Karpòs - n. 6 Luglio - Agosto 2014

Page 1

Edizione PREMIum

Karpos

Karpòs alimentazione e stili di vita

Anno III - N° 6 Luglio-Agosto 2014

Poste Italiane spa Sped. in A.P.-D.L. 353/2003 (convertito in L. 27/2/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 - Cesenatico

w w w. k a r p o s m a g a z i n e . n e t

Anguria Pesco Melone Albicocco Castelli della Loira Erbe selvatiche e storia del cibo CSO The Wedge e Seward

Sospendere la produzione di pesche? Ma poi cosa facciamo?



EDITORIALE

Sospendere la produzione di pesche? Ma poi cosa facciamo? Colgo l’occasione di questa proposta lanciata da UNAPROA (Unione Nazionale dei Produttori Ortofrutticoli) per condividere alcune riflessioni con i nostri lettori, relativamente a questo caso gravissimo ma rappresentativo del comparto ortofrutta “fresco”. Ricordiamo che l’Italia, con oltre 1,5 milioni di tonnellate di produzione, è il leader europeo e la peschicoltura coinvolge economie e paesaggi di molte regioni italiane, come riportato da numerosi articoli di Karpòs. Analizziamo prima di tutto ciò che propone UNAPROA in un suo comunicato: “Ciclicamente ci troviamo a fronteggiare problemi del settore, ma quest’anno la campagna è particolarmente sotto tono, con prezzi inferiori al 40%. Caduta delle quotazioni dovuta ad una complessa congiuntura di fattori (decremento dei consumi, circostanze climatiche, forte deperibilità del prodotto, crisi economica). Risultato è un prezzo pagato al produttore inferiore al costo di produzione e che non coincide con un abbassamento del prezzo per il consumatore finale, che si mantiene alto e non proporzionale al valore d’acquisto pagato al produttore. Sono totali oneri del produttore i costi che garantiscono al consumatore salubrità e sicurezza del prodotto, mentre l’onore di questa eccellenza viene del tutto incassato dal distributore che, a suo esclusivo vantaggio, ne fa leva di marketing verso l’acquirente”. Devo dire che, se prendiamo per buone le considerazioni sopra riportate, l’idea di sospendere la produzione di pesche rappresenta una soluzione estrema ma anche terribilmente umana. E’ immaginabile una economia che costringa il produttore ad avere costi superiori ai benefici? Evidentemente no! Ma sarebbe da sonnambuli ridurre la questione solo alla asimmetrica ripartizione dei ricavi tra produttori e distributori. A mio avviso esiste anche un problema insidioso legato a ciò che potremmo definire “l’impatto della percezione del consumatore sulla qualità del prodotto”. Perché a livello di consumo registriamo una netta caduta della “soddisfazione” dei clienti? Evidentemente, tanto per usare un linguaggio semplice, le pesche non sono percepite come “buone”, “salutari” etc. Perché la gente non le mangia più? Cosa dobbiamo fare per trasformare il loro consumo in una esperienza positiva? Vi propongo di riflettere su queste quattro idee risolutrici: Ritrovare la fiducia del cliente (o la cultura del cliente): non intendo prioritariamente il buyer della GDO o il

Renzo Angelini Direttore editoriale distributore bensì il consumatore che, acquistando una pesca, si aspetta una qualità intesa come gusto e non come semplice rispondenza a disciplinari, protocolli, rintracciabilità ecc., che rendono i costi insostenibili senza dare una percezione di valore a chi acquista. Razionalizzare e finalizzare a questo obiettivo le varietà ed il percorso di filiera, per garantire la qualità percepita, sono punti inderogabili. Promuovere una cultura di marca o di brand che permetta al consumatore di riconoscere e associare la qualità percepita negli acquisti precedenti, per confermare o evitare quella offerta. Chi ha deciso che le pesche possono essere solo commodity? Rivalutare il legame con il territorio (IGP e DOP): i nostri produttori, destinatari per anni di ingenti fondi europei, stanno perdendo la loro visibilità per garantire al distributore di approvvigionarsi unicamente in base al prezzo di acquisto. Ribaltare l’attuale soffocamento significherebbe “premiare” le produzioni nazionali informando il consumatore che quell’acquisto è più sostenibile (risparmio di risorse) e può aiutare la ripresa economica. Infine, occorrerebbe una decisa azione per favorire l’aggregazione della offerta e della comunicazione, superando i campanilismi, le settorializzazioni, le distinzioni che hanno contribuito a creare questa situazione. L’efficacia del mio punto di vista quindi dipende dall’integrazione delle quattro decisioni che vi ho brevemente descritto. L’obiettivo finale deve essere la trasformazione del consumo di pesche e ortofrutta in una esperienza di piacere. E quando parlo di piacere intendo la necessaria fusione tra il gusto estetico e il benessere psico-fisico. Infatti mi piace ricordare che la posta in gioco di tutta questa faccenda è superiore ai pur importanti fattori economici. Consumare frutta fa star bene gli individui e di conseguenza migliora il capitale umano del nostro Paese.

03


Karpòs Magazine APRILE 2014

Direttore editoriale Renzo Angelini Direttore responsabile Lamberto Cantoni

03 Sospendere la produzione di pesche? Ma poi cosa facciamo? Renzo Angelini

Iscr. trib. di Forlì n° 3/12 del 4/5/2012 variazione in corso di registrazione Proprietario ed editore della testata Karpòs S.r.l. Via Zara 53 - 47042 Cesenatico (FC) CF 04008690408 - REA 325872

28 Pesche e nettarine Stefano Foschi

Grafica Francesca Flavia Fontana Giulia Giordani pixelandlove@gmail.com

62

Raccolta pubblicitaria Per contatti cell 335 6355354 pubblicita@karposmagazine.net

Albicocco Stefano Foschi

Relazioni Esterne Stefania Valentini stefania.valentini@karposconsulting.net (+39) 347 4389829

10 Anguria Giovanni Nicotra, Pietro di Benedetto

46 Il melone italiano Luciano Trentini

78 Castelli della Loira Renzo Angelini

Stampa Centro Stampa Digitalprint Srl Via A. Novella, 15 47922 Viserba di Rimini (RN) Tel. 0541 - 742974 / 742497 e-mail: info@digitalprintrimini.com

96 Distribuzione in abbonamento: on line tramite carta di credito, bonifico bancario, cartolina postale (scaricabile del sito www.karposmagazine.net cliccando su contatti) oppure chiamare il numero +39 347 4389829 Edizione “Premium” 12 numeri = 84€ copie arretrate 12€ a copia (salvo disponibilità). Edizione “Country” 12 numeri = 42€ copie arretrate 7€ a copia (salvo disponibilità).

Le erbe selvatiche nella storia del cibo Nello Biscotti

132 The Wedge e Seward Daniele Tirelli

120 CSO: i consumi di frutta e verdura in Italia Elisa Macchi


CALEIDOSCOPI Per le fotografie: pag. 13,16,22 Giovanni Nicotra e Pietro Di Benedetto pag. 20,21 F. F. Fontana pag. 66,67,74 Stefano Foschi da pag. 132 a pag. 144 Daniele Tirelli Tutte le altre fotografie: © Renzo Angelini In copertina: Still life di anguria © F. F. Fontana

06 07 08

Polselli CIPPT

Selenella

09 24 25

Prosecco Mionetto Luciana Mosconi Mela Val Venosta

26 27 40

Gluten free expo

Isola Bio Nutraceutica forum II Farmo S.P.A.

OPO Veneto

Illy

@

Choko district di Pisa Oro caffè

www.karposmagazine.net

Assica, salumi italiani

45

Cereali integrali

https://www.facebook.com/karposmagazine1

Diffusione online Karpòs Magazine viene inviato gratuitamente a una community di oltre 200.000 destinatari; consumatori, università, istituzioni, industrie, Grande Distribuzione Organizzata, Ho.Re.Ca. fornitori di mezzi tecnici e servizi, associazioni, agroindustrie, produttori, tecnici e centri media.

Assica, giovani imprenditori

44

https://twitter.com/KarposMagazine

Pneumatech

Maestri della frutta

42 43

60 61 76 77 117 118

119 131 145 146

Evolution Travel

Unaproa Sipcam Livingcap

Non si restituiscono testi, immagini, supporti elettronici e materiali non espressamente richiesti. La riproduzione anche parziale di articoli e illustrazioni è vietata senza espressa autorizzazione dell’editore in mancanza della quale si procederà a termini di legge per la quantificazione dei danni subiti. L’editing dei testi, anche se curato con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali errori o inesattezze, limitandosi l’editore a scusarsene anticipatamente con gli autori e i lettori. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero di chi lo ha scritto e pertanto ne impegna la personale responsabilità. Le opinioni e, più in generale, quanto espresso dai singoli autori non comportano alcuna responsabilità da parte dell’editore anche nel caso di eventuali plagi di brani da fonti a stampa e da internet. Karpòs rimane a disposizione di altri eventuali aventi diritto che non è stato possibile identificare e contattare.


CALEIDOSCOPIO

CALEIDOSCOPIO

POLSELLI: TRIONFO DELLA PIZZA CON I SALUMI EMILIANI

06

Il segreto è nell’impasto : farina senza additivi proveniente da grani selezionati non ogm ed un lievito naturale. L’arte è del pizzaiolo Davide Palladinelli che è riuscito a miscelare in modo perfetto gli ingredienti, esaltati nelle loro qualità organolettiche da una lenta lievitazione che ha sfiorato le 36 ore. Il merito è di Polselli, l’azienda del centro Italia leader nella produzione di farine di qualità. Lo scenario è stato quello del Cibus dove le eccellenze gastronomiche italiane la fanno da padrone. In questo ambito si sono collocate le due degustazioni che hanno visto protagonista da un lato la pizza, frutto di studi di un team di esperti che hanno volutamente creato un prodotto speciale ad alta digeribilità, e dall’altro i due più

conosciuti salumi dell’Emilia: il Prosciutto di Parma D. O. P. e la Mortadella di Bologna I. G. P. Farina “Vivace”, lievito “Natura” entrambi a marchio Polselli e poco sale nell’impasto; così è stata concepita la focaccia bianca, regina dell’evento, che ha attirato l’attenzione dei tantissimi visitatori presenti nello stand dell’azienda molitoria. La mortadella è stata utilizzata anche per farcire un altro tipo di pizza realizzata con la farina “Super” denominata “alla pala” molto più sottile, appena sporca di pomodoro e particolarmente croccante così come vuole la tradizione Romana. Alle degustazioni di Polselli, storica e solida realtà imprenditoriale con sede nel Lazio, ha partecipato anche una delegazione di studenti del Dipartimento di Economia e Giurisprudenza dell’Università di Cassino e del Lazio Meridionale in visita tecnico-didattica. www.polselli.it


CALEIDOSCOPIO

“Con i piedi per terra” : dalle radici al futuro

CALEIDOSCOPIO

Tradizione e innovazione, ormai un leit motiv quando si parla di ruralita’. “Con i piedi per terra” lo mette in pratica attraverso puntate che raccontano davvero la storia e il futuro dell’agricoltura italiana. L’antica civilta’ contadina della pianura bolognese (dalla canapa alla mietitura) del Museo di Bentivoglio, le razze

di asini in via di estinzione dalla fiera agricola di Imola, le antiche arti nipponiche della coltivazione del riso, ma il tutto legato ad una nuova intraprendenza e a una nuova interattivita’ con il cittadino consumatore. Perche’ il riso per il sushi viene coltivato nelle risaie del vercellese, le razze di asini oggi recuperate danno vita a nuovi allevamenti e fattorie didattiche, e il museo contadino riscopre attivita’ come il pomario o la sfida di “Cerca nel cassetto”, vale a dire condividi sul web i ricordi del passato.

07

Questi solo alcuni spunti della programmazione, che vedranno anche un collegamento dalla Val d’Alpone (dove primeggia la ciliegia “golosa” che dura fino ad estate inoltrata, il vino col soave ma anche con l’autoctono durello, oltre all’olio delle colline veronesi), il reportage finale del corso di formazione per aiuto cuochi in cerca di professionalita’ e occupazione, e poi sipari tecnici importanti, per un impatto sempre piu’ soft sulle colture, dalla raccolta frutticola, alla patata, fino alla meccanizzazione del vigneto. L’appuntamento di “Con i piedi per terra” e’ sempre al sabato alle 12.30 e al martedì sera alle 21 su telesanterno, mentre al lunedi’ alle 20.30 arriviamo su Odeon tv, e ogni giorno in streaming live sul primo canale tematico agroalimentare Antenna Verde, anche sul digitale terrestre in Emilia Romagna (canale 656) e in veneto (canale 288) Per ogni informazione il nostro portale on line www.conipiediperterra.com


CALEIDOSCOPIO Selenella, per un’estate ricca di sapore!

CALEIDOSCOPIO

Selenella, patata 100% italiana, si fa portavoce di una sana e corretta alimentazione, senza però dover rinunciare al gusto e al benessere che i piatti tipici della nostra dieta mediterranea ci consentono di avere. Ogni anno infatti, con l’inizio della bella stagione, sono sempre di più le diete stravaganti che prendono piede con il miraggio di un dimagrimento facile, perdendo di vista l’obiettivo fondamentale che è la nostra salute. Il risultato? Inutili privazioni e pochi risultati.

08

Le patate in particolare sono tra gli alimenti che non dovrebbero mai mancare in un regime alimentare sano ed equilibrato. La patata infatti, assieme ai cereali, sta alla base dell’alimentazione umana e può essere utilizzata sia nelle diete iposodiche grazie all’ alto rapporto potassio/sodio, dovuto all’elevata concentrazione del primo e al basso tenore del secondo, sia nelle diete ipocaloriche. Infatti una porzione media di patate bollite e pelate (180 g) contiene circa 140 calorie, che è molto meno dell’energia contenuta nella stessa quantità di pasta bollita (286 calorie) o riso bollito (248 calorie).

Vero e proprio tesoro dal punto di vista nutrizionale ricco di qualità preziose, Selenella possiede quei nutrienti necessari al benessere e all’equilibrio del nostro organismo: contiene infatti amidi, vitamina C, vitamina B5 e sali minerali, in particolare potassio. Tra le principali proprietà, le patate hanno: Un elevato indice di sazietà (tre volte superiore allo stesso apporto di calorie del pane bianco!) Sono facilmente digeribili, quindi indicate anche per l’alimentazione infantile e geriatrica Risultano ideali per chi soffre di intolleranze ai cereali perché SENZA GLUTINE Selenella in più è fonte naturale di Selenio, potente antiossidante che rallenta il processo d’invecchiamento cellulare e contribuisce al buon funzionamento del sistema immunitario. SELENELLA, LA SICUREZZA IN TAVOLA Punto di forza di Selenella è la totale tracciabilità e certificazione di filiera: controllata e garantita dal Consorzio Patata Italiana di Qualità, da quando nasce fino a quando arriva sulla nostra tavola, le patate Selenella sono seguite con cura in ogni momento del percorso produttivo. Attraverso un processo di tracciabilità e rigorosi controlli pre e post raccolta, il Consorzio è in grado di offrire un elevato standard qualitativo. SELENELLA, UNA PATATA PER OGNI STAGIONE Selenella, patata unica nel suo genere, si distingue per il sapore ricco, di ottima consistenza. Gustosa e versatile, si adatta ad ogni stagione per piatti tradizionali o innovativi. Il profilo organolettico delle patate Selenella viene costantemente monitorato e garantito attraverso analisi sensoriali periodiche e da un’accurata selezione varietale che permette la migliore conservazione e versatilità di utilizzo culinario. www.selenella.it


CALEIDOSCOPIO

Ai molti successi nazionali ed internazionali collezionati dalla storica cantina di Valdobbiadene, un nuovo riconoscimento arriva proprio dalla sua terra di origine. Mionetto ha ottenuto con il Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG Rive di Santo Stefano Millesimato Brut Luxury Collection, la “Fascetta d’Oro” nella sezione Conegliano Valdobbiadene Prosecco DOCG Rive Spumante Brut. La “Fascetta d’Oro” è il primo concorso nazionale dedicato al Conegliano Valdobbiadene, ed alle sue prestigiose eccellenze. L’obiettivo è quello di esaltare la migliore produzione enologica di un territorio straordinario, facendola conoscere ai consumatori ed agli operatori del settore. Vengono dunque presentate al pubblico le varie tipologie dei vini più caratteristici delle 15 Mostre della Primavera del Prosecco Superiore, premiando lo sforzo delle aziende e motivando così ad un continuo e costante miglioramento qualitativo della loro produzione. Le premiazioni si sono tenute venerdì 27 giugno, nel corso della serata finale di “Primavera del Prosecco Superiore”, presso l’Aula Magna Università Campus Scuola Enologica di Conegliano. Al termine della cerimonia, un brindisi per i vini vincitori, accompagnato dallo Show Cooking di Giovanna Walendziak, concorrente dell’ultima Edizione di MasterChef Italia. Martedì 1 luglio, a Pieve di Soligo, in occasione di “Pieve di Sera”, è stato possibile degustare i vini premiati; un’occasione per il pubblico di assaporare queste eccellenze, fiore all’occhiello di un territorio ricco di peculiarità. Il Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG Rive di Santo Stefano Millesimato Brut è l’ultima preziosa novità dell’esclusiva Luxury Collection, la linea di prodotti d’eccellenza che Mionetto dedica esclusivamente al canale Ho.Re.Ca. Spumante dal colore giallo paglierino accompagnato da lievi riflessi verdognoli, solcato da un perlage fine e persistente, il Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG

Rive di Santo Stefano Millesimato Brut è sontuoso, esuberante, complesso nei suoi sentori che ricordano la mela verde e la pera, con intense note agrumate e di fiori bianchi. Acidità e sapidità risultano bene equilibrate con la giusta e moderata ricchezza zuccherina residua. Si esprime al meglio con crudità di mare e con il pesce più ricercato. I ”Rive” sono prodotti per scelta dalle aziende che vogliono esaltare le sottozone dell’area Valdobbiadene DOCG. Mionetto ha scelto le Rive di Santo Stefano perché cuore di un’area, quella del DOCG, dove suolo, esposizione e microclima ne sanciscono la particolare vocazione alla coltivazione di quel generoso vitigno che è il Glera. L’alta qualità dei prodotti Mionetto è premiata anche dal mercato. La cantina ha registrato una crescita positiva nel 2013, con un fatturato totale di 56.5 milioni di Euro. Il mercato italiano segna un incremento del 5,1% mentre sui mercati internazionali il brand è in continua espansione con eccellenti performance negli Stati Uniti, dove opera Mionetto USA Inc. dal 1998 e dove Mionetto rappresenta il brand di Prosecco più venduto, con un + 28% rispetto al 2012.

www.mionetto.com

CALEIDOSCOPIO

Un nuovo riconoscimento per il Prosecco Mionetto Il “Rive di Santo Stefano” della Luxury Collection si aggiudica la “Fascetta d’Oro” al primo concorso nazionale dedicato al Conegliano Valdobbiadene

09


ANGURIA

E’ il frutto simbolo dell’estate, dissetante e rinfrescante, ricco di vitamine e sali minerali; sulle nostre tavole è disponibile la produzione italiana durante tutta la stagione calda. La tipologia di anguria più diffusa è ancora quella allungata con pezzature di 10-14 kg ma le novità sono le mini angurie, di 1,5-3 kg, nate per soddisfare le esigenze dei nuclei familiari ridotti e le varietà senza semi. Giovanni Nicotra, Pietro Di Benedetto


ANGURIA GIOVANNI NICOTRA, PIETRO DI BENEDETTO

Agricoltura oggi

11


Il nome scientifico dell’anguria è Citrullus lanatus, si tratta di una cucurbitacea originaria dell’Africa tropicale, infatti richiede calore ed elevata luminosità per costruire una pianta che possiede una massa impressionante di radici, foglie e frutti; i tralci si distendono sul terreno fino a superare i 3 metri, e portano un carico di frutti notevole, che può superare i 35 kg per pianta. Esistono diverse tipologie di anguria, la più diffusa nel nostro paese è quella allungata, con buccia verde striata, tipo crimson, con pezzature da 10-14 kg fino a raggiungere i 20 kg, ma sempre di più si vanno si diffondendo pezzature più piccole, quelle delle mini angurie appunto, tra 1,5 e 3 kg, che vanno incon-

tro alle esigenze dei nuclei familiari ridotti e sono più pratiche da portare a casa. Sono molto interessanti la varietà senza semi, che hanno il pregio di poter essere conservate più a lungo. È il frutto simbolo dell’estate, dissetante e rinfrescante, ricco vitamine e sali minerali, sulle nostre tavole è disponibile la produzione italiana durante tutta la stagione calda, la regione dove si raccoglie prima naturalmente è la Sicilia, qui grazie alla serra (sia su suolo che su substrato) possiamo avere raccolte precoci da aprile – maggio (si trapianta già a gennaio), che continuano con il pieno campo, in giugno. In Campania la produzione in serra, che negli ultimi anni è in aumento, ar-

12 ANGURIA GIOVANNI NICOTRA, PIETRO DI BENEDETTO


Tessuto-non-tessuto utilizzato nelle serre

13 ANGURIA GIOVANNI NICOTRA, PIETRO DI BENEDETTO


14 ANGURIA GIOVANNI NICOTRA, PIETRO DI BENEDETTO


riva sulle nostre tavole da fine maggio a inizio giugno, per continuare con il pieno campo in luglio. Atre aree di eccellenza per la produzione di anguria sono la provincia di Latina, il metapontino, e diverse aree della Puglia, dove è diffuso principalmente il pieno campo, con raccolte in luglio. L’Emila-Romagna entra in produzione a partire dalla seconda metà di luglio, ed è la seconda regione per quantità prodotta dopo la Sicilia. I trapianti sono cadenzati in modo da avere produzione continua per tutto agosto e fino a settembre. Con tecnica della “forzatura”, che consente di

raggiungere temperature molto alte in serre coperte da film plastico, si ha un anticipo di produzione rispetto al pieno campo di circa un mese e mezzo. Nel pieno campo, a sua volta, i primi trapianti vengono protetti con tunnellini di piccole dimensioni (circa 50 cm di altezza), di film plastico, e in alcuni casi di tessuto non tessuto, che devono essere poi rimossi manualmente durante l’accrescimento. Questi ultimi possono essere impiegati anche in serra per garantire una maggiore protezione dal freddo nei trapianti precocissimi. Le piante utilizzate sono per la quasi totalità

15 ANGURIA GIOVANNI NICOTRA, PIETRO DI BENEDETTO


Ape su fiore

Allegagione.

