Karpòs n. 9 - 2015

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Karpòs alimentazione e stili di vita

Anno IV - Karpòs - N° 9 - 2015

w w w. k a r p o s m a g a z i n e . n e t

Ferruccio Ferragamo IL VENEZUELA DEI GRANDI CACAO NEPAL Moda e agricoltura



EDITORIALE

Moda e agricoltura

Renzo Angelini Direttore editoriale

Carissimi lettori,

implicano il concetto di “immagine” e un approccio strategico alla comunicazione. Come si supera questo ritardo? Con cultura, ricerca e formazione. Le nostre facoltà di Agraria sono all’avanguardia e credo che abbiano già messo nel mirino il problema che ho segnalato. Ma la soluzione a breve più interessante sembra implicare altri soggetti e scenari. Infatti la tendenza degli ultimi anni testimonia un incredibile interesse tra alcuni grandi protagonisti della moda nei confronti dell’agricoltura ( olio e vino in particolare). A riprova di ciò, in questo numero presentiamo una illuminante intervista a Ferruccio Ferragamo. Per quanto mi riguarda, è la prima volta che uno dei grandi della moda italiana parla dell’agricoltura con una passione pari a quella di solito riservata ai prodotto moda. Potete scommettere che Ferragamo oltre alla passione, sta portando nelle sue aziende agricole, la cultura che nel tempo ha trasformato il brand di famiglia in una delle colonne del Made in Italy. Renzo Rosso della Diesel sta facendo la stessa operazione. Marzotto è da anni impegnato anche nel settore dei vini di qualità. Tutti i grandi marchi della moda stanno lanciandosi nella ristorazione di qualità. Insomma, moda e food italiani stanno cominciando a lavorare in sinergia. A mio avviso ci guadagneremmo tutti se creassimo le condizioni per moltiplicare le possibilità di questi rapporti che rappresentano anche un travaso di idee e culture necessario alla crescita di entrambi i settori.

Il food e la moda sono le due eccellenze del Made in Italy che tutto il mondo ammira. Tuttavia nel nostro Paese, a lungo, hanno rappresentato quanto di più incompatibile si potesse immaginare. Il food infatti significava, per il senso comune, un mondo di prodotti “primari” dotati di una evidente consistenza (erano necessari, tradizionali, funzionali); la moda per contro, evocava l’effimero, il superfluo, la vanità. Solo verso la fine degli anni ottanta, grazie alla internazionalizzazione dei mercati, i pregiudizi nei confronti della moda che derivavano sia dalla cultura cattolica e sia dall’ideologia comunista, sono crollati, facendo emergere la straordinaria compattezza della filiera della moda italiana. In quel preciso momento è divenuta evidente la grande differenza tra i due comparti: mentre la moda italiana era diventata agguerritissima nella strategie di immagine, branding e marketing, la nostra agricoltura rimaneva al palo di partenza rispetto gli standard che le avrebbero consentito di avere ben altre performance. Da quei giorni sono passati più di due decenni e per fortuna la nostra agricoltura è cambiata. Innovazione, tecnologia, marketing non sono più eccezioni, bensì sono divenute il lavoro quotidiano di tantissime aziende nazionali che hanno portato il fatturato delle nostre esportazioni food a raggiungere quello della moda. A mio avviso, tuttavia, esistono ancora due settori nei quali il settore agroalimentare è in ritardo sulla moda: le riflessioni e le operazioni di mercato che

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Karpòs Magazine N. 9 - 2015

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Direttore editoriale Renzo Angelini

Moda e agricoltura Renzo Angelini

Direttore responsabile Lamberto Cantoni Iscr. trib. di Forlì n° 3/12 del 4/5/2012 Proprietario ed editore della testata Karpòs S.r.l. Via Zara 53 - 47042 Cesenatico (FC) P.I./C.F. 04008690408 REA 325872 Hanno collaborato a questo numero

8 Ferruccio Ferragamo Lamberto Cantoni

Antonella Bilotta antonella.bilotta@karposconsulting.net Laura Fafone laura.fafone@karposconsulting.net Amministrazione Milena Nanni milena.nanni@karposconsulting.net

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Raccolta pubblicitaria pubblicita@karposmagazine.net Tel. +39 335 6355354

IL VENEZUELA DEI GRANDI CACAO Gilberto Mora

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Karpòs promo 26 28 54

CSO SALVI

CSO ORAGEL

Per le fotografie: da pag. 8 a pag. 11 - da pag. 16 a pag. 25 © Il Borro s.r.l. da pag. 30 a pag. 52 Gilberto Mora da pag. 58 a pag. 90 Paolo Inglese, Pietro Columba Tutte le altre fotografie © Renzo Angelini In copertina: Ferruccio e Salvatore Ferragamo nella Tenuta Il Borro Foto © Renzo Angelini

CSO GRANFRUTTA ZANI

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* estratto dell’atto costitutivo del 1883



Ferruccio Ferragamo

Con i piedi per terra si può arrivare fino in cielo Lamberto Cantoni

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Ferruccio e Salvatore Ferragamo nella Tenuta Il Borro

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Tenuta Il Borro Ferruccio Ferragamo lamberto cantoni


Ferruccio Ferragamo lamberto cantoni

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Mentre da una delle terrazze de il Borro guardo l’armonioso paesaggio delle colline del Valdarno con al centro un romantico borghetto aggrappato alla cima di un monticello di roccia arenaria, mi ritornano alla mente le parole iniziali dell’autobiografia di Salvatore Ferragamo, dedicate a Bonito “… un paesino situato sulla cima di una collina dell’Appennino meridionale… era una comunità di poveri contadini, pochi proprietari terrieri, qualche artigiano e commerciante: sarti, barbieri, calzolai e falegnami… Mio padre, Antonio Ferragamo e mia madre Mariantonia, lavoravano i terreni di loro proprietà, ciascuno di circa quattro ettari o poco più, e

avevano l’orto proprio dietro casa. Coltivavamo il cibo che mangiavamo; il resto del magro reddito della famiglia proveniva dalla vendita del vino ricavato dalle vigne, del grano e del granoturco dei campi e dell’olio delle nostre olive” [Salvatore Ferragamo, Il calzolaio dei sogni, Skira, pag. 13]. Cosa penserebbe Salvatore Ferragamo se si trovasse oggi nel mio punto di osservazione, dal quale con un lento piano-sequenza dello sguardo, posso benissimo mettere a fuoco vigneti perfettamente disegnati, le macchie di verde luccicante dei raggruppamenti di ulivi, il verde scuro dei boschi che circondano l’immensa tenuta?


Potrebbe essere una domanda con la quale cominciare l’intervista che sto per fare al figlio primogenito Ferruccio Ferragamo, proprietario del Borro, da tempo programmata e che realizzerò di lì a poco. Ma so benissimo che è esattamente ciò che non chiederei mai. Non amo introdurmi nel privato delle persone che incontro per lavoro. Se qualcosa del genere affiora nel discorso, preferisco sia l’interlocutore a scegliere momenti e modi. In tal modo coltivo l’illusione di farmi condurre da una conversazione, abban-

donando l’idea di governarla, alla scoperta di porzioni del significato difficili da far emergere partendo da domande rigide, dal sapore troppo convenzionale, per restituire al lettore la voce del personaggio che per me vale quanto la sua anima. Isabella Sarti, PR e responsabile della Comunicazione del Borro, interrompe con gentile decisione l’esperienza del punto di vista privilegiato nel quale alcuni minuti prima mi aveva condotto, riportandomi alle ragioni della mia visita. Rientrati negli uf-

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fici, dopo pochi minuti di attesa, Ferruccio Ferragamo accompagnato dalla figlia Vittoria, ci raggiunge nella contenuta sala riunioni. Avendo avuto il privilegio di incontrarlo in più di una occasione, gli riconosco uno stile da “gentleman” sempre più raro tra i protagonisti della moda e qualcosa che mi piace definire la forza tranquilla del saper fare. Ho assistito numerose volte a suoi interventi pubblici: poche precise parole, concetti chiari e distinti sempre collegati ai fatti congruenti con gli scopi dell’enunciazione.

In breve, Ferruccio Ferragamo, trasmette fiducia, consistenza e adesione, qualità che riflettendoci, consentono ad un leader di guidare processi con il minimo di attrito e verbosità. Con il senno di poi, sono convinto che il resoconto della conversazione che attende il lettore, confermi le impressioni preliminari riportate, con l’aggiunta di una inattesa carica di passionalità, senza dubbio legata al profondo amore per la terra, per il Borro, del protagonista.

