Karpòs n. 4 2016

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Karpos

Karpòs alimentazione e stili di vita

Anno V - Karpòs - N° 4 - 2016

w w w. k a r p o s m a g a z i n e . n e t

Michele Carruba Cambiamenti climatici I vini nuovi e la nuova comunicazione Enigmi e indizi sulla motivazione a bere vino La nuova frontiera del vino WINEGRAFT innovative solution Innovazione e sostenibilità in viticoltura

Melanzana successo di un ortaggio povero castagno selvicoltura e produzione legnosa La lotta al cinipide del castagno

Un parallelismo tra calcio ed economia politica


GAUDEAMUS

RI-DAREMO 52 (CINQUANTADUE) MILIARDI DI EURO AGLI ITALIANI CHE (DEVONO) PAGARE LE TASSE

Siamo alla frutta

Dove tagliare. Dove investire. 28 GIUGNO 2016 Zanhotel & Meeting Centergross | Via Saliceto, 8 - Bentivoglio (BO) SOLO SU PRENOTAZIONE

Ore 9,00 - Registrazione dei partecipanti Ore 10,00 - Apertura dei lavori n Costo di produzione e catena del valore Carlo Pirazzoli - Università di Bologna n Obesità: più frutta, più verdura Michele Carruba - Università di Milano n Principio attivo: il “grande falso” Angelo Moretto - Università di Milano n Ortofrutta: una contraddittoria consumer experience Daniele Tirelli - IULM (Milano) n Il futuro della frutticoltura Bruno Marangoni - Università di Bologna n L’agricoltura nuova e la nuova comunicazione Sandro Vannucci - Giornalista

n Agricoltura in TV, falsi miti & lontane verità Enrico Barcella - Agronomo e autore TV n Viaggio ed alimentazione Walter Pasini - Centro di Travel Medicine and Global Health, Venezia n Siamo alla frutta. Dove tagliare. Dove investire Renzo Angelini - Karpòs Ore 12,00 n La parola alla platea Domande, critiche, risposte motivate Ore 13,00 Chiusura lavori

Compila il MODULO DI PRENOTAZIONE ON-LINE Le prenotazioni si accetteranno fino ad esaurimento posti. I partecipanti che si saranno prenotati riceveranno una copia di Karpòs Collection.

Karpos Wine Events Il futuro del vino italianosrl KARPÒS

Via Zara 53 - 47042 Cesenatico (FC) - Tel. 335.63.55.354 - redazione@karposmagazine.net - www.karposmagazine.net Registro imprese: 04008690408 - Partita Iva: 04008690408

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EDITORIALE

Un parallelismo tra calcio ed economia politica

Renzo Angelini Direttore editoriale

Carissimi lettori,

forze superiori al potere finanziario. Certo che avrei preferito che al posto del Portogallo ci fosse stata l’Italia. Ma il nostro Paese non lo meritava. Mi spiace tantissimo che il mio omonimo plurale, per difendere il Fondo Rurale che l’Europa elargisce all’Italia (52 miliardi), non abbia agito come il Portogallo nel Calcio, tentando di raggiungere una vera vittoria. Evidentemente preferisce una coltura/cultura agricola assistita; privilegia contadini e imprenditori agricoli fortemente dipendenti dai contributi europei. E quindi preferisce perdere sul campo quando incontra Germania/Francia, per non compromettere le elemosine. Per proseguire con la metafora del Calcio, aggiungo che, noi di Karpòs ci siamo mossi come il Portogallo. Malgrado interventi a gamba tesa sul nostro progetto di ristrutturazione dell’agricoltura, manteniamo compatta la squadraLa difesa a volte funziona meglio dell’attacco. E poi si può sempre vincere ai supplementari.

Non si dovrebbe sottovalutare il Calcio. Ovvero lo sport più importante al mondo non può essere solo una attività sportiva. Il Calcio è una grande narrazione le cui significazioni possono riverberarsi su altri contesti. Infatti, se analizziamo gli ultimi campionati europei, mi viene da pensare a una narrazione che c’entra fino a un certo punto con lo sport: il calcio dei PIGS (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna) si è preso la propria vendetta nei confronti della coppia dominante in Europa, cioè Germania/Francia. Devo dire che ho gioito per la vittoria del Portogallo. Cosa volete che vi dica, sarà irrazionale ma per me dietro queste partite c’era dell’altro. E comunque la pensiate, ogni tanto rileggere la realtà con chiavi di lettura paradossali, aiuta a pensare. Cosa ho pensato attraverso la lente del Calcio? Ho pensato a che niente è come sembra. Ho pensato che ci sono

03 EDITORIALE


Karpòs Magazine N° 4 - 2016

Direttore editoriale Renzo Angelini Direttore Responsabile Lamberto Cantoni

03 Un parallelismo tra calcio ed economia politica Renzo Angelini

Direttore Progetti Tatiana Tolmaceva

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Iscr. trib. di Forlì n° 3/12 del 4/5/2012

MICHELE CARRUbA SCIENzIATO E GLADIATORE Lamberto Cantoni

Proprietario ed editore della testata Karpòs S.r.l. Via Zara 53 - 47042 Cesenatico (FC) P.I./C.F. 04008690408 REA 325872 Hanno collaborato a questo numero Antonella Bilotta Laura Fafone Amministrazione Milena Nanni

12 CAMbIAMENTI CLIMATICI E NUOVI pERCORSI TECNICI SOSTENIbILI pER LA VITICOLTURA Attilio Scienza

22 I VINI NUOVI E LA NUOVA COMUNICAzIONE Sandro Vannucci

30 Enigmi e indizi sulla motivazione a bere vinO Daniele Tirelli

36 La nuova frontiera del vino Riccardo Cotarella


Per le Slide: Da pag.12 a pag. 21 Attilio Scienza Da pag.52 a pag. 57 Eugenio Sartori

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Per le Foto: Da pag.98 a pag. 107 Chiara Ferracini, Alberto Alma

WINEGRAFT INNOVATIVE SOLUTION Attilio Scienza

Tutte le altre fotografie: © Renzo Angelini

52 MIA

VENDEM

2012 2013 2014

Produz

TOT. ACIDITA’ gr/lt 5,53 5,5 5,2

ETRATTO lt SECCO gr/ 28,9 31,1 27,1

2 ton/ha

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INNOVAzIONE E SOSTENIbILITà IN VITICOLTURA: LE NUOVE VARIETà RESISTENTI ALLE MALATTIE Eugenio Sartori

ALCOOL % 12,09 13,87 12,9

ANTOCIANI mg/lt 830 1133 656

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POLIFENO mg/lt

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58 MELANzANA SUCCESSO DI UN ORTAGGIO pOVERO Giovanni Ballarini

Karpos

Karpòs alimentazione e stili di vita

76 SELVICOLTURA E pRODUzIONE LEGNOSA Manuela Romagnoli, Luigi Portoghesi

98 LA LOTTA AL CINIpIDE DEL CASTAGNO Chiara Ferracini, Alberto Alma

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Michele Carruba Scienziato e gladiatore al servizio di una alimentazione razionale Lamberto Cantoni Michele Carruba è Professore ordinario di Farmacologia presso l’Università di Milano per la quale dirige il Centro Studio e Ricerca sull’Obesità. Soprattutto viene considerato il massimo esperto italiano di nutrizione. La sua notorietà nazionale e internazionale è stata costruita con un approccio rigorosamente scientifico, certificato da centinaia di pubblicazioni citate dai più accreditati ricercatori di tutto il mondo. Alcuni suoi saggi specialistici vengono considerati, tra gli addetti ai lavori, con la reverenza che accompagna l’interesse per chi pubblica resoconti di ricerche innovative. Cito come esempio: “Calorie Restriction Promotes Mithocondrial Biogenesis by Inducing the Expression of eNos”, ovvero un sintetico quanto cruciale report, pubblicato su Science 2005, di come cambia la biochimica cerebrale attraverso l’alimentazione.

nale. In particolare è diventato un implacabile giustiziere delle cosiddette “diete fai da te”, nonché un intransigente critico nei confronti dei guru dell’alimentazione che, come nelle innocue mode dell’abbigliamento, s’inventano stili di alimentazione che quasi sempre non hanno nulla di scientifico. Questa attenzione al sociale lo portò a far parte del ristretto numero di consiglieri di Letizia Moratti, quando l’autorevole imprenditrice divenne sindaco di Milano. Mi piace ricordare che, se il nostro Paese, lo scorso anno, ha avuto la chance di avere a disposizione un mega evento come Expo 2015 per rilanciarsi sul piano internazionale, è giusto sottolineare che lo deve essenzialmente all’intelligenza operativa di Letizia Moratti. E se il sindaco di Milano riuscì a vincere la concorrenza di altre città, in particolare con Smirne (Turchia), in parte il merito va ascritto al tema scelto per l’Expo milanese, ovvero “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, una scelta alla quale anche il prof. Michele Carruba ha contribuito come

Oltre a essere uno scienziato del cibo, Michele Carruba si batte da sempre per sensibilizzare la gente, affinché affronti quotidianamente il cibo in modo razio-

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7 Michele Carruba LAMBERTO CANTONI


Secondo Lei la loro dieta è cambiata? Qual’è lo stato dell’alimentazione degli italiani?

autorevole voce che sintetizzava e fondeva l’etica scientifica con l’impegno di una vita. Purtroppo, dopo aver vinto la candidatura per Milano, Letizia Moratti non fu riconfermata dai cittadini. Di conseguenza, sulla base di una interpretazione aberrante dello Spoil System, cioè chi vince azzera tutti gli incarichi decisi dall’avversario, Michele Carruba, malgrado le sue solide competenze, fu cacciato dai luoghi del potere e gli fu inibita sia la regia dei contenuti scientifici dell’Expo e sia le intelligenti sperimentazioni grazie alle quali Milano era all’avanguardia nella prevenzione dell’obesità. Il risultato è oggi sotto gli occhi di tutti: un Expo dal successo dimezzato, in alcuni momenti simile a un gigantesco Festival dell’Unità, capace certo di attrarre milioni di persone, forse con i conti economici a posto (anche se il ritardo della rendicontazione definitiva induce cattivi pensieri); ma anche un Expo che non ha mantenuto le promesse culturali, lasciando al palo di partenza le questioni più importanti, per non parlare della rimozione del discorso scientifico. Tuttavia, anche se a Milano non abbiamo avuto una Kyoto dell’alimentazione, la forza del progetto era evidente e non credo abbia condizionato più di tanto l’impegno personale di Michele Carruba, sempre in prima linea sulle questioni che lo vedono impegnato sia sul fronte della ricerca e sia su quello divulgativo. L’intervista che state per leggere credo lo testimoni in modo inequivocabile.

R.: Guardi, dal mio osservatorio posso dire che, nonostante la crisi abbiamo a disposizione la possibilità di avere sulla tavola tutto quello che ci serve. Per quanto riguarda l’alimentazione il vero problema, se ragioniamo in termini statistici, non è tanto la mancanza di risorse economiche, bensì l’incapacità diffusa di saper scegliere ciò di cui ha bisogno in nostro corpo per mantenersi in salute… D.: Mi sta dicendo che mediamente gli italiani non hanno problemi di quantità di cibo ma di qualità dell’alimentazione? R.: Direi piuttosto che la scarsa razionalità nell’alimentazione di troppi italiani induce danni che coinvolgono l’aspetto quantitativo: si mangia troppo di alcuni alimenti che non giovano alla salute e in altre diete si mangiano troppo poco alimenti importanti per la salute. Cosa significa scarsa razionalità? Molti italiani non hanno conoscenze adeguate sugli effetti delle proprie preferenze per una dieta piuttosto che l’altra. Un tempo i bambini imparavano a orchestrare il cibo da genitori che erano l’espressione di una tradizione. Per generazioni, per tentativi e errori, la gente ha selezionato i prodotti e le procedure dell’alimentazione, configurando regole non scritte che si tramandavano dai genitori ai figli. Con la nostra società liquida tutto è cambiato. Le tradizioni si sono dissolte e l’intrusività dei media ha

D.: Professore, la maggioranza degli italiani vengono da 8 anni di crisi.

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intervento, osservavano come da un seme prendeva forma l’organismo vegetale che poi sarebbe arrivato sulla loro tavola. È chiaro che, oltre all’incremento delle informazioni sul cibo, puntavamo alla costruzione psicologica di un gradino di responsabilità secondo un meccanismo transitivo: imparare a prendersi cura dell’orto poteva, a nostro avviso, attivare una consapevolezza interiore, non solo dipendente da astrazioni “informative”, orientata a prendersi cura del proprio corpo. Un altro nostro intervento che contribuì ad avvicinare i bambini al nostro progetto fu l’eliminazione delle cosiddette “scodellatrici”, trasformando il pasto scolastico in una sorta di self service. Mi spiego. Indagando le procedure di somministrazione del cibo ci accorgemmo che c’era una correlazione tra il metodo brutale di gettare nel piatto del bambino una scodellata di cibo e la grande quantità di alimenti rifiutati. Tenga presente che come Milano Ristorazione, della quale sono stato presidente per 5 anni, distribuivamo nelle scuole 90.000 pasti al giorno. La quantità di alimenti sprecati era impressionante. Tolte le “scodellatrici” e introdotta la procedura a self service con piccole ma varie razioni scelte autonomamente dai bambini eliminammo gli sprechi. Naturalmente per noi era importante che il bambino imparasse autonomamente a regolarsi e a modulare il suo orientamento al gusto. Io credo veramente che riuscimmo senza nessuna prescrizione a far scegliere i bambini esattamente il cibo di cui avevano bisogno in un contesto psicologico piacevolmente ludico. Senza nessun sforzo si dimostrarono alleati preziosi per eliminare ogni spreco.

devastato la cultura del cibo, assimilandola al gioco delle scelte tipico dell’entertaiment. Se non vogliamo essere ipocriti dobbiamo prendere molto sul serio il fatto che oggi, per il bambino, la pubblicità del cibo industriale che vede in televisione è molto più influente delle parole dei genitori, quasi sempre privi di cultura alimentare. In realtà qualsiasi progetto di ri-educazione al cibo, deve partire con l’obiettivo di incrementare la conoscenza dell’intera famiglia. Noi a Milano abbiamo scoperto che, mettendo nelle condizioni i bambini di apprendere come funziona il cibo che mangiamo, nelle stesso tempo agivamo sulla sensibilità dei genitori. Un bambino che incrementa la propria conoscenza può essere un prezioso influencer quando rientra in famiglia… D.: Mi pare di capire dalle sue parole che la sovralimentazione e l’obesità si possano prevenire incrementando la cultura del cibo soprattutto dei bambini. Ma questo significa portare nelle scuole una materia che non c’è, una materia che non è prevista nei programmi scolastici? R.: Si, questo era una parte del problema quando entrai a far parte del team di Letizia Moratti. Proposi di partire immediatamente con un progetto di alfabetizzazione del cibo che doveva coinvolgere tutte le scuole di Milano (1). Il sindaco mi diede fiducia e sperimentammo tecniche di apprendimento che nessuno in Italia aveva mai tentato. Solo per farle un esempio costruimmo nelle scuole dei piccoli orti, coltivati dai bambini, nei quali, con il loro

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Tra l’altro le piccole confezioni di cibo permettevano un loro immediato riciclaggio nelle mense dei poveri…

programmi, non possono non aver influito sulla maturazione dei dati complessivi che ho ricordato…

D.: Mi permetto un commento banale: a me sembra tutto molto intelligente... Ma i risultati?

D.: Il suo progetto di ri-educazione penso dovrebbe essere esteso in tutta l’Italia… Cosa succede ora a Milano? Si continua con la sperimentazione?

R.: …Guardi, come scienziato preferisco risponderle con l’arido significato dei numeri delle statistiche che sono state strutturate nel corso degli anni. Posso dirle che nei territori della sperimentazione milanese, dopo qualche anno, è stato documentato il più basso numero di bambini in sovrappeso dell’intero Paese. Tanto per intenderci: se su base nazionale si registrava un 12% di obesità infantile e un 24% di bambini in sovrappeso, a Milano avevamo rispettivamente il 4% di obesità e 10% di sovrappeso. Se i numeri non sono una opinione allora si deve prendere atto che nei territori della sperimentazione le probabilità dei bambini di andare incontro ai problemi psicologici e clinici legati al cibo sono tre volte inferiori al resto del Paese. Naturalmente sappiamo che una migliore educazione alimentare dipende da altri fattori. Per esempio, con le nostre ricerche abbiamo certificato che il fatto di avere genitori laureati diminuisca il rischio di obesità nel bambino. In altre parole: esiste una correlazione tra cultura e disfunzioni alimentari. Comunque se consideriamo che a Milano il 100% dei bambini gode del servizio di refezione scolastica, allora è ragionevole congetturare che la mia revisione del modo in cui questo servizio veniva proposto, unitamente all’incremento di consapevolezza prodotto dai nostri

R.: Per dirla in poche parole, dovrei rispondere di no! Gli orti sono stati distrutti, i progetti di ri-educazione rimossi… insomma il sottoscritto è stato confinato nei luoghi dove le mie competenze non possono essere messe in discussione dalla politica; semmai possono essere criticate da colleghi animati da una sana competizione scientifica per conoscenze più approfondite, più efficaci… D.: Sulla scorta di quanto ha detto sembra una follia… R.: …sì certo, una follia chiamata Spoil System. Vede, subito dopo le elezioni che ingiustamente non premiarono Letizia Moratti, io fui buttato fuori in modo brutale, i programmi educativi centrati sull’alimentazione furono cancellati senza alcuna valutazione oggettiva sui danni che avrebbero avuto le famiglie, i futuri cittadini in qualche modo coinvolti nel progetto che ho descritto… D.: “danni” è un parola grossa! R.: Certo, ma perfettamente adeguata al problema. Di obesità si muore! I costi sociali e esistenziali di milioni di individui in sovrappeso o addirittura obesi sono esor-

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bitanti. Non sto parlando del solo spreco alimentare. Credo di aver dimostrato, con il mio lavoro scientifico, quanto il cibo che scegliamo influisca sul funzionamento del cervello e delle cellule del nostro corpo. Le mie battaglie per una alimentazione razionale si basano su assunzioni scientifiche. E purtroppo il cibo non ha un impatto sulla vita limitato all’edonismo. Il cibo che scegliamo ha implicazioni sulla qualità della nostra vita, sulla sua salute, sulla sua durata…

volte al giorno andremmo molto vicini a ridurre drasticamente il sovrappeso, l’obesità, le malattie cardiovascolari e i tumori. Naturalmente, ancora una volta voglio ricordare l’importanza, soprattutto per i bambini, di una attività sportiva compatibile con la vita di ciascuno e il supporto psicologico necessario per chi tra essi ha trasformato il cibo in una pessima terapia per saziare ansie, desideri, angosce che lo tormentano. Un bambino obeso dovrebbe essere considerato un insulto per i genitori, per la scuola, per i medici, per le istituzioni sociali. Oggi conosciamo il cibo e l’alimentazione come mai nel passato. Abbiamo il dovere di diffondere questa conoscenza. Abbiamo la responsabilità di non sprecare cibo. Tra qualche decennio avremo una popolazione sul pianeta quasi raddoppiata. Tutti avranno il diritto ad alimentarsi correttamente. L’unica via d’uscita che abbiamo è imparare ad ascoltare la scienza, sperimentare le soluzioni che propone, non perdere di vista le verità che migliaia di scienziati, con il sacrificio di anni di ricerca, trovano e cercano di diffondere.