16 ANGURIA GIOVANNI NICOTRA, PIETRO DI BENEDETTO


Anguria con semi

Anguria senza semi (semi abortiti)

17 ANGURIA GIOVANNI NICOTRA, PIETRO DI BENEDETTO


innestate. L’innesto erbaceo consiste nell’innestare appunto, la parte aerea (il nesto) della varietà selezionata per le qualità del frutto, poco sopra il colletto di un’altra piantina (il portainnesto), scelta perché la sua radice tollera i patogeni che naturalmente si trovano nel terreno, e che se non gestiti in questo modo potrebbero compromettere la qualità e la quantità prodotta. Le piantine innestate sono prodotte in vivai altamente specializzati, esse rappresentano un concentrato di ricerca e tecnologia e grazie al loro utilizzo è possibile ridurre di molto i trattamenti chimici al terreno. Sul mercato sono disponibili diversi portainnesti come ad esempio degli

ibridi di zucca, più vigorosi, spesso utilizzati in pieno campo, o la Lagenaria, meno forte, utile in serra o in terreni molto fertili, in modo da poter ottenere una pianta dalla crescita equilibrata adattata ad ogni ambiente di coltivazione.

18 ANGURIA GIOVANNI NICOTRA, PIETRO DI BENEDETTO


INNESTO ERBACEO

19 ANGURIA GIOVANNI NICOTRA, PIETRO DI BENEDETTO


Un aspetto di particolare importanza, specialmente per le produzioni precoci in serra, è l’impollinazione e la successiva allegagione dei frutticini, infatti, l’anguria è una pianta monoica con fiori maschili e femminili separati (dicline), e l’impollinazione è operata dalle api, le quali hanno bisogno della luce del sole per portare a termine il loro lavoro. Per questo devono trovarsi nelle migliori condizioni possibili, per dare il massimo anche quando una giornata piovosa ci regala poche ore di schiarite. Nelle zone di produzione di questa coltura si assiste quindi al fiorire di un’apicoltura specializzata nel fornire alle aziende dei nuclei dedicati, in modo particolare per la serra, che richiede delle arnie preparate ad hoc. L’uso delle api è un’ulteriore garanzia per il consumatore e per l’ambiente perché l’Apis mellifera è particolarmente sensibile agli insetticidi, si scelgono perciò agrofarmaci compatibili con le api, e si eseguono i trattamenti insetticidi e acaricidi solo quando strettamente necessari (gli afidi e il ragnetto rosso bimaculato sono fra i parassiti più pericolosi), e solo dopo un attento monitoraggio da parte di tecnici specializzati. Le sostanze attive utilizzate sono perciò selettive, ciò significa che sono efficaci contro il parassita pur avendo un’azione trascurabile o nulla contro gli artropodi non bersaglio. Un momento di particolare fascino è quello della raccolta, la prima persona che entra in campo è lo “staccatore”, un esperto che sa riconoscere i frutti maturi, i quali mostrano un acceso contrasto cromatico tra le striature chiare e scure, sono più lucidi perché perdono quella pruina caratteristica dei frutti in accrescimento, mostrano il cirro opposto al picciolo che inizia a seccare ed infine hanno la parte che tocca a terra, la “pancia”, che diventa gialla, a volte quasi bianca. I cocomeri così individuati vengono voltati a pancia in su con il picciolo reciso, in attesa degli addetti alla raccolta.

20 ANGURIA GIOVANNI NICOTRA, PIETRO DI BENEDETTO


21 ANGURIA GIOVANNI NICOTRA, PIETRO DI BENEDETTO


che lavorano per noi, non vediamo il loro operoso lavoro ma ne vediamo il frutto, un frutto made in Italy, ovviamente.

Al momento dell’acquisto è utile controllare il punto in cui il picciolo è reciso, se è secco il frutto è stato raccolto da molto tempo, se invece è turgido o addirittura trasuda ancora il frutto e fresco. L’anguria italiana è ottenuta nel rispetto di disciplinari di produzione integrata particolarmente rigidi, che costituiscono una garanzia di qualità per il consumatore e per l’ambiente. Mangiare questo frutto è dunque benefico per la salute e porta in tavola il buon umore, la stessa fetta del cocomero ha la forma del sorriso! Inoltre comprare una anguria significa premiare una filiera produttiva di eccellenza, che da occupazione a molte persone e nasconde un mondo di figure professionali

Giovanni Nicotra Agronomo - Antesia

Pietro Di Benedetto Agronomo - Antesia

22 ANGURIA GIOVANNI NICOTRA, PIETRO DI BENEDETTO


Consorzio di Tutela della Cipolla Rossa di Tropea Calabria IGP

>107 produttori

>600 ettari

>200.000

>Produzione

quintali certificati Via Roma . Vena Superiore 89900 . Vibo Valentia tel.-fax +39.0963.260631 info@consorziocipollatropeaigp.com www.consorziocipollatropeaigp.com

integrata


CALEIDOSCOPIO

CALEIDOSCOPIO

Con le Tagliatelle integrali all’uovo Luciana Mosconi il benessere comincia dalla buona tavola Porosa, tenace e fragrante, questa straordinaria specialità si sposa con ogni sugo ed esalta le preparazioni a base di pesce, verdure e formaggio

24

Non soltanto ricche di gusto, ma anche capaci di assicurare tanto benessere. Le Tagliatelle integrali all’uovo firmate Luciana Mosconi, oltre ad appagare il palato, portano in tavola il sapore intatto della natura. Adatto a chi è attento alla linea, ma non vuole rinunciare ai sapori della tradizione, questo prodotto del pastificio marchigiano si presta a un uso versatile in cucina. La semola integrale di grano duro è ricavata esclusivamente da chicchi integri, non privati, dunque, della crusca e del cuore. Poi, come accade anche per le “sorelle” che vengono sempre confezionate a Matelica (MC), lenti e accurati cicli produttivi fanno nascere una specialità che fonde, in un riuscito abbraccio, la semola integrale di grano duro e le uova fresche, dando vita a una tagliatella tutta da scoprire. Anche in questa variante, la tagliatella mantiene inalterate le qualità della classica all’uovo: porosità, tenacità e fragranza si ritrovano anche qui. Luciana Mosconi ha saputo reinventare una classica ricetta, donando un tocco nuovo a questo tipo di pasta. Gustate con pomodoro e basilico, secondo una tipica ricetta mediterranea che d’estate è particolarmente gradita, offrono sfumature di sapori tutti da godere e scoprire: sostanza e leggerezza possono andare di pari passo. Le Tagliatelle integrali Luciana Mosconi garantiscono una grande duttilità e, in cucina, sanno offrire il meglio nelle preparazioni a base di pesce, verdure e formaggio. Una delizia straordinaria in tutta la sua semplicità, capace di trasmettere i sapori della pasta come “fatta in casa”. Una pasta all’uovo integrale tutta da scoprire, in grado di appagare i gourmet più esigenti! Anche con questa linea, l’azienda si impegna a garantire

prodotti genuini di elevata qualità, valorizzando il lavoro delle risorse umane nel pieno rispetto delle tradizioni culinarie italiane, della gestione sociale dell’azienda e della salvaguardia dell’ecosostenibilità. A riprova di ciò, va ricordato come il 2013 sia stato un anno significativo per il brand marchigiano, non solo in termini numerici, ma anche per la conclusione del progetto messo in cantiere dall’azienda di Matelica con il Ministero dell’Ambiente per il calcolo dell’impronta ambientale della pasta all’uovo secca a marchio Luciana Mosconi. Company Profile La storia di Luciana Mosconi inizia tanti anni fa a Matelica, nel cuore delle Marche, quando la signora Luciana Mosconi, grande esperta di pasta all’uovo “fatta in casa”, decide di aprire insieme al marito, un laboratorio dove produrre con passione quello che sarebbe diventato uno dei prodotti più apprezzati dal mercato. Nel 1994, in seguito all’ingresso della famiglia Pennazzi di Ancona, il piccolo laboratorio si trasforma in un’industria moderna dalla forte vocazione artigianale. Ancora oggi la “ricetta della qualità” della pasta Luciana Mosconi vive inalterata in tutti i suoi prodotti. Le migliori semole e le uova più fresche si fondono in un processo a “doppio impasto”. La sfoglia così ottenuta viene lavorata in modo da ottenere la massima porosità e poi sottoposta ad un’essiccazione statica, protratta per oltre 24 ore a bassissima temperatura. Tra i punti di forza esclusivi della pasta all’uovo Luciana Mosconi, l’assenza di pressatura meccanica che evita stress termici alla sfoglia e lascia brillanti ed inalterate le elevate qualità organolettiche delle materie prime. Il risultato è una gamma di prodotti unici capaci di garantire un sapore senza compromessi. Presente da vent’anni sul mercato, il prodotto di punta di Luciana Mosconi è proprio la pasta all’uovo. La sfoglia tenace, ruvida e porosa è il risultato naturale di un procedimento che, in ogni passaggio, viene seguito da pastai di provata esperienza. Luciana Mosconi, inoltre, ha scelto di utilizzare in tutto il sito produttivo energia pulita, cioè proveniente da fonti rinnovabili come il sole. Esperienza, rispetto del cliente, controllo ossessivo della filiera e costante confronto con il mercato hanno portato l’azienda ad essere riconosciuta dai suoi consumatori come un brand di assoluta eccellenza e certezza, in grado di offrire specialità inimitabili. www.lucianamosconi.com


CALEIDOSCOPIO

“Quest’anno abbiamo avuto un andamento di mercato regolare – dichiara Josef Wielander, direttore VI.P, l’Associazione delle Cooperative Ortofrutticole della Val Venosta. Il piano di decumulo sta procedendo con flusso regolare come preventivato a inizio anno e proseguirà fino a metà agosto, garantendo l’uscita dai nostri magazzini di tutto lo stock e una copertura adeguata dei nostri clienti fino al prossimo raccolto. Nel periodo compreso tra fine giugno e il 10 luglio, causa le alte temperature, si verifica ogni anno un piccolo calo nel consumo di mele a favore di albicocche e piccoli frutti, tipologie di frutta più “estive”. Già dalla seconda metà di luglio però il consumo torna regolare. Per quanto riguarda il raccolto 2014, dal 10 settembre

avremo le mele nuove – conclude Wielander – Per il momento tutto sta procedendo in modo regolare e, anche se è presto per fare previsioni, ci sono le premesse per una buona raccolta. Il clima e le particolari condizioni geologiche nelle quali la mela Val Venosta nasce – prosegue Wielander - fanno di questa un prodotto unico e di altissima qualità apprezzato in Italia e in 48 paesi nel mondo: il nostro Paese si conferma anche quest’anno come mercato principale (ca. 55% del totale venduto), ma VI.P. resta presente in ben 48 mercati diversi (tra i principali Germania, Paesi Scandinavi, Spagna, Nord Africa e Medio Oriente) con l’export che rappresenta circa oltre il 40% del giro d’affari”. www.vip.coop/it/home/1-0.html

CALEIDOSCOPIO

Stagione positiva per Mela Val Venosta josef wielander, direttore di vi.p, l’associazione delle cooperative ortofrutticole della val venosta, commenta la fine della stagione commerciale 2013-2014

25


CALEIDOSCOPIO

CALEIDOSCOPIO

26

Illy presenta lo studio sul miele di caffè Per la prima volta il laboratorio di ricerca AromaLab e l’Università di Padova caratterizzano la monovarietà e i suoi marker di autenticità Alla dodicesima “Conferenza sulle applicazioni della risonanza magnetica in campo alimentare” di Cesena, illycaffè ha presentato i risultati di un’importante studio in campo agroalimentare sul miele unifloreale di caffè. AromaLab, uno dei laboratori interni di analisi e ricerca di illycaffè, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università di Padova ha analizzato per la prima volta il miele unifloreale di caffè, una monovarietà rara e ancora poco conosciuta proveniente dalla regione di Tolima in Colombia. La ricerca ha permesso di caratterizzare il campione di miele uniflorale di caffè e di individuarne i marker, che esprimono il grado di autenticità di questa particolare monovarietà. Il miele, prodotto da api che hanno visitato quasi esclusivamente fiori di caffè, contiene piccole quantità di caffeina e altre sostanze che per tipologia e quantità non sono presenti nei mieli comuni. Lo studio è nato da un progetto pilota portato avanti della Fondazione Ernesto Illy - ente da sempre impegnato nella ricerca scientifica attraverso la realizzazione ed il sostegno di importanti programmi in partnership con Università, Istituzioni ed Enti d’eccellenza - e i produttori colombiani di caffè con l’obiettivo di promuovere l’apicoltura da affiancare alla attività di coltivazione del caffè delle comunità più disagiate, così da creare una migliore gestione della piantagione ed anche un’economia collaterale e sostenibile. Pare infatti che le api contribuiscano a incrementare le produzioni di caffè di qualità, con inoltre la possibilità di ottenere un miele davvero speciale e altri prodotti derivati. É un’attività ad oggi quasi inesistente, il cui sviluppo potrebbe aiutare le popolazioni a creare una fonte aggiuntiva di reddito e creare un modello economico amico dell’ambiente e applicabile in tutte le zone caffeicole. www.illy.com


CALEIDOSCOPIO

Il 300esimo “Maestro della Frutta” è entrato a far parte del Club di dettaglianti specializzati promosso da Dole, Marlene® e Valfrutta che ha come obiettivo principale la creazione di un punto di contatto - i fruttivendoli Maestri della Frutta – tra il consumatore finale e i prodotti dei tre brand. Dopo pochi mesi dal lancio del progetto, i 300 dettaglianti che sostengono il “meglio, sotto casa” dei prodotti ortofrutticoli sono presenti in 6 regioni italiane e in più di 10 bacini che orbitano attorno a mercati ortofrutticoli di riferimento. Grazie al perno fondamentale su cui si basa il progetto, ossia il rapporto di fiducia tra Area Manager dedicato e Dettagliante Specializzato, si sta creando un solido ponte che parte dalla produzione e arriva direttamente al consumatore grazie alla professionalità dei Maestri della Frutta. Maestri della Frutta, il meglio sotto casa, è il circuito nazionale di dettaglianti selezionati e partner di Dole, Marlene® e Valfrutta. Questo club esclusivo nasce dalla volontà dei tre grandi marchi di trasferire al consumatore il valore dei propri prodotti tramite l’esperienza del dettaglio tradizionale. Dole Italia è la filiale italiana della Dole Fresh Fruit Europe OHG, ramo della Dole Food Company Inc., prima azienda al mondo impegnata nella produzione, distribuzione e commercializzazione di frutta e verdura fresca. L’impresa, ora guidata da David H. Murdock, venne fondata nel 1851 alle Hawaii da James Drummond Dole. Oggi Dole, per milioni di persone al mondo, è sinonimo di qualità del prodotto, gusto e bontà: caratteristiche in cui riporre fiducia e che contribuiscono al raggiungimento del benessere quotidiano. Marlene® è il marchio di mele commercializzate da Vog, il più grande consorzio di frutticoltori in Europa, che raggruppa 5.000 produttori conferenti alle 16 cooperative. Marlene® nasce nel 1995 come uno dei primi marchi di ortofrutta in Italia, e oggi è

Buona parte dei fruttivendoli diventati Maestri sono già stati protagonisti della campagna radio veicolata in diverse fasi dell’anno nelle emittenti locali più famose, raccogliendo ottimi apprezzamenti sia da parte dell’attuale clientela del negozio, sia da nuovi clienti, arrivati grazie al progetto. Oltre ai 300 dettaglianti che si possono già trovare sul sito internet dedicato (www.maestridellafrutta. it), sono in attesa di entrare a far parte del progetto altri 50 aspiranti Maestri provenienti da tutta Italia che allargheranno ulteriormente la famiglia. Alla consegna della vetrofania che certifica il negozio come Maestro della Frutta, il Sig. Luca Mazzotti, 300esimo dettagliante aderente, ha voluto precisare “sono fiducioso che queste iniziative mi mettano in contatto diretto con i fornitori dei prodotti di alta qualità come Dole, Marlene e Valfrutta, che ogni giorno consiglio ai miei clienti mettendoci la faccia”. uno dei più conosciuti, grazie all’espansione in tutta Europa con particolare successo in Spagna. Il brand caratterizza le 11 varietà coltivate, 7 delle quali rilevanti sul mercato nazionale, dal 2006 riconosciute e garantite “Mela Alto Adige IGP/Südtiroler Apfel g.g.A.” che, insieme alle 5 mele club (Pink Lady®. Kanzi®, Jazz®, Rubens® e Modí®), costituiscono il patrimonio assortimentale di VOG. Valfrutta “la natura di prima mano” è il marchio che caratterizza i prodotti realizzati da oltre 17.000 produttori associati alle cooperative aderenti al consorzio Conserve Italia, realtà leader a livello nazionale nel settore. Il brand Valfrutta, nato nel 1972 per comunicare i valori cardine di ieri e di oggi: naturalità, genuinità e tradizione, dal 2008 è stato esteso dai prodotti trasformati a una gamma completa di prodotti freschi esclusivamente di provenienza italiana, coltivati con tecniche moderne e rispettose dell’ambiente.

CALEIDOSCOPIO

Maestri Della Frutta: già in 300 i dettaglianti che promuovono “Il Meglio, Sotto Casa”

27


PESCHE E NETTARINE Differenziare le tipologie gustative per segmentare il mercato. Stefano Foschi


PESCHE E NETTARINE Stefano Foschi

Agricoltura oggi

29


La specie pesco, Prunus persica spp., si caratterizza per una elevata diversificazione nell’ambito dei frutti che possono essere resi disponibili al consumatore: da un lato è sicuramente una opportunità per tutto il settore, dall’altro è un potenziale rischio quando, sul banco vendita, non vengono differenziate le diverse tipologie di frutto e relativo sapore, con conseguente disaffezionamento al prodotto “pesca”. La specie, oggetto di un forte interesse del breeding a livello mondiale, presenta un marcato ricambio varietale, che non sempre risponde alle esigenze agronomiche e qualitative di tutti gli attori della filiera. La prima distinzione può essere fatta sui frutti nelle tre tipologie commerciali pesca, nettarina e percoca; quest’ultima, esteticamente non dissimile dalla pesca, si caratterizza per una polpa definita “duracina”, che rimane soda

per tempi prolungati e che si adatta anche alla trasformazione industriale. La percoca è stata molto diffusa sul mercato del fresco grazie alle produzioni spagnole, greche e del sud Italia, dove ancora oggi si trova frequentemente esitata sui banchi vendita principalmente del dettaglio tradizionale. Relativamente al tipo di polpa, oltre alla ‘percoca’, si distinguono la polpa ‘fondente’, dall’inglese ‘melting’, e quella ‘stony hard’. La polpa fondente è quella classica di pesche e nettarine di prima introduzione, in cui la polpa tende a diventare deliquescente dopo la raccolta ed alla quale è associata, in genere, una buona succosità. Si parla di ‘stony hard’, letteralmente ‘dura come una pietra’, quando si considera una polpa che rimane soda e croccante per lunghissimi tempi, sia in pianta che in “shelf life”, con notevoli vantaggi durante la gestione del prodotto lungo tutta la filiera; la ‘stony

30 PESCHE E NETTARINE Stefano Foschi


hard’ al momento è una tipologia di polpa che ha trovato diffusione solo in ambiti produttivi orientali, asiatici, in quanto a questo tipo di polpa è associato un sapore a bassissima acidità e non troppo dolce, per i nostri gusti un poco sapido. Negli ultimi anni, con l’avvento della nettarina Big Top®, di origine californiana, si è imposta una tipologia che a livello scientifico viene definita ‘slow melting’, in quanto è una fondente molto rallentata, che permette una buona finestra di raccolta, ed una ottimale gestione dei frutti sia in pianta che nel post raccolta; oltre questo la polpa è croccante, e caratterizzata da sapore dolce a bassa acidità. Oltre alle caratteristiche sopra riportate, il sapore è notevolmente differenziato a seconda della tipologia gustativa considerata. I caratteri che definiscono il sapore, oltre agli aromi, sono il contenuto in zuccheri e il

tenore in acidi; possiamo quindi distinguere un sapore ‘tradizionale’, ben differenziato da quello ‘subacido’ e dal ‘dolce’ come riportato nella tabella. Tipologie gustative che caratterizzano la specie pesco

Gusto

Acido/Subacido

RSR (°Brix)

Tradizionale

Acido

Dolce

Subacido

Subacido

Subacido

12 (precoci) 14 (medie) 16 (tardive) 12 (precoci) 14 (medie) 16 (tardive) 8-10 (precoci) 12 (medie) 14 (tardive)

Acidità (meq) 11-15

5-10

<5

Ad oggi, svariate indagini svolte attraverso panel e consumer test indicano la tipologia ‘dolce’ come quella preferita dal consumatore.

31 PESCHE E NETTARINE Stefano Foschi


32 PESCHE E NETTARINE Stefano Foschi


Altro carattere che può creare segmentazione nel comparto pesca è la forma del frutto, in quanto accanto alla classica forma rotondaoblunga è possibile trovare frutti a forma piatta, che sono conosciuti come pesche ‘platicarpe’ o in alcuni casi anche ‘tabacchiere’ (Sicilia). Abbiamo quindi una miriade di possibilità, anche perché non da ultimo si deve considerare anche il colore della polpa, che può essere giallo o bianco; da ricordare che in genere le pesche a polpa bianca sono portatrici di molti aromi, per cui risultano ben apprezzate al consumo, anche se nelle vecchie cultivar presentavano una eccessiva sensibilità alle manipolazioni del post raccolta.

