanno completato il resto, favorendo progressivamente la presenza sul palcoscenico globale di decine di territori sconosciuti e trascinando migliaia di produttori e prodotti sulla scena mondiale. Grazie ai nascenti social media il successo è virale, l’interesse verso la scoperta di nuovi

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vitigni, vini e aree fa nascere centinaia di siti, blog, forum, nuove forme di socializzazione di condivisione di socialità intorno a vini, aziende, produttori, che senza particolari sforzi d’investimento mediatici, si trovano al centro della scena globale, diventando i testimonial dei territori. Come sempre le belle storie si confrontano con la realtà nel verificare giorno per giorno la sostenibilità economica e ambientale. In questa specifica


La brillante performance del vino italiano sui mercati internazionali è sotto gli occhi di tutti: prodotto ubiquitario presente in oltre 160 mercati; nell’arco 1996-2013 il valore dell’export è quasi triplicato balzando da 1,7 a 5 miliardi di euro, l’occupazione diretta e indiretta ha registrato una crescita costante; sulla scia del successo nasce l’enoturismo, una delle forme di turismo più in auge e parte integrante dell’economia di molti territori.

STEFANO RAIMONDI

dimensione il modello Italia offre al mondo intero un esempio di sviluppo che segue la tradizione italiana, la storia dei distretti industriali, dove i rapporto territorio realtà sociale è l’elemento fondante di molte eccellenze italiane. Oggi il settore enologico appare tra i più floridi nell’ambito del mondo agricolo e, ad uno sguardo più ampio, dell’intero sistema produttivo del Made in Italy.

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Con la modestia e tenacia il mondo del vino è riuscito a costruire un tessuto produttivo proteso verso i mercati internazionali, con un volume esportato che negli ultimi anni ha ampiamente superato i 20 milioni di ettolitri dei 44 prodotti nella media degli anni

2010/2013, costruendo mese dopo mese relazioni e rapporti commerciali con mercati vicini e lontani, instaurando ogni volta un dialogo con le altre culture alimentari, mostrando quel pizzico d’italianità nell’arte del commercio apprezzata fin dai tempi di Marco Polo.

STEFANO RAIMONDI

Export del vino italiano valore per tipologia gennaio-settembre 2010-2014

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Export vino mondo valore rossi dop per tipologie gennaio-settembre 2010-2014


Più vicino ai nostri giorni il trend dell’export nell’arco degli anni 2010/2014 gennaio settembre registra alcuni fenomeni di notevole interesse. Il primo più evidente è la crescita dei valori nelle tipologie portanti l’export. Il vino in bottiglia registra

una costante crescita da 2.193 a 2.711 milioni €, a fronte di una leggera discesa delle consegne da 9,1 a 9,0 milioni di ettolitri, grazie alla crescita del prezzo medio un parametro che indirettamente esprime la qualità dell’offerta con una crescita da € 2,42 a € 3,10/l.

STEFANO RAIMONDI

Export vino italiano (in volume) per tipologia gennaio-settembre 2010-2014

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Export valore vini rossi dop per origine gennaio-settembre 2014


Questo grande successo passa attraverso l’espansione dei vini Dop e in particolare i rossi Dop che detengono un peso del 26,7% in valore dell’intero export e trovano collocazione per circa il 60% sui mercati dei Paesi Terzi. Negli USA la quota detenuta dal segmento arriva a raggiungere oltre il 30% del valore export. Se nei rossi a dominare sono i vini della Toscana nei bianchi Dop lo scenario è diverso e il gruppo Altre Regioni (Sicilia, Puglia, Campania, Sardegna) prende

il sopravvento con una quota pari al 45% e un valore di 157 milioni € a settembre 2014. Sommate le due tipologie Dop raggiungono il 40% del valore esportato dal settore. I mercati di riferimento per i bianchi Dop sono gli USA con una valore di circa 100 milioni € e la Germania circa 96 milioni €. Il primo mercato mostra un trend in leggera contrazione; nel secondo si assiste all’espansione della domanda.

Export vino mondo valore bianchi dop gennaio-settembre 2010-2014

Export valore vino dop bianco gennaio-settembre 2014 DOP Lazio Mil € 9.4 3%

DOP Toscana Mil € 14.1 4%

DOP Altre Regioni Mil € 156.9 45%

DOP Trentino A.A. e Friuli V.G. Mil € 97.6 28%

DOP Veneto Mil € 70.7 20%

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dall’ampliamento dell’area di produzione. La qualità associata alla crescente produzione ha posto le basi per un repentino recupero nello scenario internazionale, creando uno nuova categoria commerciale. Dopo un periodo di rodaggio a partire dal nuovo millennio, il Prosecco è divenuto il prodotto vincente sulla scena internazionale con tassi d crescita annuali a doppia cifra. Nel periodo 2010/2013 gennaio dicembre, il valore dell’export del prosecco è lievitato da 170 a 395 milioni €, mentre i volumi delle consegne sono raddoppiati da 498 a 1.040 mila ettolitri. I dati dei primi nove mesi dell’anno corrente registrano un ulteriore incremento del valore del +28,7% e del +37,1% in volume, con crescita ancora più significativa nell’area dell’Unione Europea.

LA RISCOSSA DELLO SPUMANTE ITALIANO Tra i fenomeni positivi dell’export non può sfuggire il deciso recupero della domanda dello spumante italiano. Per un lungo periodo ultradecennale l’Asti è stato lo spumante italiano ma verso la metà degli anni ’90 la domanda internazionale si è andata progressivamente orientando verso il gusto secco, ridimensionando il monopolio dell’Asti all’interno dell’offerta spumantistica italiana. Negli stessi anni quasi a compensazione prendeva corpo nell’area trevigiana la produzione di Prosecco, un prodotto nuovo sulla scena internazionale, fruttato, di facile consumo ed un prezzo al consumatore contenuto. In pochi anni si assiste al dirompente successo del Prosecco completato dalla successiva riformulazione del quadro normativo e

71 STEFANO RAIMONDI


Il Prosecco continua a fare proseliti tra nuovi e maturi consumatori; e sono pochi mercati dove non si registrano tassi di crescita a due cifre; e rari quelli dove si registra una flessione delle consegne. Il Regno Unito è il mercato leader con valori nel periodo gennaio-settembre 2013/2014 che balzano da 64 a 97 milioni €, superando di slancio il valore diretto negli USA fermo 84 milioni €. Tra gli elementi positivi il Prosecco riesce a raccogliere consenso nei mercati nuovi come Norvegia e Svezia;

e più tradizionali a partire dal Belgio, notoriamente filo francese. Il successo è talmente rapido che in pochi anni questi nuovi mercati entrano nella lista dei principali mercati di destinazione. Il prosecco Dop arricchisce l’offerta italiana nel solco del binomio territorio/vitigno autoctono creando un unicum con una forte identità in grado di costituire una nuova categoria commerciale e conseguentemente non in diretta concorrenza con altri spumanti. La specificità della combinazione

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Export vino italiano valore per aree gennaio-settembre 2014

UNIONE EUROPEA 52%

NORD AMERICA 28%

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Export vino italiano valore peso per tipologia gennaio-settembre 2014


territorio vitigno consente un margine di difesa più ampio dalle imitazioni, fenomeno sempre più comune e pericoloso per i prodotti di successo e spesso sottovalutato. Accanto al poderoso successo del Prosecco il riconoscimento internazionale premia con grande generosità i prodotti della Franciacorta e del Trentino Alto Adige che vanno ad occupare il top di gamma della spumantistica italiana, estendendo ulteriormente la scelta del consumatore sempre più curioso ed esigente. L’effetto congiunto e sovrapposto con i bacini culturali nelle rispettive aree di produzione Venezia, la Franciacorta o le montagne del Trentino Alto Adige rendono ancora

più forte l’immagine di un ‘Italia dove l’Eccellenza dal vino all’ospitalità turistica è di casa, creando nell’immaginario del consumatore una percezione di qualità irripetibile, un vantaggio competitivo di filiera impossibile da imitare, e basato sul sull’unicità delle eccellenze presenti nel territorio, di cui il vino è il medium. Tra gli effetti diretti di questa strategia va menzionato il chiaro posizionamento dell’offerta italiana nella mappa mentale del consumatore, insieme al cambiamento del paradigma della competitività non più basata nell’esasperata riduzione dei prezzi ma orientata verso l’unicità e qualità del prodotto a prezzi accessibili.

Vista aerea di Alba, in Piemonte

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Sud, dove si produce circa il 35% della produzione nazionale. Da qualche anno si registrano segnali incoraggianti in queste regioni grazie all’abilità di un nutrito gruppo di imprenditori molto attivi sul versante dell’export. È decisiva in questa fase una spinta propulsiva in grado di ampliare l’offerta italiana combinando la qualità dei vini ai territori ricchi di cultura e bellezza. I flussi export del 2013

LE POTENZIALITÀ La strada maestra è stata tracciata dalle esperienze accumulate in questi ultimi anni ricchi di risultati positivi. La sfida per il vino italiano e per l’Italia intera sarà quella di estendere il percorso intrapreso alle aree ancora meno note ma con grandi vini ricchi di potenzialità, spesso situate nelle regioni del

Export mondo spumanti valore per tipologia settembre 2010-2014

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suddivisi per aree della penisola mostrano un profondo gap tra le aree; Nord 75%, Centro 19,6% e Sud 5,4%, creando le condizioni di una crescente fragilità per l’intero vino italiano. La gestione delle esigenze di un mercato globale; e il delicato equilibrio delle realtà territoriali è la grande sfida di domani per garantire lo sviluppo sostenibile alla viticoltura italiana, un impegno

improcrastinabile vista l’imminenza di Expo 2015. La stima dell’export 2014 alla luce degli ultimi dati è compresa nell’intervallo di 5,10-5,15 miliardi € e volumi nell’intorno dei 20 milioni di ettolitri. Il 2014 si annuncia come un anno di consolidamento delle quote acquisite nei mercati internazionali e testimone di un ampliamento del numero dei mercati destinatari dei flussi commerciali.

