KO TO DA MA
Passi sulla neve
La neve cade, ricoprendo il mondo in un silenzio irreale. È il momento più sublime dell’inverno, il più struggente e misterioso, quello in cui diveniamo piccoli puntini scuri su una sconfinata pagina bianca.
I confini delle cose si confondono tanto che si ha l’impressione di ritrovarsi, soli e sperduti, in un mondo sconosciuto fatto di gelo, luce e percezioni alterate.
Eppure al contrario di quanto percepito dall’occhio umano, il bianco non è dato dall’assenza, bensì dalla combinazione tutti i colori: la tela vergine, la pagina intonsa e il paesaggio innevato sono una mera illusione sotto cui si nasconde un’iride frammentata e confusa di sfumature, oggetti e sensazioni. L’artista – inteso nel senso più ampio del termine – deve attingere dal bianco alcuni frammenti di colore e tentare di ricomporli in modo da dare loro un senso.
Ma cosa succede se l’artista è abituato a muoversi in una dimensione come quella tradizionale giapponese, già in partenza priva di confini netti? Cosa sceglierà di far emergere dal candore accecante dell’inverno, e cosa invece ci lascerà semplicemente intuire?
Questa mini-edizione di Kotodama è interamente dedicata al modo in cui l’arte, la cultura e la lingua giapponese hanno declinato la neve attraverso le epoche e i media, ed è stata curata con l’intento di accompagnarvi dritto nel cuore dell’inverno di questo Paese.
Buona lettura!
14 dicembre 2022
DAFNE BORRACCILa Redazione
Kotodama - Numero 5 - Anno 2 - Cadenza Trimestrale Kotodama ©2020
Direttore editoriale
Carmen Borrelli e Dafne Borracci
Redattori
Alessia Trombini
Carmen Borrelli Chiara Zennaro Dafne Borracci Damiana De Gennaro
Giada Zaccardi
Naomi Cavaliere Sara Odri Proofreading e coordinamento editoriale
Alessia Trombini
Impaginazione e grafica
Alessia Landolfi @alesh_art
La copertina è di Giada Palumbo @komorebi_studiodesign
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Sommario
Sillogismi di neve: Kawabata e il gelo della scrittura
La solitudine della neve: waka scelti del periodo Heian
Ghiaccio e Aura di Miyazawa Kenji
Neve di Akutagawa Ryūnosuke
Una giornata di neve di Okamoto Kanoko
Kitsune Records – Speciale –雪の中 yuki no naka 22
Merry Christmas Mr. Lawrence: il natale nei campi di concentramento giapponesi
Le parole della neve Kotodama in gioco
Hajimemashite
Sillogismi di neve: Kawabata e il gelo della scrittura
a cura di Carmen Borrelli TEMPO DI LETTURA 3’Frasi che si posano una sopra l’altra, come la neve di inizio marzo che non tocca terra. La scrittura di Kawabata è un sillogismo per raccontare il non detto della vita.
Usciti dalla lunga galleria di confine, si era già nel paese delle nevi. Il fondo della notte si tinse di bianco. Il treno si fermò alla stazione di scambio.
Il treno che da Sapporo porta a Otaru attraversa una galleria lunghissima, o almeno a me così sembra. All’uscita, il freddo contrasto tra il blu dell’oceano e il bianco della neve mi fa pensare all’inizio de “Il paese delle nevi” (雪国, Yukiguni) di Kawabata.
In realtà, nel breve romanzo non si nomina mai un luogo preciso, anche se si pensa si tratti della prefettura di Nīgata. E nonostante la storia si svolga in primavera, a dominare è una sensazione di gelo. Un gelo che non è solo nella neve sciolta, ma che traspare nei rapporti umani e nella scrittura: qualsiasi momento di gioia o dolore è – in realtà – freddo:
In fondo, all’angolo dove si trovava il banco dell’accettazione, la vide: alta, immobile, l’orlo del kimono che si spandeva sul freddo pavimento lucido e nero.
Gli intrecci di Shimamura con Yōko e Komako diventano quasi sfondo dello stile di Kawabata che, posando le sue frasi una sopra l’altra, non arriva mai al cuore delle cose. Con questo non gli si vuole attribuire un significato simbolico o ideologico. La trama è l’espediente della scrittura per andare oltre la superficie e raccontare il non detto, quello che non accade ma che percepiamo.
Se nella letteratura occidentale un racconto, per essere ben riuscito, deve essere impregnato di vita, Kawabata decide di fermarsi prima – a quello che può accadere.
Effettivamente “Il paese delle nevi”, il suo romanzo più famoso, è stato scritto a fasi (iniziato nel 1935, è stato pubblicato soltanto nel dopoguerra), quasi a diventare esso stesso un sillogismo di neve.
Non è l’unica volta che lo scrittore parla di neve. Nei “Racconti di un palmo di mano”, il racconto “Neve” (雪, Yuki) parla di Sankichi che, ogni Capodanno, va all’Albergo dei Sogni, sempre nella stessa stanza: la Stanza della Neve.
«Anche quest’anno il Capodanno mi ha portato la neve». Quella neve ormai gli apparteneva. Scendeva a suo comando. Sotto le palpebre di Sankichi il nevischio s’avvicinava. E mentre continuava a scendere incessante, si trasformava in fiocchi. O meglio, in grosse falde che scendevano dolci. Fiocchi infinitamente silenziosi che lo avvolgevano. Adesso sì che poteva aprire gli occhi. Quando Sankichi sollevò le palpebre, le pareti della stanza erano diventate un manto di neve. Quelli che aveva visto nel buio dei suoi occhi erano semplici fiocchi di neve volteggianti, ma ora le pareti sembravano un paesaggio innevato.
Forse questo racconto è ancora più emblematico per capire il freddo distacco della sua scrittura. Con il tenohira, un racconto così breve che può starci in un palmo di mano, Kawabata è capace di raccontare un destino.