33 PESCHE E NETTARINE Stefano Foschi


la tipologia dolce, ma anche cultivar a sapore tradizionale sono state brevettate. La situazione produttiva italiana e comunitaria presenta oggi un mix varietale molto omogeneo esteticamente, ma eterogeneo dal punto di vista organolettico, in quanto coesistono vecchie e nuove cultivar; questo crea notevoli problemi a livello commerciale, in quanto vengono esitate, ad esempio, le tipologie “pesche gialle” o “nettarine gialle” che presentano nei diversi periodi di maturazione cultivar a diversa tipologia gustativa; il consumatore si ritrova quindi ad acquistare Big Top®, nettarina gialla dal sapore dolce, nel

La tabella riassume tutti i caratteri che possono trovarsi all’interno di un prodotto, quando un consumatore si appresta ad acquistare e degustare una pesca. A livello commerciale anche il sovra colore presenta la sua importanza, in quanto l’aspetto estetico rappresenta il primo criterio di scelta quando ci si appresta all’acquisto; ne consegue che negli ultimi anni il breeding ha selezionato verso cultivar molto sovra colorate di rosso, proponendo frutti a forma rotonda regolare, con polpa fondente a lento intenerimento; sul sapore ha selezionato verso

34 PESCHE E NETTARINE Stefano Foschi


periodo di giugno-luglio, mentre se approccia le nettarine gialle in agosto è probabile che acquisti la vecchia Stark Red Gold, oppure Sweet Red o Sweet Lady, dal sapore aromatico ma acidulo, tradizionale. Il rischio a mio avviso, è il disorientamento del consumatore, che nel dubbio tende ad escludere dal proprio paniere il prodotto pesca-nettarina. La presenza sul banco vendita di prodotto praticamente indifferenziato, è a mio avviso

una carenza di tutta la filiera, in quanto tutti a parole si spendono per la qualità, poi nei fatti viene fatto poco o niente. Nel caso della specie pesco ritengo si debba individuare per ciascuna linea circa 7-10 varietà, coltivate e adattate in ambienti diversi, da Sud a Nord del Paese, in modo da conferire omogeneità di prodotto e continuità nel conferimento dello stesso; evitare un eccessivo numero di varietà è a mio avviso un prerequisito per non

35 PESCHE E NETTARINE Stefano Foschi


generare troppa confusione a livello di commercializzazione e distribuzione. Per ciascuna linea gustativa vanno scelte le varietà con le migliori potenzialità agronomiche e organolettiche, che andranno poi espresse con idonee tecniche di gestione colturale ed una ottimale operazione di raccolta, soprattutto stabilendo precisi indici di maturazione; a tal proposito sono in commercio strumentazioni non distruttive, come ad esempio il DAmeter brevettato dall’Università di Bologna, che sono in grado di affiancare i tecnici e gli agricoltori nella scelta del giusto momento di raccolta, e a magazzino possono suddividere il prodotto in diverse classi di maturazione e qualità. Varietà di qualità e idonee dal punto di vista agronomico, buona gestione della raccolta, e poi una adeguata strategia di marketing e valorizzazione del prodotto; il marketing deve essere associato alle specifiche caratteristiche gustative del prodotto, valorizzandone le peculiarità e garantendo un minimo livello qualitativo (esempio: prodotto con Residuo secco Rifrattometrico superiore a…). Va considerato che i consumi di frutta oggi sono in calo, e ciò non è dovuto solo alla crisi di cui tanto si parla, come sistema Italia dobbiamo fare la gara sulla qualità, sul sapore

36 PESCHE E NETTARINE Stefano Foschi


La tabella riassume tutti i caratteri che possono trovarsi all’interno di un prodotto, quando un consumatore si appresta ad acquistare e degustare una pesca. Differenti tipologie di frutto che caratterizzano la specie pesco

Tomento Colore Polpa

Forma

Polpa

Sapore

Pesca

Bianca

RotondaOblunga

Fondente (Melting)

Tradizionale

Nettarina

Gialla

Piatta

Duracina (Non Melting)

Dolce

Stony hard Subacido Fondente a lento intenerimento (Slow melting)

37 PESCHE E NETTARINE Stefano Foschi


delle nostre produzioni, perché se gareggiamo sui prezzi di produzione non saremo mai vincenti con paesi che pagano infinitamente meno manodopera e mezzi tecnici. Vendia-

mo il sapore delle nostre produzioni, e non il colore; è vero che si compra con gli occhi, ma si ricompra sulla base dell’esperienza gustativa dei primi frutti acquistati. Vogliamo fare linee gustative differenziate? Ne abbiamo la possibilità e mi permetto di suggerire questi slogan, “Dolce e Croccante” per le pesche e nettarine con polpa e sapore tipico della Big Top, e “Succosa e Dissetante” per la tipologia a gusto classico….è un esempio, un suggerimento, un tentativo di movimentare la situazione, altrimenti saremo sempre in attesa di un anno di scarica, o di sfortune altrui, per avere prezzi che coprono i costi di produzione.

alcune varietà e relative linee gustative NETTARINE GIALLE linea “DOLCE E CROCCANTE” (in ordine di maturazione dalla più precoce): Big Bang, Rebus 028, Carene, Big Top, Rebus 038, Romagna Big, Gea, Romagna Giant, Dulcis e Dulciva NETTARINE GIALLE linea “SUCCOSA E DISSETANTE”: Early Bomba, Ambra, Big Haven, Amiga, Stark Red Gold e Sweet lady PESCHE GIALLE linea “DOLCE E CROCCANTE”: Sugar Time, Royal Glory, Royal Summer, Lami Dolza 3 e Royal Estate PESCHE GIALLE linea “SUCCOSA E DISSETANTE”: Pulchra, Bordo’, Azurite, Zee Lady e Royal Jim. Al momento tutte queste varietà vengono vendute senza distinzione alcuna se non per pesche e nettarine; per quanto ancora ce lo potremo permettere?

Stefano Foschi CRPV, Cesena

38 PESCHE E NETTARINE Stefano Foschi



CALEIDOSCOPIO Il choko district di Pisa, una scoperta per veri gourmand

CALEIDOSCOPIO

Il nuovo Eldorado del cioccolato? Senza dubbio la Toscana! Oltre al vino, all’olio, alla pasta, ai formaggi apprezzati in tutto il mondo, tra i prodotti made in Pisa che stanno conquistando una ribalta internazionale sempre più prestigiosa, troviamo il cioccolato artigianale di alta qualità.

40

Il nostro itinerario inizia a Pisa, in Borgo stretto, vicino quella che viene considerata la casa natale di Galileo. Al numero civico 44, troviamo Salza, dove basta guardare le vetrine per capire con chi abbiamo a che fare. E’ qui che molti pisani vengono a bere la famosa cioccolata in tazza di Salza, considerata una vera e propria istituzione pisana: una cioccolata superbamente densa di cui nessuno è mai riuscito a scoprire la ricetta. Silvio Salza nel 1928, dopo molti anni di lavoro a Torino, apre a Pisa, iniziando a produrre le sue specialità: cioccolato, gianduiotti, biscotti al cioccolato. La prelibatezza delle

sue creazioni e la fama che riuscì a conquistare fu tale che dal 1931 la ditta Salza conquistò il titolo di “costante fornitore della Real Casa”. Proprio nella cioccolateria di Salza la Regina Elena ordinava le scatole di cioccolatini che poi distribuiva ai suoi collaboratori prima di rientrare in autunno al Quirinale! Camminando attraverso Borgo Largo si arriva poi in via Bianchi 92 da Panna e Cioccolato, dove il cioccolatiere Antonio Ferrera presenta i suoi 25 tipi di praline: dai tartufi alle spezie ai cioccolatini con ripieno di caramello e lampone fino alle deliziose mousse al cioccolato e frutta. Ritornando verso Piazza dei Miracoli, arriviamo in via Uguccione della Faggiola, dove al n°20 soggiornò Giacomo Leopardi, di cui era nota la sua golosità tanto che durante il suo soggiorno a Pisa si ricorda che “faceva colazione alle otto con cioccolato e caffè”. Ci spostiamo poi al n°5 del Lungarno Pacinotti, dove troviamo la cioccolateria De Bondt, scelta dalla


Anche a Cascina, presso il laboratorio artigianale di cioccolata Chokolade Claro, è possibile seguire un corso tenuto dal maestro cioccolatiere Roberto Molesti, classificatosi spesso tra i World Chocolate Masters. Proseguendo in direzione Pontedera, scopriamo Amedei, fondata nel 1990 dai fratelli Alessio e Cecilia Tessieri, che hanno scelto il nome dell’azienda dal cognome della nonna materna Vendica Amedei. Cecilia è stata la prima “Maitre chocolatier donna” al mondo, una delle poche cioccolaterie che riesce a controllare tutta la filiera della produzione, dal seme alla tavoletta, curando tutte le fasi, è stata più volte premiata dall’Accademy of Chocolate di Londra. In particolare, per il 2009, le sono stati attribuiti due Golden awards: al Porcelana, un cacao “crollo”, ed

La storia del cioccolato in Toscana ed il gelsomino di Cosimo III Una nota storica conferma quanto la Toscana sia sempre stata vicina al cacao ed alle sue declinazioni: fu infatti un fiorentino, il mercante Francesco D’Antonio Carletti, che si deve il merito dell’introduzione del cioccolato in Italia e soprattutto in Toscana, al ritorno da un viaggio intorno al mondo durato dal 1594 al 1606, durante il quale visita «tutto l’Universo dall’Indie Occidentali alle Orientali» e le piantagioni di cacao americane. Già nel 1606, quindi, in Italia si produceva cioccolato, a Firenze e a Venezia. Fu in Toscana vennero inventate ricette a base di cioccolato, custodite niente meno che da Cosimo III de’ Medici nella cassaforte della Fonderia di Palazzo Pitti come la cioccolata al gelsomino che come scriveva Francesco Redi veniva preparata con “scorze fresche de’ cedrati e de’ limoncelli, e l’odore gentilissimo del gelsomino, che mescolato colla cannella, colle vaniglie, coll’ambra e col muschio fa un sentire stupendo a coloro che del cioccolatte si dilettano”. Nel ‘600, quindi, in Toscana, la cioccolata era protagonista nella vita di corte, si trovava soltanto liquida e veniva bevuta calda dopo un’apposita lavorazione manuale, inoltre, diluita con il latte, e non più con l’acqua, la bevanda al cioccolato prese il nome di “cioccolatte”.

al Toscano Black 70% che a Pontedera si possono acquistare presso la Bottega del Caffè in corso Matteotti, insieme ad un vasto assortimento di prodotti. Partendo da Pontedera, ci dirigiamo verso Cascine di Buti, dove troviamo la torrefazione artigiana di caffè e cacao Trinci. Qui il chocolatier Andrea è responsabile del presidio cacao e caffè per Slow Food e collabora con una cooperativa di agricoltori in Venezuela, insegnando loro a produrre le tavolette direttamente dove nasce il cacao. Nel suo laboratorio produce tavolette di cioccolato fondente non concato, ovvero realizzato senza la conca, procedimento che permette di ottenere un prodotto più cremoso e omogeneo. La sua specialità sono le barrette di fondente al 75% con nibs, miele biologico del parco di San Rossore e vaniglia in bacche, oltre alla la tavoletta latte e caffè, realizzata con polvere pura di caffè. A pochi km di distanza da Pontedera, in località Capanne, si trova la Menichetti Cioccolato, aperta nel 2003 dall’ex produttore discografico Riccardo Menichetti. Un’azienda, quella di Riccardo, che dopo aver dedicato molti anni alla musica, ha deciso di seguire il suo sogno, aprendo una cioccolateria ed esprimendo anche in questo campo la sua eclettica creatività come la pralina dedicata alla Festa della donna al gusto di mimosa! Un viaggio nella dolcezza quello da fare nel choko district di Pisa, che incrocia passato e presente, senza mai dimenticarsi della qualità!

La Toscana detiene anche un primato storico per lo sviluppo di una cultura intorno ai temi del cacao e del cioccolato. Infatti, nei fondi librari Magliabechiano e Palatino della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, sono raccolti numerosi scritti che testimoniano, a partire dal 1600, un acceso dibattito sul “cioccolatte”, in quanto diluito con il latte e non più con l’acqua, e sui suoi consumi ad opera di celebri uomini di scienza e cultura come Francesco Redi e Lorenzo Magalotti, anch’egli, laureatosi in a Pisa. In particolare, Lorenzo Magalotti, creatore di nuove mode presso la corte medicea, aveva lanciato un nuovo modo per gustare la cioccolata, cioè di assaporarla nei “giorni ardenti” del solleone ghiacciandola dentro la sorbettiera, trasformando così il “superbo cioccolate”, già “terror del crudo inverno”, in “vezzo della state”.

CALEIDOSCOPIO

“Compagnia del Cioccolato” come migliore cioccolateria italiana del 2009. Due i prodotti che gli hanno fatto conquistare questo titolo: la tavoletta al 70% e la tavoletta spezie ed agrumi. Tra le numerose tavolette, la più famosa tra i turisti, è quella dedicata a Pisa caratterizzata dai pinoli del Parco regionale di Migliarino–San Rossore. Se volete provare una vera esperienza plurisensoriale insieme all’olandese Paul de Bondt e alla moglie Cecilia, recatevi a Navacchio, a pochi chilometri da Pisa, dove si tengono visite guidate, corsi di degustazione e stage formativi per l’approfondimento delle tecniche legate alla produzione del cioccolato.

41


CALEIDOSCOPIO

CALEIDOSCOPIO

ORO Caffè inaugura a Toronto una nuova sede commerciale La friulana ORO Caffè, torrefazione specializzata nella selezione, tostatura e miscelatura dei migliori caffè del mondo ha inaugurato a Toronto una nuova sede. Per l’azienda di Tavagnacco, forte della propria quota export che raggiunge il 45% e già ben avviata in un processo di internazionalizzazione, si tratta della prima filiale commerciale all’estero e la scelta di aprire in territorio canadese deriva da una proficua e costante collaborazione che perdura in questa nazione da più di un ventennio. Oggi ORO Caffè Inc. serve direttamente già 120 clienti tra bar, ristoranti e hotel e conta sull’importante collaborazione di grossisti operanti in Quebéc e Ontario.

42

ORO Caffè, torrefazione friulana specializzata nella selezione, tostatura e miscelatura dei migliori caffè del mondo, sulla scia di un forte processo di internazionalizzazione già ben avviato, ha aperto a Toronto una nuova sede. L’inaugurazione si è tenuta sabato 28 giugno 2014 alla presenza di Chiara De Nipoti e Stefano Toppano, titolari e fondatori di ORO Caffè, e delle loro figlie Elisa, export manager, e Ketty Toppano, responsabile filiale ORO Caffè Inc.. Come spiega Stefano Toppano: “L’idea di creare questa filiale nasce dalla nostra presenza quasi ventennale sul mercato canadese e dalla proficua collaborazione con

un agente locale con cui abbiamo instaurato un ottimo e consolidato rapporto. Inoltre, ad incentivarci nel prendere questa decisione è stato il fatto che le nostre figlie Elisa e Ketty, rispettivamente nel 2012 e nel 2014, hanno deciso di entrare in azienda, apportando così nuova linfa alla nostra attività. Per questo motivo, Ketty si è trasferita a Toronto e sarà lei a guidare in prima persona questo nostro progetto.” Al lavoro già dal mese di febbraio, Ketty Toppano commenta così questa importante avvenimento: “Ho accettato con orgoglio questo importante incarico per lo sviluppo della nostra azienda all’estero. La scelta di trasferirmi in Canada nasce da una passione che ho coltivato grazie al lavoro dei miei genitori e dal feeling che abbiamo sempre avuto con questo Paese che ha molto da offrire. Inoltre, non a caso, è proprio da questa nazione che ha origine il progetto Beyond Fair Trade® a sostegno dello sviluppo del caffè Doi Chaang e che noi per primi in Italia sosteniamo.” Già operativa da qualche mese, ORO Caffè Inc. conta oggi sulla collaborazione di 6 persone e serve direttamente circa 120 clienti tra bar, ristoranti e hotel, a cui offre anche il consueto servizio di assistenza alla macchine del caffè che da sempre contraddistingue la torrefazione friulana. Inoltre, per lo sviluppo del proprio business, ORO Caffè Inc. si affida anche a grossistI con sedi sia in Québec sia a Sudbury, sempre in Ontario, che si sono rivelati partner cruciali in questa fase iniziale di distribuzione dei prodotti e di primo approccio al marchio da parte del mercato canadese. “Il fatto di offrire un prodotto vero “Made in Italy” e di ottima qualità ci sta avvantaggiando in un mercato attento al nostro “Bel Paese” come il Canada, in cui peraltro è presente una delle più grandi comunità friulane all’estero, che saranno felici di trovare un po’ di calda friulanità anche così lontano da casa.” afferma con un sorriso Stefano Toppano. Oltre all’intenzione di sviluppare ulteriormente la presenza del marchio sul territorio canadese, l’azienda di Tavagnacco, approfittando della vicinanza geografica, sfrutterà in futuro la nuova sede anche come solida base per il lancio di ORO Caffè sul mercato americano, puntando a confermarsi portabandiera della cultura dell’espresso di qualità Made in Italy in territorio nordamericano. www.orocaffe.com


CALEIDOSCOPIO

L’Assemblea Generale del Gruppo Giovani Imprenditori di ASSICA (Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi aderente a Confindustria), tenutasi lunedì 16 giugno a Roma, ha confermato alla Presidenza del Gruppo per il biennio 2014 – 2016 Barbara Bordoni, del Salumificio Bordoni S.r.l. con sede a Mazzo di Valtellina (Sondrio). Nel corso dell’Assemblea sono stati inoltre nominati i due Vice Presidenti Giorgia Vitali (Salumificio Vitali Spa), confermata, e Silvia Sassi (Sassi Spa), nuova nomina, e il nuovo Consiglio Direttivo, composto da: Valentina Agnani (Suincom Spa), Simone Baldo (Baldo Industrie Alimentari Srl), Francesco Cattini (Salumificio Valtiberino Srl), Loris Largher (Salumificio di Casa Largher Srl), Alice Maini (Annoni Spa), Michelangelo Martelli (Martelli F.lli Spa), Nicoletta Montorsi (D’Autore srl), Lorenzo Mottolini (Salumificio Mottolini Srl), Luigi Reggiani (Gigi Il Salumificio Srl), Sara Roletto (Rugger Spa), Guglielmo Sassi (Salumificio San Pietro Spa). Barbara Bordoni ha ringraziato tutti per la fiducia accordata e per il sostegno ricevuto in questi anni del suo mandato. “Il Gruppo Giovani Imprenditori, di cui faccio parte dal 2010 e di cui sono presidente dal 2012, è sempre stato per me motivo di crescita personale e professionale. Essere imprenditori oggi richiede più che mai conoscenza, formazione e impegno e il Gruppo Giovani è un’occasione per sviluppare competenze e capacità anche grazie all’esperienza dei senior, che sono per noi un grande esempio” ha dichiarato Barbara Bordoni. La Presidente ha posto al centro dell’attività del Gruppo una serie di incontri istituzionali. “Vorrei ritornare a Bruxelles, alla Commissione europea e al Parlamento europeo, come già avvenuto due anni fa per approfondire meglio temi quali l’etichettatura, etc.” ha precisato il Presidente. Bruxelles non sarà il solo viaggio previsto dal Gruppo Giovani, prima avranno un incontro a Parigi, in occasione del SIAL. “Nel 2015, vorremmo organizzare una missione in USA in occasione della Winter Fancy Food che si terrà a San Francisco a Gennaio, per visitare una grande multinazionale del settore alimentare” ha concluso Barbara Bordoni.