San Michele all’Adige, in Trentino

In questa prospettiva appare evidente la necessità una riflessione strategica su quanto realizzato finora in Estremo Oriente, dove l’export registra dei risultati modesti e sottotono rispetto alle potenzialità, per individuare nuovi strumenti di comunicazione e rilancio dell’offerta italiana. Non secondaria e sinergica è una maggiore attenzione all’area del Sud America e ad alcune aree specifiche

quale gli Emirati Arabi dove il vino registra, seppur con valori modesti, crescite a due cifre e la qualità è il requisito essenziale. Secondo l’autorevole istituti di ricerca nel 2015 si registrerà un’asimmetrica crescita economica caratterizzata da una prevalente concentrazione nell’area anglofona: Stati Uniti, Canada e Regno Unito dove è prevista la crescita del Pil che avrà l’effetto di stimolo sui consumi.

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Guado al Melo

Per la crescita delle importazioni nei Paesi Bric si dovrà attendere vista le difficoltà crescenti in Russia e rallentamento registrato in Cina. Nell’Unione Europea si ha il timore di un ulteriore stagnazione dei consumi che influenzerà una diretta pressione sui prezzi all’origine; una maggiore dinamicità è prevista nei paesi scandinavi e Polonia.

Stefano Raimondi

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Karpòs promo I foodies di tutto il mondo incoronano il Parmigiano Reggiano come simbolo del food made-in-Italy, sul podio anche pasta e Prosciutto di Parma. Fuori dalla top ten il Cappuccino e la Passata di Pomodoro Questo il risultato di un contest promosso da I Love Italian Food tra oltre 700 mila appassionati di cibo italiano, provenienti da tutto il mondo. Ora i 12 prodotti più votati saranno protagonisti di una campagna di comunicazione che vedrà la partecipazione di grandi chef come Heinz Beck, Cristina Bowerman, Moreno Cedroni e Antonella Ricci. L’Oscar del gusto made-in-Italy 2014 va al Parmigiano Reggiano. A incoronare il Re dei Formaggi è stata la community internazionale dei 700mila foodies di I Love Italian Food, chiamati a scegliere le icone della cucina tricolore, tra una lista di prodotti tipici e di ricette emblematiche del nostro Paese. La consultazione - via Web - si è tenuta nel mese di novembre: il Parmigiano Reggiano ha raccolto il 20% delle preferenze complessive. Completano il podio, nell’ordine, la pasta e il Prosciutto di Parma. Seguono, comunque in ottima posizione, l’olio extravergine di oliva e la pizza. Scorrendo la classifica, disponibile al link http://www.iloveitalianfood.org/?p=2384, non mancano le sorprese. Per fare un esempio, due simboli di italianità come il cappuccino e la passata di pomodoro risultano fuori dalla top 10 dei più votati. A promuovere la consultazione è stata I Love Italian Food: una realtà non- profit nata nel 2013 con la mission di difendere e diffondere la cultura del cibo italiano di qualità. Un obiettivo ambizioso, che ha il sostegno di un network internazionale di oltre 700 mila foodies e di oltre 5.000 professionisti del settore, tra food blogger, chef, ristoratori, buyer e scuole di cucina. I Love Italian Food si appresta ora a celebrare degnamente le icone della cucina tricolore scelte dai foodies di tutto il mondo. I 12 tra prodotti e ricette più votati diventeranno infatti i protagonisti del progetto: “2015: a 100per100 Italian Year”. A valorizzarli saranno altrettanti maestri della cucina italiana, tra cui Heinz Beck, Cristina Bowerman, Moreno Cedroni e Antonella Ricci. A ogni chef I Love Italian Food chiederà di interpretare, in forma

di ricetta, un prodotto simbolo: ne nascerà così il visual di una campagna di comunicazione no profit, per la valorizzazione delle eccellenze enogastronomiche italiane nel mondo. «Questo contest ci ha permesso di capire quali sono i veri ambasciatori del gusto made-in-Italy all’estero. E anche quali sono i tesori della nostra cucina che è necessario promuovere, perché ancora faticano a entrare nel cuore dei foodies stranieri - commenta Alessandro Schiatti, fondatore di I Love Italian Food -. Siamo convinti che il food rappresenti il vero petrolio d’Italia, un motore importante per la nostra economia. Questo ci motiva ogni giorno a diffondere e difendere la cultura e i valori del sistema agroalimentare italiano». La campagna “2015: a 100per100 Italian Year” accompagnerà inoltre la nascita del progetto di I Love Italian Food, “100per100 Italian”, che intende raccontare agli stranieri i nostri prodotti, le ricette della tradizione e le aziende che oggi si impegnano a produrre cibo di filiera 100% italiana. Il progetto verrà lanciato ufficialmente a gennaio 2015.

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Karpòs promo TERENZI: TRE FRATELLI UNDER 40 PER IL RILANCIO DEL MORELLINO DI SCANSANO IN CINA E NEL MONDO Con una produzione di nicchia votata alla qualità l’azienda Toscana ha aumentato del 146% l’export a valore nel mercato cinese. Riportare il Morellino di Scansano ai vertici dell’enologia nazionale e internazionale, valorizzare nel mondo una produzione che rimane volutamente di nicchia per essere garanzia di qualità. E’ questa la missione che si sono dati Federico, Balbino e Francesca Romana Terenzi, i tre fratelli under 40 alla guida dell’omonima cantina toscana, avviata dal padre Florio. Un impegno che si propone di accendere i riflettori su un territorio, quello della Maremma grossetana, che deve ancora esprimere molte delle proprie potenzialità. A dieci anni dalla prima vendemmia i risultati ci sono già: nel 2014 l’export è cresciuto in valore del 46% e in un mercato non certo facile come quello cinese Terenzi ha segnato in quest’anno un +146% a valore, aprendosi le porte di strutture di lusso e hotel 5 stelle. <<L’obiettivo è quello di raggiungere, nel 2016, i 150.000 mila euro di fatturato in Cina – spiega Federico Terenzi, classe 1978, alla guida dell’azienda con i fratelli - . Crediamo molto nel mercato cinese, dove siamo presenti solo ed esclusivamente nel mercato tradizionale con grande attenzione al posizionamento in hotel e ristoranti di lusso, grazie alla partnership con l’importatore Montrose Fine Wines. Guardiamo a questo Paese con interesse, investendo ogni anno di più per puntare a una crescita sempre maggiore>>. La Danimarca, Paese in cui l’azienda di Scansano ha fatto ingresso solo nel marzo scorso, è diventata un mercato importante sia in termini qualitativi che quantitativi. Altri mercati chiave per l’azienda sono Germania, Svizzera, Giappone, Usa, Canada, Olanda, Norvegia, Brasile, Belgio e Russia. Nei 52 ettari di vigneti della tenuta, immersi in un paesaggio da scoprire, i tre giovani fratelli producono circa 300 mila bottiglie l’anno, nel pieno rispetto dell’ambiente.

Per Terenzi l’attenzione all’ecosostenibilità si traduce nell’autonomia energetica fotovoltaica e in un’agricoltura integrata che valorizza il terroir. Il processo produttivo, dalla conduzione delle vigne alla vendemmia, dalla vinificazione all’imbottigliamento, viene svolto dall’azienda in autonomia con un’attenzione alla qualità che è un imperativo oltre che una filosofia. I vigneti presentano esposizioni e terreni diversi e molti di essi vengono chiamati per nome: Cerreto Piano, Crognoleta, Madre Chiesa, Montedonico e Salaioli. Madre Chiesa è il gran cru Terenzi. Situato in comune di Scansano, presenta un suolo ricco di Galestri, Palombini, torbiditi carcarenitiche con lembi di argille mioceniche e plioceniche. Caratterizzato da argille limose, con buona presenza di scheletro, permette di drenare molto bene l’acqua e lasciare le vigne in condizioni idriche ottimali. Si tratta di terreni molto adatti al Sangiovese, perchè danno colore e calore al vino garantendo maturazioni polifenoliche complete e complesse, che consentono di vendemmiare verso la prima decade di ottobre. E’ qui che si raccolgono a mano le uve che danno vita al Madrechiesa Morellino di Scansano Riserva Docg, uno dei vini top dell’azienda.

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GROENLANDIA, TREKKING NELLA CALOTTA POLARE Il ghiaccio che si crepa e cade in acqua. È il fragore del tuono, minaccioso e improvviso. Nasce nel nulla e scompare nel nulla. E poi il silenzio assoluto, trafitto da un vento freddo e pungente. Con lo sguardo si cerca il limite, e l’oltre... Maurizio Levi e Laura Colognesi


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Il ghiaccio che si crepa e cade in acqua. È il fragore del tuono, minaccioso e improvviso. Nasce nel nulla e scompare nel nulla. E poi il silenzio assoluto, trafitto da un vento freddo e pungente. Con lo sguardo si cerca il limite, e l’oltre. A piedi, salendo dalla costa, con racchette da neve se necessario, si raggiunge il deserto di ghiaccio a 1.000 m di altitudine, attraversando a passo lento, sulle rotte dei grandi esploratori, burroni, crepacci, ghiacciai, laghi glaciali e fiumi avvolti da una natura tanto suggestiva quanto minacciosa, imprevedibile, ostile. Qui tutto è essenziale, senza spazio per il superfluo. Un paesaggio quasi lunare intervallato da lingue glaciali e dai “nunataks”, le spettacolari formazioni di roccia che si ergono all’interno delle calotte polari. Sulle mappe l’Inlandis è il “Territorio Inesplorato”, uno dei luoghi più miste-

riosi e meno visitati del pianeta, uno sconfinato ghiacciaio che si estende per 2650 km da nord a sud e per 1000 km da est a ovest, che in certi punti raggiunge uno spessore di circa 3 km, artefice di uno schiacciamento al centro che scende a –360 m sotto il livello del mare e un innalzamento nel settore orientale fino a 3.700 m di altezza. Suggestivi canaloni e profondi fiordi portano al mare lingue di ghiaccio, trasformate in enormi iceberg azzurro turchese galleggianti su uno dei mari più pescosi del mondo. Ma per una manciata di settimane l’anno, da fine giugno a inizio settembre, aspettando il sole di mezzanotte nella breve estate artica, la terra più a nord del pianeta si ricopre di fiori e bacche, regalando colori inaspettati. L’isola più estesa del mondo, ricoperta per l’85 % del territorio – quasi tutto compreso