La solitudine della neve, waka scelti del periodo Heian
a cura di Dafne Borracci TEMPO DI LETTURA 2’Le poesie waka di questo articolo, scritte a cavallo tra il X e l’XI sec., sono accomunate da un unico tema: il paesaggio innevato. Appaiono quasi banali; eppure si tratta di versi rari poiché, nella poesia classica giapponese, l’immagine della neve viene quasi sempre accostata ai primi boccioli di pruno, comparendo frequentemente nei componimenti primaverili. Qui, tuttavia, abbiamo selezionato solo waka che esprimono tutta la solitudine, il silenzio e la bellezza dell’inverno.
(shirayuki no/ furite tsumoreru/ yamazato wa/ sumihito sae ya/ omoi kiyuran)
abitanti del villaggio in mezzo ai monti –anche i loro pensieri sepolti sotto coltri di neve - Mibu no Tadamine, Kokinwakashū 328
(wa ga yado wa/ yuki furi shikite/ michi mo nashi/ fumiwakete tou/ hito shi nakereba)
tutto è sepolto sotto la neve e scomparso è persino il sentiero che nessun visitatore percorre - Anonimo – Kokinwakashū 322
ゆ ふ さ れ ば
衣 手 さ む し
み よ し の の
よ し の の 山 に
み 雪 ふ る ら し
(yū sareba/ koromode samushi/ miyoshino no/ yoshino no yama ni/ miyuki furu rashi)
giunge la sera nelle maniche s’insinua il gelo e sui monti di Yoshino, i bei monti di Yoshino, dicono cada, pura, la neve - Anonimo – Kokinwakashū 317
(kimi ga yuku/ koshi no shirayama/ shiranedomo/ yuki no manimani/ ato wa tazunen)
io non conosco le bianche vette dell’aldilà verso cui t’incamminasti ma seguirò le tue orme impresse nella neve - Fujiwara no Kanesuke – Kokinwakashū 391
お く や ま の
い は か き も み ぢ
ち り は て て
く ち ば が う へ に
雪 ぞ つ も れ る
(okuyama no/ iwakaki momiji/ chiri hatete/ kuchiba ga ue ni/ yuki zo tsumoreru)
culla di rocce nel cuore dei monti –sopra le foglie cadute d’un acero si accumula strato su strato la neve - Ōe no Masafusa – Shikawakashū 156
Ghiaccio e Aura
di Miyazawa Kenji TEMPO DI LETTURA 8’“Sì.”
Il treno a vapore correva nella neve illuminata dai raggi lunari.
Un bambino, dalla bandana di velluto rosso, avvolto in una coperta, stava appoggiato alla parete ambrata sotto il finestrino, con le gambe distese proprio come se fosse a letto. Dormiva tranquillo.
Dai finestrini perfettamente trasparenti si vedeva l’esterno: azzurro e brillante.
“Mancano ancora otto ore.”
“Eh già.”
Il giovane padre ripose l’orologio azzurro pallido nel taschino del panciotto sbattendo i tacchi delle scarpe.
La giovane madre guardò ancora il bambino.
Le sue gote erano lucide come mele, il cui profumo riempiva la carrozza. Quell’odore, però, proveniva dalle mele vere riposte nelle cappelliere sopra di loro. Diffondevano un vapore dolce in tutto il vagone. “Dove ci troviamo?”
“Siamo ancora nella prefettura di Iwate.”
“Quelle cose bianche che si vedono sopra le montagne sono nuvole?”
“Sono proprio nuvole. Solo che si sono congelate.”
“Non è una bufera di neve?”
“Può darsi, forse soltanto laggiù sta soffiando il vento. È possibile che il vento abbia sollevato della neve secca dalle montagne, oppure che il vento, carico di vapore acqueo, a contatto con il forte freddo delle creste di quelle montagne sia diventato neve, ma non saprei.”
“Ah, capisco.”
Dritti in piedi nella luce della luna, i pali del telegrafo sfilavano uno dopo l’altro, così tanti da non riuscire a contarli, e la loro ombra fumosa scivolava scura sulla neve.
L’interno del vagone era tenuto caldo dal vapore del riscaldamento e i pochi passeggeri presenti perlopiù dormivano.
Era già passata la mezzanotte.
“Questa notte fa freddo fuori?”
“Non proprio, visto che è bel tempo. Viaggiare in questo campo innevato, di questi tempi, in un treno a vapore come questo, mi fa proprio provare sentimenti di una nostalgia quasi invidiosa.”
“Caro, hai già fatto questa esperienza?”
Traduzione di Naomi Cavaliere“Certamente. Piuttosto, non hai sonno, tu?”
“Non riesco a dormire.”
Il giovane padre e la giovane madre guardarono insieme il bambino, che dormiva profondamente. Le sue labbra ben chiuse sembravano quasi una valle color salmone e i suoi capelli, di un castano-rossiccio come le piume del nibbio bruno, gli ricadevano bagnati sulla fronte.
“Oh, guarda, le sue labbra e i suoi denti somigliano ai tuoi.”
“Gli occhi sono proprio identici ai tuoi, invece.”
La neve sulle montagne scintillava abbagliante. All’improvviso il treno passò tra due candide colline innevate. Fra i raggi lunari si intravide una cosa che pareva proprio essere un albero di quercia, dalle numerose foglie secche. Tutti dormivano e anche il giovane padre e la giovane madre si assopirono.
Mentre oscillava da un lato all’altro a ogni piccola stazione montana che attraversava, il treno iniziò a risalire con affanno i pendii del monte Nanashigure. I due genitori, seppur appisolati, guardavano il bambino a occhi aperti, proprio come in un sogno. Tutto era avvolto dal vaporoso profumo delle mele, ecco il motivo. Le luci formavano un anello azzurro, che al bambino appariva simile a un pavone blu dalle ali aperte a mo’ di tenda.
Ciuff-ciuff, ciuff-ciuff. Correva il treno a vapore.
“Toh, stranamente s’è fatto freddo.” disse il giovane padre mentre, alzandosi un po’, dava un’occhiata all’interno della carrozza. Anche le luci si fecero molto scure, poiché il tungsteno nelle lampade era finalmente diventato rosso e rovente.
“Sarà che il riscaldamento è stato spento, caro.”
