DIC 2020 NUMERO 0 コトダマ
KOTODAMA Femminismo in Giappone
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La Luna e le Pile Un professore anziano e una ex-allieva si trovano per caso a bere nello stesso posto. Non hanno in comune solo i gusti, ma, come scrive Kawakami Hiromi nel primo capitolo del romanzo La cartella del Professore, simile è il loro ritmo, il temperamento. Finiscono per bere un tè nel disordinato salotto del professore, parlando di obentō e teiere accumulati durante i suoi viaggi passati, delle pile elettriche esauste che non riesce a buttare, della moglie ormai scomparsa che, come Sei Shōnagon, non conosceva mezze misure. Il Professore recita poi alcune poesie, come immerso nella sua stessa voce. Fuori la luna è coperta e poi scoperta dalla nebbia. L’atmosfera che emerge nella prosa di Kawakami Hiromi sembra evocare la credenza secondo cui ogni parola scritta o pronunciata ad alta voce abbia un potere misterioso e quasi magico. Kotodama significa questo, è “lo spirito della parola”. Koto vuol dire “parola”, “parlare”, mentre dama si riferisce ad “anima”, “spirito”. Come scrive Adriana Boscaro nell’introduzione a Letteratura giapponese (Piccola Biblioteca Einaudi, 2005) «Alla lingua giapponese, considerata in possesso di poteri evocativi magico-sacrali, era delegata la redazione della scrittura privata perché meglio sapeva rendere le sfumature, il non detto, gli stati d’animo». Il progetto Kotodama nasce dunque dall’esigenza di dare spazio ad alcuni discorsi in sospeso, alle parole di cui oggi si sente la necessità. Il numero zero, a partire dalla copertina, si concentra sul tema del femminismo. Secondo una leggenda, la dea del Sole avrebbe dato origine al Giappone. Per le donne giapponesi, tuttavia, sembra che il sole non sia mai davvero sorto. L’illustrazione realizzata da Giorgia Lombardo è un richiamo alla copertina del primo numero di Seitō, la prima rivista giapponese femminista apparsa nel 1911. Abbiamo voluto rielaborare il design di Naganuma Chieko, che esprimeva l’entusiasmo dell’epoca nei confronti dell’Occidente e le sue forme. La donna dal profilo greco – forse una divinità – indossa fermagli sontuosi e quello che ricorda un peplo. La femminilità espressa attraverso questo linguaggio visivo sembra superare limiti di tempo, spazio e alfabeti. Non appartiene a nessun canone, ha piuttosto la grazia delle cose eterne. Questo numero ospita gli haiku di Sugita Hisajo e le filastrocche di Kaneko Misuzu nella rubrica di traduzioni inedite Sura Sura, che vuol dire “tutto d’un fiato”. Un’analisi dell’opera che ha rinnovato il tanka, Midaregami di Yosano Akiko, è presente nella rubrica di poesia Tsuyu, “rugiada”. C’è poi una recensione del recente caso letterario Seni e Uova di Kawakami Mieko, l’intervista a Inari Books, che ci parla del memoir Black Box di Ito Shiori. È presente il racconto originale Il Salice che guarda indietro che prende ispirazione dal quartiere Yoshiwara e dalle sue protagoniste. In Manga café si parla de La principessa Zaffiro di Tezuka Osamu e Lady Oscar di Ikeda Riyoko, e di come questi nuovi modelli di femminilità siano stati il punto di riferimento per una generazione. Abbiamo cercato di rintracciare im3
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magini del dissenso femminile nei film Tarda Primavera di Ozu Yasujirō e Perfect Blue di Kon Satoshi. Il titolo della rubrica kotobā è un gioco di parole: da kotoba, “parola” e bā, che significa “bar”. L’idea è quella di un piccolo bar nel quale si chiacchiera a proposito delle parole. Abbiamo pensato poi di raccontare degli episodi di vita quotidiana a Osaka e includere uno spazio dedicato alle ricette di obentō. In Kotodama in libreria, abbiamo infine elencato alcune uscite editoriali legate ai temi trattati e che consigliamo caldamente. Nella speranza di riuscire a trasmette a chi legge il significato di kotodama, nelle pagine che seguono cerchiamo di dare spazio al potere nascosto delle parole, alla loro infinta ombra nel quotidiano. Vi auguriamo una buona lettura.
- La Redazione
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La redazione Kotodama - Numero 0 - Anno 1 - Cadenza Trimestrale Direttore editoriale Carmen Borrelli Dafne Borracci Redattori Carmen Borrelli Dafne Borracci Damiana De Gennaro Donatella Principi Eleonora Badellino Giada Zaccardi Guendalina Fanti Stefania Sabia A questo numero hanno partecipato Barbara Gazzea Marianna Zanetta di Inari Books Ozumi Asuka Illustrazioni e grafica Giorgia Lombardo Impaginazione e grafica Giulia Licciardello Proofreading Giulia Licciardello Coordinamento editoriale Carmen Borrelli Dafne Borracci Damiana De Gennaro Giulia Licciardello La copertina è realizzata da Giorgia Lombardo @midoriart8 Segui Kotodama su
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Sommario Strawberry shortcake e specchi rotti: immagini di dissenso femminile nel cinema giapponese 8 Pesci, api e pulcini: filastrocche scelte di Kaneko Misuzu
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Da “buona moglie” a eroina: l’emancipazione femminile nei manga 17 “Tutte le donne che erano addormentate – sono ora sveglie e si stanno muovendo”
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Black Box: Cronaca di uno stupro
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L’età della fioritura: la scrittura del corpo come emancipazione nella poesia di Yosano Akiko 26 Il femminismo in pausa pranzo
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Seni e Uova di Kawakami Mieko: un viaggio nella condizione femminile giapponese
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Kabocha Korokke
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Lacci e farfalle: haiku scelti di Sugita Hisajo 39 Il Salice che guarda indietro
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Kotobā
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Kotodama in Libreria
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Hajimemashite
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Riferimenti bibliografici e ringraziamenti
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Strawberry shortcake e specchi rotti: immagini di dissenso femminile nel cinema giapponese A CURA DI Damiana
De Gennaro
In una società patriarcale e incline al conformismo, le donne sono davvero libere di determinare il proprio destino? Se l’espressione del dissenso viene considerata una dimostrazione di egoismo, cosa succede all’identità degli individui? In questo articolo cercherò di esplorare questi temi attraverso Tarda Primavera di Ozu Yasujirō e Perfect Blue di Kon Satoshi. «That’s my bad, that’s my bad, no one taught them not to grab Now, the boys want a taste of the strawberry shortcake» - Strawberry Shortcake, Melanie Martinez
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, il periodo dell’occupazione del Giappone da parte degli americani (1945-52) si distingue per alcune profonde trasformazioni politiche e sociali. La nuova Costituzione, promulgata nel 1946, sancisce l’uguaglianza fra i sessi, e una nuova legge elettorale conferisce alle donne il diritto di voto. Come si legge ne Il Giappone moderno di Elise K. Tipton, con l’abolizione dello ie, il sistema di norme familiari che dall’inizio del secolo aveva istituzionalizzato l’autorità patriarcale, si registra un notevole miglioramento dello status giuridico femminile. Tale cambiamento decreta la parità dei diritti nel matrimonio, nella famiglia, nell’educazione e sul posto di lavoro. Il processo di emancipazione femminile, tuttavia, si realizza in modo più astratto che concreto. L’aspettativa sociale riassunta nell’espressione “buona moglie, saggia madre” elaborata in epoca Meiji, e l’ideale estetico della yamato nadeshiko, sono solo alcuni degli elementi che si oppongono a un’autentica liberazione delle donne dallo sguardo della società patriarcale. Lo sguardo, in quanto fondamento della rappresentazione e delle immagini, non è mai ingenuo, e si lega indissolubilmente alla questione dell’identità. In Tarda Primavera, un film del 1949 diretto da Ozu Yasujirō, la narrazione ha luogo tra gli stratificati interni domestici, le architetture in legno di
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Kamakura e talvolta a Tokyo, il cui aspetto urbano si lega all’incalzare della modernità. Tale contrasto non si limita alle ambientazioni, ma emerge nettamente in alcuni personaggi, che agiscono come simboli a confronto: la giovane Aya appena divorziata compare sempre con indosso abiti occidentali, mentre le zia Masa sfoggia una mentalità conforme ai vecchi valori in abiti rigorosamente tradizionali. Su una sola cosa Aya e la zia Masa, comunque, non hanno dubbi: Noriko, la protagonista di ventisette anni, deve sposarsi al più presto, anche se non ne ha voglia. La quotidianità trascorsa accanto al padre vedovo è per Noriko una forma speciale di libertà, ma il suo disinteresse nei confronti del matrimonio devia dai valori sociali condivisi. C’è un momento, nel corso della narrazione, in cui Noriko mostra apertamente il proprio sconforto: rifugiatasi da Aya in cerca di comprensione, le
viene invece servita una porzione di strawberry shortcake insieme al consiglio, ricorrente come un disco incantato, di sposarsi al più presto. Il rifiuto, definito da Aya “isterico”, della shortcake potrebbe essere un’allusione alla metafora ricorrente in ambito giapponese secondo cui le donne sarebbero come le torte di Natale: passati i venticinque, da considerare inutili e indesiderabili. Le pressioni si fanno via via più martellanti, fin quando a Noriko non rimane che mettere da parte il proprio concetto di felicità per adattarsi al matrimonio combinato che le viene proposto. Noriko non è un personaggio dal significato simbolico: si tratta piuttosto del ritratto di una creatura originale e astratta, malinconica nel suo non appartenere né al mondo delle mode occidentali, né a quello che tradizionalmente spinge le donne a sposarsi per necessità più che desiderio. In M Train, Patti Smith descrive come “trasparente” il sorriso che Setsuko Hara dona al personaggio di Noriko. Nella scena del giro in bicicletta sulla costa di Kamakura, infatti, il sorriso dell’attrice appare iconico, proprio come l’insegna pubblicitaria della Coca-Cola in mezzo al paesaggio rurale. Innumerevoli paradigmi politici, sociali ed estetici separano gli anni 50 di Tarda Primavera dagli anni 90 di Perfect Blue. L’ideale della yamato nadeshiko, che può essere intravisto nella figura fine di Setsuko Hara, è progressivamente sostituito da nuove immagini di femminilità. Se da un lato alcuni manga e gli anime sembrano promuovere l’immagine della donna-eroina, emancipata e in grado di combattere, l’immaginario della maid, sorridente e pronta a servire il proprio “padrone”, non può d’altra parte passare inosservato. Ancora diverso è il caso della idol, il cui ruolo di performer si lega alla caratteristica di una presunta verginità. La cantante è tenuta dal proprio contratto ad apparire single, innocente e inviolata, affinché i fan possano sentirsi autorizzati a desider-
arla, pagare un biglietto per stringerle la mano. La tensione fra identità e performance anima la struttura di Perfect Blue, un film d’animazione del 1997, diretto da Kon Satoshi e basato sull’omonimo romanzo di Takeuchi Yoshikazu. L’ambientazione urbana, la narrazione sofisticata e la visuale realistica d’insieme hanno spinto i critici a valutare l’opera di Kon più vicina al cinema tradizionale che alle opere degli altri grandi dell’animazione. Perfect Blue esprime sin dalla prima sequenza la propria ossessione per il problema della percezione, dell’illusione e dell’identità, specialmente in relazione all’universo femminile. Mima Kirigoe è una ventunenne di provincia, trasferitasi a Tokyo con l’obiettivo di cantare. La narrazione si apre con un’esibizione che la vede muoversi in costume da idol su un palco circondato da un pubblico maschile, e annunciare infine che quello sarebbe stato il suo ultimo spettacolo. L’agenzia di intrattenimento per cui lavora, infatti, progetta di modificare la sua immagine pubblica, al fine di offrire alla ragazza una prospettiva di carriera come attrice. L’alternanza delle scene in cui Mima si esibisce nei panni da idol e quelle che la vedono impegnata in attività ordinarie, come prendere il treno o fare la spesa, creano sin
dall’inizio una senso di spiccata ambiguità. Le tinte della narrazione si fanno più cupe – tanto da spingere i critici a definire il film come appartenente al genere urban gothic – nel momento in cui Mima accetta di 9
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w recitare in una scena di stupro, pur di accontentare i suoi agenti. L’esperienza si rivela traumatica, e porta Mima a cadere in uno stato di psicosi. Lo sguardo degli uomini, sia che si tratti di agenti ai piani alti o del pubblico, ancora una volta si nutre del corpo della donna come se si trattasse di una fetta di torta. Gli specchi che riflettono l’immagine della ragazza, infatti, mostrano il suo doppio che la perseguita con ancora indosso i panni della idol. Attraverso il dispositivo meta-narrativo delle scene di recitazione, brillantemente legate a scene di sogno e scene che mostrano la realtà, il mondo materiale è mostrato come indistinguibile da quello della performance. Un’altra figura femminile indispensabile per la comprensione del film è quella della manager Rumi, che nutre verso Mima un’ossessione pari a quella del suo fan più accanito. A sua volta idol quando era giovane, Rumi ha un atteggiamento materno e protettivo nei confronti della ragazza. Nel momento in cui Mima viene stuprata in diretta, infatti, la vediamo fumare e piangere, per poi allontanarsi. Se Mima reagisce all’evento traumatico perdendo il senso della realtà, lo stesso genera in Rumi una furia organizzata e distruttiva. Spinta da una iper-imme-
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desimazione in Mima, la donna prende ad assassinare tutti gli uomini responsabili dell’accaduto, con la cura particolare di cavare loro gli occhi. L’ultima vittima di Rumi è Mima, in quanto sembra che la donna, ai limiti della follia, voglia impossessarsi dell’immagine stessa della ragazza. Mima tuttavia riesce a sfuggire alla donna, che rimane in fin di vita dopo essere caduta sui frammenti di uno specchio. Rumi viene successivamente ricoverata in un ospedale psichiatrico, e il film si conclude con Mima che va a trovarla portandole dei fiori, avendo finalmente riguadagnato l’unità con se stessa. Come suggerisce Susan Napier nel suo articolo «Excuse Me, Who Are You?»: Performance, the Gaze and the Female in the Works of Kon Satoshi, uno dei punti di forza del film consisterebbe nell’accendere la luce su alcune criticità della società giapponese contemporanea, ma allo stesso tempo essere un sottile studio su come trovare se stessi in una realtà postmoderna, in cui illusioni e materialità coincidono in modi che minacciano l’autonomia degli individui.
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Pesci, api e pulcini: filastrocche scelte di Kaneko Misuzu L’autrice
a cura di Dafne Borracci
Kaneko Misuzu (1903-1930) è stata una poetessa di filastrocche per bambini. Durante la sua vita, sebbene abbia ricevuto numerosi riconoscimenti in ambito letterario, le sue opere sono rimaste pressoché sconosciute al grande pubblico. Solo nel 1984 le sue filastrocche vengono riscoperte dall’autore di letteratura per l’infanzia Yazaki Setsuo, che decide di ripubblicarle. A distanza di più di cinquant’anni dalla morte di Kaneko, i lettori giapponesi restano letteralmente incantati dai suoi versi, tanto che appena un anno dopo una delle sue poesie sarà addirittura inclusa nell’esame di ammissione all’Università di Tokyo, la più importante e prestigiosa del Paese.