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Presidente, devo dire che non mi aspettavo tanta bellezza. Prima che lei arrivasse, Isabella mi ha indotto, grazie ad una breve ma intesa passeggiata, ad ammirare qualche scorcio della sua tenuta. Grazie al Borro credo di aver capito meglio il significato del concetto “geografia emozionale”, ovvero l’ipotesi che lo spazio che ci interessa di più è percepibile non solo in modo oggettivo, misurabile, ma soprattutto in maniera soggettiva, tattile, dinamica…

era segnata dall’incuria, dalla noncuranza, dall’assenza di manutenzione, probabilmente causate dalla frettolosa abolizione della mezzadria, decisa dai nostri politici verso la metà degli anni sessanta. Da un giorno all’altro chi possedeva la terra fu costretto ad assumere chi la lavorava come se fossero operai di una fabbrica. Questo causò un aumento spaventoso dei costi, in un momento in cui la nostra agricoltura non generava profitti. Molti proprietari di terreni non riuscirono a trasformare in aziende, le loro campagne e quindi furono costretti ad abbandonarle al loro destino. La mezzadria non era affatto quel residuo di mondo medievale descritto dai politici ideologizzati di quel periodo. è vero che rappresentava una tradizione di lunga durata. Ma tutti dimenticavano che la mezzadria esisteva da secoli soprattutto per-

La ringrazio per l’apprezzamento. Ciò che ha visto è il risultato di 22 anni di lavoro. Ma se avesse potuto vedere l’attuale tenuta quando la comprai dalla famiglia reale dei Savoia, sono convinto che le sue emozioni sarebbero state molto diverse. Ogni cosa

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nuta, conoscevo benissimo il livello di degrado della proprietà. La mia famiglia nei mesi estivi l’affittava fin dal 1985. Ma mi innamorai di questa terra e mi posi l’obiettivo di trasformare il suo borgo e le campagne in un modello di ospitalità e di agricoltura rispettoso delle tradizioni ma anche aperto ad innovazioni e sperimentazioni. Da allora, con l’aiuto di mio figlio Salvatore, oggi A.D. del Borro, ho investito tantissimo in risorse e tempo. Oggi, con una struttura ricettiva articolata in varie tipologie di edifici e inserita nel prestigioso circuito alberghiero Relais&Chateaux, con le botteghe artigiane del Borgo, con la nostra agricoltura bio-dinamica, i nostri vini e oliveti, posso dire di aver restituito al pubblico sensibile alla bellezza, un pezzetto di Toscana che non si dimentica facilmente…

ché era una macchina economica efficiente. Le regole erano molto semplici: il proprietario dei terreni e degli immobili li metteva a disposizione gratuitamente a famiglie che li avrebbero coltivati. I frutti del lavoro venivano poi divisi tra proprietario e mezzadro. Ora, se lei riflette sulle conseguenze di questo contratto può fare scoperte interessanti: il mezzadro non era un semplice lavorante bensì una via di mezzo tra un artigiano e un imprenditore. Cosa significa tutto ciò? Il suo modo di lavorare era completamente diverso da quello di un normale salariato. Il mezzadro aveva interesse a metterci il cuore; quella terra era un po’ anche la sua terra. L’abolizione di questo contratto distrusse per decenni la bellezza di parte del patrimonio paesaggistico delle campagne toscane. Quando nel 1993 decisi di acquistare la te-

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…Guardi presidente, un suo collaboratore con il quale ho scambiato qualche parola appena arrivato, mi ha introdotto la tenuta con queste parole: “Definire il Borro è semplice: non esiste niente di simile al mondo”. Mi ha colpito la sicurezza e l’orgoglio con cui ha enunciato la frase… Con noi, al Borro, lavorano all’incirca 150 persone. Ci teniamo tantissimo che comprendano il fatto che per me e la mia famiglia la tenuta non è solo una gradevole occupazione ma qualcosa che va oltre. Abbiamo cominciato tanti anni fa a rimetterne a posto la superficie, compromessa dall’incuria. Poi, in un secondo tempo, abbiamo cominciato ad esplorare la profondità utile per fare agricoltura, privilegiando i prodotti tipici della nostra terra Toscana, cioè vino e olio. Dal 2011 con il fotovoltaico produciamo l’energia che consumiamo. Nel 2012 abbiamo deciso di riconvertire tutte le nostre produzioni in coltivazioni biologiche. Mia figlia Vittoria sta dedicandosi all’allargamento del nostro orto biologico e ai nuovi impianti di apicoltura per la produzione del nostro miele. Abbiamo creato una ospitality di altissimo livello per i contenuti qualitativi offerti dal Borro. I nostri ospiti mangiano cibo quasi interamente prodotto da noi; bevono vini che creiamo con estrema cura in tutte le fasi sia di campo che di cantina; sono accolti in residenze radicate nella storia di questa terra. Il borghetto risale al 1100, il recupero delle ville è stato fatto in totale coerenza con i valori storici, i nostri casali permettono un agriturismo completamente immerso nelle nostre campagne e boschi. Ma al tempo stesso abbiamo implementato a tutti i livelli della nostra ospitality ciò che oggi reclama il viaggiatore consapevole, esigente, amatore di nuove esperienze percettive. Spa, ristoran-

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Cantina storica.

il figlio più grande e sentii la responsabilità di aiutarla. Rinunciai a laurearmi e mi dedicai interamente all’azienda. Se mio padre era stato uno dei più talentuosi creativi della sua generazione e un imprenditore determinato e audace, mia madre si rivelò nella conduzione e nello sviluppo dell’azienda altrettanto determinata, preparata e innovatrice. Fu lei, negli anni settanta a compiere la svolta verso il total look e allo sviluppo delle linee uomo. Mio padre lasciò migliaia e migliaia di modelli e 350 brevetti. All’inizio, giovanissimo, ricordo che passavo giorni a spolverare scarpe rinchiuse in vecchie scatole, che nessuno di noi aveva mai visto. Poi con la pratica mi impossessai dei fondamentali necessari per governare una azienda in costante espansione e mi trovai sempre più impegnato in ruoli di vertice. Mia madre era la presidente, io l’amministratore delegato, carica che ho mantenuto fino al 2006. Nel frattempo i miei fratelli e sorelle, cresciuti, si erano anch’essi arruolati alla cau-

te gourmet, l’osteria, il vin café, passeggiate a cavallo, attività sportive come il trekking e la mountain bike… Tuttavia, Io non ho mai pensato al Borro come una espressione del lusso, bensì come ricerca di “specificità”. Volevo che il Borro avesse una sua distinta identità, coerente con la sua storia e la sua terra. Credo di poter interpretare in questo modo le parole del mio collaboratore… …Lei lavora da una vita nella moda. Suo padre ha creato uno dei brand del Made in Italy più amati nel mondo. Come si passa dalla moda al Borro? Sono due mondi diversi o c’è qualcosa che li connette?… Mio padre mori nel 1960 quando avevo 14 anni. Mia madre, Wanda Ferragamo, si trovò sola con 6 figli e una azienda dal nome prestigioso da seguire in un momento difficile per l’economia, per i cambiamenti del mercato del lusso, per le tensioni sociali. Io ero

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che solo tre membri della famiglia avrebbero lavorato in azienda. Gli altri sarebbero stati semplici azionisti. Fu una decisione giusta che, unitamente alla quotazione in borsa, contribuì all’ulteriore espansione su tutti i mercati. A questo punto però sentii che dovevo fare qualcosa per permettere ai miei figli non coinvolti direttamente nella Salvatore Ferragamo Spa, di farsi un’esperienza. Ed è in quel preciso momento che il Borro divenne oltre ad una mia passione, il progetto di una nuova azienda proiettata verso l’ospitality di eccellenza, con la quale fare crescere nell’operosità la mia famiglia. Oggi tutti i miei figli hanno un casolare al Borro e alcuni ci lavorano. Come ho già detto, Salvatore è l’amministratore delegato; Vittoria, che sta seguendo la nostra conversazione, è la responsabile dei progetti speciali; Livia, è una stilista e ha aperto una bottega/boutique nell’area della corte. Anche James, l’unico figlio che lavora nella Salvatore Ferragamo Spa come Direttore del compar-

sa familiare, e dopo di loro vennero i nipoti. Siamo sempre stati una famiglia unita, decisa nel proseguire le attività dell’azienda in coerenza con il rigore e la serietà del padre fondatore, ma con il senno di poi riconosco a mia madre, oltre a ciò che ho sottolineato poco fa, il grandissimo merito di essere riuscita a farci andare d’accordo nei momenti in cui affioravano divergenze o umanissime tensioni. La Salvatore Ferragamo, non ha mai smesso di crescere arrivando prima di altri nei mercati decisivi. Mio fratello Leonardo ci portò con grande successo in Cina e in altri paesi dell’Asia, divenuti in breve tempo i mercati più importanti. Ma i successi commerciali aumentarono le dimensioni dell’azienda e ci fece pensare che in tempi brevi potevamo quotarci in borsa. Anche la famiglia, con il passare degli anni, si era allargata fino a comprendere i figli dei nipoti. Oggi, siamo un piccola tribù di 92 Ferragamo. Verso la metà degli anni novanta, tutti insieme, prendemmo la decisione

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to accessori, possiede un casolare al Borro e, compatibilmente con i suoi impegni, ci viene spessissimo. Posso dire con orgoglio che tutti i miei figli hanno imparato ad amare questa terra come il padre. A questo punto rispondo alla seconda delle sue domande, ovvero se esiste o meno una connessione tra mondo della moda come lo si intende oggi, con il Borro. Direi di no. Non c’è alcuna connessione. Piuttosto penso che possa esserci affinità tra i valori che mi hanno trasmesso i miei genitori e che ho seguito nei

52 anni che ho trascorso nell’azienda di famiglia e la filosofia del Borro. Vede, io ho sempre seguito tre semplici regole: a. Circondarmi delle persone giuste; b. Non bluffare mai su principi e valori; c. Avere sempre i piedi per terra. Io credo che queste massime etiche rappresentino bene lo stile Ferragamo e in esse posso tranquillamente riconoscere la bussola che mi ha indicato la strada nelle tante decisioni che hanno fatto diventare il Borro, il luogo che lei ha visto e ammirato…

Ferruccio e Salvatore Ferragamo.