Anche la giovane madre, meravigliata, aprì velocemente gli occhi e guardò il bambino, che dormiva ancora nella stessa posizione di prima, serenamente.
“Ma che succede... Fa un freddo. Sarebbe terribile prendere il raffreddore. Che ore sono? Sarà che mi sono addormentato come un sasso.”
La lancetta nera dell’orologio puntava chiaramente alle quattro del mattino, i vetri dei finestrini erano completamente ricoperti di ghiaccio.
La luna sembrava sospesa nel bel mezzo del soffitto della carrozza, il ghiaccio sui finestrini era di un bianco-azzurro sfocato, le luci sempre più scure.
“Fa freddo, eh? Metterei su qualcos’altro.”
“Se vuoi ti do il mio cappotto, caro.”
“Con o senza cappotto mi sono gelato lo stesso, è che ho dormito nella stessa posizione tutto il tempo. Svegliami e basta, è meglio così, che mi svegli di colpo.”
“Sì, sì, va bene. Però non dovresti togliere il soprabito, comunque.”
La giovane madre prese il bambino tra le braccia e si mise in piedi accanto al finestrino. La coperta rimase lì, come una buccia calda. Così, stretto tra le braccia della madre, il piccolo continuava a dormire beato.
“Se vuoi, puoi metterlo. Che lo indossi o meno non sento freddo comunque.” disse il padre mentre si alzava di lato al sedile per sfilarsi il soprabito.
“Potresti anche avvolgerti nella coperta, ecco.”
Il treno a vapore sembrava essere giunto in cima al valico, semafori verdi e altre
cose sfocate sfilavano fuori dai finestrini, il bambino era tornato a mettersi vicino al finestrino con il viso rivolto un po’ più in basso rispetto a prima. Si addormentò sospirando profondamente.
Erano esattamente in cima al valico. D’improvviso il passo affannoso del treno si fece più rapido e prendendo velocità iniziò a scendere dritto giù per il pendio.
Presto le luci si fecero più luminose, il vapore del riscaldamento riprese a circolare uscendo come nastri dall’angolo in basso dei finestrini. Il giovane padre e la giovane madre si tranquillizzarono e si appisolarono di nuovo. I finestrini, che all’esterno erano freddi, divennero bianchi per il vapore congelato.
E ancora una volta, tra un sogno e l’altro, le luci si trasformarono in un abbagliante pavone blu che, aprendo le scintillanti ali, teneva al sicuro il bambino, così dolce da volerlo quasi mangiare.
Ciuff-ciuff, ciuff-ciuff. Correva il treno a vapore.
E poi, a un tratto, si fermò.
“Morioka, fermata di cinque minuti, Morioka, fermata di cinque minuti.”
Subito dopo si sentì il rumore degli zoccoli di legno geta sul cemento, era l’alba. Stamattina fa proprio freddo! Ottantanove persone con indosso pellicce di cane e mantelli neri entrarono nella vettura.
Sui loro copricapi e sui bordi dei colletti, che a prima vista sembravano rifiniti con del pelo di capra, il ghiaccio cristallizzato formava un manto bianco. Chissà quando, i finestrini erano diventati tutti bianchi e luminosi e le luci trasparenti come l’acqua.
“È quasi l’alba.”
“Sì. Alla fine mi sono proprio addormentato.”
“Dove ci troviamo qui?”
“Siamo a Morioka, no? Tra poco sorgerà il sole. Caspita, che dormita.”
Cristalli di ghiaccio dalla forma di orchidee e foglie decoravano i finestrini. La locomotiva ripartì e qui e lì iniziavano le nuove conversazioni mattutine. Eh? Ma se è un misosazai gli puoi sparare. No, gli uccelli piccoli come il misosazai perdono la loro forma se colpiti con un’arma da fuoco.
Dalle fessure dei cristalli a forma di foglie di orchidea sui finestrini, la luce ambrata del cielo dell’Est iniziò a intravedersi.
“Saranno le sette, più o meno?”
“Proprio le sette in punto. Sono passate già sette ore, che viaggio lungo!”
Il bambino, svegliandosi, fece la linguaccia.
“Non piangere, dai, va tutto bene. Hai fatto proprio una bella dormita, tu. Adesso ti do il latte, ecco qui.” la madre prese il bambino fra le sue braccia.
“Non si fanno le linguacce.” disse il padre mentre tirava fuori uno spazzolino dal baule.
Ciuff-ciuff, ciuff-ciuff.
Correva il treno a vapore.
I finestrini si scurivano e si illuminavano.
Il padre tornò dal bagno. Inaspettatamente, i finestrini diventarono di un giallodorato tutti insieme.
“Ecco, il sole sta sorgendo. Il ghiaccio sembra l’aurora boreale!”
“L’aurora, dici? Questi cristalli hanno assunto proprio la consistenza della gelatina!”
I vagoni erano ben riscaldati. Nei dintorni non ci sono case belle come l’interno di questo treno.
Per niente! Qui dentro è riscaldato proprio come la sala operatoria di un ospedale. Dal ghiaccio sui finestrini traspariva il cielo azzurro.
“Ah, che meraviglia. Il ghiaccio somiglia a delle piume ornamentali!”
“Sì, è veramente bello.”
Seduto di fronte sul sedile a lato, l’addetto ai binari fissò per un po’ il ghiaccio davanti ai suoi occhi, per poi grattarlo via a poco a poco con una delle unghie. E poi sospirò. Dalla fessura aperta nel ghiaccio, riuscì vedere la neve rosata e una pineta scura.
“È ora di tornare seduti, su.” Il bambino fu messo nuovamente a sedere sul trono davanti al finestrino.
Il padre diede al bambino una bella mela rossa con delle macchie verdi, sembrava una di quelle piccole e colorate caramelle di zucchero portoghesi.
“Oh! Il ghiaccio sulla testa del piccolo sembra formare un’aura.” disse la giovane madre sottovoce.
Il giovane padre, dopo averla osservata, rise quasi piangendo.