Dietro il talento letterario di questa poetessa, tuttavia, si cela una vita difficile e piena di amarezze. Kaneko Misuzu, pseudonimo di Kaneko Teru, nasce a Senzaki, una città di cacciatori di balene nella prefettura di Yamaguchi nel 1903. Suo padre all’epoca è direttore in una succursale estera della libreria Kamiyama, gestita dalla cognata (zia di Misuzu). La succursale si trova a Yingkou, in Cina. Tuttavia, l’uomo morirà sotto circostanze del tutto inaspettate quando Misuzu ha appena tre anni. Dopo varie vicissitudini e lutti familiari, Kaneko e sua madre si trasferiscono a Shimonoseki insieme allo zio proprietario della libreria Kamiyama. È qui che, nel 1926, Kaneko sposerà il primo commesso della libreria, Miyamoto Hiroki, dal quale avrà anche una bambina. Tuttavia, Hiroki entra presto in conflitto con il fratello di Kaneko e per questo l’atmosfera alla libreria Kamiyama si fa tesa e alla fine l’uomo viene scacciato. Kaneko, nel suo ruolo di moglie, ha il compito di obbedire a Hiroki il quale, preso dallo sconforto e dalla disperazione, arriva a proibirle di pubblicare le sue poesie e di avere qualsiasi contatto con i suoi amici letterati. Come se non bastasse, l’uomo frequenta varie donne, contrae la gonorrea e finisce con il contagiare anche la moglie. La colpa della malattia ricade sull’innocente Kaneko, a cui viene imposto il divorzio. Lei accetta, a patto che il marito le lasci la bambina: all’epoca, infatti, dopo il divorzio le madri perdevano qualsiasi diritto sui figli. Hiroki in un primo momento accetta, ma poi si rimangia la parola data. È una fredda giornata di inizio marzo quando Kaneko si reca nello studio fotografico della sua città per farsi fare un ritratto. Un paio di giorni dopo scrive un messaggio in cui chiede che la figlia venga affidata alle cure della propria madre; poi si uccide, a soli ventisei anni, ingerendo una massiccia dose di veleno.
L’opera
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Oggi le filastrocche di Kaneko Misuzu sono conosciutissime in tutto il Giappone: compaiono nei libri per bambini, sui giornali e addirittura in televisione e in radio, dove sono state trasformate in canzoni nei pro-
grammi rivolti ai più piccoli. Il loro successo non risiede soltanto nel ritmo e nelle immagini che evocano: tra i suoi versi, Kaneko ha nascosto un messaggio forte e sempre attuale. Cresciuta in riva al mare, Kaneko aveva sviluppato un profondo amore per la natura, rafforzato ancora di più dalla fede buddhista. Nelle sue filastrocche, Kaneko spalanca gli occhi sulle meraviglie delle piccole cose ed esprime il suo amore e la sua compassione incondizionati verso ogni creatura, anche la più piccola e insignificante. La filastrocca 大漁, Il grande pesce, fa riflettere sul paradosso della vita umana, che per continuare a esistere non può fare a meno di distruggere altre vite. La morale buddhista è evidente anche in altri componimenti come ad esempio Verso la luce, Il loto e il pulcino e L’ape e Dio. In ogni caso, in ogni sua filastrocca batte un cuore pulsante e vivace, che va al di là di qualsiasi credo religioso e riesce a emozionare i lettori di tutte le età. Sembra impossibile che una persona tanto innamorata della vita si sia potuta suicidare ad appena ventisei anni. La teoria più accreditata è che quello di Misuzu sia stato un atto di ribellione e di disprezzo nei confronti di un marito che le aveva negato qualsiasi forma di rispetto e di compassione: in un’epoca in cui alle donne ancora non veniva permesso di decidere come vivere, Kaneko Misuzu avrà pensato che non le restava alcuna libertà, se non quella di decidere come morire.
たいれふ
大漁 あさやけこやけ
朝焼小焼だ たいれふ
大漁だ おほばいわし
大羽鰮の たいれふ
大漁だ
Il grande pesce Rosso mattino, scaglie di pesciolino. Una sarda grande e fresca, il bottino della pesca. Sulla battigia si fa festa… ma nel mare, migliaia di sarde stan celebrando un funerale.
まつ
はま
濱は祭りの やうだけど
海のなかでは なんまん
何萬の いわし
鰮とむらひ
するだらう。
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Curioso
不思議 私は不思議でたまらない、 ぎん
黒い雲からふる雨が、
銀にひかつてゐることが。 私は不思議でたまらない、 くは
青い桑の葉たべてゐる、 かひこ
蠶が白くなることが。
私は不思議でたまらない、 ゆふがほ
たれもいぢらぬ夕顔が、 ひら
ひとりでぱらりと開くのが。 私は不思議でたまらない、 誰にきいても笑つてて、 あたりまへだ、といふことが。
蜂と神さま 蜂はお花のなかに、 お花はお庭のなかに、 どべい
お庭は土塀のなかに、 土塀は町のなかに、 町は日本のなかに、 日本は世界のなかに、
Che cosa curiosa è la pioggia che da nuvole nere cadendo riluce e risplende d’argento. Curiose le bombici del gelso che banchettan con foglie verdi ma restano bianche di gesso. Curiosa la bella di giorno: da sola si apre frusciando quando nessuno le ronza attorno. Ma i più curiosi sono coloro che scoppiando a ridere fanno: “È così punto e basta, perché tanto affanno?”
L’ape e Dio C’è un’ape dentro un fiore, un fiore dentro un giardino, un giardino dentro il quadrato di un muricciolo di terra, un muricciolo di terra dentro una città, una città dentro il Giappone, il Giappone dentro il mondo, il mondo dentro Dio.
世界は神さまのなかに。 さうして、さうして、神さまは、 小ちやな蜂のなかに。
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E poi... poi c’è Dio dentro una minuscola ape.
星とたんぽぽ 青いお空の底ふかく、 海の小石のそのやうに、 夜がくるまで沈んでる、 晝のお星は眼にみえぬ。 見えぬけれどもあるんだよ、 見えぬものでもあるんだよ。 散つてすがれたたんぽぽの、 瓦のすきに、だァまつて、 春のくるまでかくれてる、
La stella e il soffione Come pietruzza sul fondo del mare turchino fino al tramonto non si vede la Stella del Mattino. Anche se non si vede, c’è eccome! Quel che non si vede, c’è eccome! Nel vento il soffione, senza regole, si posa in silenzio in mezzo a due tegole. Nascosto, la primavera aspetta ma le sue forti radici, nessun le sospetta. Anche se non si vedono, ci sono eccome! Quel che non si vede, c’è eccome!
つよいその根は眼にみえぬ。 見えぬけれどもあるんだよ、 見えぬものでもあるんだよ。 私と小鳥とすずと わたしが两手をひろげても、 お空はちつとも飛べないが、 飛べる小鳥は私のやうに ぢべた
はや
地面を速くは走れない。 私がからだをゆすつても、 きれいな音は出ないけれど、 あの鳴る鈴は私のやうに たくさんな唄は知らないよ。 鈴と、小鳥と、それから私、 みんなちがつて、みんないい。
Io, l’uccellino e la campanella Spalanco le braccia per spiccare il volo ma neanche di un briciolo mi schiodo dal suolo. L’uccellino che vola, nel cielo, lassù non corre come me, veloce, quaggiù. Anche dondolandomi come un’amaca dal mio corpo non uscirà della musica. La campanella che trilla nell’aria non sa le canzoni che ho imparato a memoria. La campanella, l’uccellino e infine io. Tre piccoli mondi, ugualmente stupendi.
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明るい方へ
Verso la luce
明るい方へ
Verso la luce, verso la luce! “Verso il punto in cui il sole splende, anche solo con una foglia”, pensa l’erba nell’ombrosa boscaglia.
明るい方へ。 ひ
一つの葉でも も
陽の洩るとこへ。 藪かげの草は。 明るい方へ 明るい方へ。 こ
ひ
翅は焦げよと
灯のあるとこへ。 夜飛ぶ蟲は。 明るい方へ
Verso la luce, verso la luce! Finanche a scottarsi le alette, incontro alle lanterne van gl’insetti notturni. Verso la luce, verso la luce! Pozzanghere di sole tra palazzi e oscurità: ne son sempre alla ricerca i bambini di città.
明るい方へ。 一分もひろく さ
日の射すとこへ。 まち
都會に住む子等は。 蓮と鷄 泥のなかから 蓮が咲く。 それをするのは 蓮ぢやない。 卵のなかから とり
鷄が出る。 それをするのは とり
鷄ぢやない。 それに私は 氣がついた。 それも私の
せいぢやない。 16
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Il loto e il pulcino Il loto sboccia dal fango. Ma se ci riesce, non è merito del loto. Il pulcino nasce dall’uovo. Ma se ci riesce, non è merito del pulcino. Io me ne sono accorta. Ma neanche questo è merito mio.
Manga Café
Da “buona moglie” a eroina: l’emancipazione femminile nei manga a cura di Donatella Principi
Scrivere e disegnare fumetti è sempre stato un mestiere da uomini, anche nel caso di opere destinate a un pubblico femminile. Nell’articolo che segue si parlerà dei primi passi di svolta nel manga, dalle prime autrici che si sono fatte strada nel settore a una rappresentazione femminile nuova e meno stereotipata. Fino agli anni 70 il ruolo di mangaka era quasi esclusivamente maschile e anche i fumetti per ragazze e donne, shōjo e josei, venivano scritti da uomini. Queste opere erano volte a valorizzare principalmente la purezza e la capacità di sopportare le difficoltà con dignità. Infatti questi fumetti iniziavano generalmente con una disgrazia che la protagonista doveva affrontare per ritrovare la felicità e rappresentavano il classico esempio di “buona moglie e madre”. Fra i primi grandi autori appare Tezuka Osamu ed è proprio Tezuka a scrivere una delle prime serie con tematiche femministe. La principessa Zaffiro, pubblicato fra il 1953 e 1956, è ambientato in un universo fiabesco e vede per protagonista una giovane principessa che finge di essere un maschio per poter ereditare il trono. Le donne infatti non ne avevano diritto. Se da una parte La principessa Zaffiro sembra seguire i tipici stereotipi dell’epoca in cui la donna è associata a dolcezza e debolezza mentre l’uomo è simbolo di forza e indipendenza, dall’altra smonta queste rappresentazioni. Zaffiro è probabilmente la prima eroina a farsi strada in una società maschilista. Nei primi anni 70 si ha una svolta nel fumetto giapponese con l’avvento del Gruppo del ’24, un gruppo di fumettiste che hanno scelto di chiamarsi così perché quasi tutte sono nate nell’anno 24 dell’era Showa. Questo gruppo rivoluzionò totalmente il genere shōjo venendo finalmente incontro alle lettrici del genere che non si sentivano pienamente rappresentate dai mangaka uomini. Alcuni saggisti e scrittori inseriscono in questo gruppo Ikeda Riyoko, una delle autrici più famose e apprezzate dal grande pubblico. La sua Oscar è un’altra figura femminile molto simile a Zaffiro, ma decisamente più matura e consapevole.
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Lady Oscar si ispira alla biografia di Maria Antonietta scritta da Stefan Zweig e racconta in maniera dettagliata la vita nella corte di Versailles e gli anni della rivoluzione francese del 1789. Oscar ha rappresentato molto non solo per l’autrice, ma anche per l’intera società giapponese perché ai tempi le donne potevano lavorare solo fino al matrimonio e poi venivano lasciate a casa. Come dichiara l’autrice in un’intervista a Romics 2010, Lady Oscar «è stata un simbolo anche per chi disegnava in un’epoca in cui per una donna era difficile affermarsi. Oscar era la donna che seguiva il proprio destino, creava il proprio destino a sua scelta e si rendeva indipendente». Negli stessi anni di Lady Oscar hanno fatto la loro apparizione altri manga scritti da donne come Candy Candy di Mizuki Kyōko con una forte impronta femminista. Con questi titoli inizia a farsi strada il primo femminismo in Giappone rappresentando un modello di donna molto diverso da quella che abbandona il lavoro una volta sposata per fare la casalinga. È in questi personaggi che le giapponesi iniziano a immedesimarsi, soprattutto quelle osteggiate sul posto di lavoro. Un’altra icona femminista si trova in Nausicaä della Valle del vento scritto e disegnato da Miyazaki Hayao e pubblicato a intermittenza dal 1982 al 1994. Principessa guerriera molto amata dal suo popolo, Nausicaä vive in un piccolo regno in un mondo post apocalittico. Nausicaä non è solo una guerriera ma anche una scienziata: analizza e studia il suo territorio raccogliendo campioni dalle zone tossiche. È la principessa che si salva da sola, che si fa strada nel mondo con molta forza, tenacia e umiltà. Non ha bisogno di fingersi un uomo né necessita di un compagno al suo fianco. Non viene mai sminuita per il suo essere donna e quelle caratteristiche spesso etichettate come femminili, come ad esempio l’empatia e la compassione, rappresentano un grandissimo punto di forza che le permetteranno di salvare il suo popolo. Alcune di queste donne per potersi affermare ed essere rispettate sono state costrette a indossare abiti maschili perché diversamente non sarebbero state prese sul serio, ma hanno avuto un forte impatto sul pubblico e mostrato finalmente un’alternativa al classico modello di donna dedita alla famiglia la cui unica ambizione era essere una buona moglie e madre. A oggi tante sono le eroine che sono apparse fra le pagine manga, una delle opere più famose è sicuramente Pretty Guardian Sailor Moon di Takeuchi Naoko uscito negli anni 90, e le mangaka sono più numerose non solo in ambito shōjo. Ci sono tante autrici che non hanno nulla da invidiare ai colleghi uomini, anche se la strada per la parità è ancora lunga.