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…Cosa l’appassiona di più negli innumerevoli aspetti del Borro?…

una pancia enorme, da vero buongustaio. In realtà era anche un uomo d’azione e un valido generale che terrorizzava i Turchi col solo nome. Per celebrarlo abbiamo creato un vino 100% Syrah; un vino che esalta la purezza e presentato solo in bottiglie Magnum da due litri per sottolineare l’imponenza del personaggio…

…Mi rendo conto che l’aspetto più appariscente del Borro, natura, paesaggi, a parte, sono le strutture della nostra ospitality in linea con gli standard elevatissimi dei migliori Relais&Chateaux. Anche i nostri servizi di ristorazione sono stati curati nei minimi particolari. Recentemente abbiamo introdotto un impianto di aspirazione all’ozono che garantisce una igiene come quella prevista nelle sale operatorie dei migliori ospedali. Non credo che in Europa esistano altri ristoranti dotati di questa tecnologia. Il nostro chef Andrea Campani, condividendo la nostra filosofia orientata a valorizzare il principio di onestà del cibo, propone una rivisitazione delle tradizionali ricette toscane in chiave contemporanea… Tuttavia le mie vere passioni sono per le cose semplici: il mio olio e il vino. Tutte le nostre produzioni agricole sono biologiche. Abbiamo terreni fertili per natura che cerchiamo di assecondare con pratiche biodinamiche. Quest’anno purtroppo l’olio avrà dei grossi problemi. I 45 ettari di vigne invece ci consentiranno di produrre le 200.000 bottiglie di vino, oramai famose nel mondo. Le nostre uve di Merlot, Syrah, Petit Verdot, Cabernet Sauvignon, Sangiovese e Chardonnay, vengono raccolte manualmente e selezionate con cura. Il processo di vinificazione è rigoroso e controllato in tutte le fasi critiche. La nostra cantina dispone di tutte le tecnologie d’avanguardia. Le nostre etichette raccolgono adesioni significative dagli esperti del settore e sono oggetto di prestigiosi punteggi e premi. Il vino al quale sono particolarmente legato l’ho chiamato Alessandro dal Borro per celebrare il personaggio che nel XVII sec. creò l’attuale tenuta. Sei lei visita la cantina potrà osservarne il ritratto in grandi dimensioni. Il Marchese dal Borro ha una fisionomica divertente caratterizzata da

…il Made in Italy sta correndo velocemente nel mondo con due solide gambe che sono il food e la moda. Del nostro cibo i gioielli sono l’olio e il vino. Della moda una delle nostre perle è sicuramente la Salvatore Ferragamo SPA. Cosa pensa delle dichiarazioni che vedrebbero il Made in Italy in dissolvenza incrociata con i nostri grandi brand sempre più autoreferenziali? In altre parole c’è chi dice che tra un po’ avremo solo il Made in Prada, Made in Armani, Made in Ferragamo etc. Non sono assolutamente d’accordo con queste voci. Vede, all’inizio dell’intervista ho parlato di “specificità”. Il Made in Italy significa proprio questo: la garanzia al cliente che il prodotto è fatto in Italia, che il prodotto in qualche modo è impregnato di valori e tradizioni generati dalla lunga storia della nostra forma di vita. Tutte le produzioni Ferragamo nascono in Italia. Noi non bluffiamo, non facciamo false promesse, non seguiamo le ultime voci della moda. Siamo fieri di essere considerati nel mondo gli ambasciatori dello stile italiano all’eleganza. Io sono costretto a viaggiare tantissimo e posso assicurare che gli abitanti del pianeta evoluti considerano gli italiani persone fantastiche, creative, appassionate del loro lavoro, testimoni di un’arte del saper vivere che tutti ci invidiano almeno quanto i nostri tesori artistici e la bellezza delle nostre città storiche. Tutte queste emozioni veicolate dai significati profondi che la nostra cultura ha diffuso nel mondo sono catalizzate dal meta brand

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Ferruccio e Salvatore Ferragamo.

stratori, comunque vada, scelgono sempre la litigiosità ad oltranza? Qualunque sia la risposta è importante sottolineare che le nostre contraddizioni per ora non intaccano in profondità il prestigio del Made in Italy. E chissà, mi viene da pensare che forse il nostro individualismo problematico, visto da fuori, possa avere un significato non completamente negativo; possa cioè aggiungere qualcosa di lirico/struggente al mondo di bellezza che rappresentiamo.

Made in Italy. Sarebbe una grande sciocchezza rinunciarvi… …il nostro Paese è anche pieno di problemi e contraddizioni… …non posso negarlo. So benissimo che non tutti fanno il proprio dovere. Siamo un Paese nel quale è difficile mettere d’accordo le persone. Queste divisioni ci penalizzano. Le faccio solo un esempio. Il problema principale del nostro Paese, oggi, si chiama crisi economica. Sarebbe sufficiente che ogni italiano regalasse un’ora in più di lavoro al giorno, al proprio Paese, per uscire in pochissimo tempo dalla crisi. Come mai che una proposta così semplice ed efficace non viene mai presa in considerazione? Come mai che tutti, politici, sindacalisti, partiti, ammini-

Lamberto Cantoni Direttore Responsabile

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Karpòs promo LA CAMPIONESSA MARA FULLIN PREMIATA CON SUPERFRUITNESS TRA I FRUTTETI VIRTUALI DI SALVI Questa volta ad Expo Milano, nell’ambito delle iniziative di CSO per promuovere frutta e sport c’è un super eroe in versione femminile, Mara Fullin, a cui è stato consegnato il premio Superfruitness. A premiare la campionessa di Basket e istruttrice di Nordic Walking, Silvia Salvi dell’azienda Salvi che si è presentata ad Expo con una proposta assolutamente innovativa e in linea con i principi dell’Esposizione Universale. “Al giorno d’oggi si è sempre più attenti alle nuove tecnologie e applicazioni innovative, e Salvi ha deciso di importare nel mondo ortofrutticolo nuove soluzioni che possano essere al servizio della nostra filiera ortofrutticola. Dalla collaborazione con Relazioni Cosmiche e Officine Digitali - FAB LAB di Padova è nata l’idea di presentarci ad Expo con la realtà virtuale, la realtà aumentata e la stampante 3D”. “La cassetta che non c’è” e “Viaggio al centro del frutteto” hanno stupito, divertito, ma soprattutto hanno creato un forte interesse in tutti coloro che hanno avuto occasione di sperimentare in prima persona queste novità. A disposizione del pubblico, infatti, la possibilità di indossare i caschi con visore che hanno letteralmente catapultato le persone dall’altra parte dell’Italia in un autentico frutteto Salvi, visibile a 360 gradi, nel quale la Fullin ha virtualmente passeggiato facendo Nordic Walking. Grande interesse anche per gli occhiali che permettono di aumentare la realtà: utilizzando una tecnologia innovativa e con l’utilizzo di un software all’avanguardia studiato appositamente per Salvi, gli occhiali sono stati capaci di far apparire quasi magicamente delle cassette di frutta Salvi in 3D.

E per essere davvero sostenibili e innovativi fino in fondo, Salvi ha regalato agli intervenuti anche dei piccoli portachiavi creati in diretta con le stampanti 3D (in plastica vegetale in fibra di mais biodegradabile), riproduzioni rigorosamente del logo dell’Azienda. “Innovazione, sostenibilità, e benessere sono valori in cui crediamo profondamente, per questo motivo mi ha fatto particolarmente piacere incontrare e premiare una grande sportiva come Mara Fullin e da donna a donna so quanta energia, determinazione e forza serve per poter emergere.” “Il Nordic Walking - dichiara Mara Fullin- non è solo uno sport ma una grande opportunità per unire il benessere del movimento, dello stare insieme e, perché no, anche del piacere di una sana alimentazione”. Mara promuove i percorsi di Nordic Walking in tutta Italia e non solo, coinvolgendo, ogni volta, decine di persone che hanno voglia di muoversi ma anche di vedere posti nuovi, stringere amicizie, socializzare.

CHI È MARA FULLIN A partire dal gennaio 2012 Mara Fullin è istruttrice della Scuola Italiana Nordic Walking (SINW) e FIDAL (Federazione Italiana Atletica Leggera) e si dedica con grande entusiasmo alla pratica, all’insegnamento ed alla diffusione di questo sport. Ma il Nordic Walking è solo l’ultimo approdo di una grande carriera sportiva, che l’ha vista per 18 stagioni protagonista del basket femminile con 575 partite in serie A, 5973 punti realizzati, in Italia ed all’estero. I successi con

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due squadre fortissime Vicenza (1980-1989) e Como(1989-1998) 15 scudetti, 7 Coppe dei Campioni, 1 Mondiale per Club, 4 Coppe Italia, 2 Super Coppe italiane: ha vestito per 199 volte la maglia azzurra realizzando 2296 punti partecipando a: 5 Campionati Europei, 1 Mondiale, 2 Olimpiadi Barcellona 1992 ed alle Olimpiadi di Atlanta 1996.

I NUMERI DI SALVI

Queste le cifre che sintetizzano il suo cammino sportivo, nel corso del quale ha ricevuto molti riconoscimenti. L’ultimo in ordine di tempo è l’inserimento nella Hall of Fame del basket italiano.

8 centri in Italia

Salvi è un’azienda che ha la sua sede in provincia di Ferrara ma che commercializza con e verso tutto il mondo ed interviene con professionalità e competenza in ogni fase della filiera dell’ortofrutta: ricerca, vivai, produzione, stoccaggio, lavorazione, logistica, commercializzazione.