“Questo bambino si farà grande e poi, sai, si alzerà dritto in piedi e se ricercherà la suprema illuminazione per tutti gli esseri viventi, solo in quel momento quella luce arriverà davvero da lui. Questa può sembrarci una cosa un po’ triste, ma dobbiamo pregare affinché avvenga.”
Il giovane padre si zittì e chinò il capo.
Gah! Fece il bambino agitando la mela come per lanciarla. Era già mezzogiorno.
di
Ne v e
Akutagawa Ryūnosuke
a cura di Damiana De Gennaro TEMPO DI LETTURA 3’Un pomeriggio nuvoloso d’inverno, dal finestrino di un treno della linea Chūo, osservavo lo scorrere delle montagne allineate nel paesaggio. Erano, naturalmente, bianchissime. Più che neve, quel colore sembrava la pelle stessa delle montagne. Mentre continuavo a seguirne il profilo con lo sguardo, all’improvviso mi tornò alla mente un episodio.
Sarà stato quattro o cinque anni fa, in un altrettanto nuvoloso pomeriggio d’inverno. Nell’atelier di un amico, lui e una sua modella chiacchieravano davanti a una misera stufa di metallo. L’atelier, oltre alle sue pitture a olio, non aveva altri ornamenti. La modella aveva i capelli a caschetto e stava fumando un sigaro. Dava la vaga impressione di una bellezza straniera. Tuttavia, chissà per quale motivo, aveva tagliato via, senza lasciarne traccia, le sue ciglia naturali.
La discussione si era spostata su quanto l’inverno fosse rigido. Lui diceva che era come se il terreno del giardino potesse sentire le stagioni. E, in particolare, quanto potesse sentire la stagione invernale. «Praticamente», diceva, «è come se il terreno fosse vivo».
Mentre caricava la pipa di tabacco, alternava lo sguardo tra il mio viso e quello della modella. Senza dare alcuna risposta, continuavo a sorseggiare il mio caffè inodore. Quella frase, tuttavia, suscitò un’impressione profonda nella modella dai capelli a caschetto. Soffiò un cerchio di fumo e, sollevando le palpebre arrossate, vi immerse lo sguardo fissamente. Guardando l’aria vuota davanti a sé, senza riferirsi a nessuno in particolare, disse:
«Anche per la pelle è così. Da quando lavoro in questo settore, la mia pelle si è come irruvidita…».
Un pomeriggio nuvoloso d’inverno, dal finestrino di un treno della linea Chūo, osservavo lo scorrere delle montagne allineate nel paesaggio. Erano bianchissime. Più che neve, quel colore dava l’impressione di pelle umana, irruvidita. Mentre osservavo le montagne, all’improvviso ho ricordato quella modella a cui mancavano le ciglia, il cui fascino faceva pensare a una straniera.
Una giornata di neve
di Okamoto Kanoko Traduzione di Sara Odri TEMPO DI LETTURA 5’Quell’inverno vivevamo in un grande, vecchio appartamento sulla Kaiserdamm, a Berlino. Fuori non smetteva di nevicare. Nella nostra stufa, dotata di una lunga canna fumaria che arrivava fino al soffitto, bruciava sempre più legna. Si sentivano solo i rumori dei treni e i clacson delle auto; era mezzogiorno, ma nemmeno i cani abbaiavano in quella placida giornata di neve. Sentii bussare con forza alla porta. “Chi andrà in giro con questo tempo?” pensai mentre andavo ad aprire. Tre operai, uno giovane, uno di mezza età e uno anziano, si precipitarono in casa.
“Siamo venuti a riparare la linea elettrica.”
Non li stavo aspettando. Avevano un aspetto amichevole, ma ero comunque rimasta per un attimo interdetta. Mi ero ricomposta e li avevo fatti entrare. Provavo una certa simpatia per gli operai di Berlino. Anche da nuova in città quale ero (ci eravamo trasferiti all’inizio dell’estate), mi avevano fatto da subito un’ottima impressione. Avevano quasi tutti un’aria allegra e sorniona. Ci era capitato più volte che operai tutti stipati nella parte posteriore di un furgone ci salutassero sorridenti mentre passavano per strada. Cercavamo di essere sempre gentili con queste persone così per bene che avevano accettato una vita tanto faticosa. Evitavamo di avere quell’atteggiamento diffidente di molti stranieri. All’inizio le loro uniformi mi erano sembrate trasandate, ma un secondo sguardo aveva rivelato quanto in realtà fossero curate maniacalmente, alla tipica maniera tedesca – ovvero che le loro mogli e le loro figlie avevano fatto un ottimo lavoro, erano lavate e rattoppate in modo magistrale.
Poco dopo avevano finito di lavorare alla linea elettrica. Dalla finestra vedevo che fuori stava ancora nevicando. Si erano accomodati sul tappeto di pelo come li avevo invitati a fare, rivolti verso la stufa. La nostra domestica non c’era, aveva preso il raffreddore due o tre giorni prima, si era presa dei giorni per riposare. Mio marito era nella stanza di fianco, totalmente assorto dai fumetti che stava disegnando per un giornale giapponese. Avevo fatto un tè e gliel’avevo offerto.
“Vi prendo delle sigarette, ne ho alcune giapponesi” avevo detto mentre mi alzavo per prendere le Shikajima di mio marito.
Ma l’operaio di mezza età aveva detto: “Non si preoccupi, signorina. (Gli occidentali hanno sempre difficoltà a capire quanti anni hanno gli asiatici) Invece, perché non ci canta una bella canzone in giapponese?”
“Cantate anche in Giappone, vero signorina?” aveva chiesto il più anziano con un tono molto dolce.
Mi ero seduta un po’ più dritta e avevo subito esaudito la loro richiesta. Gli avevo fatto chiudere gli occhi e avevo cantato “Katyusha” in stile giapponese senza la minima esitazione.
Il più giovane notò che quella era in realtà una canzone russa, cosa che mi aveva dato prova di quanto fosse attento l’orecchio musicale dei tedeschi. Così, per dimostrare di saper cantare una vera canzone giapponese, avevo intonato: “Veloce, veloce, veloce! Sopra le onde andiam…”
L’operaio di mezza età però mi aveva bloccata subito. “Signorina, questa sembra una canzone che cantano gli studenti… Volevamo sentire qualcosa di più femminile, qualcosa che canta di solito tra sé e sé”.