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“Tutte le donne che erano addormentate – sono ora sveglie e si stanno muovendo” a cura di Carmen Borrelli
Così scriveva Yosano Akiko nel numero di apertura di Seitō, primo editoriale femminista giapponese, pubblicato per la prima volta nel 1911. Ma perché il Giappone, che nasce come società matriarcale, si è presto dimenticato delle donne? In questo articolo cercheremo di tracciare, a grandi linee, la storia della letteratura femminile giapponese fino a oggi, focalizzandoci su alcune autrici in particolare. Alla corte giapponese del periodo Heian (794-1185), le donne, escluse dalla maggior parte della vita politica, erano invisibili al punto tale da non avere neanche un nome proprio – prendevano, infatti, il nome del marito o della parte del castello imperiale che abitavano; non veniva insegnato loro il kanbun, la scrittura di origine cinese in vigore in Giappone prima degli alfabeti, usata esclusivamente per i documenti ufficiali. Lasciate ai loro doveri e prive di qualsiasi formazione classica, le donne trovarono un altro modo per comunicare. Corsivizzando i caratteri cinesi, cominciarono a utilizzare i kana, antenato dell’hiragana. Questa scrittura si chiamava proprio onnade – mano femminile. È questo uno dei rari momenti, se non l’unico, come sottolinea Giorgio Amitrano nell’introduzione al Genji Monogatari, in cui le donne abbiano vantato il privilegio di avere una scrittura “tutta per sé”. Divenne presto il modo per comunicare in forma privata: l’onnade era la scrittura di diari, lettere e, soprattutto, dei primi monogatari. E se, come abbiamo appena visto, inizialmente questa scrittura era ad appannaggio esclusivamente femminile, non passò molto tempo prima che anche gli uomini iniziassero a usarla.
ad alcune poesie e stralci del suo diario, è proprio il Genji monogatari, considerato il primissimo romanzo psicologico, precursore della nascita di tale genere di almeno sei secoli. Dalla fine del periodo Heian, però, la storia della letteratura femminile sembra arrestarsi. È sì vero che alcuni studi recenti hanno portato alla luce i kanshi scritti da alcune donne del periodo Edo (16031868): Ema Saikō (1787-1861), Hara Saihin (17981859) e Takahashi Gyokusho (1802-1868). Queste donne, del tardo periodo Edo, hanno coltivato la loro passione e si sono costruite la loro reputazione come studiose e poetesse. Tuttavia, le loro opere scritte in cinese sono state sottovalutate per diverso tempo da tantissimi ricercatori. È quindi curioso che il Giappone, nato dal mito della dea del sole Amaterasu, con una letteratura nata dalla mano delle donne, si ritrovi poi a escluderle per secoli, fino all’epoca Meiji (1868- 1912). Con il periodo Meiji, invece, i cambiamenti del Giappone riguardano anche le donne. È il 1911 l’anno della svolta: viene fondata Seitō – Calze blu. Chiamato così per rimandare al giornale londinese Blue stocking, Seitō è stata la prima rivista femminista giapponese interamente redatta e gestita da donne, con a capo Hiratsuka Raicho, e che è rimasta all’attivo da settembre 1911 a febbraio 1916.
Anche di Murasaki Shikibu (973 circa - 1014 circa), autrice del famosissimo Genji monogatari, sappiamo, ad esempio, davvero poco. È conosciuta così per via di una carica ricoperta dal padre (shikibu Per capire l’ambiente editoriale di Seitō basterà cicho, maestro delle cerimonie) e per il nome della tare la frase d’apertura dell’editoriale d’esordio: “In sua eroina principale. Quello che ci resta di lei, oltre principio, la Donna era il Sole”. L’obiettivo del gior-
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nale era quello di migliorare le condizioni femminili, dando alle donne uno spazio dove poter pubblicare apertamente i loro lavori, e lottare contro il sistema familiare concepito dal Confucianesimo.
di lasciare una testimonianza se non di fatti reali, almeno della frustrazione che avevano dovuto sopportare le donne del passato dedicando la loro vita al supporto del marito o, peggio, del loro padrone”.
Sotto la guida di Yosano Akiko (1878- 1942), anche una giovanissima Okamoto Kanoko (1889- 1939) prende parte alla rivista, formandosi come poetessa e scrittrice. È sicuramente un’autrice diversa dalle altre: era più interessata a una visione buddhista delle donne, che a una visione sociale vera e propria. Sono sempre le donne ad avere un ruolo dominante nelle storie di questa scrittrice, che siano devote al marito come prevedeva il costume del tempo, o lontane dalla meschinità della gente. In ogni caso, sono donne che hanno un fuoco nel corpo e nell’anima, che incarnano la combinazione di potere e bellezza femminile.
«Dovere ogni giorno, ogni sera vedere la faccia della donna che forse avrebbe sovvertito il suo privilegio di moglie, parlarle come se niente fosse. Come poteva credere che quella fosse una vita giusta e dignitosa? Come avrebbe potuto rispettare e amare un marito superbo e dissoluto che non considerava la sua abnegazione, protratta già da più di dieci anni, e la sua impetuosa passione null’altro che la comoda fedeltà di una serva?».
In Italia, la scrittrice è arrivata nel 2018 grazie a Lindau con Frotte di pesci rossi, un trittico di racconti selezionati e ordinati dalla traduttrice, Yūko Fujimoto. Gli elementi di cui abbiamo parlato prima sono ben ripresi in queste storie, che uniscono una femminilità moderna a una scrittura barocca, quasi ottocentesca. «Com’è strana la vita! A volte non ti è possibile trovare quello che stia cercando quando sei consapevole di cercarlo, ed ecco che all’improvviso ti cade tra le mani, giunto fino a te da un passato dimenticato o rimasto ad attenderti lungo un cammino che non ti aspettavi di dover percorrere».
Dopo Onnazaka, Enchi pubblica un altro romanzo riguardante le sofferenze di una moglie per il sistema patriarcale: Onnamen. A questi due, di solito si unisce anche un’altra opera, Namamiko Monogatari, anche quest’ultimo edito in Italia da Safarà come Namamiko. L’inganno delle sciamane. Quello che lega le tre storie è un forte richiamo al Genji Monogatari e, in particolare, al tema della possessione da parte di uno spirito vivente. Se prima questo fenomeno è stato visto soprattutto alla luce di gelosie represse da parte di donne, più recentemente si è iniziato a vedere la possessione come manifestazione del disagio femminile nella società patriarcale.
E oggi, invece? Oggi sicuramente la letteratura giapponese sta attraversando una nuova fase e, da contemporanei, non siamo ancora in grado di individuare un pattern ben delineato e preciso. Di sicuro, i romanzi di oggi stando dando un ruolo maggiore alle Con Enchi Fumiko (1905-1986) ci spostiamo verso donne, non solo nelle opere stesse, ma anche alle augli anni 60. È con lei che assistiamo a una nuova ri- trici che ci raccontano, ognuno a modo loro, i disagi scoperta dei classici della letteratura Heian: la lette- della vita quotidiana. ratura classica rappresenta una delle principali fonti di ispirazione, non solo per le storie, ma soprattutto Oltre alle ormai affermate Kawakami Hiromi o Yoper le protagoniste femminili. shimoto Banana, da nominare è sicuramente Murata Sayaka, vincitrice del Premio Akutagawa nel 2016 Riguardo alla storia di Onnazaka, pubblicata da Sa- con La ragazza del convenience store edito in Itafarà nel 2017, la stessa Enchi, in occasione del Pre- lia da Edizioni E/O. La protagonista Keiko, 36 anni, mio Noma ricevuto per il romanzo, dice: “alla base vive da sola in un monolocale a Tokyo e da circa 20 della scrittura di Onnazaka c’è una precisa volontà anni è commessa part-time in un konbini, lavoro che 20
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non vuole cambiare. Ma per la società giapponese tutto questo non è normale, nonostante Keiko sembra abbia trovato il suo posto. Cos’è, allora, la normalità? Leggendo di Keiko, ci sentiamo quasi alieni: crediamo, inizialmente, che la sua vita sia piatta, banale, che così non può continuare. Ma quando i suoi familiari si disperano, quando i suoi amici si commuovono non appena sentono di una possibile relazione con Shiraha - rovescio al maschile della protagonista - e quando tutti iniziano a pensare che, allora sì, Keiko sta guarendo, non possiamo fare altro che chiederci: guarire da cosa?
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Black Box: Cronaca di uno stupro intervista a Marianna Zanetta e Ozumi Asuka
Black Box – Cronaca di uno stupro è il primo libro della giornalista Ito Shiori; si tratta di un romanzo autobiografico in cui l’autrice racconta dello stupro subito e della procedura legale che ha portato avanti. L’inchiesta ottiene una grande risonanza, si tratta di una vera denuncia non solo dell’avvenimento in sé ma anche del sistema legale giapponese che non invoglia le vittime di violenze a sporgere denuncia. Il libro arriva in Italia grazie a Inari Books, famosa libreria torinese legata alle pubblicazioni e alla cultura giapponese. Da poco, infatti, la libreria è diventata casa editrice, e Black Box è il loro primo titolo. Abbiamo intervistato Marianna Zanetta, fondatrice della libreria, e Ozumi Asuka, che per Inari Books ha tradotto Black Box.
Ciao Marianna, è un piacere intervistarti per Kotodama. Sappiamo che Inari Books è una realtà abbastanza recente. Raccontaci un po’ com’è nata. L’idea di diventare anche editori era presente sin dall’inizio del progetto? L’editoria è sempre stata un sogno nel cassetto, da quando sono ragazzina. Ma Inari è nata senza questo obiettivo dichiarato: è qualcosa che si è sviluppato, anzi rivelato, nel tempo. Soprattutto, si tratta di una realtà ancora embrionale, con un titolo in corso, e altri in cantiere (di cui vi parleremo più avanti): è una strada lunga, ma che spero ci riserverà molte belle soprese.
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cenda di Ito già in passato; avevamo visto che altri editori europei avevano iniziato a tradurre e a pubblicare il testo, e in modo direi quasi naturale abbiamo pensato che sarebbe stato un progetto prezioso da far arrivare in Italia. Della vicenda di Ito Shiori avevi anche parlato in un video su Youtube, non molto tempo fa. Che impatto ha avuto la vicenda di Ito sull’opinione pubblica giapponese?
Penso che su questa vicenda saprà rispondere meglio Ozumi Asuka (visto l’accesso più immediato alle fonti in giapponese); non è facile definire l’impatto di una vicenda del genere, perché è un caso molto Come mai avete scelto proprio questo titolo come controverso, legalmente ancora aperto, che quindi primo autore giapponese da tradurre e pubblicare? scatena reazioni molto accese sia da chi difende Ito sia da chi le si scaglia contro. Certamente è una viOzumi Asuka e io avevamo iniziato a seguire la vi- cenda che ha fatto emergere in modo più chiaro le
problematiche legali e sociali legate alla violenza di Difficile da dire per diversi motivi. Se pensiamo ingenere in Giappone. vece all’aspetto culturale e sociale, e le conseguenze con cui le vittime di violenza sono costrette a conCredi che l’esperienza di Ito Shiori abbia effettiva- vivere, penso che molte cose sarebbe state simili. mente fatto breccia nella percezione collettiva della La vergogna, il senso di colpa, lo stigma sociale, la grave disuguaglianza sociale? A questo proposito, facilità con cui si tende in ogni caso a incolpare la è possibile parlare di ragionare in termini “pre” e vittima: sono tutte dinamiche sociali che anche noi “post” Ito Shiori? conosciamo bene, nel nostro paese, e che trascendono i confini nazionali rasentando purtroppo l’univerAnche in questo caso rimando a Ozumi, ma penso salità. Tuttavia, dal punto di vista penale, il nostro che si debba fare una distinzione tra l’esperienza di sistema tutela in maniera nettamente maggiore le Ito e il fenomeno #metoo americano. In questo caso, vittime di violenza sessuale, quindi ritengo che una Ito si è trovata sola, in un sistema diverso che ha parte delle difficoltà affrontate da Itō sarebbero state concesso anche meno eco internazionale, ma penso molto attenuate in Italia. che la sua sia stata comunque un’esperienza molto importante per le donne vittime di violenza. Non Grazie Marianna per le tue risposte. Adesso passiasolo per la condivisione dell’evento in sé, ma per mo a Asuka, la traduttrice di Black Box. Grazie anla successiva tenacia nel confronto con un sistema che a te per averci dedicato il tuo tempo. giuridico e sociale (in particolare online) in cui la Iniziamo chiedendoti come viene vista in Giappone vittima si ritrova ad affrontare nuove violenze, su una donna che querela un uomo per violenza sessuale? Si percepisce nel testo originale? È stato possibibase quotidiana. le renderlo nella traduzione? Quella di Ito Shiori è solo una, purtroppo, delle tante storie di violenza sessuale sulle donne in Giappone. In ambito lavorativo, soprattutto, in Giappone le donne hanno delle regole assurde: devono sempre indossare i tacchi, in alcuni luoghi è addirittura vietato indossare gli occhiali. Ci sai raccontare di più a riguardo? Hai qualche esperienza da raccontarci, anche se in maniera indiretta?