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oltre il Circolo Polare Artico – da una coltre perenne di ghiaccio spessa anche alcuni chilometri, iniziata a formarsi 3 milioni di anni fa, fu il rifugio inospitale di Erik il Rosso, condottiero e navigatore normanno, latitante per omicidio, che nel 982 approdò lungo un fiordo vicino a Qaqortoq, percorrendo 300 km dall’Islanda con un gruppo di scandinavi, i Vichinghi, che la trovarono apparentemente disabitata. La chiamò Grænland, terra verde, perché, diceva, “se questo luogo avesse avuto un nome positivo la gente ne sarebbe stata attratta”. Oltre 4.000 scandinavi si stabilirono in Groenlandia senza mai adattarsi alla vita nelle sue condizioni più estreme. Nei fiordi costieri riparati i Vichinghi allevarono pecore e bovini, edificarono chiese e fattorie, barattando pelli di foca e avorio di tricheco con legname e ferro provenienti dall’Europa, resistendo per oltre quattro secoli. Poi, com’erano arrivati, altrettanto improvvisamente, svanirono. I due figli di Erik il Rosso all’inizio del 1000 si spinsero ancora più ad ovest, arrivando a scoprire Terranova e la baia del fiume San Lorenzo in Canada, cioè a scoprire l’America cinque secoli prima di Colombo. Nel 1200 sbarcarono dal Canada settentrionale gli Inuit, discendenti diretti dei groenlandesi, portando con sé le slitte trainate da cani, i kayak e altri strumenti essenziali per cacciare e pescare nell’Artico, sfruttando le risorse locali. Il Sud della Groenlandia si sta riscaldando al doppio della velocità rispetto a gran parte del resto del mondo e la coltre di ghiaccio, che contiene circa il sette per cento dell’acqua dolce del pianeta, si sta riducendo di circa 200 chilometri cubi l’anno. Ma lo scioglimento dei ghiacci artici ha già cominciato a facilitare l’accesso al petrolio, al gas e alle risorse minerarie che potrebbero offrire alla Groenlandia l’indipendenza finanziaria e politica a cui aspira la sua popolazione, appartenente al Regno di Danimarca, che ne controlla finanze, politica estera e difesa. In aereo da Reykjavik si atterra a Narsarsuaq (“La grande piana”) in

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ciaio Qaleraliq che terminano in mare. In passato, questi fronti glaciali ne costituivano uno unico, più grande, ma a causa degli effetti del cambiamento climatico e del progressivo ritiro, si è diviso in due fronti diversi. Attraverso una desertica valle sabbiosa, si prosegue a piedi fino al lago Kangerluatsiup, uno dei più grandi del sud della Groenlandia, fino a raggiungere la tundra e la cima senza nome di una montagna di 400 m con spettacolare vista della calotta polare, delle famose formazioni rocciose dalla forma spigolosa e frastagliata che emergono dal mare di ghiaccio chiamate “nunataks”, e dell’oceano Artico. Qui di tanto in tanto si avvistano i caribù, mammiferi ruminanti artiodattili della famiglia dei Cervidi (Rangifer caribou), di aspetto simile alla renna, ma di stazza più robusta e con corna più

fondo ad un fiordo che sbocca nel Mare del Labrador, il più importante centro dell’isola ai tempi dei Vichinghi, e da qui si prosegue navigando su grossi gommoni con motore fuoribordo e chiglia rigida adatti ad un massimo di 14 persone, lungo il fiordo Tunulliarfik, adornato da iceberg frammenti della calotta polare, veri monumenti di ghiaccio che galleggiano nel mare calmo, alla deriva, levigati dalle onde e dal vento. Ogni iceberg è in sé un’opera unica per le forme stravaganti e sempre diverse e per le numerose tonalità di colore del ghiaccio. Da Narsaq, la terza città più estesa del sud con i suoi 1700 abitanti sulle rive del fiordo di Narsaq Sund, si naviga attraverso uno spettacolare fiordo circondati da iceberg fino al campo fisso di Qaleraliq, in una spettacolare spiaggia di sabbia fina davanti a due fronti del ghiac-

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sottili, originari delle zone boscose dell’America settentrionale. Di notte il silenzio viene rotto dai tonfi assordanti dei blocchi di ghiaccio che si staccano dalle pareti del ghiacciaio. Il giorno seguente si sbarca su un lato del fronte glaciale per risalire il ghiacciaio verso il plateau, percorrendo senza difficoltà zone di crepacci che creano un incredibile aspetto labirintico reso ancora più suggestivo dai colori del ghiaccio che va dal bianco all’azzurro al blu, per scoprire le peculiarità dell’Inlandis. Lo sguardo si perde all’interno dei sifoni del ghiacciaio, enormi canali di scolo dove sboccano i fiumi ghiacciati formando buchi che possono arrivare fino a 200 m di profondità. Con i ramponi ai piedi e l’attrezzatura personale (circa 8 kg, da trasportare individualmente) si fa rotta verso un nunatak interno, camminando su una delle superfici ghiacciate più antiche del pianeta, esplorando cumuli di rocce e pietre e numerosi crepacci. Quasi un viaggio in una natura primordiale, una rottura con le esasperazioni del mondo reale, un momento per riflettere su se stessi. Ognuno trova la sua strada, a modo suo. Il rispetto è l’insegnamento di queste terre aspre e selvagge, dove la natura non si piega. A piedi si cammina verso l’interno del ghiacciaio continentale, attraversando aree coperte di neve e terreni diversi fino a raggiungere un nunatak nascosto, non visibile dalla costa, fino a raggiungere un luogo non predefinito dove allestire un campo tenda sul ghiacciaio. Dopo la notte sul ghiaccio, si prosegue a piedi verso la costa con splendide vedute sul fiordo e successivamente in gommone si naviga scortati dalle balene fino alla città di Narsaq, dove si esplorano il mercato eschimese, il porto, il mercato delle pelli, la chiesa, il museo e la distilleria della birra. Col gommone si giunge a Qassiarsuk, dove con un breve trekking si arriva alla fattoria di Tasiusaq, dove abitano sette persone in totale isolamento sulle sponde del fiordo di Sermilik solitamente bloccato dal ghiaccio proveniente dal ghiacciaio Eqaloruutsis. Qui si

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natura. Ma la Groenlandia è anche la terra del sole di mezzanotte in estate, quando una luce perenne rischiara giorno e notte, delle lunghe notti polari invernali, del suggestivo spettacolo delle aurore boreali e della sorprendente esperienza data dalle cosiddette Fate Morgane, dove i riflessi di acqua, ghiaccio e neve provocano nel nulla visioni irreali come città inesistenti, verdi foreste e velieri naviganti sui ghiacci. E per finire la terra estrema dei maggiori ghiacciai dell’emisfero settentrionale, molti dei quali scendono in mare con una velocità giornaliera di 20-30 m e fronti di chilometri dai quali si staccano con sinistri frastuoni mastodontici iceberg galleggianti alti fino a 100 metri, profondi quasi un chilometro, come nella suggestiva baia di Disko, chiamata la “città degli iceberg” e protetta dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità.

pescano i salmoni, importante risorsa ittica della zona. In kayak si pagaia circa due ore nella “baia degli iceberg”, soli in una delle più scenografiche aree di tutta la Groenlandia. Nella strada del ritorno merita una sosta Qassiarsuk, anticamente chiamata Brattahlid, dove si stabilì Erik il Rosso quando iniziò la colonizzazione della Groenlandia nel 985. La Groenlandia è la terra degli Inuit, discendenti dei thule, uno dei due ceppi del popolo artico degli Eschimesi, 100 mila persone suddivise oggi tra Alaska, Nord Canada e Siberia russa, di origini mongoliche emigrate dall’Asia centrale in epoca preistorica, di bassa statura, tozzi con arti corti, faccia appiattita ed occhi a mandorla, cacciatori e pescatori nomadi vestiti di pellicce di animali che vivono d’estate sotto tende di pelli e d’inverno negli igloo. Cacciano renne, caribù e grandi mammiferi marini (foche, trichechi e balene), spostandosi a terra su slitte trainate da mute di cani e in mare su kayak di pelli. Taciturni e solitari, più propensi a pensare che non a parlare, vivono in piccoli villaggi sulla costa, sfruttando con perizia ogni risorsa offerta da un ambiente povero e ostile, rispettano con rigore la

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LA TERRA, IL VINO, L’ARTE

Premio Zingarelli Rocca delle Macie I territori del Chianti sono uno spettacolo di bellezza ed efficienza. Il merito è degli imprenditori agricoli locali che hanno saputo coniugare bellezza ed efficenza produttiva. Rocca delle Macie, con un innovativo progetto dedicato a giovani promettenti artisti, in pochi anni ha costruito un sorprendente evento che sintetizza e comunica benissimo i valori di questo invidiato territorio. Lamberto Cantoni


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LAMBERTO CANTONI


Attraversare il territorio toscano conosciuto in tutto il mondo grazie al Chianti è un vero piacere per gli occhi e per la cultura disseminata in ogni angolo. Credo che esistano pochi luoghi al mondo così ben conservati e ricchi di emozioni storiche. Segno inequivocabile della lungimiranza degli amministratori locali e dell’intelligenza degli imprenditori. Una delle eccellenze che consiglio di visitare agli amanti dei bei paesaggi agresti e del buon vino è Rocca delle Macie, una aziendaterritorio guidata da Sergio Zingarelli e dalla moglie Daniela. Il resort che hanno ricavato da un vecchio borgo medioevale perfettamente restaurato merita ben più di una vacanza. E’ il luogo ideale per le piccole operazioni di restauro interiore che noi, abitatori di città chiassose e spesso deprimenti, abbiamo bisogno di effet-

tuare per riavvicinarci ad un mondo di valori che ci ricordano quanto la vera bellezza sia importante per la nostra vita. Ovviamente il vino e il cibo consumati in questa terra hanno sapori del tutto particolari, difficilmente riproducibili altrove. Mi mancano le parole per argomentarlo, ma vi assicuro che questa è la pura e sacrosanta verità. L’ARTE COME FORMA DI COMUNICAZIONE DEL TERRITORIO Sergio Zingarelli, proprietario di Rocca della Macie, oltre ad essere un imprenditore lungimirante, è un personaggio capace di destreggiarsi bene con la comunicazione concreta ovvero con gli eventi che trasformano progetti informativi in esperienze e spettacolo. Inoltre è un sincero amatore e mecenate

Panorama di Rocca delle Macìe

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dell’arte. Se uniamo queste due caratteristiche comprendiamo benissimo la bellezza del progetto che da qualche anno sta promuovendo per il suo brand ma al tempo stesso per tutto il territorio del Chianti. Con il premio d’arte “Zingarelli Rocca delle Macie”, nato nel 2010, da una idea del noto pittore, amico di famiglia, Raimondo Galeano e organizzato dalla critica d’arte Simona Gavioli, ogni anno invita un plotone di giovani artisti a misurarsi con il Genius loci

imbricato nelle dolci colline disegnate dagli ordinatissimi vigneti e dall’onnipresente olivo, per far sì che essi vi trovino gli insight di pensieri/emozioni che poi si trasformeranno in un’opera d’arte. Tutte le opere che gli artisti eseguiranno, daranno luogo ad una mostra e a tutte le iniziative promozionali che accompagnano questo genere di eventi (convegni, conferenze stampa, educational per giornalisti di svariati settori...).