Ah, chiaro, avevo pensato e, con una concentrazione tutta nuova, avevo cantato per loro in tono sicuro: “Fiori di ciliegio, fiori di ciliegio lungo il cielo di primavera, fin dove la vista si estende.
È forse nebbia? Sono forse nuvole? Fragranti nell’aria. Vieni, vieni, andiamo a vederli!”
Si alzarono felici, lodandomi per l’elegante e dolce melodia. “Lo racconteremo a tutti!” dissero, complimentandosi ancora con me mentre raccoglievano i loro attrezzi. Guardarono fuori dalla finestra, dove la neve continuava a cadere fitta, poi si diressero verso la porta.
Il più giovane, quello che fino a quel momento era rimasto più in disparte, si era fermato e mi aveva guardato con occhi imploranti.
“Potrei avere un francobollo? Uno di quelli giapponesi. Li sto collezionando da tutto il mondo”.
Avevo staccato diversi francobolli da alcune lettere che mi erano arrivate da casa e li avevo appoggiati sul palmo della sua mano, ruvida e nodosa a causa del duro lavoro.
Kitsune Records – Speciale –
雪の中 yuki no naka
a cura di Naomi Cavaliere TEMPO DI LETTURA 3’La neve, nell’immaginario musicale giapponese, è intrecciata a visioni di struggenti storie d’amore, l’atmosfera magica e rarefatta che dona ai paesaggi urbani, tracce invisibili dell’estate appena passata e melodie capaci di offrire un riparo caldo all’animo delle persone. Kitsune Records, per questo numero, vi propone una playlist contenente alcuni dei brani più famosi che accompagnano i giapponesi durante le fredde giornate invernali.
Ad aprire la selezione troverete Subtitle, il nuovo singolo degli Hige Dandism – abbreviato in Hige Dan – una band composta da quattro membri che domina la scena musicale J-POP degli ultimi tempi. Il singolo, sigla della serie TV Silent in onda sull’emittente giapponese Fuji Terebi dal 6 ottobre 2022, è caratterizzato da un sound arrangiamento drammatico che trasportano chi ascolta in un paesaggio ricoperto di candida neve. Capace di evocare le immagini e le emozioni tradizionalmente associate all’inverno in Giappone, questa melodia - già in cima alle classifiche musicali nipponiche - diventerà sicuramente una delle più rappresentative della stagione invernale 2022.
Merry Christmas Mr. Lawrence:
il natale nei campi di concentramento giapponesi
a cura di Chiara Zennaro TEMPO DI LETTURA 5’Merry Christmas Mr Lawrence (Senjo no Meri Kurisumasu) è un film britannico-giapponese del 1993, diretto da Oshima Nagisa e basato sul romanzo semi-autobiografico di Laurens van der Post “Il seme e il seminatore” (1963) che tratta della sua esperienza come prigioniero di guerra giapponese a Java (Indie Orientali Olandesi, ora Indonesia).
Nonostante il “buon natale” del titolo, questo film non è proprio il classico felice film natalizio da guardare in famiglia durante le feste. Presenta però temi tipicamente “cristiani” come quelli del sacrificio, del pentimento e del perdono.
Il colonnello inglese Lawrence (Tom Conti) è l’unico prigioniero del campo a parlare fluentemente giapponese e funge da interprete tra le guardie e i prigionieri, finendo per essere odiato da questi per il suo rispetto per la cultura degli oppressori. La vita nel campo è dura e i prigionieri vengono sistematicamente maltrattati, picchiati e fatti patire la fame. Al campo, inoltre, Lawrence incontra un ex compagno di battaglia, il recentemente catturato Celliers (David Bowie), per la cui sfrontatezza e coraggio si ritrova invaghito il comandante del campo, il capitano Yonoi (Sakamoto Ryuichi), che svilupperà per lui un’ossessione semi-romantica.
I tribunali militari temporanei delle Indie Orientali Olandesi sono un esempio unico nella storia dei tribunali di guerra per come hanno deciso di processare i crimini commessi da un gruppo. Secondo questi tribunali, quando un crimine veniva commesso durante delle attività di gruppo senza che la responsabilità ricadesse su un solo membro, lo si considerava automaticamente come commesso dal gruppo intero. In questi casi, ogni membro era giudicato colpevole e doveva essere processato (articolo 10 n.45).1 Il maltrattamento era talmente radicato nella quotidianità dei soldati giapponesi che erano rarissimi quelli a non aver mai compiuto violenze, sia di propria volontà che per ordine di superiori.2 Il film non si tira indietro dall’evidenziare questo fenomeno, come traspare da un dialogo tra Lawrence e Celliers la notte prima della loro prevista esecuzione per un’infrazione che non hanno commesso.
Celliers: “Che cos’hanno (i giapponesi) che non va?”
Lawrence: “Non lo so. Sono un popolo di persone ansiose. Non fanno nulla individualmente e quindi sono impazziti in massa. Vorrei che la smettessero di picchiarmi ma non voglio odiare nessun giapponese singolo” .
1 Fred L. Borch, Military Trials of War Criminals in the Netherlands East Indies 1946-1949
2 Il 19.4% dei prigionieri di guerra in campi giapponesi morì durante la prigionia e quasi tutti i sopravvissuti soffrirono di PTSD disturbi di stress post-traumatico che al tempo non era riconosciuto come tale e nella maggior parte dei casi non fu mai curato.