Quello che emerge in modo evidente in Black Box, ripetutamente, è come sia non solo complesso, ma anche estremamente umiliante e difficile ottenere giustizia. Ito descrive nel dettaglio tutti i passi compiuti, dalla richiesta di aiuto alla help-line telefonica di una no-profit, fino alla decisione del pubblico ministero di non intraprendere l’azione penale. Ci sono dei passaggi davvero agghiaccianti che si percepiscono chiaramente. Personalmente non ho mai avuto esperienze del ge- Durante la traduzione mi sono informata su come nere, né ho avuto amiche (giapponesi) che hanno ri- funziona la legge anche in altri paesi, ho letto diversi portato eventi di discriminazione sessuale così spin- articoli e quello che mi ha colpita molto non è tanto ta. Certo, spesso si ripropongono dinamiche molto la singolarità della realtà giapponese, quanto l’unifamiliari per cui la donna è quella che in ufficio por- versalità della rape culture, basti pensare ai titoli dei ta il caffè, soprattutto se giovane. Non avendo però quotidiani italiani. avuto esperienze personali o indirette, non mi trovo nella situazione di poter raccontare qualcosa di spe- La prova della violenza, in Italia, può essere lasciata cifico! unicamente alla testimonianza della persona offesa (non essendoci testimoni, di solito, per la natura del Se fosse avvenuta in Italia, quanto e in che modo reato), come funziona in Giappone? L’autrice ha incredi che sarebbe stata diversa la vicenda raccontata contrato qualcuno che capisse il suo sentimento?È nel libro? stato complesso tradurre questi stati d’animo? Oppure la corrispondenza con quelli sentiti anche in 23
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Italia è abbastanza da consentirne la traduzione e la e l’italiano? trasmissione anche emotiva? Sul linguaggio tecnico giuridico mi sono confrontaA seconda dei casi, si procede tempestivamente, se ta con il prof. Colombo, professore di Comparative si compiono i passi corretti, possono essere raccolte Law dell’università di Nagoya, perché alcuni termidelle prove oggettive e ci possono essere dei testi- ni non hanno un corrispettivo in italiano, come per moni. Nel caso di Itō invece il fatto è avvenuto in esempio la “Commissione di controllo del pubblico una stanza chiusa, senza testimoni, è la parola di lei ministero”. Un altro caso particolare riguarda il kancontro quella di lui: per questo il suo caso è stato de- tei: se per Casa Bianca, Downing Street o Eliseo la finito una “black box”. Laddove ci sono delle prove metafora è trasparente, che kantei indica la resideninconfutabili, soprattutto se l’aggressione avviene a za del primo ministro e di conseguenza il governo, opera di una persona sconosciuta, è molto più facile è chiaro solo per gli addetti ai lavori. Alla fine ho ottenere giustizia. Ripeto, non è un fenomeno tipico optato per lasciarlo, inserendo una spiegazione. esclusivo del sistema giapponese, ma un atteggia- “Le traduzioni possono diventare mezzo di diffusiomento molto più diffuso a livello globale. Fatta ecce- ne per neologismi” mi ha detto una persona che stizione per alcuni dettagli in cui una persona italiana mo moltissimo e con cui mi sono confrontata sulla magari fa fatica a riconoscersi, come la ricostruzio- questione. ne di fronte ai poliziotti con dei fantocci, il libro parla dell’esperienza personale di una donna. Tuttavia, Grazie mille Asuka. circoscrivere Black Box al solo Giappone sarebbe un Noi di Kotodama non vediamo l’ora di leggere Black errore: con Marianna abbiamo deciso di pubblicarlo Box e invitiamo i nostri lettori a farlo, e soprattutto, proprio per la sua universalità. Anche quello che è alle vitttime di violenze, di parlare e denunciare. avvenuto in seguito e che avviene tuttora da parte degli haters sui social network che continuano a tormentarla è un fenomeno che si può riscontrare anche in altre realtà. Hai fatto sin da subito una scelta “di campo” nel modo di tradurre (più fedele al testo, più letterale, più “emozionale”...) oppure è venuto man mano che andavi avanti con le pagine? Traduco fumetti da quasi vent’anni e negli ultimi anni ho tradotto anche alcuni titoli di narrativa, ma Black Box è stato molto complicato da tradurre. Ha la forma di un memoir e alterna parti molto emotive e parti invece più oggettive. Trovare il giusto equilibrio senza calcare troppo la mano, laddove forse in italiano ci si aspetterebbe un linguaggio più crudo e più incisivo, non è stato sempre facile. Quali sono (se ce ne sono) i termini con i quali hai avuto più difficoltà e perché? Ad esempio: parole che indicano sentimenti, emozioni oppure il linguaggio tecnico giuridico. Se è possibile, potresti farci qualche esempio, confrontando il giapponese 24
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Ito Shiori. Originaria di Kanagawa, Ito Shiori è giornalista, fotografa e anche filmmaker. Si è laureata a New York nel 2013 e ha lavorato e lavora ancora come reporter freelance per diverse testate note, dalla BBC ad Al Jazeera, al The Economist. A seguito del suo impegno come attivista in merito all’uguaglianza di genere e i diritti delle donne, è stata anche inclusa nel novero delle 100 persone più influenti nel mondo nel 2020 secondo il Time. Parte di questa risonanza è dovuta alla famosa denuncia per stupro del 2017 che Ito ha intentato contro Yamaguchi Noriyuki, giornalista ma soprattutto biografo ufficiale dell’allora Primo Ministro Abe Shinzō. L’esperienza di Ito Shiori è stata il soggetto del suo libro Black Box, pubblicato sempre nel 2017, nel quale la giornalista descrive come il sistema legale giapponese sia non solo inadeguato ma anche volutamente indisponente e superficiale nei confronti delle donne che vogliono sporgere denuncia di violenza sessuale, o anche solo aspettarsi assistenza, protezione o quant’altro. Tant’è che l’esito della prima istanza è stato un non luogo a procedere per mancanza di estremi legali. Ito ha proseguito la sua battaglia, contestualizzandola e focalizzando le carenze della giustizia nipponica, riproponendo la denuncia ma su base civile, ottenendo questa volta un primo riconoscimento di colpa dell’imputato attraverso un risarcimento stabilito dal tribunale di 3,3 milioni di yen. Si tratta solo di un primo grado di giudizio e l’esito non è definitivo. Intanto, però, la battaglia di Ito Shiori ha riscosso un interesse anche a livello mondiale e da novembre 2020 abbiamo anche noi l’opportunità di conoscere direttamente la sua vicenda e la sua inchiesta grazie alla pubblicazione di Black Box con Inari Books e alla traduzione di Ozumi Asuka. Inari Books & Lifestyle è una libreria e negozio di oggettistica giapponese a Torino in Via San Donato 18, fondata da Marianna Zanetta, antropologa di formazione, artista (manga e altro) per ispirazione e appassionata del Giappone. Marianna Zanetta ha al suo attivo diverse pubblicazioni come Bambini d’acqua – I rituali del Mizuko kuyō nel Giappone contemporaneo, ed. FrancoAngeli, 2018, e Tra canti e montagne. Diario di campo tra le sciamane del Tōhoku, ed. Inari Books, 2020. Ozumi Asuka è laureata all’università “L’Orientale” di Napoli, interprete e traduttrice freelance, fondatrice e presidente dell’Associazione CESAO – Centro Studi dell’Asia Orientale. Dal 2017 è Publishing and Licensing Manager di Dynit Manga, tra i molti altri progetti in cui è impegnata, ha tradotto per Inari Books il libro denuncia di Itō Shiori Black Box. 25
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L’età della fioritura: la scrittura del corpo come emancipazione nella poesia di Yosano Akiko a cura di Damiana De Gennaro
La prima raccolta di poesie di Yosano Akiko, Midaregami (1901) segna nella storia letteraria giapponese un momento di grande rinnovamento del tanka. In questo articolo si presenteranno le caratteristiche principali dell’opera, cercando di farne emergere il fascino e l’originalità. 「歌にきけな誰の野の花に紅き否むおもむきあるかな春罪もつ子」 Chiedilo alla poesia: tra i fiori di campo, che rifiuterebbe quelli scarlatti? Come loro è seducente il peccato primaverile di una giovane fanciulla. - Midaregami, Yosano Akiko Nel 1893, in un passaggio del diario Chiri no naka, nella polvere, Higuchi Ichiyō afferma «[...] credo che nel mondo dei treni e delle navi a vapore non sia più possibile restare legati alla vecchia regola delle trentuno sillabe del tanka come a un carro trainato da buoi». Al tempo di questa riflessione, che ben fotografa la tensione dell’epoca fra tradizione e modernità, Midaregami, la raccolta di tanka di esordio di Yosano Akiko, non era stata ancora pubblicata. Midaregami, capelli scomposti appare nel 1901, quando l’ autrice non aveva ancora compiuto ventitré anni. La sensualità del corpo femminile, messa a dialogo con fiori, stelle e divinità, è ritratta al tempo stesso con delicatezza e trasgressione. Immagini riferite alla corporeità come “sangue” e “seno” appaiono per la prima volta nel lessico del tanka. La voce di Yosano Akiko, in un orizzonte culturale che aveva immobilizzato le donne nell’immaginario delle bambole kokeshi, non poteva che generare un sincero stupore, e nei casi peggiori indignazione. L’enigmaticità formale, data da un particolare uso della grammatica, e l’originalità delle immagini suscitarono sin da subito l’ammirazione di molti intellettuali. Anche le critiche, comunque, non tardano a tuonare. Come si legge nel saggio introduttivo a cura di Luca Capponcelli all’edizione italiana di Midaregami, a essere aspramente criticato fu il realismo dell’amore fisico, paragonato alle stampe erotiche, e il linguaggio definito “degno di una prostituta”.
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Per capire l’originalità di Yosano Akiko, è interessante osservare uno tra i suoi modelli di riferimento. In una celebre poesia contenuta nel Kokinshū, e successivamente inserita nel nono libro dello Hyakunin Isshu, Ono No Komachi (825-900), che Ki no Tsurayuki annovera nel canone dei “sei poeti immortali”, paragona la bellezza decadente del suo corpo al colore dei fiori che sbiadisce, isolando il cadere della pioggia e lo scorrere del tempo in una sola, memorabile immagine.
「花の色はうつりにけりないたづらに わが身世にふるながめせしまに」 Scompare il colore dei fiori. Invano guardo cadere gli anni e la lunga pioggia. - Kokinshū, “Primavera”, Ono No Komachi
「海棠にえおなくときし紅すてて夕雨みやる瞳よたゆき」 Il rossetto, invano sciolto, ho gettato ai piedi del melo selvatico. Languido il suo sguardo attraversa la pioggia serale. - Midaregami, Yosano Akiko Come possiamo notare dal confronto di questi due componimenti, nel primo periodo Heian, l’associazione del corpo femminile ai fiori è un tema già presente e celebrato, ma Yosano Akiko non si limita a imitare pedissequamente l’esempio classico. Il tono “scomposto”, quasi impudico che caratterizza la voce di Yosano Akiko, è infatti uno degli elementi che la rendono inconfondibile. 「とき髪に室むつまじの百合のかをり消えをあやぶむ夜の淡紅色よ」 I capelli sciolti in questo felice rifugio tra gigli fragranti. Soffro al pensiero che svanisca il loro rosa notturno.
「乳ぶさおさへしんぴのとばりそとけりぬここなる花の紅ぞ濃き」 Tenendo le mani premute sul seno, con il piede ho delicatamente spinto via il velo del mistero. Quanto è intenso il rosso scarlatto dei fiori che sbocciano qui! - Midaregami, Yosano Akiko
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Come afferma Luca Capponcelli, «[...] Nella tradizione poetica giapponese l’immagine del seno era generalmente associata alla maternità o all’allattamento, o anche epiteti poetici associati all’immagine materna. Per Yosano Akiko la nudità non è più l’oggetto di contemplazione eccitata degli uomini, ma una rappresentazione della bellezza naturale del corpo in cui convengono sensualità, sacralità e soggettività». Tale celebrazione del potere della sensualità femminile contribuì alla concettualizzazione di una “nuova donna” (atarashiki onna) che emergeva dai primi numeri della rivista letteraria femminista Seitō. Un ulteriore elemento di fascino dell’opera di Yosano Akiko, si può individuare nel suo rapporto con le avanguardie europee, che le fu trasmesso nell’ambiente della rivista Myōjō. Lo stile Art Nouveau delle illustrazioni presenti nell’opera, infatti, non solo è espressione della sensibilità estetica della poetessa stessa, ma di un ambiente che faceva dello scambio con l’occidente un’autentica forma di avanguardia.
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日本のほんと
Il femminismo in pausa pranzo a cura di Guendalina Fanti
Si parla spesso di femminismo come movimento sociale e politico, ma quanto è presente nella vita di tutti i giorni? Se si parla di femminismo in terra nipponica, non aspettatevi grandi reazioni. Immagino saprete tutti che già di per sé il Giappone non è un Paese caratterizzato da manifestazioni, proteste e masse con opinioni forti, e infatti si parla poco anche della disparità di genere e il #metoo è arrivato in punta di piedi. Personalmente penso che tutto ciò che ha portato la società giapponese a essere quello che è ora però non può essere ridotto allo stereotipo della “società maschilista e punto”. Possiamo dire che è una società fortemente ingiusta, questo sì, e che assegna diritti, responsabilità e doveri in base al genere e alla classe sociale.
cresciuti dalle mamme mentre i padri lavoravano. I ricordi che hanno sono di lui seduto sulla poltrona mentre lei gli versa una tazza di tè e rassetta la casa. Hanno visto il padre stare giorni in giro per lavoro, tornare la sera a casa stanco e andare a golf con il capo il sabato mattina, mentre la madre dopo avergli stirato le camicie e messo in una busta i soldi per la spesa va a lezione di ceramica e poi a pranzo con le amiche. È stato detto alle figlie di sposarsi presto e trovare un uomo rispettabile che le mantenga, è stato detto ai figli di trovare un buon lavoro per far vivere alla propria moglie una vita agiata e rendere i genitori orgogliosi. Saranno stati tutti felici? È la madre troppo servizievole? È il padre che lavora troppo? Chi è che se ne sta approfittando? Oppure questo ingranaggio funziona alla perfezione? È facile trarre conclusioni semplicistiche ma la realtà è molto più complicata e la risposta che si potrebbe ricevere è: “Perché è così”, “non ci possiamo fare niente”.
Il femminismo reclama parità di diritti tra uomini e donne, e chiede che i divari vengano colmati: pari possibilità lavorative, stipendi, opportunità. Spesso viene frainteso: non è un attacco al genere maschile, che si irrigidisce sempre un po’ in queste occasioni, sentendosi tirato in mezzo e colpevolizzato. Al contrario, sarebbe un enorme (e necessario) passo avanti per i giovani, che boccheggiano in un mare di regole che danno sicurezza, ma che non lasciano scampo. Come cambiare, cosa sta cambiando
Convivo con il mio compagno da quattro anni, lavoro a contatto con ragazzi e uomini giapponesi e credo che un po’ di femminismo gioverebbe tanto anche al genere maschile, al quale vengono elargiti più diritti ma anche una sfilza di doveri che non sono facili da gestire. Non nel 2020. Le ragazze e i ragazzi giapponesi di oggi sono stati
Ma le cose possono cambiare. Nel 2016 e nel 2018 sono state varate due leggi per supportare il coinvolgimento delle donne nelle aziende e nella politica. Il mio lato critico direbbe: ovvio, gli ci voleva la regola! Ma sappiamo quanto le regole e leggi possano essere solo una facciata. Finché le aziende non metteranno in pratica credendoci quello che le istituzioni chiedono e non promuoveranno seriamente l’inclusione, dubito che la situazione cambierà in maniera significativa. Come in Italia, su questi aspetti anche il Giappone è molto indietro. 29
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Ci sono vari enti che promuovono la parità di diritti nel luogo di lavoro: stimolano le compagnie a scegliere chi assumere in base alle competenze, equiparare salari, a favorire un clima in cui sia possibile comunicare. L’azienda per cui lavoro ha ricevuto il riconoscimento “Best workplace” per qualche anno di seguito e per quest’ultima edizione sono stata invitata al colloquio come rappresentante di minoranza: giovane, donna, straniera. Mi hanno chiesto se mi sentissi inclusa, se fosse facile comunicare i miei problemi al mio capo e di raccontare qualche episodio significativo. Ci sono anche siti online che recensiscono le aziend e, si possono lasciare commenti e valutazioni anonie sul proprio posto di lavoro e leggere quello che hanno detto gli altri. È uno strumento per far sentire la propria voce, in linea con il modo di comunicare giapponese (anonimo, dettagliato, online) che sicuramente tira fuori un po’ degli scheletri dagli armadi delle cosiddette compagnie black, in cui il lavoratore viene forzato a straordinari non pagati, e l’ambiente di lavoro è ostile.
La vita quotidiana E nel quotidiano? Quante famiglie possono richiedere il premio di “Migliore famiglia dell’anno”? In quante si parla e si mette in atto l’uguaglianza? Per farvi capire meglio la situazione voglio presentarvi alcune persone, donne e uomini che ho conosciuto, riportando delle conversazioni che mi sono rimaste impresse.