D.: Quindi come scriveva un filosofo tanto tempo fa, “noi siamo quello che mangiamo”… R.: Come slogan può funzionare. Ma io dico una cosa diversa. L’alimentazione razionale è il frutto di un approccio integrato. Oltre al cibo dobbiamo prendere in considerazione il tipo di attività che intraprendiamo e l’atteggiamento psicologico che abbiamo maturato nei confronti degli alimenti. In generale posso dire che fare attività sportive è molto più importante di quanto la gente immagini. Se bruciamo tanto possiamo mangiare di più e con più piacere. Una dieta razionale non può concentrarsi solo sul cibo. Dobbiamo sempre riferirci a una specifica attività fisica e prendere in considerazione l’atteggiamento mentale di un determinato individuo.

Note: 1) Lo script che riassume l’esperienza e la valenza del progetto del Prof. Michele Carruba si intitola: “Family’s Vegetables Consumption and Children Lifestyle and Obesity in a Cosmopolitan City of Northern Italy”, pubblicato in Eat Weight Disord, 2014.

D.: Quali sono i problemi più stringenti nella alimentazione degli italiani? R.: Mangiamo poca frutta e verdura. Se tutti mangiassero frutta e verdura cinque

Lamberto Cantoni Direttore Responsabile

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CAMBIAMENTI CLIMATICI E NUOVI PERCORSI TECNICI SOSTENIBILI PER LA VITICOLTURA Attilio Scienza Da un po’ di tempo sentiamo ripetere da una moltitudine di voci che il vino italiano ha raggiunto in pochi decenni primati invidiabili. Oltre ad avere una differenziazione di vitigni di gran lunga superiore a qualsiasi altro Paese, siamo diventati i primi produttori al mondo per quantità. Il nostro problema primario sarebbe dunque diventato: come possiamo orientarci verso una maggiore qualità percepita per

aumentare il valore delle nostre produzioni? A questo punto dunque, dobbiamo affrontare una prima questione che implica il guardare con coraggio in faccia la parte in ombra della storia della viticoltura, da sempre presente e con la quale il nostro sistema produttivo non ha mai fatto realmente i conti. Infatti, si aumenta il valore solo se si accetta l’innovazione. Altri Paesi nostri competitors non hanno remore nell’accettare la ricerca slide n.1

LO SCENARIO VITI-VINICOLO MONDIALE 1) 2) 3) 4) 5)

Equilibrio tra domanda e offerta Concentrazione dell’offerta nelle multinazionali Calo dei consumi nei Paesi produttori tradizionali Aumento dei consumi nei Paesi BRIC Aggressive politiche di export dei nuovi Paesi produttori CONTESTO gENERALE

1) 2)

3) 4) 5)

Sostenibilità economica, ambientale, sociale Sensibilità del consumatore agli aspetti salutistici degli alimenti (compreso il vino) Cambiamento climatico (riscaldamento globale) Nuovo rapporto scienza – società Crisi economica

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slide n.2

La magia del 45° parallelo : la latitudine ideale dei GRANDI vini del mondo. Vero o falso ?

come fattore strategico nello sviluppo. Noi siamo, a tal riguardo, un po’ sordi. A parole tutti si dicono favorevoli al lavoro e all’interazioni con i centri di ricerca universitari, ma nelle pratiche di ogni giorno, salvo qualche rara eccezione, si rimuovono i contenuti che da essi discendono come indicazioni operative per l’ottimizzazione delle produzioni. È chiaro che non c’è nulla di particolarmente strano in questa inerzia storica. È nella logica della situazione che la nostra tradizione millenaria funzioni come un sistema tampone nei confronti degli impressionanti ritmi di cambiamento imposti dalla nostra forma di vita, nella quale le sperimentazioni e il pensiero scientifico si sono assunti la responsabilità di guidarci verso il futuro. Se poi aggiungiamo al peso delle pratiche storiche, l’estrema frammentazione della nostra viticoltura, comprendiamo il perché l’interazione tra ricerca e gli operatori del settore

registri una sostanziale lentezza nell’assorbimento dei processi innovativi. Ma oggi siamo di fronte a una svolta. Un nuovo fattore ci costringe ad accelerare in direzione di una razionalità operativa non ulteriormente rinviabile. Questo fattore, che ha fornito i titoli di testa al nostro convegno, è il tanto temuto cambiamento climatico. Se qualche anno fa, si potevano avere dei dubbi sulle previsioni degli esperti sul tema degli effetti dell’inquinamento del pianeta e sulle previsioni sul clima, direi che al punto in cui siamo, dovremmo trasformare quei dubbi in una certezza: la nostra viticoltura si deve preparare ai un cambiamento dei parametri dei clima, molto più veloce di quanto si pensasse. Ma se ci pensate bene, la storia della viticoltura è da sempre in correlazione con cambiamenti del clima. La grande Scuola degli Annales fondata da Fernand Braudel e Lucien Febvre dagli anni trenta del novecento

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ha dedicato pagine importantissime all’alternanza tra freddo e caldo nella determinazione delle condizioni di vita pratiche della gente, nel corso della storia. Quindi, non è una novità di oggi il fatto che il genere di attività che chiamiamo viticoltura sia strettamente condizionata da un clima che non è mai stato stabile, ma che nel corso di processi storici di lunga durata ha costretto i viticultori, molto più spesso di quanto si pensi, a cambiare la geografia dei territori sfruttabili, in funzione dell’alternanza freddo/caldo causata da una molteplicità di fattori evidentemente non riducibili al solo inquinamento. Questa battaglia dei viticultori con il clima che si scaldava e poi si raffreddava, fa parte dunque della storia della viticoltura e ci aiuta a comprendere la differenziazione varietale, le correlazioni con l’aspetto geologico e con l’evoluzione delle pratiche agronomiche.

Dico questo perché vorrei farvi riflettere sulla necessità di concepire in modo diverso dalla vulgata giornalistica il problema clima. La mia opinione infatti è molto diversa dal terrorismo informativo che nella sua ansia di “fare notizia”, troppo spesso dimentica quanto sia difficile l’orchestrazione di tutti i fattori che entrano in gioco su una questione così complessa. Il cambiamento climatico è a mio avviso un problema che la viticultura ha sempre affrontato e lo dobbiamo concepire come un nuovo fattore di sviluppo. Il clima insieme a un secondo fattore strategico che definisco “la modificazione dei modi dei consumi della gente”, decideranno il futuro del nostro vino. Entrambi questi fattori potranno essere affrontati e trasformati in una risorsa se e solo se riusciremo a far dialogare e interagi-

slide n.3

CAMBIAMENTO CLIMATICO-INCREMENTO CO2 Aumento temp.

Aumento UV-B

Diminuzione piogge

NUOVI PROBLEMI Alterazione processi di maturazione

Ustioni bacche > carotenoidi

Stress idrico

SVILUPPO STRATEGIE SPECIFICHE DELOCALIZZ. VITICOLTURA

MODIFICAZIONE STILE VINI

MOD.INT. AGRONOMICI

INTERVENTI GENETICI(V/P)

Cambiamenti climatici e nuovi percorsi tecnici sostenibili per la viticoltura

16 CAMBIAMENTI CLIMATICI E NUOVI PERCORSI TECNICI SOSTENIBILI PER LA VITICOLTURA ATTILIO SCIENZA


slide n.4

Prospettive ed implicazioni • il cambio climatico nei negli ultimi 50 anni ha provocato effetti generalmente positivi • i modelli predittivi per i prossimi 50 anni sono invece meno favorevoli • una meta – analisi prevede nei prossimi 50 anni un incremento di 1,0-5,0 ° c nella temperatura media • una stima favorevole che preveda un incremento di 1,02,5 °c nella temp.media puo’ indurre un anticipo nelle fasi fenologiche di circa 6- 22 giorni

re le tre componenti dello sviluppo: la ricerca/ innovazione, il viticultore e la condivisione con il consumatore. Il viticultore non può più fare il vino per sè ma deve imparare a concepire le scelte del consumatore come indicazioni strategiche; nello stesso tempo deve aprirsi all’ascolto di ciò che le università più evolute hanno sperimentato nella logica del miglioramento delle produzioni in condizioni precarie come nel caso del cambiamento climatico. Questo rapporto con la ricerca e l’innovazione rappresenta la porta stretta che le aziende vinicole italiane devono attraversare per l’auspicato aumento del valore. Infatti se guardate la slide n.1 che ho preparato per questo convegno, lo scenario vinicolo mondiale risulta profondamente modificato: la concentrazione dell’offerta nelle multinazionali rappresenta un ostacolo quasi insor-

montabile per i piccoli produttori; il calo dei consumi tradizionali e l’aumento delle vendite nei Paesi del Bric deve motivare il produttore italiano ad accettare la sfida di affrontare nuovi mercati resi sempre più complicati per le aggressive politiche di export dei nuovi Paesi produttori. Ma, la centralità del rapporto tra ricerca e produzione è reso necessario inoltre dalla sensibilità del consumatore agli aspetti salutistici degli alimenti, compreso il vino. La sostenibilità economica resa difficoltosa dalla crisi che stiamo ancora attraversando, contribuisce a rendere angosciante il cambiamento climatico, invece che pensarlo come una leva per cambiare. Da questo scenario potremo uscire solo grazie a un patto di collaborazione tra chi fa ricerca e chi fa il mestiere di viticultore. È chiaro che molti pregiudizi nei confronti della scienza

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slide n.5

dovranno essere superati. Nel nostro Paese esiste una costante tensione tra le ragioni dell’uomo e quelle del pensiero scientifico. Per innovare dobbiamo superarle. Per vincere la sfida del cambiamento di scenario dobbiamo condividere l’innovazione. Credo che il primo Karpòs Wine Event sia un piccolo passo che va nella direzione giusta.

conducono alla qualità delle produzioni. Nella slide numero 3 potrete farvi una idea più precisa del processo in corso. In sintesi, l’aumento delle temperature, l’aumento delle radiazioni UV-B, la diminuzione delle piogge, produrrà un cambiamento drammatico a più livelli che ci costringerà allo sviluppo di nuove strategie produttive: a. in molti casi dovremo delocalizzare la viticoltura; b. si dovranno modificare lo stile dei vini (ricercando anche la collaborazione del consumatore; c. dovremo affidarci a modalità tecniche di intervento agrario più precise del passato; d. dovremo lavorare molto sulla genetica. Se saremo capaci di effettuare questa rivoluzione strategica allora la situazione climatica cambierà di segno. Nella slide numero 4 ho sintetizzato il mio pensiero. Il cambiamento climatico sinora ha provocato effetti generalmente positivi. I dati a nostra disposizione

Vorrei proporvi ora due parole di approfondimento sul tema specifico del nostro incontro. Nella slide numero 2, potete osservare come i francesi raccontavano la geografia della viticoltura. Perché l’ho scelta? Ebbene tutto ciò che essa ci descrive sta per essere stravolto. La magia del 45 parallelo non avrà più senso. Il riscaldamento del clima costringerà a delocalizzare i vigneti e a cambiare il nostro modo di orchestrare gli elementi che

18 CAMBIAMENTI CLIMATICI E NUOVI PERCORSI TECNICI SOSTENIBILI PER LA VITICOLTURA ATTILIO SCIENZA


secondo alcuni climatologi prevedono che la temperatura nei prossimi 50 anni aumenterà da 1 a 5 gradi. Applichiamo un po’ di saggezza aristotelica al problema e restiamo sulla metà dell’aumento previsto cioè tra 1 e 2,5 gradi. Ebbene questo aumento può indurre un anticipo delle fasi fenologiche di circa 6-22 giorni. Attenzione, è quello che sta succedendo oggi! La slide numero 5 riporta i giorni di secco in Italia, se la osservate bene, avrete una immagine precisa di quando vi sto dicendo. E’ urgente quindi mettersi al lavoro subito per rendere resilienti i nostri vigneti (n.6). Ovvero dobbiamo ridurre la vulnerabilità genetica e incrementare la capacità adattativa dei vigneti. E’ chiaro che riusciremo a vincere la sfida della resilienza al cambiamento climatico solo se ci sarà una totale collaborazione tra

ricercatori e produttori. Infatti solo ricerche scientifiche sul miglioramento della genetica della vite e lo studio del potenziale ambientale potranno dare maggiore resilienza. Naturalmente come potete leggere nella slide numero 6 dobbiamo anche migliorare gli interventi tecnici sulla vite, ottimizzare le forme di allevamento, sviluppare portainnesti più efficienti in terreni vulnerabili e migliorare l’uso dell’acqua irrigua. Ora, tutto ciò ci porta verso una viticoltura sempre più precisa. Solo l’approccio scientifico può dare al bisogno di precisione i contenuti che promettono efficacia e efficienza. Comprenderete ora, perché a più riprese vi ho raccomandato come via d’uscita ai problemi indotti dal cambiamento climatico, la necessità di un nuovo rapporto tra Università e viticultori. Se non faremo un salto nell’innovazione e se non la condivideremo, il cam-

slide n.6

La sfida:

ridurre la vulnerabilità genetica ed incrementare la capacità adattativa dei vitigni (resilienza) • • • •

• •

sviluppo di programmi di miglioramento genetico per l’adattamento al cambio climatico (vitigni e portinnesti) studio del potenziale ambientale per ridurre gli effetti negativi del cambiamento (zonazioni viticole) sviluppo di nuove tecniche colturali della vite (gestione del suolo,nutrizione minerale) ottimizzazione delle forme di allevamento (orientamento dei filari,geometria delle chiome,rapporti chioma/grappolo) sviluppo di sperimentazioni per migliorare il rapporto vitigno/portinnesto negli ambienti piu’ vulnerabili migliorare l’uso dell’acqua irrigua

19 CAMBIAMENTI CLIMATICI E NUOVI PERCORSI TECNICI SOSTENIBILI PER LA VITICOLTURA ATTILIO SCIENZA


20 CAMBIAMENTI CLIMATICI E NUOVI PERCORSI TECNICI SOSTENIBILI PER LA VITICOLTURA ATTILIO SCIENZA


slide n.7

Le parole guida per la viticoltura di domani • produrre di vini particolari, di qualita’, rinnovare i vigneti

• cambiare i modi di comunicare il vino, investire in formazione • cambiare i modi di produzione delle uve (sostenibilita’,cambio climatico) • creare alleanze per affrontare i grandi mercati internazionali

• rivitalizzare i territori rurali,fare della cantina un luogo di cultura

biamento climatico da fattore di sviluppo potrebbe facilmente involvere in fattore di crisi letale per molti viticultori. Per contro, se saremo capaci di implementare ciò che la ricerca mette a disposizione di chi intraprende e lavora in questo settore, allora potremo guardare con maggiori speranze la viticoltura del domani. Viticoltura che vedo legata a 5 parole/narrazioni guida (slide n.7) che, come conclusione del mio discorso, vi propongo con un tono assertivo da manifesto programmatico: 1. dobbiamo produrre vini particolari e di grande qualità 2. dobbiamo cambiare i modi di comunicare il vino 3. dobbiamo cambiare i modi di produzione

delle uve 4. dobbiamo creare alleanze per affrontare i mercati internazionali 5. dobbiamo valorizzare i territori rurali e fare delle cantine luoghi di cultura.