Lawrence, conoscendo bene la cultura giapponese, rifiuta non solo di odiare e incolpare le guardie che l’hanno torturato arrivando addirittura, nel dopoguerra, a perdonarle, affermando di essere contrario alla pena di morte a cui gran parte furono condannati. Incontrando uno dei suoi ex aguzzini nel 1946, la notte prima dell’esecuzione di quest’ultimo per crimini di guerra da parte del tribunale olandese, Lawrence, quasi nostalgico, riconosce che lui, Hara, Yonoi e Celliers sono tutti vittime, “vittime di persone che sono convinte di aver ragione”. Infatti, il fatto che gli Alleati abbiano vinto non vuol dire che avessero ragione. Insieme ricordano il natale del ‘42 quando Hara (Kitano Takeshi), ubriaco, comunicò ai due inglesi che non sarebbero stati giustiziati, dicendogli ripetutamente, ridendo, di essere Babbo Natale. Prima che Lawrence se ne vada, il detenuto gli rivolge le sue ultime parole, “Buon Natale sig. Lawrence”.
Merry Christmas Mr. Lawrence riflette sulle motivazioni e gli aspetti culturali che giustificano o, perlomeno, spiegano la crudeltà dei giapponesi nei confronti dei prigionieri, non solo militari ma anche civili. Una delle ragioni principali è il bushidō, ovvero la cosiddetta “via dei samurai”. Una delle pratiche più affascinanti della cultura giapponese fu anche ciò che spinse l’esercito a commettere crimini terribili. Nella prima scena del film, Hara dice a Lawrence: “Se non hai mai visto un seppuku, è come se non avessi mai visto un giapponese”.3 Yonoi spiega a Celliers durante il loro primo incontro che, per i soldati giapponesi, arrendersi o essere imprigionati è il disonore più grande per sé e la propria famiglia e, nel caso di sconfitta o fallimento, era pratica comune scegliere la morte. Da questo le guardie si sentivano di non far niente di male nel maltrattare i soldati catturati, né i civili indonesiani colonizzati dagli olandesi e a loro volta gli olandesi per essere stati sconfitti dai giapponesi, in quanto avevano scelto di vivere in disonore e non meritavano di essere trattati come essere umani.4
Allo stesso modo dei prigionieri alleati che, se infrangevano le regole, erano puniti con pestaggi o la morte, i soldati e ufficiali agivano e si sacrificavano per il bene comune e sceglievano volontariamente di pagare con la morte per i propri sbagli e infrazioni. Il detenuto che Lawrence visita nel ‘46 infatti, nonostante il colonnello inglese gli dica che se potesse fermerebbe l’esecuzione, è pronto a morire e pagare per le proprie azioni anche se ammette di non capire completamente la condanna in quanto “non ho fatto niente di diverso da tutti gli altri soldati”. Attraverso il personaggio di Celliers, tormentato dal non essere stato in grado di sacrificarsi per il fratello minore, Merry Christmas Mr. Lawrence mostra come questi ideali di sacrificio e pentimento fossero molto diversi per i prigionieri alleati. Questi infatti protestano per essere forzati a partecipare al seppuku di una guardia giapponese e, pur essendo disposti a rischiare la morte per i compagni, non sceglierebbero mai volontariamente il suicidio, per loro un atto disonorevole e codardo.
In conclusione, Merry Christmas Mr. Lawrence è un film sulla guerra, denunciata in tutte le sue forme. Il film mostra gli orrori della prigionia e mostra le credenze e pratiche che in parte spiegano tali crudeltà, ma senza giustificarli. Non vuole puntare il dito contro qualcuno o le tradizioni di un Paese ma dichiara che tutte le persone coinvolte, vincitori e vinti, non sono altro che vittime, gli uni contro gli altri, senza saperne bene il perché.
3 nel film sono rappresentati ben tre seppuku (un tentativo fermato, uno ritualistico e uno improvvisato)
4 il tasso di mortalità tra i prigionieri civili (non rappresentati nel film) era di 1 su 6.
Le parole della neve
a cura di Giada Zaccardi TEMPO DI LETTURA 3’Il tema di questo numero è particolarmente romantico: l’inverno e la neve. Per l’occasione ho pensato di raccontarvi che in giapponese ci sono moltissime parole per esprimere ogni sfumatura, anche infinitesimale, di qualsiasi fenomeno atmosferico.
Avventuriamoci allora nel mondo della neve, che in giapponese si dice yuki e si scrive con questo carattere: 雪.
Per cominciare, il kanji di neve ha il radicale di pioggia.
Cerchiamo di capire meglio: i caratteri giapponesi hanno una “parte grafica” che ne indica il campo semantico (quindi che ci dà un’indicazione su quale sia il suo significato). In questo caso dentro 雪 (yuki, neve) c’è 雨 (ame, pioggia), che è il radicale per diversi kanji, come nuvola 雲, nebbia 霧, tuono 雷 e molti altri fenomeni che hanno a che fare con la pioggia.
Quindi il radicale ci racconta a che “gruppo” appartiene un certo carattere e credo già questo renda affascinante poterli osservare anche per chi non studia giapponese, poiché trattandosi di un elemento grafico è riconoscibile e individuabile anche a prima vista. Ognuno di voi potrà adesso riconoscere, magari per la prima volta, il carattere di pioggia all’interno degli altri elencati poco sopra.
Nonostante il giapponese sia nella mia vita ormai da diversi anni, mi affascina sempre quanto possa essere immediato e travolgente.
Ma veniamo alla neve. In italiano “neve” è una parola chiara, univoca e semplice, ma in giapponese esistono decine di parole per parlare della neve. Cercherò di raccontarvene alcune traducendole per voi, anche in modo letterale, per darvi un’idea di quello che questi caratteri desiderano comunicarci.
雪花(せっか, sekka)letteralmente 雪 neve 花 fiore. Si riferisce ai fiocchi di neve, paragonando lo scendere dei fiocchi alla caduta dei petali dei fiori dagli alberi.
小米雪(こごめゆき, kogomeyuki)i caratteri sono di 小 piccolo, 米 riso e 雪 neve. Si riferisce al modo in cui cade la neve, come pezzettini di riso sgretolati che creano una sabbia.
忘れ雪 (わすれゆき, wasureyuki) scritto con i caratteri di 忘 dimenticare e 雪 neve.
Letteralmente: neve dimenticata, espressione con la quale ci si riferisce alla neve che cade alla fine dell’inverno (un’altra espressione, forse più usata, con lo stesso significato è nagoriyuki 名残り雪).