3 centri in Europa (Francia, Spagna e Polonia) 1.700 ettari in Italia 1.300 persone tra dipendenti e stagionali 1.000 produttori 5 continenti acquisto e vendita 1.000.000 piante da frutto 100.000.000 di piantine di fragola 1.500.000 portinnesti melo e pero 1.000 tonnellate lavorazione giornaliera 112.000 tonnellate di ortofrutta 40.000 tonnellate stoccaggio 130 milioni fatturato/anno.

www.csoservizi.com www.salvi.it

Da sinistra: Giuseppe Salvi (CFO Azienda Salvi), Mara Fullin, Paolo Bruni (Presidente CSO), Silvia Salvi (AD Azienda Salvi Vivai)

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Karpòs promo BAGNO DI FOLLA PER MARCELLO LIPPI A EXPO MILANO Il mister campione del mondo 2006 a expo per ricevere il premio mr. fruitness, inserito nel progetto di promozione della sana alimentazione e dell’attività sportiva promosso da CSO e Orogel. Sana alimentazione, attività sportiva e benessere. Le parole chiave dei sette giorni di eventi organizzati dal CSO (Centro Servizi Ortofrutticoli) a EXPO sono le stesse che da sempre guidano l’attività del Gruppo Orogel, azienda italiana leader nella produzione di vegetali freschi surgelati. Come il CSO promuove il consumo di frutta e verdura con il progetto Mr Fruitness, infatti, così Orogel fin dalle sue origini sostiene con i Prodotti Benessere l’importanza di un’alimentazione sana ed equilibrata unita all’attività sportiva. Il progetto ha avuto origine all’inizio degli anni Novanta grazie ad una serie di importanti iniziative educazionali di cui fu protagonista anche Mister Lippi, alla prima esperienza in serie A alla guida del Cesena calcio. Una stagione molto felice in cui il giovane allenatore portò anticipatamente ad una salvezza miracolosa. La maglia della squadra ai tempi aveva sul petto il marchio Orogel, allora quasi sconosciuto. È stato proprio in questo periodo che ha avuto inizio una nuova stagione per Orogel, fatta di ricerca e sviluppo e di iniziative a carattere produttivo e commerciale che hanno seguito la sua notorietà e la sua costante crescita. Per questo motivo, a distanza di anni, Orogel ha deciso di invitare il Mister campione del mondo nel 2006 all’EXPO per continuare a promuovere insieme questi valori. “Sono felice di questa accoglienza da Mondiali - dichiara Mr. Lippi, ai miei tempi prima delle partite gli atleti mangiavano risotti mantecati e bistecche e ci volevano 8 ore per digerire. Oggi continua Lippi l’alimentazione nello sport è più equilibrata e frutta e verdura alleggeriscono i piatti degli atleti.

mo da ventisei anni e ci siamo subito capiti; da sempre c’è un rapporto di amicizia che ci lega e che ci ha portato fortuna a vicenda”. Sin dall’ideazione del progetto, il Gruppo Orogel partecipa attivamente all’iniziativa Mr. Fruitness, il super eroe della frutta e del benessere che da nove anni anima le attività di promozione della frutta in Germania, Regno Unito, Danimarca, Svezia e Polonia e che è approdato a EXPO per promuovere i principi dell’alimentazione mediterranea, specie nei bambini. Per sensibilizzare turisti e visitatori su questo argomento, Orogel ha organizzato l’evento “Orogel e Mr. Fruitness incontrano i testimoni dello sport”. Nello spazio espositivo adiacente a Palazzo Italia, a pochi passi dal Decumano, Mister Lippi ha parlato di corretta alimentazione quale elemento base di una sana vita sportiva. Bruno Piraccini Amministratore Delegato Orogel e il Direttore del CSO Elisa Macchi hanno consegnato il premio “Super Fruitness Expo”. Una occasione unica per parlare dell’attività dell’azienda nell’ambito della promozione del viver sano.

www.csoservizi.com www.orogel.it

Ho sempre avuto - prosegue Lippi- un feeling con Orogel, dai tempi in cui allenavo il Cesena. Ho dei bei ricordi di quegli anni, è stata la mia prima esperienza in serie A. Io sono stato campione del mondo con l’Italia e Orogel è diventata campione d’Italia con i suoi prodotti. E’ la prima volta che vengo ad EXPO - conclude Lippi- e tra tutti i Paesi che sono presenti qui mi piacerebbe allenare gli Stati Uniti”. “E’ un grande orgoglio per Orogel - dichiara l’AD Bruno Piraccini - aver consegnato il premio Superfruitness a Marcello Lippi con cui ci conoscia-

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Da sinistra: Marcello Lippi, Realdo Mastini (Presidente Orogel Fresco), Bruno Piraccini (AD Orogel), Mauro Battistini (Direttore Orogel Fresco), Elisa Macchi (Direttore CSO)


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Love my salad è il social network delle insalate che unisce gli amanti di frutta e verdura in ogni angolo del mondo per condividere la passione per le salutari e gustose insalate

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IL VENEZUELA DEI GRANDI CACAO Gilberto Mora

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IL VENEZUELA DEI GRANDI CACAO Taccuini di viaggio Gilberto Mora


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Venancio Martinez a Cuyagua

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Il fascino del cacao e del cioccolato diventa, per analogia, il fascino di una terra magica come il Venezuela. Scientificamente è provato che le prime piante di cacao nascono in due zone del territorio venezuelano: la specie “criollo” nella zona a sud del Lago di Maracaibo conosciuto per la qualità e la bianchezza delle sue fave, il suo sapore fruttato e la sensualità dei suoi aromi, capace di dare un cioccolato ineguagliabile, delicato e dal sapore persistente; la specie “forestero” nella conca del Delta dell’Orinoco e nella zona Amazzonica al confine col Brasile, apprezzato per la sua forza, resistenza e produttività. Il cacao divenne così importante nel Venezuela che nel ’700 i proprietari di aziende cacaotere venivano nominati secondo la quantità di alberi di cacao che possedevano: “Don”

se arrivavano a 10.000 e “Gran Cacao” con 50.000 come segno di ricchezza, prosperità e importanza, per gli abitanti, i commercianti e la stessa Corona. Al principio del 17° secolo era il principale produttore di cacao e ora produce solo lo 0,5 della produzione mondiale ma è indiscutibile che il Venezuela è il cacao e ci dà i grani della migliore qualità al mondo. L’idea di questo viaggio, alla ricerca del grande cacao fine e aromatico, non sarebbe stata possibile senza il grande lavoro che Gianluca Franzoni, fondatore di Domori, ha sviluppato negli ultimi vent’anni alla ricerca degli straordinari “criollos” venezuelani. Tutte le tappe di questo tour hanno avuto come obiettivo la mappatura e la selezione di alcuni cacao provenienti da zone ben specifi-

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che che andranno a far parte dei cacao selezionati per il progetto “I luoghi del cacao” che Compagnia del Cioccolato sta portando avanti da un paio d’anni. Lo staff dei viaggiatori è composto da me, Gilberto Mora, Presidente di Compagnia, l’ideatore del progetto, Rocco Angarola consigliere d’amministrazione e direttore di Alto Cacao, i nostri collaboratori di Cacao Caracas che coordinano i campesinos produttori di cacao, i nostri referenti venezuelani di Cacao Mar e alcuni soci di Compagnia del Cioccolato.

quello di Maracaibo), in questo caso negli stati venezuelani andini di Merida, Tachira e Zulia al confine con la Colombia. Sbarchiamo di prima mattina all’aeroporto di El Vigìa dopo essere partiti da Caracas che è ancora buio. In circa un’ora di viaggio arriviamo in una bellissima zona, molto curata e piena di attività cacaotere. Edifici bassi, piantagioni con un sottobosco molto pulito, “limpio” come dicono loro, serre per piantine nuove, spazi di fermentazione e seccatura. Sono il centro di beneficio del cacao di Corpozulia, gestito dalla Corporation socialista del cacao venezuelano, e il Vivero de Frutales della Stazione locale Chama dell’INIA (Istituto Nacional de Investigaciones Agricolas). Nella prima piccola piantagione troviamo Criollo andino Meri-

Nella casa del Porcelana a “Sur del Lago” Parte questo viaggio nelle terre del cacao venezuelano con una ricerca dei criollo merideñi nella zona del Sur del Lago (il lago è

Interno di cabosse di Porcelana con fava bianca alla Cascarita

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da e Criollo Guasare innestato su piante di ibrido Merida. Ma è nella seconda parcella che troviamo la vera casa del Criollo Porcelana : sono presenti le principali tipologie di cabosse che evidenziano il Porcelana nei vari gradi di maturazione: colore chiaro con una piccola spennellata rosa, verdi chiare, gialline e bianche con piccoli puntini, rosso non troppo intenso con una patina porcellanata. Cabosse non grandissime, rotonde con una punta marcata. Al taglio del seme fresco l’interno è bianchissimo con la tendenza ad ossidarsi molto velocemente. Nel centro di fermentazione guardiamo le tabelle e scopriamo che il Porcelana fermenta in tre giorni. Come tutti i grandi criollo deve fermentare in fretta perchè la qualità genetica è già altissima. I carrelli dove il seme fermentato è posto a seccare sono molto moderni e si spostano su rotaie. Le fave, non ancora pronte, già presentano un bel colore rossiccio. Ce ne andiamo con due piantine di Porcelana pronte per essere piantate nel giardino di un amico a Puerto La Cruz. Mi spiace non poterne portare almeno una in Italia. Mi accontento di tre piccole cabosse di Porcelana con tre varianti di colore e il grande abbraccio, a me e agli amanti italiani del cacao, degli amici di Corpozulia. Ci dirigiamo in un’altra zona alla ricerca di un’altra piantagione che è appena passata a nuovi proprietari. Il viaggio in auto verso il Municipio Francisco Pulgar, nella stato di Zulia, ci porta forse un po’ troppo vicino al confine colombiano dove, in questo momento, contrabbandieri e guerriglia la fanno da padroni. La totale assenza di Guardia Nacional ci fa capire che è meglio cambiare strada e tornare indietro in fretta e tra fascinose distese di palme da platano, palme da cocco e mandrie di bufale arriviamo alla Finca La Orchidia di Raul Vargas, chiamata anche “La Cascarita”, dove sappiamo della presenza di una piantagione di circa 50 et-