Attilio Scienza Università degli Studi di Milano

21 CAMBIAMENTI CLIMATICI E NUOVI PERCORSI TECNICI SOSTENIBILI PER LA VITICOLTURA ATTILIO SCIENZA


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Valle dell’Adige (TN) I vini nuovi e la nuova comunicazione Sandro Vannucci


I vini nuovi e la nuova comunicazione Sandro Vannucci

23 I vini nuovi e la nuova comunicazione Sandro Vannucci


Come affermano i più accreditati esperti del settore (Attilio Scienza, Riccardo Cotarella) la viticultura ed il vino sono arrivati ad una svolta epocale sia per le tecniche che per le innovazioni. Gli studi di genetica ci permetteranno tra poco di avere vino migliore usando meno chimica e nessun veleno. Ma un salto epocale sta avvenendo anche nella comunicazione. Nei miei anni di Linea Verde, tra il ‘94 ed il 2000, credo di aver sfruttato al massimo le ultime occasioni della televisione generalista. Grandi numeri, grandi share, grande attenzione mediatica. Il satellite era ai primi passi, il web ai primi vagiti. Il telefonino era di

Monferrato (AT)

ragguardevole misura e serviva solo per telefonare. Fui il primo a tentare un approccio ad internet con un sito dedicato alla trasmissione, con provider esterno perché la Rai ancora non aveva il suo sito. Meno di 20 anni fa. Adesso la tv generalista è cambiata ed è cambiata anche la comunicazione. La pubblicità non ha solo più quel canale privilegiato che comunque si riferiva ad un pubblico indifferenziato che, per semplificare, chiameremo il pubblico della GDO, della grande distribuzione. Consumatori da aggredire con messaggi semplici ripetuti generici adatti a prodotti semplici e di massa da vendere in grandi,

24 I vini nuovi e la nuova comunicazione Sandro Vannucci


grandissime quantità. La cosa più lontana possibile dal vino di qualità che difficilmente poteva raggiungere quel mezzo. Ma in questi stessi vent’anni il vino è cresciuto proprio in qualità diminuendo per fortuna le quantità. Tutti noi beviamo molto meno, ma molto meglio. Come facciamo a saper cosa bere? In questi ultimi vent’anni sono cambiati anche i mercati. Le nostre aziende più dinamiche l’hanno capito subito e si sono rovesciate le percentuali. Mentre prima la gran parte della produzione finiva nel mercato interno adesso l’export prevale 60 a 40 in percentuale. (vedi diagrammi su Karpòs n° 1 del 2015 pag 68). Ai mercati

tradizionali si sono aggiunti i nuovi mercati. BRIC e non solo. Sono pascoli sconfinati dove la concorrenza sarà spietata e tutta impostata sulla comunicazione. Una comunicazione nuova perché sarà tutta sul web. È una grande innovazione che sta avvenendo ad una velocità sorprendente: non stiamo parlando di anni, ma di pochi mesi, alcune settimane. Qualcosa accade già in queste ore. Se sul nostro smart o sul nostro tablet possiamo chiedere con Netflix un film che poi possiamo vedere anche sulla tv HD, potremo anche chiedere un documentario o uno spot o il breve racconto su un vino che stiamo bevendo o vogliamo comprare. E se ci convince lo

25 I vini nuovi e la nuova comunicazione Sandro Vannucci

Grinzane Cavour (CN


ordiniamo nel travolgente mercato digitale che ce lo consegnerà a casa nel giro di un paio di giorni. Chi sarà il sommelier che da internet ci consiglierà? Che messaggi userà e quali immagini e suoni e musiche e fascinazioni? E come faranno le aziende a farsi largo in questo enorme, complesso fluire di comunicazioni? In effetti alcune iniziative già ci sono. Chi all’ultimo Vinitaly ha partecipato al convegno su Alibaba ha potuto notare la grande attenzione che Matteo Renzi ha dedicato a Jack Ma il fondatore di quella grande compagnia di commercio elettronico che, nata nel 1999, già nel 2012 fatturava con due dei suoi maggiori portali 170 miliardi di dollari. Ebbene Jack Ma ci ha detto che il business del vino in Cina passa per quella

Salento

distribuzione che raggiunge 300 milioni di benestanti assetati di status simbols. Peccato che finora la gran parte dei vini presente in catalogo sia solo francese. E i francesi, i vini francesi, sono già ben piazzati anche in una iniziativa web, di cui sentiremo presto parlare, specializzata nel settore vinicolo. WINELIFE sarà tra pochi giorni il Netflix del vino. È una grande operazione di comunicazione e di marketing a livello globale ( che ormai nel web è l’unico livello da considerare). Sono stati raccolti i capitali per iniziare, si stanno preparando il portale ed i contenuti. Si stanno cercando i collaboratori nei vari paesi produttori. Si stanno valutando i sistemi di penetrazione e di contatto con le aziende del vino da coinvolgere.

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Castel del Monte (BA)

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Noci (BA)


Bolgheri (LI)

Anche a me è stato chiesto, da comunicatore, un parere. Sono rimasto colpito dalla vastità del programma, dalla serietà dei gestori, dalla enorme potenzialità della iniziativa. Sarà un canale web con tutti i vini del mondo per i consumatori di tutto il mondo. Comunicazione e mercato. Si naviga, si guarda, si sceglie, si ordina e si riceve. Tutto qui. Si tratterà di scoprire un nuovo tipo di comunicazione adatta ai tablet e agli smart, ma anche quella in super HD per i grandi

smart tv. Una nuova realtà e nuovi mercati. Anche Winelife si rivolge, oltre che al vecchio e al nuovo mondo, anche al nuovissimo: quell’est Asia che si avvia ad essere il più grande mercato per il vino nei prossimi anni. Lo conquisterà non solo chi riuscirà a fare del buon vino, ma chi riuscirà a comunicarlo nella maniera giusta adatta ai nuovi mezzi ed ai nuovi mercati. Per ora la Francia è riuscita a mantenere la supremazia nell’immagine. I suoi grandi nomi hanno fatto da traino su tutti i mer-

28 I vini nuovi e la nuova comunicazione Sandro Vannucci


San Giminiano (SI)

cati. L’Italia ha fatto passi da gigante ed è riuscita a colmare il gap nella qualità. Rimane questo ultimo sforzo da fare: portare il nostro vino in primo piano sul nuovo mezzo di comunicazione. Ma non sarà difficile se sapremo sfruttare bene il fascino, la storia e la cultura e il Genus loci dei mille e mille vigneti e cantine e borghi del Bel Paese.

Sandro Vannucci Giornalista e grande esperto del “wine & food” italiano

Sintesi dell’intervento di Sandro Vannucci al convegno di Karpòs in San Felice il 18 maggio 2016

29 I vini nuovi e la nuova comunicazione Sandro Vannucci


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Enigmi e indizi sulla motivazione a bere vino

Daniele Tirelli

Enigmi inglese paolo e indizi sulla motivazione a bere vino Il destino Daniele Tirelli in una promessa


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Enigmi inglese paolo e indizi sulla motivazione a bere vino Il destino Daniele Tirelli in una promessa


Contrariamente alla proliferazione di una vasta letteratura e di una sterminata pubblicistica tecnica in campo enologico, le reali motivazioni che spingono, in epoca contemporanea, milioni di individui a bere vino, non sono tuttora chiare. Questa bevanda alcolica è strettamente legata all’evoluzione culturale delle tante nazionalità che storicamente sono apparse anche molto distanti nelle loro “filosofie del bere”. Il tema è complesso e manca di fondamenta teoriche condivise circa la psicologia e la fisiologia di questo consumo sul piano soggettivo individuale. Le strategie di

marketing del settore vinicolo Italiano si rivelano tuttora deboli e confuse. L’asimmetria delle prospettive di valorizzazione della nostra produzione è evidente. Esse oscillano, infatti, tra il consolidamento di un insieme globale di nicchie per la produzione di alta e altissima qualità e l’ottica di un soddisfacimento massificato per i segmenti di prezzo medio o medio-basso. Risolvere la questione semplicemente pensando che poiché oggi si beve vino, così accadrà in futuro dato che così si è sempre fatto, è ingenuo. È anche disastroso sul piano concorrenziale con altri paesi

Fontanafredda

01 32 Enigmi e indizi sulla paolomotivazione inglese a bere vino Il destino Daniele in una Tirelli promessa


produttori, che stanno rapidamente evolvendo sul piano della qualità. Il vino non è un piacere irrinunciabile. Come ogni altro prodotto dell’affollatissima arena competitiva delle bevande il vino deve rispondere a percezioni e motivazioni oltremodo variegate. Il primo assunto è che oggi non beviamo lo stesso vino che si beveva solo pochi decenni orsono. L’invenzione della tradizione e dell’ortodossia vinicola resta purtuttavia un’intelligente invenzione che permea parte dell’odierna cultura popolare di consumo. Bisogna però essere per-

fettamente consapevoli che il vino come lo conosciamo è, nella sua essenza, frutto della più avanzata modernità e di tecniche enologiche raffinate. La sua collocazione tra le bevande da pasto, da dessert e/o da meditazione dipende anch’essa dalle profonde trasformazioni del costume che si susseguono rapidamente in questi anni. Il rischio maggiore per questo importante comparto è di cadere vittima della sua stessa retorica. Una visione realistica dei comportamenti e delle tendenze di consumo è invece fondamentale per consolidare

02 33 Enigmi e indizi sulla motivazione a bere vino Daniele Tirelli

Saline


la capacità del settore di trarne vantaggio. Attraverso lo sviluppo di un vero e proprio programma di ricerca etnografica legato alla pratica del consumo di vino, sarà pertanto possibile mantenere sotto controllo e sfruttare con un marketing avanzato, fattori come: a. le preferenze di una parte estesa della popolazione nella sua propensione verso il vino e verso le sue svariate tipologie. Il tutto ponendole a confronto con quelle per altre bevande alcoliche o bassamente alcoliche; b. gli aspetti nutrizionali e salutistici che ne incentivano o ne vincolano il consumo; c. gli aspetti immaginari, ritualistici e simbolici che condizionano il gradimento

Barolo

verso le diverse tipologie di prodotto; d. le tendenze che si manifestano nell’abbinamento vini-alimenti, alla luce dei veri livelli di gradimento e delle esclusioni che si registrano nella vita pratica quotidiana oppure, in alternativa, negli eventi cerimoniali; e. il grado di apertura all’“esotismo” delle produzioni straniere che sfruttano il vantaggio dei “late comers”. Si evidenzia allora la necessità di predisporre ricerche di nuovo impianto, che documentino la relazione tra i vari cluster di consumatori e il vino in tutte le sue diversità, nel suo vissuto e nei luoghi reali di consumo: in casa e fuori casa; in famiglia

34 Enigmi e indizi sulla motivazione a bere vino Daniele Tirelli


e nelle occasioni conviviali, tra segmenti demografici giovani, maturi ed anziani, tra i due generi. In conclusione, le ragioni per cui il vino trova ancora tanto spazio nelle abitudini di consumo così diverse dal passato e i motivi per cui tante subculture della nostra epoca ne inglobano il consumo, rimane tuttora un enigma alla cui soluzione contribuiscono soltanto pochi indizi. Il favore di cui gode oggi il vino Italiano non è una garanzia perenne di successo, ma una magnifica opportunità da valorizzare con una visione chiara di ciò che

motiva un così grande numero di individui sparsi nel mondo. Siamo di fronte a una “finestra strategica” che non deve chiudersi per la superficialità delle nostre conoscenze. Dunque il consiglio a questo importante comparto è “Nosce te ipsum”.

Daniele Tirelli IULM - Milano

35 Enigmi e indizi sulla motivazione a bere vino Daniele Tirelli


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La nuova frontiera del vino

Riccardo Cotarella

La nuova paolo inglese frontiera del vino Il destino COTARELLA RICCARDO in una promessa


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La nuova paolo inglese frontiera del vino Il destino COTARELLA RICCARDO in una promessa


va all’approccio scientifico. Nel nostro campo ritengo che la ricerca scientifica sia padre, madre e fondamenta del nostro presente e futuro. Quando noi cominciamo a dire che non ci affidiamo alla ricerca scientifica ritorniamo nel più profondo e buio medioevo. E noi dobbiamo dirlo con forza questo, con sicurezza e senza paura degli schieramenti opposti. Perché se non lo diciamo prenderà

La nuova frontiera del vino RICCARDO COTARELLA

Ricerca scientifica: questa benedetta ricerca scientifica a cui ancora secondo me non è stato dato il vero significato, la vera importanza che ha nel nostro presente oltre che nel nostro futuro. Sono molto diretto su questo argomento e per me l’approccio o è scientifico o è ignorante. Cioè l’approccio umanistico nel nostro settore ben venga ma non può prescindere, non può costituire un’alternati-

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Verona

01 paolo inglese Il destino in una promessa


ci sarebbero più i vigneti. Ma posso trovare mille esempi di ciò che la ricerca scientifica ha fatto e dei risultati che ha portato nell’attualità del nostro lavoro. Noi Enologi quest’anno celebriamo il nostro 71° congresso a Verona improntato tutto sulla ricerca scientifica. Abbiamo invitato le quattro scuole più importanti al mondo a presentare i risultati delle loro ultime ri-

La nuova frontiera del vino RICCARDO COTARELLA

sempre più piede la convinzione che tutto ciò che è scienza è non naturale. Senza la ricerca scientifica il vino non sarebbe mai arrivato al livello di oggi. Mai. Infatti uno dei più grossi e devastanti interventi della viticoltura è stato l’innesto con la vite americana, una sorta di rapporto incestuoso tra vitis vinifera e americana. Ecco, se non ci fosse stata quella scoperta, oggi non

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02


cerche. Tra i diversi interventi quello più incredibile è quello del a scuola tedesca che presenterà un progetto, anzi una ricerca conclusa, sugli approcci in vigna per contenere la produzione di zuccheri senza alterando la maturità fenolica. Ora se noi pensiamo che fino a qualche anno fa i tedeschi senza lo zucchero non avrebbero fatto vino perché la loro gradazione naturale era di 7-8 gradi… e che oggi hanno problemi di gradazione eccessiva come noi capiamo facilmente quanto la ricerca sia importante. Ed infatti si sono posti il problema di come intervenire in vigna per contenere la produzione di zuccheri senza minimamente compromettere la maturità fenolica. Ma questo non è un eccesso di intervento terapeutico è semplicemente un modo per permettere di continuare a coltivare la vite e produrre vino. E questo noi lo dobbiamo sostenere con forza e fermezza. Ricordo sempre un esempio divertente. Nel

Trani

2014 un piccolo produttore, un contadino che abita vicino a casa mia, mi chiamò appena vendemmia a vedere il suo vigneto che era distrutto da peronospora e oidio. Gli dissi che probabilmente aveva avuto un approccio non giusto e lui mi disse: dottore ho fatto 28 trattamenti con la poltiglia bordolese. Ecco. Proprio la mancanza di conoscenza porta a questi eccessi credendo di far bene. Poltiglia bordolese come se fosse acqua. Non è cappuccino, latte e caffè. È acido solforico e idrossido di calcio. Soprattutto quando usciamo dal convenzionale per andare verso il biologico serve maggiormente la conoscenza scientifica. Perché solo se ci approcciamo con la conoscenza e la scienza possiamo dire che rispettiamo la sostenibilità ambientale e del prodotto. Nel gruppo delle aziende che io seguo, selezionando un’azienda per ogni territorio, abbiamo creato il gruppo di ricerca Wine

01 La nuova paolo frontiera inglese del vino Il destino RICCARDO in una COTARELLA promessa


dei problemi in fermentazione e di ottenere vini con acidità volatili più basse rispetto ai vini tradizionali e uno sviluppo di aromi primari che riportano all’uva decisamente superiori. Le leggi purtroppo non ci hanno aiutato perché la nostra scritta, vera, “senza solfiti aggiunti” secondo i burocrati può trarre in errore il consumatore. Tutti i nostri vini sono sotto il limite legale di 10 mg/l ma vista la delicatezza dell’analisi e il rischio di errore su misure così piccole non abbiamo potuto rischiare. Visti i risultati della prima sperimentazione ho deciso con le nostre aziende di allargare la ricerca e, per questo, abbiamo deciso di avvalerci di ricercatori, ricercatori veri. Abbiamo chiamato Attilio Scienza, Cesare Intrieri, Fabio Mencarelli, Riccardo Valentini, la scuola tedesca. Abbiamo fatto una convention con tutti i presidi delle scuole enologiche per organizzare dei corsi di aggior-

Research Team. Un’associazione di aziende che nel loro DNA e nella loro filosofia hanno la volontà di fare ricerca vera e applicata per poi trasmetterla su quella che è la quotidianità degli interventi che si fanno in vigna e in cantina. La prima ricerca è stata sulla produzione di vini senza l’aggiunta di SO2. Questo ha portato a delle scoperte davvero inaspettavano. Sui vini rossi, laddove si fa una viticoltura di precisione che non deve mai mancare, abbiamo ottenuto dei vini senza aggiunta di SO2 che hanno una capacità di sviluppare aromi e ottenere tannini non polverosi molto superiore ai vini con l’aggiunta di SO2. Questo è spiegabile in quanto l’SO2 essendo un solvente discioglie sia i tannini buoni che quelli non. Ma l’intervento effettuato sulle uve, naturalmente perfette, con gas inerti permette di inattivare i batteri che sono i responsabili

02 La nuova frontiera TITOLO del vino RICCARDO COTARELLA

Saline di Trapani


Siena

namento su queste sperimentazioni. Questo perché siamo convinti che solo così possiamo portare un contributo vero, pragmatico e reale alla viticoltura ed enologia italiana. Abbiamo deciso di andare verso la sperimentazione in vigna.Presso la Cantina Moncaro con il collega Giuliano D’Ignazi, nel 2014 una delle peggiori annate per gli attacchi fungini, siamo riusciti con dei trattamenti basati su gas inerti disciolti in acqua fredda ad eliminare tutti i normali trattamenti anticrittogamici. Abbiamo in programma l’impianto di 15 ettari con portainnesti resistenti alla siccità e al calcare. Stiamo portando avanti la sperimentazione per la rifermentazione in bottiglia con lieviti selezionati dal mosto o dalle uve che hanno prodotto il vino base con l’Università di Viterbo. Questo perché quando un vino sta sui propri lieviti per 4-5-6 anni, come avviene per gli spumanti metodo classico, è bene che stia sui suoi lieviti. L’obbiettivo è che ogni

base spumante fermenti sui propri lieviti e non semplicemente un lievito per lo chardonnay e uno per il pinot nero. Tutte queste cose che stiamo portando avanti non le chiamerei rivoluzioni, le chiamerei aggiornamenti, le chiamerei amore per il proprio lavoro. Chiudo parlando della figura dell’enologo. Figura che oggi non è più solo il tecnico dell’azienda. Molti sono direttori di produzione, direttori aziendali, sono inseriti nella comunicazione, nella commercializzazione. L’enologo è una figura tutto tondo che deve essere aperta a tutto ciò che è argomento vino. Fino all’ultimo consumatore.

Riccardo Cotarella

42 La nuova frontiera del vino RICCARDO COTARELLA


www.wineresearchteam.it WRT è un gruppo che rappresenta un’Italia del Vino che crede nel valore della ricerca scientifica e la condivide al fine di produrre vini ancora più buoni e sani perché il vino sia sempre moderna e millenaria fonte di piacere.