Barbara Bordoni, Laureata in Economia e gestione aziendale e presso l’Università Cattolica del Sacro di Cuore di Milano, è impegnata nell’azienda di famiglia dove si occupa del settore commerciale, con particolare attenzione all’export e alla qualità. ASSICA, Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi, è l’organizzazione nazionale di categoria che, nell’ambito della Confindustria, rappresenta le imprese di macellazione e trasformazione delle carni suine. Nel quadro delle proprie finalità istituzionali, l’attività di ASSICA copre diversi ambiti, tra cui la definizione di una politica economica settoriale, l’informazione e il servizio di assistenza ai 160 associati in campo economico/ commerciale, sanitario, tecnico normativo, legale e sindacale. Competenza, attitudine collaborativa e affidabilità professionale sono garantite da collaboratori specializzati e supportate dalla partecipazione a diverse organizzazioni associative, sia a livello nazionale che comunitario. Infatti, sin dalla sua costituzione, nel 1946, ASSICA si è sempre contraddistinta per il forte spirito associativo come testimonia la sua qualità di socio di Confindustria, a cui ha voluto aderire sin dalla nascita, di Federalimentare, Federazione italiana delle Industrie Alimentari, di cui è socio fondatore, del Clitravi, Federazione europea che raggruppa le Associazioni nazionali delle industrie di trasformazione della carne, che ha contribuito a fondare nel 1957. www.assica.it

CALEIDOSCOPIO

ASSICA, GRUPPO GIOVANI IMPRENDITORI: BARBARA BORDONI CONFERMATA ALLA PRESIDENZA

43


CALEIDOSCOPIO

CALEIDOSCOPIO

2013, un anno difficile per i salumi italiani Cala la produzione e i consumi - Brilla solo l’export

44

Il 2013 è stato il terzo anno critico per i produttori di salumi. Il settore, come il resto del comparto alimentare, nonostante le connaturate doti anticicliche, ha continuato a mostrare una notevole debolezza legato alla stagnazione dei consumi e alla scarsa fiducia delle famiglie nel futuro. In un clima difficile, deteriorato dal prolungarsi della crisi, gli alti costi della materia prima e il rallentamento degli scambi hanno ulteriormente indebolito il settore. “Nell’anno più difficile dall’inizio della crisi per l’economia italiana e per i consumi interni l’export ha rappresentato senza dubbio l’unica forza del settore e questo grazie al fatto che produciamo prodotti che piacciono non solo ai Paesi europei ma soprattutto ai paesi terzi. Ma tutto questo rischia di non bastare. Manca infatti un sistema Paese che sostenga adeguatamente i nostri sforzi. La impossibilità – nonostante le tante risorse impegnate – di debellare definitivamente alcune malattie veterinarie negli allevamenti italiani limita la gamma dei prodotti esportabili e i Paesi di destinazione e ci espone continuamente al pericolo di chiusura dei mercati extra UE comportando ogni anno perdite per la filiera suinicola che si possono prudenzialmente stimare in circa 250 milioni di euro di mancate esportazioni” ha commentato Lisa Ferrarini, Presidente di ASSICA. “Manca, poi, una strategia di lungo periodo che, attraverso un adeguato stanziamento di risorse e professionalità, assicuri che gli accordi raggiunti in ambito comunitario o nazionale si concretizzino in aperture effettive per tutte le aziende del comparto e per tutti i prodotti. Troppo spesso, assistiamo, infatti, all’imposizione, da parte dei Paesi terzi, di vincoli burocratici che di fatto svuotano gli accordi di apertura dei mercati, rendendo impossibile o economicamente insostenibili le esportazioni” – ha concluso Lisa Ferrarini, Presidente di ASSICA. La produzione soffre ma tiene – Fatturato in lieve flessione La produzione di salumi, dopo un 2012 difficile, ha registrato nel 2013 una lieve flessione, scendendo a 1,179 milioni di tonnellate dalle 1,197 milioni dei dodici mesi precedenti (-1,5%). Sulla scia della produzione anche il fatturato ha registrato un cedimento, scendendo a 7.943 milioni di euro (-0,5%). Un andamento che rispecchia il contenuto aumento dei prezzi. “La flessione produttiva – continua la Presidente Ferrarini – evidenzia una sostanziale capacità di tenuta del settore.

In questa situazione ciò che ci preoccupa di più è la forte erosione della redditività aziendale. Appare evidente che la crisi ha compresso i margini della filiera in maniera non sostenibile nel medio periodo. L’aumento abnorme della pressione promozionale è apparsa una soluzione efficace per sostenere i consumi. Tuttavia deve essere chiaro a tutti che non può diventare la normalità, pena il fallimento delle imprese sia di produzione (macelli, trasformatori) sia di distribuzione. Dobbiamo in altre parole evitare il rischio che l’eccezionale diventi normale. L’auspicata ripresa dei consumi dovrà accompagnarsi a un ritorno verso livelli fisiologici di redditività per tutti”.” “Le nostre aziende soffrono da troppo tempo la burocrazia eccessiva, i costi dell’energia, la rigidità del mercato del lavoro: tutti aspetti che comprimono gli utili e non permettono alle imprese di crescere e di investire”. Nonostante la contrazione della produzione, prosciutto crudo e cotto, prodotti leader del settore, rimangono stabili al 48,8% in quantità e al 52,4% in valore. Ma analogamente a quanto accaduto nel 2012, anche nel 2013 prosciutto crudo e cotto hanno evidenziato rispetto all’anno precedente una flessione: più sostenuta i prosciutti crudi, più lieve i prosciutti cotti. La produzione di prosciutti crudi è infatti scesa a 291.300 ton (-1,9%), mentre quella di prosciutti cotti si è fermata a 283.800 ton (-0,9%). Diversi gli andamenti in termini di valore, con il prosciutto crudo che ha registrato ancora una flessione (-0,9% per 2.223 milioni di euro), e il prosciutto cotto sostanzialmente stabile (+0,2% per 1.943 milioni di euro). Ancora in calo sono risultate anche le quantità prodotte di mortadella, attestatesi sulle 170.800 ton (-2%) per un valore di 675 milioni di euro (-1,1%). Risultato positivo, invece, per i wurstel che hanno tagliato il traguardo delle 69.900 ton (+1%) per un valore di circa 245 milioni di euro (+1,1%), favoriti ancora una volta dal fattore prezzo e dalla dinamica domanda estera, soprattutto proveniente dall’est Europa. www.assica.it


CALEIDOSCOPIO

Nei cereali integrali l’arma segreta per dire addio ai chili di troppo. Orzo, farro, miglio e avena, quando non raffinati, vantano un alto contenuto di fibre, saziano con grandi porzioni e poche calorie, riducono il rischio di disturbi cardiaci, contrastano l’osteoporosi, l’insorgere di taluni tipi di cancro e del diabete di tipo 2. Quelli del Consorzio Marche Biologiche sono garantiti da tracciabilità informatizzata della materie prima, etichette parlanti, confezioni trasparenti, analisi effettuate da organismi riconosciuti e certificazioni nazionali e internazionali. Il farro è un toccasana per chi ha sempre fame o ha problemi di stipsi. Antenato di tutti i cereali (era il prediletto dagli antichi Romani) ha un altissimo contenuto di fibre e un’elevata capacità di assorbire acqua. A parità di quantità con altri cereali è quindi in grado di saziare prima il senso di fame e risulta ottimo per la regolarità intestinale. L’orzo, depurativo e drenante, aiuta ad eliminare i ristagni liquidi dovuti a sedentarietà o dieta squilibrata. A differenza degli altri cereali, le fibre sono presenti in tutto il chicco e non soltanto nell’involucro, rendendolo un alimento assolutamente ricco di nutrienti. Il miglio, diuretico ed energizzante, è consigliato in fitoterapia per contrastare lo stress, l’anemia, la depressione e la stanchezza di origine intellettuale. Nei suoi semini sferici, minuscoli e dorati, c’è una concentrazione elevatissima di sali minerali: ferro, fosforo, magnesio, fluoro e silicio. Completamente privo di glutine, si rivela facilmente digeribile dai celiaci. L’avena è una fonte di carboidrati a lenta digestione, così ricca di fibre da fornire energia a lungo termine senza causare picchi insulinici. La sua composizione glucidica e protidica è capace di diminuire sensibilmente la pressione sistolica e il livello di colesterolo. Le sue fibre solubili

la rendono un alimento ideale per placare l’appetito, regolarizzare la funzione intestinale e normalizzare il peso corporeo. Quando non sono sottoposti al processo di raffinazione, i cereali (detti, appunto,integrali) sono un’ottima fonte di carboidrati complessi e conservano molte delle proprietà originali. La crusca (la parte più esterna) è ricca di sali minerali (come ferro, magnesio, manganese) e di vitamine (soprattutto del gruppo B) capaci di rallentare la perdita di massa ossea e di contrastare l’osteoporosi. Il germe, poi, contiene proteine, minerali e vitamine E e D. Sono utilissimi nelle diete ipocaloriche perché anzitutto saziano fornendo poche calorie. Poi tengono a bada colesterolo e glicemia. Infine sembrano essere associati, in molti studi, a un rischio minore di sviluppare varie forme cancerose del tratto gastrointestinale. Questo perché le fibre e alcuni amidi presenti nei cereali integrali, fermentando nel colon, contribuirebbero a ridurre i tempi di transito e a migliorare la salute gastrointestinale. Inoltre, i cereali integrali contengono antiossidanti che potrebbero avere un effetto protettivo contro i danni ossidativi, i quali, a loro volta, potrebbero avere un ruolo nello sviluppo di neoplasie.

CALEIDOSCOPIO

PERDERE PESO CON LE FIBRE D’ORZO, FARRO, MIGLIO, AVENA INTEGRALI RECUPERATI DALLA TRADIZIONE COLTURALE MARCHIGIANA E COLTIVATI BIOLOGICAMENTE DAI SOCI DEL CONSORZIO MARCHE BIOLOGICHE

45



Il melone italiano regge la globalizzazione Il melone è diffuso in tutto il mondo e la classifica dei Produttori vede la Cina al primo posto, seguita da Turchia e Iran. La produzione italiana supera i 25.000 ettari coltivati, di cui 3.000 in serra. Sicilia, Lombardia, Veneto, Puglia, Emilia-Romagna e Lazio rappresentano oltre l’80% della produzione totale. Luciano Trentini

IL MELONE ITALIANO Luciano Trentini

ALIMENTAZIONE

47


La coltivazione di questa cucurbitacea si sta diffondendo in tutto il Mondo. La quantità di merce che circola a livello globale ed europeo è in aumento come il livello degli scambi commerciali di ortaggi freschi nel mondo. Gli ultimi dati FAO evidenziano come il consumo di ortaggi freschi di stagione o destagionalizzati sia praticamente raddoppiato negli ultimi vent’ anni, passando da 20 a 40 milioni di tonnellate. Un dato interessante è quello del commercio mondiale di ortofrutta post-globalizzazione: l’elaborazione dei dati sul commercio dei singoli Paesi indica come la Cina sia il Paese che ha avuto maggiore sviluppo in termini di import – export, avendo toccato una percentuale di oltre il 1000 %, seguita dall’Argentina con oltre il 750%, l’Egitto con il 550 %, gli USA con quasi il 500 %, Francia

e Spagna quasi a pari merito al 430 %. L’Italia si arresta ad un modesto 239 %. Per quanto riguarda la produzione mondiale di melone al primo posto, nuovamente, la Cina con oltre 17 milioni di tonnellate prodotte, seguita dalla Turchia a 1.700.000 t. e l’Iran a 1.500.000 t.. Il primo Paese europeo risulta essere la Spagna, settimo nella graduatoria dei 15 Paesi maggiormente produttivi, con 871.000 tonnellate, seguita dall’Italia, al 12° posto, con 490.000 t, e la Francia al 13° con 292.000 t. A livello mondiale si stima che la produzione complessiva sia di oltre 32.milioni di t. In Italia, come in molti Paesi europei, il melone viene consumato quasi tutto l’ anno, mantenendo il picco dei consumi concentrato nei mesi estivi. Vi sono, infatti, Paesi che sono diventati abituali fornitori di me-

48 IL MELONE ITALIANO Luciano Trentini


49 IL MELONE ITALIANO Luciano Trentini


50 IL MELONE ITALIANO Luciano Trentini


51 IL MELONE ITALIANO Luciano Trentini


duzione complessiva leggermente superiore alle 100.000 t. La principale area produttiva italiana, dove si coltivano meloni allevati in pieno campo, è la Sicilia in cui si concentra circa il 40% della produzione nazionale, seguita dalla Lombardia con il 12% e da Veneto, Puglia, Emilia-Romagna e Lazio. Queste 6 regioni, insieme, rappresentano oltre l’80% della produzione totale. Nelle coltivazioni in serra, la Lombardia domina la produzione grazie a produttori professionisti in grado di conquistare ancora nuove quote di mercato. A questa segue un buon sviluppo degli investimenti anche in Lazio ed in Campania. Il bilancio italiano fra Import ed Export è praticamente pari a 0, importiamo circa

loni per i mercati europei in controstagione o per produzioni precoci e tardive. È il caso del Brasile che, con oltre 167.000 t., fornisce i porti del Nord Europa consegnando meloni Honeydews, oppure della Costarica dove si coltivano dei tipi Cantalupo, Honeidews, o dei Piel de Sapo, o dell’ Honduras che esporta tipi Western Shipper. In Italia i meloni importati arrivano dai Paesi terzi, in particolare: Marocco, Tunisia e soprattutto Senegal, il nuovo Paese emergente. Dato il contesto, nel nostro Paese la produzione complessiva di meloni, nel 2013, è stata calcolata di poco superiore ai 25.000 ettari, fra coltivazioni di pieno campo e di serra, in grado di fornire oltre 600.000 tonnellate di prodotto. Le produzioni in serra rappresentano circa 3.000 ha per una pro-

52 IL MELONE ITALIANO Luciano Trentini


53 IL MELONE ITALIANO Luciano Trentini


54 IL MELONE ITALIANO Luciano Trentini


25.000 tonnellate, prevalentemente in controstagione, per esportare a partire dal mese di maggio una quantità pari a: 25% in Germania, 16% in Repubblica Ceca, 15% in Austria, ed il 13% in Svizzera. Quando il frutto matura è importante prestare attenzione anche al picciolo, se questo, alla base, ha una screpolatura circolare risulta che il melone è pronto per essere staccato e commercializzato. L’andamento dei consumi mostra segnali di interesse per questo prodotto che attrae un consumatore sempre più attento alla qualità. Il mercato, oggi, offre al consumatore numerose opportunità derivategli dalle molteplici tipologie di meloni ivi immessi. Sono reperibili meloni a pasta bianca o arancione, tipologie che presentano un diverso grado di durezza della polpa: meloni con polpa deliquescente, altri a polpa di buona consistenza, altri a polpa soda o molto soda, se croccante al momento del consumo. Se il consumatore trova esposta al momento dell’acquisto una indicazione con scritto “Long Self Life” o “LSL”, si trova di fronte ad una cultivar con una polpa ad elevata consistenza, da consumare nel giro di 7-8 giorni. Se, invece, appare una

55 IL MELONE ITALIANO Luciano Trentini


56 IL MELONE ITALIANO Luciano Trentini


57 IL MELONE ITALIANO Luciano Trentini


elevato, di polpa soda o croccante e buona conservabilità. La quantità di zuccheri presenti nel frutto di un melone si misura con uno strumento comunemente chiamato “rifrattometro”, in grado di rilevare la quantità di zuccheri presenti nel frutto misurandoli in gradi brix. Un buon melone deve avere almeno 13 gradi brix. Alcune imprese che vogliono distinguersi e conquistare il consumatore hanno capito l’importanza della comunicazione e “scrivono/garantiscono/ comunicano” la carta d’identità del frutto, ponendo in evidenza la tracciabilità dello stesso o della partita.

sigla con la sola scritta “LL” o “Long Life”, significa che il tempo di attesa per il consumatore si riduce a 4-5 gg. Normalmente, con le cultivar tradizionali, meloni lisci o retati il tempo di conservazione in frigorifero non deve superare le 48 ore. Un ulteriore aspetto che il consumatore deve conoscere riguarda il melone quando si avvicina alla maturazione: non sempre muta il colore della propria buccia, che normalmente vira al giallo, spesso resta di colore verde ed il frutto è senza profumo. Un problema per il consumatore abituato a vedere meloni con buccia gialla, caratterizzati da una cicatrice stilare che, al momento della maturazione, diventa leggermente morbida e flette alla classica pressione del pollice ed accompagnati da un intenso profumo. Bisogna ricordare che i meloni che mantengono la buccia verde, spesso sono dei tipi LL o LSL, questi normalmente hanno un grado zuccherino

58 IL MELONE ITALIANO Luciano Trentini

Luciano Trentini Vicepresidente AREFLH (Associazione delle Regioni Europee Ortofrutticole)



CALEIDOSCOPIO

CALEIDOSCOPIO

IL GLUTEN FREE EXPO CAMBIA PER CRESCERE

60

senza glutine e come unico salone europeo dedicato esclusivamente a questo mercato. A Rimini abbiamo trovato professionalità, collaborazione e supporto che L’unico salone internazionale hanno rinnovato il nostro entusiasmo in questo progetto dedicato ai prodotti e all’alimentazione senza glutine e nel suo sviluppo per i prossimi anni”. si sposta a Rimini Fiera dal 14 al 17 novembre 2014 Per il presidente di Rimini Fiera, Lorenzo Cagnoni Il Gluten Free Expo, in un’ottica di crescita internazionale “L’ingresso di Gluten Free Expo nel calendario delle e di consolidamento come punto di riferimento nazionale manifestazioni espositive riminesi significa portare sul nostro territorio non soltanto una nuova fiera per il mercato dei prodotti senza glutine, cambia sede. La terza edizione del Gluten Free Expo avrà luogo ma un prodotto di grande valore sia per la sua storia dal 14 al 17 Novembre 2014 a Rimini Fiera, sede di imprenditoriale e i suoi attualissimi contenuti, sia manifestazioni rinomate nel settore alimentare a livello perché questo evento ben s’inserisce nel solco del notro distretto food&beverage. Sono davvero molto lieto di mondiale. Il Gluten Free Expo ha saputo negli scorsi anni poter annunciare questo accordo strategico concluso catalizzare l’attenzione e la necessità delle aziende con un partner di prestigio e caratura”. impegnate in questo segmento in forte crescita e La segreteria organizzativa del Gluten Free Expo, soddisfare le esigenza del mercato e dei professionisti coordinata dall’event manager Mariapia Gandossi è già al lavoro per dare vita alla terza edizione del salone del settore HO.RE.CA. “Siamo molto soddisfatti - ha detto Juri Piceni, titolare che, da quest’anno, grazie ai risultati ottenuti nelle S-ATTITUDE - Gluten Free Expo - dell’accordo con precedenti edizioni, ha ottenuto la classificazione come Rimini Fiera che si basa principalmente sulla condivisione Fiera Internazionale. di un progetto e un’attiva collaborazione orientate ad una crescita internazionale del Gluten Free Expo e alla www.glutenfreeexpo.eu sua conferma come punto di riferimento per i prodotti


Isola Bio É la bevanda vegetale a base di Miglio: naturalmente dolce e senza glutine, con un gusto tutto da scoprire Abafoods prosegue nel suo impegno a favore dei prodotti naturali, già premiato dai risultati ottenuti con la Soia certificata e dalla bevanda vegetale all’Avena. Grazie alla “Società Agricola La Goccia”, l’azienda garantisce ai consumatori alta qualità e “filiera corta” dei cereali Isola Bio, marchio leader delle bevande vegetali, offre una vasta gamma di bevande vegetali di altissima qualità, con le più alte percentuali di cereali sul mercato, con un’attenzione per la coltivazione di queste materie prime dal cereale al prodotto finito. Prodotti biologici, vegetali, in larga parte senza glutine e senza zuccheri aggiunti, adatti non solo per vegani e vegetariani ma anche per chi ha scelto un’alimentazione naturale e sana. La famiglia di drink ai cereali è già molto ricca (Avena, Farro, Grano Saraceno, Kamut), ma una specialità del marchio è senza dubbio il drink Miglio senza glutine, cereale antichissimo, conosciuto fin dai tempi dei Romani che già lo utilizzavano per l’alimentazione umana. Tra le caratteristiche del drink Miglio troviamo una dolcezza naturale, sorprendente vista l’assenza di zuccheri aggiunti e percepibile grazie alle alte quantità di cereale presente nella bevanda, che conferisce un gusto autentico. Indicata particolarmente per i celiaci vista la totale assenza di glutine, questa bevanda è tra le più gustose per un primo approccio al mondo del bere vegetale. Questo prodotto va ad affiancarsi agli altri prodotti a catalogo come, per esempio, la bevanda alla Soia, certificata per la filiera Agroalimentare Italiana dal seme al prodotto finito, oppure l’ottima specialità all’Avena: entrambe costituiscono delle valide alternative vegetali per la colazione, ricette e dolci momenti rinfrescanti durante la giornata. Ad affiancare i Drink ai cereali c’è anche la gamma di bevande a base di Riso Premium (Riso al 20%) senza glutine, nelle deliziose declinazioni al gusto di mandorle, nocciole e cocco (tutte senza zuccheri aggiunti). La gamma include inoltre Latte di Mandorla, Bevande a base di soia, succhi di frutta e creme per cucinare. Il marchio Isola Bio è prodotto da Abafoods s.r.l, impresa italiana che nasce nel 1999 nella provincia di Rovigo, dando vita ad una realtà industriale con una qualità alimentare assicurata dalle più eminenti certificazioni al massimo dei voti, che si impegna nella ricerca di nuove formulazioni e ricette innovative nel gusto e nell’ingredientistica, producendo bevande vegetali biologiche per i più grandi marchi del biologico europeo e internazionale. Almut Steinhusen, presidente di Abafoods, seguendo

i principi cardine del marchio Isola Bio - biologicità, sostenibilità, vegetale, certificazione e innovazione - decide di fondare nel 2007 la “Società Agricola La Goccia”, in cui confluiscono la conoscenza approfondita dell’agricoltura biologica e il know how di Vinicio Ravagnani, Alessandro Bartoli e Andrea Tomelleri, gli altri soci fondatori. La Società Agricola La Goccia si impegna su più fronti per garantire l’alta qualità dei prodotti coltivati biologicamente, lavorando direttamente i terreni con i propri addetti e controllando la provenienza delle sementi utilizzate tutte certificate ENSE e prive di Ogm. Il raccolto degli oltre 400 ettari di terreni, sparsi tra Molise e territori dell’Italia settentrionale, è controllato sistematicamente prima di essere utilizzato nella preparazione delle bevande, rispettando i bio-ritmi naturali delle colture. La scelta di coltivare in Italia si traduce in un abbattimento delle distanze e permette di contare su materie prime rigorosamente controllate e di alta qualità, consentendo un controllo accurato su tutto il ciclo produttivo al termine del quale i prodotti arrivano a Abafoods, dove le bevande vengono ideate, prodotte e confezionate. Il passo finale è la distribuzione, affidata in Italia in esclusiva ad Ecor Naturasi ed in Europa a catene certificate e selezionate. Il frutto di tutto questo impegno è una tracciabilità di filiera completa, dal seme al prodotto finito. Ottime credenziali per approdare in nuovi mercati, anche lontani, dove con un grande impegno, Abafoods ha iniziato a ottenere importanti riconoscimenti, tra cui le complesse certificazioni brasiliane e russe che consentono di esportare il made in Italy di Isola Bio in tutto il mondo. La sostenibilità ambientale in Abafoods ha un forte peso e, infatti, l’azienda veneta partecipa al bando per la Carbon footprint del Ministero dell’Ambiente, sottoponendo tutta la filiera dei prodotti Isola Bio al controllo dei valori d i anidride carbonica emessa durante il ciclo produttivo. L’attenzione v e r s o l’ambiente si ripercuote anche sulla scelta del packaging, che vanta la certificazione FSC, propria della carta Tetra Pak per un utilizzo responsabile delle foreste. www.isolabio.com

CALEIDOSCOPIO

CALEIDOSCOPIO

61



ALBICOCCO Stefano Foschi

ALIMENTAZIONE

63

Albicocco

Caratteristiche delle varietĂ in commercio e nuove introduzioni; un giusto mix tra esigenze agronomiche e richieste del consumatore finale.