Cabosse di Porcelana a Corpozulia


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Antico Criollo di Merida

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prietario Carlos Enrique Dugarte. Seduti all’ombra di una tettoia beviamo un “cafesito” e facciamo il punto sulla produzione di cacao. Ciò che apprendiamo è veramente sconfortante: i produttori di cacao di questa zona stanno vendendo ad un prezzo più alto, per la crisi economica che sta coinvolgendo tutto il paese, un cacao che non viene nemmeno fermentato ma gettato ancora con la bava bianca sotto il sole e fatto seccare. Un grandissimo spreco perché penalizza un cacao geneticamente molto interessante e, senza una corretta fermentazione, lo rovina definitivamente. Fortunatamente si sta sviluppando la proposta dei nostri amici di Cacao Caracas che, su nostro suggerimento e con la collaborazione del Ministero del Commercio, hanno messo a punto un progetto di un centro di beneficio per supportare i produttori e recuperare la qualità del cacao di questa zona. Come emergenza il primo passo è stato quello di acquistare dai produttori il cacao appena raccolto ancora

tari. Troviamo una piantagione in completo rinnovamento dove stanno per costruire uno nuovo spazio per la fermentazione e per l’essicazione. La giriamo in lungo e in largo e arriviamo alla conclusione che la presenza di criollo porcelana è superiore al 70% ed il resto del cacao si divide tra alcune tipologie di antico criollo merideño quali Boccadillo, Hernandez, Benavide oltre alla presenza di criollo Guasare. Una bella piantagione che avrà grande futuro. Torniamo alla nostra posada nella zona cacaotera “La Azulita” preparando la nuova giornata di viaggio verso Tucanì proprio vicino alla vecchia e storica piantagione, nazionalizzata e ormai in disuso, di Pedregal di Valrhona. Il cacao merideño di Tucanì e il centro di beneficio di Caño Tigre Arriviamo di prima mattina alla Finca Maracaibito di Tucanì dove ci aspetta il pro-

Bufale in transito vicino alla Cascarita

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Un notevole progetto per un cacao di ottima qualità. A cena appuntamento con il Prof. Alexis Zambrano Garcia dell’Università delle Ande di Merida e domani pomeriggio partenza in aereo per Caracas e poi in auto verso Maracay nello stato di Aragua con tappe a Choronì, Cepe, Chuao, Ocumare e Cuyagua.

in bava, di farlo fermentare con correttezza e di farlo seccare nelle migliori condizioni in un centro di beneficio appositamente costruito per garantire la qualità del cacao di tutto questo territorio. Lo spazio di Caño Tigre è costituito da una sala con casse di fermentazione da circa 200 kg di fave l’una, un “Secador Solar” di stile Marquesina di 200 metri quadrati con la capacità di processare 12 mila kg al mese e un magazzino. Questo particolare “secador”, coperto da plastica e con una ventilazione forzata permette di seccare i semi di cacao anche più velocemente, di non temere la pioggia e risparmiare personale, di fare seccare il prodotti in un ambiente più protetto e salubre. In questo centro si stanno processando un criollo merideño con presenza di Bocadillo, Hernandez, Benavide e Guasare, un Sur del Lago standard e un cacao merideño della zona di Tucanì con un buon incontro tra Trinitari ibridati e Criolli di zona.

Dall’Università delle Ande a Chuao Incontro Alexis Zambrano in un bel ristorante a pochi chilometri da Merida. Si sta facendo sera, il luogo è molto piacevole, sottofondo di musica caraibica mischiata a brani internazionali alla moda quasi fossimo in un locale di tendenza sulla riviera romagnola. Arrivano Caipiriñe molto aromatiche e suadenti dove il lime è sostituito dalla parcita (il passion fruit) in attesa della cena e mi sposto con Alexis in uno spazio più tranquillo per parlare di cacao. Alexis

El Pedregal, storica piantagione nazionalizzata

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“sabor a fruta, sabor floral,sabor a nueces (frutta secca e tostata), sabor herbal, sabor a panela/malta, sabor caramelo. Torniamo al tavolo dove ci aspetta un piatto tipico con foglie di banane, carne, cipolla e uvetta mentre continua fitta la nostra conversazione sugli aromi secondari del cacao aromatico. Resteremo in contatto e gli farò avere le nostre schede tradotte in spagnolo. L’indomani partenza per Caracas in aereo e trasferimento a Choroni. Ci aspetta il nostro “lancero” per portarci via mare prima a Cepe e poi a Chuao.

Zambrano Garcia è professore associato nel dipartimento di Chimica dell’Università delle Ande e insegna biotecnologia dei microrganismi alla facoltà di Scienze. In questo momento il suo lavoro è indirizzato alle tipologie dei suoli e al controllo di qualità del settore agricolo (fondamentalmente al cacao). L’oggetto della nostra conversazione è il loro progetto, in collaborazione con la ICCO, per stabilire i parametri fisici, chimici e organolettici che evidenziano le differenze tra cacao fino e cacao ordinario. Hanno appena dato alle stampe un interessante manuale di laboratorio sull’analisi di qualità delle fave di cacao. Alexis è molto interessato al lavoro che noi stiamo facendo da anni sulle tecniche di degustazione, soprattutto dei cacao d’origine, alle nostre schede di degustazione e sostanzialmente al nostro approccio degustativo che esce dai loro parametri molto rigidi del ricercare

Via mare verso i luoghi mitici del cacao Non ci sono strade che portano alle piantagioni di Chuao e Cepe. lI porto di Choronì è poco più di una spiaggetta dove un piccolo rio sfocia nel mare. è da qui che ci imbarchiamo per un viaggio di circa 40 minuti con un mare fortunatamente calmo e maeNella foresta di Cepe

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A Rio Chico con Carmen della Corporacion del cacao

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stoso. La piccola e straordinaria spiaggia di Cepe ci accoglie silenziosa. Poche persone e un’atmosfera quasi sospesa. Qualche pescatore sta portando pargos e piccoli tonnetti tenendoli per le branchie, almeno tre per ogni mano. Cepe da qualche anno sta ricominciando a produrre cacao. Una piantagione sempre più pulita che dà 2/300 kg di cacao all’ettaro. Sono ormai due anni che la visitiamo e possiamo dire che il lavoro è stato molto intenso e la qualità del cacao è migliorata. Una grande percentuale di criollo che ricorda quello che un tempo era il criollo di Chuao (che è proprio lì vicino a pochi chilometri), un po’ di Trinitario ibridato tipo Choroni, qualche Ocumare e pochissimo Forestero

Amelonado Legon dagli inconfondibili frutti gialli rotondi e appuntiti. Sarà un buon cacao molto dolce e con note di nocciola che Compagnia del Cioccolato metterà a disposizione di qualche produttore italiano con il suo progetto “I luoghi del cacao” che dovrà selezionare alcune piantagioni e favorire il rapporto tra campesinos e cioccolatieri. Nel tornare verso Ocumare della Costa facciamo una tappa a Chuao. Mi piange il cuore vedere lo stato di quella che era una grande e importantissima piantagione. Ormai il criollo di Chuao è svanito e si può parlare soltanto di un cacao blended di piantagione dove troviamo un po’ di trinitario e dove il forestero la fa da padrone. Hanno però restaurato la mitica chiesetta e ne siamo feChiesetta di Chuao e piazza per seccare il cacao

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dell’Empresa Campesina di Cuyagua. Arriviamo con lui alla sua piantagione di circa 50 ettari posta a destra di un piccolo “rio”. Si attraversa a piedi bagnandosi un po’ oppure saltando da pietra in pietra come faccio io con una certa fatica. Una buona parte della piantagione è completamente pulita nel sottobosco e in una grande parcella sono presenti solo piante di Ocumare in purezza appena piantate. Vediamo un impianto di irrigazione primitivo ma efficiente. Sono presenti nella piantagione tutte e tre le tipologie di Ocumare 61, 67 e 77, pochissimo forestero Amelonado Legon riconoscibile dalle sua cabosse gialle piccole e tonde, un po’ di ibrido trinitario. Direi che nella totalità possiamo rilevare un 70% di presenza di criollo. Salutiamo Venancio nell’affascinante piazzetta di Cuyagua con la sua chiesetta coloniale molto simile a quella di Chuao e ci trasferiamo al centro di beneficio di Cumboto che si trova nella bellissima Finca Las Bromelias di proprietà del signor Freddy Fisher. In questo centro i nostri amici di Cacao Caracas processano tre tipologie di cacao: quello che viene prodotto in questa azienda, il cacao di Cuyagua e una “mescla” di vari produttori della zona cacaotera Cumboto. La Finca Las Bromelias presenta piante di Criollo Ocumare tipologia 61, 67 e 77 con la presenza particolare di un Ocumare 60 che viene sostanzialmente utilizzato per l’impollinazione manuale. Nella piantagione abbiamo anche trovato alcune nuove piante di Chuao 120, nove nuovi cloni UCV dal n.1 al n.9 e 14 tipologie di cloni regionali. Una piantagione laboratorio che vede la presenza di un secador solar e di un spazio con differente casse di fermentazione per i vari tipi di cacao. Ritornati alla nostra posada uno straordinario concerto sul canale nazionale mi allieta la serata: l’orchestra sinfonica della gioventù venezuelana diretta da Gustavo Dudamel, allievo di Abbado, in una stra-