WINEGRAFT

innovative solution Un ponte tra ricerca e mercato,un sistema virtuoso di collaborazione tra universitĂ e impresa per lo sviluppo della vitivinicoltura di domani Attilio Scienza

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Winegraft srl nasce nell’agosto del 2014 ad opera di un gruppo di primarie aziende vitivinicole di diverse regioni italiane - Ferrari, Zonin, Banfi Società Agricola, Armani Albino, Cantina Due Palme, Claudio Quarta Vignaiolo, Bertani Domains, Nettuno Castellare, Cantine Sette Soli - insieme a Fondazione di Venezia e Bioverde Trentino (azienda di supporto tecnico per la gestione del vigneto) con l’obiettivo di sostenere lo sviluppo della innovativa ricerca portata avanti dall’Università di Milano, sotto il coordinamento del prof. Attilio Scienza, su una nuova generazione di portainnesti per la vite. Con un capitale di circa mezzo milione di Euro e attraverso lo spin-off di IpadLab, società specializzata nel campo della fito-diagnostica leader a livello internazionale che avrà anche il compito di monitorare la sanità e la corrispondenza genetica delle barbatelle prodotte con questi portinnesti, Winegraft finanzia e rilancia il lavoro del gruppo di ricerca dell’Università di Milano che dagli anni ’80 sta lavorando sui nuovi “portainnesti M”. Si organizza, così, un innovativo sistema virtuoso di collaborazione tra università, aziende e mercato che permetterà alla ricerca di finanziarsi con i proventi derivanti dalla commercializzazione dei nuovi portainnesti affidata, in esclusiva mondiale, ai Vivai Cooperativi Rauscedo. Così il presidente di Winegraft Marcello Lunelli, vice presidente di Cantine Ferrari, spiega l’originale meccanismo che è riuscito a chiudere, per la prima volta nella storia del nostro Paese, il famoso circolo “università/ricercaimpresa/mercato”: “i diritti su questi portinnesti saranno esercitati da uno spin-off dell’Università di Milano, l’IpadLab, mentre i Vivai Cooperativi di Rauscedo si occuperanno della sviluppo industriale, dalla moltiplicazione alla commercializzazione del materiale vivaistico in tutto il mondo. Le royalty provenienti dalle vendite garantiranno la continuazione del progetto di ricerca”, una collaborazione, ha sottolineato il prof. Attilio Scienza “tra Winegraft e Università di Milano che consentirà di sviluppare nei prossimi anni nuovi portinnesti anche utilizzando tecniche diagnostiche molecolari innovative”.

WINEGRAFT innovative solution Attilio Scienza

Winegraft: chi e perché

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Ricominciamo… dalle radici

sti che, dopo oltre 100 anni dagli ultimi lavori scientifici sul tema, tornano al centro di una ricerca attivata dall’Università di Milano i cui risultati aprono alla viticoltura frontiere di sviluppo fino a ieri inaspettate inaugurando, nel contempo, un innovativo modello di rapporti tra ricerca e innovazione, università e mondo delle imprese. “La crescente incidenza delle fitopatie – dichiara Attilio Scienza, animatore del progetto di ricerca – i cambiamenti del clima e le loro conseguenze, da un lato, sulla necessità di crescenti quantità di acqua per la coltivazione della vite e, dall’altro, l’estendersi dei fenomeni di salinità dei suoli, la necessità di ridurre e ottimizzare l’impiego dei fertilizzanti e, ancora, la diffusione della viticoltura in ambienti climaticamente molto diversi da quelli europei, nonché le nuove esigenze di qualità da parte del consumatore, stanno evidenziando la sostanziale inadeguatezza dei portainnesti tradizionali ponendo la necessità di creare nuovi genotipi con caratteristiche migliori di

Negli anni ’80, all’Università di Milano, il gruppo di ricerca coordinato dal prof. Attilio Scienza avvia un inedito studio sui portainnesti della vite ed arriva a selezionare la nuova generazione di “portainnesti M”, capaci di tollerare la siccità e resistere ad elevati tenori di calcare nel terreno. Nel 2014, grazie a Winegraft, riparte la ricerca …. e nel 2016 Vivai Cooperativi Rauscedo porterà sul mercato le prime 30 mila barbatelle dei principali vitigni italiani con “portainnesti M”. Se a fine 800, la selezione e diffusione dei portainnesti “su piede americano” ha salvato il vigneto europeo dalla fillossera avviando quella che chiamiamo “viticoltura moderna”, oggi, a distanza di oltre un secolo, una nuova, originale, ricerca tutta italiana sta aprendo la nuova era della “viticoltura post-moderna”. Al centro dell’attenzione sempre i portainne-

Monteriggioni

46 WINEGRAFT innovative solution Attilio Scienza


resistenza agli stress biotici e abiotici”. Nonostante la consapevolezza dell’importanza della scelta del portinnesto per l’adattamento delle piante alle diverse condizioni ambientali e quindi per la buona riuscita di un vigneto, la ricerca in questo campo si era sostanzialmente fermata agli inizi del 900, tempi in cui l’obiettivo principale del miglioramento genetico era la resistenza alla fillossera, al quale si sono aggiunti successivamente obiettivi di resistenza al calcare ed alla siccità. Ancora oggi sono largamente utilizzati alcuni portinnesti selezionati tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, nonostante la viticoltura nel tempo si sia radicalmente trasformata. La frenetica attività di miglioramento genetico che si sviluppò a cavallo tra il XIX ed il XX secolo, incalzata dalla necessità di ottenere rapidamente dei portinnesti resistenti alla fillossera e tolleranti al calcare attivo presente in quantità elevate in molte zone viticole eu-

ropee, puntò su poche specie pure e, all’interno di queste, utilizzò solo qualche individuo tralasciando di valutare la grande variabilità che ogni specie presentava. Nella valutazione dei portinnesti che venivano via via proposti per il rinnovo dei vigneti, si teneva naturalmente conto delle caratteristiche della viticoltura del tempo spesso consociata, strutturata cioè con tutori vivi o caratterizzata, al contrario, da alte fittezze d’impianto e quindi con basse produzioni/ ceppo. Oggi, le diverse esigenze espresse da nuovi modelli viticoli, le conseguenze determinate dal cambiamento climatico sulla fisiologia della pianta e l’estendersi di fenomeni di salinità dei suoli, hanno evidenziato la sostanziale inadeguatezza dei portinnesti tradizionali e la conseguente necessità di creare di nuovi genotipi aventi altre caratteristiche di resistenza. Al miglioramento delle doti di adattamento è inoltre necessario associare al portainnesto

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anche la capacità di ridurre gli input energetici quali l’impiego di fertilizzanti, ed acqua di irrigazione, rispondendo alle esigenze dei viticoltori che richiedono una viticoltura a maggior sostenibilità ambientale e minori costi di gestione. Per tutte queste ragioni, agli inizi degli anni ’80 un gruppo di ricercatori dell’Università di Milano coordinati dal prof. Attilio Scienza, avvia una ricerca orientata ad ottenere portainnesti migliorativi rispetto a quelli utilizzati capaci di tollerare la siccità e resistere ad elevati tenori di calcare attivo nel terreno, raggiungendo nel giugno del 2014 l’ambizioso obbiettivo di iscrivere ben 4 nuovi portainnesti nel Registro Nazionale delle varietà. “Il cammino per arrivare alla valutazione delle caratteristiche agronomiche tali da giustificare l’inserimento dei nuovi portinnesti nel Registro nazionale è stato molto lungo – ricorda Scienza – All’inizio siamo partititi con spirito pionieristico, poche risorse e, quindi, limitate possibilità di valutare i risultati della sperimentazione. La ricerca marciava molto a rilento fino a che, nel 2010, arriva un finanziamento importante attraverso il Progetto Ager Serres, supportato da un consorzio di Fondazioni bancarie: il progetto di ricerca si allarga da Milano alle università di Padova, Torino e Piacenza, al CRA Vite di Conegliano e alla

FEM di S. Michele all’Adige e i lavori subiscono una forte accelerazione che ci porta, in soli 3 anni, alla valutazione finale di questi 4 portainnesti – chiamati della “serie M” da Milano, sede dell’Università promotrice del progetto – per giungere, quest’anno, alla loro iscrizione nel Registro nazionale delle varietà”. A quel punto, si poneva la necessità di trasferire al mondo produttivo i risultati della ricerca, diffondere tra le aziende questi portainnesti che avevano mostrato in diversi ambienti performance nettamente superiori rispetto a quelli commerciali, e, nel contempo trovare nuove risorse per portare avanti la ricerca. Serviva cioè un partner commerciale ed imprenditoriale in grado di saldare quel gap tra ricerca e mercato che rimane una dei grandi problemi irrisolti del nostro Paese. L’anello mancante, arriva presto: in meno di tre mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei nuovi portainnesti, 9 aziende vinicole di primaria importanza (Ferrari, Zonin, Bertani Domains, Albino Armani, Banfi, Nettuno-Castellare, Cantina Due Palme, Claudio Quarta vignaiolo e Cantine Settesoli), che rappresentano le principali regioni viticole italiane dalle Alpi alla Sicilia, danno vita – insieme ad una società di supporto, la Bioverde Trentino, ed alla Fondazione di Venezia – a Winegraft, società nata con lo scopo di sup-

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portare la diffusione dei risultati della ricerca e finanziarne la prosecuzione. Sul piatto, mezzo milione di euro, che le aziende hanno messo a disposizione delle Università per i prossimi anni del progetto che ha di fronte un planning di sviluppo fino al 2030.

WINEGRAFT srl, la start-up promossa da nove primarie aziende vitivinicole di diverse regioni italiane (Ferrari, Zonin, Banfi Società Agricola, Armani Albino, Cantina Due Palme, Claudio Quarta Vignaiolo, Bertani Domains, Nettuno Castellare, Cantine Settesoli insieme a Fondazione di Venezia e Bioverde Trentino) per supportare anche finanziariamente lo sviluppo della ricerca. “L’interesse che i nuovi 4 portainnesti della serie M hanno suscitato nelle università di Bordeaux e Rioja – ha sottolineato Scienza – conferma la validità di un progetto di studio che è tornato ad occuparsi delle “radici” della vite dopo oltre un secolo di disinteresse da parte della scienza e del mondo produttivo”. Tempranillo, in Spagna, Cabernet e Merlot in Francia saranno i vitigni che troveranno dimora nei vigneti sperimentali di prossimo impianto in autunno con la nuova generazione di portainnesti, destinati a sostituire quelli attualmente utilizzati “che stanno mostrando forti limiti alle pressioni del cambiamento climatico oltre a dare segni di deperimento veloce – continua Scienza – Mentre l’M1 e l’M3, per lo loro basse rese, si presentano come ottime alternative per una viticoltura di qualità in stile bordolese, così come l’eccellente capacità di resistenza alla siccità farà dell’M4 una risorsa preziosa per i vigneti del Rioja”.

La ricerca italiana conquista i vigneti di Francia e Spagna I “portainnesti M” selezionati dall’equipe del prof. Attilio Scienza saranno sperimentati a Bordeaux e Rioja: ad annunciarlo Scienza insieme a Marcello Lunelli, presidente di WINEGRAFT. E, in futuro, arriveranno anche in Borgogna … “Circa 600 talee di “portainnesti M” sono partite nelle scorse settimane dagli impianti della Vivai Cooperativi Rauscedo alla volta delle Università di Bordeaux e Rioja che hanno chiesto di poterli innestare con i principali vitigni delle due grandi regioni viticole europee, per avviare una nuova fase di studio e sperimentazione sui loro territori”. A dare la notizia dell’importante riconoscimento internazionale conquistato dallo studio avviato negli anni 80 all’Università di Milano, sono stati il prof. Attilio Scienza, esperto di fama mondiale e promotore della ricerca sui portainnesti, e Marcello Lunelli, presidente di

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Oddero


disponibile per l’impianto. Tant’è che, in fila c’è già la Borgogna che ha fatto richiesta di impiantare vigneti sperimentali di “M” …… Una sperimentazione che, se avrà successo, aprirà un mercato straordinario per i nuovi portainnesti firmati UniMi e WINEGRAFT, commercializzati in esclusiva mondiale dai Vivai Cooperativi Rauscedo e garantiti, dal punto di vista sanitario e della corrispondenza genetica delle barbatelle, dal laboratorio di IpadLab. Un bel successo della ricerca e di un innovativo “business-research model” italiano celebrato nell’anno di Expo …

L’interesse mostrato da questi centri internazionali di eccellenza nella ricerca viticola “costituisce un doppio riconoscimento di cui dobbiamo andare fieri – ha commentato Marcello Lunelli, presidente di WINEGRAFT – perché premia sia i risultati della ricerca dell’Università di Milano sia il modello virtuoso di collegamento universitàimpresa interpretato da WINEGRAFT grazie al quale i prodotti della ricerca sono diventati accessibili ai produttori e disponibili sul mercato nel giro di poco tempo”. Quante volte abbiamo visto frutti di ricerche anche importanti rimanere chiusi nei laboratori o nelle università. “Una cosa è produrre un portainnesto e lasciarlo nelle collezioni dell’università, ma tutta un’altra storia è produrlo e renderlo disponibile per le imprese, come abbiamo fatto noi grazie alle aziende riunite in WINEGRAFT: una rivoluzione!”, ha voluto sottolineare ancora Scienza. Ed è stato questo duplice aspetto “virtuoso” a conquistare viticoltori e ricercatori di Bordeaux e Rioja: la possibilità cioè di sperimentare un portainnesto che diventa rapidamente

Attilio Scienza Università degli Studi di Milano

50 WINEGRAFT innovative solution Attilio Scienza


www.winegraft.it La società fondata da nove aziende vitivinicole di rilevanza nazionale - Ferrari, Zonin, Banfi Società Agricola, Armani Albino, Cantina Due Palme, Claudio Quarta Vignaiolo, Bertani Domains, Nettuno Castellare, Cantine Sette Soli – insieme a Fondazione di Venezia e Bioverde Trentino

insieme a

e


INNOVAZIONE E SOSTENIBILITà IN VITICOLTURA: LE NUOVE VARIETà RESISTENTI ALLE MALATTIE Eugenio Sartori Come ben noto, il genere Vitis è suddiviso in 3 grandi gruppi: le viti asiatiche (Vitis Amurensis ecc.), le europee rappresentate da quelle comunemente coltivate in Europa ed in altri Paesi (Merlot, Sangiovese ecc.) e le americane (Vitis Rupestris, Riparia ecc.). Fino al 1845, data di arrivo dell’oidio in Eu-

ropa, le viti del nostro continente conducevano vita tranquilla e così pure i viticoltori che non conoscevano né lo zolfo per la lotta all’oidio, né il rame per combattere la peronospora arrivata nel 1878, né il portinnesto americano per evitare i deperimenti causati dalla fillossera entrata nel nostro continen-

RIPARTIZIONE DEI 3 GRANDI GRUPPI DI VITE NEL MONDO

Vite europea

Gruppo americano Gruppo asiatico

AMERICANE

Vitis Riparia Vitis Rupestris Vitis Berlandieri Vitis Labrusca Vitis Rotundifolia Vitis Arizonica

EUROPEE Vitis Vinifera Merlot Sangiovese Cabernet Sauvignon Chardonnay

52 INNOVAZIONE E SOSTENIBILITà IN VITICOLTURA Eugenio Sartori

ASIATICHE Vitis Amurensis Vitis Coignetiae Vitis Thunbergii


PRINCIPALI CARATTERISTICHE DEI VITIGNI A BACCA BIANCA PARENTALI

TOCAI FR. X 20-3

TOCAI FR. X BIANCA

SAUVIGNON X 20-3

SAUVIGNON X BIANCA

34-111 Fleurtai

34-113 Soreli

80-024

80-100

76-026 Sauvignon Kretos

30-080

55-084

55-098 Sauvignon Nepis

55-100 Sauvignon Rytos

GERMOGLIAMENTO

PRECOCE

MEDIO

MEDIO

PRECOCE

PRECOCE

PRECOCE

MEDIO

PRECOCE

MEDIO

MATURAZIONE

PRECOCE

PRECOCE

PRECOCE

PRECOCE

PRECOCE

PRECOCE

PRECOCE

MEDIA

MEDIA

PRODUTTIVITÀ

MEDIOELEVATA

MEDIA

MEDIOELEVATA

ELEVATA

MEDIA

MEDIOBASSA

ELEVATA

MEDIO-BASSA

MEDIOELEVATA

RESISTENZA ALLA PERONOSPORA

OTTIMA

OTTIMA

BUONA

BUONA

BUONA

BUONA

BUONA

BUONA

BUONA

RESISTENZA ALL’OIDIO

OTTIMA

BUONA

BUONA

BUONA

BUONA (--)

BUONA

BUONA

BUONA (-)

BUONA

SENSIBILITÀ ALLA BOTRITE

RIDOTTA

RIDOTTA

RIDOTTA

NORMALE

RIDOTTA

NORMALE

NORMALE

NORMALE

SENSIBILE

RESISTENZA AL FREDDO

BUONA -23°C

OTTIMA -24°C

DISCRETA -22°C

NON VALUTATO

DISCRETA -22°C

NON VALUTATO

NON VALUTATO

NON VALUTATO

BUONA -23°C

VITIGNO

te nel 1863. Le viti americane hanno a suo tempo contribuito alla soluzione dei problemi creati dalla fillossera, ma già verso la fine del 1800 si era capito che dall’ibridazione con la vite europea si potevano ottenere nuovi vitigni resistenti alla peronospora e all’oidio.