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Alba di Elisa Mearelli, vincitrice premio istituzionale

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Punto di origine di Micaela Lattanzio, Premio speciale famiglia Zingarelli

Il meta-messaggio comunicato da questo composito evento è dunque evidente: creatività e arte come ambasciatori della bellezza di una forma di vita centrata sul rispetto dei buoni frutti della terra. In realtà le origini del progetto sono molto più legate a questioni familiari che a tattiche o strategie comunicazionali. In primo luogo sono un omaggio al padre, Italo, produttore,

regista e direttore cinematografico, il quale innamoratosi del territorio toscano decise di fondare Rocca delle Macie. “La vita lo ha portato ad appassionarsi alle arti in genere, ma è verso la pittura che egli ha nutrito un grande amore - ha detto Sergio Zingarelli al numeroso pubblico presente nel momento più importante dell’edizione 2014 - Uomo di grande senso estetico, ha sempre scelto i sui

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Gallo Nero di Alessandra Maio

Suppenschsse di Cristiano Tassinari

Cromatismo Emozionale#03 di Paolo Bini

Zolla di Lorenzo Aceto

Black Box di Ammar Al-Hameedi

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Premio d’arte Zingarelli Rocca delle Macie di Federico Ellade Peruzzotti


Ipotesi di Felicità di Martina Antonioni

Rondò di Giorgio Bernucci

Radicata di Enrica Berselli Prove di narrazione di Moisi Guga

Silent Fields di Ian Woodard

Per sei grappoli di Simone Del Pizzol

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Radice di Luca De Angelis


quadri istintivamente, spinto dalla ricerca del bello più che dalla fama dell’autore”. Aggiungerei che Italo Zingarelli doveva essere anche un buon padre dal momento che riuscì trasmettere ai figli le sue gradi passioni: la terra toscana, l’arte di fare del buon vino e il gusto per la bellezza. Devo dire che in una post modernità che ha quasi cancellato il ruolo simbolico del padre, incontrare un messaggio ispirato ai suoi valori è qualcosa che rappresenta un’etica che forse dovremmo riscoprire. Nel frattempo non ci resta che prendere atto delle fecondità che discendono dal discorso paterno, materializzate nel convito arte/terra/vino, alle quali aggiungerei l’attenzione verso i sogni/passioni delle giovani generazioni. Questo insieme di fattori sono stati magicamente intrecciati nel progetto Premio Zingarelli.

SILENZIOSI RACCONTI Il programma 2014, come da copione, era cominciato nell’ottobre 2013 con un convegno intitolato “Silenziosi racconti” (tema del Premio 2014) che presentava al pubblico e ai giovani artisti invitati per l’occasione, le motivazioni del connubio arte/vino/cultura alla base del concorso. Amministratori e imprenditori non vogliono dimenticare che sono stati il vino e il turismo a salvare le bellezze del territorio del Chianti. Senza manutenzione una terra muore. Occorrono dunque stimolare circuiti virtuosi tra attività economiche, storia del territorio e restauri intelligenti per preservarne i valori. L’arte ha il compito di narrare a suo modo queste virtuosità, aggiungendovi i percorsi intimi, le passioni, i traumi se volete, di ogni singolarità artistica.

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Momento della votazione

Dall’alto: la premiazione di Elisa Mearelli e di Micaela Lattanzio

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Per favorire l’imprinting tra giovani artisti e territorio nelle giornate che seguirono il convegno, furono organizzate escursioni culturali, visite ad insediamenti produttivi, passeggiate tra vigneti e pantagruelici radez vous gastronomici, allietati da abbondanti dosi di eccellente Chianti. Ritornati alle proprie case, dopo mesi di lavoro, gli artisti hanno consegnato le opere tratte dall’esperienza che vi ho brevemente descritto. Tra queste una giuria presieduta

dalla famiglia Zingarelli, ha scelto quelle da premiare. La vincitrice dell’edizione 2014 è stata Elisa Mearelli con “Alba”. L’opera raffigura un gallo nero che saluta il primo mattino con le strilla che molti di noi non hanno mai sentito, la cui testa sbuca da una intricata foresta di foglie di vite. A prima vista l’opera appare forse troppo decorativa. Ma se avviciniamo lo sguardo non si può non apprezzare la raffinata abilitá dell’artista nel dare precisione ed energia ad

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ogni segno. Colpisce inoltre l’effetto di delicata materialità dell’opera dovuto alla preziosa carta, usata con fine e femminile sapienza da Elisa. Per quanto riguarda il contenuto, mi inchino all’intrigante immediatezza di senso con la quale ha giocato l’artista: il territorio del Chianti è conosciuto anche con il brand Gallo Nero; quindi il re del pollaio che sbraita all’alba non può che significare un giorno che rinasce; rinascita, rinascimento, arte, Rocca

delle Macie. E così il cerchio si chiude. Un’altro inchino ad Elisa. E’ giovane ma ha già capito tutto sul rapporto vitale che un artista deve avere con i mecenati. Devo dire che io avrei preferito l’opera dell’altra artista vincitrice di un premio aggiuntivo, intitolata “Punto di origine” con un unico dubbio legato alla sua dimensionalità. Il progetto artistico di Michela Lattanzio è molto più complesso rispetto al Gallo che strilla. Confidando nel potere simbolico del cerchio,

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nella sua armoniosità e metafora di equilibrio formale ed emotivo, l’artista ha creato una serie di paesaggi interni alla sua circonferenza per significare la possibilità di un mondo perfetto sorretto dalla dialettica tra i territori figurati e gli spazi spiraleggianti che aldilà del cielo evocano l’infinita ripetizione dei cicli vitali garantita dalla luce/energia del sole. Un’opera ben eseguita con l’unico dubbio legato alla sua limitata dimensione ( in breve, per me doveva essere molto più grande per costringere lo sguardo a quel momento di lentezza e perdita nei dettagli che avrebbe trasformato la ricostruzione mentale della dinamica e armoniosa integrazione di spazi convergenti, in una epifania della mente). Cosa dire delle altre opere in concorso? Simona Gavioli e i suoi collaboratori sono stati bravi nel scegliere il plotone di giovani per questa edizione. Tutte le opere sono state fatte

con partecipazione passionale e una certa padronanza tecnica. Mi ha stupito però ritrovare in quasi tutti i giovani artisti un dominante tono melanconico che, evidentemente, la bellezza dei territori del Chianti non è riuscita ad emendare. Ma questa distonia e’ anche un indicatore di lealtà e onestà dei giovani artisti che pur immersi per giorni in tanta bellezza, non hanno voluto rimuovere il senso dominante delle loro percezioni interiori; un senso che avvicinerei ad un messaggio estetico percepibile come l’ombra di qualcosa di traumatico.

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Lamberto Cantoni Direttore Responsabile



GIOVANI E QUOTE ROSA UNDER 40: IL CONEGLIANO VALDOBBIADENE CREA VALORE E OCCUPAZIONE Nel distretto del Prosecco Superiore alte percentuali di giovani impiegati nelle aziende: nel 32,9% dei casi essi sono titolari o co-titolari e le donne toccano il 40,7%. Anche nel 2014 si respira ottimismo: l’espansione delle vendite è prossima al 5% Il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore crea valore per il territorio di cui è divenuto simbolo e portavoce nel mondo. Lo afferma il Consorzio di Tutela e lo confermano i dati del nuovo Rapporto del Centro Studi del Distretto, relativo all’anno 2013, da cui emerge un alto livello di occupazione giovanile (pari al 45,6% del totale) e quote rosa che hanno toccato il 40,7% tra gli under 40 impiegati nelle 170 case spumantistiche della Docg. Tra gli aspetti più interessanti che emergono dal Rapporto, presentato il 13 dicembre all’Auditorium Distretto del Conegliano Valdobbiadene, a Villa Brandolini, a Solighetto di Pieve di Soligo (TV), vi è sicuramente la percentuale di giovani, con meno di 40 anni, che ricoprono il ruolo di titolare o cotitolare: essi rappresentano il 32,9% sul totale aziendale. Sempre nell’ambito del personale dirigenziale, il tasso di incidenza dei giovani che ricoprono il ruolo di responsabile export è pari al 47,9%, mentre quello delle attività di direttori commerciali è pari al 21,9%. Quello del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore è dunque un distretto che offre opportunità di lavoro ed è un approdo occupazionale anche per coloro che possiedono un alto livello di formazione: la maggioranza delle imprese detiene nell’organigramma aziendale giovani con preparazione universitaria (58,7%). Merito anche della presenza, in quest’area, a Conegliano, della scuola enologica Cerletti e della Facoltà di Agraria dell’Università di Padova. <<Questi dati ci fanno capire come quella del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore sia una denominazione in cui non contano solo le percentuali di crescita, i fatturati e le esportazioni in continua espansione – afferma il presidente del Consorzio di Tutela, Innocente Nardi -. Nel corso del 2013, la dimensione dell’offerta del Conegliano Valdobbiadene ha raggiunto un valore stimato

