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EDITORIALE

MEDICI GARANTI DEI DIRITTI

di Filippo Anelli, Presidente dell’OMCeO della Provincia di Bari

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Le criticità che ogni giorno affrontiamo nel nostro lavoro di medici non sono semplicemente le conseguenze di cieche scelte unilaterali o la manifestazione di una pessima gestione. Sono invece l’espressione di un consapevole approccio ideologico teso a smantellare il ruolo sociale delle professioni intellettuali, così come concepite nel secolo scorso, per ricondurle nell’alveo delle prestazioni tecniche. L’obiettivo è eliminare quelle prerogative che da sempre caratterizzano il nostro essere medici, ossia la libertà e l’autonomia professionale che configurano la professione medica come garante di diritti costituzionali dei cittadini quali salute, uguaglianza, equità e autodeterminazione. Questo vero e proprio esproprio di diritti si attua imbrigliando il medico in una serie di regole e di limitazioni che agiscono su più livelli, per esempio con atti amministrati vi che lo costringono a subire vincoli pesantissimi all’esercizio professionale, con proposte di legge che esplicitamente cancellano la parola libertà dall’esercizio professionale oppure gli impongono scelte diagnostiche o terapeutiche in nome della scienza e dell’appropriatezza. Questo insieme di provvedimenti sembra dimenticare che, come recita l’articolo 33 della Costituzione, la scienza è libera ed al medico non possono essere imposti comportamenti o scelte professionali, né per legge né per esigenze di bilancio, che riducano la sua autonomia nel rapporto di cura con il cittadino.

La cronica carenza di risorse economiche, causata da una ripartizione iniqua del fondo sanitario nazionale che penalizza le regioni del Sud, ha spinto ad adottare provvedimenti di contenimento della spesa, che hanno aggravato gli squilibri di accesso al diritto alla salute tra diverse aree del Paese. Uno squilibrio che, come documenta l’Atlante italiano delle disguaglianze di mortalità per livello di istruzione, pubblicato in collaborazione con Istat dall’Osservatorio epidemiologico nazionale dell’INMP, si nota sia tra i vari paesi europei, che all’interno di uno stesso paese, per esempio tra aree centrali e periferiche. Mediamente, l’aspettativa di vita di una persona con basso livello di istruzione rispetto ad una più istruita in Italia è di quasi tre anni in meno per gli uomini e di 4,5 anni in meno per le donne. I dati dell’INMP hanno confermato livelli di mortalità più elevati al sud: indipendentemente dal titolo di studio, nel Meridione si vive mediamente due anni in meno che al nord. Questa situazione rischierebbe di aggravarsi qualora venissero accolte le richieste di autonomia differenziata avanzata da alcune regioni come Veneto, Lombardia ed Emi lia Romagna. Su questo Fnomceo ha chiesto al Ministro Boccia un tavolo di confronto, con l’obiettivo di non lasciare indietro nessuno. La principale preoccupazione è che si possano concretizzare difformità riguardo all’esercizio professionale a livello nazionale, a seguito di contrattualizzazione regionale dei nostri professionisti sanitari, così come pure disomogeneità a livello di formazione, sia in termini contenutistici che di durata dei percorsi formativi. È necessario un “Patto di solidarietà” tra Regioni secondo il quale quelle in condizioni migliori contribuiscano a tamponare le emergenze di quelle che restano indietro, fornendo professionisti, dirigenti, risorse economiche e facendo sì che le conseguenze non ricadano sui cittadini.

IL PANORAMA NON È AFFATTO RASSICURANTE, ANCHE PERCHÉ NON VI È ALCUNA PROGRAMMAZIONE SIA IN AMBITO GENERALE CHE IN AMBITO SANITARIO. SI NAVIGA A VISTA. I CONCORSI, DOVE SONO STATI BANDITI, PREVEDONO PARTECIPANTI SEMPRE PIÙ DEMOTIVATI DALL’INCERTEZZA DEL FUTURO.

Sarebbe una concreta applicazione dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale previsti dall’Articolo 2 della nostra Costituzione. Su questo tema, il Ministro della Salute Speranza è convenuto finalmente sull’idea che l’attuale meccanismo di ripartizione delle risorse del Fondo sanitario nazionale non sia equo, ipotizzando una revisione fondata su indicatori che colleghino i criteri di ripartizione ai reali bisogni di salute delle popolazioni, per rimuovere quello che è forse oggi il principale generatore di disuguaglianze. Condivido pienamente anche il progetto di rivedere il meccanismo della mobilità sanitaria, che, in assenza di un’omogenea offerta di prestazioni, rappresenta il secondo fattore che produce disuguaglianze. Opportuna mi sembra anche l’ipotesi di rivisitare l’attuale sistema dei piani di rientro, superando la logica di un recupero meramente economico della spesa e puntando invece ad assicurare, attraverso meccanismi di solidarietà tra le Regioni, un livello assistenziale adeguato ed omogeneo. Questi provvedimenti sono coerenti con i principi della legge 833 istitutiva del servizio sanitario nazionale che nel 1978 ha riconosciuto finalmente l’uguaglianza dei cittadini nella tutela del diritto alla salute. Benché in affanno e bisognoso di correttivi, a 40 anni di distanza il nostro SSN continua a rappresentare una grande conquista di civiltà del nostro Paese, di cui i medici rappresentano i tutori e garanti. Nel ripensarlo, attraverso l’adozione di principi che ne consentano la sostenibilità, occorre quindi mantenere il carattere universale, equo e solidale delle sue fondamenta. Allo stesso modo, nell’immaginare il ruolo e la futura collocazione della professione medica all’interno di quel sistema e della società più in generale, dobbiamo cessare di sentirci medici dello stato, che obbediscono a regole e prescrizioni anche quando sono in contrasto con il codice deontologico. Dobbiamo piuttosto riaffermare il nostro ruolo di medici dei cittadini. In una democrazia moderna, in cui la salute non è un dovere sociale, né una concessione dello Stato, ma un diritto inviolabile del cittadino, i medici devono essere liberi professionisti, che si fanno garanti di questo diritto irrinunciabile dell’individuo, senza distinzione di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Alla libertà del medico deve corrispondere la libertà del paziente di accettare o rifiutare, in tutto o in parte, le proposte avanzate dal professionsita, di meritare rispetto per le scelte effettuate e nello stesso tempo garantire il rispetto dell’autonomia professionale del medico e delle sue convinzioni etiche, che ispirano le sue scelte, nell’interesse del paziente. Questo rapporto così peculiare si fonda proprio sulla salvaguardia da parte del medico della dignità della persona umana che a lui si affida. Il principio del diritto all’autodeterminazione del paziente, espresso dalle DAT, era già presente nel codice deontologico del Le professioni sono i corpi intermedi che possono rendere attuabile il dettato costituzionale e garantire la nostra democrazia.