Kotomi San Sedute per pranzo in un tavolo in mezzo alla stanza le dico “Kotomi, ma ti sei tagliata i capelli!” “Hai visto?” Risponde lei. Dopo qualche convenevole su quanto i colpi di luce le stessero bene, finiamo a parlare (come sempre) dei nostri rapporti di coppia. “Mio marito si accorge sempre quando taglio i capelli” mi ha detto. È davvero così importante qua in Giappone? Ammetto che non ci avevo mai pensato. “Takaya se ne accorge solo se glielo dico io” le rispondo ridendo. “Il tuo compagno è gentile?” mi chiede, “Litigate a volte?” (domande classiche, chissà perché a tutti interessa tanto sapere se litighiamo). Continuiamo a parlare e arriviamo a una costante nei discorsi sul marito di Kotomi: lui lavora tanto. Così tanto che la bimba piccola di due anni e mezzo pensa che il padre venga a casa solo il fine settimana. “Sabato torna papà, vero?” Kotomi dopo la nascita delle due bambine ha ridotto l’orario di lavoro, perché si occupa lei di portarle e andarle a prendere a scuola e della casa. Le piace il lavoro e le piace anche fare la mamma e trovo che sia una cosa dolcissima: adora le sue bimbe alla follia. Una sua frase però mi ha lasciata perplessa. Quando lavoravamo da remoto, ho deciso di diminuire momentaneamente le mie ore settimanali in ufficio per studiare per un master, parlavamo del fatto che
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avrebbe inciso sullo stipendio, e lei mi ha scritto: 彼 氏さんに頑張ってもらおう, lascia che il tuo compagno si impegni per te.
delle vacanze dell’Obon, dove ognuno partecipa aiutando in base al tempo che ha a disposizione, eravamo in cucina, io tagliavo la verdura e lei uno dopo l’altro dava forma agli onigiri.
Nanako San
Una collega chiede a Hiromi come stanno i suoi bimbi. Cosa? Bambini? Ho pensato. Sì, Hiromi ha Lo scorso novembre siamo andati a casa di Takaya ben tre figli, rispettivamente alle medie, elementari e, per la prima volta, ho cenato con suoi genitori. e asilo. “Qua in Giappone fate i figli presto!” le dico, Non sono persone di tante parole, suo padre è il ti- mi dice che no, lei li ha avuti tutti dopo i 30 anni… pico giapponese sui 65 anni, un po’ timido e brusco, A quel punto non capisco più nulla, non ha neanche studioso, lavoratore. Sua mamma è solare ma riser- la fede al dito! Ma chi è davvero Hiromi? vata, molto pratica. Mi fa ridere che ogni volta che vede Takaya fanno il bollettino sui suoi compagni A distanza di due anni e mezzo posso dirvi che lei del liceo: chi si è sposato, chi è diventato papà, chi è una delle colleghe che stimo di più. È il braccio destro (e sinistro) del mio capo e se usassimo i titoli ha cambiato lavoro o città. A me, sinceramente, non vengono in mente molte convenzionali lei sarebbe la manager di due sezioni. cose da dirle, ma ho capito che era curiosa di sapere È instancabile e si vede quanto ami lavorare. Ha una che tipo fosse suo figlio. In fondo immagino che le pazienza infinita, dopo che ho conosciuto i suoi bimmadri di tutto il mondo abbiamo le stesse preoccu- bi ho capito perché, e per me è un esempio di come pazioni, no? “Ho cresciuto un bravo figlio? Come si anche in Giappone ci possano essere donne che non devono scegliere tra lavoro e famiglia, nonostante comporta in casa ora che non ci sono più io?”. Così ho iniziato a raccontarle che Takaya ogni tanto anche il marito abbia un ottimo lavoro, ma spesso cucina e che gli piace passare l’aspirapolvere e puli- è fuori casa. Sono sicura che faccia i salti mortali e re l’ofuro (la vasca da bagno). Ne era piacevolmente non credo sia facile incastrate tutto, ma sono convinta che sia grazie a donne come lei che le cose sorpresa. “Sai, noi abbiamo sempre vissuto con la nonna e lei iniziano a cambiare. diceva che la cucina non era un posto da uomini. Non gli ho mai insegnato niente sulle faccende di casa, mi dispiace” mi ha detto. Chissà quanto ci avrà pensato.
Hiromi San Quando ci siamo incontrate la prima volta le avevo dato almeno dieci anni meno e mi ero fatta un’idea completamente diversa di lei, della sua posizione e della sua vita privata. D’altronde mi sembravano tutte così giovani e carine le ragazze che lavorano in questo ufficio, e non usiamo titoli come “manager”, quindi era lecito avere qualche dubbio. Qualche settimana dopo per la festa annuale prima
I ragazzi Al lavoro a pranzo chiacchiero spesso con alcuni ragazzi che vivono tra Osaka e Nara, sono sposati e hanno figli. Hanno tra i 35 e 40 anni e ricoprono i ruoli di programmatori o web designer. Sin dall’inizio sono stati tutti molto gentili e mi hanno accolta facendomi domande sull’Italia e su di me, da gran pettegoli. Io ovviamente non mi lascio sfuggire queste occasioni e di rimbalzo cerco di fargli un po’ di domande, approfittandone per parlare del privato, cosa poco comune al lavoro. Ryosuke si diverte a parlarmi in inglese ogni tanto, mi ha detto che ha due bimbi e che in casa cucina e comanda la moglie, che ha sei anni più di lui e lavora anche lei full time. Lui adora la sua cucina e da quando si è sposato la 31
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sua salute è migliorata. I soldi in casa li gestisce lei: li mettono via insieme e poi si prendono una paghetta mensile per ognuno. Takayuki ha cambiato l’orario di lavoro per poter andare a prendere suo figlio ogni giorno a scuola. Anche Masato accompagna suo figlio all’asilo prima di venire al lavoro ed è il primo recapito in caso di necessità, infatti ogni tanto lo vediamo scappare via perché il bimbo ha la febbre!
Vorrei concludere dicendo che per mia esperienza personale nella pancia del Giappone, nella mia generazione da millennial le cose stanno cambiando, perché devono cambiare: un solo stipendio non sempre basta a mantenere la famiglia, le ragazze vogliono lavorare e i ragazzi non vogliono rendere conto alla moglie di quanto spendono per una bevuta con gli amici. Invece no, vorrei potervi dire che è così, ma non ci siamo ancora. Vedo intorno a me ancora tante ragazze che hanno come obiettivo principale quello di sposarsi entro i 25-30 anni e vedo ragazzi che si sentono sulle proprie spalle il peso della famiglia che hanno e di quella che devono costruire. Gli animi si stanno muovendo, ogni tanto un raggio di speranza si fa largo e mi ritrovo sorpresa ad ammirare un dorama (serie tv giapponese) che elogia forza e indipendenza femminile, o un personaggio pubblico che parla di uguaglianza. Ma i modelli ancora non bastano, perché anche la tv, ad esempio, è un mondo prettamente maschile. È necessario che i media, la politica e le aziende inizino a muoversi per riconoscere che i ruoli sociali non sono immutabili, che le cose si possono cambiare per il meglio. In un mondo fatto di uomini e per gli uomini è difficile fare spazio a una “società dove le donne possano brillare”, come l’aveva chiamata l’ex Primo Ministro Abe. Le donne non hanno bisogno di poter brillare. Hanno bisogno di poter fare e basta. 32
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Seni e Uova di Kawakami Mieko: un viaggio nella condizione femminile giapponese a cura di Carmen Borrelli
La capacità di un corpo di rimanere incinta e di allattare - di possedere quindi seni e uova - determina il destino di quel corpo? Sono passati ormai più di dieci anni dalla pubblicazione di Seni e Uova di Kawakami Mieko. Era, infatti, il 2008 quando l’autrice si aggiudica il prestigioso premio Akutagawa con quella che compone la prima parte del romanzo. La forma attuale del libro è stata pubblicata in Giappone con il titolo Natsu Monogatari. Arriva sulla cosiddetta scena internazionale delle lettere, prima con la traduzione in inglese e poi in altre lingue - tra cui l’italiano - guadagnandosi un posto accanto ai nomi di Murakami Haruki, Murakami Ryū e Yoshimoto Banana. I due Murakami poco prima e Yoshimoto dopo hanno inserito nei loro scritti elementi dissonanti e di rottura con gli scrittori a loro precedenti, portando nei loro libri soprattutto caratteristiche occidentali - uno dei motivi per cui i loro libri sono bestseller ovunque. Si pensi, infatti, alla letteratura giapponese della metà del ‘900. Gli autori più importanti erano Kenzaburō Ōe e Abe Kōbō, che rappresentavano la generazione “problematica” degli anni 50 e 60, anni pieni di tumulti: il picco della loro fase creativa coincide proprio con le lotte politiche, i movimenti studenteschi, la nascita del femminismo. Ma mentre il Giappone iniziava a riprendersi grazie alla crescita economica e tecnologica, diminuivano anche le proteste. A essere arrabbiati erano solo gli scrittori che non suscitavano più dissensi, ma che, anzi, andavano acquisendo una posizione sempre più classica.
mi televisivi, Kawakami Mieko appartiene, invece, alla cosiddetta lost generation. Questa etichetta si riferisce alle persone nate tra il 1970 e il 1986 che hanno vissuto il crollo della bolla economica giapponese. Nonostante il Giappone ci sembri ancora oggi un paese forte, dove il livello di disoccupazione è bassissimo, in realtà nasconde ferite molto profonde. “Faccio parte della lost generation”, dice Kawakami al Financial Times, “quelle persone che sono nate dopo gli anni 70 in Giappone. Sia uomini che donne di questa generazione non riescono ad avere una vita normale. Non riescono a sposarsi, a trovare lavoro, non possono avere figli. Non è sempre una scelta”, continua. “Spesso è perché è economicamente impossibile. Anche lavorando duro, raggiungono massimo 140.000 yen al mese. È impossibile mantenere una famiglia in questo modo”. Non a caso, il romanzo si apre proprio così: «Quando voglio sapere se una persona è nata povera, non c’è niente di meglio che chiederle quante finestre c’erano nella casa in cui è cresciuta. Non serve fare domande su ciò che mangiava e sui vestiti che indossava. Per scoprire il grado di povertà è essenziale conoscere il numero delle finestre. Sì, proprio così, perché secondo me esiste una correlazione diretta tra povertà e finestre. Nella maggior parte dei casi, se le finestre erano poche o addirittura assenti, è abbastanza facile intuire quanto una persona sia stata povera».
Se Murakami e Yoshimoto sono la voce di una generazione che, dopo i dissensi politici degli anni 50 e 60, cercava autori capaci di rappresentare la nuova Kawakami non scappa dinanzi all’opportunità che sensibilità di lettori cresciuti con manga e program- ha di scrivere su questa lotta finanziaria, ma anzi 33
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mira a catturare uno degli aspetti più problematici del Giappone, con la sua dilagante disuguaglianza economica. È qualcosa che è stato difficilmente discusso nella letteratura giapponese, specialmente nei libri che riescono poi a essere tradotti. Fino a questo momento, infatti, la letteratura giapponese che ha acquisito fama internazionale è solitamente ambientata a Tokyo e contiene un elemento strano o bizzarro. È quel tipo di letteratura che contribuisce a fomentare l’idea stereotipata del Giappone, con il monte Fuji a sovrastare il paese pieno di fiori di ciliegio.
nella sua testa: quello di avere un bambino. Manca la controparte, però: l’unica esperienza sessuale che ha avuto l’ha disgustata e non vuole più provare quell’orrenda sensazione. Ma l’inseminazione artificiale è vietata in Giappone a donne single: non c’è altro da fare che andare in una banca di sperma estera o prendere appuntamenti illegali con i donatori. Sicuramente, sottolineare solo gli aspetti femministi di questo libro è fare un torto all’autrice stessa che, con questa pubblicazione, si è attirata anche molte critiche. Mostrare apertamente tutte le contraddizioni della civiltà giapponese sulla scena internazionale, infatti, non poteva passare inosservato. Alla rivista 7 - sette, dice: “noi donne giapponesi non possiamo acquistare liberamente pillole contraccettive in farmacia e quando ci sposiamo prendiamo in automatico il cognome dell’uomo. Molte donne giapponesi per riferirsi al proprio marito usano ancora il termine 主人 shujin, che significa signore, padrone. [...] La società giapponese tende ad assecondare il desiderio sessuale maschile, e si possono trovare ad esempio riviste porno nei supermercati”.
Al contrario, quindi, Kawakami decide di scrivere prima di Natsu, di sua sorella Makiko e di Midoriko, nipote di Natsu. Nella prima parte del libro, Makiko si sposta da Osaka a Tokyo per rifarsi il seno a buon prezzo. Per sua figlia Midoriko, che sta passando gli anni della pubertà e dei primi cambiamenti naturali del corpo, sottoporsi a queste “torture” volontariamente è inammissibile. Come rivolta verso la madre, si rinchiude in un silenzio assordante, rifugiandosi nei suoi diari. Gli sfoghi che la piccola Midoriko affida al suo taccuino sono sicuramente una delle parti più interes- Nonostante il finale sia decisivo e non lascia molto santi dell’intero romanzo: all’interpretazione, Seni e Uova è un romanzo cangiante, che cambia con il tempo e la luce con cui lo «In questo momento - pensavo - la mamma vede sol- guardiamo. Dopo averlo letto, capiamo anche pertanto Robocon, ma dentro di lui ci sono io! E quella ché la società giapponese tradizionalista e patriarsensazione di innocente incredulità mi accompagna- cale si sia scomposta alla pubblicazione e all’inva per diverse ore, anzi per intere giornate. Le mie ternazionalizzazione del libro. Ormai Seni e Uova braccia si muovevano, le mie gambe si muovevano, è lì fuori, pronto a scoppiare alla prossima lettura. e io non sapevo il perchè, eppure potevo muovere Speriamo che riesca a raggiungere quante più persotutte le parti del corpo! Ero esterrefatta, mi sembra- ne possibili, per dare a chi crede che il Giappone sia va per l’appunto un grande mistero. E ora, già da un un paese idilliaco un pizzico di realtà in più. po’ di tempo, il mio corpo ha preso a trasformarsi mio malgrado. Vorrei riuscire a non pensarci, vorrei non farci caso. Tutto cambia. Tutto passa». La seconda parte, invece, aggiunta soltanto successivamente e che costituisce il fulcro del romanzo, è ancora più disincantata, digressiva e riflessiva. Natsuko ha acquisito una certa fama grazie a una sua pubblicazione, ma mentre cerca di scrivere il suo secondo romanzo, un pensiero diventa costante 34
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Obento
Kabocha Korokke ricetta a cura di Eleonora Badellino
Il Kabocha Korokke è una ricetta classica, classicissima, capace di rievocare i sapori dell’autunno e farci godere di ciò che la terra ha da offrire in questo periodo dell’anno. Vivamente consigliata per il vostro obentō di lavoro, di scuola o per il vostro picnic all’aperto sotto gli splendidi colori autunnali.