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alla produzione pari a 362,2 milioni di euro e il mercato internazionale dello Spumante Docg ha ottenuto un nuovo massimo con un valore della produzione pari a 132,2 milioni di euro. Dietro tutto questo però c’è un elemento fondamentale: il creare valore per il territorio che si traduce in occupazione, indotto legato al turismo, tutela e valorizzazione dell’ambiente>>. La sfida del Consorzio di Tutela, è quella di <<competere nel valore>>, una filosofia che accompagna da anni le attività dell’associazione che, in occasione della presentazione del Rapporto, ha analizzato le strategie per il futuro. “Conegliano Valdobbiadene competere nel valore. Quali strategie per un prodotto simbolo del territorio” è infatti il titolo dell’incontro del 13 dicembre durante il quale sono intervenuti: Vasco Boatto, direttore del Cirve e responsabile del Rapporto del Centro Studi e da Giancarlo Gramatica, client service director di IRI, Pietro Laureano, responsabile della candidatura delle colline di Conegliano Valdobbiadene a patrimonio Unesco e Armando Branchini, past president e current member dell’executive team dell’ECCIA, moderati dal direttore del Consorzio Giancarlo Vettorello. DATI RAPPORTO - Si è fatto il punto sui prossimi obiettivi da raggiungere per uno spumante Docg che, ancora una volta, si è dimostrato più forte della crisi: nel 2013 la tipologia spumante, che oggi rappresenta più del 90%, è aumentata in valore del 6,6% nel 2013, con un giro d’affari pari a 327,2 milioni di euro. In Italia il Conegliano Valdobbiadene è cresciuto dell’11,4% in valore e del 10,5% in volume nell’ultimo anno. Negli ultimi 10 anni il trend è stato in costante ascesa: dal 2003 al 2013, infatti, si è registrato un aumento a volume pari a un +72.9%. Anche i dati Ho.Re.Ca. a livello nazionale


vanno in direzione opposta rispetto all’attuale congiuntura economica: +8,9 % in valore e + 7,3% in volume in un panorama generale che vede questo importante canale in calo. Fuori dai confini i risultati parlano di una denominazione in crescita: l’export rappresenta una quota del 42% per l’intera denominazione. La Germania si conferma nel 2013 il primo Paese importatore di Spumante Docg a valore con 29,6 milioni di euro. La flessione pari al 5,9% su base annua è stata compensata da un aumento del livello dei prezzi dell’+1,8%, un risultato importante se si considera che il mercato tedesco è da sempre molto competitivo. La Svizzera, secondo mercato estero della Docg, ha raggiunto una quota pari a 28,8 milioni di euro. Le esportazioni in questo Paese rappresentano il 21,8% delle vendite all’estero. Molto promettente si presenta poi il mercato inglese, che ha denotato un significativo aumento del valore con un +11,3% su base annua. Oltreoceano gli Stati Uniti si sono collocati, nel 2013, al quarto posto tra i mercati e si sono contraddistinti per una crescita elevata (+11,9% in raffronto al 2012). Numeri resi possibile grazie anche all’attività di promozione svolte all’estero dal Consorzio di Tutela che ha messo a disposizione dei consumatori di tutto il mondo una Web Accademy in tre lingue e ha tradotto il suo sito anche in cinese. ANTICIPAZIONI 2014 - Se dal Rapporto del Centro Studi del Distretto, relativo all’anno 2013, emergono dati positivi, anche nel 2014 si respira ottimismo: secondo il Consorzio di Tutela, l’espansione delle vendite è prossima al 5%, in linea con il trend dell’ultimo decennio, in cui si è registrato un aumento a volumi pari al 80% ed a valore del 88%.

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Tavolo dei relatori da sx a dx: Vasco Boatto, direttore del Cirve e responsabile del Rapporto del Centro Studi; Giancarlo Vettorello, direttore del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore; Innocente Nardi, presidente del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore; Pietro Laureano, responsabile della candidatura delle colline di Conegliano Valdobbiadene a patrimonio Unesco; Giancarlo Gramatica, client service director di IRI; Armando Branchini, past president e current member dell’executive team dell’ECCIA

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Karpòs promo IL PROFUMO DELLE LANGHE NEL BARBERA D’ASTI RICOSSA

Nel periodo migliore per il tartufo, gli amanti dell’enologia non possono rinunciare a un brindisi con i vini piemontesi. Il paesaggio vitivinicolo di Langhe-Roero e Monferrato è entrato nella prestigiosa World Heritage List dell’Unesco ed è da queste meravigliose colline che nascono i vini della linea Ricossa Antica Casa. Tra questi spicca il Barbera d’Asti Docg, vino di buona struttura, grande armonia e morbidezza, raggiunte dopo un periodo di affinamento in bottiglia. Quello della linea Ricossa è un Barbera d’Asti Docg dal colore rosso intenso, con un profumo vinoso, pronunciato, asciutto e un sapore ampio, di buon corpo, morbido. L’abbinamento ideale per un succulento piatto di agnolotti, carni stufate o bollite o con formaggi stagionati. Degustare questo vino permette di compiere un viaggio sensoriale in uno dei luoghi incantati dell’Italia, in quel Piemonte dove la natura invade il paesaggio mutandone i colori mese dopo mese. Tra le mete Piemontesi da visitare c’è Asti. Capoluogo e cuore della provincia, con i suoi 73.000 abitanti, Asti è una città a misura d’uomo. Nota ovunque per i suoi vini e per la sua cucina, meno forse, e a torto, per la sua bellezza architettonica, va scoperta a piedi, per apprezzarne al meglio il centro storico e il suo assetto urbanistico medioevale. Il Medioevo, periodo di grande ricchezza e potenza, ha lasciato tracce splendide nei suoi monumenti principali (la cattedrale, la collegiata di San Secondo, il complesso di San Pietro in Con savia), nelle torri e nei particolari di palazzi e vie. Lo stile barocco dei suoi palazzi nobiliari e l’eleganza ottocentesca delle sue piazze si inseriscono senza stonature, creando un insieme armonico con le eleganti vetrine dei negozi Liberty. Legata al suo fastoso passato che rivive ogni anno nel suo Palio, Asti diventa vivace e commerciale in occasione dei suoi mercati settimanali. I tanti eventi culturali ed enogastronomici, la rendono una tappa obbligata nella scoperta di questo territorio.

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PIOGGIA DI RICONOSCIMENTI INTERNAZIONALI PER LA CANTINA FRIULANA VINI LA DELIZIA ARTIGIANALI Continuano a mietere successi nei più prestigiosi concorsi enologici internazionali i vini della cantina Viticoltori Friulani La Delizia. Gli ultimi riconoscimenti in ordine di tempo arrivano dall’autorevole concorso inglese Decanter e dal Vinnaya Karta Open 2014 di Mosca. Vini fortemente legati alla terra friulana e alla tradizione vitivinicola, ma rivisitati e valorizzati attraverso la più moderna cultura enologica. C’è tutto questo alla base anche dei recenti riconoscimenti e menzioni attribuiti da Decanter e dal concorso Vinnaya Karta Open 2014 di Mosca ai vini della cantina Viticoltori Friulani La Delizia. Sono ben 9, infatti, i premi e le medaglie che i vini della cantina friulana La Delizia hanno ottenuto nelle due competizioni estere. Al Decanter World Wine Awards di Londra, il più completo e autorevole concorso enologico inglese, Menzione per il Prosecco “Il Nostro” della linea Naonis e per il Merlot 2013 della gamma Sass Ter. Medaglia di Bronzo per il Moscato e il Ribolla Gialla Brut della gamma Naonis e per Pinot Grigio 2013 e il Refosco dal Peduncolo Rosso 2013, entrambi della linea di vini Sass Ter. “Questi ultimi riconoscimenti vinti nei prestigiosi concorsi enologici internazionali ci ripagano di tutto l’impegno, della serietà e della grande passione che ci lega alla produzione di vini di

qualità e di carattere - afferma Pietro Biscontin, Direttore Generale della cantina Vini La Delizia - è proprio questo che ci spinge quotidianamente a crescere e a migliorare sempre più”. La ricerca di un’affermazione sempre più marcata nei mercati internazionali, ha portato i vini della cantina La Delizia ad affermarsi anche al Vinnaya Karta Open 2014 di Mosca, il concorso enologico organizzato dalla rivista di settore “Vinnaya karta” con l’obiettivo di premiare vini di classe “Premium” e “Superpremium” esportati in Russia. Dopo una severa ed imparziale degustazione alla cieca, valutando le caratteristiche organolettiche, la giuria composta da esperti degustatori, sommelier, critici ed autorevoli wine writer, ha attribuito ben 3 medaglie ai vini della cantina La Delizia: medaglia d’oro al Prosecco Doc Spumante della linea Vignal e al Pinot Grigio Igt delle Venezie della gamma La Delizia e medaglia d’argento al Refosco dal Peduncolo Rosso Igt delle Venezie, sempre della linea La Delizia.