RISPETTO AL FEDERALISMO DIFFERENZIATO, LA PRINCIPALE PREOCCUPAZIONE È CHE SI POSSANO CONCRETIZZARE DIFFORMITÀ RIGUARDO ALL’ESERCIZIO PROFESSIONALE A LIVELLO NAZIONALE, A SEGUITO DI CONTRATTUALIZZAZIONE REGIONALE DEI NOSTRI PROFESSIONISTI SANITARI, COSÌ COME PURE DISOMOGENEITÀ A LIVELLO DI FORMAZIONE, SIA IN TERMINI CONTENUTISTICI CHE DI DURATA DEI PERCORSI FORMATIVI.

2014 - in cui il medico deve tener presente la volontà del paziente. Il passaggio da un diritto mite come quello deontologico ad un diritto positivo dà maggiore forza al diritto del cittadino, ma pone dei problemi a livello applicativo, per esempio rispetto al consenso, che diventa un atto sempre più burocratizzato e sempre più esposto a contenziosi legali. Lo spirito della legge rinvia il momento della dichiarazione ad un colloquio con il medico, ad un tempo di dialogo ed ascolto. Proprio quel tempo di cura che al momento non è assicurato ai medici, per il numero ridotto degli operatori sanitari e per la mole di lavoro conseguente. Tutto questo si traduce nella impossibilità di assicurare ai cittadini quelle informazioni necessarie a fondamento di un rapporto di qualità tra medico e cittadino. Il medico, come garante dei diritti dei cittadini e intermediario tra cittadino e stato deve es sere messo nelle condizioni di svolgere quel ruolo centrale in questo processo che la legge gli conferisce. A questo tema si allaccia la recente sentenza della Corte Costituzionale 242/2019 relativa al caso di Dj Fabo, in tema di punibilità del suicidio assistito. Una sentenza equilibrata, che tutela gli assistiti definendo confini netti, prevedendo la non punibilità per l’aiuto al suicidio assistito solo in casi particolari: per i soggetti affetti da patologie irreversibili, con sofferenze intollerabili, dipendenti per le funzioni vitali da apparecchiature e nelle condizioni di chiedere coscientemente questa opzione.

DOBBIAMO CESSARE DI SENTIRCI MEDICI DELLO STATO, CHE OBBEDISCONO A REGOLE E PRESCRIZIONI ANCHE QUANDO SONO IN CONTRASTO CON IL CODICE DEONTOLOGICO. DOBBIAMO PIUTTOSTO RIAFFERMARE IL NOSTRO RUOLO DI MEDICI DEI CITTADINI.

Una sentenza che, nel contempo, rispetta il ruolo del medico, non obbligandolo a porre in atto l’aiuto al suicidio e affidando alla coscienza del singolo medico la scelta se prestarsi o meno ad esaudire la richiesta

del malato. Una sentenza, infine, che valorizza la relazione di cura, affidando al medico la comunicazione sulle diverse opzioni, evitando così possibili speculazioni sulla vulnerabilità dei soggetti coinvolti e definisce come essenziali le cure palliative. Al medico è chiesto di attivare l’assistenza con cure palliative al fine di mantenere sotto controllo il dolore e di spiegare al paziente le scelte possibili: la sedazione profonda e le cure palliative o, in alternativa, le modalità con le quali si potrà eseguire il suicidio assistito, secondo quanto previsto dalla legge 219 del 2017. Sarà poi il paziente a decidere e tale volontà, sottoposta alle valutazioni del Comitato etico, sarà recepita con le modalità organizzati ve in capo alla struttura sanitaria. I medici coinvolti nel processo dalla struttura sanitaria potranno esercitare obiezione di coscienza. In questo scenario di grandi trasformazioni i medici non vogliono essere passivi e subire il cambiamento. L’ambizione è di essere protagonisti del cambiamento, provando a ridefinire il nostro ruolo oggi, a partire da quello fondamentale di tutelare i diritti riconosciuti dalla Costituzione. Le professioni sono infatti i corpi intermedi che possono rendere attuabile il dettato costituzionale e garantire la nostra democrazia.

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