02

molto elevato rispetto a: - impatto ambientale - costi (crescenti) della lotta fitosanitaria - formazione di ceppi resistenti del patogeno. In più, in alcune fasce di consumatori, si è fatta avanti la convinzione che il vino oggi prodotto, proprio a causa di trattamenti sempre più sofisticati, sia meno “naturale” rispetto al passato. A parte, i lavori di ibridazione che fino al 1980 avevano portato alla creazione di nuovi vitigni resistenti alle malattie, le varietà di vite europea, seppur oggetto di miglioramento genetico attraverso la selezione massale prima e clonale dopo, in buona sostanza sono sempre rimaste le stesse. Queste,

La lotta alle fitopatie dinanzi citate, che fino al nostro dopoguerra poggiava su zolfo e rame, divenne successivamente più efficace in funzione dell’immissione in commercio di nuove molecole di sintesi ad azione di contatto (es. Mancozeb), citotropica (es. Cimoxanil) e sistemica (es. Fosetil Al). La viticoltura europea si è quindi salvata da temibili patogeni, pagando però un prezzo

53 INNOVAZIONE E SOSTENIBILITà IN VITICOLTURA Eugenio Sartori

paolo inglese Il destino in una promessa

FOTO GRAPPOLO


non hanno potuto evolvere, perché sempre propagate per talea (via agamica), mentre i patogeni si sono evoluti e ai nuovi prodotti anticrittogamici hanno risposto mutando, quindi evolvendo e superando, in efficacia, l’azione fungicida. La vite non ha potuto autodifendersi e il viticoltore per salvarla ha dovuto cambiare continuamente strategia ed utilizzare prodotti sempre più sofisticati, tant’è che la viticoltura è oggi, in Europa, l’attività agricola che fa più largo uso di prodotti fitosanitari (65% dell’UE). A ciò si deve aggiungere anche il cambiamento climatico in atto che si manifesta con eventi sempre più eclatanti (piovosità estreme, bombe d’acqua, siccità prolungata).

Queste situazioni di emergenza sono state meglio affrontate dai patogeni rispetto alla vite proprio grazie alla loro capacità di evolversi e di riadattarsi alle nuove condizioni climatiche. Dal 1870 ad oggi molti Istituti di ricerca in Francia, Germania, Ex URSS, Serbia, hanno cercato, attraverso l’ibridazione, di creare la vite ideale resistente alle malattie e alla fillossera, ma i risultati non sono stati all’altezza delle aspettative in quanto i vecchi ibridi (Baco, Clinto, Isabella, Seyve Villard ecc.) presentavano elevato contenuto in: - Alcool metilico - Furaneolo (simil-fragola) - Metilantralinato (foxy) ed erano in generale dotati di un profilo

PRINCIPALI CARATTERISTICHE DEI VITIGNI A BACCA ROSSA CABERNET SAUV. x BIANCA

CABERNET SAUV. x 20-3

72-096

58-083 Cabernet Eidos

32-078 Cabernet Volos

31-125 Merlot Khorus

31-122 Merlot Khantus

31-120

31-103

36-030 Julius

PRECOCE

PRECOCE

PRECOCE

MEDIO

MEDIO

MEDIO

PRECOCE

PRECOCE

MEDIO

MATURAZIONE

PRECOCE

MEDIA

TARDIVA

MEDIA

MEDIA

PRECOCE

PRECOCE

PRECOCE

MEDIOPRECOCE

PRODUTTIVITÀ

MEDIOBASSA

MEDIOBASSA

MEDIOELEVATA

ELEVATA

MEDIA

MEDIOBASSA

MEDIO-BASSA

MEDIOBASSA

MEDIA

RESISTENZA ALLA PERONOSPORA

BUONA

BUONA

BUONA

BUONA

OTTIMA

BUONA

BUONA

OTTIMA

BUONA

RESISTENZA ALL’OIDIO

BUONA

BUONA

BUONA (-)

BUONA

BUONA (--)

BUONA

BUONA

BUONA

BUONA

SENSIBILITÀ ALLA BOTRITE

NORMALE

RIDOTTA

RIDOTTA

RIDOTTA

MEDIA

NORMALE

NORMALE

RIDOTTA

NORMALE

RESISTENZA AL FREDDO

NON VALUTATO

DISCRETA -22°C

NON VALUTATO

OTTIMA -24°C

NORMALE -18°C

DISCRETA -22°C

NON VALUTATO

NORMALE -18°C

OTTIMA -24°C

PARENTALI

SANGIOVESE X BIANCA

VITIGNO

72-006

GERMOGLIAMENTO

REGENT x 20-3

MERLOT x 20-3

FOTO GRAPPOLO

54 INNOVAZIONE E SOSTENIBILITà IN VITICOLTURA Eugenio Sartori


SAUVIGNON RYTOS: SAUVIGNON x BIANCA

SAUVIGNON NEPIS: SAUVIGNON x BIANCA

P.M.: 114g VENDEMMIA

P.M.: 194g

Produzione M: 8,1 ton/ha

ACIDITA’ TOT. gr/lt

ETRATTO SECCO gr/lt

ALCOOL %

VENDEMMIA

Produzione: 11,6 ton/ha

ACIDITA’ TOT. gr/lt

ETRATTO SECCO gr/lt

ALCOOL % 14

2012

6,13

18,1

11,9

2012

6,28

22,9

2013

5,62

19,3

13,5

2013

6,05

19,6

14

2014

6,6

21,1

12,4

2014

5,2

18,1

12,2

sensoriale molto specifico e lontano dal livello espresso dalle più diffuse varietà internazionali e nazionali. Anche gli ottenimenti più recenti (anni ’80) pur non presentando controindicazioni dal punto di vista salutistico, esprimevano un corredo aromatico e/o polifenolico non all’altezza del parentale di Vinifera e per tale motivo hanno registrato una diffusione sporadica. Alcune di queste varietà (le migliori sotto il profilo enologico) sono state recentemente iscritte al Catalogo Nazionale delle Varietà, nella fattispecie: Bronner, Regent, Cabernet Cortis, Cabernet Carbon, Helios, Johanniter, Prior e Solaris. Nel 1998 un gruppo di ricercatori dell’Università di Udine ha dato corso ad un nuovo programma di ibridazione con l’ausilio di marker molecolari al fine di scoprire, già con piantine a tre foglie, l’eventuale presenza di geni di resistenza. I genitori prescelti sono stati, da una parte per la vite europea, Sangiovese, Chardonnay, Merlot, Cabernet Sauvignon, Tocai Friulano e Sauvignon, e per le “donatrici” di resistenza, Bianca, “203”, e Regent. Nel 2006 entrano in gioco anche i Vivai Cooperativi Rauscedo come ente finanziatore del neo-costituito Istituto di Genomica Applicata che di li a poco diverrà uno dei più importanti centri di genomica al mon-

do e non solo della vite. A parte l’aspetto finanziario, la collaborazione con i Vivai Cooperativi Rauscedo si è esplicitata nelle valutazioni agronomiche ed enologiche di tutti i nuovi vitigni ottenuti ed aventi caratteri di resistenza alle malattie. Dopo 6 anni di screening, una ventina di nuovi vitigni sono stati ritenuti interessanti e una decina meritevoli, da subito, di essere portati all’iscrizione e alla loro conseguente diffusione. Ad oggi risultano iscritti al Catalogo Nazionale Italiano per le varietà di vite, Fleurtai, Soreli, Sauvignon Kretos, Sauvignon Nepis, Sauvignon Rytos, Cabernet Eidos, Cabernet Volos, Merlot Khorus, Merlot Khantus e Julius. Queste nuove varietà presentano resistenza alla peronospora, all’oidio e in taluni casi anche una interessante tenuta alle basse temperature, fino a -24°C, grazie alla introgressione di geni di resistenza nel processo di ibridazione. Dal punto di vista enologico sono di livello qualitativo comparabile se non addirittura superiore al parentale di Vinifera, quindi al Sauvignon, Merlot, Cabernet ecc. Rispetto agli ottenimenti precedenti i nuovi vitigni presentano inoltre: - buone/ottime attitudini agronomiche (rusticità, produttività vigoria ecc.) - profilo aromatico e polifenolico (per i rossi) in linea con le attuali esigenze del mercato (tipicità, sentori floreali-fruttati,

55 INNOVAZIONE E SOSTENIBILITà IN VITICOLTURA Eugenio Sartori


CABERNET EIDOS: CABERNET SAUVIGNON x BIANCA

P.M.: 181g

Produzione: 10,2 ton/ha

VENDEMMIA

ACIDITA’ TOT. gr/lt

ETRATTO SECCO gr/lt

ALCOOL %

ANTOCIANI mg/lt

POLIFENOLI mg/lt

2012

5,4

28,3

12,39

800

3030

2013

5,5

32,4

13,42

1031

3691

2014

5,0

25,9

12,69

599

2209

tannini morbidi, colore) - ridotta necessità di interventi fitosanitari (1 o 2 trattamenti contro oidio e peronospora). Ma, soprattutto, esprimono al meglio la coniugazione tra tradizione (parentale di Vinifera) ed innovazione (parentale resistente) e ciò grazie ad una introgressione di geni di non Vinifera che non supera il 3-4%. L’interesse suscitato da questi nuovi vitigni presso i viticoltori è enorme, soprattutto da parte di coloro che della sostenibilità hanno fatto la loro missione aziendale. Oggi, interi areali viticoli, sono pronti ad ospitare questi vitigni ed in particolare quelli che: - sono contigui a estesi insediamenti abitativi (es. zona del Prosecco, zona del Cava in Spagna, Collio);

- presentano condizioni climatiche fortemente favorevoli allo sviluppo dei patogeni (Rio Grande do Sul - Brasile, Abkazia, aree prealpine); - presentano una viticoltura che si è sviluppata su basi di elevata competitività del prezzo (Mancha, Sud Africa, Cina). Anche da parte dei viticoltori delle aree a DOC si nota un grande interesse per: - la possibilità non troppo lontana di inserirli nella quota dei vitigni complementari per alcune DOC; - offrire una immagine aziendale di maggiore sostenibilità ambientale; - le nuove esigenze del consumatore che desidera siano soddisfatte, nel suo approccio al vino, non solo il proprio gusto, ma anche le sue esigenze in termini salutistici.

56 INNOVAZIONE E SOSTENIBILITà IN VITICOLTURA Eugenio Sartori


P.M.: 146g

Produzione M: 8,2 ton/ha

VENDEMMIA

ACIDITA’ TOT. gr/lt

ETRATTO SECCO gr/lt

ALCOOL %

ANTOCIANI mg/lt

POLIFENOLI mg/lt

2012

5,53

28,9

12,09

830

3970

2013

5,5

31,1

13,87

1133

3476

2014

5,2

27,1

12,9

656

2226

Lo sforzo della ricerca pubblica e della iniziativa privata deve essere volto a creare le condizioni per un percorso comune che porti all’implementazione di un nuovo modello di sviluppo viticolo facendo ricorso all’uso intelligente delle conoscenze e degli strumenti che la genetica ora consente di utilizzare. L’innovazione in agricoltura ed in viticoltura, pur nel rispetto della tradizione, è indispensabile in un mondo in cui tutto è globalizzato. Pur rispettando le scelte di nicchia è ineludibile, per rimanere sul mercato, aumentare il contenuto innovativo del prodotto finale. Ed è quello che aziende come i VCR, leader mondiale nel settore vivaistico-viticolo con una vendita annua di oltre 65 milioni di barbatelle delle quali 30

milioni in esportazione, in sinergia con Istituti di ricerca pubblica nazionale ed estera, intendono perseguire. In quanto a sostenibilità economica i vitigni resistenti permettono minori costi nella difesa fitosanitaria valutabili in circa 1000€ al Nord Italia e 600/700€ al Centro/Sud per ettaro/anno. Questo si traduce in un notevole vantaggio competitivo che permetterà al vino italiano di conquistare ulteriori posizioni nel mercato internazionale.

Eugenio Sartori

57 Il futuro del vino italiano Renzo angelini


MELANZANA SUCCESSO DI UN ORTAGGIO POVERO Giovanni Ballarini

La non facile storia alimentare delle solanacee

Quattro solanacee hanno un ruolo importante nelle società umane: il tabacco usato soprattutto per inalazione e solo limitatamente mangiato, diversamente dalla patata, pomodoro e melanzana che costituiscono la triade delle solanacee alimentari. Le solanacee sono vegetali con buone caratteristiche nutrizionali, ricche di molecole con attività farmacotossicologiche che giustificano attività extranutrizionali, più evidenti nelle specie selvatiche. Ogni solanacea ha seguito una via propria di diffusione, ben studiata e nota per il tabacco, la patata e il pomodoro, meno per la melanzana. Diversi sono ancora i punti oscuri di quest’ultima, forse perché ha avuto un uso prevalente nella cucina popolare, segnato inoltre da paure e timori di tossicità, non di rado con connotazioni segregazioniste come ad esempio essere ritenuta tipica di una cucina povera delle bettole o caupone e della cucina giudaica.

58 LA MELANZANA GIOVANNI BALLARINI


59 LA MELANZANA GIOVANNI BALLARINI


Melanzana mela dei folli

colare in Sicilia, é nota nel XIII secolo da dove i frati Carmelitani provvedono a diffonderla nel resto dell’Italia, facendola entrare negli orti, dove sono coltivate le piante medicamentose e alimentari. All’inizio la melanzana é accolta tiepidamente, se non con cautela e timore. Nel 1550 la melanzana è citata nel Trattato della coltura degli orti e giardini del naturalista italiano Soderini, ma occorreranno secoli, fin verso la metà dell’800, perché si diffonda in misura sostanziale sulle mense europee. In Italia meridionale la melanzana è cucinata dal Quattrocento, con una diffusione nell’Italia centrale e poi in quella settentrionale dopo il XV secolo. Nel 1658 Vincenzo Tanara descrive la col-

La melanzana è originaria dell’India, ma già durante la preistoria e sicuramente quattromila anni fa é coltivata in Cina e in altri paesi dell’Asia centrale, che ne sono ancona oggi i maggiori coltivatori, produttori e consumatori e dove i suoi frutti (bacche) sono conservati sotto sale e con aggiunta di pigmenti. Si ritiene che la melanzana sia arrivata nel Mediterraneo portata nel quarto secolo dell’era corrente dagli arabi, che l’avevano conosciuta in India, con la denominavano bādingiān (frutto incrociato con la mela). In Spagna arriva circa nell’VIII secolo dell’era corrente, in Italia, in modo parti-

60 LA MELANZANA GIOVANNI BALLARINI


tivazione della melanzana e soprattutto la sua cucina, accreditando un’ingannevole etimologia di mala insana, perché avrebbe provocato turbe della mente facendo quasi impazzire, e avvalora la credenza che questo ortaggio sia particolarmente abbondante nella dieta degli ebrei. Ancor prima del suo arrivo nel Mediterraneo la melanzana aveva sollevato dubbi e tra i medici islamici Ibn Sina la collega a molte malattie, dalla lebbra al cancro fino alla cefalgia e alle emorroidi, Ibn Masawayh afferma che copre la bocca di pustole e secondo Ali ben Rabban alTabari genera malinconia. Arrivata in Italia e sulla base dei testi di medicina che si basano su quelli degli arabi, la melanzana é ritenuta tossica e incolpata di

produrre pazzia, come risulta da una novella della metà del millequattrocento che ha per protagonista Maestro Taddeo dell’Università di Bologna .

Novella XXXV

Qui conta del Maestro Taddeo di Bologna

Maestro Taddeo leggendo a’ suoi scolari in medicina, trovò che chi continovo mangiasse nove dì petronciana, diverrebbe matto. E provavalo secondo la fisica. Uno suo scolare udendo quel capitolo, propuosesi di volerlo provare. Prese a mangiare de’ petronciali, ed in capo di nove dì venne dinanzi al maestro e disse: Maestro, il co-tale capitolo che leggeste, non é vero: però ch’io l’hoe provato, e non sono matto. E pure alzossi e mostrolli il culo. Scrivete, disse il Maestro, che tutto questo del petonciano é provato; e facciasene nuova chiosa. Da Il Novellino

61 LA MELANZANA GIOVANNI BALLARINI


Melanzana denominazione discussa

grana, e così melobadingian, quindi melangian, da cui l’attuale nome di melanzana. In altre regioni il suffisso fu petro, per questo si ebbe pedrobadingian dal quale si formerà petronciano o petonciano, altri sinonimi con i quali è indicato quest’ortaggio. Nei diversi dialetti italiani la melanzana è denominata petonciano, petronciano (ter-

Gli Arabi chiamano la melanzana bādingiān e quando arriva in Italia subisce l’aggiunta del suffisso melo, perché nel medioevo è comune aggiungere la parola mela a diversi frutti: da qui melarancia, melangolo, mela-

62 LA MELANZANA GIOVANNI BALLARINI


mine usato da Pellegrino Artusi) o petronciana, merinzana, maranzana, marignani (nel Lazio), malignane (in Campania), milangiane (in Calabria), mulinciani (in Sicilia) e dizioni similari. Solanum melongena è il nome scientifico della melanzana dove Solanum indica l’appartenenza alle Solanacee, che nella specie ricupera l’etimo di

mela, già presente in arabo. Falsa è l’etimologia di melanzana da malum insanum, vale a dire mela che rende folli, probabilmente derivata dalla conoscenza della tossicità della pianta, più che del frutto maturo e cotto, un’idea presente nelle lezioni di Maestro Taddeo di Bologna.

63 LA MELANZANA GIOVANNI BALLARINI


Melanzana cibo popolare La melanzana è stata la prima solanacea introdotta nel Mediterraneo e tutto fa ritenere che fin dall’inizio sia stata utilizzata come alimento popolare, come dimostra una testimonianza di Vincenzo Tanara e la sua presenza nella caponata siciliana. Questo ortaggio entra nella cucina borghese e nobile, quindi nella gastronomia, soltanto nel secolo XVI, e in misura non abbondante. La melanzana entra in una preparazione culinaria popolare quale la caponata e una delle prime indicazione di questo uso è del 1853 quando tra gli ingredienti principali di questo piatto, oltre al pesce, compaiono le petronciane (melanzane) o i carciofi (altro ortaggio con denominazione d’origine araba: kharshūf ). La caponata siciliana vegetariana del popolo povero si evolve con la presenza di melanzane, sedano, cipolle, olive, capperi e, raramente, carciofi, in salsa agrodolce (aceto più miele, oppure aceto più zucchero). Anche in altre cucine italiane, la melanzana entra in piatti poveri, tra i quali sono da citare il friggione bolognese e la vecchia parmigiana, con la precisazione che la sua presenza non era e non poteva essere costante, data la stagionalità dell’ortaggio. Allo stesso modo di una cucina povera, ma non per questo poco gustosa, é la presenza della melanzana nella cucina ebraica. Nel passato rara è invece la presenza della melanzana nei ricettari familiari patrimonio di famiglie abbienti. Per questo, la melanzana non figura nel Libretto di tutte le cose che si mangiano comunemente di Michele Savonarola (1515) e non vi sono ricette di melanzane nei ricettari piemontesi del 1831 (La cuciniera piemontese) e del 1843 (Il cuoco piemontese). Limitata è la presenza di quest’ortaggio anche nel celebre ricettario della famiglia borghese scritto da Pellegrino Artusi alla fine del milleottocento.