lici. Peccato che Chuao si sia trasformato sostanzialmente in una meta turistica. Se penso a tutti i produttori che sproloquiano sulle loro tavolette con Criollo Chuao sorrido amaro… Fortunatamente c’è il Chuao in purezza di Hacienda San Josè di Domori che Gianluca Franzoni ha selezionato e portato nella sua piantagione nello Stato di Sucre a mille chilometri di distanza. Solo così è stato salvato un grande criollo e noi possiamo ancora gustarlo in tutta la sua sontuosità! Domani Ocumare, Cumboto e Cuyagua. Ocumare della Costa, la riscoperta di grandi cacao Lasciate Cepe e Chuao con un viaggio in barca molto difficoltoso- nel pomeriggio infatti il mare si ingrossa sempre- arriviamo alle altre grandi località cacaotere dello stato di Aragua: Ocumare, Cuyagua e Cumboto. Ocumare della Costa è un’altra splendida vallata della costa centrale del Venezuela nello Stato di Aragua. Il cacao criollo coltivato in questa zona ha subito un severo processo di ibridazione ma questo cacao rimane ancora autosufficiente per essere messo in commercio. Il cacao da Ocumare e dalla vallata confinante di Cuyagua (che produce un cacao simile) spesso raggiunge i mercati internazionali come una singola origine molto particolare di cacao ed è venduto con un premio molto elevato. I cloni selezionati di Ocumare sono stati piantati in molte zone del Venezuela (con particolare successo nell’Hacienda San Josè di Franceschi/Domori nella penisola del Paria a Carupano nello stato di Sucre). Un cacao importante con un gustoso aroma primario, note di panna, spezie, mandorla, sottobosco e funghi, marmellata di ciliegia. Ottimo bouquet floreale con sentori fruttati. L’incontro che facciamo è con Venancio Martinez padre di Felix, il presidente

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Cabosse a Cuyagua

Cabosse Cabosse di criollo di criollo Ocumare Ocumare a FincaaLas Finca Bromelias Las Bromelias a Cumboto a Cumboto.

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Nelle terre del Carenero Superior Poco prima di partire facciamo una sosta da “Don Juan” un classico negozio di abiti tradizionali dove acquisto un fantastico Liki Liki, l’abito da cerimonia venezuelano da portare con catena d’argento o d’oro nelle due asole sul colletto. è il loro Smoking con, però, un fascino tropicale e d’antan. Penso immediatamente che lo indosserò per la serata di gala del Salon du Chocolat di Parigi. Arriviamo a Higherote nello Stato di Miranda verso sera dopo aver attraversato Caracas sull’autostrada cittadina che la divide da ovest e est. La zona cacaotera è molto interessante e il fulcro produttivo è quello di San Juan di Barlovento. Spesso, salvo gli esperti, non si riesce a comprendere le differenza tra cacao d’origine, cacao ibridato e cacao di una zona particolare. Il Carene-

ordinaria interpretazione di “Mambo” di Leonard Berstein. Un’emozione indimenticabile! Dopo aver tostato in Italia i cacao prodotti qui abbiamo riscontrato nel Cumboto “mescla” delle varie piantagioni della zona un bouquet molto intenso e ricco di aromi secondari, una dolcezza accattivante con un ottima rotondità per il Cuyagua e una assoluta finezza ed eleganza nel cacao della Finca Las Bromelias di Fisher. Da questa piantagione è nata veramente la riscossa dei cacao dei territori di Ocumare. In serata arrivo a Caracas e poi due giornate intere per incontri con il Ministero del Commercio, le autorità doganali del porto di La Guaira per preparare l’esportazione del cacao selezionato, la visita un vecchio mercato nel centro di questa megalopoli e poi verso Higherote e Barlovento nello stato di Miranda. Essicazione a Rio Chico

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ro non è un’origine specifica di cacao ma è una sorta di blended di piantagione tra differenti tipologie di cacao. Infatti nelle piantagioni di questa zona troviamo molte tipologie genetiche di cacao, molto Trinitario, Amelonado Legon Forestero e un po’ di criollo. Questa raccolta indifferenziata porta molti problemi di fermentazione perché le fave più bianche di criollo hanno bisogno di 4 giorni di fermentazione, i trinitari di 5/6 e il Forestero di 7/8. In questo momento la zona più interessante è quella a nord di Higherote con il Carenero Superior di Curiepe, Cambural e Birongo dove si stanno apportando molte modifiche alla produzione: reimpianto di cacao più pregiato, selezioni clonali, fermentazione con raccolta differenziata per tipologie di cacao, costruzione di un centro di beneficio che associ

differenti Emprese Cacaotere per quasi 2000 ettari. Tenete conto che in alcune aziende (per es. quelle di Juan Vargas e di Francisco Taguaripano) troviamo anche 8 differenti tipologie di cacao. L’obiettivo è migliorare la qualità del prodotto e aumentare la produzione che adesso arriva appena a 300 kg per ettaro. Anche questo lavoro si sta sviluppando in collaborazione con Cacao Caracas, la struttura operativa di Cacao Mar che opera sotto lo stretto controllo e la consulenza di Compagnia del Cioccolato per il progetto “I luoghi del cacao”. Sono convinto che in poco tempo si possa arrivare ad un Carenero Superior stabile nella produzione e con un buon bouquet aromatico con la tipica eleganza del cacao Trinitario: equilibrato tra amarezza e dolcezza con richiami di frutta secca e tabacco. Cacao forestero a Curiepe

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Con una buona persistenza e pulizia che lo renda un classico buon cioccolato fondente. Nel ritorno una sosta a Rio Chico e alla laguna di Tacarigua dove tutti i pomeriggi, alle cinque in punto, si danno appuntamento i Cora Cora. Torniamo in posada per fare il punto con Jorge Villernuevo, un esperto uruguaiano che da anni lavora nelle piantagioni di cacao di questa zona. è uno dei più profondi conoscitori delle differenti varietà di cacao e collabora con noi e la Consorteria socialista del cacao venezuelano. All’indomani la meta è il parco di Guatopo. Cordillera dell’Interior Partiamo verso Puerto La Cruz e a circa un centinaio di chilometri prima ci allontaniamo dalla costa per avventurarci nella Cordillera venezuelana. La Serrania del Interior include il Cerro Platillon (1930 m) e le montagne di Guatopo (1800 m). Molti calcari sono presenti in diverse aree della cordillera, in particolare nel Serranía del Interior, dove il Morros di San Juan offre un caratteristico paesaggio. La strada si inerpica dopo aver attraversato un grande altopiano molto rigoglioso con coltivazioni e numerose pozze d’acqua per gli animali. Il paesino di San Francisco de Macaira sembra quasi disabitato e la vita procede in una calma quasi rarefatta. Anche la solita Piazza Simon Bolivar è deserta. Il nuovo centro de beneficio che dovrà essere utilizzato dai coltivatori della zona è ancora solamente un grande cortile interno

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Cabosse appena raccolte al parco di Guatopo

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tunatamente arriviamo molto in alto dove troviamo una foresta intricata con una piantagione di cacao estrema e molto scoscesa. Tra gli alberi si scorgono, come se avessimo di fronte tanti semafori ad un incrocio: cabosse gialle, cabosse verdi e cabosse rosse. Una piantagione che produce un Carenero superior con presenza di forestero amelonado, poco criollo e molto trinitario. Dopo questa esperienza quasi al limite lasciamo il nostro amico Rafael Arevalo dalla sua famiglia a Guarico e noi scendiamo verso Puerto La Cruz con un paio di kg di fave fermentate e seccate della nostra piantagione estrema sul Guatopo. Speriamo che il cacao sia altrettanto buono come la nostra esperienza. Domani riposo a Puerto la Cruz e poi lo stato di Sucre.

che servirà per seccare il cacao. Intravediamo piccoli spazi che ospiteranno le casse di fermentazione. Aristide Chacìn sarà il referente del Centro e nella sua bella casa con la foresta che sembra volergli entrare dal giardino ci offre un ottimo caffè coltivato dai campesinos. Chiedo di visitare le piantagioni e mi dicono che bisogna aspettare la Toyota. Non capisco perchè dover cambiare auto visto che la nostra è già molto robusta. Ma lo capirò presto… Arriva una Toyota quattro ruote motrici, tre prendono posto nella cabina e gli altri sul cassone. Cominciamo un viaggio che ci porterà per circa un’ora su un terribile percorso da rally con fiumi da guadare, strada ora dura come marmo ora incredibilmente fangosa. Muri al 30 per cento e discese altrettanto ripide. Finalmente e forIl rally del cacao a Guatopo.

