Ford Ravenstock, specialista in suicidi

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testi Susanna Raule

colori Armando Rossi e Giovanna Niro


disegni armando rossi

lettering e design

Antonio Esposito supervisione

Lorenzo Corti


FORD RAVENSTOCK vol. 1 storia di Susanna Raule disegni di Armando Rossi colori di Armando Rossi (prima storia), Giovanna Niro (seconda storia) lettering e design di Antonio Esposito supervisione di Lorenzo Corti e Dan Cutali FORD RAVENSTOCK © 2005, 2008, 2020 Susanna Raule e Armando Rossi. All Rights Reserved. Per l’edizione italiana © 2020 Associazione Culturale DOUbLe SHOt. All Rights Reserved. FORD RAVENSTOCK è un’opera di fantasia. Storie, personaggi e avvenimenti sono frutto di fantasia e non hanno nessun riferimento reale. Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta o trasmessa con qualsiasi mezzo, elettronico oppure meccanico, compresi cinema, radio, televisione e fotografia, senza il consenso esplicito di Associazione Culturale DOUbLe SHOt.

Associazione Culturale DOUbLe SHOt presidente: Alessio D’Uva redazione e direzione: via Marcoiano 3, 50038 Barberino di Mugello (FI). Il logo DOUbLe SHOt è stato creato da Davide Susini e Alessio D’Uva. info@doubleshot.it www.doubleshot.it ISBN 978-88-96064-57-3 prima edizione: novembre 2020 Stampato presso Officine Grafiche Francesco Giannini & Figli S.p.A via Cisterna dell’Olio 6/B - 80134 Napoli.


NEL LABIRINTO NOIR DI FORD RAVENSTOCK Approcci la prima tavola e pensi di esserti immerso in una storia interpretata dall’ennesimo epigono dell’Auguste Dupin di Edgar Allan Poe o dello Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle, ma già a fondo pagina ti assale il sospetto che forse si tratta di una libera interpretazione de Il Club dei Suicidi di Robert Luis Stevenson, se non fosse che nella sequenza successiva, ambientata in un moderno studio medico, ecco arrivare uno scambio di battute dottore-paziente che pare mutuato da un cartoon di Seth MacFarlane. Il successivo cambio di scena ci ritrasporta, però, in un’atmosfera che, a guardare la prima vignetta, immagini essere a metà strada tra Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde e le opere maledette della Scapigliatura milanese. Solamente che è entrata in campo una dark lady, modello Veronica Lake ne La Dalia Azzurra, che se ne va a esporre i suoi ambigui problemi personali a colui che ormai conosciamo come Ford Ravenstock. E così ti ritrovi dalle parti de Il Falco Maltese di Dashiell Hammett o di Finestra sul Vuoto di Raymond Chandler. Okay, ti illudi di aver finalmente capito dove si vuole andare a parare, se non fosse che all’ennesimo cambio di pagina – il sesto, mica il centesimo – finisci catapultato ne Il Padrino di Francis Ford Coppola, anche se revisionato in fase di sceneggiatura dai David e Leslie Newman di Superman III. E il tutto mentre nello studio di Ravenstock ci si è addentrati, con verve alla Jerome K. Jerome, in considerazioni degne di Arsenico e Vecchi Merletti di Frank Capra condite di esistenzialismo filosofico sartriano. A questo punto hai perso ogni coordinata narrativa e di genere. Il bizzarro protagonista e la sua cliente assistono a un suicidio così come se si fossero recati ad ascoltare Domenico Modugno mentre canta Vecchio Frack. E siccome ti sei ormai scordato, vista la quantità di suggestioni che ti ha assalito, che la storia si svolge nel 2005, arriva pure il turno di due detective della polizia che paiono sbucati da NYPD Blue, sottolineandoti che dopo fumetti, letteratura e cinema, non poteva mancare la serialità televisiva. Prosegui, tra lo stordito e il mesmerizzato: la vicenda prende una piega che oggi farebbe piangere al detenuto Harvey Weinstein lacrime grandi come pere spadone. Ti chiedi, quando leggi il titolo della seconda parte, rubato


a Giuseppe Ungaretti, se gli autori non vogliano puntare a una dimensione più intimistica e psicologica. Macché: partono a ripetizione personaggi e trovate che Garth Ennis, Frank Miller e Quentin Tarantino accoglierebbero con entusiasmo. Diventa chiaro che Ford Ravenstock riscuoterebbe gli elogi sperticati di Hannibal Lecter, ma più che Thomas Harris, a dominare sono la Sofia Coppola de Il Giardino delle Vergini Suicide che duetta con l’Emiliano Pagani e il Daniele Caluri di Don Zauker. E infine, quando ti pare che la corda narrativa non possa essere tirata oltre, eccoti servito Ursula, la Strega del Mare de La Sirenetta targata Disney, dinanzi alla quale il protagonista assume il ruolo del novello Dexter Morgan. E un epilogo che miscela Tim Burton col weird della serie animata Gravity Falls di Alex Hirsch. Una volta chiuso il libro, ti rendi però conto che Ford Ravenstock ha vissuto il suo fallimento più grande. Perché piuttosto che spingerti a toglierti la vita, ti ha solo invitato a sperare di campare più a lungo, nell’attesa di poter leggere una nuova stagione delle sue ferali macchinazioni. Alessandro Di Nocera