Stefano Foschi


L’albicocco, considerata drupacea minore in ragione degli investimenti più bassi rispetto alla specie pesco, negli ultimi anni si è caratterizzata per un deciso aumento nelle superfici investite, quantificabile a seconda delle ricerche in un incremento di 1.5002.500 ettari passando dal 2001 al 2011, con un totale ettari di superficie investita pari a poco meno di 20.000 ettari. Le ragioni vanno ricercate in una ampia disponibilità varietale, con cultivar adatte alle diversificate aree pedoclimatiche nazionali, innovative per aspetti estetici e intrinseci della polpa, ampliamento del calendario di maturazione sia con cultivar extra precoci che con materiale molto tardivo e, non da ultimo, dalla congiunturale crisi che attanaglia il pesco in Italia. Si rimarca come in molte zone dell’Emilia-Romagna, un tempo dedicate a

pesco e nettarina, si stia assistendo già da alcuni anni a diffusi impianti di albicocco con cultivar a maturazione media e tardiva, con produzioni estese anche nel mese di agosto. Lo stesso dicasi per le zone meridionali, dove particolarmente in Basilicata e Puglia si è assistito ad una triplicazione delle superfici investite con questa coltura. La diffusione dell’albicocco è stata resa possibile anche dalla specializzazione varietale verso il mercato fresco, mantenendo la quota per l’industria come uno sbocco secondario in situazioni di mercato pesante a livello commerciale. In questo senso si assiste ad una marcata differenziazione nelle produzioni del Nord e Sud del paese, con il meridione che destina all’industria circa il 50% del totale prodotto, mentre al settentrione questa percentuale si attesta attorno al 30%. A li-

64 ALBICOCCO Stefano Foschi


mesi di giugno, luglio e agosto, con un incremento nel periodo tardivo, a ragione dei nuovi investimenti effettuati. Dai dati sopra citati si può quindi dedurre che il mercato dell’albicocca è in continua evoluzione, potenzialmente in crescita sia per l’estensione del periodo di consumo che per i bassi livelli di consumo pro capite, ma sono necessarie scelte adeguate in modo da recepire in maniera più efficace il tipo di prodotto che il consumatore richiede. A livello di assortimento varietale le differenze in termini di estetica e gusto sono minori rispetto a quelle presenti in pesco; ci sono leggere differenze in termini di forma, più o meno allungata e rotonda, e sapore, con l’introduzione negli ultimi anni di cultivar a sapore sub acido, mentre per quanto riguarda il colore si è assistito negli ultimi anni alla diffusione di

vello di produzioni per il consumo fresco, il mercato interno assorbe circa il 53% delle nostre produzioni, e solo un 6-7%, tra l’altro in calo, viene destinato all’export. Altro particolare rilevante è rappresentato dal fatto che l’Italia è un importatore netto di albicocche, sia nel periodo precoce, circa 8.000 tonnellate provenienti in maggior parte dalla Spagna, che nel tardivo, circa 22.000 tonnellate dalla Francia. Relativamente alle richieste del consumatore, svariate indagini indicano come l’indice di penetrazione, ovvero il numero di famiglie che acquistano almeno una volta all’anno albicocche, sia in crescita dall’inizio del 2000 e si attesti su valori di circa il 70%, mentre il consumo pro capite tende a calare, attestandosi su livelli pari a 4,5-5 kg per famiglia all’anno. I consumi sono equamente suddivisi nei

65 ALBICOCCO Stefano Foschi


Bora

Faralia

66 ALBICOCCO Stefano Foschi


Farbaly

cultivar con colorazione di fondo aranciata e sovra colorazione rossa più o meno diffusa, che hanno trovato subito un deciso apprezzamento alla vendita. Ad oggi in estrema sintesi il consumatore chiede cultivar esteticamente accattivanti, ma pone particolare attenzione al sapore, in primis sulla componente aromatica. Il sapore apprezzato è dolce e succoso, con polpa fondente non troppo dura, decisamente aromatica. Alcune indagini indicano valori minimi di accettabilità del prodotto; residuo secco rifrattometrico maggiore di 14°Brix, acidità compresa tra 20 e 25 meq/100 grammi di succo, e rapporto

zuccheri-acidi con valori minimi di 0,5-0,7 a seconda del periodo di maturazione. La scelta varietale si segnala quindi come uno dei fattori cruciali per la redditività di questa coltura; oltre agli aspetti estetici e qualitativi, la cultivar deve soddisfare le esigenze sia della fase di campagna che quelle del post raccolta; tenuta sulla pianta e in “shelf life” (durata sullo scaffale o a casa) sono quindi prerequisiti che una cultivar deve avere, così come caratteri di rusticità e tolleranza che aiutano l’imprenditore agricolo nella fase di campagna e la struttura di commercializzazione durante lo stoccaggio del prodotto.

Wondercot


Varietà Nel periodo precoce è possibile trovare alternative alla vecchia cultivar Aurora, che presenta tenuta in pianta molto scarsa e conseguente “shelf life” molto breve, quindi non si adatta a filiere lunghe o tipiche delle richieste della GDO. Non giova neppure anticipare la raccolta, in quanto l’elevata acidità, principalmente localizzata nella buccia, si ripercuote poi negativamente sul rapporto zuccheri/acidi, tendenzialmente molto basso. Qualche giorno prima di Aurora in Emilia-Romagna matura Wondercot®, con frutti esteticamente molto belli, a colorazione aranciata con sovra colore rosso diffuso sul 20-30% della superficie, con tipica presenza di umbone, che in genere non determina problemi dopo la raccolta. La pezzatura

è buona per il periodo, soprattutto quando la pianta matura e orienta la produzione sui dardi; il sapore è discreto, medi i giudizi al panel test. L’analisi evidenzia un’acidità non elevata che, unita al buon grado zuccherino (sempre correlato all’epoca precocissima), si traduce in un rapporto zuccheri/ acidi superiore ad Aurora. Le primissime osservazioni su Tsunami® sono positive per quanto riguarda l’aspetto e il sapore, mentre rimane da verificare la pezzatura; pregevole l’aspetto, con elevata presenza di sovra colore rosso, bella la forma, anche se la linea di sutura è abbastanza incavata e a rischio cracking (molto evidente nelle annate 2013 e 2014); buono il sapore in relazione ad un adeguato rapporto zuccheri/acidi. La pianta è autosterile, come d’altronde anche Won-

68 ALBICOCCO Stefano Foschi


dercot®, richiede quindi presenza di polline esterno. Qualche giorno dopo Aurora matura Spring Blush®, cultivar autosterile a portamento assurgente, che indirizza velocemente la produzione sui dardi; il frutto ha bella forma ed ottima colorazione, buona tenuta in pianta, con sapore acidulo per raccolte anticipate, anche in relazione al grado zuccherino tendenzialmente basso. In fase giovanile la pianta mostra frutti di pezzatura medio-scarsa, che migliora sui dardi durante la fase di piena produzione. Al panel test il giudizio è appena sufficiente in quanto il frutto, seppur esteticamente apprezzato, viene giudicato poco aromatico e con prevalenza della componente acida rispetto al dolce. Sempre in epoca precoce matura Lunafull®, selezionata nel Nord Italia e ben adattata a

queste condizioni; pezzatura, tenuta e colorazione sono i punti forti di questa cultivar, che necessita di impollinatori per produrre adeguatamente. Il sapore è tendenzialmente acidulo e il grado zuccherino tendente allo scarso, soprattutto se si anticipa la raccolta. In epoca precoce matura Carmen®, cultivar che presenta molte limitazioni circa l’adattabilità pedoclimatica, la suscettibilità al cracking ed alla cascola, mentre il giudizio al panel test è buono essendo il frutto dolce e profumato; l’aspetto seppur ben gradito, è tipico delle vecchie cultivar per cui appare un genotipo non innovativo. Nella stessa epoca matura Bora®, selezionata in Italia e resistente a Sharka (virosi che sta creando notevoli problemi nella coltivazione delle drupacee), che coniuga elevata pezzatura, bella

69 ALBICOCCO Stefano Foschi


rotondi, a colorazione di fondo aranciata e sovra colorazione rosso diffusa; il sapore è medio e penalizzato dall’elevata acidità della buccia e della polpa (basso rapporto zuccheri/acidi). Il panel test evidenzia una polpa di media consistenza e poco succosa, con frutti di gusto abbastanza dolce ma anche acido (in particolare per la buccia) e media aromaticità. Ottimo il giudizio visivo, mentre deludono sia quello gustativo che complessivo. Nel periodo medio-precoce, in epoca Antonio Errani, matura Sweetcot®, che presenta frutti di buona pezzatura, ma aspetto non innovativo dovuto alla colorazione gialla di fondo senza sovra colore; la pianta è di facile gestione per portamento aperto e buona vigoria, ma denota una certa sensibilità a batteriosi ed una incostanza

colorazione aranciata di fondo (senza sovra colore rosso), e rusticità di campo dovuta alla parziale auto fertilità (allega in genere bene in tutti gli ambienti); diffusa anche nel meridione (Basilicata in primis), presente polpa e buccia acide per cui si consiglia una raccolta non anticipata (tiene bene in pianta) che penalizzerebbe la qualità generale del frutto; Al panel test è molto apprezzata alla vista, con profilo olfattivo intenso, di gusto mediamente dolce con componente acida spiccata, sia nella polpa che nella buccia; la polpa è consistente e non molto succosa. Il gradimento complessivo è discreto. Contemporaneamente a Bora® matura Pinkcot®, cultivar autosterile, molto soggetta a incostanza produttiva, dai frutti di elevata pezzatura e molto belli esteticamente in quanto

70 ALBICOCCO Stefano Foschi


consiglia una limitata manipolazione. I dati analitici evidenziano una bassa acidità ed un discreto grado zuccherino, con rapporto zuccheri-acidi decisamente alto; in annate piovose in preraccolta la qualità viene penalizzata in quanto viene percepito poco il sapore dolce. Il panel test evidenzia frutti di buon calibro ben sovracolorati di rosso, con gusto molto dolce e aromatico. La polpa presenta consistenza variabile all’interno dello stesso frutto, nel complesso molto succoso, non pastoso e non farinoso. Buono il punteggio di gradevolezza complessiva. In epoca intermedia la cultivar di riferimento è Kioto®, molto diffusa in tutta Italia per le positive caratteristiche organolettiche ed estetiche del frutto; autofertilità, fioritura tardiva e media vigoria determinano una

produttiva nel meridione, probabilmente in relazione all’elevato fabbisogno in freddo; al panel test i frutti sono giudicati di ottima pezzatura e forma un po’ irregolare, colore arancio scarico e privo di sovraccolore (non particolarmente attraenti). Il gusto è dolce ma anche acido, con polpa abbastanza consistente e molto succosa. I giudizi sono tutti discreti. Qualche giorno dopo matura la cultivar Orange Rubis®, che associa positivi caratteri sia relativamente alla pianta che riguardo ai frutti; autofertile e costantemente produttiva, a vigoria media, presenta frutti di buona pezzatura e bella colorazione rossa su sfondo giallo-verde; la raccolta non deve essere troppo posticipata in quanto il frutto matura in maniera disforme per cui la tenuta è solo media; si adatta a filiere corte, e si

71 ALBICOCCO Stefano Foschi


gue per aspetto e sapore dei frutti. La pianta ha vigoria elevata e necessita di pochi interventi di potatura durante la fase di allevamento allo scopo di indirizzare la produzione sui dardi. Il frutto presenta colorazione di fondo giallo intensa con sovra colorazione rosso brillante ben marcata; il sapore è decisamente dolce, con acidità media, e soprattutto aromatico, probabilmente derivato dal genitore Reale D’Imola. Questa cultivar è stata brevettata in quanto ritenuta migliorativa di Portici per sapore, aspetto, e maggior tolleranza al cracking ed agli imbrunimenti interni della polpa. I primi riscontri in termini di gradimento da parte degli operatori commerciali sono molto buoni. Circa una settimana dopo Portici matura Zebra®, mutazione di Goldrich con frutti di grossa

precoce entrata in produzione, con frutti molto belli esteticamente per forma rotonda e colorazione aranciato rosso molto intenso; si consiglia una attenta gestione della pianta nella fase di allevamento allo scopo di formare la struttura scheletrica, oltre ad un precoce ed intenso diradamento; la pezzatura risponde bene all’intensità del diradamento, e prime esperienze si stanno compiendo circa l’effettuazione del diradamento meccanico sui fiori. Il panel test discrimina positivamente l’aspetto dei frutti per colorazione della buccia molto intensa. Il gusto è equilibrato ma non molto aromatico, con un lieve retrogusto amarognolo. Il giudizio sensoriale è discreto. Nel periodo Portici matura Pieve®, cultivar di origine italiana, autofertile a fioritura tardiva, che si distin-

72 ALBICOCCO Stefano Foschi


denziano un elevato grado zuccherino unito ad una bassa acidità; i valori sono molto simili a quelli di Portici. Si segnala una certa sensibilità dei frutti a fessurazioni dell’epidermide durante la fase giovanile della pianta; questo difetto tende a scomparire con l’entrata in piena produzione. Faralia® e Farbaly® sono le due cultivar di riferimento per il periodo tardivo; molto piantate nel corso degli ultimi anni, si sono diffuse anche in aree non tipiche dell’albicocco e, assieme anche a Petra®, si sono mostrate ben adattate anche ad aree fredde di pianura. Faralia®, autofertile a vigoria elevata e portamento tendenzialmente espanso, produce bene sui dardi, con pezzatura dei frutti buona per il periodo; bella la colorazione, con marcata sovra colorazione rossa,

pezzatura, a colorazione giallo intensa senza sovra colore, di elevata tenuta sia in pianta che nel post raccolta. La pianta è auto sterile a fioritura precoce. I dati analitici evidenziano soprattutto l’elevata acidità che determina un rapporto zuccheri-acidi troppo basso per il periodo; il panel test evidenzia giudizi scarsi sia sul piano olfattivo che gustativo, con rapporto dolce/acido talmente basso da risultare astringente. Nella stessa epoca matura Petra®, cultivar italiana, parzialmente autofertile, a vigoria media e precoce entrata in produzione; la cultivar ha pregevoli caratteristiche gustative ed una elevatissima tenuta in pianta, che ne consente passaggi di raccolta molto distanziati tra loro. La colorazione è giallo aranciata senza sovra colore, la pezzatura è media, e i dati analitici evi-

73 ALBICOCCO Stefano Foschi


Orange Rubis

re le aspettative di tutta la filiera, partendo dal produttore ed arrivando al consumatore senza tralasciare tutti i passaggi intermedi (strutture di commercializzazione). Requisito principale nella diffusione di una cultivar di albicocco è la sperimentazione poliennale su più siti sperimentali, in quanto la specie è molto sensibile al variare delle condizioni pedoclimatiche; in questo senso è stato sviluppato il presente articolo, in cui l’autore ha volutamente inserito soltanto le cultivar dove le esperienze ed i giudizi sono ben definiti. Sono state quindi tralasciate le novità di ultima generazione, in modo da evitare facili entusiasmi che purtroppo portano a cocenti delusioni.

mentre la forma è tendenzialmente irregolare ed appuntita. Al panel test la polpa è consistente e croccante, poco succosa, con gusto tendenzialmente dolce; discreti i giudizi di gradevolezza. Si suggerisce di non prolungare molto la shelf life del prodotto in quanto la polpa tende a diventare eccessivamente farinosa. A fine agosto matura Farbaly®, cultivar che permette di prolungare di molto il calendario delle albicocche e che ha rappresentato una innovazione di notevole impatto nel settore frutticolo; la pianta è autofertile ed entra precocemente in produzione, con frutti di bell’aspetto e media pezzatura (comunque accettabile per il periodo); la qualità è media in quanto l’aromaticità non è spiccata. Si consiglia di non anticipare troppo la raccolta anche perché il frutto essendo aderente-semi spicco ha una buona tenuta sia in pianta che dopo raccolta. In definitiva si può dire che ad oggi sono disponibili cultivar in grado di intercetta-

Stefano Foschi CRPV, Cesena

74 ALBICOCCO Stefano Foschi



CALEIDOSCOPIO

CALEIDOSCOPIO

NUTRACEUTICA FORUM II: COLLABORAZIONE TRA TUTTI GLI ATTORI DEL MERCATO Nutraceutica Forum II – Gli integratori 2.0 parlano alle donne, l’appuntamento che ha riunito i principali protagonisti del mercato degli integratori alimentari

76

La seconda edizione del “Nutraceutica Forum II - Gli integratori 2.0 parlano alle donne” si è conclusa con una positiva comunione di intenti tra tutti gli attori del mercato. L’appuntamento, organizzato da IMS Health e dedicato al settore degli integratori alimentari, si è tenuto il primo luglio a Milano presso l’Hotel Enterprise di Corso Sempione 91. Il Forum è stato dedicato a tutti i principali protagonisti di questo mercato: medici, farmacisti e produttori. Al tavolo dei relatori, esperti e specialisti della materia hanno offerto un panorama completo, sia in termini numerici che di studio delle nuove tendenze socio-culturali. L’UNIVERSO DEGLI INTEGRATORI – Durante la sessione mattutina del Forum, Franco Vicariotto, Cofondatore della Società Italiana di Fitoterapia e Integratori in Ostetricia e Ginecologia – SIFIOG ha fatto il punto sul rapporto tra la donna e il medico ginecologo: “La donna preferisce i prodotti naturali. Questa scelta viene condivisa anche dal ginecologo che, sempre più spesso, consiglia gli integratori alimentari per una patologia specifica o per la prevenzione”. I dati presentati da Franco Vicariotto evidenziano un denominatore comune: la donna acquista integratori in tutte le fasi della sua vita (adolescenza, età fertile, menopausa, ecc.). Nell’analisi relativa ai consumi di integratori durante la gravidanza si evince una preferenza per polivitamine e minerali, che rappresentano il 70% delle prescrizioni totali (dati relativi al primo trimestre del 2014). Anche Simona Zanette, Country Manager e AD di Alfemminile.com, seduta al tavolo dei relatori ha presentato dei dati interessanti relativi a una survey realizzata proprio sul portale Alfemminile.com. “Il 44% delle donne che hanno risposto al nostro questionario, si affida al medico specialista per la scelta degli integratori alimentari più idonei. Anche il farmacista gioca un ruolo fondamentale in fase di acquisto, infatti, il 23% lo indica come il principale consigliere. Il 33% trae informazioni su questo genere di prodotti da siti web specializzati o confrontandosi con un’amica o con il proprio partner. Questi sono dati significativi se si pensa al processo di informazione-decisione-acquisto di cui la donna è

protagonista” ha spiegato Simona Zanette. ALLEANZA STRATEGICA – Tutti gli attori che fanno parte di questo mercato in continuo sviluppo condividono alcune dinamiche fondamentali. Produttori, medici e farmacisti devono saper ascoltare, informare e consigliare. In questo coinvolgimento continuo degli stakeholder, Anna Paonessa, Responsabile del Gruppo “Integratori Alimentari e prodotti salutistici” AIIPA, ha affermato: “Il nostro compito, in qualità di Associazione rappresentante dei produttori di nutraceutica, è quello di dialogare costantemente con le principali Istituzioni internazionali per predisporre regole sia a tutela del consumatore, che a difesa della libertà di innovazione e ricerca per le aziende”. Attilio Marcantonio, Vice Presidente Federfarma Lombardia, propone un’alleanza strategica: “Il cliente che entra in una farmacia chiede principalmente consigli finalizzati al proprio benessere. Per questo motivo il farmacista deve essere rigorosamente informato su tutti gli aspetti degli integratori alimentari, compresi i principi attivi contenuti in essi, ma anche saper ascoltare e interpretare i desideri e le necessità del cliente-paziente. Per soddisfare in maniera completa questo genere di richieste, è fondamentale che ci sia una condivisione delle informazioni sempre costante e molto precisa tra industria, medico e farmacista”. Con questa prospettiva di comunione di intenti si è concluso il “Nutraceutica Forum II – Gli integratori 2.0 parlano alle donne”, dedicato a un mercato che ad oggi vale 2,3 milioni di euro (dato relativo al mercato italiano, anno mobile aprile 2014) e che ha segnato un CAGR (Compound Annual Growth Rate – Tasso di Crescita degli ultimi tre anni) del + 6,6% negli ultimi 3 anni.