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L’ttestato Decanter World Wine Awards di Londra Il direttore Pietro Biscontin e del presidente Denis Ius di Vini La Delizia e le bottiglie della gamma Sass Ter e Naonis

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INVESTIRE IN ITALIA: LA RICETTA DEL SUCCESSO BALOCCO Previsioni di crescita anche per il fatturato 2014. Anche il 2014, nonostante una situazione economica non certo positiva, si sta rivelando per Balocco un anno nuovamente in crescita. A meno di un mese dalla fine dell’anno, le vendite della società piemontese registrano un incremento del 6%, con un aumento a valore - rispetto a pari data 2013 - di 7,5 milioni di Euro. Balocco prevede di chiudere il 2014 con un fatturato netto superiore a 165 milioni di Euro: più che un raddoppio rispetto al 2006, anno immediatamente precedente all’inizio della crisi. La crescita di questi ultimi anni è frutto di una strategia che ha puntato su investimenti in qualità, comunicazione e tecnologia, consentendo alla società di Fossano (CN) di proporre una gamma di prodotti sempre più ampia e performante per quanto riguarda il rapporto qualità/prezzo. Balocco ha registrato un trend di crescita notevole: un milione di Euro al mese negli ultimi 108 mesi consecutivi, numeri che descrivono il dna di un’azienda solida e dinamica, cresciuta passo dopo passo, facendo affidamento prevalentemente su mezzi propri. Un classico esempio di prudenza, concretezza e under statement piemontesi, che non a caso vede in Balocco uno dei modelli di maggior successo del settore alimentare del nostro Paese, oggi secondo player in tutti i mercati di riferimento (dolci da ricorrenza e frollini per la prima colazione). Negli ultimi dieci anni Balocco ha investito in tecnologia oltre 44 milioni di Euro, dato significativo ancor più in un Paese noto per non investire e non crescere come l’Italia. Grazie alla massiccia iniezione di automazione, nel medesimo periodo l’efficienza produttiva (tons x ora lavorata) è migliorata dell’82%. La scelta di puntare su efficienza e innovazione proseguirà anche nel

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prossimo quinquennio: a supporto del nuovo piano industriale sono stati stanziati 30 milioni di Euro. Il primo lotto dei lavori di ampliamento dello stabilimento di Fossano - headquarter dell’azienda, che oggi si estende su 44mila metri quadri - dovrebbe concludersi già nella primaveraestate del 2015. Parallelamente alla crescita produttiva è cresciuto anche l’organico: il numero medio di addetti dal 2012 ad oggi è salito da 300 a 323 e il numero massimo di addetti (nei picchi stagionali) è passato dai 366 del 2012 a 440. Il trend positivo, che ha coinciso con gli anni più complicati per la situazione economica generale e italiana in particolare, dimostra che la crescita è ancora possibile, potenziando gli investimenti e creando lavoro nel nostro Paese. Il grande valore raggiunto da questa Azienda è testimoniato anche da una recente ricerca di ICM Advisors, che colloca Balocco nella classifica globale dei primi 50 marchi italiani con le migliori performance.

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Karpòs promo QR-Code Mela Val Venosta Scopri cosa si nasconde dietro una mela venostana. Ogni mela Val Venosta racconta una storia: quella del territorio da cui proviene e del percorso che ha fatto prima di arrivare sulle tavole dei consumatori. Da questa stagione tutti potranno seguire questo percorso: grazie al QR Code “RaccontaMela” di Mela Val Venosta si accederà all’affascinante mondo delle mele venostane, alla scoperta del percorso che si cela dietro una mela Val Venosta, a garanzia di un prodotto curato e controllato. Frutto di qualità, coltivato con molta cura dai contadini della valle fino a mille metri d’altitudine, Mela Val Venosta vuole informare i consumatori su tutto ciò sta dietro il marchio di provenienza, con uno strumento smart, innovativo, interattivo e al tempo stesso emozionale. Facile e alla portata di ogni smartphone o tablet, il QR Code Mela Val Venosta darà accesso a un sito che mosterà in modo trasparente le varie fasi di produzione, alla scoperta del mondo delle mele e del loro territorio unico. Iniziare il viaggio all’interno del mondo della Mela Val Venosta è semplice: basta scattare una foto al QR Code che si trova sui bollini o sul retro dei sacchetti. Tra informazioni suI territorio, curiosità e video, i consumatori avranno la possibilità di “passeggiare” all’interno di un meleto virtuale, in un viaggio interattivo che li porterà a seguire il percorso di una mela e vivere l’atmosfera della Val Venosta in compagnia dei contadini venostani. Il percorso all’interno del sito si articola in diverse macroaree: TERRITORIO Uno dei segreti dell’eccellenza delle meleValVenosta è proprio il territorio: una valle dalle caratteristiche uniche per altitudine e clima. In questa sezione si ha la possibilità di entrare virtualmente in un vero meleto, “passeggiando” tra i filari carichi di mele. PRODUZIONE Un percorso che porta a scoprire le varie zone della valle e le diverse cooperative, in compagnia dei contadini venostani che, attraverso la loro

esperienza, raccontano come nascono le mele Val Venosta. SICUREZZA Un viaggio che attraversa tutte le fasi della vita di una mela e mostra i severi controlli a cui è sottoposto ogni singolo frutto. Tutti i processi di lavorazione sono mostrati in sequenze video e descritti, dalla produzione fino alla spedizione. VARIETÀ Le mele non sono tutte uguali: in questa sezione si possono conoscere le diverse varietà, ciascuna con le proprie caratteristiche. Dal periodo di maturazione alle proprietà organolettiche fino alle ricette migliori per cucinarle, ogni mela ha la propria scheda di approfondimento. Disponibile in 5 lingue, il QR Code è una vera e proprio finestra aperta sul mondo di Mela Val Venosta: dalla produzione, allo stoccaggio, alla cernita passando per l’imballaggio fino alla vendita, ogni singola fase del percorso del frutto viene mostrata e descritta, per consentire ai consumatori di conoscere in un modo trasparente cosa mettono in tavola. Il codice QR-Code RaccontaMela è ben visibile presso i punti vendita: grazie a materiali promozionali come isole promozionali, rotair, totem ellittici e flyers informativi, i consumatori possono ricevere tutte le informazioni riguardanti questo fantastico strumento in grado di mostrare loro tutte le fasi della filiera. Inoltre l’attività QR-Code viene segnalata tramite attività di degustazione dove i consumatori ricevono le spiegazioni per accedere al mondo interattivo di Mela Val Venosta.

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spezzate (20%), ceci (20%), piselli verdi spezzati (20%) e fagioli cannellini (20%).

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IN VIAGGIO CON I RABARI Pierpaolo Di Nardo

Pierpaolo Di Nardo

Testo estratto dal libro: “India del Nord: 330 milioni di dei e un popolo solo” di Pierpaolo Di Nardo (Polaris Editore)

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Parto spesso per l’India senza una meta precisa dove andare. Arrivo a Delhi, che è la mia seconda casa, compro un kurta pijama bianco nuovo e un libro vecchio: “Wedding celebration in Gujarat”. Mi perdo nel traffico metropolitano di Delhi, scendo le scale di Palika Bazar per assaporare l’India, quella che vive e si dimena come tarantolata. Cammino per Chadni Chowk e mi ritrovo trasportato dalle pagine del libro che ho comprato nel cuore del Rajasthan, a Jodhpur nel mercato delle spezie che gonfia l’immaginazione di suggestioni, sapori, luci, foschia di ricordi, strade di deserto mai messe a fuoco. Il passo è breve: da Jodhpur la jeep guidata come una giostra da Arjun sfreccia rapida

verso il confine con il Pakistan, quasi impazzita in una corsa folle all’inseguimento del sole basso rosso che tramonta sulle dune. Barmer è li come un miraggio da afferrare. La notte vola via come un sogno troppo bello per durare. Il giorno seguente scendiamo vertiginosamente verso sud, tagliando il deserto del Thar in una delle aree meno conosciute del Rajasthan che fra gli stati dell’India è il più conosciuto. Da Barmer la NH 15 scorre dritta nel cuore del deserto; pochi villaggi, qualche cittàmercato dove fare il pieno…di frutta. Non è che sia proprio una National Highway ma è tutto quello che c’è e va bene così. Dopo una

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giornata di chilometri col sole che traccia il suo arco alto in cielo entriamo in Gujarat e poi finalmente a Tharad. Dormo in un piccolo hotel insieme a camionisti, pellegrini e Arjun; dopo otto ore di viaggio non ho nemmeno il tempo di pensare a dove mi trovo. Infatti non ci penso. Sono passati quattro giorni dalla libreria di Connought Place di Delhi ma il caos della metropoli sembra essere lontano un mese. E’ mattino presto a Tharad, bisogna ripartire, il vento polveroso del Thar si alza e mi fa compagnia già da un’ora, il sole è li ad oriente…dove si va. Sto cercando di fare questo: ar-

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chiamo dimora per la notte nel solito albergo per autisti; un paio di secchiate d’acqua per togliermi di dosso la polvere, daal e aloo paratha i miei piatti preferiti per riprendere le forze, chai caldo. In quattro giorni di viaggio ho fatto fuori quasi un Moleskine intero. Unjha è qui, a 30 km, ci arriviamo in un attimo. Un cartello dice “Welcome to Unjha. City of Mataji and Vasant Rai”. So bene chi è Mataji, Kuldevi, la dea Madre ma ignoro chi sia questo Vasant Rai. Lo scoprirò presto… Appena in città la macchina è presa d’assedio da un gruppo di bambini vocianti. Arjun cerca di farli smettere, io scendo e istintivamente tiro fuori il mio registratore, accendo e mi metto a cantare. Loro mi seguono e ripetono ad alta voce. Spengo. Riavvolgo. Ascoltano le loro voci. Ridono. Abbiamo già fatto amici-

rivare a Unjha per raccogliere informazioni sul matrimonio dei Kadwa, uno dei riti più antichi dell’India, che sposa bambine di 5 anni con sposi di 7, una volta ogni undici anni. Una usanza nata nel IX secolo e abolita, per legge, con l’indipendenza indiana ma che ancora oggi è praticata in questa regione del nord del Gujarat. Arriviamo a Patan: luogo di rara e inattesa bellezza. Il Rani-ki-Vav Baoli è un posto fantastico. Scendo i gradini del pozzo, mi siedo, mi rialzo, scendo ancora, gioco a nascondino con la mia ombra tra i pilastri di questa selva di statue di divinità. Più giù al fresco dell’acqua mi risiedo, continuo a leggere del matrimonio che mi ha portato qui, mi rialzo, mi risiedo. Alzo lo sguardo…ed è già il tramonto. Cer-

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zia. Passo la mattina girando per le strade di questa cittadina, non più deserto ma non ancora campagna, stracolma di banchi di ogni sorta di mercanzia. Vasant Rai è uno dei più grandi musicisti indiani del XX secolo, allievo del grande Allaudin Khan e maestro di Ravi Shankar; ha suonato il sarod con George Harrison, John Coltrane, e in tutti i più importanti teatri del mondo: qui è venerato come una divinità e le sue statue si sprecano. Raga e Tala, melodia e ritmo: la chiave della musica a Unjha apre mille porte. Trovo la scuola di musica che porta il nome di Vasant Rai e cerco di passarci più tempo possibile: la musica è una componente indispensabile dei matrimoni indiani. Dopo tre giorni ho fat-