64 LA MELANZANA GIOVANNI BALLARINI


Caponata, denominazione ambigua La caponata (capunata in siciliano) è un prodotto tipico della cucina siciliana, un insieme di ortaggi fritti tra i quali dominano per lo più melanzane e con diverse decine di varianti. Le caponate più rilevanti sono la palermitana, l’agrigentina ciancianese e di Bivona, la catanese, la messinese, la napoletana. Caponatine sono le caponate prodotte in versione più semplice della caponata e quelle industriali. Il termine caponata rimanda allo spagnolo caponada, voce di significato affine, e questa etimologia popolare sembra riferirsi a capone, nome con il quale in alcune zone della Sicilia é chiamata la lampuga, un pesce dalla carne pregiata, servito nelle tavole dell’aristocrazia e condito con la salsa agrodolce tipica della caponata. Il popolo non può permettersi il costoso pesce e lo sostituisce con le più economiche melanzane. Questa sostituzione avviene anche nelle taverne e nelle bettole (caupone) dei porti e per questo qualcuno sostiene che il nome del piatto derivi da questi locali frequentati dai marinai. Da qui l’ambiguità di mangiare la polpa della melanzana quale fosse quella di un pesce pregiato.

65 LA MELANZANA GIOVANNI BALLARINI


66 LA MELANZANA GIOVANNI BALLARINI


Melanzana oggi in tavola

per molte caratteristiche: concentrazione della produzione in poche settimane, per facilitare la raccolta; elevata produttività per ettaro; caratteristiche morfologiche della bacca (forma, colore, dimensione ecc.); caratteristiche organolettiche della bacca (sapore, consistenza, stabilità della colorazione ecc.); caratteri della pianta (assenza di spine, germogli basali ecc.) anche in relazione ad una meccanizzazione della coltivazione; sterilità dei maschi (per una produzione facilitata d’ibridi); resistenza genetica alle malattie; e altri caratteri.

La melanzana usata in alimentazione è parte fondamentale di molte cucine asiatiche dove la pianta é originaria, India e Cina soprattutto, e dove è coltivata in una grande quantità di varietà. Grande è la produzione mondiale di melanzane e quell’italiana é relativamente piccola e concentrata in Sicilia, Campania, ma di grande qualità. Un’intensa ricerca agronomica ha prodotto e continua a produrre molte varietà di melanzane che differiscono tra loro

Produzione mondiale in tonnellate

Fonte: FAOSTAT (FAO)

Cina

27.700.000

59.2%

India

11.896.000

25.4%

Iran

1.215.025

2,6%

Egitto

1.166.430

2,5%

Turchia

821.770

1,8%

Indonesia

519.481

1,1%

Iraq

452.050

1,0%

Giappone

322.400

0,7%

Italia

243.319

0,5%

Altri Paesi

2.486.845

5%

Totale

46.823.320

100%

Italia - Coltivazione della melanzana su circa 12.000 ettari, principalmente nelle seguenti regioni Regione

Pieno campo (ha)

Regione

Serra (ha)

Sicilia

4.060

Campania

260

Campania

1.869

Lazio

198

Calabria

1.682

Sicilia

193

Puglia

1.600

Veneto

90

Veneto

591

Calabria

60

Lazio

427

E.Romagna

40

Basilicata

370

Sardegna

26

Sardegna

370

Marche

26

Marche

318

Puglia

16

67 LA MELANZANA GIOVANNI BALLARINI


Varietà di melanzne Le molte le varietà di melanzana presenti sul mercato ortofrutticolo mondiale si distinguono per forma (possono essere di forma rotonda, ovale o allungata), per colore (dal bianco al rosato violetto, al viola scuro), per il sapore, che può essere molto delicato (come la varietà Larga Morada) oppure più deciso e piccante (come la varietà Violetta di Napoli). Le varietà di melanzane dalla forma rotonda sono le più indicate per quelle preparazioni che necessitano della cottura della melanzana a fette, mentre le varietà di melanzana allungate sono più indicate per essere ripiene o cotte a dadini. Le varietà di melanzane più conosciute nel settore ortofrutticolo sono le seguenti.

Varietà di melanzana dalla forma rotonda

Sabelle, black beauty (o bellezza nera), tonda comune di Firenze (o “melanzana violetta pallida”), melanzana tonda nera, melanzana tonda bianca, melanzana tonda bianca sfumata di rosa, melanzana tonda lilla, prosperosa, melanzana lety, melanzana di Murcia, baffa, bella vittoria, palermitana (o tunisina), zuccherina.

Melanzane particolari

Da segnalare la melanzana rossa DOP (Denominazione di Origine Protetta) di Rotonda proveniente dall’Africa e dall’Asia e completamente diverso da tutte le altre varietà di melanzane, e le melanzane da coltivazioni biologiche

68 LA MELANZANA GIOVANNI BALLARINI


69 LA MELANZANA GIOVANNI BALLARINI


Varietà di melanzana dalla forma ovale

Bianca ovale, galine, jersey king, melanzana Giotto, mostruosa di New York (detta anche “gigante bianca di New York”), larga morada, durona calice nero (detta anche “a peduncolo nero”), ovale tipologia maya, seta violetta lunga.

70 LA MELANZANA GIOVANNI BALLARINI


VarietĂ di melanzana dalla forma allungata

LA MELANZANA GIOVANNI BALLARINI

Violetta di Napoli, violetta lunga palermitana, violetta nana precoce, lunga violetta super precocissima, riminese, melanzana lunga nera, melanzana morella, melanzana mary, melanzana ideal, mezza lunga tipologia mirabelle, perlina, precoce di Barbentane.

71


Le caratteristiche nutrizionali della melanzana sono quelle di un ortaggio con poche calorie, ma ricco di minerali e vitamine, come riportato in una tabella. Le azioni extranutrizionali della melanzana sono da riportare a una serie di principi attivi e tra questi biogeni quali la sero-

tonina e la tiramina. Se da un lato possono queste molecole possono migliorare la digestione e indurre uno stato di benessere (eucenestesi), con l’ingestione d’elevate quantità di prodotto crudo (uno o più chilogrammi il giorno), soprattutto se l’ortaggio è coltivato in terreni poveri magnesio,

MELANZANA Composizione per 100 grammi di prodotto Calorie

kcal

24

Grassi

kj

102

Carboidrati

g

0.19

Proteine

g

5.7

Fibre

g

1.01

Zuccheri

g

3.4

Acqua

g

2.35

Ceneri

g

92.41

peperoni crudi

g

0.7

Principi attivi contenuti nella melanzana (in particolare nella buccia) Ammine biogene per 100 grammi di bacca fresca edule

Serotonina milligrammi

0,2

Tirammina milligrammi

0,3

Solanina

(non nel frutto maturo) Altri componenti

Acido ossalico milligrammi

10-38

Sostanze cinarinosimili

Presenti

Acido clorogenico

Presente

Acido caffeico

Presente

Antibiotici (fitoantibiotici)

Presenti

Molecole ipocolesterolizzanti

Presenti

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possono causare disturbi digestivi e nervosi. La melanzana contiene anche altre molecole e tra queste acido clorogenico e caffeico, assieme a sostanze cinarinosimili, simili a quelle contenute nel carciofo, di sapore amaro e con azione coleretica (miglioramento nella produzione della

bile). Attività antibiotiche (fitoantibiotici) sono state individuate nella melanzana, come la capacità dell’ortaggio di ridurre il livello di colesterolo nel sangue, per un’attivazione del metabolismo del fegato, potenziato dal magnesio e potassio di cui la melanzana è relativamente ricca.

Melanzane in cucina

Con basso contenuto calorico e piene di sapore, le melanzane, ricche di potassio e fosforo hanno funzioni depurative. Le melanzane crude hanno un sapore amaro e possono provocare nausea e mal di testa per la presenza di solanina, che é in gran par-te distrutta dalla cottura che invece mantiene la cinarina, polifeno-lo contenuto anche nel carciofo. Prima della cottura, è buona regola cospargere le melanzane con sale, meglio se grosso, lasciarle per circa mezz’ora in modo che perdano l’acqua amarognola, quindi lavarle rapidamente o per a-verle più saporite, tamponarle con carta da cucina.

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Pasta alla Norma

La pasta alla Norma è un piatto a base di pasta, solitamente maccheroni, condita con pomodoro e successiva aggiunta di melanzane fritte, ricotta salata e basilico. Piatto originario della città di Catania, nel cui dialetto è detto pasta ca’ Norma. Secondo la leggen-

La melanzana cruda ha un gusto sgradevole, è consumata solamente cotta e ha la proprietà di assorbire molto bene i grassi alimentari, tra cui l’olio, consentendo la preparazione di piatti molto ricchi e saporiti. In tempi recenti quest’ortaggio, già acquisito dalla cucina popolare, ha conquistato un posto di primo piano nella cucina borghese e dalla gastronomia italiana e internazionale, dove trova pieno trionfo abbinata al pomodoro, che ne mitiga il gusto

da più accreditata, sembrerebbe che a dare il nome alla ricetta sia stato il commediografo catanese Nino Martoglio il qua-le, davanti ad un piatto di pasta così condito, per indicarne la su-prema bontà l’avrebbe paragonata alla celebre opera del catanese Vincenzo Bellini esclamando “È una Norma!”.

leggermente amarognolo. Importanti sono le ricette delle caponate e caponatine, pasta alla Norma, parmigiane di melanzane e quelle create dai più rinomanti chef nazionali e internazionali.

Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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Castagneto da frutto ad elevato valore paesaggistico (foto Romagnoli)

SELVICOLTURA paolo ingleseE PRODUZIONE LEGNOSA Il destinoRomagnoli, Manuela in una promessa Luigi Portoghesi


Introduzione Il castagno ha da sempre svolto un ruolo dominante nei rapporti uomo/natura poiché strettamente collegato alla vita ed all’economia famigliare principalmente per i frutti eduli, per il legname da sempre utilizzato per attrezzi, infissi mobili, edilizia, palafitte, natanti. Notoriamente del castagno può essere utilizzato tutto: la corteccia, le foglie e persino il terriccio sopra il quale è cresciuta la pianta, il “busone”, che è ricercato dai vivaisti per la capacità che ha di fertilizzare il terreno. L’attuale diffusione geografica della specie è in parte dovuta agli antichi Romani che diedero un contributo decisivo anche con le coltivazioni, non solo in Italia, ma in tutta l’Europa centro-meridionale, impiantando veri e propri castagneti da frutto e bo-

schi cedui per paleria in Spagna, Portogallo, Francia, Svizzera, Germania. L’estensione dei boschi di castagno e di conseguenza le relative pratiche colturali e selvicolturali sono state fortemente influenzate anche dalla connotazione “agronomica” della specie testimoniata dalla frequente vicinanza del ceduo con il castagneto da frutto, che caratterizza il paesaggio dei Cimini e di altri contesti del territorio nazionale, rendendoli a buona ragione dei veri e propri “silvomusei”. Nel mosaico della distribuzione attuale del castagno, hanno svolto un ruolo fortemente condizionante le numerose avversità patogene (cancro del castagno, mal dell’inchiostro e per ultimo il cinipide) che hanno fortemente indebolito la specie con effetti talora catastrofici per l’economia delle famiglie rurali.

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Il ruolo che aveva il castagno per quest’ultimo aspetto nel passato anche abbastanza recente era decisamente rilevante. Infatti fino alla prima metà del secolo scorso il commercio interno ed estero dei frutti e del legname rappresentava mediamente il 18% circa della produzione forestale vendibile, mentre il legname costituiva circa il 20% della massa legnosa complessiva annualmente utilizzata nei boschi italiani. L’industria del tannino e quella molitoria, insieme all’esportazione ed al commercio interno, hanno costituito, relativamente ai luoghi di provenienza e di lavorazione, un indotto formidabile per l’economia montana del tempo. Durante gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, in Italia è iniziata una rilevante fase storica di ricostruzione postbellica, di forte indu-

strializzazione e di intenso movimento di genti, dal Sud al Nord e dalle zone montane alle grandi città. Una inversione di tendenza si è registrata negli anni ’80 con una rinnovata attenzione ai valori dell’ambiente ed una consapevolezza dell’importanza delle proprie radici ravvisabili nelle consuetudini e tradizioni rurali di montagna. Questo trend è tutt’ora evidente ed è ormai universalmente riconosciuto come la gestione selvicolturale dei castagneti deve rispondere pienamente al principio della multifunzionalità, in cui l’aspetto produttivo (fruttolegno) non può prescindere da quello paesaggistico, di conservazione del suolo, di difesa idrogeologica etc. soprattutto laddove la vocazione territoriale non consenta l’ottenimento di assortimenti di legno di qualità.

Taglio raso di un ceduo con rilascio matricina - Lazio (foto Romagnoli)

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Superficie e forme di governo Nel panorama nazionale, costituito da 10,5 milioni di ha di bosco, la frazione investita a castagno, pur essendo inferiore a quella di varie altre specie, assume un ruolo di tutto rilievo rappresentando nel complesso circa il 7,53% di quella forestale. Secondo i dati dell’Inventario Nazionale delle Foreste e del Carbonio (2005), in Italia i boschi di castagno si estendono su 788.408 ha (pari al 9,2% della superficie classificata come Bosco alto), a cui si aggiungono 3.378 ha classificati come altre terre boscate, cioè Boschi bassi, Boschi radi e Boscaglie. Le regioni più ricche di boschi di castagno sono, nell’ordine, il Piemonte (169.075 ha) la Toscana (156.869 ha), la Liguria (110.278 ha), la Lombardia (82.872 ha), la Calabria (69.370 ha) e la Campania (53.200 ha). Le Regioni come

Piemonte, la Toscana e la Liguria possiedono oltre il 50% del patrimonio nazionale. Le stazioni su cui insistono i castagneti sono classificabili di alta-collina e/o media montagna, ubicandosi nella zona media dei versanti. La specie vegeta in una fascia altitudinale compresa tra i 501 ed i 1.000 m s.l.m. (66,56% dei castagneti) e più frequentemente tra 601-900 m s.l.m. (43,43% dei castagneti), soprassuoli di castagno sono presenti in tutte le regioni, formando una matrice unica e quasi continua sugli Appennini ed una presenza più frammentata ma ugualmente consistente sulle Alpi e nelle zone montuose delle isole. Se si confrontano i dati inventariali del 2005 con le superfici riportate all’inizio del ’900, emerge l’enorme cambiamento inerente la forma di governo di gran parte dei sopras-

Ceduo con matricine - Piemonte (foto Zanuttini - Università di Torino)

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raggiungere i 20 ha. In linea di massima, gli effetti negativi sull’ambiente di una tagliata a raso dipendono anche dall’orientamento e dalla forma; quando è disposta con la dimensione maggiore lungo le curve di livello e ha contorni irregolari, l’erosione del suolo e l’impatto paesaggistico sono limitati. I regolamenti regionali normano anche il numero minimo di matricine per ettaro da rilasciare in occasione della ceduazione. Anche in questo caso, il limite cambia da regione a regione: 60 in Liguria, 50 in Lombardia, 30 nel Lazio. Nella pratica, non è però infrequente arrivare a rilasci molto superiori, come nel Lazio, nella zona dei Castelli Romani, dove si arriva a 100 matricine ad ha. Il rilascio delle matricine dovrebbe garantire: a. la sostituzione delle ceppaie attraverso la rinnovazione naturale da seme; b. la produzione di legname da lavoro; c. la produzione di frutto per il pascolo; d. una adeguata copertura del suolo. La matricine dovrebbero essere alberi nati da seme di età pari a un turno del ceduo che raramente si trovano per cui si ricorre al rilascio di polloni ben conformati e affrancati, fatto che è denunciato dalla notevole conformazione arcuata alla base delle piante. è argomento di discussione l’effettiva utilità di un rilascio di matricine in numero così esiguo nei boschi di castagno. Zanzi Sulli & Di Pasquale (1993), hanno evidenziato come fino alla fine del 1800 la funzione delle matricine era essenzialmente legata alla produzione di legname da opera e/o di frutto e frasca per la zootecnia. Solo nei primi anni del ’900 il ruolo delle matricine viene definito secondo l’accezione della selvicoltura moderna e le matricine sono considerate alberi destinati alla sostituzione delle ceppaie esaurite. Nel caso specifico del castagno l’elevata capacità pollonifera delle ceppaie, anche ad età molto avanzata, e la constatazione che le matricine raramente forniscono legname da opera in grado di essere spendibile sul mer-

suoli di castagno poiché si osserva il taglio o l’abbandono di moltissimi castagneti da frutto. Attualmente i castagneti coltivati consistono in 66.539 ha, poco più un decimo di quanto riportato come superficie produttiva all’inizio del ’900 (610.000 ha secondo Vigiani, 1908). Interessante è un dato emerso recentemente durante la presentazione presso l’Accademia Italiana di Scienze Forestali del “La rappresentazione cartografica delle foreste italiane. La Carta Forestale del Regno d’Italia: 80 anni di evoluzione delle foreste italiane”, il 4 febbraio 2016. In quella sede è stato comunicato come nel confronto tra la carta forestale del 1936 e i dati di Corine Land Cover del 2012, si evidenzi un nuovo aumento delle superfici destinate a bosco di castagno anche in alcune regioni come il Trentino Alto Adige, certamente tra le meno vocate per la crescita della specie. Il governo boschivo più diffuso è il ceduo e nella fattispecie il ceduo trattato a raso con rilascio di matricine (ceduo matricinato), con un turno che mediamente oscilla dai 14 ai 24 anni, anche se non è infrequente trovare cedui che raggiungono i 36 anni di età. I turni minimi dei cedui prescritti dai regolamenti forestali regionali variano da 8 anni in Toscana a 10 in Piemonte 12 in Liguria, 14 nel Lazio, 15 in Lombardia. è prevista in qualche caso la possibilità di eseguire la ceduazione a 5 anni di età per situazioni particolari come è il caso dei virgulti adoperati per la produzione di assortimenti per ceste. La lunghezza del turno e le stagioni di taglio sono riportate nei regolamenti forestali regionali: nel Lazio si definisce il ceduo invecchiato quando raggiunge i 35 anni di età, 40 in Calabria e fino a 50 in Toscana; il limite superiore comunque non viene sempre contemplato nei regolamenti forestali. L’estensione massima prevista delle tagliate consentita dai Regolamenti forestali è mediamente sui 10 ha, con valori inferiori in Piemonte mentre nel Lazio ed in Toscana questa può