FARMO S.p.A. POSA LA PRIMA PIETRA DEL NUOVO STABILIMENTO DI CASOREZZO (MILANO) A distanza di 4 anni esatti dalla inaugurazione del sito produttivo di Casorezzo (Milano), FARMO S.p.A. posa la prima pietra del secondo stabilimento che porterà la superficie produttiva coperta a oltre 10.000 mq. Il Nuovo Stabilimento aumenterà la capacità produttiva di Farmo nel settore dei Prodotti Senza Glutine, quali Pasta, Prodotti da Forno e Mix, per venire incontro alla domanda crescente sia in Europa che nei Mercati Internazionali. Si prevede di realizzare la nuova costruzione entro I prossimi 12 mesi. Farmo S.p.A., la cui storia nelle produzioni alimentari inizia nel 1922, è un Leader mondiale nella Produzione

di Prodotti Senza Glutine, nelle 3 categorie di Pasta, Prodotti da Forno e Mix di Farine speciali. Con specializzazione nella Ricerca & Sviluppo, Produzione e Marketing, Farmo S.p.A. è una delle poche Società al mondo a produrre direttamente l’intera gamma di Prodotti Senza Glutine. Farmo S.p.A. opera attualmente su 2 (due) stabilimenti produttivi: la storica fabbrica della Pasta situata a Lavezzola (Ravenna) e l’attuale Sede e Sito Produttivo di Casorezzo (Milano) inaugurato nel 2010. Particolarmente importante è il successo dei Prodotti Senza Glutine Farmo negli USA, dove l’immagine e il gusto dei prodotti “Autentici Italiani” sono molto apprezzati dai Consumatori di Oltre Oceano. www.farmo.com

CALEIDOSCOPIO

CALEIDOSCOPIO

77


Chenonceau castello e giardini di Diana di Poitiers


CASTELLI DELLA LOIRA

La rigogliosa Valle della Loira è ricca di storia e di monumenti ma resa famosa per i suoi sontuosi castelli, oggi dichiarati patrimonio dell’umanità dell’Unesco. L’offerta culturale è accompagnata da interessantissimi itinerari enogastronomici dove i francesi non perdono occasione di far conoscere al visitatore la ricchezza di formaggi, vini e altri prodotti della terra, attraverso sagre, mercati e feste popolari che ogni giorno vivacizzano questa, nel regione cuore della Francia. Renzo Angelini

CASTELLI DELLA LOIRA RENZO ANGELINI

AMBIENTE E PAESAGGIO

79


Lungo la Loira, il maggior fiume della Francia, esteso per oltre mille chilometri, in una vallata fertile tra spettacolari colline ammantate di vigneti, campi di girasole e boschi secolari, si incontrano i sontuosi castelli e per questo dichiarata patrimonio mondiale dell’umanità dall’Unesco. Frequenti sono anche le testimonianze di insediamenti neolitici a partire dal III millennio a.C. Con la conquista della Gallia da parte di Giulio Cesare la regione passò sotto i romani; poi, con l’avvento del cristianesimo le principali città (Anger, Bourges, Chartres, Orleans e Tours) divennero importanti centri religiosi. Da sempre terra di con-

tesa, alla morte di Carlo Magno, nell’ 814, per volontà dell’imperatore nacquero i distretti di Anjou e di Blois e, con questi, i primi scontri tra i potenti locali. L’interminabile conflitto con l’Inghilterra si concluse nel 1154 quando Enrico Plantageneto, conte di Anjou e duca di Normandia e Aquitania, ereditò la corona britannica. Luigi IX, nel XIII secolo riportò Anjou sotto la Francia ma la guerra proseguì fino al 1453. Nel 1428 gli inglesi attaccarono Orleans ma Giovanna d’Arco portò i francesi alla vittoria e liberò Carlo VII e lo condusse a Reims, dove venne incoronato re di Francia. Nei due secoli successivi fu teatro di cruenti

80 CASTELLI DELLA LOIRA RENZO ANGELINI


Girasoli nella Valle della Loira

81 CASTELLI DELLA LOIRA RENZO ANGELINI


guerre di religione tra cattolici e protestanti calvinisti e della guerra civile nel 1793. Lungo il fiume, dopo Orleans, si incontra Chambord, il più orientale ed il più grande dei Castelli della Loira. La sontuosa residenza nacque come ritrovo di caccia all’inizio del Cinquecento per volontà di Francesco I. Il complesso centrale, agli angoli del quale sorgono quattro torri circolari, costituiva il nucleo centrale del castello; il profilo esterno è un susseguirsi di guglie, finestre e pinnacoli ma il pezzo pregiato dell’architettura è

la grande scala centrale a due rampe che si intrecciano, probabilmente disegnata da Leonardo da Vinci, dove chi sale e chi scende non si incontrano mai. Il castello di Blois, situato in posizione arretrata rispetto alla riva del fiume, fu roccaforte feudale dal XII secolo. Nel 1498 Luigi XII vi trasferì la sua corte fino a quando Enrico IV la portò a Parigi nel 1598. La costruzione di Versailles segnò il declino definitivo di Blois. Situato in posizione elevata nella città omonima, il castello di Amboise è ancora pro-

82 CASTELLI DELLA LOIRA RENZO ANGELINI


prietà del conte di Parigi, diretto discendente dell’ ultimo casato reale di Francia. Qui visse Luigi XI, nacque e morì Carlo VIII, Francesco I crebbe qui come gli altri figli di Caterina de’ Medici. Sui bastioni si trova la Cappella di St. Hubert, incantevole architettura tardogotica, dove si ritiene sia sepolto Leonardo da Vinci. Per incontrare il più splendido dei castelli della Loira bisogna spostarsi su un affluente, il fiume Cher, sul cui corso è adagiato il castello di Chenonceau. Realizzato per gra-

di dal Rinascimento in poi, da una serie di nobildonne ognuna delle quali lasciò la propria impronta: Catherine Briconnet, moglie del primo proprietario, costruì il padiglione turrito, Diane de Poiters, amante di Enrico II, aggiunse i giardini ed il ponte ad archi sul fiume; Caterina de’ Medici coprì il ponte trasformandolo in una galleria in stile italiano; Luisa di Lorena, moglie di Enrico III, fece dipingere i soffitti della sua camera da letto in bianco e nero; Madame Dupin, salvò il palazzo dalla distruzione ad opera dei rivoluzio-

La Loire

83 CASTELLI DELLA LOIRA RENZO ANGELINI


Castello di Chambord

CHAMBORD Nato come ritrovo di caccia dei Conti di Blois, al suo posto Francesco II costruì un sontuoso palazzo. La costruzione iniziò nel 1518 e fu completata nel 1543; la struttura dell’edificio riprende la pianta di San Pietro a Roma, con torri ad angolo imponenti, posizionato in un ampio parco e la pittoresca scalinata a doppia rampa. Chambord ha sempre stupito il visitatore, anche “da lontano”. Con le sue 440 stanze e 15 scalinate è un palazzo da sogno di-

venuto realtà superando gli altri castelli della Loira per magnificenza e testimonianza dello splendore del regno. Servì soprattutto come ritrovo di caccia ed ambiente per fastosi ricevimenti dei quali si ricorda in particolare quello in occasione del passaggio di Carlo V durante l’inverno del 1539. L’imperatore ammirò Chambord come “sintesi di ciò che può fare l’industria umana”. Dopo alcuni passaggi di proprietà oggi Chambord appartiene allo Stato.

84 CASTELLI DELLA LOIRA RENZO ANGELINI


85 CASTELLI DELLA LOIRA RENZO ANGELINI


Chenonceau giardini di Caterina de Medici sposa di Entrico II

Chenonceau dintorni

CHENONCEAU All’ inizio del secolo XVI nasceva in riva al fiume Cher un maniero fortificato, co un curioso mulino appoggiato su grandi pilastri nel letto granitico del fiume. Dal 1243 proprietà della famiglia Marques, venne messo in vendita nel 1512 e acquistato da Thomas Bohier, ospitò Francesco I che ne restò affascinato e ne riscattò la proprietà nel 1533, e ne fece sede di caccia e di grandi ricevimenti. Alla sua morte la sua proprietà passò a Diana di Saint Vallier di Poitiers che, nel 1551, fece costruire un giardino di due ettari dove coltivare fiori, verdure e frutteti realizzando, così, una unione tra la natura ed il castello e, nel 1566 ordinò il famoso ponte che collega la signorile dimora alla sponda opposta. Chenonceau divenne così una delle residenze principali della Corte ed Enrico II passò qui il tempo con la sua “perfetta amica”. Alla morte di Enrico II la regina, Caterina de’ Medici, diventata reggente di Francia, sposa legittima, per tanto tempo umiliata dalla favorita Diana, reclamò subito la proprità di Chenonceau dove diede una grande festa

in onore del figlio Francesco II e della giovane sposa Maria Stuarda, in presenza degli eserciti di Francia, Scozia e dei Medici. Il castelloponte conobbe sotto Caterina il suo massimo splendore: la regina che regnò sotto il nome dei suoi figli (Francesco II, CarloIX ed Enrico III) trovò sempre il tempo per organizzare cene, balli ed altri divertimenti.

86 CASTELLI DELLA LOIRA RENZO ANGELINI


Chenonceau castello sul fiume

87 CASTELLI DELLA LOIRA RENZO ANGELINI


AZAY-LE-RIDEAU Situato sulla riva destra dell’ Indre, prese il nome da un cavaliere di Turenna Hugues Ridel o Rideau, ospitò una guarnigione borgognona alla fine della Guerra dei Cento Anni e fu successivamente raso a suolo. Venne ricostruito su un isolotto del fiume nel secolo XVI ma non venne completamente terminato e costituisce uno dei capolavori del Rinascimento con i suoi tetti azzurri che si specchiano nell’acqua color smeraldo. Così scrisse Balzac “superando una collina, ammirai per la prima volta questo diamante tagliato a faccette, incastonato nell’Indre, montato su pilastri ornati di fiori”.

88 ANGURIA GIOVANNI NICOTRA, PIETRO DI BENEDETTO


Azay le Rideau, di giorno e di sera

89 ANGURIA GIOVANNI NICOTRA, PIETRO DI BENEDETTO


90 ANGURIA GIOVANNI NICOTRA, PIETRO DI BENEDETTO


VILLANDRY Castello rinascimentale costruito nel 1532 è stato reso celebre dai suoi meravigliosi giardini all’italiana, disposti su tre terrazze ed abbelliti da fontane e aiuole.

Villandy giardini

91 ANGURIA GIOVANNI NICOTRA, PIETRO DI BENEDETTO


BLOIS Il castello di Blois è costituito da un insieme di edifici risalenti ad epoche diverse, ciascuno con un’impronta artistica e architettonica particolare.

Blois

92 CASTELLI DELLA LOIRA RENZO ANGELINI


93 ANGURIA GIOVANNI NICOTRA, PIETRO DI BENEDETTO


Villandy giardini

nari e Madame Pelouze lo restaurò nel 1863. Oltre Tours merita una visita il castello di Villandry, ultimo dei grandi Chateaux rinascimentali, celebre per la perfezione dei suoi vastissimi giardini, un insieme di cespugli, alberi e fiori disposti su tre livelli: l’orto (jardin potager), il giardino ornamentale (jardin d’ornement) e, in alto, il giardino d’acqua (jardin d’eau). Incontriamo poi il castello di Azay-le-Rideau, definito da Balzac “un diamante sfaccettato, incastonato nelle acque dell’ Indre”. Di aspetto gotico è in realtà una testimonianza dell’epoca di transizione tra Medioevo e Rinascimento; un palazzo costruito per essere goduto durante la bella stagione, dove un si-

stema di fossati e di sbarramenti d’acqua si animava di barche. Azay è animato anche di notte con spettacoli di Son et lumiere, durante i quali si simula l’incendio del castello. Infine il castello di Ussè che domina la bucolica distesa presso il fiume Indre. Le sue torrette romantiche e appuntite ed i comignoli ispirarono a Charles Perrault la favola della Bella Addormentata nel bosco.

Renzo Angelini Direttore Editoriale

94 CASTELLI DELLA LOIRA RENZO ANGELINI



La bruciatura delle stoppie arricchisce il terreno di nuove erbe


Le erbe selvatiche nella storia del cibo La storia dell’uomo può essere vista anche come storia del cibo, come elemento che ha deciso le dinamiche economiche, politiche e sociali. Un rapporto sfidante e di rispetto con gli ambienti dai quali l’uomo ha dovuto ricavare e ottenere sostanze alimentari. Da raccoglitore a cacciatore ha poi inventato l’agricoltura. Nello Biscotti

Le erbe selvatiche nella storia del cibo Nello Biscotti

Agricoltura e cultura

97


La storia dell’uomo è una storia di alimenti che mancano, devono trovarsi, e per garantirsi la loro disponibilità si arriva ad inventarli. Una carota o una mela, per quanto riservano immagini di natura sono in realtà autentici prodotti tecnologici, come lo sono un aereo o un’automobile. Difficile convincersi ma questa è la realtà. Si parte circa 10 mila anni fa con la selezione di semi, favorendo lo sviluppo di alcuni organi (bulbi, tuberi, foglie, frutti), si prosegue con gli incroci, e si arriva oggi a trasferire geni; in tutti i casi abbiamo comunque manipolato materia vivente con qualche rischio che essa sia ormai dipendente da noi. Una patata è un’altra entità biologica, ma ha perso la sua naturale capacità di riprodursi; raccogliamo i tuberi e gli impediamo che possa andare in fiore. Se qualcuno non la semina, la coltiva (la protegge), non darà mai una nuova pian-

ta. È vero anche che noi stessi dipendiamo dalla patata ma prima che inventassimo i cibi, quando eravamo raccoglitori/cacciatori sul pianeta non vi erano più di 5 milioni di umani; nel 2011 abbiamo toccato la quota di 7 miliardi e la nuda verità è che lo dobbiamo, soprattutto, ai cibi inventati. Vedere la storia come una sequenza di guerre, di re e regine che si succedono, è certamente un nobile punto di osservazione, ma a volte fuorviante rispetto alla vere dinamiche che le hanno scatenate. La storia dell’uomo può essere vista anche come la storia del cibo, come elemento che ha deciso le dinamiche economiche e politico-sociali; una storia di un difficile rapporto con gli ambienti dai quali ha dovuto ricavare, ottenere sostanze alimentari. Per circa 150 mila anni ci siamo limitati semplicemente a raccogliere o a cacciare i prodotti spontanei

98 Le erbe selvatiche nella storia del cibo Nello Biscotti


Mais

99 Le erbe selvatiche nella storia del cibo Nello Biscotti


Noria in Rajasthan - India

Raccolta del te - Kenya

100 Le erbe selvatiche nella storia del cibo Nello Biscotti


Lungo i fiumi si svilupparono le prime aree agricole.

Mercato al tempo degli aztechi.

101 Le erbe selvatiche nella storia del cibo Nello Biscotti


come Madre Natura ce li dava. La raccolta delle erbe spontanee che ancora oggi coinvolge tante comunità rurali (vedi la ricca tradizione in tal senso in Puglia, e nel foggiano in particolare) è un retaggio di questo tempo passato, che paradossalmente non si estingue nonostante siamo società avanzate, tecnologiche. Non tutte le società si sviluppano contemporaneamente e con la stessa intensità. Ciò era vero ieri (è dimostrabile che in Africa meridionale e in diverse parti dell’Europa, comunità agricole e comunità di cacciatori vivevano vicine e si scambiavano merci); è vero oggi: vi è ancora un ben 5% della popolazione del Pianeta che vive come vivevano i nostri antenati circa 10 mila anni fa. Può essere una fortuna che questo accada e in essa vi è il vero significato delle erbe selvatiche. Vediamo di spiegarci meglio. Circa 10 mila anni fa la vera rivoluzione, altro che quella industriale: inventiamo l’agricoltura. Non l’avessimo mai fatto, sostiene qualcuno – da allora cominciano i nostri guai. Il cibo è la ragione della prima e forse più importante rivoluzione sociale, economica e politica della storia umana: i riti per la fertilità della terra divennero religioni di stato, il cibo favorirà il commercio e le reti di comunicazione, la più importante delle quali sarà conosciuta come “via delle spezie” (pepe, noce moscata, ecc.); con essa si apre un importante dialogo culturale, politico, religioso (architettura, scienza) tra Oriente e Occidente. Con queste vie commerciali inizia il lavoro di geografi (le prime mappe del mondo), naturalistici e botanici in cerca di nuove specie (piante, animali, minerali). Le spezie saranno monopolio dei popoli asiatici; è solo per trovare vie alternative che Colombo riesce a farsi finanziare il suo viaggio e inconsapevolmente scopre il Nuovo Mondo. Sarà ancora il cibo alla base

dello sviluppo, dopo circa 10 mila anni dalla prima, di una seconda importante rivoluzione: l’industria; è sostenuta dai profitti di zucchero e delle spezie; le patate hanno

102 Le erbe selvatiche nella storia del cibo Nello Biscotti


Mietitura del riso nello Yunnan in Cina

103 Le erbe selvatiche nella storia del cibo Nello Biscotti


104 Le erbe selvatiche nella storia del cibo Nello Biscotti


nutrito gli operai delle fabbriche inglesi. Con lo zucchero l’umanità conosce la più brutta delle sue storie: la schiavitù. Con le patate un’altra storia drammatica: una malattia (causata da un fungo, la peronospora) distrusse la maggior parte delle coltivazioni condannando l’Irlanda a un lungo periodo di carestia: oltre un milione di morti e quasi due milioni di immigrati (soprattutto negli Stati Uniti). Il cibo sarà anche un’arma bellica: determinò gli esisti delle guerre di indipendenza in America, l’ascesa e la caduta di Napoleone; da arma bellica, in tempi più recenti ad arma ideologica, la ragione sostanziale della Guerra Fredda (Capitalismo e Comunismo) che culmina con la fine dell’ex Unione Sovietica, sconfitta soprattutto per carenza di cibo. Il cibo è la causa scatenante di una altra rivoluzione, l’ultima che conosciamo: 1960/70, la Rivoluzione verde, che ha significato un incredibile aumento delle produzioni agricole e un conseguente aumento, sbalorditivo, della popolazione umana, con ritmi e numeri mai visti prima. La rivoluzione verde ha nel grano e nei concimi azotati il suo epicentro: le cultivar tradizionali producevano poco anche perché le alte piante si piegavano e allettavano compromettendo spesso la stessa raccolta; in più la fertilità dei suoli era sempre più bassa. In Giappone erano state isolate delle varietà nane discendenti da una varietà coreana. Inventiamo così varietà di grano nane (N. Borlaug, agronomo, Premio Nobel); nanismo, combinato con una maggiore resistenza alle malattie e con i fertilizzanti azotati (disponibili grazie al processo Haber-Bosch) il successo fu strepitoso. Dai 5/6 ql per ettaro si passa in breve tempo ai 50/60 ql. Per la prima volta nella storia umana l’offerta alimentare è superiore alla crescita demografica. Nel 2008

Gli animali furono addomesticati per garantire la forza motrice dell’agricoltura

Trebbiatura con animali in Cambogia

105 Le erbe selvatiche nella storia del cibo Nello Biscotti


Mietitura del riso lungo il fiume Mekong in Vietnam

106 Le erbe selvatiche nella storia del cibo Nello Biscotti


la rivoluzione verde nutriva il 48% della popolazione mondiale; quasi la metà è figlia di questa rivoluzione. I prezzi che abbiamo pagato sono stati tanti: inquinamento, impatti devastanti sull’ambiente, ma in alternativa è dimostrabile che l’umanità negli anni settanta del 900 avrebbe conosciuto forse la più terribile carestia della sua storia. La rivoluzione verde determinerà lo sviluppo industriale nei paesi asiatici (Cina, India); la maggiore disponibilità di cibo, lo sviluppo socio-culturale, sono stati determinati anche per il controllo delle nascite, invertendo per la prima volta la crescita esponenziale della popolazione mondiale. È ancora il cibo oggi al centro del dibattito mondiale politico, sociale (ogm, movimenti, globalizzazione).