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to amicizia con Vasant, un insegnante della scuola che guarda caso porta il nome di Rai. Non è facile raccogliere informazioni sul matrimonio dei Kadwa Kanbis: i giovani ne sanno poco, gli anziani ne parlano confusamente. Qualche giorno dopo andiamo al villaggio di Chhabaliya, nei pressi di Unjha, per una festa della famiglia di Vasant. La serata è molto intensa. Passiamo la notte al villaggio tra canti, balli, samoza e chai con spezie fumanti… Mi sveglio all’alba e la mia bhunga è circondata di pecore e capre a decine, a centinaia. A stento riesco a uscire dalla porta. Incontro Vasant attorno al fuoco con altri vestiti

di bianco con turbanti bianchi che la sera prima non c’erano. Sono Rabari, pastori nomadi del Rann of Kuthch. Cugini di cugini di nipoti di zii di cugini di Vasant di una lunga discendenza (il legame di parentela è la forza dell’India). Vasant mi informa che stanno tornando al loro villaggio a poche decine di chilometri da Bhuj, circa 300 chilometri più a occidente! Sono partiti ad aprile all’inizio dell’estate del caldo violento, quando prima il Rann of Kuthch diventa un deserto salato di terra inespressiva e dopo si riempie di acqua con il monsone, e ritornano adesso, a novembre, quando il monsone è finito e la terra riluce di un verde accecante. Tre famiglie, con poche donne, pochissimi

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bambini, tanti uomini. In totale una carovana di 32 persone, a occhio circa 300 capre, più di 100 pecore, 5 cani, 3 carri, 30 cammelli, 22 galline, 7 galli e 30 vacche. Una tribù che si muove, macina chilometri, ingurgita villaggi e contatti umani, lontana dal proprio villaggio per sei mesi! Tutto per la sopravvivenza del bestiame: la loro fonte di vita. Occhi scuri e intensi, grandi baffi neri, orecchini d’argento, alto e maestoso, corpetto bianco e turbante bianco, Sarood è il capo della spedizione. Uomo statuario che incute rispetto e attenzione quando pronuncia poche parole per farsi ascoltare bene da tutti, quando impartisce ordini precisi con la voce del leader, e a volte anche senza voce, solo

con il movimento di un muscolo del viso e il dito puntato dello sguardo. Quarantaquattro anni, Rabaro da secoli, seguito come un’ombra da una donna snella, dallo sguardo velato, vestita di nero, avvolta in uno scialle ricamato con specchietti e perline d’argento, che immagino (posso solo immaginare) bellissima. Tornano a casa dopo aver speso sei mesi altrove. Ho una idea… è un attimo. Vasant mi ripete che è impossibile, che è troppo pericoloso per me. Insisto, sono dodici anni che viaggio in India e sono abituato a tutto…o quasi. Vasant è perplesso. Posso dormire su una

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coperta lercia all’aperto? Posso bere l’acqua di un pozzo indiano? Posso mangiare piante grasse bollite? Posso bere latte appena munto senza star male? Posso stare tutto il giorno in mezzo al piscio di montone? Insisto ancora. Vasant parla con Sarood in una lingua mista di hindi, rajasthano, gujarati e altro… Sarood mi osserva silenzioso e inespressivo. Non pronuncia parola. Ascolta. Scuote il capo più volte e in questo gesto so che dice si anche se sembra dire no. Resto in attesa del verdetto. Vasant si avvicina: si, si può fare ma a una condizione: al primo malore mi scarica al villaggio più vicino, non posso certo mettere a rischio la carovana con i miei “capricci” occidentali.

Domani parto con i Rabari sulla loro carovana! Saluto Vasant promettendogli di tornare a trovarlo alla scuola di Unjha e gli offro la mia sciarpa di seta in segno di amicizia. Continuerò la mia ricerca sul matrimonio Kadwa Kunbis con i Rabari cercando di carpire i loro segreti. 1° GIORNO CON I RABARI Le quattro del mattino. Le prime luci dell’aurora mettono in agitazione gli animali e il villaggio presso cui siamo accampati. Partiamo! Salgo su un carretto trainato da un cammello, mi siedo accanto a un ragazzino e mi lascio andare dal dondolio della mia carrozza.

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Non so quanti chilometri percorreremo oggi, venti, trenta o quaranta, non fa differenza; non c’è tempo durante il Dang (la migrazione) se non quello scandito dal sole che si alza e tramonta e non bisogna fare altro che andare, andare dietro andare… Il muro della lingua è insormontabile: non capisco una parola di quello che dicono, cerco di seguire i gesti di Sarood, le sue smorfie, il sorriso di Chandra che mi guarda e canta in continuazione. Se non posso parlare cercherò di sviluppare un codice di segni preciso. Passano le ore. Scendo dal carro e proseguo a piedi per qualche chilometro cercando di avvicinarmi all’inviolabile silenzio di Sarood. Niente da fare. Non mi degna di uno sguardo. Un capo non da confidenza. Ci fermiamo per rifornirci d’acqua e dopo un po’ di esitazione un ragazzo del gruppo mi porge una bottiglia facendomi segno con le dita che “è ok”. Bevo mezza bottiglia. Risalgo sul carro e mi addormento nelle pagine del mio libro. Quando rinvengo è il tramonto. Ci siamo accampati. Accanto ai tre carri disposti a ferro di cavallo sono stati accesi piccoli fuochi, le donne cucinano, gli uomini mettono a punto gli ultimi preparativi per la notte, le bestie vengono stipate tra un muretto a secco e una barriera di cespugli e rovi spinosi. Il tempo vola via veloce. Mi accovaccio nella mia coperta… 2° GIORNO CON I RABARI La sveglia è un cane stonato che urla contro al freddo del mattino. Ho l’impressione che i giorni si susseguiranno tutti uguali. Cerco di inanellare sensazioni, emozioni, sguardi; metto in fila comportamenti, rituali e gesti. Ordino nella mente e sul Moleskine (il secondo) impressioni di un viaggio tanto inatteso quanto emozionante. Ero partito per fare una cosa e ne sto facendo un’altra. L’India è così: mentre cerchi e non trovi quello che cerchi ti imbatti in qualco-

sa che ti rapisce e che ti porta a cercare altro che magari trovi. Nella terra degli Dei il tempo non è mai tempo perso, perché l’India ha sempre qualcosa da svelare, da nascondere e da raccontare. Sempre. Nel gruppo ci sono cinque donne oltre alla moglie di Sarood: a sera mi avvicinano curiose, mi fanno domande incomprensibili e ridono divertite coprendosi il viso. Mi mettono una biro in mano e fanno segno di scrivere. Scrivo il mio nome. Non sanno leggere ma imparo i loro nomi: Ratti, Bhegun, Jaivi, Ina… Gli uomini fumano e bevono chai, ridono e scuotono il capo. Canticchiano canzoni dalla melodia dolcissima… Aziono il registratore e spengo il cervello. La Luna è alta e illumina tutto a giorno. 3° GIORNO CON I RABARI E’ giorno. Provo a parlare con Chandra, il ragazzetto che canta tutto il giorno, in quelle poche parole di hindi che conosco. E’ andato a scuola per tre anni e adesso accudisce gli animali con il padre. Ha dodici anni, due fratelli più grandi e tre più piccoli, e sa un sacco di cose sui Rabari: i nonni dei suoi nonni vivevano in Rajasthan come tutti i Rabari e poi sono venuti a vivere qui nel Rann e questo è successo un sacco di tempo fa. Una donna nel suo vestivo colmo di specchi e ricami, con una montagna di braccialetti di argento e di cavigliere tintinnanti ci chiama per il chai. Lentamente vola via anche questa giornata, fatta di chilometri e due villaggi lasciati alle spalle. Capre che brucano l’erba, contrattazioni con i contadini per attraversare i campi e vendere qualche tessuto ricamato, sono i pensieri che mi portano il sonno. 4° GIORNO CON I RABARI Il chai bollente del mattino mi da una scossa elettrica. Siamo in viaggio da ore, dieci, forse venti chilometri. Per tutta la giornata ho corso dietro alle capre. Adesso capisco perché si dice

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“sei proprio una capra” per dire “non capisci niente”. Vanno di qua e di là senza logica e devi star sempre pronto ad addrizzare la rotta con richiami, urla, distribuendo bastonate. Il sole mi ha cotto le braccia durante il duro lavoro. E’ sera, sono passati quattro giorni da quando sono in viaggio con la carovana dei Rabari. Sarood mi rivolge la parola: “vai iù ir?”. Non capisco. Sarood ripete: “vai iù ir?”. Ripeto insieme a lui: “vai iù ir?” Ci sono: “why you here”. Faccio un salto sulla mia coperta: Sarood parla inglese; non proprio inglese, una specie di inglese elementare ma comprensibile. Mi si apre davanti un nuovo mondo! Posso comunicare, posso chiedere, posso rompere il muro di diffidenza che c’è fra me e lui. A gesti e con poche parole in inglese racconto del mio viaggio, del fatto che sono nomade anch’io ma in un altro modo, dei motivi che mi spingono a starmene qui in questo campo

con loro. Non so se Sarood capisce tutto quello che dico. Anzi, sono certo che non capisce. Ma è una conversazione bellissima perché lui ciondola la testa a destra e sinistra e mi dice di si. Io sorrido e mi convinco che ha capito. 5° GIORNO CON I RABARI …mi sveglio e mi ritrovo nella stessa posizione in cui mi ero lasciato. Tutti attorno a me sono già al lavoro. Anzi la carovana è quasi in marcia. Raccolgo le mie poche cose e salto sul carro di Chandra che mi offre il suo chai. Mi avrebbero lasciato li? Tutt’attorno è un susseguirsi di campi, di donne in saree colorati che lavorano e di bambini che giocano. Quando passa la nostra carovana gli uomini si scambiano battute: da dove venite? da quanti mesi siete lontani da casa? avete abbastanza acqua? dov’è il pozzo più vicino? Domande che immagino, risposte che non so dare. Continuiamo a macinare chilometri. Al tramonto stesso rituale di sempre: alcune