Se i petali dei fiori di ciliegio fluttuano come fiocchi di neve da sud a nord del paese, le foglie autunnali si comportano nell’esatto opposto, arrivando dal nord e colorando il paese con toni caldi e rassicuranti. Sembrerebbe solo uno stereotipo, ma la realtà è che il popolo giapponese ha un legame forte e reale legame con le quattro stagioni, e gode del loro passaggio come difficilmente altri paesi sanno fare. Cambio delle stagioni vuol dire cambio nello stile di vita, nel fashion, nel trascorrere del tempo, nell’arredamento di casa (in autunno si da il benvenuto al tanto amato Kotatsu 炬燵), e nel modo di mangiare. In autunno, le espressioni “Shokuyoki no Aki 食欲の秋” Appetito Autunnale e “Aki no Mikaku 秋の味覚” Sapori Autunnali), indicano non solo la stretta relazione al cibo, ma anche come il popolo giapponese stesso veda in questo particolare arco di tempo un momento gastronomico capace di saziare il palato con i prodotti che la natura ha da offrire. Ed è così che in un batter d’occhio, i colori dell’autunno non riempiono solo i boschi e i parchi delle città, ma arrivano anche nei nostri piatti. Dall’arancione brillante dei cachi considerati i gioielli dell’autunno, al giallo ripieno della patata dolce arrostita che profuma l’aria con il suo dolce aroma; le rosse mele (famose quelle della prefettura di Aomori) croccanti e succose, fino ai fumanti kuri (castagne) cotti a fuoco lento con un goccio di mirin, sake e salsa di soia, e serviti in una ciotola di riso ShinMai 新米 (la prima raccolta dell’anno del nuovo riso). A tutto ciò si aggiungono una vasta varietà di funghi tra cui i più famosi e pregiati, i matsutake, famosi per il forte sapore umami e il profumo inconfondibile, adorato dal popolo giapponese (si dice stimoli l’appetito) ed etichettato nel resto del mondo come “il fungo che odora come le calze di un soldato”. Manca all’appello una delle specialità più versatili, forse anche la più attesa durante tutto l’anno, e per questo particolarmente valorizzata nelle sue varie preparazioni: la kabocha. Questa tipologia di zucca, dalla consistenza farinosa e dal sapore dolce e delicato, è uno staple food invernale e può essere trovato in diverse versioni, sia dolci che salate. L’obentō di oggi la vede protagonista nella sua forma croccante-salata, un adattamento celebre sulle tavole giapponesi nonché un ottimo spuntino da portarsi dietro con sé mentre si celebra il koyo 紅葉, ovvero il cambiamento del colore delle foglie autunnali. 36
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KABOCHA KOROKKE Se le più conosciute sono quelle ripiene con patate, carne e verdure, la versione con la kabocha darà alle vostre korokke un accostamento dolce/salato originale che si sposa alla perfezione.
PROCEDIMENTO Per prima cosa, dobbiamo partire dalla nostra kabocha. Rimuoviamo i semi all’interno, con l’aiuto di un cucchiaio e tagliamo la polpa in pezzetti di dimensioni simili tra loro, senza eliminare la buccia. Se la zucca è troppo dura potete avvolgerla con della carta di alluminio e metterla nel forno a 180° per circa 15 min. Una volta pronta, mettiamo la nostra zucca in una ciotola abbastanza capiente, insieme a quattro cucchiai di acqua a temperatura ambiente e inseriamo il tutto nel microonde. Tempo di cottura: 4 min a 600 W. Ciò che vogliamo ottenere è una consistenza farinosa, facilmente che si può schiacciare facilmente anche solo con l’uso di una forchetta. Mettiamo da parte la nostra zucca così che si raffreddi, e nel frattempo sciogliamo il burro e tritiamo la nostra cipolla, che andremo a soffriggere leggermente con un cucchiaio d’olio fino a che non diventa dorata. Quando la nostra zucca si sarà raffreddata, possiamo scegliere se eliminare o meno la buccia (che, ricordo, è commestibile e ricca di fibre) a seconda dei nostri gusti e, con l’aiuto uno schiaccia patate andiamo a creare un composto cremoso ed omogeneo, cercando di eliminare il più possibile la presenza di grumi. Aggiungiamo il burro sciolto, il cucchiaio di latte, la cipolla dorata insieme a sale e pepe a piacere. Arrivati a questo punto, copriamo la ciotola e lasciamo riposare il tutto in frigo per 15-20 minuti, così che i sapori si amalgamano fra loro. Il passaggio successivo riguarderà impanatura e cottura. In tre ciotole diverse, inseriamo il panko, la farina e l’uovo sbattuto insieme a un cucchiaino di acqua. Prendiamo il nostro purè di zucca dal frigo e, con le mani leggermente umide, creiamo delle forme ovali di dimensioni simili tra loro. Impaniamo seguendo il seguente ordine: farina, uova e panko. Questa operazione può essere eseguita due volte, andando così a creare uno spesso strato che, una volta cotto, risulterà in una piacevole croccantezza.
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Una volta terminato, possiamo friggerle, come vuole la tradizione, oppure cuocerle in forno. Frittura: scaldate tre o quattro dita di olio per friggere in un pentolino assicurandovi che sia ben caldo quando versate le vostre korokke al suo interno (per farlo, basterà immergere uno stuzzicadenti nell’olio e vedere se intorno si formano delle bollicine). Una volta assicurato che sia pronto, versate le korokke due alla volta (a seconda della grandezza del vostro pentolino) e all’inizio muoveteli delicatamente con le vostre bacchette da cucina così da non farle attaccare al fondo. Nel giro di un paio di minuti, la loro superficie diventerà dorata: estraete e posatele su un letto di carta da cucina per togliere l’olio in eccesso. Una volta raffreddate leggermente, saranno pronte da mangiare.
Forno: per questo tipo di cottura, invece, vi basterà infornarle a 200°C per 20-25 minuti, in modalità statica. Quando osserverete la superficie dorata, tiratele fuori e gustateli. La cottura al forno tende a seccare un po’ di più la korokke, che potrebbe risultare un po’ più asciutta rispetto a quella fritta. Potete mantenere una leggera morbidezza inserendo nel forno durante la cottura anche una ciotola piena d’acqua (attenzione: assicuratevi che sia resistente al calore). Come la maggior parte delle korokke, vi consiglio di servirle su un letto di cavolo tagliato finemente e condito con il vostro dressing preferito (nell’obentō ho utilizzato una salsa preparata con i semi di sesamo). Potete infine gustarla そのまま, sono mama (ovvero così com’è), o cospargere sulla superficie qualche goccia di salsa tonkatsu. Ma questo è solo un consiglio personale, da qui in poi potete dare libero sfogo al vostro palato e accostare i vostri sapori preferiti. いただきます! Buon appetito!
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すらすら
Lacci e farfalle: haiku scelti di Sugita Hisajo a cura di Dafne Borracci
花衣 ぬぐやまつはる 紐いろいろ
(Hanagoromo / nugu ya matsuwaru / himo iroiro) Nuda, dopo lo hanami: sparsi a terra il kimono e un intrico di lacci
L’autrice Sugita Hisajo (1890-1946) è considerata una delle maggiori poetesse di haiku del ‘900. Figlia del segretario dell’allora Ministero del Tesoro, Akahori Renzō, Hisa (nome anagrafico di Hisajo) nasce a Kagoshima, nell’estrema punta meridionale del Giappone. A causa del lavoro paterno, durante l’adolescenza si trasferirà più volte, prima a Okinawa e in seguito a Taiwan. Nel 1908 si laurea all’Università d’Istruzione Femminile per Insegnanti di Tokyo (l’attuale Università Femminile di Ochanomizu). L’anno seguente si sposa con l’artista e insegnante Sugita Udai e lo segue a Fukuoka. Da questo matrimonio nasceranno due bambine, Akiko e Mitsuko. Nei primi anni di matrimonio si ritroverà a ospitare per qualche tempo il fratello maggiore, Gessen. Giovane poeta di haiku, l’uomo insegna alla sorella i fondamenti della poesia. Nel 1917, Hisajo pubblica i suoi primi versi sulla rivista letteraria Hototogisu. Nello stesso anno partecipa a un incontro di poesia e conosce il romanziere e poeta Takahama Kyoshi, figura per cui Hisajo inizierà a provare una profonda stima. Nel frattempo, la vita matrimoniale con Udai non procede bene: nel 1920 la poetessa avanza una richiesta di divorzio che, tuttavia, sarà rifiutata dal marito. Hisajo, allora, per sfuggire ai tormenti della vita domestica, si rifugia completamente nella poesia. Arriva a ottenere importanti riconoscimenti e i suoi versi compaiono sulle maggiori riviste letterarie assieme a quelli di poetesse del calibro di Nakamura Teijo e Takeshita Shizunojo. Hisajo sogna di pubblicare una raccolta di haiku tutta sua: desidera ardentemente che il suo mentore, Takahama Kyoshi, le scriva una prefazione. Tuttavia, quest’ultimo ignorerà completamente le sue richieste. Dopo questo episodio, Hisajo sarà addirittura espulsa dalla redazione di Hototogisu senza un motivo apparente. Arrivano gli anni della Guerra del Pacifico: anche la famiglia di Hisajo soffrirà gravemente la fame. A ottobre 1945 Hisajo, viene ricoverata in forte stato di malnutrizione all’ospedale psichiatrico di Tsukushi, dove morirà appena tre mesi dopo per un disturbo renale. Sarà la
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figlia maggiore Akiko a pubblicare, dopo la sua morte, una raccolta integrale delle poesie della madre e a portare via i resti di Hisajo dalla tomba del marito. Sarà sempre Akiko a convincere Takahama Kyoshi a scrivere l’iscrizione funebre sulla nuova tomba. L’opera Gli haiku di Sugita Hisajo hanno un’impronta fortemente femminile: i suoi versi si inseriscono spesso all’interno della vita domestica, tanto che in Giappone sono stati definiti daidokoro haiku, “haiku della cucina”. Tuttavia, parlare così dell’opera di Sugita è estremamente riduttivo: attraverso la scrittura, la poetessa ha espresso perfettamente lo spirito delle donne della sua epoca, uno spirito che nessun poeta uomo sarebbe mai stato in grado di catturare. C’è una rabbia silenziosa, la voglia di guadagnare la libertà e anche di poter vivere con leggerezza senza essere confinate tra le mura domestiche. Nei suoi haiku, Hisajo vuole lasciarsi andare in danze sfrenate sotto il sole tiepido di primavera e rincorrere il volo spensierato delle farfalle, simbolo per eccellenza della libertà. In Hanagoromo, la sua poesia più famosa, Sugita si spoglia e slega finalmente le cinture e gli stretti lacci che servono per chiudere il kimono femminile e che le impediscono di respirare. Qui, la poetessa rovescia il paradigma del nudo femminile, atto solo a compiacere l’uomo. Infatti, nella poesia non si percepisce alcuno sguardo maschile mentre la donna lascia cadere a terra il kimono e si riappropria per un istante di se stessa e del proprio corpo. I lacci vanno intesi come una metafora delle catene che opprimevano le donne giapponesi nella prima metà del ‘900: l’atto di liberarsi da queste costrizioni, fisiche e sociali, ha reso questo haiku uno dei più emblematici della produzione letteraria femminista del Giappone.
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Haiku di Sugita Hisajo
椅子移す音 手荒さよ 夜半の秋
唐黍を焼く 子の喧嘩 きくもいや
(Isu utsusu oto / tearasa yo / yowa no aki)
(Morokoshi wo yaku / ko no kenka / kiku mo iya)
Rumore di sedie spostate e mani violente – mezzanotte d’autunno
Odioso anche udire i litigi delle bambine che arrostiscono pannocchie
かくらんや まぶた凹みて 寝入る母
春光に 躍り出し 芽の一列に
(Kakuran ya / mabuta kubomite / neiru haha)
(Shunkō ni / odoridashi / me no ichiretsu ni)
Colera – mia madre si assopisce, le palpebre infossate
Luce di primavera – mettersi a danzare in una fila di germogli
風に落つ 楊貴妃櫻 房のまま
知らぬ人と 黙し拾へる 木の実かな
(Kaze ni otsu / yōkihizakura / fusa no mama)
(Shiranu hito to / modashi hiroeru / ko no mi kana)
Nel vento cadono a grappoli fiori di Yang Guifei
Completi sconosciuti, raccogliamo in silenzio i frutti caduti di un albero
蝶追ふて 蝶追ふて 春山深く 迷ひけり
朝顔や 濁り初めたる 市の空
(Chō ōte / haruyamabukaku / mayoikeri)
(Asagao ya / nigori hajimetaru / ichi no sora)
Seguendo una farfalla mi sono smarrita: primavera di sottobosco
Belle di giorno – già si sporca il cielo del mercato
張りとほす 女の意地や 藍ゆかた (Haritoosu / onna no iji ya / ai yukata) Entrambi tesi – l’ostinazione della donna e uno yukata indaco
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Il Salice che guarda indietro racconto a cura di Giulia Licciardello e Damiana De Gennaro
«Via del Campo c’è una bambina con le labbra color rugiada, gli occhi grigi come la strada. Nascon fiori dove cammina. Via del Campo c’è una puttana, gli occhi grandi color di foglia. Se di amarla ti vien la voglia basta prenderla per la mano» - Via del Campo, Fabrizio De Andrè La guardo attraversare il ponte e il Grande Portale in legno, nel silenzio rotto unicamente dai singhiozzi di nostra madre. Mia sorella somiglia a un animale selvatico mentre avanza verso la foresta di Yoshiwara. “Non puoi venire con me”, aveva detto poco prima. Sapeva già, comunque, che avrei disobbedito. Quando raggiungo la sua mano, infatti lei la stringe, come se nient’altro fosse mai stato importante. Mi rimprovera per finta, e insieme ci immergiamo in quel groviglio di strade. È un giorno di Shimotsuki, il quartiere si colora di banchetti e decorazioni in preparazione per il Tori no ichi, il Giorno del Gallo. Le vie che conducono al santuario Otori risuonano delle grida dei commercianti, mentre le grosse mani dei clienti frugano tra i kumade, gli sfarzosi portafortuna montati su rastrelli di bambù. Tutto sembra ruotare senza sosta, mentre mia sorella mi trascina tenendomi stretta attraverso quella gran confusione. Una ragazza vestita di rosso fa scorrere le dita come piccole lame su quell’esplosione di colori. Sembra essere arrivata lì da un altro mondo. “Hai per caso visto un fantasma? Dobbiamo sbrigarci” dice mia sorella, e ridendo riprende la corsa verso l’indirizzo che le hanno fornito. Non ho mai visto mia sorella correre così. Sento freddo ai piedi e vorrei prendere fiato, ma lei non si cura nemmeno di evitare le pozzanghere in questa strada buia e orribile. Giriamo l’angolo e davanti ai nostri occhi appare una struttura in legno, grande almeno tre volte casa nostra. Per un momento guarda la strada appena percorsa, poi me, poi di nuovo la strada. Sento la sua mano sudata tremare, ancora stretta alla mia. Alla porta ci accoglie una signora poco più bassa di lei, che annoiata dalla mia presenza, dice: “Niente mocciose qui”. Mia sorella allora prende un fazzoletto dalla tasca e me lo porge. È rosso e decorato con tante piccole libellule. Stringe entrambe le mie mani, mentre dice “Torna a casa adesso, piccola”. Subito dopo le porte si chiudono alle sue spalle. Per qualche momento non riesco a muovermi, non penso a niente. Poi forse il rosso o le libellule mi ricordano che io non sono il tipo che ubbidisce. 42
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Giro intorno all’edificio fin quando non trovo una finestrella aperta sul retro. Mentre mi ci infilo mi torna in mente, non so perché, la ragazza vestita di rosso incrociata poco prima. Cado su una montagna di stoffe profumate e mi sembra quasi di scivolare in un sogno. Indosso in tutta fretta un abito che sporge da un cassetto mezzo aperto e mi precipito in corridoio. In una delle stanze adiacenti, si sentono delle voci. Quella che riconosco come l’ombra di mia sorella, attraverso il leggero strato della porta di carta, si inchina davanti a una donna anziana seduta sulle ginocchia. La donna si alza le gira intorno, come farebbe un rapace con la sua preda. Le prende il viso tra le mani, stringendolo e valutandone ogni dettaglio. Poi la strattona, la fa spogliare e osserva il suo corpo nudo. Io trattengo il respiro a stento, ma mia sorella tiene il suo corpo teso come una gru in equilibrio su un lago. “Farai parte delle chusan” è l’unica frase che riesco a cogliere della conversazione tra le ombre, ormai appartenenti a un mondo separato dal mio. Capisco che per me è davvero arrivato il momento di sparire, e così ritorno nella stanza da dove sono venuta, rimetto gli abiti al loro posto, mi arrampico sulla stessa finestrella. Adesso che il sole sta tramontando, le vie di Yoshiwara si fanno ancora più fitte di mani, voci e odori incomprensibili. La casa di piaceri è l’attrazione principale. Mi intrufolo tra le gambe degli uomini che si riversano nella residenza, osservo la scena dall’entrata. Mia sorella, insieme alle altre chusan, è in vetrina alle porte della casa, dietro delle sbarre di legno. Le ragazze sembrano fatte di porcellana: sono belle e lontane dalla realtà. Gli uomini entrano e escono e alcune donne vengono reclamate, tutto segue un ordine ben scandito, ognuno ha il suo ruolo. Mia sorella resta lì, in mostra, per diverse ore, finché anche lei non scompare dietro il paravento dipinto. Le luci della residenza rimangono accese a lungo e anche il via vai della gente continua in una notte senza fine. Percorro le strade dello yukaku controcorrente. Clienti e curiosi si affannano in direzione opposta alla mia, diretti alle case di piacere, ai negozi, alle locande sudice. Attraverso il grande vialone fatto di botteghe, colori e luci. Mi fermo solo dopo essere arrivata al mikaeri yanagi. Penso che anche io sono questa pianta, questo salice che guarda indietro. Ne tocco la corteccia mentre rivolgo un ultimo sguardo al quartiere illuminato. Adesso mia sorella appartiene a quel mondo, mentre io faccio parte di quest’altro. In quel momento mi passa accanto la ragazza dall’ormai familiare abito rosso. Il suo sorriso è illuminato dal bianco della luna autunnale, e subito mi calma. La guardo attraversare il ponte di pietra, volgendosi in direzione del quartiere Ryūsenji. Rigiro fra le mani, ancora una volta, il fazzoletto rosso con le libellule, e subito dopo mi avvio a casa.