Se riflettiamo un poco ci convinciamo che la nostra epoca di raccoglitori, non era poi così cattiva, anzi si potrebbe affermare il contrario: potremmo considerarli tempi opulenti, tanta era infatti la disponibilità di prodotti spontanei; un tempo della storia umana piacevole, e poco impegnativa. Oggi dobbiamo lavorare 6 giorni su sette per procurarci i soldi e comprare soprattutto cibo; allora poteva bastare il lavoro di due giorni di una donna per fare una provvista settimanale di frutta e verdura; ai bisogni di proteine animali pensava il maschio con la caccia. Il resto della settimana, cinque giorni, era tutto tempo libero? Dobbiamo immaginare di si!. I Boscimani, popolo che vive nel Kalahari (tra Sudafrica, Namibia e Botswana) dedicano non più di 19 ore alla settimana

107 Le erbe selvatiche nella storia del cibo Nello Biscotti


Selezione del grano in Rajasthan

108 Le erbe selvatiche nella storia del cibo Nello Biscotti


alla raccolta di prodotti spontanei; i nomadi Hadza (Tanzania) addirittura appena 12. Passano più tempo di noi a dormire. Ma c’è dell’altro. I nostri antenati erano più sani, denti più ricchi di smalto, erano più alti (media 1.73m) e la ragione di base stava nella loro dieta estremamente diversificata (i Boscimani utilizzano oltre 80 specie di vegetale, noi non più di 12 e il 50% sono cereali). In alcuni siti archeologici si è potuto verificare che man mano che le popolazioni umane diventano stanziali aumentano nello stesso tempo le malattie. Diventando agricoltori alla fine ci siamo anche ammalati! Lo studio degli scheletri degli indiani d’America dell’Illinois e dell’Ohio risalenti al 1000 dopo Cristo, periodo in cui in quelle regioni venne introdotta l’agricoltura, presentavano numerose patologie a carico della dentatu-

ra; la tubercolosi divenne epidemica, molti bambini avevano patologie da malnutrizione e così via, mentre scheletri precedenti, risalenti al periodo in cui le popolazioni erano formate da cacciatori raccoglitori godevano di ottima salute. Ma perché allora abbiamo smesso di raccogliere erbe spontanee, di essere cioè semplici raccoglitori e ci siamo trasformati in agricoltori? È un vero mistero! “Perché dovremmo coltivare la terra quando nel mondo le noci di mongongo sono così abbondanti?” È questa la risposta di un boscimano quando gli chiesero perché non praticasse l’agricoltura come le tribù vicine. L’assunzione media giornaliera di cibo fornisce ai boscimani circa 2140 calorie e 93 grammi di proteine, che non è poi meno ricca delle nostre diete. Per sfamare 25 persone di raccoglitori occorre-

109 Le erbe selvatiche nella storia del cibo Nello Biscotti


rebbero migliaia di ettari; da agricoltori ce ne servono appena 30 ettari circa. Se ragioniamo in termini di erbe spontanee, e tutti i pugliesi iniziassero a raccogliere spontanee, primo le estingueremmo, secondo non basterebbero a soddisfare i bisogni per non più di due anni a non più 10 mila pugliesi. In questi numeri c’è parte della risposta alla nostra domanda? Ebbene la risposta non è facile o non vi è semmai una sola risposta, perché diventiamo agricoltori per una serie infinita di ragioni. È bene precisare che il passaggio da raccoglitori ad agricoltori non è stato rapido, ovviamente. Si poteva facilmente capire che intervenendo sugli ambienti si poteva favorire una maggiore disponibilità di

risorse. E qui ha fatto da padrone il fuoco. Ancora oggi qualche pastore usa ricorrere al fuoco (incendi) per rinnovare i cicli biologici delle specie vegetali e arricchire i pascoli di nuove erbe; lo sanno bene i raccoglitori odierni che trovano maggiori quantità di asparagi in aree appena percorse dal fuoco. La tecnica del fuoco (debbio) è vecchia di almeno 35 mila anni ma in quanto tale non ha niente a che vedere con l’agricoltura che è altro. È molto probabile inoltre, che seminando qualche seme ci si poteva garantire la facile raccolta di nuove piante. I contadini da sempre hanno seminato semi di rucole, finocchi, senapi. E così oggi molti di noi potremmo fare altrettanto per garantirci erbe

Canna da zucchero

110 Le erbe selvatiche nella storia del cibo Nello Biscotti


111 Le erbe selvatiche nella storia del cibo Nello Biscotti


La meccanizzazione contribuì in modo fondamentale allarivoluzione verde

certamente una premessa importante, per la nascita dell’agricoltura ma non sufficiente perché altrimenti tutte le comunità umane sarebbero diventate cultori della terra (agricoltori) e sappiamo che così non è stato. Tra le tante cause la ricerca antropologica ha riconosciuto un ruolo importante anche la vita sedentaria; vi sono tanti esempi di comunità che avevano smesso di essere nomadi e non praticano ancora l’agricoltura (cultura Natufian in Oriente, altre in Perù e in America del Nord). Per fare agricoltura era necessario andare oltre alla semplice semina di semi di specie spontanee. Il passo decisivo è quello che avvia la domesticazione delle piante per arrivare a quelle che oggi distin-

in diversi momenti dell’anno. Ma anche con queste tecniche non siamo diventati ancora veri agricoltori. Ma la domanda può essere anche un’altra: Era necessario diventare agricoltori? Ogni civiltà che si è evoluta è passata dall’agricoltura, in tempi diversi e in modo del tutto indipendente; questo è l’altro aspetto interessante di questa rivoluzione. Un passaggio obbligato dunque? Nel 2000 a.C. quasi tutte le civiltà umane praticano l’agricoltura. Vero questo si tratta di capire cosa ha fatto si che inventassimo l’agricoltura e dovrà esserci pure una ragione comune se tutte le comunità umane ne sono state coinvolte. Circa 10 mila anni fa il clima si fa più caldo,

112 Le erbe selvatiche nella storia del cibo Nello Biscotti


si potevano semplicemente raccogliere allo stato spontaneo? Dovevano essere aumentati i bisogni alimentari e si fa urgente il bisogno di accumulare scorte. La vita sedentaria avrà favorito lo sviluppo demografico. È solo un’altra ipotesi che non convince del tutto se consideriamo che possiamo documentare sviluppi demografici solo con l’invenzione dell’agricoltura. Le cause dunque sono tante. Addomesticando le piante l’uomo inizia un percorso irreversibile, meno dipendente della Natura, ma dipendente dalla sua stessa creazione; inizia a dipendere dall’agricoltura attraverso la quale poteva garantirsi il cibo, ma la coltivazione diverrà la via obbligata per farlo. I cibi spontanei divennero via via supplementari. Abbiamo dimenticato anche questo: bambini e ragazzi sanno che frutta, verdura e latte li “producono “ i fri-

guiamo come “specie coltivate”. Piante e animali costituiscono i veri pilastri del mondo moderno. Altro aspetto interessante è spiegarsi perché civiltà diverse e lontane si orientano tutte su una gruppo ristretto di specie, i cereali, tre dei quali, orzo, grano e mais, segneranno la geografia socio-economica dell’uomo nel Pianeta: grano in Oriente/Europa; riso in Asia; mais nelle Americhe. I cereali come tutte le graminacee, non si presentano certamente invitanti e tra l’altro danno frutti (semi) anche piccoli e non facilmente utilizzabili. Perché allora i cereali? Contengono straordinarie riserve energetiche e soprattutto sono conservabili una volta seccati!. La ricchezza di reperti in tal senso in Oriente è sorprendente a cominciare dalla segale, e dal farro. Ma perché conservarli se

L’agricoltura industriale ci regala paesaggi che il mondo ci invidia

113 Le erbe selvatiche nella storia del cibo Nello Biscotti


ne, la rucola, la portulaca e tante altre ancora, erano specie avviate alla domesticazione, inspiegabilmente interrotta. Oggi conosciamo tempi di eccedenze di cibo: buttiamo circa il 30%, altrettanto marcisce nei nostri frigoriferi; nel frattempo è maturata la consapevolezza che la nostra dieta si è drasticamente impoverita. Ma il problema è anche un altro: ciò che mangiamo lo dobbiamo ai nostri antenati che hanno inventato carote, mele, pere, uva, cereali; la maggior parte infatti dei nostri alimenti animali e vegetali sono stati domesticati prima del 2000 a.C., il resto sono di poco conto. Dei quattordici animali addomesticati solo la renna è entrata in questi ultimi 100 anni. Per i frutti, sono recenti solo mirtilli, fragole, kiwi ma nessuno di questi è fondamentale per la nutrizione umana. In ultimo vi sono i pesci allevati (orate, spigole, ecc.) ma nei mercati cerchia-

goriferi, al massimo si comprano e i soldi si prendono dal bancomat. Ma la coltivazione non ha sempre garantito il cibo: le carestie affliggeranno l’umanità con cadenza quasi decennale e con lunghi e terribili periodi per tutto il Seicento e il Settecento; non è un caso che in quest’ultimo secolo nasce la fitoalimurgia: tornano ad essere considerate le specie spontanee, come alimenti alternativi alle specie coltivate. Una prima e importante pausa di riflessione all’inarrestabile ormai rivoluzione agricola? L’interesse odierno sulle erbe spontanee è un’altra pausa di riflessione? Per fortuna non l’abbiamo dimenticata; ma nella seconda metà del 900 (boom economico) abbiamo rischiato di perderla per sempre in termini di conoscenze, pratica, esperienze. Avevamo dimenticato che tante specie di erbe selvatiche sono state le progenitrici di specie coltivate. La borragi-

114 Le erbe selvatiche nella storia del cibo Nello Biscotti


La maggior parte dei nostri alimenti sono stati domesticati prima del 2.000 a.C.

115 Le erbe selvatiche nella storia del cibo Nello Biscotti


Cavalli in Camargue

che le nostre società tecnologiche non riescono ad inventare, da tempo ormai, nuovi cibi (nuove specie coltivate). Dobbiamo sperare ancora nella forza delle comunità rurali? I contadini, quelli che non si sono lasciati travolgere dalla “Rivoluzione verde”, prima che non si estinguano, possono insegnarci come trovare supplementi alle specie coltivate; i Boscimani possono farci ricordare il nostro lontano tempo di raccoglitori.

mo sempre quelli pescati spontaneamente. Stranamente non facciamo la stessa cosa con frutta, carne, grano che vediamo come cose “naturali”, forse perché sono di antica coltivazione, ma di naturale non hanno assolutamente niente. Nostre creazioni che dipendono da noi come noi da loro. Le erbe spontanee potrebbero farci riprendere un processo di domesticazione fermo a 4 mila anni fa e rimasto incompiuto, partendo da tante specie che potremmo cominciare a seminare. Seminando nel nostro orto semi di amaranto (Amaranthus retroflexus) otterremmo delle verdure dieci volte più gustose e ricche degli spinaci. Le possibilità sono infinite: almeno 40 mila specie vegetali delle 360 mila che somma il Regno vegetale, hanno potenzialità alimentari. È un paradosso

Nello Biscotti PhD in Geobotanica

116 Le erbe selvatiche nella storia del cibo Nello Biscotti


Pneumatech diventa globale Pneumatech, fornitore di soluzioni leader di settore per il trattamento di aria compressa e di gas, diventa un brand globale. Il portafoglio prodotti è costituito da quattro gamme: essiccatori a refrigerazione, essiccatori ad adsorbimento, filtri e generatori di gas. Pneumatech ha una lunga storia di successo nel business del trattamento dell’aria. Con il suo nuovo approccio globale e il recente restyling del brand, Pneumatech propone ai propri Clienti valori e competenze nuovi, rivolgendosi anche a mercati potenziali. Grazie a un’estesa rete di vendita e di servizi, vengono fornite macchine e ricambi, per assicurare il mantenimento dell’attività dei propri clienti. I principali valori di Pneumatech si basano su: • Massima produttività • Protezione assoluta • Pura redditività Il nuovo volto del brand Pneumatech si basa proprio su questi valori, per accelerarne l’espansione a livello mondiale. Oltre agli uffici vendite in USA e in Cina, Pneumatech è inoltre presente in Europa, Medio Oriente, Sud America, Oceania e Africa. “La decisione di fare di Pneumatech un brand globale deriva dalla crescente domanda di prodotti di aria e gas” afferma Juan Manuel Tejera, Vice President di Pneumatech. “Stiamo lavorando per continuare ad offrire ai nostri clienti lo stesso servizio di qualità per tutto il ciclo di vendita e post-vendita in tutti i paesi in cui siamo presenti ‘’aggiunge Tejera. PNEUMATECH: Fondata nel 1966, Pneumatech è un fornitore globale nella progettazione di sistemi di aria compressa e di gas, che offre un’ampia gamma di apparecchiature di essiccazione di aria e gas e un servizio Clienti presente in tutto il mondo. Pneumatech è un produttore certificato di essiccatori a refrigerazione

e ad adsorbimento, scaricatori, refrigeranti, filtri, generatori di azoto e di ossigeno e scambiatori a circuito chiuso. Pneumatech ha ottenuto la tripla certificazione ISO9001, ISO14001 e OHSAS18001 per qualità, il rispetto dell’ambiente, la sicurezza negli stabilimenti di Stati Uniti, Europa e Cina. Pneumatech è specializzato in un’ampia gamma di settori tra cui quello automotive, tessile, della produzione di energia, dell’industria, del gas e petrolio, alimentare, farmaceutico ed elettronica. Pneumatech protegge i processi, i prodotti, le applicazioni e la reputazione aziendale dei propri Clienti. www.pneumatech.com

CALEIDOSCOPIO

CALEIDOSCOPIO

117


CALEIDOSCOPIO

CALEIDOSCOPIO

Nel Veneto ciliegie belle, buone e tante: sorridono i cerasicoltori

118

Dai ciliegeti veneti arrivano tante ciliegie. Belle, grosse e buone. Il piacere nel goderle in bocca è soddisfatto. Una raccolta veramente eccellente. I cerasicoltori sono sostanzialmente soddisfatti. Se avevano deluso le varietà precoci a causa del maltempo (pioggia e abbassamento della temperatura); le medio tardive e le tardive stanno rispecchiando le attese che una stupenda fioritura aveva lasciato intuire. “E’ sicuramente una delle più belle raccolte, rileva Daniele Pavan, che sta seguendo i centri raccolta per OPO Veneto: le ciliegie che arrivano dalle coltivazioni vicentine di Marostica e di Chiampo sono generalmente eccellenti per quantità e c’è una più che soddisfacente quantità”. Stanno ricevendo ottimi voti le ciliegie del Veronese, dove si concentra la maggiore produzione del Veneto (ben 110 mila quintali su 157 mila), e del Trevigiano, nelle aree di Asolo e di Maser. Nella magnifica festa delle ciliegie Igp di Marostica, le prime in Italia ad avere il marchio europeo di indicazione geografica protetta, si è colto un prodotto di elevata qualità che da qualche anno non si vedeva in maniera così generalizzata. L’azione di miglioria nei ciliegeti, dell’innovazione, della formazione dei cerasicoltori, delle buone pratiche colturali e soprattutto della cura dell’ambiente sta dando i risultati sperati, come ha bene messo in risalto Giuseppe Zuech, presidente del Consorzio di tutela. “Ciliegie generalmente di notevole qualità quest’anno”, conferma Francesco Arrigoni, direttore di OPO Veneto, “e lo si è visto nei diversi concorsi che si sono tenuti in occasione delle tradizionali manifestazioni organizzate nei paesi

dove la produzione è storicamente radicata e in crescita, come a Molvena, sulle colline vicentine, nell’area della ciliegia Igp di Marostica. Per la ciliegia questo è sicuramente uno degli anni più belli: un prodotto molto buono, con ottimali caratteristiche organolettiche, e questo per la soddisfazione sia dei produttori che dei consumatori che sono attirati dalla qualità e dalla salubrità dell’ambiente di provenienza”. OPO Veneto sta puntando molto sulla “qualità ambientale” delle ciliegie e di altri prodotti orticoli, come il radicchio, l’asparago e la patata dolce, che sono il suo “piatto forte”. In aziende cerasicole e orticole di soci sta sviluppando il progetto “Biodiversamente veneto” per portare “in tavola la salute”, come recita il suo slogan. L’obiettivo è di garantire i consumatori che possono contare su prodotti certificati che arrivano da ambienti sani, coltivati con tecniche sostenibili, per i quali è un “valore aggiunto” la storia, la civiltà, la tradizione, il paesaggio del territorio di provenienza. www.ortoveneto.it

Staff OPO Veneto alla kermesse di Marostica

I premiati e le autorità alla 70 Mostra Mercato della Ciliegia di Marostica IGP

Centro di raccolta OPO Veneto stand Mercato Ortofrutticolo di Bassano del Grappa (VI)


Ladak: il piccolo Tibet e la Cerimonia del Kalachakra, L’India di Evolution Travel La Cerimonia del Kalachakra è un importante rito di iniziazione buddhista. Il “Tantra della ruota del tempo” è infatti un insieme di riti, preghiere e insegnamenti finalizzati ad attivare la strada dell’illuminazione che è lo scopo di ogni essere umano. Uno dei riti consiste nella creazione di un Mandala - una composizione geometrica circolare di sabbia colorata rappresentante la ruota del tempo – intorno al quale i fedeli ruotano, cercando di trarne ispirazione per raggiungere il loro equilibrio interiore. Alla fine del rito il mandala viene distrutto per dimostrare la provvisorietà di tutti le cose terrestri. Evolution Travel propone un viaggio di gruppo nello spettacolare Ladakh, il “Piccolo Tibet”, proprio durante la preparazione della Cerimonia del Kalachakra che sarà officiata da S.S. il Dalai Lama, il quale, insieme ai monaci del Monastero di Namgyal condurrà, i riti che preparano e consacrano il luogo: canti di preghiere, la creazione di mandala di sabbia ed altri rituali. Il tour di Evolution Travel si snoda lungo la Valle dell’Indo, a 3500 metri d’altitudine, in uno scenario di vette himalayane, di monasteri con affreschi e sculture dell’arte buddhista, a contatto con le popolazioni locali che conservano ancora oggi un forte legame con il passato. Un itinerario di 11 giorni/9 notti, in pensione completa, da 1.890 euro per persona, in camera doppia. Il viaggio prevede la visita della città di Delhi: dall’India Gate, il monumento commemorativo ai caduti della seconda guerra Mondiale al Rashtrapati Bhavan, il palazzo dove risiede il presidente della repubblica, circondato da sontuosi giardini nello stile mongolo, dal Qutab Minar, un monumentale minareto, la cui funzione era di celebrare come Torre della Vittoria il trionfo militare sugli infedeli, al Tempio Sikh Gurdwara Bangla Sahib dove tra luccicanti marmi bianchi dal riflesso accecante si incontrano i colorati sikh che pregano, riposano o solo di passaggio. Il tempio brulica di pellegrini giorno e notte senza sosta. Si prosegue quindi per Leh, città che rappresenta il centro di cultura Tibeto-Buddista della regione Ladakh, per una visita al monastero di Shankar e dei suoi magnifici affreschi, del Palazzo Reale e dello Namgyal Tsemo Gompa: le rovine di un palazzo costruito su una collina che sovrasta la città, edificato nel 17° secolo dal re Ladakhi Sengge Namgyal, fu abbandonato nel 19° secolo quando le forze Dogra presero il controllo.

Fortunatamente negli ultimi anni è stato restaurato ed aperto ai visitatori. Quindi escursione allo Shanti Stupa (il Santuario della Pace), un colosso bianco circolare che svetta attorniato dalle montagne. Eccoci a Shey, la prima capitale del Ladakh, dove si trovano i resti del Palazzo Reale, che ospita la più grande statua del Buddha Maitreja, il Buddha dell’avvenire. Si prosegue per Thikse, uno dei maggiori monasteri del Ladakh, con un gran numero di monaci, fondato nel 14º secolo, quindi il monastero di Stok, sede e palazzo della famiglia reale in esilio. Il viaggio continua verso il monastero di Hemis, probabilmente il più importante della regione, noto per il festival religioso che si svolge ogni anno nel mese di giugno. Si prosegue per il passo Khardung La (mt. 5606) che, considerato il passo carrozzabile più alto del mondo, ci porta verso la Valle di Nubra (famosa perché passaggio della via carovaniera fra il Tibet e il Turkistan attraverso il valico del Karakorum). Quindi si arriva a Lamayuru, con lo splendido complesso monastico edificato nell’11º secolo e sede della setta dei “berretti rossi” e si prosegue fino ad Ulay Tokpo, sistemazione in campo tendato nei pressi delle rive del fiume Indo. Visita del monastero di Ridzong che è situato in una fantastica posizione in una valle isolata circondata da alte montagne, si attiene scrupolosamente alle regole monastiche secondo gli ideali dell’ordine Gelugpa. http://india.evolutiontravel.it

CALEIDOSCOPIO

CALEIDOSCOPIO

119


I CONSUMI DI FRUTTA E VERDURA IN ITALIA

L’acquisto di ortofrutta è in gran parte legato alla percezione del valore che il consumatore associa al prodotto, l’innovazione di prodotto e processo stimola gli stessi acquisti, al di là del prezzo, con un consumatore sempre pù attento alla sicurezza e alla salubrità degli alimenti. Indispensabile quindi una corretta ed efficace comunicazione e promozione dell’ortofrutta al consumatore, accompagnata da una costante ricerca su qualità, salubrità e innovazione. Elisa Macchi


I CONSUMI DI FRUTTA E VERDURA IN ITALIA Elisa Macchi

INDAGINE DI MERCATO

121


LE DINAMICHE DEI CONSUMI DOMESTICI DI ORTOFRUTTA IN ITALIA Gli acquisti al dettaglio delle famiglie italiane dal 2000 ad oggi hanno vissuto un notevole ridimensionamento, che è stato particolarmente evidente fino alla prima metà degli anni duemila. In quel periodo gli acquisti sono scesi da circa 9,5 milioni di tonnellate a quantitativi inferiori agli 8 milioni di tonnellate, -17%. Ricordiamo che in quell’epoca le speculazioni intervenute dopo l’entrata dell’euro venivano additate come principale causa del contenimento della spesa e quindi dei consumi. Da quel momento la situazione si è stabilizzata attorno a 8,2 milioni di tonnellate di acquisto di ortofrutta, per subire un ulteriore calo proprio negli ultimi due anni, nel 2012, ma soprattutto nel 2013, quando con circa 7,8 milioni di tonnellate, gli acquisti hanno segnato un ulteriore -2% rispetto all’anno precedente, riportandosi sui valori minimi.