INTRODUZIONE DI SUSANNA RAULE Quando ho scritto Ford Ravenstock di fumetto non sapevo niente. No, non è giusto. Avevo letto un milione di fumetti, vecchi e nuovi, ne avevo pure scritto qualcuno, ma di fumetto non capivo niente. L’ho scritto animata da un’incoscienza involontaria, immergendomi in modo avventato in temi come la vita, la morte e il dolore dell’esistenza. Detto così sembra parecchio spocchioso, ma all’epoca non me ne rendevo conto. Volevo solo scrivere un fumetto divertente e mi sembrava che non ci fosse nulla di più divertente della vita, della morte e del dolore dell’esistenza. Lo so, lo so. D’altronde una non si laurea in psicologia perché sta bene di cervello. Rispetto ad altri semi-esordienti avevo forse un background diverso. Non sono mai stata una nerd del fumetto, avevo letto pochi supereroi e tanto Sfar, tanta Vertigo, tanto Pratt, tanto Battaglia, tanto Goscinny e Uderzo, un po’ di Alfredo Castelli, un po’ di Michele Medda e, specialmente, un sacco di roba non a fumetti. Si può dire che le fonti di ispirazione di Ravenstock sono quasi tutte da un’altra parte, nel secolo e mezzo di letteratura da cui avevo piluccato senz’ordine. E in Shakespeare, ma tutti rubiamo da Shakespeare, che ne siamo consapevoli o meno. Rubiamo tutti malissimo, è chiaro. A questo bagaglio di storie e idee dovete sommare anche il bagaglio di storie e idee di Armando. Lui di fumetto ne sapeva un bel po’. Ne aveva fatto un bel po’, ma neanche lui era mai stato un nerd. Che Ford Ravestock diventasse una strana bestia credo fosse inevitabile. E la sua estetica, fosse dipeso da me, sarebbe stata molto convenzionale. Per fortuna non è andata così, perché avrebbe avuto un impatto devastante sulle storie. Insomma, torniamo all’inizio. Una sceneggiatrice alle prime armi, sventata, con un timoniere che raddrizzava la rotta a forza di improperi, e il loro fumetto. Nessuno avrebbe mai pubblicato una cosa del genere, lo sapevamo. (Questa, tra l’altro, è un po’ una costante nella mia vita. Poi qualcuno si trova sempre, ma che fatica ragazzi. Gli editori dovrebbero fare come certi studi legali, ogni tot volumi pubblicarne uno pro bono: il mio.) Visto che nessun editore l’avrebbe mai fatto uscire di sua spontanea volontà, abbiamo deciso di partecipare a un


concorso, il Lucca Project Contest. Lo abbiamo vinto, forse perché in giuria era pieno di magnifici squinternati, e la Panini è stata costretta a imbarcarsi nell’impresa. Diverse traversie dopo, e dopo un cambio di editore reso necessario dal fatto che, appunto, serviva un altro squinternato per decidere di far uscire quella roba (ciao, Mario) il progetto si è arenato serenamente a un numero dalla fine. Armando ne aveva le palle piene, io avevo una gigantesca Gestalt aperta che avrei impiegato i successivi tre romanzi a chiudere. Dio, mi viene da piangere. O da ridere, è un po’ la stessa cosa. Mi viene da piangere e da ridere perché la storia editoriale di Ford Ravenstock potrebbe tranquillamente far parte di un capitolo di Ford Ravenstock. È buffa e un po’ triste. Almeno, lo è secondo me. Ford è un depresso cronico, incurabile, farmacoresistente, davvero deciso a farsi fuori. È anche un uomo sensibile, bizzarro e a suo modo affascinante. Ha un maggiordomo. È inetto alla vita, senza un maggiordomo non sarebbe sopravvissuto fino alla sua apparente età di... boh. Non è così apparente, in fondo. Diciamo che è tra i trenta e i quaranta. Ha due cani che cerca costantemente di avvelenare, ma per amore. Convince il prossimo a farla finita e anche quello lo fa per amore, per una sorta di altruismo mal diretto e contorto. E c’è questa poliziotta, Marlene Moore, che è il suo esatto contrario, il che non significa che non sia pazza anche lei. È il suo esatto contrario perché è cinica, mentre lui è candido, è iraconda, mentre lui è flemmatico, e specialmente vuole vivere e vuole che nessuno muoia, mentre lui no. Ecco, se c’è un personaggio in cui mi rispecchio, quello è Marlene Moore e la sua pertinace lotta contro l’inevitabile. Non farò spoiler. In fondo se state leggendo questo volume è probabile che non abbiate mai letto nulla di Ford Ravenstock prima. Ma se c’è un insegnamento che possiamo ricavare da tutto questo, se dobbiamo proprio trovare una chiusura, quindici anni più tardi, credo che l’unica possibile sia... Non vi preoccupate se quello che avete scritto è strano, è visionario, non è roba da persone serie e ha riferimenti culturali troppo lontani dai gusti del vostro pubblico: qualche squinternato disposto a pubblicarlo si trova sempre.