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a cura di Giada Zaccardi
Il nome che ho scelto per questa rubrica ことバー è un gioco di parole: da ことば, kotoba parola/parole e バー, bā bar, con il quale volevo richiamare un piccolo bar nel quale si chiacchiera a proposito di parole, un angolino di approfondimento. Inoltre, il koto richiama anche kotodama e mi sembra possa ricordare, così, che questo angolo di parole gli appartiene. Lo stile grafico della pagina richiama il secondo kanji di kotoba 言葉, che da solo significa foglia, così le parole saranno trasportate dalle foglie, ogni volta, della stagione del momento, nel rispetto dell’importanza che il Giappone riserva a ogni fioritura. In coerenza con il tema del primo numero, troverete qualche termine riguardante il femminismo e la differenza di genere. Prima di lasciarvi ai termini, vorrei sottolineare che nella lingua giapponese non esistono i generi, quindi le parole non hanno un maschile o un femminile. Alla luce di questo, ho sempre guardato con ancor più interesse a quei termini che, invece, intendono specificare con forza il loro genere.
Femminismo 女性開放論 じょせいかいほうろん jyoseikaihōron
Termine di origine giapponese, formato dalle parole 女性 sesso femminile, 開放 liberazione o emancipazione e 論 dottrina. Tuttavia, è stato sostituito quasi completamente con il più moderno prestito dall’inglese: フェミニズム, feminizumu.
L’abbreviazione della parola フェミニズム feminizumu, viene utilizzata nel linguaggio colloquiale come appellativo di scherno verso i femministi.
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フェミ femi
Distinzione di sesso 性別 せいべ seibetsu
Scritto con i kanji di 性 sesso biologico e 別 separazione. Infatti, 性別 distinzione di sesso; 役割 assegnazione o ruolo; 分 divisione del lavoro.
業
Dall’inglese gender. Parola con la quale ne venGen gono formate diverse altre relative al tema, e ジ ェ ン re come ジェンダー・ギャップ jendā gyappu, ダー jen dall’inglese gender gap, che indica il tasso di dā differenza di impiego a lungo termine, tra uomini e donne. Ma anche, ジェンダー 役割ステレオタイ プ jendāyakuwarisutereotaipu stereotipi di ruolo, legati al genere.
inia g o Mis 嫌悪 女性 けんお せい じょ eikeno jos
Anche ミソジニー dall’inglese misogyny. Con i kanji di 女性 sesso femminile e 蔑視 disgusto.
Marito 主人 しゅじん shujin
Moglie 家内 かない kanai
Marito, scritto con i kanji di 主 padrone e di persona 人 e Moglie, con i kanji di 家 casa e 内 dentro.
Linguaggio femminile 女性語 じょせいご joseigo
In giapponese, ci sono molte sfumature che variano a seconda se a parlare sia un uomo o una donna. Si tratta di differenze che si apprendono sin da piccoli e che variano sostanzialmente il modo di esprimersi. Una tipologia particolare del linguaggio femminile è il てよだわ言葉 letteralmente, parole teyodawa, si tratta di un vero e proprio slang utilizzato dalle ragazze nel periodo Meiji e prende il nome dalle particelle finali delle frasi, che erano teyo e dawa.
Categoria di libri accomunati solo dall’autrice di sesso femminile, a prescindere dal genere letterario di appartenenza. sc Let La scrittrice Natsuo Kirino (nome maschile di fantasia), aveva scelto quer i t te ta rat sto pseudonimo per non finire associata al genere femminile, che veniva じ 女 da ura ょ relegato in scaffali a parte. り 流文 do j
yo r
ゅ 学 nne yū うぶ bu ん ng が ak く u 45
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In Giappone generalmente le persone sono poco abituate al contatto fisico. Tuttavia, quando si entra nei treni e nelle metro non ci si può fare niente (しょ e n うがない) e questo sembra giustificare il contatto fisico, forse non proprio on d う casuale, all’interno dei vagoni. er 両 りょ p 車 e ゃ r 用 Per contrastare questo fenomeno, sono state create delle carrozze solo ō ttu 性専 うし ar y e al femminile. V 女 よ sh
ん ō せ eny い is せ ょ yose じ j
Nella fede shintoista, l’impurità è legata alla donna poiché si riteneva che il sangue femminile (in particolare, quello mestruale) fosse un’offesa al sacro.
«I codici di purezza e impurità assecondano il mutamento di ruoli, di autorità e di potere: nel testo dell’Engishiki il Impurità sangue - simbolo primo di impurità, di ciò che deve essere 汚れ “negato” - è specificatamente quello della perdita della verけがれ ginità, del parto e delle mestruazioni: è il sangue femminile kegare per definizione. Tra il IX e il X secolo, secondo la ricostruzione di Okada Shigeo, con la definitiva affermazione del patriarcato, l’impurità finisce per diventare una condizione negativa che inerisce essenzialmente alla natura della donna». «Sono coesistite in Giappone diverse tradizioni religiose, e tutte sono state concordi sull’idea che il sangue femminile rappresentasse un elemento che offendeva la purezza del sacro. Anche il buddhismo, infatti, ha bollato del medesimo abominio il sangue mestruale». - Il pensiero giapponese classico, Raveri Massimo Si tratta di un’espressione traducibile solo grazie ad una perifrasi. Con i kanji di 職場 (しょくば) shokuba posto di lavoro e 花 (はな), hana fiore.
職場の花 しょくばのはな shokuba no hana
In passato, le opportunità di lavoro per uomini e donne in Giappone erano tutt’altro che eque; in un ufficio, gli scatti di carriera erano più difficili per le donne ed erano anzi affidati loro ruoli secondari, quali portare il caffè e fare fotocopie. Il loro ruolo era quello di rendere piacevole e accogliente il luogo di lavoro, proprio come una casalinga poteva fare nel nucleo famigliare. Per questo, venivano definite shokuba no hana, fiori da ufficio, per il loro loro mero ruolo secondario e quasi accessorio e decorativo.
Ancora, venivano chiamate koshikake (letteralmente, scaldaposto) perché considerate inaffidabili in quanto potevano occupare il posto nella compagnia solamente fin quando non rimanevano incinte e si sposavano. Dunque, perché prenderle sul serio? 46
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Kotodama in Libreria a cura di Barbara Gazzea
Azami di Shimazaki Aki, Feltrinelli Dopo aver pubblicato Il peso dei segreti (2016) e Nel cuore di Yamato (2018), Feltrinelli si accinge a dare alle stampe il terzo ciclo di romanzi (prima parte di una pentalogia) di Aki Shimazaki, Azami. Autrice originaria di Gifu, Giappone, ma naturalizzata canadese – tant’è che la sua lingua di scrittura e da cui viene tradotta è il francese – Shimazaki racconta sempre storie squisitamente giapponesi, evocative, adeguatamente scorrevoli ma intense. La sua forma preferita è quella del racconto, sia pure, come nel caso de Il peso dei segreti, articolato in un romanzo corale, oppure, come Nel cuore di Yamato, declinato in cinque racconti indipendenti tra loro ma analoghi nell’intento di raccontare la storia del Giappone, dal dopoguerra a oggi, attraverso le vite di personaggi in qualche modo rappresentativi. Agenzia A di Seichō Matsumoto, Mondadori Negli ultimi anni Mondadori e Adelphi si contendono la pubblicazione di un grande scrittore di noir e polizieschi giapponese, Matsumoto Seisho, ma è stata Mondadori a sorprenderci con Agenzia A, un romanzo del 1959 da cui venne anche tratto un appassionante film nel 1961. Per una volta l’indagine non vede come protagonista un detective, privato o della polizia, ma una giovane neo sposa che, non vedendo tornare il marito da un viaggio d’affari, inizia con determinazione e sagacia a cercarlo…
Seni e uova di Kawakami Mieko, e/o Annunciato come acquisito da E/O già nel 2017, lo scorso fine agosto è finalmente approdato nelle librerie Seni e Uova, di Kawakami Mieko, ed è subito stato un caso editoriale – recensito e menzionato da tutti gli inserti e le riviste culturali, nonché da Kotodama, fenomeno non frequente per quanto concerne le autrici giapponesi, persino quando si tratta di Yoshimoto Banana e Kirino Natsuo. In seicento pagine tre donne, imparentate strettamente tra loro, attraverso le proprie scelte e non senza lesinare anche una certa dose di ironia, raccontano l’incongruità esistenziale delle donne moderne, costrette ad aggirare, quando possono, ostacoli culturali posti da una società che non le considera individui responsabili di se stesse, e a scendere a patti con le proprie insicurezze, diverse dal punto di vista generazionale ma tutte ugualmente rilevanti. Il romanzo comprende sia l’edizione originaria del 2007, che la sua estensione, pubblicata da Kawakami proprio nel 2019.
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Doll di Yamashita Hiroka, Atmosphere Libri Le autrici nipponiche contemporanee che vengono tradotte in Italia, notiamo, sono spesso originali, se non altro per i temi su cui scelgono di trarre ispirazione, spesso trasgressivi o quantomeno insoliti, se non palesemente inquietanti. Yamashita Hiroka (nata nel 1994), vincitrice del premio Bungei 2015 proprio con questa sua opera prima, Doll, sceglie di raccontare dall’interno un altro fenomeno di cui non molto tempo fa si leggeva sui giornali, la scelta di alcune persone, in prevalenza uomini o ragazzi, che decidono di creare una relazione affettiva/erotica con delle perfette bambole di silicone. Un fenomeno di nicchia (duemila bambole vendute in un anno nel solo Giappone) ma forse solo a causa del prezzo abbastanza importante di queste doll bellissime e delicate in grandezza naturale.