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donne riempiono le giare di metallo al lago d’acqua dove ci siamo accampati, altre portano sulla testa piccole fascine di sterpaglie e legna per accendere il fuoco della sera. Come ogni sera ogni famiglia ripone gli oggetti, le selle dei cammelli, il cibo, e gli utensili sotto alle tende (due o tre per famiglia) per proteggerli dalle termiti che nella notte potrebbero divorarli e ridurli in polvere. Le donne e i bambini dormono nelle tende, quattro o cinque per “giaciglio”, coprendosi con trapunte fatte a mano; gli uomini dormono all’aperto facendo i turni per vegliare gli animali. Questa notte sono di guardia. Sono certo che Sarood ha dato ordine ai suoi di vegliare anche su di me ma lo ringrazio perché cerca i integrarmi e farmi sentire uno di loro. Nel buio luminoso dell’India cerco di riconoscere le costellazioni; poi come sempre traccio linee tra le stelle a disegnare quello che mi pare.

no attraversare ed altri no, ci sono terreni a riposo ed altri appena seminati, segni lungo il percorso che fanno intendere al capo spedizione come comportarsi. Sarood comunica con gli altri uomini a gesti e piccole urla precise, tutti scattano sull’attenti e quando qualcuno sgarra lui non esita a distribuire mani grandi come badili sulla schiena. La coperta lercia tra le ruote del carro è l’agognato premio che mi spetta: roti con zuppa di verdure, burro e spezie, una tazza di chai per vincere il freddo, il silenzio attorno al fuoco, una nenia salmodiosa che mi culla e mi stordisce fino a domani. 7° GIORNO CON I RABARI. Oggi ci fermiamo al mercato di Lolada piccolo centro ormai a ridosso del Little Rann of Kuthch. La carovana resta fuori città con le donne e i bambini; Sarood, Vishnoy, Jaivi, Phagu,

6° GIORNO CON I RABARI. La luce dell’alba in mezzo al niente della campagna si dirada obliqua. La bruma mista ai tizzoni fumanti dei fuochi della notte avvolge tutte le cose. Il mattino è il momento più emozionante del viaggio perché non sai cosa ti porterà il giorno e tutto è ancora da fare, tutto è ancora in piedi. Scendo al lago per riprendere vita sparandomi addosso acqua gelida; Aamir, Sunil e Shipa mi sorridono: non c’è risveglio migliore che il sorriso bianchissimo di un indiano. In sei giorni di viaggio avremo percorso più di 100 chilometri ma nessuno lo sa con esattezza. In India le distanze si contano in ore e in giorni e non in chilometri. La giornata fugge via veloce sotto le ruote dei carri, i cammelli masticano il tempo con quella lingua lunga lunga che non sta in bocca. I Rabari sono silenziosi, il Dang è un viaggio impegnativo. Bisogna stare attenti agli animali, alla strada, ci sono campi che si posso-

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Latchi si muovono con il carro sul quale salto anch’io. Il mercato di Lolada è un tripudio di umanità: banchi di verdure e frutta, arnesi per il lavoro dei campi, uomini che caricano carri trainati da cammelli, clacson di camion che ululano inferociti, venditori di succo di canna da zucchero con la loro macchina tritatutto, dentisti che espongono ponti e dentiere, cinghiali che ingurgitano tutto, indiani appollaiati all’indiana, imbonitori che vendono improbabili pelapatate primordiali, biciclette gonfie come mongolfiere cariche di stoffe colorate… Sarood scende dal carro e scopre la nostra merce: centinaia di tessuti ricamati e decorati da specchi che subito richiamano l’attenzione delle donne del paese. Un capannello di qual-

che decina di persone si accalca attorno al carro; contrattazioni, offerte, scambi, baratti, tutto è ammesso anche se Sarood preferisce le Rupìe. Mi accorgo che anch’io, vestito da indiano, con turbante indiano, barba incolta e pelle chiara, sono l’attrazione del carro. Mi guardano e ridono. Sarood è molto orgoglioso di poter mostrare oltre ai suoi tessuti colorati un amico occidentale sul suo carro, e la mia faccia serve anche da esca per gli avventori. E’ quasi sera, torniamo all’accampamento. Grandi affari oggi a Lolada, abbiamo venduto gran parte del nostro carico. Le donne sedute davanti al “forno” fatto di pietra, arrotolano, rigirano, battono, appiattiscono, roti di miglio.

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Alcune capre pascolano attorno al fuoco rischiando di bruciarsi il muso. Dopo cena le donne ballano per la tribù facendo tintinnare i loro gioielli d’argento, dopo poco anche gli uomini si uniscono a loro. Balliamo tutti per ringraziare gli Dei di questa giornata che ci ha dato il giusto e ci stringiamo al poco… che è tanto. 8° GIORNO CON I RABARI. Mastica e sputa. Ritmicamente. Ho imparato a lavarmi i denti con i bastoncini di Neem. Mastica e sputa per almeno mezz’ora. Il Neem è un albero sacro dalle indiscutibili proprietà mediche e gli indiani lo usano per disinfestare l’ambiente e per lavarsi i denti. Siamo ormai nel Rann of Kuthch. Comincia la parte più pericolosa del viaggio. La distesa infinita del deserto del Rann nasconde trap-

pole che possono mettere a rischio la vita della carovana e tutti i mesi del Dang. Le acque salmastre del periodo monsonico si sono ritirate lasciando un terreno desertico solitamente asciutto ma a tratti ancora fangoso. La tribù da qui in avanti proseguirà a rilento per attraversare il Little Rann of Kuthch; due giorni potrebbero essere sufficienti ma tutto dipende dalle condizioni del tempo e della strada. Sarood col suo hinglish rurale, misto di hindi e inglese, mi spiega la situazione: non può mettere a repentaglio la vita della carovana, delle bestie, del suo villaggio, del Dang, mettendomi in pericolo. Ci ha pensato bene. Dovesse succedermi qualcosa le autorità sarebbero durissime e sarebbe una disgrazia per la sua famiglia e per la comunità del suo villaggio. Lo dice per il mio bene e per il bene di

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tutti. Devo prendermi le mie responsabilità e lasciare la carovana. E’ un colpo al cuore. Ma non posso discutere con lui. Ho imparato che quando Sarood parla, e lo fa raramente, non è per esporre un problema ma per dettare la soluzione del problema. Ho accettato di seguire i Rabari nel Dang e di essere totalmente dipendente da loro, devo accettare anche le loro decisioni. E’ una sera di nuvole in cielo, neppure una stella a farmi compagnia dentro alla tristezza di un addio. 9° GIORNO Mi sveglio prestissimo per cercare di vivere ancora le poche ore che mi restano con i Rabari. E’ una mattina più fredda del solito. Jaivi, una delle figlie di Sarood, mi offre chai caldo. Passeggio tra le capre avvolto nella mia coperta di lana turchese, il sole spunta dalla linea piatta in fondo all’orizzonte. Radanphur non è lontana. Al primo trattore, camion,

carretto, cammello, salterò su. La carovana è pronta per ripartire. Saluto uomini enormi come statue. Namastè alle poche donne. Chandra mi abbraccia prima di salire sul nostro carro. Gli regalo il libro che mi ha portato qui per il suo poco inglese. Sarood mi dice che “Jaivi widdin febuari” (Jaivi si sposerà a febbraio) e che la sua casa è la casa dei loro amici. Ci si incontra per fare un tratto di strada insieme, dividere roti e daal ma anche per imparare a dirsi addio serenamente; la separazione è un lutto che affranca e che rende più forti. Restano gli sguardi di notti passate insieme tra il freddo e il fuoco a cercare un brivido di umanità nelle smorfie del viso, Tutto questo basta a rendere necessario esserci stato. La carovana si muove. Urla di festa si uniscono al saluto: mai lasciarsi tristemente, il sorriso raddrizza tutto e la giornata è ancora lunga. Volto le spalle e getto lo sguardo verso la strada. Nessuno all’orizzonte. Questa sera

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sarò a Radhanpur. Sarà sempre un matrimonio, quello di Jaivi, a riportarmi qui. PIERPAOLO DI NARDO Viaggiatore, scrittore, attore, responsabile India del Tour Operator Earth Cultura e Natura, autore delle Guide sull’India per Polaris Editore. Dal 1996 a oggi ha fatto almeno 80 viaggi in India e sull’Himalaya: dalle cime innevate del Ladakh lassù a nord fino alla punta meridionale di Cape Comorin; dalle antiche tribù dell’Orissa alle nuove tribù urbane di Dharavi a Mumbai; ha raccolto il riso con le mondine nelle risaie del Tamil Nadu; ha incontrato guru e truffatori, tanti guru e tanti truffatori, sui ghat che scendono al Gange a Rishikesh; ha venduto sacchi di pepe alla Borsa del Pepe di Cochin; ha viaggiato con i pastori Rabari del Gujarat, bevendo la loro acqua, mangiando il loro cibo sotto al carro, dormendo su una coperta polverosa sotto le stelle…

to addosso in due lavori monografici sul Paese: “India del Nord: trecentotrenta milioni di dei e un popolo solo” (Edizione Polaris 2003) e “India del Sud: nella terra degli dei” (Edizione Polaris 2010), cercando di raccontare il suo punto di vista su questa straordinaria cultura attraverso racconti, aneddoti, ricordi, approfondimenti sulle religioni, sull’architettura, sulla musica, sulla danza e sul teatro dell’India ma anche sullo scontro antico/nuovo, bello/ brutto, vita/morte. Nel 2013 ha debuttato con uno spettacolo sull’India dal titolo Maldindia, in cui racconta la sua vita di viaggiatore e il suo incontro con l’India, la necessità e l’amore per un mondo che “si sente con lo stomaco, con la pancia, con qualcosa che si muove dentro”.

Ha raccolto le troppe cose dell’India che mi por-

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Pierpaolo Di Nardo India & Himalaya Product Manager


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