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cato (per le problematiche legate alla cipollatura), sono argomenti non a favore della matricinatura. Recentemente, uno studio effettuato da Manetti e Amorini (2012) ha dimostrato come la presenza di matricine influisca negativamente, almeno nella fase giovanile, sullo sviluppo del soprassuolo ceduo, poiché incrementa la mortalità dei polloni, limitandone l’accrescimento diametrico, dequalificandoli socialmente e deprimendo la vigoria delle ceppaie. La protezione del suolo è assicurata da una maggiore densità di polloni e dalla loro capacità di accrescersi rapidamente, tanto che l'azione di protezione viene stimata sufficiente già a partire dai 6 anni di età delle piante. Un elemento di innovazione nella gestione selvicolturale deve essere inquadrato nella possibilità/opportunità di una matricinatura a gruppi. In questo caso le matricine non sono distribuite uniformemente nella tagliata ma riunite in insiemi di 7-10 individui contigui che occupano una superficie irregolarmente circolare. Le aree tra gruppo e gruppo sono prive di matricine. Questa tecnica è usata in alcune regioni nei cedui quercini e misti con positivi riscontri in termini di biodiversità, facilitazione dell’esbosco e rapidità di crescita dei nuovi polloni privi dell’ombreggiamento delle matricine. Per i cedui di castagno mancano evidenze sperimentali su questo tipo di matricinatura che andrebbe adattata alle esigenze di una coltivazione che non può prescindere dai tagli intercalari, ormai del tutto assenti in altri tipi di ceduo. I vantaggi sopra citati acquisterebbero ancora maggiore valore nel ceduo castanile. Nei cedui viene effettuato in genere almeno un diradamento a metà turno per ridurre l’effetto della competizione all’interno della ceppaia. La mancanza di diradamenti, soprattutto se unita a turni piuttosto lunghi, comporta una arcuatura alla base dei polloni ed una notevole competizione sulla cep-


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Taglio raso di ceduo, rilascio allievi di origine agamica - Lazio (foto Romagnoli)

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Ceduo durante la stagione vegetativa, zona Cimini - Lazio (foto Romagnoli)

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paia, fattori questi che incidono fortemente sul rischio della cipollatura. La possibilità di limitare la fessurazione della cipollatura nel legno, aumentandone così la qualità, è uno degli argomenti più dibattuti nell’ambito della gestione forestale. Gli studi condotti in questo ambito hanno evidenziato la necessità di diradamenti frequenti e ripetuti per consentire un accrescimento abbastanza uniforme dal momento che sono le brusche variazioni di crescita quelle che innescano inesorabilmente le fessurazioni anulari. Diverse ricerche hanno dimostrato che l’esecuzione dei diradamenti consente il mantenimento nel ceduo di un buon livello di diversità nella flora vascolare. In linea di massima su ogni ceppaia a 18 anni di età si arriva ad un numero massimo di polloni pari a 3-4; si tratta di un numero abbastanza orientativo perché è fortemente condizionato dalla densità delle ceppaie; quest’ultima mediamente oscilla nel Lazio da 1.000 a 2.000 per ettaro, ma in quest’ultima regione non sono infrequenti soprassuoli con ceppaie di notevoli dimensioni e con una densità che oscilla dalle 400 alle 600 sia nella zona dei Monti Cimini che nella zona dei Castelli Romani. Il diametro delle ceppaie è molto variabile, si passa da ceppaie di 40-50 fino a esemplari con diametro che arriva ad oltrepassare il metro. Un elemento di forte considerazione per un rilancio della gestione selvicolturale dei boschi di castagno è una particolare attenzione al taglio delle ceppaie che dovrebbe essere effettuato raso terra, eventualmente inclinato per consentire lo sgrondo delle acque. Purtroppo per motivazioni legate spesso alla storia dei singoli popolamenti forestali, e alla prevalenza di proprietà di tipo privato, non è infrequente imbattersi in ceppaie molto rialzate rispetto al piano del terreno. In questi casi, come nello sfollo della ceppaia “alla provenzale”, il taglio viene eseguito non raso terra per motivi legati ai

costi di esecuzione del lavoro, e la perdita di biomassa può arrivare anche del 15-18% in peso. La tramarratura consentirebbe un invigorimento delle ceppaie e soprattutto permetterebbe l’ottenimento di polloni con un portamento dritto e quindi meno soggetti a legno di reazione e a rischio di cipollatura; attualmente la pratica, anche per il notevole costo dell’operazione, non viene considerata come una possibile procedura di ripristino della struttura del ceduo. Esistono alcune varianti alla classica struttura del ceduo matricinato; si tratta del ceduo invecchiato (rispetto ai turni standard o definiti da prescrizioni), ed i già citati soprassuoli cedui originatisi dal taglio dei castagneti da frutto. Minori sono le giovani fustaie che si sono sviluppate in seguito alla colonizzazione di superfici in passato destinate a produzioni agricole. I castagneti da frutto convertiti per la produzione legnosa sono in genere caratterizzati dalla densità delle ceppaie minore ed in quei casi può essere conseguente una necessità/opportunità di prevedere dei rinfoltimenti. Esistono anche evidenze di cedui di castagno trattati a ceduo a sterzo nella zona del vicentino e sui colli Euganei. Il periodo di taglio viene regolamentato dalle leggi regionali; fa eccezione in qualche Regione il taglio dei polloni di castagno per la destinazione esclusiva a pali di sostegno della vite, nonché per recinzioni nello stesso ambito aziendale di aree destinate all’allevamento/pascolamento dei bestiame. Nei periodi diversi da quelli sopraindicati, il taglio dei cedui destinato all’industria dei cerchi e delle ceste, nonché agli interventi di ingegneria naturalistica limitatamente alle previsioni progettuali, deve essere comunicato all’Ente delegato, almeno trenta giorni prima di intraprendere il taglio medesimo. Infine meritano menzione per la funzione storica, paesaggistica e bioecologica, gli esempi di rinaturalizzazione della specie,

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nei così detti “barchi” ovvero i terreni campestri o boscosi aggregati al giardino soprattutto in corrispondenza di edifici storici di particolare rilevanza. Questo è il caso del “Barchitto” del Parco di Villa Farnese a Caprarola, dove nella forma di ceduo il castagneto occupa un lembo insieme all’ampio castagneto da frutto. Le due strutture pongono problemi specifici di gestione sia per garantire il mantenimento della efficienza funzionale nei confronti delle avversità patogene e di conseguenza garantirne la resi-

lienza a fronte delle innumerevoli avversità fisiche e biotiche. Sono proprio queste le situazioni in cui è possibile ripensare a nuove forme di valorizzazione come possono essere i silvo-musei. Le utilizzazioni forestali La scelta del metodo di utilizzazione forestale più idoneo nei soprassuoli di castagno dipende da molti fattori ed in particolare dalle caratteristiche stazionali e da quelle del soprassuolo. Forte incidenza hanno al-

Ceppaie alte in ceduo tagliato raso - zona Castelli Romani (foto Moroni)

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Fase di movimentazione nel concentramento con pinza idraulica (foto Mazzocchi)

cuni elementi del territorio come l’accidentalità (data dagli ostacoli che si incontrano nel terreno), l’accessibilità (popolamento che può essere raggiunto a piedi o con un mezzo meccanico con meno di 15 minuti) che è fortemente condizionata dalla densità viaria. L’accidentalità dei boschi di castagno è piuttosto favorevole, considerando che oltre 560.000 ha sono classificati come non accidentati e solamente 148.000 ha risultano come accidentati, mentre una superficie ancora minore è classificata come molto accidentata. Per quanto riguarda l’accessibilità 502.900 ha di boschi si trovano in una fascia compresa tra ±100 m rispetto al più vicino punto della viabilità ordinaria e/o forestale e 67.011 ha tra i ±100 m ed i ±400 m, molto ridotta è la superficie oltre i ±400 m, mentre non trascurabile è quella non classificata per il dislivello o inaccessibile.

Per quanto attiene invece al soprassuolo gli elementi che condizionano la scelta e la modalità del sistema di utilizzazione sono soprattutto la dimensione e la densità delle piante, così come la presenza di un denso sottobosco. I boschi di castagno in genere vengono venduti in piedi, il sistema di utilizzazione che frequentemente viene impiegato è quello del “legno corto”, per produzione di paleria o materiale da segheria di lunghezza ridotta, oppure il sistema di lavorazione a “ legno lungo” per produzione di materiale di lunghezza maggiore. Sia quando si decida di operare con il legno “corto” che con legno “lungo”, l’abbattimento è semimeccanico e direzionato e la sramatura delle piante viene effettuata sul letto di caduta. I tentativi di introduzione di una maggiore meccanizzazione a partire dalle fasi di abbattimento e sramatura,

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non hanno goduto di molto successo per la conformazione poco regolare delle piante di castagno. Anche l’esbosco è connotato da una meccanizzazione minimale. Molto spesso vengono impiegati animali (muli o cavalli), trattori obsoleti, talora muniti di gabbie, o verricelli artigianali, ma anche di normali rimorchi. Non è inusuale il ricorso a trattori cingolati che lavorando all’interno del bosco, a causa della insufficiente viabilità, rimescolano oltre limite gli orizzonti del terreno innescando possibili fenomeni di ruscellamento. Per i contesti in cui vengono operate le utilizzazioni, la manodopera è priva di adeguata formazione professionale e spesso non utilizza i DPI dedicati. La movimentazione degli assortimenti in qualche caso fa uso di pinze idrauliche per le fasi di concentramento del legname. Qualora le pendenze siano superiori al 40% è necessario prevedere una certa dotazione strumentale come le gru a cavo. Purtroppo l'impiego delle gru a cavo è un sistema di

utilizzazione ancora poco consolidato soprattutto nelle regioni del centro-sud. Molto dovrebbe essere fatto anche per migliorare le infrastrutture ed in particolare la densità delle piste di esbosco. In bibliografia vengono indicati come ottimali per una razionale utilizzazione forestale 80-100 m/ha di piste principali. Di fatto nei castagneti siamo frequentemente al di sotto persino dei 10-17 m/ha di piste indicati come valore medio in Italia. Pertanto sorge spesso l’esigenza di aprire nuove traiettorie in deroga alla maggioranza dei regolamenti forestali che raccomandano l’utilizzo di vie di esbosco già esistenti sul territorio. Ovviamente questo elemento condiziona fortemente la possibilità di sviluppo dei castagneti in ambito territoriale fosse anche per la sola produzione di biomassa per energia. Oltre il 75% del patrimonio castanicolo nazionale ha una organizzazione delle infrastrutture assolutamente non adeguata, fattore questo che appesantisce notevolmente

Fascine per forno - Castelli Romani (foto Romagnoli)

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Biomassa di castagno pronta per essere certificata (foto Romagnoli)

i bilanci delle utilizzazioni forestali riducendo e rendendo negativo il valore di macchiatico degli interventi selvicolturali, soprattutto nel caso dei diradamenti. Una particolare menzione merita la biomassa residua con diametro da 4-5 cm in giù; questa può raggiungere il 20% in peso della pianta; nella maggior parte dei casi viene lasciata in loco, talora viene bruciata con una perdita in termini energetico-ambientali. Esistono alcuni esempi interessanti di recupero della ramaglia che meritano essere citati. In particolare, nella zona dei Castelli Romani questa viene raccolta in fascine che sono vendute nei forni locali per produrre un pane dal sapore tipico. Questa pratica consente all’utilizzatore boschivo di avere alla fine dei lavori il suolo pulito dalle ramaglie e allo stesso tempo si genera una micro economia a vantaggio della popolazione locale che se ne occupa.

L’utilizzo della ramaglia per energia, ed in particolare come legna da ardere, non è molto diffuso; del resto la specie non ha doti particolarmente apprezzate come combustibile, soprattutto per l’elevata presenza di tannini; per questa ragione alcuni tentativi di aumentare il valore aggiunto del prodotto “legna da ardere” con operazioni di certificazione forestale hanno avuto un consenso locale ma non sono riuscite ad affermarsi a livello nazionale. Le criticità della filiera castagno sono quindi da ravvisarsi in buona parte al sistema delle utilizzazioni forestali con riguardo alle procedure di abbattimento ed allestimento sul letto di caduta, nel grado di meccanizzazione non particolarmente avanzato e una mancata sicurezza sui cantieri di lavoro. Lo sviluppo settore non può esimersi da una progettazione più oculata di queste fasi, incentivando anche utilizzazioni a “tronco in-

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tero” che consentono con il recupero della ramaglia di piccole dimensioni un ulteriore elemento di razionalizzazione.

la colloca immediatamente al di sotto degli alberi classificati come a rapidissimo accrescimento. La notevole ampiezza anulare non sempre rappresenta un termine positivo nell’ottenimento della qualità. Infatti, in rapporto anche alla provenienza geografica del legno ed alle caratteristiche del suolo, possono verificarsi effetti non positivi sui valori di massa volumica e sulle caratteristiche meccaniche. Certo è che il legno è da considerarsi pregevole anche per le doti estetiche trovando riscontro nei gusti del consumatore per il suo colore marrone chiaro e per la venatura evidente, anche se pure per questo aspetto esiste con una certa differenziazione delle provenienze geografiche. Buone sono le doti di durabilità naturale del legno e di conseguenza la sua capacità a resistere all’attacco di agenti patogeni soprattutto funghi anche se esistono pure in questo caso dei notevoli margini di variabilità.

La qualità del legno Gli elementi che concorrono a riconoscere il legno di castagno come uno dei prodotti legnosi migliori a livello nazionale sono molteplici. Il materiale è leggero (intorno ai 560 kg m-3 di massa volumica) ma al tempo stesso dotato di caratteristiche di resistenza meccanica decisamente ragguardevoli (52 MPa a compressione assiale, 110 MPa a flessione statica, 11600 MPa come modulo di elasticità). Certamente uno dei punti più critici è quello della notevole variabilità delle proprietà meccaniche, fisiche (tra le quali la massa volumica) e chimiche in rapporto alla provenienza geografica dei legni. Un ulteriore punto di forza della specie è la notevole velocità con cui si sviluppa che

Ceppaia cipollata - zona Cimini (foto Romagnoli)

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La duramificazione è precoce e questo fa sì che già nei giovani individui tale porzione di tessuto sia presente e molto estesa. Il difetto tecnologico del legno maggiormente conosciuto, ma anche il più studiato è la cipollatura ovvero il distacco lungo un percorso anulare degli anelli di accrescimento. La fessurazione della cipollatura condiziona la possibilità di trasformare il legno per ottenere prodotti a maggiore valore aggiunto (esempio travi di notevoli dimensioni da matricine), ma più frequentemente sono limitanti le forme non regolari dei fusti, e fessurazioni nel tronco originario, soprattutto l’arcuatura che costringe le aziende nei piazzali in segheria o nella fase di troncatura a non poter sfruttare quanto più possibile la lunghezza potenziale dei fusti originari dovendo frammentarli in numerosi toppi. Tutte le indagini condotte sulla qualità del legno di castagno concordano nel definire

che l’allungamento del turno e gli interventi colturali rappresentano uno dei sistemi per esaltare le specificità proprie dei soprassuoli della specie, apportando benefici sia da un punto di vista prettamente economico e produttivo sia da un punto di vista ecologico e ambientale. La chiave di volta è rappresentata dai diradamenti frequenti e precoci, meglio se effettuati a partire da una età inferiore ai 10 anni. In questo caso è possibile ottenere un legno di particolare qualità anche con piante di 50 anni di età e prive del difetto della cipollatura. I prodotti in legno Nel caso del castagno, con una prima trasformazione in segheria, il semilavorato ottenuto è già un prodotto finito destinato al consumo. L’impiego più frequente è per uso strutturale, dalla trave ai moraletti. La paleria ha anch’essa un notevole mercato, e ne-

Soprassuolo di castagno di origine cedua di 50 anni di età, derivato da diradamenti effettuati a 17, 35 e 43 anni, prima del taglio di utilizzazione finale (foto Manetti - CREA)

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Fase di troncatura dei tronchi (foto Mazzocchi)