天花 (てんか, tenka) che è uno dei tanti termini che descrivono la neve in generale. I caratteri sono di 天 cielo, celeste, divino e 花 fiore. Quindi letteralmente indica dei fiori che fioriscono (e quindi cadono) dal cielo.
水雪 (みずゆき, mizuyuki) parola nella quale il carattere di neve 雪 è preceduto da quello di acqua 水. Descrive la neve mista ad acqua.
初雪 (はつゆき, hatsuyuki) scritta con i caratteri di prima volta, inizio 初 e di neve 雪. Si riferisce alla prima neve di quell’inverno.
去年の雪 (こぞのゆき, kozonoyuki) letteralmente la neve dell’anno scorso. Espressione con la quale ci si riferisce alla neve che è rimasta anche se si è fatta primavera.
夜雪 (やせつ, yasetsu) espressione nella quale, il carattere di neve (che ormai abbiamo imparato a riconoscere) viene preceduto da quello di notte 夜 e che indica la neve che cade durante la notte (si trova anche come 雪夜).
綿帽子 (わたぼうし, watabōshi) indica la neve che si accumula sui rami e sulle foglie come un cappello (i caratteri sono di cotone 綿 e cappello 帽子). Con questa espressione ci si riferisce anche al tipico copricapo tradizionale delle spose.
Esistono, inoltre, moltissimi proverbi che riguardano la neve (anche in senso lato). Ho pensato di presentarvene un paio.
冬の雪売りfuyu no yukiuri
Letteralmente, vendita di neve invernale. Si riferisce a qualcosa di inutile e superfluo che nessuno comprerebbe, poiché essendoci abbondanza di neve nella stagione invernale non è certo un bene che nessuno sarebbe disposto ad acquistare.
蛍雪 keisetsu
Letteralmente, lucciole di neve. Si riferisce a un grosso sforzo di studio o lavoro. Si tratta di un proverbio che deriva da una leggenda di due personaggi talmente poveri da non potersi permettere la luce e che quindi hanno potuto studiare raccogliendo le lucciole o con i fiocchi di neve. Entrambi poi, secondo la leggenda, si sono affermati nella vita.
Esempio di utilizzo: 蛍雪の功を積み、ついに彼は科学者になった。Keisetsu no kō o tsumi, tsuini kare wa kagaku-sha ni natta
Traduzione: Infine è diventato uno scienziato, accumulando i meriti dei suoi intensi sforzi (delle sue lucciole di neve).
FONTI E APPROFONDIMENTI
• https://topic.life-ranger.jp/column/24450/ • https://idea1616.com/yuki/ • https://kotonohaweb.net/snow-word/
• Per l’ultimo proverbio e la leggenda, in particolare: https://kotowaza-dictionary.jp/k0111/
KOTODA MA IN GIOCO
5… 4… 3… 2… 1…
BUON ANNO!!!
Così ha inizio l’anno nuovo, tra i colori e l’aria frizzante dell’inverno appena iniziato! E spesso non possono mancare gli spettacolo pirotecnici per festeggiare, in Giappone poi ne fanno di davvero immensi, da rimanere incantati. Allora perché non cimentarvi anche voi?
No no, non stiamo suggerendo di improvvisare dei botti nel giardino di casa vostra, anzi! Con Hanabi, però, il gioco che vi suggeriamo per quest’occasione, salverete il Capodanno a tutti, sia nella realtà che nel gioco stesso.
Infatti, l’obiettivo è completare la sequenza di ogni fuoco d’artificio, per offrire a tutti un degno spettacolo. In che modo? Mettendo in ordine crescente le carte di ciascun colore, da 1 a 5, grazie ai suggerimenti degli altri compagni di gioco.
La difficoltà di Hanabi, infatti, è che nessuno vede le proprie carte! Ciascun giocatore terrà in mano le proprie carte rivolte verso gli altri, così da poter ricevere i suggerimenti e capire quali parti dei fuochi d’artificio si hanno in mano. Ma attenzione, gli indizi possono indicare solo il colore o i numeri delle carte e sono limitatissimi, se si fa un errore lo spettacolo rischia di… andare in fumo!
Hanabi è quindi un gioco collaborativo per un gruppo fino a 5 giocatori, molto semplice ma divertente e adatto anche per chi non è abituato a giochi da tavolo particolari. Insomma, il modo migliore per aspettare l’inizio del 2023, ma siamo certi che poi continuerete a giocarlo per tutto l’anno!
HAJIMEMASHITE
Carmen Borrelli . Nata a Napoli nel 1995. Iscritta al corso di Letterature e Culture comparate all’Università di Napoli “L’Orientale”, ha svolto un anno di scambio a Tokyo, alla Keio University. Gestisce da quattro anni un blog, Nessun cancello, nessuna serratura , strettamente collegato al suo profilo Instagram ( @lilyj2202 ) , citato in Bookinfluencer. Chi parla di libri e dove trovarli (La Corte, 2020). Tra i suoi progetti, La tua, Virginia ha portato sui social, grazie anche alla collaborazione con la Ita lian Virginia Woolf Society, la lettura dell’epistolario di Virginia Woolf. Ha fondato Kotodama insieme a Dafne Borracci e oltre a scrivere gestisce le pagine social.
Dafne Borracci . Nata a Firenze nel 1996. Nel 2013 ha frequentato il quarto anno di liceo a Ashiya, in Giappone. Nel 2018 ha vinto la borsa di studio MEXT Undergraduate e attualmente frequenta la facoltà di Lettere all’Università di Kyoto. Sui social parla di letteratura e storia giapponese attraverso il suo profilo Instagram, @dafneborracci , e il suo blog, Mai una soya . Periodicamente, pubblica la traduzione in italiano del romanzo di epoca Heian Torikaebaya Monogatari tramite newsletter. A luglio 2020 ha pubblicato il suo primo ebook Ikiryō - Spiriti viventi del folklore giapponese . Ha fondato Kotodama con Carmen Borrelli.
