Farinata degli Uberti

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KLeINER

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Or sen va per un secreto calle, tra 'l muro de la terra e li martìri, lo mio maestro, e io dopo le spalle.

O virtuoso Virgilio, parlami! Potrebbesi vedere i peccatori che quivi giacciono? Tutti i coperchi son levati e nessuno fa la guardia…

Le tombe saranno serrate dopo ‘l giudizio universale. Han cimitero qui tutti gli eretici con Epicuro, che credono che l’ani-ma muoia col corpo. Ben presto sarà soddisfatto il disio che mi nascondi e vedrai chi tu speri.


O Tosco che per la città del foco vivo ten vai così parlando onesto, piacciati di restare in questo loco.

Buon duca, non ti nascondo ‘l cuor mio se non per parlar poco, come tu mi hai detto di fare.

La parlata tua manifesta che sei natio di quella nobil patria a la qual forse recai troppo male.

Le parole tue sien conte.

Volgiti! Che fai? Vedi là Farinata che s’è dritto.


Chi furon li antenati tuoi?

Son figlio d’Alighiero e Alighieri furon tutti i miei parenti.

Fieramente furon avversari miei, de li miei antenati e de la mia parte, tali che due volte li cacciammo in esilio.

Se i miei non appresero quell’arte, ciò mi tormenta più che star in questa tomba ardente.

S’ei furon cacciati, tornarono l’una e l’altra fiata; ma i vostri non appreser ben quell’arte.

Ma perché Fiorenza è sì spietata contro la mia famiglia, e l’esclude d’ogni amnistia?

Lo strazio e ‘l grande scempio di Montaperti, questo fa prender tali decisioni ne le assemblee nostre.


Tu ridèsti ne li miei ricordi le lunghe picche, l’arrossate lame e la torma de’ cavalli ch’a Montaperti calpestaron i guelfi gigli.

“Ma è ben ch’io prima narri come si giunse a una simil pugna e cosa accadde a Fiorenza, che tanto amai e odiai, e da la quale tanto fui amato e odiato.

“Ben sai come la città fosse divisa al morir de la quinta decade de ‘l secolo milleduecento...”


“...da quando i guelfi, sostenitor de ‘l papa, avean invertito i colori al giglio...

“...che da sempre li ghibellini portavan bianco in campo rosso.

“E de li ultimi io fui sempre partigiano con orgoglio.”

Salute Manente de li Uberti!

Perdonate il mio tardar, padre Tesauro: crescono i disordini in città.

Allor tutto volge come deve. Ecco ‘n fronte a te Federico d’Antiochia…


…figlio de l’Imperator di Sicilia e di Germania Federico di Svevia e fratello di Manfredi.

…E da stanotte vicario di Fiorenza, se ’l fato c’è amico.

L’abate Tesauro Beccaria mi ha reso noto d’ogne cosa sul vostro fidato contingente, Manente. I vessilli de l’aquila faran breccia da la porta nord.

Molto bene. È onor per tutti di mia parte avervi a Fiorenza.

A tal proposito, Tesauro, voi siete in una posizion scomoda e perigliosa.

La papale ingerenza s’è fatta intollerabile.

In quanto abate di Vallombrosa, grandi mali rischiate da parte de’ papali.

Non abbiate timor per me: nessuno sa de’ miei soggiorni qui, a San Miniato.


“Coll’aiuto del nobil d’Antiochia, le forze nostre eran fatte doppie.

“Non v’era tempo da perdere alcuno.

“La notte stessa attaccammo.

Chi va là?!

“Scivolammo fra le case e la notte ci ascose.

Attaccano!

Per l’Impero!

“E si bruciò più d’una fra le torri de’ guelfi.”


Tutti li gigli di Fiorenza tinseronsi di rosso quella notte.

Avanti cavalieri de l’Imperatore!

“Le fiamme moriron solo al giunger de la luce nova...

“...e li guelfi avean lasciato le mura.”

Ahi, qual trista sorte a li miei parenti!

Il nascer poscia non ti farà salvo de lo stesso fato.


è misera questa sorte d’esilio di cui discorriamo, giacché poche cose son care come ‘l suol natio. Ad esso mi strinsi ancor più in quei giorni...

“...sotto Federico d’Antiochia.”

Ave popolo di Fiorenza!

Io, Federico d’Antiochia, figlio de l’Imperatore de lo Sacro Romano Impero, son qui fra voi come Vicario imperiale!


“Ma la sorte non fu a noi lungamente benevola...”

Tutte le Tosche genti sono ‘n gran fermento, pronte a pugnare.

Le truppe di Manfredi movon da sud, se pur lente…

Ma non v’è rischio fin tanto che Siena e Fiorenza issan l’insegne ghibelline.

E Arezzo? e Lucca?

Signor Vicario, è qui un messo germanico: pare portar urgenti nuove.

Lo dispaccio, signore…

Quali nuove?


È Manfredi a scrivere. L’Imperatore mio padre…

“…è morto.”

L’Impero tutto tremò...

...e con esso l’aquila di Fiorenza.


“Li guelfi tornaron folti da lo Valdarno.

Morte a li ghibellini! Morte! Per lo papa!

“Con l’oro de ‘l papa Innocenzo IV, ei corruppero popolan casate e, sì ripreso ‘l potere cittadino, li Buondelmonti nomarono il proprio governo ‘di primo popolo’.

“Con celata rabbia ed arte diplomatica giunsi a porre una tregua...

“Di ‘primo popolo’, lo chiamavano...

“Ma ‘l popolo era schiavo de l’oro papale.”


“Gimmo a tramar una congiura per riprender la città.

“Ma a la vigilia de l’assalto, il più giovine tra li miei seguaci...

“Fu rapito...

“e costretto a tradir noi tutti.

“Allor veramente parve al cor mio d’esser come Catilina, da il quale gli Uberti paion discendere.”


“Tacevo, mentre Cice de’ Buondelmonti facea ‘l mio Cicero e destinavami a l’esilio. E proprio come fu per l’antenato mio, in esilio andò pur la mia politica a un tempo nobile e popolare.

Sorse in me ‘l disio d’una vendetta e d’un eroica fine com’a Pistoia Catilina...

“L’ebbi a Montaperti, ma le cose andaron diversamente e arduo è dir qual è a preferirsi migliore!

“Fu allor ch’io volsi il mio destriero inver Siena.”


“Là m’accolse un’ de le mie cugine.” Farinata! Cugino! Siete ferito? Che accade?

Caterina!

Li guelfi cacciaronci da Fiorenza.

Tutti li ghibellini son benvenuti qui a Siena, e tu più d’ogn’altro. Ti ringrazio, cugina.

Or necessiti certo di riposo. Entriamo…


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