Susanna Raule


K C O T S N E V A R FORD IDI SPECIALISTA IN

SUIC


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“Mi picco di garantire  suicidi assolutamente autentici, con tanto di angoscioso  senso di inutilità, disperazione e biglietto di addio.”

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CAPITOLO PRIMO 3 aprile 2005, h. 2.30 pm, Lower East Side, Manhattan. New York City.

Sono a casa!

Tutto bene, signore? Buona sera, signor Emerson.

No, grazie, signor Emerson.

-

Vedo che ha deciso di passare alla cocaina.

Cocaina?

che idea… naturalmente è stricnina, signor Emerson.

Le farà bene all’umore.

Una signora?

Una vedova.

Temo… { cough cough } che dovrà posporre ancora la sua dipartita, signore. Le ho fissato un appuntamento con una cliente per le quattro. Capisce che i due impegni non sono conciliabili… o devo telefonare per annullare?

curioso. Uno penserebbe che una vedova abbia già risolto tutti i suoi problemi.


h. 2.30 pm, Chelsea, Manhattan, New York City. il suo fegato sta benissimo. Ho qui le analisi, Fred. il suo fegato non ha nulla.

Ho letto un articolo su “Medicina per tutti” e credo di avere la cirrosi epatica.

impossibile.

-

Ma lei non beve alcolici, Fred. Cielo, no! Con il mio fegato?

Anche se, ora che ci penso, a capodanno ho preso un bicchiere di champagne…

A capodanno? Ma ora siamo in aprile.

Sapevo che non avrei dovuto.

Avanti, dottore, lo dica… quanto mi resta da vivere?


h. 5.30 pm, Lower East Side.

il signore la attende, signora Christiansen. Se vuole seguirmi…

Lei è il signor Ravenstock?

Si accomodi, signora Christiansen, la stavo aspettando.

in carne e ossa. Più ossa che carne, magari.

Ah… e mi scusi… è per caso in lutto anche lei? No, sono solo un depresso cronico. Be’, esistono dei farmaci, per queste cose.

Detesto essere allegro: mi deprime.

Ma mi dica, come posso esserle utile?


Dunque, iniziamo dal mio defunto marito, il signor Christiansen. Era benestante, ottima cosa, ma non concordava del tutto su, diciamo…

E il signor Christiansen ha avuto un malore? Un incidente?

Sulla sua idea di gestione patrimoniale?

Un malore. Un piccolo attacco cardiaco. Sa, il mio, ehm…

Proprio così.

Amico prediletto?

Sì. il mio amico prediletto è un medico. Non è stato difficile, per lui… Curare suo marito in modo tempestivo, ma ahimè inefficace?

Che peccato. Le posso offrire qualcosa da bere? Brandy? Cognac? Cicuta? Tè? Perrier?

Be’, con gli infarti c’è poco da fare.

Sì, signore?

Una tazza di cicuta calda per me, e per la signora… Sono a posto, grazie.

Mi stava dicendo?

È subentrato un problema. Jeremy…

Sì, Jeremy sembra avere l’intenzione di sposarmi.

Santo cielo. Davvero seccante, presumo.

il medico.

Be’, sì. Non si potrebbe eliminare?


indubbiamente si potrebbe. Come aveva intenzione di procedere?

Da lontano? Un po’ difficile che il signor Jeremy si spari da lontano, non le pare?

Credo che ci sia un equivoco di fondo, madame. io non uccido nessuno. Non l’ho mai fatto.

Ehm… credo di non capire. Non lo può uccidere da lontano?

Santo cielo, non saprei da che parte iniziare… se lo vuole uccidere dovrebbe rivolgersi a un sicario.

Oh, be’… anche un colpo di pistola andrebbe bene. Magari sparato da lontano…

Lei non è un sicario?

La sua domanda è vagamente offensiva. Trovo che l’omicidio sia volgare e qualunquista.

L’estremo rimedio di un intelletto debole. Mi picco di garantire suicidi assolutamente autentici, con tanto di angoscioso senso di inutilità, disperazione e biglietto di addio.

D’altronde… Sono un esperto, in merito.


Sai chi è?

Fred Ranoschk… Ravoshk…

Ranoschkevitz.

Nel frattempo, a Brooklyn.

Non deve esserlo più.

Sì, Bob. Come a dire…

Fred il Notaio.

Ah, e… Capo?

disturba.

disturba?

E… Bob? Sì, capo? Sì, Bob. Mi disturba. Disturba gli affari, capisci?

Che sia una fine subliminale.

...

Molto bene.

Nun si deve capìri chi u ammazzammu nuatri. Subliminale, okay?

Lessicale, cazzone.

Sì, capo. Si vede che ha studiato. Lo so, Bob: è per questo che io comando e tu esegui. La proprietà dialetticale è importante.

Uao. Sì, capo: avrà un incidente.


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