Un libro da recuperare: Frotte di pesci rossi di Okamoto Kanoko, Lindau Okamoto Kanoko (1889 – 1939) nasce in una famiglia benestante e colta, da cui viene, da una parte, molto viziata, a causa della sua salute da subito instabile, ma, dall’altra, anche incoraggiata a seguire le sue diverse vocazioni, dalla danza tradizionale, alla calligrafia, alla scrittura. Giovanissima, entra in contatto con personaggi del calibro di Tanizaki Jun’ichirō, Akutagawa Ryunosuke e Yosano Akiko. Dopo aver pubblicato i suoi primi tanka, inzia a collaborare con la nuovissima Seitō, la prima rivista giapponese femminista. Okamoto Kanoko è stata una donna a suo modo all’avanguardia ed emancipata, varrebbe davvero la pena conoscerla meglio. Il libro Pubblicato da Lindau nel 2018, questa raccolta di tre racconti di Okamoto Kanoko merita di essere riscoperta e letta con attenzione. I personaggi hanno personalità complesse, non necessariamente accattivanti, e il loro stato emotivo emerge talvolta tra le righe, attraverso lievi dettagli. Vi è in questi racconti tutto l’acume dell’autrice nel descrivere la cultura e l’ambiente del tempo. Ad esempio, nel primo racconto che dà il titolo alla raccolta, un giovane uomo, di professione allevatore di pesci rossi, dal carattere brusco e ombroso, coltiva per tutta la sua vita una passione compressa per una donna che conosce dall’infanzia e di una classe sociale non alla sua portata. Sublimerà questa passione nel cercare di far riprodurre una selezione perfetta di kingyo, i tipici pesci rossi giapponesi con la caratteristica coda vistosa, per esaudire una richiesta specifica della sua amata ma anche quasi per una forma di rivalsa nei confronti della donna e della sua irraggiungibilità. Crediamo che questo libro debba essere riscoperto perché non sono molte le autrici giapponesi degli anni 20 tradotte in Italia, e Okamoto Kanoko ci offre la rara opportunità di contestualizzare meglio la letteratura giapponese del Novecento, ed anche di registrare la consapevolezza di una intellettuale, poeta e testimone del costume in un periodo della storia nipponica ma anche mondiale di enormi cambiamenti. 48
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Hideyoshi e Rikyū di Nogami Yaeko, O Barra O Primo libro pubblicato in Italia di Nogami Yaeko (1885 – 1985), si tratta di un romanzo storico, che rievoca una celebre relazione dialettica tra due personaggi che hanno influenzato la politica e la cultura del Giappone, ognuno a suo modo. Toyotomi Hideyoshi, il secondo dei tre Grandi unificatori del Giappone, per sedici anni in grado di esercitare un potere pressocchè assoluto, amante delle arti, compresa la cerimonia del tè di cui Sen no Rikyū, l’altro protagonista del romanzo, era all’epoca il Maestro più stimato e riconosciuto. Quest’ultimo fu colui che creò un vero e proprio canone della cerimonia del tè tutt’oggi replicato, cultore del wabi sabi applicato al cha, la ricerca cioè dell’essenziale nella bellezza, un ideale che contestava silenziosamente ma fermamente l’ostentazione e l’opulenza che per Toyotomi Hideyoshi erano invece necessarie in quanto dimostrazione del potere effettivo del suo ufficio. Le Rose di Versailles di Ikeda Riyoko, J-POP Durante il J-POP Show a Lucca Changes la casa editrice ha annunciato un cofanetto da collezione con i cinque volumi della serie classica di Ikeda Riyoko. Le rose di Versailles è ambientato in Francia negli ultimi anni dell’ancien régime e racconta la vita nella corte di Versailles e gli anni della rivoluzione del 1789. Figlia di una nobile famiglia da sempre leale alla Corona di Francia, Oscar viene cresciuta dal padre come un soldato e fin dalla giovinezza diventa la fedele spalla destra di Maria Antonietta d’Austria. Il cofanetto riproduce il cancello di Versailles e all’interno contiene, oltre ai volumi da oltre 350 pagine, un esclusivo libretto con tutti i frontespizi dell’edizione originale degli anni 70 e la paper doll di Lady Oscar. L’uscita è prevista per dicembre 2020.
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Hajimemashite Carmen Borrelli. Nata a Napoli nel 1995. Iscritta al corso di Letterature e Culture comparate all’Università di Napoli “L’Orientale”, ha svolto un anno di scambio a Tokyo, alla Keio University. Gestisce da quattro anni un blog, Nessun cancello, nessuna serratura, strettamente collegato al suo profilo Instagram @lilyj2202, citato in Bookinfluencer. Chi parla di libri e dove trovarli (La Corte, 2020). Tra i suoi progetti, La tua, Virginia ha portato sui social, grazie anche alla collaborazione con la Italian Virginia Woolf Society, la lettura dell’epistolario di Virginia Woolf. Ha fondato Kotodama insieme a Dafne Borracci. Dafne Borracci. Nata a Firenze nel 1996. Nel 2013 ha frequentato il quarto anno di liceo a Ashiya, in Giappone. Nel 2018 ha vinto la borsa di studio MEXT Undergraduate e attualmente frequenta la facoltà di Lettere all’Università di Kyoto. Sui social parla di letteratura e storia giapponese attraverso il suo profilo Instagram, @dafneborracci, e il suo blog, Mai una soya. Periodicamente, pubblica la traduzione in italiano del romanzo di epoca Heian Torikaebaya Monogatari tramite newsletter. A luglio 2020 ha pubblicato il suo primo ebook Ikiryō - Spiriti viventi del folklore giapponese. Ha fondato Kotodama con Carmen Borrelli.
Giada Zaccardi. Nata a Roma nel 1986, è laureata in giurisprudenza e ha conseguito l’abilitazione di avvocato. Durante l’esercizio della professione intraprende lo studio della lingua giapponese, che deciderà di proseguire iscrivendosi alla laurea magistrale in Lingua, economia e istituzioni del Giappone all’università “Ca’ Foscari” di Venezia. Nel 2019 fonda il progetto のどnodo e su Instagram: @nodo_no_do, per promuovere la diffusione delle lingua e della cultura giapponese in Italia. Attraverso questo progetto organizza numerosi eventi, tra cui Tokyo art in Rome nel 2019, e impartisce lezioni di lingua e cultura giapponese. Per Kotodama segue la rubrica Kotobar, approfondendo termini peculiari della lingua giapponese.
Guendalina Fanti. Nata a Bologna nel 1992. Si è laureata in Lingue, Mercati e Culture dell’Asia presso l’Università di Bologna, trascorrendo un periodo di scambio presso l’Università Sorbona a Parigi con la borsa di studio Erasmus. Dopo un periodo di studio in Spagna si trasferisce in Giappone per approfondire lo studio della lingua e ha fatto di quest’ultimo la sua casa. Attualmente vive a Osaka da dove condivide consigli di viaggio e racconta la vita quotidiana senza filtri tramite il suo account Instagram @lamiakyoto e sul sito web La mia Kyoto. Per Kotodama segue la rubrica Nihon no Honto. 50
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Donatella Principi. Nata a Rimini nel 1991, è laureata in Acquacoltura e Igiene delle Produzioni Ittiche. Nel 2014 apre il canale YouTube e il profilo Instagram @ Chibiistheway dedicati a libri, fumetti, lifestyle e alla sua passione per il Giappone. Ha collaborato con VVVVID, il canale YouTube di Animeclick.it, LegaNerd e RedCapes realizzando video e articoli dedicati al fumetto e all’animazione giapponesi. Nel 2018 partecipa al programma radiofonico Pandora di Rai Radio 2 per consigliare libri e fumetti agli ascoltatori ed è ospite a Lucca Comics and Games del panel Comics Instagrammer per parlare del rapporto socialfumetto. Nel 2019 è stata selezionata fra i 16 Bookinfluencer più influenti scelti dagli allievi del Master BookTelling dell’Università Cattolica di Milano. Appare nel libro Bookinfluencer. Chi parla di libri e dove trovarli (La Corte, 2020) e per Kotodama segue la rubrica Manga Café. Damiana De Gennaro. Nata a Vico Equense nel 1995, è laureata in Letterature e Culture comparate all’Università di Napoli “L’Orientale”. Iscritta alla magistrale presso lo stesso ateneo, ha svolto un anno di scambio in Giappone, presso l’università Tōhoku. Ha pubblicato Aspettare la rugiada (Raffaelli, 2017), opera finalista al Premio Rimini, e Shibuya Crossing (Interno Poesia, 2019). Sue poesie sono ospitate su varie antologie, tra cui Poeti italiani nati negli anni ‘80 e ‘90.Vol. I (Interno Poesia, 2019) e Abitare la parola. Poeti nati negli Anni Novanta (Ladolfi, 2019). Alcune traduzioni delle sue poesie in spagnolo, inglese e sloveno si trovano online sulle riviste Libroamerica, Literalidad, Círculo de Poesía, Centro Cultural Tina Modotti, Otata, e il blog di Primož Sturman. Collabora con la rivista di poesia Mosse di Seppia e fa parte della redazione di Kotodama e ha scritto il racconto Il Salice che guarda indietro insieme a Giulia Licciardello.
Stefania Sabia. Nata a Moncalieri (TO) nel 1993. Laureata in giapponese presso la facoltà di Lingue e Culture dell’Asia e dell’Africa dell’Università degli Studi di Torino, fin da piccolissima porta con sé uno smisurato amore per il Giappone e le sue tradizioni antiche. Nel 2015, durante il suo soggiorno studio a Tokyo, apre il blog Prossima Fermata Giappone, una piccola finestra virtuale dove parlare di viaggi nel Paese che tanto la appassiona. Vive e lavora a Tokyo dal 2017, dove si occupa full time di scrittura di articoli e creazione di contenuti social nell’ambito del turismo giapponese. Ha inoltre collaborato in quanto content creator con l’Ente del Turismo della Prefettura di Aichi, Go Go Nihon e Blueberry Travel. Sui social parla di viaggi in Giappone, storia e cultura di mete nipponiche insolite attraverso il suo profilo Instagram @prossimafermatagiappone. Per Kotodama segue la rubrica Anaba Meguri - 穴場巡り.
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Eleonora Badellino. Nata ad Alba (CN), nel 1992. Laureata presso l’Università’ di “Scienze Gastronomiche” di Pollenzo, dopo un’esperienza lavorativa nell’ambito Food in Italia e in America, arriva in Giappone dove partecipa a due progetti incentrati sullo studio e tutela del washoku, presso la città di Tsuruoka, prefettura di Yamagata (riconosciuta come “Unesco’s City of Gastronomy”), e Kanazawa, prefettura di Ishikawa. Vive in Giappone da due anni e per hobby gestisce una pagina Instagram @EveryDayObento e un blog DaidokoroLabo incentrati sulla gastronomia giapponese e non solo. Ha collaborato con la rivista The New Gastronome, con il magazine online Savvy Tokyo e per Kotodama segue la rubrica Obento. Giorgia Lombardo. Nata a Vittoria (RG), nel 1996. Dopo essersi laureata all’Università di Catania in Mediazione Linguistica e Interculturale, si trasferisce a Roma per specializzarsi in lingua giapponese. Frequenta attualmente la facoltà di Lingue e Civiltà Orientali presso l’Università di Roma “La Sapienza” e sogna di diventare traduttrice di manga. Alla passione per il Giappone, affianca quella per l’illustrazione e nel 2018 apre la pagina instagram @midoriart8 dove pubblica le sue illustrazioni di vario tema. Per Kotodama si occupa di grafica e illustrazioni. Giulia Licciardello. Nata a Catania nel 1994, si laurea in Lingue e Culture Orientali e Africane all’Università degli studi di Napoli “L’Orientale” con percorso dedicato all’Estremo Oriente. Nel 2019 frequenta il master in Editoria dell’università di Verona e si specializza nel campo redazionale. Lavora come proofreader e correttrice bozze per GateOnGames e per Panini Comics e si occupa anche di progetti freelance. Nel tempo libero si dedica alla scrittura creativa e al suo profilo Instagram @hikari_monogatari. Ha pubblicato in formato ebook la raccolta di racconti Ricette d’amore. Per Kotodama si occupa di coordinamento editoriale, impaginazione e proofreading e ha scritto il racconto Il salice che guardia indietro insieme a Damiana De Gennaro. Barbara Gazzea. Nata a Milano ma ha sempre vissuto a Roma e provincia da quando ha memoria. Nella vita svolge un tedioso lavoro da impiegata, che le consente però di mantenersi e di spendere tutto quello che può nei suoi interessi, che sono diversi ma che in qualche modo prevedono sempre dei libri. Dopo una potente infatuazione per gli anime giapponesi nei tardi anni 70 primi anni 80, come altri della sua generazione, ha iniziato a interessarsi seriamente al Giappone nel 2008, iniziando da autodidatta uno studio sistematico della cultura e delle tradizioni nipponiche. Ha frequentato per tre anni i corsi di lingua all’Istituto Giapponese di Cultura di Roma. Per il primo numero di Kotodama si è occupata delle uscite in libreria. 52
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Kotodama è un’idea che nasce l’estate appena trascorsa (2020), da una conversazione tra Carmen Borrelli e Dafne Borracci. In un contesto internazionale che vede il sapere assumere forme sempre più fluide, lo scopo della redazione è quello di incoraggiare, anche attraverso i social, lo scambio di discorsi tra persone impegnate in uno studio continuativo di lingua e letteratura giapponese. Attraverso le rubriche cerchiamo di cogliere diverse sfaccetature della cultura giapponese, dagli aspetti più gradevoli a quelli più ambigui e problematici. Il fatto che il numero zero sia composto da sole donne è una coincidenza: crediamo nella parità di genere e saremo felici di collaborare in futuro anche con i nostri colleghi. La pubblicazione è a cadenza trimestrale. Per contribuire con un proprio articolo, è possibile scrivere a kotodama.rivista@gmail.com.
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Riferimenti bibliografici e ringraziamenti • Per la stesura dell’editoriale La Luna e le Pile si è fatto riferimento a La Cartella del Professore di Kawakami Hiromi, Einaudi e a Letteratura Giapponese I a cura di Adriana Boscaro per Einaudi. • Per la stesura di Strawberry Shortcake e specchi rotti si ringrazia: Il Giappone Moderno di Elise K. Tipton, Einaudi, 2008. M Train di Patti Smith, Bompiani, 2016. “Excuse Me, Who Are You?”: Performance, the Gaze, and the Female in the Works of Kon Satoshi, Cinema Anime di Susan Napier, S.T. Brown, 2006. • Per la stesura di L’età della fioritura si ringrazia: Midaregami di Yosano Akiko, a cura di Luca Capponcelli, Aracne, 2017. L’ultimo dell’anno e altri racconti di Higuchi Ichiyō, a cura di Gala Maria Follaco, Aracne, 2016. Le traduzioni dei passi tratti da Midaregami sono a cura di Luca Capponcelli. • Per la stesura di Tutte le donne che erano addormentate, si ringrazia: L’introduzione di Giorgio Amitrano a Storia di Genji, Il principe splendente, Murasaki Shikubu, Einaudi, 2006. • Le filastrocche di Kaneko Misuzu sono tradotte da Dafne Borracci. Per i testi originali si faccia riferimento a: 金子みすゞ著、与田凖一 等編 (1984)『美しい町 金子みすゞ全集1』JULA出 版局 p 101. 金子みすゞ著、与田凖一 等編 (1984)『空のかあさま 金子みすゞ全集2』 54
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JULA出版局 pp 5, 10, 108, 183. 金子みすゞ著、与田凖一 等編 (1984)『さみしい王女 金子みすゞ全集3』 JULA出版局 pp 145, 167. • Gli haiku di Sugita Hisajo sono tradotti da Dafne Borracci. • Per la stesura di Kotobar, si ringrazia: Il pensiero giapponese classico, Raveri Massimo, Giulio Einaudi editore. L’articolo Office Ladies in Japan di Japan Talk. L’articolo The thorny topic of “office flowers” del Japan Times. • Il racconto Il Salice che guarda indietro è un’idea di Giulia Licciardello e Damiana De Gennaro. Non è da considerarsi un documento storico e potrebbe contenere delle inesattezze storiche. Per la stesura, si è presa ispirazione da: Acque Torbide di Higuchi Ichiyō, Jouvence, 2017. L’ultimo dell’anno e altri racconti di Higuchi Ichiyō, a cura di Gala Maria Follaco, Aracne, 2016. Due racconti di Higuchi Ichiyō, Vecchiarelli, 2013. Per sapere di più sui luoghi menzionati nel racconto, vi consigliamo l’articolo Tokyo letteraria: sulle tracce di Higuchi Ichiyō di Tradurre il Giappone.
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