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logia di produzione è fortemente condizionata dalle momentanee richieste di mercato oltre che dalla qualità del materiale originario disponibile. La produzione legnosa è legata soprattutto al comparto dell’edilizia, pertanto l’attuale congiuntura economica negativa sta fortemente penalizzando le aziende di prima trasformazione che sono spesso anche imprese forestali occupandosi direttamente del taglio dei boschi. L’impiego prevalente del castagno e sul quale è basata l’economia di interi comprensori geografici è quello di trave/travetto/morale etc. in legno massiccio per uso strutturale. Il rapido evolvere della normativa in campo strutturale (dalla Normativa Tecnica delle Costruzioni del 2008 in poi) che impone l’obbligo del rispetto di requisiti standard, ha richiesto un adeguamento delle procedure anche per il legno di castagno per uso strutturale. Di fatto, attualmente il legno di castagno è l’unico tra le specie che crescono sulle propaggini peninsulari del territorio nazionale, in grado di competere con le conifere a distribuzione centro-europea. Infatti, gli assortimenti di castagno per uso strutturale, sono inclusi nella normativa tecnica italiana ed europea (UNI 11035 del 2010, UNI EN 338 del 2009, UNI EN 1912 del 2012) e pertanto, sulla base delle caratteristiche e della difettosità del materiale, possono essere classificati a vista e certificati come idonei per uso strutturale, assicurando la resistenza a determinate sollecitazioni meccaniche nelle costruzioni con le procedure standardizzate. Le procedure di inserimento del legno strutturale di castagno nella panoramica delle normative europee hanno dovuto sostenere un riassestamento con l’avvento della marcatura CE nel gennaio del 2012. Attualmente la normativa tecnica permette solo al castagno di sezione rettangolare di poter essere marcato in base alla normativa EN 14081-1.

cessita solo di una scortecciatura, in qualche caso peraltro solo parziale; è ottimale per gli impieghi di ingegneria naturalistica oltre che per le recinzioni di durata nel tempo. Le tavole, più frequentemente sono di spessore inferiore ai 4 cm per la difficoltà di ritrovare alberi con adeguate dimensioni e trovano utilizzo nei soffitti, nelle perlinature, nei mobili. Hanno anche un certo mercato i pavimenti rustici, sebbene il tannino costituisca un problema per la comparsa di macchie indesiderate. La maggior parte del consumo è locale, ma alcune aziende inviano parte del loro prodotto ad altri poli fuori regione (Toscana, Veneto, Friuli) per operare una seconda trasformazione che può essere quella dei tranciati per nobilitazioni di pregio. Il grado di tecnologia delle aziende di prima trasformazione varia molto. In genere le segherie a più elevato contenuto di tecnologia possiedono impianti meccanizzati soprattutto per la fase di segagione di testa ed avanzamento automatizzato in grado di ottenere velocemente toppi di lunghezza ridotta (anche fino ad 1 m). Oltre all’arcuatura dei fusti, alcuni difetti come la nodosità e l’estensione in lunghezza del difetto della cipollatura sono elementi pregiudiziali per la scelta del tipo di assortimento finale. In base ai difetti e alla lunghezza del tronco, in parte anche al diametro, si decide la destinazione d’uso che può essere paleria, travame di diversa dimensione oppure tavolame. In Basilicata ad esempio si ottengono tronchi e tronchetti per imballaggio caratterizzati da una lunghezza di 2,5 m, i pali telegrafici sono della lunghezza di 8-12 m con un diametro minimo in punta di 10 cm, la paleria agricola è di diverse dimensioni per diametri e lunghezze inferiori. La dimensione e il nome degli assortimenti finali varia molto a seconda della regione geografica e delle consuetudini locali, così come la tipo-

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Recentemente, un progetto portato avanti da Federlegno ha consentito di estendere la possibilità di certificare CE agli assortimenti uso Fiume (ovvero con smusso superiore a 1/3 della sezione), riuscendo ad ottenere per le aziende di prima trasformazione unitesi in un consorzio, il rilascio di un benestare tecnico europeo. La classificazione a vista, che associa l’identificazione dei difetti del legno ad un profilo di resistenza meccanica, ha delle profonde limitazioni poiché permette di attribuire al legno una classe D24 (ovvero una resistenza caratteristica a flessione di 24 MPa), mentre la possibilità di ottenere dei profili di resistenza superiori renderebbe il prodotto strutturale in castagno di gran lunga preferito dai progettisti. La classificazione a macchina delle travi/ tavole a spigolo vivo con UNI EN 14081-2 ha aperto ulteriori prospettive nel settore della classificazione. Le apparecchiature sulla base della restituzione del segnale vi-

brazionale ottenuto con la percussione della tavola, calcola un valore di modulo di elasticità e di conseguenza si ricava un profilo meccanico. La classificazione a macchina ha permesso di raggiungere migliori rese di classificazione (meno scarti), ma soprattutto la collocazione degli assortimenti in classi di resistenza più elevate rispetto a quanto possibile con la classificazione a vista rendendo la trave di castagno competitiva con lamellari di abete o travature di conifera che possono essere certificati con resistenza superiore (per bibliografia sull'argomento si consultino gli articoli di Michele Brunetti e Michela Nocetti). Per quanto riguarda il legno massiccio per uso strutturale, la ricerca ha compiuto notevoli passi avanti e sebbene ancora molto debba essere effettuato, siamo già nella fase di trasferimento del know-how. In questo contesto si inserisce la possibilità di iniziare un ragionamento su prodotti incollati ed in particolare sul lamellare per

Toppi destinati a paleria (foto Silvestri)

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uso strutturale, che sul piano tecnologico è una possibilità concreta alla luce dei nuovi adesivi presenti sul mercato di tipo poliuretanico. Si tratta di un percorso che ha già prodotto risultati tangibili in grado di portare nuovo impulso al mercato di castagno per uso strutturale, ma per un inserimento in ambito europeo devono essere messi a punto alcune fasi soprattutto quelle che prevedono un impiego all’esterno. è necessario poi promuovere investimenti aziendali poiché molte imprese hanno infrastrutture poco adeguate, obsolete o comunque non in grado di ottenere un prodotto con il grado di finitura richiesto. I prodotti di castagno sono molteplici, un tentativo di raggruppamento potrebbe essere il seguente:

i pali forniscono materiale di buona durabilità ed anche l’eventuale presenza di cipollatura non risulta un elemento pregiudiziale. La paleria è assolutamente da raccomandare, poiché rappresenta una produzione di elevata sostenibilità ambientale e costituisce una valida alternativa all’utilizzo di pali di conifera trattati chimicamente con preservanti. Critico è invece l’impiego di assortimenti per pali telegrafici che richiedono caratteristiche dimensionali e di regolarità del fusto non facilmente ottenibili dai nostri soprassuoli. b. Pannelli di fibre, tipo MDF e HDF I punti di forza più rilevanti per tale tipologia di produzione sono la possibilità di utilizzare residui di lavorazione e l’opportunità di avere un processo di produzione integrato che comprenda anche l’estrazione dei tannini. Purtroppo allo stato attuale, questa integrazione delle due produzioni per la crisi nel pannello MDF non trova più

a. Legno tondo: ingegneria naturalistica, grande e piccola paleria è possibile utilizzare fusti con diametro variabile. Grazie alla precoce duramificazione

Strumento per la classificazione a macchina per uso strutturale (foto Brunetti - CNR Ivalsa)

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Una possibilità da considerare: il collaudo e la classificazione del tondo Il rilancio globale della filiera del castagno potrebbe trovare un supporto nella qualificazione iniziale del tondo che permette di ottenere un prodotto finale a maggiore valore aggiunto. Si tratta di un processo di collaudo che potrebbe essere elaborato seguendo l’esempio di altre specie considerate di elevato pregio come le querce e il faggio (UNI EN 1316 del 2010). L’attribuzione dei toppi a classi di qualità è basata su una serie di difetti che possono pregiudicare o quantomeno limitare alcune destinazioni d’uso, in ogni caso è il difetto peggiore quello dirimente che inserisce l’elemento in legno nella classe peggiore. La classificazione del tondo dovrebbe avvenire all’imposto ed è piuttosto sviluppata nei paesi centro-europei, trovando riscontro in organizzazioni di mercato in

un rilevante riscontro in Italia; continua invece in due impianti di considerevole dimensione (Lazio e Piemonte) l’estrazione del tannino. Sotto il profilo silvochimico, particolare considerazione rivestono i tannini che possono essere destinati alla concia del pellame pesante, per migliorare la stabilità dei vini ed in cosmetica. I residui della lavorazione del castagno hanno trovato un sempre più frequente impiego per fini energetici, non solo in termini di biomassa (cippato) ma più recentemente anche per la produzione di pellets, che anche se opportunamente detannizzato possiede buone caratteristiche come combustibile. I tannini del castagno potrebbero svolgere anche un’azione di incollaggio naturale per la realizzazione di pannelli in legno, coadiuvando l’azione dei più tossici collanti sintetici.

Capriata in legno di castagno con travi uso fiume (foto Romagnoli)

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alcune regioni come il Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia, dove sono organizzate vendite all’imposto basate sulla qualità del lotto di tronchi. Alcuni progetti hanno avviato procedimenti per la classificazione su tondo di castagno, tra questi si citano Valecas (nel Canton Ticino), Interbois (Interreg della Regione Piemonte), alcuni sistemi di classificazione su paleria messi a punto dall’Università di Firenze e dalla Compagnia delle Foreste di Arezzo e più recentemente nell’ambito di una misura 124 PSR della Regione Lazio. Anche le Regioni Toscana e Liguaria hanno lavorato con diversi progetti su questo ed altri argomenti correlati. La strutturazione di queste informazioni può determinare nell’organizzazione del mercato del legno di castagno un punto di volta rispetto ad antichi usi e consuetudini, rilanciando anche l’economia del settore. Analogamente potrebbe avere un qualche successo l’introduzione di un sistema di collaudo e classificazione delle tavole.

Il rilancio della selvicoltura e della qualità del materiale ritraibile dalle utilizzazioni non può prescindere dal censimento/localizzazione delle risorse forestali non solo in termini di quantità di biomassa ritraibile ma soprattutto di qualità e ancor più di effettiva vocazione del territorio. Forte incidenza hanno le infrastrutture e le effettive potenzialità/necessità socio-economiche legate anche al know-how territoriale. Certo è che bisogna far presto considerando che la recente crisi ha indotto alla chiusura molte aziende con una perdita non solo economica ma anche culturale cioè di conoscenza dei mestieri. Alcune delle azioni proposte possono contribuire ad un rilancio del settore sia verso l’innovazione ma anche come forme di organizzazione aziendale e articolazione delle filiere. Qualunque progresso in questo settore potrà essere ottenuto solo quando l’opinione pubblica assumerà la consapevolezza dei vantaggi di carattere ambientale e sociale connessi all’uso di legname locale nell’ambito di una strutturazione ed organizzazione quanto più efficiente possibile di filiera corta.

Conclusioni Certamente l’innovazione che è stata ottenuta nella selvicoltura, nella tecnologia e nelle procedure di trasformazione del materiale legno, consente di ben sperare nel rilancio del settore purchè si ragioni in un’ottica allargata di multifunzionalità. La situazione non è semplice perché molte aziende forestali si trovano nella condizione di non poter tagliare interi lotti boschivi per una non adeguata remunerazione da parte del mercato del prodotto legno.

Manuela Romagnoli Professore associato di Scienza e Tecnologia del Legno DIBAF - Università degli studi della Tuscia Viterbo

Luigi Portoghesi Professore associato di pianficazione forestale DIBAF - Università degli Studi della Tuscia

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La lotta al cinipide del castagno

Chiara Ferracini, Alberto Alma

La lotta paolo inglese al cinipide del castagno Il destino Chiara Ferracini, in una promessa Alberto Alma


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Castagni a frutto

La lotta paolo inglese al cinipide del castagno Il destino Chiara Ferracini, in una promessa Alberto Alma


La lotta al cinipide del castagno Chiara Ferracini, Alberto Alma

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Dryocosmus kuriphilus è considerato uno degli insetti più dannosi per la castanicoltura nel mondo. Questo imenottero cinipide nel suo Paese di origine, la Cina, non ha manifestato eccessiva dannosità, probabilmente a causa della presenza di limitatori naturali autoctoni in grado di contenerne le popolazioni. Nel momento in cui è stato invece accidentalmente introdotto in altri Stati senza i suoi limitatori naturali, si è diffuso rapidamente provocando ingenti danni. D. kuriphilus è un insetto legato alle diverse specie del genere Castanea, quindi sia al castagno europeo (C. sativa) sia a quelli esotici (C. mollissima, C. crenata, C. dentata) e relativi ibridi. A partire dagli anni ’40 del secolo scorso è stato introdotto prima in Giappone, e successivamente in Corea, Stati Uniti, Nepal e Canada. In Europa è stato introdotto accidentalmente nel 2002 (in Piemonte, provincia di Cuneo) in seguito al commercio di materiale di propagazione infestato ed è stato inserito nella Lista A2 della European Plant Protection Organization (EPPO). Al momento risulta ampiamente diffuso in tutte le regioni castanicole italiane ed è stato segnalato in 13 altri Paesi europei. D. kuriphilus depone le uova durante l’estate nelle gemme del castagno che rimangono asintomatiche per tutto l’inverno e solo nella primavera successiva si evolvono in galle, a causa della presenza delle larve nei tessuti meristematici. La presenza delle galle comporta evidenti riduzioni sia nella crescita sia nella fruttificazione delle piante colpite. Non sono stati registrati casi di morte della pianta in conseguenza dell’attacco del cinipide, ma il forte peggioramento dello stato vegetativo delle piante, a seguito di attacchi ripetuti, ha reso i castagni più sensibili alle patologie fungine, evidenziando in particolar modo una forte recrudescenza del cancro corticale. Le


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Galla sulla nervatura

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perdite produttive che si registrano a fronte di gravi attacchi possono essere elevate, arrivando anche a raggiungere valori di 80-85%. In letteratura emerge come diverse strategie di contenimento siano state sperimentate nel corso degli anni (lotta chimica, impiego di varietà resistenti), ma l’unico mezzo di lotta efficace e duraturo nel tempo è stato ottenuto ricorrendo alla lotta biologica classica. Nella difesa fitosanitaria si definisce lotta biologica o controllo biologico l’uso di agenti biotici per contenere le popolazioni di organismi potenzialmente dannosi al di sotto della soglia di dannosità economica. Tale metodologia di lotta è stata perseguita con successo per contenere le infestazioni del cinipide galligeno del castagno sia in Giappone sia negli Stati Uniti con l’impiego del parassitoide Torymus sinensis, ed intrapresa per la prima volta in Europa in Piemonte a partire dal 2005. T. sinensis viene descritto in letteratura come una specie caratterizzata da un ciclo biologico perfettamente sincronizzato con quello del suo ospite, il cinipide galligeno. Nei mesi di aprile-maggio le femmine depongono le uova nelle galle fresche direttamente all’interno della cella larvale, successivamente le larve ectoparassite si nutrono delle larve del cinipide e si impupano durante l’inverno. Gli adulti sfarfallano in primavera dalle galle secche dell’anno precedente, si nutrono di sostanze zuccherine, si accoppiano e le femmine ricercano nuove galle fresche per l’ovideposizione. In Piemonte i rilasci sono stati effettuati a partire dal 2005 nelle aree castanicole infestate cuneesi grazie ad un progetto di lotta biologica propagativa finanziato dalla Regione Piemonte e svolto dal DISAFA dell’Università degli Studi di Torino.

102 01 La lotta al paolo cinipide inglese del castagno Chiara Il destino Ferracini, in unaAlberto promessa Alma


Data la necessità di intervenire tempestivamente, il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (MiPAAF) con decreto del 23 febbraio 2006 ha stabilito le “Misure per la lotta obbligatoria contro il cinipide del castagno Dryocosmus kuriphilus Yasumatsu”. Oltre alle azioni atte a limitare la diffusione del cinipide si tracciavano le misure di contenimento, preferendo la lotta biologica classica mediante l’impiego del parassitoide Torymus sinensis Kamjio. Il successivo decreto del 30 ottobre 2007 “Misure d’emergenza provvisorie per impedire la diffusione del cinipide del castagno, Dryocosmus kuriphilus Yasumatsu, nel territorio della Repubblica italiana”, in recepimento della decisione della Commissione europea 2006/464/CE abroga il precedente decreto. Successivamente alla provincia di Cuneo, i rilasci hanno riguardato tutto il territorio piemontese e diverse altre Regioni in cui il cinipide era stato segnalato. A partire dal 2012 sono state tangibili le attività di supporto al settore castanicolo da parte del MiPAAF, che si sono concretizzate in misure di finanziamento per l’allevamento e la distribuzione dell’antagonista secondo il metodo propagativo su scala nazionale. Nel triennio 2012-2014 sono stati infatti finanziati i progetti nazionali Lobiocin e Bioinfocast per realizzare presso i laboratori del DISAFA gli allevamenti necessari per produrre adulti di T. sinensis da distribuire sul territorio secondo modalità stabilite nell’ambito del Piano di Settore Castanicolo 2010-2013. L’attività di rilascio del parassitoide ha raggiunto nel complesso 1.669 siti di lancio su scala nazionale, per un totale di 295.220 esemplari, distribuiti nelle 17 regioni italiane interessate dal comparto castanicolo. A partire dal 2013 sono stati condotti diver-

Galla

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Rilasci di Torymus sinensis

104 SELVICOLTURA La lotta al cinipide E PRODUZIONE del castagno LEGNOSA Manuela Chiara Romagnoli, Ferracini, Luigi Alberto Portoghesi Alma


Castagni in fioritura

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Vari stadi Torymus sinensis

si sopralluoghi in Piemonte in aree castanicole oggetto di rilascio del parassitoide negli anni passati. In particolar modo sono stati effettuati rilievi al fine di indagare la percentuale di infestazione del cinipide, che è risultata essere in tutti i casi estremamente bassa evidenziando la presenza di un ridotto numero di galle e di un buono stato vegetativo dei castagni. Oggi, a distanza di dieci anni, sono quindi ben visibili i risultati dei programmi di lotta

biologica intrapresi in termini di riduzione dell’infestazione. Tale situazione di controllo risulta evidente non soltanto in Piemonte, prima regione interessata dai lanci, ma anche in molte altri regioni (Liguria, Lombardia, Trentino Alto Adige, Toscana) e, sulla base delle ricerche condotte, è auspicabile possa essere raggiunta anche nelle aree castanicole in cui il cinipide galligeno è stato segnalato più recentemente.

Chiara Ferracini DISAFA, Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari, Università degli Studi di Torino Grugliasco - Torino

Alberto Alma DISAFA, Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari, Università degli Studi di Torino Grugliasco - Torino

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Karpos

Karpòs alimentazione e stili di vita w w w. k a r p o s m a g a z i n e . n e t


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