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mori utilizza per i suoi cioccolati. Un lavoro che ha come ideatore Gianluca Franzoni che merita, a pieno titolo, la definizione di “rivoluzionario del cacao” o, per tornare alle cariche onorifiche venezuelane del ’700 “Gran Cacao”. L’Hacienda è di proprietà della famiglia Franceschi che ha un accordo con la Domori per la produzione dei cacao di qualità. Dopo l’ingresso di Illy nella proprietà Domori non si utilizza più il nome Hacienda San Josè per i criollo ma solo il marchio Domori e la famiglia Franceschi può utilizzare una piccola percentuale della produzione per dei cioccolati prodotti da lei interamente in Venezuela con nome di Cioccolato Franceschi. La visita alla piantagione ci certifica senza alcun dubbio la grande qualità delle mate-

La filiera del cacao parte da Hacienda San Josè Il nostro viaggio in Venezuela ci ha dato molti indizi per approfondire il rapporto tra cacao e cioccolato nel versante della qualità. Quelle che potevano essere solo parole o idee in libertà si sono rivelate verità sostanziali: un grande cioccolato deve partire da una materia prima di altissima qualità. Compagnia del Cioccolato da anni premia Domori come produttore “principe” di cioccolati d’origine. I vari criollos come Ocumare, Chuao, Porcelana hanno vinto spesso le Tavolette d’Oro per la loro altissima qualità gustativa. Un piacere per il palato e per la mente. Nella penisola del Paria, stato di Sucre, a pochi chilometri da Carupano abbiamo visitato l’Hacienda San Josè dove vengono coltivati i grandi criollo che Do-

Insegna a San Jose

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Tipologie di cabosse Angoleta

Frutto lungo e scanalato, sottile e appuntito.

Cundeamor

Lungo e ruvido, con collo marcato e punta ricurva.

Amelonado

Arrotondato, spesso e con solchi, la sua buccia è liscia. Sembra un melone incrociato con un pallone da football americano.

Calabacillo

piccolo e ovale con una buccia molto liscia. Ha la forma di una piccola zucca (in spagnolo infatti calabaza significa zucca). Color verde erba che diventa un bel giallo intenso quando matura.

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Le parole del cacao Burro di cacao

è un grasso naturale che si trova nella fave di cacao (circa il 50% ma può variare secondo la tipologia del cacao).

Cabosse

Termine francese che indica il frutto del cacao che racchiude i semi (chiamati anche fave) e la gelatina bianca chiamata mucillago

Cacao aromatico o fine

Il cacao di maggiore qualità con aromi secondari evoluti. Comprende il cacao criollo, il trinitario, il cacao Nacional Arriba dell’Ecuador.

Cacao ordinario

Il cacao più robusto e resistente con pochi aromi secondari. Geneticamente è rappresentato dal cacao forestero. Coltivato soprattutto in Brasile, Africa e estremo Oriente.

Criollo

Il cacao più pregiato, quello indigeno (creolo), con note aromatiche delicate. Il nome scientifico è Theobroma Cacao Criollo, rappresenta circa il 2% del raccolto mondale

Essicazione

Seconda fase della lavorazione del cacao. Blocca il processo di fermentazione e serve per asciugare il cacao e cominciare a togliere acidità e umidità.

Fava

Il seme del cacao da cui si ricava il cioccolato, si trova all’interno della cabosse (circa 40 semi).

Fermentazione

Fase fondamentale della lavorazione del cacao. Avviene appena dopo il raccolto. In questa fase si sviluppano i precursori degli aromi. è un processo di trasformazione biochimica.

Forestero

Il cacao più robusto e meno pregiato. Il nome scientifico è Theobroma Cacao Sphaerocarpum. Rappresenta circa il 90% del raccolto mondiale.

Massa di cacao

Detta anche pasta o liquore di cacao. Contiene il burro di cacao e la sostanza secca del cacao. è ottenuta dalla macinazione della granella di cacao dopo la tostatura. è il semilavorato dal quale si parte per il processo di lavorazione che porta al cioccolato. Nelle piantagioni e in molti paesi d’origine viene ottenuta in maniera molto artigianale e il risultato viene poi sciolto in acqua calda per ottenere una bevanda.

Piantagione

Parti di foreste tropicali dove vengono coltivate le piante di cacao. Spesso sono parcelle di pochi ettari con alberi distribuiti casualmente. In paesi dove l’economia del cacao è più importante alcune piantagioni sono più strutturate e con una pratica agronomica più intensiva.

Trinitario

Chiamato anche Deltano o Deltario. è un’ibridazione tra Criollo e Forestero sviluppata nella zona del delta del fiume Orinoco. Rappresenta circa l’8% del raccolto mondiale.

Fermentazione a Cumboto.

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Collina di Caracas.

che mi ha avvinghiato. Tra cabosse colorate di cacao, foreste maestose, estrema povertà e grande dignità, spiagge inaspettate, piccoli villaggi e una megalopoli come Caracas pericolosa e nello stesso tempo affascinante. Il Venezuela delle contraddizioni e delle antinomie nel quale voglio ritornare quanto prima. Hasta luego.

rie prime. A differenza delle altre piantagioni venezuelane qui la professionalità degli agronomi e lo stile di produzione rappresentano l’eccellenza. Le varie tipologie di criollo hanno tutte un responsabile di produzione, i vari appezzamenti dei differenti cacao sono ben distinti, la piantagione è molto pulita e la selezione clonale per mantenere la purezza delle piante attraverso gli innesti è rigorosa e costante. Una piantagione modello per cioccolati unici.

Gilberto Mora

Verso l’Italia Il ritorno è un viaggio molto lungo e pesante tra auto, differenti aerei e molti scali. Ma dura un attimo. è la nostalgia del Venezuela

Esperto gastronomico, regista, fotografo e documentarista Attualmente è Presidente nazionale di Compagnia del Cioccolato presidente@cioccolato.it - www.cioccolato.it

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Da sinistra: Alessandro Zani (DG Granfrutta Zani), Pier Luigi Drei (Presidente Granfrutta Zani), Iader Fabbri (FIC)

sportiva è senz’altro una mossa vincente per favorire i consumi e promuovere la naturalità che si trova solo in frutta e verdura”.

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Karpòs promo FRUITNESS AD EXPO: 1a giornata. IL GRUPPO ALEGRA/VALFRUTTA DEBUTTA AD EXPO CON UNA GIORNATA TUTTA DEDICATA AL CONNUBIO PERFETTO TRA FRUTTA E SPORT. IVAN GIANESINI CAMPIONE DEL RUGBY ITALIANO RICEVE IL PREMIO SUPERFRUITNESS Ivan Ginesini di Mirano (VE) una scuola di Rugby che ha sfornato e continua a sfornare campioni di questo sport dove contano le regole della lealtà, dell’onore, della fatica premiata, con una stretta di mano si è aggiudicato il primo Premio Superfruitness oggi ad EXPO nell’area gestita da CSO e tutta dedicata ai valori della frutta e di un importante alleato, lo sport. A consegnare il Premio Piergiorgio Lenzarini Presidente del Gruppo Alegra, un grande gruppo di produttori italiani che oggi vanta un fatturato 160 milioni di euro ed una produzione annuale che copre tutta la gamma di offerta disponibile in Italia. “Con i nostri produttori – dichiara il Presidente Piergiorgio Lenzarini - ci impegniamo ogni giorno per portare sulle tavole italiane ed europee frutta e verdura di assoluta qualità. Il nostro è un lavoro duro, pieno di imprevisti che richiede costanza, impegno e umiltà ma che alla fine è il più gratificante del mondo. Il rugby ci assomiglia un po’ per le doti di grande forza e determinazione che richiede e siamo orgogliosi di assegnare ad un campione di questo sport che ci sta dando tantissime soddisfazioni, il premio Superfruitness che identifica un supereroe che acquisisce sempre più energie mangiando frutta “.

peso che va dai 100 kg in su; invece chi gioca sull’ala ha generalmente un peso che si aggira intorno agli 80/90 kg per poter essere non solo veloci, ma anche resistenti nel subire placcaggi, ammortizzandone il contrasto (cioè gli spintoni). In ogni caso nella nostra dieta la frutta e la verdura sono una componente essenziale a cominciare dalla colazione del mattino per proseguire a pranzo prima di una gara, e terminare alla sera dove si concentra particolarmente l’apporto di proteine vegetali in modo da favorire nel corso della notte il processo di rigenerazione delle fibre muscolari”. L’evento ad EXPO organizzato da CSO nell’ambito del Progetto Europeo Fruitness ha suscitato molto interesse tra il folto pubblico di curiosi e addetti ai lavori presenti per ascoltare una storia affascinante di successo imprenditoriale come quella di Alegra/Valfrutta e di uno sport ed un campione che incarna al meglio i valori dello sport.

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La frutta e lo sport sono una perfetta associazione per vivere sani ed in forma. Le linee Guida del Ministero della Sanità e dell’OMS concordano sul fatto che occorre mangiare almeno 400 g. al giorno di frutta e verdura e praticare attività fisica costante. “Quando si pratica uno sport - dichiara Ivan Gianesini - in genere, si segue una dieta alimentare che ci consente di mantenere non solo un peso ed un equilibrio idoneo alla nostra struttura fisica, ma di acquisire anche quell’agilità che, se si è in sovrappeso, tende a scomparire. Ovviamente nel rugby ci sono ruoli specifici da ricoprire con atleti dalle strutture fisiche molto diverse tra loro. Basti pensare al pacchetto di mischia che, per intenderci, è quello che in campo si ritrova a fare delle grosse ammucchiate. Chi fa parte del pacchetto di mischia ha di solito un

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Da sinistra: Paolo Bruni (Presidente CSO), Ivan Gianesini (Campione del Rugby italiano), Piergiorgio Lenzarini (Presidente Gruppo Alegra)



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Le pareti Sud-Ovest e Nord dell’Everest, il Nuptse e il Lothse visti da Gokyo-Ri (5357 m slm)


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Namche Bazar sulla Valle del Khumbu 3443 slm)


za come valore fondante della propria vita. Il Nepal è, infatti, non solo uno scrigno di una bellezza naturale unica al mondo, ma è anche un Paese dove la cultura locale ha dato di sé prodigiosi esempi di arte e di valori umani, unici al mondo.