Damiana De Gennaro. Nata a Vico Equense nel 1995, è laureata in Letterature e Culture comparate all’Università di Napoli “L’Orientale”. Iscritta alla magistrale presso lo stesso ateneo, ha svolto un anno di scambio in Giappone, presso l’università Tōhoku. Ha pubblicato Aspettare la rugiada (Raffaelli, 2017), opera finalista al Premio Rimini, e Shibuya Crossing (Interno Poesia, 2019). Sue poesie sono ospitate su varie antologie, tra cui Poeti italiani nati negli anni ‘80 e ‘90.Vol. I (Interno Poesia, 2019) e Abitare la parola. Poeti nati negli Anni Novanta (Ladolfi, 2019). Alcune traduzioni delle sue poesie in spagnolo, inglese e sloveno si trovano online sulle riviste Libroamerica, Literalidad, Círculo de Poesía, Centro Cultural Tina Modotti, Otata, e il blog di Primož Sturman. Collabora con la rivista di poesia Mosse di Seppia e fa parte della redazione di Kotodama.
Naomi Cavaliere. Nata a Napoli nel 1995, ha conseguito la laurea magistrale in Lingue e Culture dell’Asia e dell’Africa con specializzazione in lingua e cultura giapponese all’Università di Napoli L’Orientale. Nel 2019 ha svolto un anno di scambio alla Tokyo University of Foreign Studies di Tokyo. I suoi ambiti di ricerca riguardano gli studi folcloristici, i gender studies e la letteratura contemporanea femminile giapponese. Ha insegnato sia in Giappone che in Italia e sogna di diventare una professoressa. Innamorata della lingua giapponese fin dall’infanzia, ha sviluppato un forte legame con la produzione musicale del Paese trovando nelle canzoni un utile strumento di studio. Per Kotodama segue la rubrica musicale Kitsune Records, dove propone playlist tematiche e traduzioni di testi di singoli particolarmente significativi.
Giada Zaccardi. Nata a Roma nel 1986, è laureata in giurisprudenza e ha conseguito l’abilitazione di avvocato. Durante l’esercizio della professione intraprende lo studio della lingua giapponese, che deciderà di proseguire iscrivendosi alla laurea magistrale in Lingua, economia e istituzioni del Giappone all’università “Ca’ Foscari” di Venezia. Nel 2019 fonda il progetto の ど nodo (www.nodonodo.com e su Instagram: @nodo_no_do), per promuovere la diffusione delle lingua e della cultura giapponese in Italia. Attraverso questo progetto organizza numerosi eventi, tra cui Tokyo art in Rome nel 2019, e impartisce lezioni di lingua e cultura giapponese. Per Kotodama segue la rubrica Kotobar, approfondendo termini peculiari della lingua giapponese.
Alessia Trombini. Nasce nel 1994 ed è laureata in lingua giapponese presso l’Università di Venezia Ca’ Foscari. Dal 2018 scrive per il sito d’informazione generalista Stay Nerd nel ruolo di caposezione per Anime, Manga e Giappone e conduce il podcast Japan Wildlife.
Dal 2021 collabora alla redazione di Kotodama con la sua rubrica Kotodama in gioco, nella quale consiglia giochi da tavolo rigorosamente a tema Giappone e che si possono trovare insieme a tanti altri anche sul suo profilo IG @orient_ale94.
Giada Palumbo. Nata a Bolzano il 12 Marzo del 1992, ha sempre avuto una grande passione per la moda e la grafica. Trasferitasi in Giappone dopo la laurea in Fashion Design, trova lavoro come designer di stampe in una piccola azienda nelle campagne di Kyoto. Nel 2021 crea Komorebi, una piccola realtà che progetta grafiche per eventi e brand. Per Kotodama si occupa delle copertine e delle grafiche.
Sara Odri. Nata a Frosinone nel 1993. Si è laureata in Lingue e Civiltà Orientali in lingua giapponese presso La Sapienza di Roma. Nel 2019 ha vinto una borsa di studio che le ha permesso di frequentare per un anno l’Università Tohoku. Lì ha focalizzato la sua ricerca sugli autori bilingue giapponesi, in particolare Yoko Tawada e Minae Mizumura. Attualmente è iscritta al Master in Traduzione giapponese dell’Università La Sapienza.
Alessia Landolfi. Nata a Sorrento nel 1996. Si laurea nel 2019 in Scienze della Comunicazione conseguendo in contemporanea un diploma di Cinema d’Animazione presso l’Accademia Nemo di Firenze. Inizia un percorso magistrale in Design, Comunicazione Visiva e Multimediale presso La Sapienza. Nel 2020 ha vinto una borsa di studio che le ha permesso di studiare per un semestre a Zagabria, in Croazia. Si laurea a dicembre 2021 con un progetto animato sull’inquinamento marino. Ha la passione per l’arte, la grafica e l’animazione. Nel tempo libero si dedica alla sua pagina Instagram @alesh_art e al suo portfolio. Si occupa dell’impaginazione grafica di Kotodama.
Chiara Zennaro. Nata a Bologna nel 1996 ma cresciuta a Chioggia (VE). Nel 2014 inizia una laurea in Studi Cinematografici e Scienze della Comunicazione al King’s College London. Si trasferisce in Giappone nel 2019 per uno scambio all’università di Kyoto dove consegue la laurea nell’agosto 2020. Ora vive e lavora a Tokyo come aiuto regista (AD) per la TBS, una stazione televisiva giapponese. Cinefila con una passione per le lingue, per Kotodama si occupa della rubrica sul cinema giapponese Akushon!
Kotodama è un’idea che nasce l’estate del 2020, da una conversazione tra Carmen Borrelli e Dafne Borracci.
In un contesto internazionale che vede il sapere assumere forme sempre più fluide, lo scopo della redazione è quello di incoraggiare, anche attraverso i social, lo scambio di discorsi tra persone impegnate in uno studio continuativo di lingua e letteratura giapponese.
Attraverso le rubriche cerchiamo di cogliere diverse sfaccettature della cultura giapponese, dagli aspetti più gradevoli a quelli più ambigui e problematici.
La pubblicazione è a cadenza trimestrale.
Per mettersi in contatto con la redazione è possibile scrivere a: kotodama.rivista@gmail.com.