Nel primo trimestre del 2014 la situazione è stazionaria rispetto allo stesso periodo del 2013. Se agli inizi degli anni duemila ogni famiglia acquistava mediamente all’anno circa 460 kg di ortofrutta, attualmente i quantitativi annuali per famiglia scendono su circa 320 chilogrammi e questo è un dato molto significativo perché, pur rimanendo tra i principali consumatori di ortofrutta, 140 chilogrammi in meno per famiglia sono quantitativi veramente importanti, soprattutto alla luce dell’importanza del consumo di frutta e verdura per il benessere e la salute dell’individuo. La spesa si aggira annualmente, per l’acquisto di ortofrutta, attorno a poco oltre i 500 euro, vale a dire meno di 50 euro al mese; si tratta quindi di valori molto contenuti, considerata anche la valenza del prodotto. Il calo degli acquisti non è generalizzato tra le diverse specie frutticole; ci sono prodotti

122 I CONSUMI DI FRUTTA E VERDURA IN ITALIA Elisa Macchi


che in questi anni hanno, nonostante la crisi, evidenziato buone performances ed altri, al contrario, che hanno seguito un andamento di costante e progressivo declino tuttora in atto. Tra queste ultime si evidenziano in modo particolare pere, mele, arance, banane, uva, con cali percentuali che dal 2000 ad oggi vanno dal -30% per le pere, al -23% per le arance. Positivo invece l’andamento dei consumi della frutta estiva, ci si riferisce in particolare alle nettarine, +21% dal 2000 al 2013, albicocche, +6%, ciliegie, +17%, ma anche pesche, che dopo un calo significativo vedono una buona ripresa negli ultimi anni. Tra gli agrumi buoni segnali per le clementine che vedono acquisti in crescita del 9% dal 2000 ad oggi, così come per fragole, addirittura +34%, meloni, +14% e kiwi, +57%. Nell’ambito degli ortaggi il calo degli acquisti è più generalizzato, ma si distinguono molto positivamente le insalate, +17% sempre

dal 2000 ad oggi, i radicchi, +61% dal 2006 al 2013, gli asparagi, +8% e la IV gamma che vede una crescita del 50% nello stesso periodo. In questi anni si è verificata una crescita importante della Distribuzione Moderna, che oggi a livello nazionale detiene quasi il 60% del mercato al dettaglio dell’ortofrutta contro il 37% dei primi anni duemila; nel Nord Est del paese la quota di mercato della Distribuzione Moderna raggiunge oggi l’85% del totale, nel Nord Ovest il 64%, al Centro il 67% mentre è al Sud e nelle Isole che si ferma al 35%, anche per la minore penetrazione di questa forma distributiva in questa area. Ed è proprio in queste parte del Paese, che rimane quella con la concentrazione d’acquisto più elevata, che si registra la maggior diminuzione dell’acquisto di frutta e verdura. Dall’analisi delle informazioni emergono in maniera chiara soprattutto tre aspetti. Il primo è che l’acquisto di ortofrutta è in

123 I CONSUMI DI FRUTTA E VERDURA IN ITALIA Elisa Macchi


I CONSUMI DI FRUTTA E VERDURA IN ITALIA Elisa Macchi

ITALIA / ORTOFRUTTA serie storica dell’andamento dei consumi domestici in quantità

124 ITALIA / FRUTTA E VERDURA gli acquisti annui per famiglia in quantità


I CONSUMI DI FRUTTA E VERDURA IN ITALIA Elisa Macchi

ITALIA / FRUTTA E VERDURA gli acquisti annui per famiglia la spesa ed il prezzo medio

125 ITALIA / AGRUMI CHI SALE E CHI SCENDE andamento dei consumi domestici in quantitĂ confronto 2000, 2006 e 2013


I CONSUMI DI FRUTTA E VERDURA IN ITALIA Elisa Macchi

ITALIA / FRUTTA CHI SALE E CHI SCENDE andamento dei consumi domestici in quantità confronto 2000, 2006 e 2013

126 ITALIA / FRUTTA CHI SALE E CHI SCENDE andamento dei consumi domestici in quantità confronto 2000, 2006 e 2013


I CONSUMI DI FRUTTA E VERDURA IN ITALIA Elisa Macchi

ITALIA / FRUTTA CHI SALE E CHI SCENDE andamento dei consumi domestici in quantità confronto 2000, 2006 e 2013

127 ITALIA / «FRUTTA» CHI SALE E CHI SCENDE andamento dei consumi domestici in quantità confronto 2000, 2006 e 2013


I CONSUMI DI FRUTTA E VERDURA IN ITALIA Elisa Macchi

ITALIA / TOP 10 DELLE SPECIE FRUTTICOLE classifica delle specie pi첫 acquistate nel 2013, in volume

128

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

ITALIA / TOP 5 MENSILE DELLE SPECIE FRUTTICOLE classifica delle specie pi첫 acquistate mensilmente nel 2013, in volume


I CONSUMI DI FRUTTA E VERDURA IN ITALIA Elisa Macchi

ITALIA / TOP 10 DELLE SPECIE ORTICOLE classifica delle specie pi첫 acquistate nel 2013, in volume

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

129

ITALIA / ORTOFRUTTA CANALI DI ACQUISTO andamento dei consumi domestici per canale commerciale

QUOTE % 2000 e 2013 dett. specializzato dal 20% al 17% dett. tradizionale stabile al 2% dett. ambulante dal 39% al 22% discount dal 3% al 9% supermercati dal 23% al 36% ipermercati dal 7% al 12%


gran parte legato alla percezione del valore che il consumatore associa al prodotto. In un momento in cui le scelte generali del consumatore sono fortemente orientate al contenimento della spesa, nell’acquisto di ortofrutta il prezzo non sembra essere una discriminante nell’atto d’acquisto. Ne sono una prova le preferenze dei consumatori che come abbiamo visto sono spesso orientate verso prodotti che presentano un prezzo medio più elevato di altre specie, ci si riferisce ad esempio, alle ciliegie, alle fragole, alle albicocche, alle susine, all’asparago, radicchi e insalate, ma più facilmente apprezzabili dal punto di vista della qualità e quindi del valore. Ricordiamo in questo ambito l’importanza dell’innovazione varietale che sta caratterizzando molti di questi prodotti, verso tipologie più vicine al gusto del consumatore e che sta ottenendo ottimi risultati dal punto di vista del consumo. Anche la ricerca di varietà che allungano il calendario di raccolta e quindi di disponibilità sul mercato sta ottenendo gli stessi effetti

Un secondo fattore è che l’innovazione di prodotto e di processo stimola gli acquisti, al di là del prezzo. A titolo esemplificativo possiamo prendere a riferimento i dati relativi al pomodoro che vedono per le cultivar tradizionali un calo degli acquisti del 9% dal 2010 al 2013 e parallelamente una crescita del 195 degli acquisti di pomodoro ciliegino. Terzo aspetto altrettanto importante è che siamo di fronte ad un consumatore sempre più attento alla sicurezza e alla salubrità degli alimenti, con i prodotti ortofrutticoli biologici che crescono in maniera significativa proprio nel 2012 e nel 2013, con un aumento di oltre il 40% nel confronto fra il 2013 e il 2008 ed una penetrazione che nello stesso periodo è salita dal 27% al 32%. Indispensabile quindi una corretta ed efficace comunicazione e promozione dell’ortofrutta al consumatore, accompagnata da una costante ricerca sulla qualità, salubrità e innovazione.

Elisa Macchi Direttore CSO, Centro servizi ortofrutticoli

130 I CONSUMI DI FRUTTA E VERDURA IN ITALIA Elisa Macchi


FRUTTA E VERDURA GIALLO-ARANCIO: UN CONCENTRATO DI BENESSERE PER L’ESTATE Albicocche, meloni, limoni, pesche, carote, peperoni: la campagna di UNAPROA “Nutritevi dei colori della vita” suggerisce di mangiarne in quantità per affrontare i mesi più caldi dell’anno con il pieno di energia Il giallo-arancio è il colore dell’estate, e non solo perché evoca il sole e le vacanze più tipiche di questa stagione. Nel periodo più caldo dell’anno la Natura - quasi a venirci in soccorso - offre una ricca e gustosa varietà di frutta e verdura di questo colore, valida alleata per affrontare la calura e i raggi solari del periodo. Albicocche, meloni, limoni, pesche, carote e peperoni arrivano a maturazione proprio nei mesi estivi, donando alle nostre tavole – che siano in città, in montagna o sulla spiaggia – gusto, nutrimento e il loro tocco inconfondibile di colore. Non sono solo la colorazione e la stagionalità ad accomunare questi prodotti della terra, che condividono anche importanti proprietà e sostanze nutritive, tali da renderli particolarmente adatti alla stagione estiva. Le passa in rassegna la campagna di informazione, promossa da UNAPROA e cofinanziata da Unione Europea e Stato Italiano, “Nutritevi dei colori della vita” (www.nutritevideicoloridellavita.it), che spiega come la colorazione giallo-arancio di frutta e verdura sia dovuta alle elevate quantità di betacarotene. Tale sostanza appartiene alla famiglia dei carotenoidi e viene convertita dal nostro organismo in vitamina A, fondamentale per numerose funzioni corporee. La vitamina A, infatti, contribuisce al normale metabolismo del Ferro e al mantenimento della pelle, della capacità

visiva e della funzione del sistema immunitario nella normalità. In generale il beta-carotene è un potente antiossidante che viene assorbito con i grassi e, se assunto con gli alimenti, non procura sovradosaggio, come può invece verificarsi nel caso di un eccessivo uso di integratori. L’alto contenuto di carotenoidi e di acqua è particolarmente indicato nei mesi estivi, in quanto fondamentale per la cura del tessuto epiteliale e per combattere l’ossidazione della pelle. È proprio perché si usufruisca, stagione per stagione, di tutte le proprietà benefiche di frutta e verdura che la campagna di UNAPROA “Nutritevi dei colori della vita” suggerisce di consumare ogni giorno almeno cinque porzioni di ortofrutta di colore diverso. www.unaproa.it

CALEIDOSCOPIO

CALEIDOSCOPIO

131



THE WEDGE E SEWARD Daniele Tirelli

DISTRIBUZIONE

133

THE WEDGE E SEWARD

Degli USA si danno molte interpretazioni e molti giudizi. Tra questi l’idea di un paese che avrebbe fatto dell’individualismo capitalistico il principio ispiratore di un pensiero unico e totalizzante.

Daniele Tirelli


mentari. Gli stati del Nord ospitarono nel XX° secolo un’immigrazione tedesca e scandinava che portava con sé una propria tradizione sindacale e cooperativa, appunto. Il Minnesota, in particolare, ce ne offre un esempio interessante ospitando oggi decine di piccole cooperative vitali, fieramente indipendenti e fortemente radicate nelle proprie comunità locali. Esse propongono non solo una funzione di servizio per i loro clienti, ma ne interpretano perfettamente anche gli umori e le tendenze sul piano degli stili di consumo più mutevoli. Nella loro missione e nella loro visione convergono, infatti, aspirazioni, abitudini per non dire manie di solidi nuclei di cittadini che rifiutano le logiche della grande distribuzione,... per quanti sforzi essa faccia per adattarsi alla progressiva micro-seg-

Degli USA si danno molte interpretazioni e molti giudizi inevitabilmente imprecisi se non fallaci. Tra questi l’idea di un paese che avrebbe fatto dell’individualismo capitalistico il principio ispiratore di un pensiero unico e totalizzante. Esso guiderebbe la nazione ad espandere aggressivamente l’ideologia del gigantismo e della massificazione consumistica nel mondo intero. In realtà gli USA sono tante cose messe assieme e qualcuno potrebbe sorprendersi apprendendo che proprio l’America continua ad essere la culla di un vasto numero di imprese fondate sul principio solidaristico e antitetico al consumismo ordinario, ed in tempi in cui le forme cooperative europee vivono un loro travaglio prospettico. Soprattutto le coop di consumo americane danno voce alle molte espressioni delle controculture minoritarie (nel nostro caso) ali-

134 THE WEDGE E SEWARD Daniele Tirelli


135 THE WEDGE E SEWARD Daniele Tirelli


136 THE WEDGE E SEWARD Daniele Tirelli


137 THE WEDGE E SEWARD Daniele Tirelli


Cominciarono così a convergervi altre merci prodotte nelle farms locali anch’esse prevalentemente cooperative. La motivazione era principalmente la salute messa in forse, secondo le distopie dell’epoca, dall’industrializzazione accelerata delle grandi ed invise corporation. In un coacervo di ideali e di paure concernenti la giustizia sociale, i rischi delle nuove tecnologie, il desiderio di fuga dal conformismo della società costruita dai padri, veterani della II Guerra Mondiale, questi gruppi prevalentemente di giovani andavano creando, così, dei segmenti di mercato che, pur recuperati successivamente dalle imprese giganti del settore, avrebbero consentito la sopravvivenza e lo sviluppo di modello di business cooperativo rivolto ai consumatori. La sua logica prevedeva non solo il controllo di una corretta “fi-

mentazione della clientela. Persino il grande Whole Foods con tutto il fascino che riesce a sprigionare non riesce ad attrarre stabilmente i loro clienti che delle proprie pratiche di consumo assorte, selettive e “sostenibili” fanno uno modo di vivere. Pertanto parlerò di due di queste cooperative: The Wedge e Seward, che rappresentano molto efficacemente il fenomeno menzionato. Seward esiste dal novembre 1972 e The Wedge dal 1974. Entrambe nacquero da un gruppo di abitanti di un quartiere di Minneapolis che decisero di associarsi per effettuare acquisti collettivi. Il primo negozio di The Wedge consisteva in un appartamento seminterrato in Franklin Avenue. Vendeva alla rinfusa cibi non confezionati, prodotti ortofrutticoli freschi e prodotti caseari “politicamente corretti”, seguendo la moda residuale degli anni ’60.

138 THE WEDGE E SEWARD Daniele Tirelli


losofia” di approvigionamento, ma anche la ripartizione a fine anno degli utili non destinati dall’assemblea agli investimenti. Essendo piccole e locali queste cooperative hanno assicurato, insomma, sino ad ora, la governabilità diretta dei soci e per queste ragioni hanno rinunciato a crescere e a fondersi assieme. Oggi, i manager di The Wedge e Seward, pur adottando la mise informale delle “minoranze che non si adeguano”, utilizzano i concetti del marketing più avanzato all’interno di un punto di vendita efficiente, elegante e rifornito come un classico supermercato. Essi amano però ribadire i principi fondanti della loro attività e rievocare i giorni degli esordi quando i membri lavoravano volontariamente nel negozio in cambio di uno sconto sugli acquisti e perseguendo, secondo la tendenza messianica di allora, il sogno di abolire o di

139 THE WEDGE E SEWARD Daniele Tirelli


140 THE WEDGE E SEWARD Daniele Tirelli


141 THE WEDGE E SEWARD Daniele Tirelli


dei supplementi e dei rimedi erbali. Pertanto, oggi, assieme a The Wedge e Seward, nell’area cittadina di Minneapolis-SaintPaul operano altre insegne come Eastside, Linden Hills, Hampden Park, ecc. In alcuni casi, esse sono riuscite persino ad verticalizzare la filiera integrando la vendita di carni con l’allevamento basato su coltivazioni biologiche. Il tratto interessante è che pur godendo del favore di un pubblico ideologicamente orientato esse riescono, pur avendo un posizionamento di prezzo più elevato del grocery moderno, a contenere il prezzi finali al consumatore e a spuntare margini robusti. Insomma, l’utopia (su piccola scala) del “commercio equo” e “corretto” sembra sopravvivere. Altra caratteristica è, invece, la accentuata

minimizzare il “lavoro salariato”. Tuttavia come hanno magistralmente spiegato Joseph Heath e Andrew Potter nel loro “Nation of Rebels” il consumismo non rispondendo a nessuna ideologia predefinita, è in grado di inglobare ogni extra-vaganza. Dunque il successo crescente di queste forme commerciali fece sì che i negozi improvvisati non bastassero più. The Wedge, nel 1979, si trasformò in un piccolo emporio e poi nell’attuale supermercato di Lyndale Avenue. La stessa cosa accadde a Seward e alle decine di coop del Minnesota. Parallelamente la rete dei fornitori è andata articolandosi, diramandosi in direzione dei vari produttori di cibi locali “organics” e dei fornitori nazionali di referenze speciali che costituiscono l’ampia gamma

142 THE WEDGE E SEWARD Daniele Tirelli


ossidanti come l’acerola, l’acai, il goji berry, oppure di alghe ed erbe come l’iperico ecc. Ne discende allora la proposta di un assortimento incredibilmente profondo nel reparto cosiddetto “funzionale”, che si declina in migliaia di referenze volte ad offrire un rimedio preventivo o coaudiuvante per tante patologie. Questa espansione del repertorio dietetico ha ispirato peraltro anche nuovi formati della distribuzione americana come la catena Californiana “Sprouts” o come “The Fresh Market”. Ne discende che il punto d’incontro tra alimentazione tradizionale e funzionalismo si realizza anche nell’offerta al banco dei succhi vegetali home-made, degli smoothies e delle zuppe dalle ricette e dai gusti ricchi e fantasiosi. Alla loro formulazione concorrono ingredienti insoliti per un pubblico Italiano: dal cavolo nero (kale) alla barbabietola, dall’alga spirulina allo zenzero, dall’aglio ai

stagionalità del reparto ortofrutta. Infatti, la forte impronta “ideologica” della clientela rende comprensibile e accettabile la rotazione e la presenza temporanea dei vari prodotti in base al loro ciclo naturale. Ciò contrasta con l’offerta dei normali supermercati statunitensi che sono, al contrario, obbligati ad assicurare la presenza più prolungata di ogni tipo di vegetale, anche in controstagione, ricorrendo al commercio con l’estero e alle coltivazioni forzate. Soprattutto punti di vendita come The Wedge e Seward costituiscono dei laboratori delle tendenze più “avanguardistiche” in tema d’alimentazione. La frontiera tra alimenti “abituali” e supplementi “erboristici” è vaga, in virtù dei vari stili che vi confluiscono. Qui nacquero e furono sperimentate molte delle mode ormai banalizzate anche in Europa: l’utilizzo di bacche ricche di vitamine e anti-

143 THE WEDGE E SEWARD Daniele Tirelli


germi di grano,... il tutto al fine di depurare, integrare, vitaminizzare l’organismo. Altro fatto importante è che in passato furono per primi questi punti di vendita a proporre con crescente successo la vendita bulk di alimenti secchi (anche quelli per cani e gatti) al fine di risparmiare, in logica ecologica, il package e di consentire al cliente di prepararsi i propri blend preferiti di cereali, legumi, té o caffé. Oggi la vendita bulk viene proposta anche per i mieli o le salse di produzione artigianale. In conclusione, al di là della sua rilevanza economica, il mondo delle cooperative di consumo americane rappresenta una fonte di informazione utilissima per chi voglia capire le tendenze alimentari future e valutare le reali potenzialità di molte innovazioni. Non a

caso tra i più attenti osservatori vi sono le più note multinazionali che inglobano progressivamente nel proprio portafoglio prodotti e aziende sorte in questo substrato socioculturale. Anch’esse vogliono essere pronte ad accompagnare i propri consumatori lungo qualsiasi direzione decidano di muoversi nel prossimo divenire.

144 THE WEDGE E SEWARD Daniele Tirelli

Daniele Tirelli IULM Milano


CALEIDOSCOPIO

Finalmente completato l’iter di autorizzazione per situazioni di emergenza fitosanitaria, il Ministero della Salute ha approvato in data 30.05.2014, l’impiego su barbabietola da zucchero di CLORTOSIP 500 SC (clorotalonil 500 g/l) per la difesa dalla Cercospora (Cercospora beticola). L’autorizzazione ha validità per 120 giorni dal 30 maggio al 27 settembre 2014. CLORTOSIP 500 SC previene i danni causati da Cercospora beticola. CLORTOSIP 500 SC si aggiunge ad ENOVIT METIL FL BETA, il solo formulato a base di Tiofanate Metile autorizzato per l’impiego su barbabietola da zucchero. CLORTOSIP 500 SC ed ENOVIT METIL FL BETA hanno dimostrato di essere i fungicidi più efficaci attualmente disponibili per il controllo della cercosporiosi e la massimizzazione della resa in saccarosio. Vanno impiegati correttamente inseriti nella strategia di difesa ottimale che è stata validata dopo anni di prove dai centri di sperimentazione e dai tecnici operanti nel settore bieticolo. La difesa dalla cercospora con CLORTOSIP 500 SC Il prodotto va impiegato con modalità preventive, dalla comparsa delle prime macchie, a distanza di 15-20 giorni. Le indicazioni di modelli previsionali affidabili possono essere utili suggerimenti per valutare ulteriormente l’avvio dei trattamenti e modularne opportunamente la cadenza. La dose di impiego per applicazioni da solo è di 2 l/ha; in miscela con prodotti efficaci ma a diverso meccanismo di azione e con attività citotropica e/o sistemica la dose può attestarsi su 1,5 l/ha. Sono consentite comunque un massimo di 2 applicazioni/ anno con CLORTOSIP con un periodo di carenza (intervallo

tra ultimo trattamento e la raccolta) di 21 giorni. La difesa dalla cercospora con ENOVIT METIL FL BETA Il prodotto è dotato di marcata sistemia e va distribuito sull’apparato fogliare alla dose di 1,5 litri/ettaro assicurando una buona ed uniforme bagnatura. Al fine di ottenere il massimo dell’efficacia, anche grazie all’effetto della traslocazione sistemica del prodotto, va applicato su coltura in pieno vigore vegetativo e con area fogliare non compromessa da malattie. Per evitare l’insorgenza di fenomeni di resistenza, è consentito 1 trattamento all’anno con ENOVIT METIL FL BETA e preferibilmente in miscela con prodotti caratterizzati da diverso meccanismo d’azione. Il periodo di carenza (intervallo tra ultimo trattamento e la raccolta) è di 21 giorni. www.sipcamitalia.it

CALEIDOSCOPIO

Dopo ENOVIT METIL FL BETA anche CLORTOSIP 500 SC autorizzato per l’uso su barbabietola da zucchero

145


CALEIDOSCOPIO

CALEIDOSCOPIO

LA BOTTIGLIA IN ACCIAIO CHE PRESERVA LA QUALITA’ DELL’OLIO E DEL VINO L’azienda vicentina Livingcap la realizza in diversi formati, completa di tappi dosatori

146

Proteggere il vino e l’olio dalla luce, impedendo l’ossidazione. Sono questi i principali vantaggi di Olly, la bottiglia in acciaio inossidabile AISI 304, realizzata dall’azienda vicentina Livingcap srl. Essa assicura la conservazione del prodotto nel tempo. Leggera, resistente e riutilizzabile, Olly si è rivelata un ottimo sistema di contenimento dei liquidi anche per alpinisti e scalatori. Olly esiste nelle versioni in acciaio lucido e satinato, in cinque diversi formati: 100, 250, 500, 700, 750 ml. Olly può essere fornita con varie chiusure: all’interno un dosatore in materiale sintetico assicura un dosaggio preciso e pulito. Esternamente, i tappi di questa bottiglia sono disponibili in diversi modelli e materiali (legno oppure plastica). Olly può essere personalizzata applicando le tradizionali etichette oppure tramite serigrafia. L’idea di dare vita a bottiglie in un materiale alternativo al vetro nasce dalla costante ricerca del miglioramento della qualità operata da Livingcap, realtà nata nel 2004. Essa è un’azienda giovane, fondata tuttavia su un’esperienza quarantennale nel campo delle chiusure per vino, liquori, distillati, olio d’oliva e cosmetici. Il suo team è costantemente impegnato nello studio di accessori molto particolari, di finiture originali e creative, servendosi di materiali naturali ed ecofriendly, con l’obiettivo di fare spiccare e diversificare i prodotti nel mercato.




Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.