Scrivere queste poche righe, oggi, dopo il terribile terremoto che ha colpito il Nepal è un atto d’amore, direi quasi di riconoscenza verso quel Paese e quella gente meravigliosa che tanto ha dato e continuerà a dare non solo agli appassionati di montagna e della cultura nepalese, ma a chiunque riconosca la bellez-

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Katmandu è un simbolo, un luogo straordinario di convivenza di culture e di religioni diverse. La perdita, che non può rimanere tale, di tesori d’arte come Durbar Square, Patan, Bhaktapur, coinvolge, deve coinvolgere, tutti e in primo luogo chi, come chi scrive, in quei luoghi ha sempre trovato esempi straordinari di amicizia e generosità. Katmandu fu fondata dal re Guna Kamadeva nel 723 d.C., e divenne la capitale del Nepal unito nel 1768. Secondo un’antica leggenda buddhista, l’area in cui si trova in passato era occupata da un lago, ma Manjusri, Buddha della Consapevolezza, tagliò con la sua spada una collina creando la gola di Chobar, permettendo così alle acque di defluire e rendendo abitabile la regione. Pashupatinath, Boudhanath, Swayambhunath, non sono solo luoghi sacri per l’induismo e il buddismo o meta dei ‘pellegrinaggi’ degli hyppies dagli anni ’70 in poi, ma sono, come riconosciuto anche dall’UNESCO, patrimonio dell’umanità. E della loro distruzione, almeno parziale, ci si deve far carico, perché Katmandu può, a pieno titolo, definirsi la Firenze dell’Asia. Racconta la leggen-

da che il tempio di Boudhanath sia stato eretto da una pastorella che nella vita si accompagnò con numerosi uomini avendone molti figli. Ella, con la sua alacrità, fu però capace di allevare i figli dignitosamente e quando fu anziana volle erigere un monumento al Bodhisattva (Buddha) ottenendo, per i suoi meriti, l’autorizzazione del Re. I notabili si rivoltarono perché si sentirono offesi che il sovrano avesse accordato ad una donna di “facili costumi” il privilegio di erigere il monumento al grande Buddha, ma egli disse che la parola data dal Re non poteva essere ritirata. Così la donna, aiutata dai figli, nel tempo, con grandi sacrifici, eresse il grande Stupa di Boudhanath. Nessuno che vi sia stato, prima ancora dello sviluppo caotico della motorizzazione, può dimenticare l’impressione, l’emozione folgorante dei suoi templi, delle sue strade, dell’incontro con la sua gente. I colori, i profumi, anche gli odori più forti di Katmandu, sono sempre stati talmente inebrianti da far, a torto, dimenticare, anche solo per un istante, la povertà, non la miseria, del livello di vita medio del nepalese.

Durbar Square a Bhaktapur

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Il centro storico di Bhaktapur

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In alto e in basso: Durbar Square a Katmandu

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In alto e in basso: il Krishna Mandir (costruito nel 1637) tempio tra i pi첫 importanti di Patan

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Chi il Nepal ha avuto la fortuna di conoscere, sa del sorriso, della disponibilità dei suoi abitanti, degli sherpa delle valli himalayane. ‘Namaste’, il saluto dei nepalesi, ne racchiude più di ogni altra cosa l’anima più profonda. Deriva dal sanscrito e significa letteralmente “mi inchino a te”, ma ha un valore spirituale che va al di là, significando il saluto alle qualità divine che sono in chi si

incontra. La si pronuncia, infatti, unendo le mani a mò di preghiera e chinando il capo, volendo, con questo gesto, riconoscere la sacralità, la luce di Dio, di ognuno di noi. Si può essere, o meno religiosi, o non esserlo affatto, ma la pienezza e la profondità di questo saluto racchiude il modo di essere di un intero Paese.

Hanuman una divinità indù

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Due ‘Sadu’ presso il complesso monumentale induista di Pashupatinath a Katmandu

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Lo Stupa di Bodanath a Katmandu

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Gli ‘occhi’ di un piccolo stupa nel complesso di Swayambounath


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Un piccolo stupa lungo il cammino della valle del Khumbu


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Edicole votive di divinitĂ indĂš a Pashupatinath (comprese le due pagine seguenti)


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Raffigurazioni di Buddha presenti nei monasteri (Gompa) buddisti

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Cremazioni a Pashupatinath

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te, senza portarsi dietro la consapevolezza delle valli, come non può farsi nulla senza l’aiuto degli sherpa, dei Sirdar, le guide nepalesi. Un trekking in Nepal senza la loro compagnia non avrà mai un sapore vero.

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A Katmandu si arriva e da essa si parte per raggiungere la catena Himalayana. Migliaia di sentieri, centinaia di chilometri, di ponti, portano via via su. Ma mai come in questo caso, la meta e il percorso coincidono. Non si arriva in cima da nessuna par-

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Sulla via di Gokyo-Ri, sullo sfondo l’Ama Dablam (6812 m slm)


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I portatori, una presenza costante lungo i sentieri dell’Himalaya


Donna che gira i rotoli delle preghiere Swayambhunath

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Uno dei mille ponti tibetani che attraversano le profonde valli dell’Himalaya

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Una grande roccia ‘mani’ completamente istoriata con frasi votive


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Lungo i sentieri si incontrano innumerevoli i simboli di preghiera buddisti ornati dalle bandiere ‘mani’ che sventolando nel vento ‘recitano’ le preghiere. In questa foto lo sherpa Omraj nel 2010.

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Il loro non è servire, ma è condivisione profonda di un modo di essere e di vivere. E, allora, il tè in tenda la mattina, come la cena la sera diventano un atto di amicizia che ripaga di ogni passo e di ogni sforzo. Nei momenti più difficili, il sorriso, così apparentemente ingenuo, del tuo compagno di viaggio, di chi ti porta lo zaino, la cucina, le tende, dà forza e leggerezza ed è la spinta per andare avanti. La distruzione, la polvere, il fumo, non possono cancellare i colori e i sorrisi dei bambini nepalesi. I loro visi, spesso sporchi, ma sempre vivi, la loro curiosità, la gaiezza sono nel cuore di chiunque abbia percorso anche solo una volta le valli del Khumbu, come della Kaly Gandaki o dell’Annapurna. Dove il trekker ansima o dove lo sportivo corre dentro i suoi completi ipertecnologici, i ragazzini nepalesi vanno a piedi nudi, riportandoti, con la loro semplicità, dal centro della tua inutile vanità al senso di una inadeguatezza che nessuna preparazione fisica consente di superare. Non a caso i grandi alpinisti da Hillary a Messner hanno dedicato, dopo le vette, la loro vita, o gran parte della loro vita al fare qualcosa per quei bambini. Le scuole, l’istruzione, i servizi essenziali.

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Ritratti: i bambini di etnia sherpa affine al ceppo mongolo, i giovani di etnia indica

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90 Una pira per la cremazione sui ‘gath’ sul fiume Bagmati che attraversa Pashupathinath. Le ceneri vengono infine disperse sulle acque del fiume che confluisce nel sacro Gange.

Perché loro, più e meglio di chiunque altro, hanno riconosciuto la grandezza di quel popolo umile e forte e sentito l’impellente necessità di restituire almeno parte della bellezza che gli era stata donata. E così, scrivere oggi per Krishna, l’amico Sirdar,

per la Sua famiglia, per quella parte di bellezza che rimane addosso a chi ha, a lungo, camminato in quelle valli e per le strade di Katmandu, non è altro che un modo di unire le mani per dire, ancora una volta ... namastè Nepal e a presto. Pietro Columba

Paolo Inglese Coordinatore Consiglio di Interclasse Produzioni e Tecnologie Agrarie

Dipartimento Scienze Agrarie e Forestali - Responsabile scientifico dell’OR7 marketing - del PON - ISCOCEM

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Karpòs promo ASIA FRUIT LOGISTICA: DEBUTTA LO STAND FRESHNESS, IL PROGETTO EUROPEO DI CSO Parte con una grande affluenza di pubblico ed un grande interesse degli operatori la versione asiatica di Fruit Logistica che si sta svolgendo in questi giorni ad Hong Kong. Il CSO è presente con uno stand collettivo che, ogni anno acquisisce sempre più soci e che quest’anno è affiancato dallo stand del nuovo Progetto Europeo Freshness che coinvolge APOFRUIT, ALEGRA, CERADINI, COMPAGNIA ITALIANA DELLA FRUTTA (MADE IN BLU), MAZZONI, SALVI,ZANI,ORANFRIZER, SPREAFICO (OP KIWI SOLE).

Gli stand collettivi gestiti da CSO hanno presentato un format collaudato in Europa con degustazioni di prodotto, finger food all’italiana, ambienti aperti ed ariosi con in primo piano le aziende e i colori vivaci dell’ortofrutta.

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Nell’area ITALY gestita da CSO sono presenti APO SCALIGERA, FRUITIMPRESE,KIWI1,RIVO IRA,INFIA E UNITEC. Una presenza italiana significativa che testimonia l’importanza dei mercati asiatici per i prodotti Made in Italy.

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gricoltura sostenibile certo, ma che sia sostenibile fare agricoltura. Migliaia di agricoltori italiani ogni giorno lavorano per produrre cibo, presidiando con la propria attività il territorio e preservando il paesaggio. Sostenere l’attività agricola non significa solo favorire la disponibilità di alimenti ma anche salvaguardare la nostra bella Italia. Contribuire alla continuità del settore agricolo, attraverso la fornitura di indispensabili e qualificati strumenti di lavoro quali sono gli agrofarmaci, è per Chimiberg motivo di vanto. Perché tutti possano godere dei buoni frutti, senza bugie ed inganni.

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